NUMERO 267 in edizione telematica 10 aprile 2019 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

MEZZO SECOLO FA LA SVOLTA -

A Roma si dice: “ Morto un Papa, se ne fa un altro!” Capitano di lungo corso e nell’acciaioso Pasquale Una bruttissima espressione, se appesantita dalla Stassano, altro sopravvissuto dell’era Zauli, altro uomo grevità del romanesco, ma di un realismo essenziale nel temprato nella dura fase di passaggio, che sarebbe suo cinismo. Eppure, non sempre è così e questo fu deliberatamente volato in Borea appena tre anni dopo. proprio il caso dell’avvicendamento tra Primo Nebiolo e In effetti, se i dubbi oltre ogni ragione di quella Giosuè Poli alla presidenza della FIDAL o se preferite tormentata notte tra il 22 e il 23 febbraio 1969, che della svolta, che segnò la fine di una fase di transizione, indussero taluni dei “rinnovatori” (riuniti nella sede del quella che aveva coinciso con la CUSI in via Filippo Corridoni) ad dipartita prematura di Bruno un accordo senza senso con Zauli e il rilassamento post Ermenegildo De Felice, per Roma 1960. In questi giorni (5 conto della Libertas e del aprile) ricorre il cinquantesimo vertice federale in uscita, non anniversario della morte di Poli, avessero portato lo stesso corrispondente di fatto con Nebiolo ad un improvvido ritiro l’avvicendamento di Nebiolo, della candidatura, non scontato dopo il periodo di avremmo avuto poi il successivo reggenza Brunori. Ebbene sì, è Congresso Straordinario a passato mezzo secolo da quel dicembre, quando io stesso fui 1969, anno fatidico che cambiò eletto in Consiglio con Giancarlo la sorte di molti di noi, della Scatena, al posto di Luciano stessa Federatletica e non Barra (segretario generale) e soltanto. Lui, Giosuè, dello stesso Primo Nebiolo . molfettano, già atleta Diversamente, se Poli non fosse polivalente, dirigente, con la mancato appena due mesi dopo doppia passione per il calcio prima con la ULIC ( la la riconferma, si sarebbe andati avanti con un gruppo giovanile Unione Libera Italiana del Calcio) poi con la dirigente innovatore a larghissima maggioranza ed un FIGC , l’impegno per il CONI barese e per l’atletica, Presidente che non condivideva le loro istanze. Beh, la sino ad esserne per tre mandati il Presidente, dopo aver storia la conoscete, perché poi dal dicembre di quel traguardato il ruolo di consigliere e di vice, tra il 1963 e fatidico 1969 partì il nuovo corso, secondo l’ambiziosa appunto il 1969. Devo ammettere che, soltanto filosofia di Nebiolo, quella che avrebbe portato la FIDAL adesso, a distanza siderale di tempo, rileggendo e il suo nuovo gruppo dirigente in vetta al sistema soprattutto quanto scritto a proposito del suo stato di sportivo nazionale e internazionale, salvo il CUSI ed il stress dal Presidente “emerito”, il generale Gaetano CONI. Forse, adesso che la clessidra ha perso gran parte Simoni, mi rendo conto di quanto la passione, il della sabbia, occorrerebbe riflettere su quanto di sentimento viscerale per le cose, che si amano fino in effimero abbiamo trasferito nella nostra comune storia, fondo, senza ipocrisia, possa condizionare l’esistenza, dove il discendere di quegli infinitesimi innumerevoli appunto la vita di ognuno di noi sino alla estrema granelli avevano suggerito allo stesso Poli il titolo conseguenza. Sì, probabilmente quel moto tempestoso, autobiografico: “La fuga del tempo.” che insorse come “Rinnovamento “, non poteva e non tenne conto di inimmaginabili fragilità nel roccioso Ruggero Alcanterini

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Roma contro Milano, ancora una volta

