Giovanni Maria Angioy E La Sardegna Centrale Fra Questione Rurale, Lingua E Letteratura Sarda Bono, Macomer
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Mercoledì 28 aprile | Sa Die de Sa Sardinia Giovanni Maria Angioy e la Sardegna centrale fra questione rurale, lingua e letteratura sarda Bono, Macomer Organizzato In collaborazione con Con il patrocinio di dall’Associazione culturale Comune di Bono Frontes Comune di Macomer Comune Montana Assessorato della Pubblica istruzione, Beni culturali, Informazione, Spettacolo e Sport del Goceano Indice Pagina 3 E se la storiografia e la cultura autonomistica fossero un equivoco? di Michele Pinna Pagina 8 Agire, non reagire. Quale identita’ per i sardi? di Alessandro Mongili Pagina 18 L’inno di Francesco Ignazio Mannu Procurad’ ‘e moderare barones sa tirannia: inquadramento storico e ipotesi di datazione di Luciano Carta Convegno: Giovanni Maria Angioy e la Sardegna centrale Bono, Macomer 28 Aprile 2010 tra questione rurale, lingua e letteratura sarda 2 E se la storiografia e la cultura autonomistica fossero un equivoco? di Michele Pinna li equivoci sono, dal nostro punto di di vista, quella serie di leggende e di ideologie che si sono costruite attorno alla vicenda angioyana e al periodo dei motti rivoluzionari sardi tra il 1793 e il 1796. Quando noi costruiamo le Gnostre rappresentazioni della storia lo facciamo perché questa ci serve per il presente; è lo sguardo contemporaneo, siamo noi, dalla situazione in cui ci troviamo, che guardiamo il passato in termini retrospettivi, per riappropriarcene secondo esigenze che nascono dal presente. Del passato recuperiamo quello che ci interessa, quello che ci serve, sia con la funzione di legittimare il presente che di metterlo in discussione E’ quello che Macchiavelli chiamava il problematicismo storico. Non è detto che tutto il passato sia vero, giusto e utile ma non è detto che sia tutto da buttar via. In tutti questi anni ho cercato di vedere in termini critici, le letture, i modi di vedere e di pensare che ha la sardità, il sardismo, il pensiero autonomistico. Rilevo che vi sono intorno a questi problemi, vitali per la storia civile dei sardi, tutta una serie di confusioni ideologiche, linguistiche, politiche. E dico che se noi costruiamo il nostro presente sugli equivoci, questo diventa fallace. Ci porta verso direzioni che noi crediamo siano le une e invece sono le altre. Cristoforo Colombo credeva di andare nelle Indie invece è approdato in un altro territorio perché è partito da presupposti geografici (e teorici) che in realtà erano fallaci, rispetto alla meta da lui prefissata. Egli è giunto in un territorio altro rispetto a quello in cui voleva approdare. Altri esploratori si sono resi conto che egli in realtà era giunto in un altro territorio. L’errore, d’altra parte, come in questo caso, può produrre delle nuove verità, però ciò che conta è il recupero in consapevole dell’errore, il quale in questa maniera diventa verità spendibile. Quando noi diciamo per esempio che l’autonomismo politico, la regione autonoma della Sardegna, a statuto speciale, la letteratura a statuto speciale in verità non stiamo dicendo cose non vere. Nel senso che le parole non sono i fatti. La Costituzione italiana riconosce la Sardegna come Regione a statuto speciale, ne riconosce la diversità del territorio, la sua specialità linguistica, ma la riconosce in termini subalterni, in termini concessori, con un potere derivato, delegato dall’alto verso il basso. La storiografia sarda post bellica, del periodo cosiddeto “autonomistico” ha ricostruito una storia della Sardegna, subalterna allo Stato italiano, spacciandola per storia dell’autonomia. Se autonomia, come richiede la lettera significa autogoverno, potere di legiferare in proprio, la storia della Sardegna autonomistica non risponde, nei fatti, a ciò che sostiene il racconto storiografico. Tutta la storiografia sarda, ha ricostruito in una prospettiva autonomistica, e cioè, in una prospettiva di diversità subalterna la propria storia. In questa stessa direzione c’ è ad esempio chi sostiene la teoria di una “letteratura sarda a statuto speciale”. La letteratura a statuto speciale, io dico che è una sciocchezza, perché se noi abbiamo una letteratura sarda, e cioè una letteratura linguisticamente fondata, fondata, cioè, su una lingua che si chiama lingua sarda, non è una letteratura Convegno: Giovanni Maria Angioy e la Sardegna centrale Bono, Macomer 28 Aprile 2010 tra questione rurale, lingua e letteratura sarda 3 a statuto speciale ma è una letteratura indipendente, con una sua lingua, una sua storia, un suo percorso che non può essere visto come un dia-sistema della letteratura italiana, ossia come un sub sistema incluso nelle modalità costitutive della letteratura italiana. Se la Sardegna ha una sua storia fisica, linguistica, una storia politica, per certi aspetti indipendente, non può essere una regione dello Stato italiano. Chi non riconosce, perciò l’indipendenza culturale della Sardegna, in realtà non riconosce la legittimità della sua indipendenza politico-istituzionale dallo Stato italiano. Se la Sardegna è tutto questo deve essere un territorio