Saggi. Storia E Scienze Sociali
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Saggi. Storia e scienze sociali Federica Bertagna LA PATRIA DI RISERVA L’emigrazione fascista in Argentina Prefazione di Emilio Franzina DONZELLI EDITORE © 2006 Donzelli editore, Roma Via Mentana 2b INTERNET www.donzelli.it E-MAIL [email protected] ISBN 88-6036-011-0 LA PATRIA DI RISERVA Indice p. VII Prefazione di Emilio Franzina 3 Introduzione I. Fuga in Italia: il displacement dei fascisti dopo la Liberazione 15 1. Fenomenologia dei fuggitivi: gerarchi, criminali e «piccoli fascisti» 23 2. Clandestini in patria 34 3. L’amnistia Togliatti e l’emigrazione dei fascisti 42 4. La questione dei criminali fascisti II. Emigrazione legale e illegale 53 1. Emigrazione legale 61 2. La fuga dei fascisti nel quadro dell’immigrazione e dell’emigrazione illegale dall’Italia 72 3. Il ruolo della Chiesa cattolica 79 4. Criminali in fuga: Bruno Piva da Modena a Buenos Aires via Friburgo III. Reti politiche: il Movimento italiano femminile «Fede e famiglia» 103 1. Un’organizzazione neofascista nell’Italia postbellica 110 2. L’assistenza ai «perseguitati politici» 123 3. Il Movimento italiano femminile e l’emigrazione dei fascisti IV. Tecnici e imprese in Argentina 137 1. La spedizione Borsari in Terra del Fuoco 144 2. Emigrazione di tecnici dall’Italia nel dopoguerra 152 3. L’Argentina, l’Italia e la selezione degli immigrati V Bertagna, La patria di riserva V. Le collettività italiane in Sudamerica tra conflitti e pacificazione 171 1. Diplomazia e colonie: Argentina, Brasile, Cile 191 2. Fascisti e antifascisti a Buenos Aires intorno al 1945 204 3. «Arrivano i fascisti» VI. I fascisti italiani in Argentina 217 1. Fare politica 235 2. Da Mussolini a Perón 254 3. Giornali e giornalisti 271 4. Epilogo. Approdi (e derive) 285 Indice dei nomi VI LA PATRIA DI RISERVA Prefazione di Emilio Franzina Nell’introdurre, molti anni fa, una raccolta delle sue prefazioni a opere di fattura la più diversa Jorge Luis Borges avanzava, con riserva, il dubbio che non a caso nessuno avesse formulato sino ad allora una qualche teoria dei prologhi, in sede, naturalmente, letteraria: le «so- glie» di Gerard Genette, in effetti, erano ancora di là da venire e sa- rebbero comunque arrivate, per Borges, ormai fuori tempo1. D’altron- de, notava lo scrittore argentino, l’omissione non avrebbe dovuto im- pensierire nessuno, perché di cosa si tratti è chiaro da sempre a chiun- que. Diversamente da quanto accade per i preliminari e per le premes- se d’altro tipo, infatti, nella «triste maggioranza dei casi», il prologo consiste in un rito scontato qualora, almeno, finisca per risultare pleo- nastico in sé ovvero per confinare «con l’oratoria da dopopranzo e con i panegirici funebri», dove abbondano le «iperboli irresponsabili, che la lettura incredula accetta poi come convenzioni del genere». Eccezioni, e anche insigni, come appunto quelle di Borges (che pa- recchie ne elencava già da parte sua), per fortuna non mancano. L’im- portante sta nell’intendersi e nell’accettare il concetto di elementare evidenza, secondo cui, quando va bene, il prologo «non è una forma subalterna del brindisi» bensì, per buona sorte dei lettori, «una specie laterale della critica». E, come tale, in più luoghi del «genere» appena ricordato, Borges stesso, dunque, la maneggia conferendo alle proprie riflessioni «preliminari» il valore aggiunto di un’autenticità interpreta- tiva cui possiamo affidarci con discreta tranquillità nella speranza, ove necessario, di poterlo in qualche modo imitare. 1 Si vedano, in ordine, J. L. Borges, Prologhi, con un prologo sui prologhi, a cura di A. Melis, traduzione di L. Lorenzini, Adelphi, Milano 2005, pp. 12-3 e 168-70; e G. Genette, Seuils, Editions du Seuil, Paris 1987 (trad. it. a cura di C. M. Cederna, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino 1989). VII Emilio Franzina A proposito di prologhi e di preliminari: a cinque anni dalla fine della guerra, tra il 25 aprile e il 9 maggio del 1950, si tenne a Ginevra, presso l’Ufficio Internazionale del Lavoro, una grande «Conferenza preliminare sulle migrazioni», alla quale presero parte i rappresentan- ti di 29 nazioni. L’Italia vi partecipò con una propria delegazione de- stinata più volte a scontrarsi con quelle dei paesi anglosassoni, che «quasi sempre fecero blocco per controbattere le proposte italiane, mentre fra i paesi dell’America Latina la maggior resistenza si [ebbe] da parte dell’Argentina»2. Il dettaglio appariva a prima vista curioso, attese le dimensioni dei flussi che almeno dal 1947 avevano ripreso a dirigersi con forza verso questa meta sudamericana ambita e privilegiata. Ma tra le altre ragioni del contrasto, poi composto e superato dai delegati italiani, poteva an- che esserci la crisi ormai alle viste oltreoceano e di cui l’andamento del- l’immigrazione dall’Italia, superato il picco dei quasi centomila arrivi del 1949, quando se ne parlava con ottimismo a Bologna in un impor- tante convegno3 e quando già, tuttavia, «la economia argentina in- gres[aba] en una zona de penumbra»4, avrebbe ben presto cominciato a riscontrare gli effetti5. La «risorsa Argentina», insomma, all’alba della guerra di Corea, sembrava avere già imboccato «la via del tramonto»6, a dispetto dei promettenti accordi appena stilati (nel febbraio del 1947 e nel gennaio- aprile del 1948) dai due interlocutori interessati; e nonostante tali pat- 2 Direzione Generale Occupazione Interna e Migrazioni, Conferenza preliminare sulle migrazioni, in Archivio Centrale dello Stato, Roma, Ministero del Lavoro e della Previden- za Sociale, b. 382, fasc. Conferenze emigrazione, sf. Schemi di studio, proposte italiane, 1950. 