Ci ripeteremo. La concorrenza tra gli eventi sportivi è sempre più feroce e l’atletica continua a cannibalizzarsi. Le maratone di Milano e di Roma si corrono invariabilmente lo stesso giorno e la strozzatura mediatica è evidente anche per l’interesse di parte del principale quotidiano sportivo italiano, il più letto in assoluto nella nazione. Maxi-inserto per la maratona di Milano sotto l’egida Rcs con la pubblicazione dei nomi di tutti quelli che hanno portato a termine la prova, pezzettino di fine giornale per la maratona di Roma, tecnicamente meno rilevante anche se con un indotto di 30.000 partecipanti tra gara lunga e stracittadina. Cui prodest? L’errore ha molti padri e molti figli ma assicura guai alla…discendenza istituzionale visto che ora a gestire il pallino della gara capitolina è in primis la Fidal. La polverizzazione mediatica è stata anche televisiva. Alzi la mano chi, pur conoscendo il risultato, si è andato a guardare la differita della maratona di Roma alle ore 22.40, a fine partita di basket, quella sì in diretta? Anche i pochi italiani in grado di competere a livello internazionale si sono sparpagliati nelle due classifiche, eludendo il confronto diretto e magari lo stimolo per un miglioramento della propria prestazione. Hanno vinto i soliti africani secondo quel metro di severa selezione dei mondiali di cross versione junior dove la Battocletti è risultata la migliore delle europee pur giungendo 23esima. Come se si corressero due corse diverse: il mondiale per africani e la gara per il resto del mondo. Maratona docet. Dato che i giornali vendono sempre meno, l’interventismo degli editori sul fronte organizzativo è sempre più ampio. Basti constatare il presenzialismo di Cairo sulla rosea. Conflitto d’interesse? Chi ne parla? Ma è chiaro che se l’editore è anche il presidente del Torino chi potrà negare una notizia in più ai giornalisti che di Toro si occupano. Il peccato d’origine della stampa italiana è tutto qui: di purezza editoriale neanche l’ombra. Torniamo per un solo attimo sul cavalierato di Filippo Tortu, unendoci al coro degli scandalizzati “moderati”. Ne abbiamo viste di più e di peggio ma è chiaro che l’attribuzione è esagerata rispetto ai meriti sportivi del soggetto. Oltretutto nell’infornata delle attribuzioni Tortu va a pareggiare i meriti di un Di Mezza che appartiene all’atletica che fu. Con uno squilibrio meritocratico ma anche cronologico. Non c’è trasparenza nelle candidature e dunque i risultati sono informi e poco giudicabili con vistose disomogeneità nei riconoscimenti. A proposito di questi, sotto la guida del generale Gola ha preso nuovo impulso l’ANSMeS, l’Associazione Nazionale Stelle e Palme al merito sportivo che promette- questa sì- pieno rispetto delle regole. Rimpatriata al Foro Italico per tante sigle accomunate dalla volontà del rilancio dello sport per tutti nel corso del 2019. Gola ha fornito dati importanti. In Italia svolgono attività più di 800 società centenarie. Ma è anche vero che 4.850 società dilettantistiche hanno chiuso i battenti. Per l’onlus, anche per colpa della recente legge spazza- corrotti, il futuro è sempre più difficile. Auspicabili correttivi in corso per supportare una buona intenzione. Al mondo dei volontari appartengono tre milioni di persone che hanno bisogno di tutto meno che di essere depresse da provvedimenti legislativi penalizzanti. Ci si rilancia verso l’estate con i soliti esotici raduni all’estero come se in Italia non fosse primavera e come se con il cambiamento climatico non ci avviassimo a essere un Paese tropicale. Intanto la Giorgi, per nulla scossa dalle discussioni sui 50 chilometri (doveva essere la sua gara del futuro) imperturbabile si conferma nei 20 portando a termine (finalmente) una gara senza venire squalificata, segno di una tecnica ritrovata. Daniele Poto