indipendente, che ha autogoverno, che ha sovranità, potestà interna ed esterna. Se noi partiamo da questa ipotesi, e leggiamo la Sardegna come una nazione, non per cadere nella terza via della storia di Francesco Cesare Casula perché anche quello è l’ennesimo equivoco, cioè se noi costruiamo la storia di una Sardegna come nazione, perché la Sardegna nasce come nazione, che ha una sua epoca in cui ha un governo autonomo, indipendente, sovrano, il periodo giudicale, il periodo in cui la Sardegna ha lasua statualità, e il giudice di Torres, il giudice di Cagliari, il giudice di Arborea fanno le loro leggi fanno le loro trattative internazionali usano la loro lingua, la lingua parlata nel territorio con le codificazioni che loro ritengono opportune e quindi come dire sono degli Stati. Ora se è vero questo e quindi che la statualità è una categoria politica che esprime autogoverno e sovranità, Casula dice: noi con questa sovranità a seguito del passaggio, nel trattato di Londra, ai Savoia, abbiamo dato vita allo Stato Italiano, al Regno d’Italia e quindi e quindi siamo i fondatori di questo Stato e quindi non ha senso proclamare l’indipendenza. Ma se siamo i fondatori in realtà noi dobbiamo essere i protagonisti di questa vicenda, in realtà noi non siamo mai stati protagonisti; ma lasciamo perdere questa cosa. Se noi volessimo recuperare questa idea della statualità sovrana di una Sardegna nazione indipendente e dico nella logica di Carta-Raspi e in parte nella logica di Bellieni che è una linea storiografica minoritaria, oscurata per certi versi, anzi per tutti i versi, dalla storiografia dominante in Sardegna, la cosiddetta storiografia autonomistica, se noi confrontassimo questa linea storiografica con l’operazione settecentesca, col movimento angioiano noi diciamo davvero che è tutto un equivoco, nel senso che il progetto angioiano, a parte l’ultimo periodo, dove lui crede, forse, io non ho mai creduto che Angioi potesse essere un repubblicano indipendentista, è una forzatura ermeneutica di alcuni storici forse per mettersi a la page con questo pensiero politico, io sono fermamente convinto che Angioy sia un personaggio inserito dentro il sistema politico del suo tempo, che sia un uomo d’ordine, un uomo espressione di quel potere politico che certamente si rende conto quando lui arriva a Sassari, quando attraversa il Marghine, il Logudoro che, certamente, la situazione è quella, lui tocca con mano e in qualche modo è chiamato a fare delle valutazioni. Ma chi è poi Angioy? Nasce a Bono, si forma nel collegio Canopoleno a Sassari, fa una brillante carriera universitaria, diventa magistrato percorre rapidamente tutti i gradi della magistratura e vive come vive una persona che non si è mai sporcata le mani con le cose pratiche. Lui, secondo me, inizia veramente a rendersi conto di cosa possa essere la Sardegna quando viene mandato a fare l’alter nos e deve fare i conti con tutta la situazione complessa e complicata che si trova dinanzi; tanto è vero che non riesce a governarla, a metterla insieme. E’ , come dire, frastornato da una situazione Convegno: Giovanni Maria Angioy e la Sardegna centrale Bono, Macomer 28 Aprile 2010 tra questione rurale, lingua e letteratura sarda 4 del genere dove da una parte ci sono pressioni corporative, dall’altra ci sono piccoli interessi, e dall’altra ancora, c’ è il potere regio di cui egli è espressione. Chi coglie molto bene, secondo me, questi aspetti, è uno storico sardo che non viene tenuto molto in considerazione dalle linee storiografiche dominanti, dell’ autonomismo. Damiano Filia oltre a formulare giudizi negativi nei confronti di quei sacerdoti che avevano seguito , su Muroni, dice delle cose molto brute su Muroni, delle cose molto brutte su Sanna-Corda, questa è gente che ha perso la testa, questa è gentucola che ha perso il lume della ragione, non sa più cosa sta facendo. Poi riprende in seria considerazione il ruolo che ha avuto la chiesa, un ruolo di mediazione tra le popolazioni e il potere regio. Certo Damiano Filia è un sacerdote. La chiesa, nel racconto di Filia, è stata il vero mentore del vicerè e il vicerè quando inizia a capire, quando manda la famosa circolare per la riduzione dei tributti nei territori, ove il senso è: guardate che stiamo tirando troppo la corda forse è giunto il momento di allentarla un pò. Procurade e moderare barone sa tirannia, come esortano i versi del Mannu, è in fondo un invito che è dentro la geografia del potere, nella consapevolezza del potere e che loro non possono andare oltre altrimenti le cose potranno precipitare sul serio. Una delle prime comunità, quella di Thiesi, che dichiara di non riconoscere più alcun feudatario, tutto sommato lo ha fatto dentro lo spirito quasi legittimo della circolare vice regia: guardate che in fondo ci stanno dicendo che noi possiamo ridurre il carico fiscale. Ed è allora che Santuccio, il governatore di Sassari, cerca di intralciare la circolare vice regia e quindi sobilla i feudatari di Sassari: guardate che a Cagliari probabilmente stanno perdendo la bussola e ci sono questi filofrancesi francesi che si stanno innamorando del giacobinismo, queste persone senza Dio.