3 Il convegno, il primo di rilievo nazionale dopo la guerra, si tenne a Bologna su inizia- tiva della locale Camera di Commercio, Industria e Agricoltura (che infatti ne pubblicò su- bito i risultati: Congresso nazionale per l’emigrazione, Bologna 18-20 marzo 1949. Atti Uf- ficiali, Bologna 1949). 4 P. Gerchunoff - D. Antúnez, De la bonanza peronista a la crisis de desarrollo, in J. C. Torre (a cura di), Los años peronistas (1943-1955), Sudamericana, Buenos Aires 2002, p. 161. 5 Nel solito balletto delle cifre valgano almeno gli ordini di grandezza resi a dovere dal- le vecchie rielaborazioni (su fonti del ministero degli Esteri) di Alvo Fontani (Gli emigrati. L’altra faccia del «miracolo economico», Editori Riuniti, Roma 1962, p. 239: Emigrazione in Argentina dal 1946 al 1960). Irrisori nel 1946, gli espatri «ufficiali» per l’Argentina furono dunque 21 379 nel 1947 a fronte di 2963 rimpatri; 69 602 nel 1948 contro 4904, 98 262 con- tro 7456 nel 1949, 78 531 nel 1950 contro 15 308; 55 630 nel 1951 contro 13 487; 33 366 nel 1952 contro 8611; 21 350 nel 1953 contro 8127; 33 866 nel 1954 contro 6898 e 18 276 contro 6380 nel 1955, a far data da quando, caduto anche Perón (e tolta un’effimera ripresa nel 1957), i nuovi ingressi si attestarono sulle poche migliaia l’anno sino praticamente a estin- guersi all’inizio della decade 1960. 6 A. De Clementi, «Curare il mal di testa con le decapitazioni». L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. I primi dieci anni, in L. Baldissara (a cura di), Mobilità, migrazioni, identità, numero speciale di «Novecento», 8-9, 2003, p. 17. VIII Prefazione ti, diversamente da altri sottoscritti dall’Italia con alcuni paesi d’immi- grazione europei, non prevedessero «limiti qualitativi e quantitativi» agli ingressi italiani, come avrebbero facilmente ammesso, di lì a poco, Giovanni Malagodi e gli emissari del governo di Roma presenti a Pa- rigi a un’ulteriore «Conferenza di esperti per l’emigrazione», nella quale veniva ufficialmente illustrato l’eloquente «Memorandum italia- no sul problema del surplus di manodopera» del luglio 1950. Esso contestualizzava, in un’ottica risolutamente liberista ed emigrazioni- sta, la somma dei problemi che a Ginevra erano stati affrontati soprat- tutto nell’idea di poter procedere, al più presto, alla costituzione di «un nuovo Istituto internazionale cui affidare l’organizzazione e l’ese- cuzione [sic] dei movimenti migratori» o quanto meno di poter avvia- re un’opera promozionale, e contemporaneamente di tutela, «per l’e- migrazione» sul tipo di quella svolta sin lì dall’Iro. L’International Refugees Organization, a dire il vero, aveva opera- to sul piano dell’assistenza e della ricollocazione dei rifugiati, com’era pure abbastanza noto in Italia, visto che da cinque anni un intenso turn over di profughi piovuti da ogni parte d’Europa aveva finito per inte- ressarla, rendendo molte sue regioni teatro non solo di reiterate par- tenze per l’estero di migranti volontari, ma anche di innumerevoli in- ternamenti e dell’allestimento (o del riuso) di vari campi di accoglien- za provvisoria7. Come ebbe a osservare nel suo corso il presidente dell’assise gine- vrina Léon Eli Troclet (il ministro del Lavoro belga che si trovava con- temporaneamente a capo del Bureau International du Travail), era for- se la prima volta, comunque, che dopo un quarto di secolo aveva luo- go un incontro sulle migrazioni in cui si discutessero le prospettive concrete di cooperazione internazionale riguardanti la mobilità della manodopera europea. Solo in considerazione dei rischi che l’iniziativa politico-diplomatica ancora comportava si era deciso quindi di defini- re minimalisticamente un tale incontro col termine rassicurante di «conferenza preliminare», ma esso avrebbe dovuto comunque costi- tuire il «prologo» a un’azione comune prossima ventura di notevole impegno e a livello, s’intende, «euroamericano». Per sgravarsi ora dal compito di ripensare e di descrivere in manie- ra impressionistica e tuttavia sufficientemente attendibile l’Argentina e la sua gran capitale alla volta del 1950, l’anno simbolo da cui abbiamo 7 M. Sanfilippo, Archival Evidence on Postwar Italy as a Transit Point for Central and Eastern Europeans Migrants, in O. Rathkolb (a cura di), Revisiting the National Socialist Le- gacy, Kreisky Archiv Studien Verlag, Innsbruck 2002, pp.