È successo in Nebraska. Cécile Eledge ha 61 anni ed è in post-menopausa. Normale. Ma ha anche un figlio gay, Matthew, sposato a un altro gay, Elliott. Un po’ meno normale, ma oggi capita. I due sposini volevano un bebé, ma avevano solo il seme. Gli mancava l’utero per la gravidanza. Questo si può affittare: lo ha fatto Nicky Vendola per diventare madre. Ma costa un sacco, e allora Cécile ha pensato di dare il suo: era un po’ agé, ma con un bel bombardamento di ormoni si è fatta tornare le mestruazioni, ed eccola pronta per “restare incinta”. E l’ovulo? Quello l’ha regalato zia Lea, sorella di Elliott. I medici l’hanno fecondato col seme di Matthew, e poi hanno impiantato l’embrione nell’utero rimesso a nuovo di Cécile. Nove mesi regolamentari, ed ecco il pupo, anzi la pupa, Uma Louise. Viene in mente il monologo spassoso di Farassino “na famija baravantan-a”. Perché Uma ha tre mamme e due papà, è sorella di suo padre, figlia di sua nonna, nipote di sua madre, figlia di sua zia, cugina di se stessa… un bel puzzle. Il concetto di normalità, a questo punto, va a farsi benedire. Ma chi lo dice che una cosa per esser giusta dev’essere normale? Che male fanno a me, a tutto il mondo, quei cinque del Nebraska? Nessuno. Anzi, direi che abbiamo vinto tutti un terno al lotto. Noi per la bella storia a lieto fine. Cécile per il balzo all’indietro nel tempo. I due sposini per la felicità di avere un figlio. La zia per poter vedere i suoi tratti e il suo Dna nella nipote, e infine Uma. Lei avrebbe vinto comunque, venendo alla luce. È così bella, la vita, che non importa su che treno arrivi. È quando devi andartene che vorresti sempre aspettare quello dopo. [email protected]

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fuori tema

Il 7 agosto 1956, nell'abitazione di via Avigliana 45, direttore della quarta Sezione dell'Arsenale militare di Torino, il perito chimico Michele Berruti tolse dalla custodia l'Olivetti 40 e iniziò a scrivere:

«Al Signor Dirigente l'allenamento collegiale di Atletica Leggera – Albergo "Stadio", Schio (Vicenza).

Oggetto: Giovane atleta Livio Berruti.

Mi è stato riferito – e la notizia trova conferma nella stampa sportiva – che mio figlio Livio BERRUTI, partecipante a cotesto allenamento collegiale di Atletica Leggera – lo si sta preparando a gareggiare anche nei 200 metri piani, oltre ai 100 metri piani, la sola specialità per la quale io ho concesso l'autorizzazione di partecipare a cotesto raduno, e per la quale è stato espressamente costì convocato. Se quanto sopra corrisponde a verità, la prego di prendere nota che io mi oppongo e non permetterò mai a mio figlio di correre una simile gara (200 metri) giudicandola una specialità eccessivamente dura per il suo fisico e per la sua età e conseguentemente deleteria per la sua salute.

Nel ribadirle la mia netta opposizione, le sarò grato se vorrà darmi cortese assicurazione scritta al riguardo, mentre distintamente La saluto e La ossequio.

Michele Berruti.

P.S. – Spero di avere il piacere di conoscerla ad Aosta il giorno 12 p.v. ».

Ad , direttore del raduno, memorabile componente, con Gianni Caldana, Tullio Gonnelli e Orazio Mariani, del quartetto veloce realizzatore del miglior piazzamento mai segnato dall'atletica italiana con il secondo posto nei Giochi di Berlino alle spalle di Owens, Metcalfe, Draper e Wykoff, sbiancò il volto. Chiese la linea con Roma e trasmise il messaggio a Pasquale Stassano. Ad Aosta, muniti del certificato rassicurante redatto da Bindo Riccioni, fisiologo, docente all'Isef capitolino e medico federale, si recarono in due. Fu impresa ardua, ma Stassano rientrò nella sede romana con il via libera per il ragazzo nato il 19 maggio 1939 all'Ospedale Maria Vittoria da Michele Berruti e Alda Perucca e battezzato nella Chiesa di Santo Stefano. Neanche due mesi, e il 30 settembre l'esordio agli Assoluti. Neanche un anno, e nel 1957 la prima delle otto affermazioni nazionali sulla distanza. Il dubbio dell'atleta e dei tecnici – l'onnisciente e Giuseppe Russo, responsabile del settore velocità e staffette, cui dal 1958 era stata affidata la preparazione dell'atleta – sul sì o il no sul doppio

SPIRIDON / 4 impegno olimpico, fu sciolto alla vigilia dei Giochi, tra i mesi di giugno e luglio. Determinanti, la sconfitta subita da Peter Radford al White City sui 100 e il primato, 20.7, realizzato prima a Varsavia e reiterato al Rastrello di Siena. Su cosa accadde in quel radioso pomeriggio del 3 settembre all'Olimpico, con la toccante complicità della pellicola di Romolo Marcellini, sappiamo tutto, o quasi. Della disinvoltura con cui in semifinale l'azzurro bloccò gli Ulysse Nardin di Bortolotti, Fagnani e Scaramel al 20.5* del primato mondiale uguagliato. Della tranquillità con cui il ventunenne estratto dalle severe consuetudini sabaude sdrammatizzò le due ore di attesa dalla finale. Del suo accostarsi con la mano tesa ai tre statunitensi, due dei quali, litigando con le buone creanze e razzisti alla rovescia, gli voltarono elegantemente le spalle. Della falsa partenza, non rivelata dallo starter Primo Pedrazzini*, di Stonewall Johnson e sua. Del cortocircuito di una curva che non fu umanità in azione ma pura forma, un capolavoro, un inconsapevole oltraggio alle leggi della fisica. Dell'affanno di Lester Carney in una rimonta destinata al fallimento. Del volo finale sul filo in 20.5. Della caduta dopo il traguardo. Dell'Italia dell'epoca, non solo la parrocchia iconoclasta dei cultori, abbracciata dinanzi a radio e televisori per la vittoria d'uno dei loro. Della premiazione officiata dal principe Axel di Danimarca, mentre in tribuna stampa Pasquale Stassano si riprendeva dal deliquio esoterico occorsogli nel momento in cui si realizzava quell'irripetibile atto unico nella storia dello sport italiano.

Ventiquattro ore dopo, l'astuta regia di un giornalista d'origini libanesi, Habib Chiha, poliglotta addetto stampa del Villaggio olimpico, fece incrociare le tute e le braccia dell'italiano e di una meravigliosa gazzella del Tennessee per una foto che fece in poche ore il giro del mondo. Berruti ebbe in premio una Fiat 500, 800mila lire dal Coni, 400 dalla Federazione, e il portachiavi d'argento donato agli olimpionici italiani, dall'esilio di Cascais, da Umberto di Savoia. Tre giorni, e rientrando a velocità sostenuta a Torino guidando la Fiat 600 di un incauto Gian Paolo Ormezzano, dalle parti di Genova l'olimpionico fu inseguito, bloccato e multato da una incorruttibile pattuglia della Stradale.

Della lettera dell'agosto 1956, inviata dal padre ai dirigenti federali, Livio Berruti venne a conoscenza solo molti anni dopo.

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*Alle gare di atletica dei Giochi del '60 furono impegnati 210 Giudici. La direzione fu affidata a Ottaviano Massimi, affiancato da Cesare Bergonzoni e da Giovanni Diamanti. Direttore di riunione, Adolfo Tammaro. Giudice Arbitro delle corse, Mario Bruno. Giudici di partenza, Ruggero Maregatti, Primo Pedrazzini e Camillo Sivelli, assistiti da Ennio Bragaglia, Renato Di Renzo, Francesco Errino, Vasco Lucci, Luigi Meschini, Aldo Ragni. Giudice Arbitro delle gare su strada, Ferruccio Porta. Attilio Bollini, Attilio Callegari e Giorgio Oberweger furono impegnati nella Giuria internazionale di marcia. A capo dei concorsi, Antenore Bacci, Silvio Cavedagni, Francesco Diana, Michele Perrone, Nicola Poli.

*Il verbale del primato mondiale uguagliato in semifinale con 20.5 da Berruti alle 15.42 del 3 settembre, registrato in 20.65 elettronico, inviato, come il secondo 20.5 (20.62 elettronico) per l'omologazione alla Federazione Internazionale, fu firmato dai cronometristi Scaramel Luciano (Treviso), Bortolotti Enrico di Bologna, Fagnani Luciano di Ancona (collocati, con altri tredici colleghi, nella scaletta esterna alla pista), dai Giudici di arrivo Mario Bruno (Milano), Stelvio Crivellaro (Padova), Dante Pedrini (Bologna), dai misuratori ufficiali della pista Arrigo Bugli (Roma) e Umberto Modotti (Udine).

*Nelle gare di atletica il rilevamento cronometrico fu effettuato da tre cronometristi, e il cronometraggio manuale fu affiancato da apparecchiature elettriche pilotate da orologi al quarzo scriventi. L'apparecchiatura elettrica utilizzata in atletica consisteva in una macchina fotografica, collegata con la pistola dello starter, che impressionava 100 fotogrammi al secondo. Nella finale dei 200, il tempo di Pedrazzini dal 'pronti' allo sparo fu di 1"600.

***I dati sono estratti dal volume Roma Olimpica, la meravigliosa estate del 1960, scritto nel 2010 da Augusto Frasca e da Vanni Lòriga.

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di Pino Clemente

Si moltiplicano, in testa la Federazione nazionale di Atletica, l'Associazione Azzurri d'Italia e numerose associazioni cittadine, richieste e sollecitazioni per onorare la memoria di Giovanni Scavo dedicando una via o una piazza palermitana al giovane, grande mezzofondista, innamorato delle zone dove nacque il padre, la vita spezzata sessant'anni fa nell'incidente stradale accaduto all'incrocio fatale in viale Del Fante, di fronte allo stadio allora della Favorita. Mai sapremo, con quell'incidente del 9 aprile 1959, e dopo la prima consacrazione internazionale avvenuta a Parigi il 21 giugno del 1957, un 1'49"2 che sfiorò l'antico primato di segnato all'Arena nel luglio del 1939 alle spalle di Rudolf Harbig, se Giovanni Scavo sarebbe stato protagonista ai Giochi di Roma con un motore maggiorato da Franco Bettella, l'ultimo sciamano, con mezzi allenanti similari a quelli adottati da Arthur Lydyard per il suo allievo Peter Snell, trionfatore allo stadio romano e successivamente all'Olimpiade giapponese del 1964. Del neozelandese, macchinoso a tratti, impressionava la muscolarità, mentre l'azzurro compensava la minore potenza con un'agilità che estasiava i suoi compagni di squadra Pino Bommarito, Secondo Lo Grasso e Paolo Puleo, coprotagonisti nella conquista del primo titolo italiano, Milano, staffetta del miglio in 3'17", da parte di una società isolana. Quel 9 aprile era un pomeriggio scompaginato dal vento. Alla guida della sua Vespa, Scavo era uscito dallo stadio delle Palme dirigendosi verso il centro città, dove era atteso dall'agenzia viaggi che aveva staccato per lui il biglietto aereo per Milano, sede della Pasqua dell'Atleta, una classica che il 12 successivo lo avrebbe visto sicuramente tra i protagonisti. Il ventitreenne non ritirò quel biglietto, e mai sapremo dell'improvviso cambio di programma e del suo rientro in direzione dello stadio. Lo scontro con una Fiat 600 multipla fu rovinoso. La fortissima fibra dell'atleta resistette per lunghe ore nel Pronto Soccorso dell'Ospedale di Villa Sofia, assistito da Bettella, dai suoi compagni delle Assicurazioni Generali, dal giovane presidente Vittorio Orlando e dal sottoscritto, amico e compagno di allenamenti. A distanza d'anni viene spontaneo richiamare la vita strappata nella prima guerra mondiale, sulla spiaggia di Gallipoli, ad Archi Hamilton, nella meravigliosa pellicola di Peter Weir, Anni spezzati, con l'atletica in primo piano. Fu Franco Bettella, l'allenatore, tra un popolo commosso di studenti palermitani e della provincia, a salutare l'amatissimo allievo di Velletri nell'ultimo viaggio terreno: <>.

I soci dell’Archivio Storico dell’Atletica Italiana «Bruno Bonomelli» si ritroveranno, per l’Assemblea annuale ordinaria, domenica 14 aprile, a Firenze nella «Sala Aldo Capanni», nell’edificio che ospita la sede della storica società fiorentina ASSI Giglio Rosso (in Viale Michelangelo, 64), cui Aldo dedicò tanta passione e a cui lasciò in eredità quel gioiello di cultura che fu il Centro Studi, il suo bollettino, le sue pubblicazioni, la sua biblioteca. Oggi materiale in attesa di una sistemazione dignitosa. In questa stessa sala è stato messo a dimora il patrimonio bibliotecario di Roberto L. Quercetani. La sede del club, adiacente alla pista di atletica, è situata ntevole punto di riferimento non solo della citta’ gigliata ma di tutta l’Italia.

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Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

Dopo aver formato Oberweger, Boyd Comstock farà di il discobolo degli anni di guerra e del dopoguerra. Nello stesso periodo, gli Stati Uniti produrranno l'unico primatista del mondo nero nella storia della specialità: Archie Harris, dell'Università dell'Indiana, 53,26 il 20 giugno 1941 a Palo Alto. Ma è un regno che durerà solo quattro mesi. Il 26 ottobre, a Milano, Consolini restituirà il record all'Europa con 53,34. Atleta d'eccezione, di rara modestia e gentilezza, dedicherà più di venticinque anni della sua vita a un lancio sul quale lascerà l'impronta della sua tecnica e della sua personalità. Scoperto nel 1937 in occasione di una festa della gioventù, contadino, ben fatto, robusto, spalle larghe e braccia lunghe, debutta con un lancio del peso di 9.49… Ma sarà sufficiente che un tecnico esperto noti l'apertura delle braccia (2,01) perché il suo destino venga segnato: apre la sua carriera in agosto con 32,40, sei mesi dopo sale a 41,77. Nel 1939 Consolini brucia le tappe, chiudendo la stagione a 48,87. Fino al 1941 segue un'evoluzione regolare che lo proietta al vertice dell'attualità sportiva con quel lancio record di 53,34 che, dobbiamo ammettere, non avrà alcuna eco in periodi in cui a prevalere sono i bollettini di guerra. Quegli anni persi, durante i quali Consolini riesce a malapena a sfamarsi, sfociano nella seconda esplosione di una carriera eccezionale: il 14 aprile 1946, a Milano, in un'Italia che riconquista con sollievo la democrazia, il discobolo di Costermano aggiunge quasi un metro al precedente record, 54,23. Al di là dell'Atlantico gli statunitensi non restano certo inattivi. Bob Fitch, emulo di Phil Levy-Fox, approfondisce le ricerche di quest'ultimo dopo aver perso anche lui anni preziosi durante la guerra. Il 18 giugno, a Minneapolis, restituisce il record all'America proiettandosi a 54,93. Fitch e Consolini si incontreranno una sola volta, a Praga, nel 1947, e prevarrà lo statunitense. A un anno dall'Olimpiade, mentre i tecnici concordano nell'affermare che Fitch può benissimo lanciare a 58 metri, a 28 anni l'atleta annuncia il suo ritiro dall'attività. La strada si libererà per un altro discobolo statunitense, più giovane e ancora più dotato, Fortune Gordien, salito nel 1947 a 54,64 metri. A Londra, ai primi Giochi del dopoguerra, trentunenne, Consolini si impone con 52,78 sul connazionale , un colosso di 1,93 per 125 chili (51,78) e su Gordien (50,77). I due italiani regneranno a lungo in Europa, ma il secondo avrà raramente la meglio sul primo che totalizzerà tre titoli europei dinanzi a Tosi e parteciperà con successo anche all'Olimpiade del 1952, secondo a 35 anni, e poi a Melbourne, sesto a 39 anni, chiudendo la carriera olimpica a 43 anni con il diciassettesimo posto ai Giochi di Roma con una misura pressoché uguale a quella segnata nel trionfo londinese. L'età, che per molto tempo non avrà presa sul colosso italiano, non gli impedirà di portare il record d'Europa a 56,98, nel 1955, a 38 anni, e di superare i 55 metri a 43 anni. Dal 1946 al 1955 Adolfo Consolini subirà rarissime sconfitte, con un periodo di imbattibilità di oltre due anni. Sul piano tecnico, il suo apporto non avrà un'influenza reale. Ciò non toglie che i filmati che restano del campione, morto prematuramente per un cancro a 53 anni, ci danno l'immagine di uno stile spoglio dove la semplicità sembra essere la regola di condotta dominante. Piantato su due gambe solide che per molto tempo ignoreranno un lavoro muscolare pesante – per lo meno fino al 1953, quando aveva già 36 anni – Consolini utilizzava in pieno il ritardo del braccio di lancio, grazie a un appoggio efficacissimo favorito dall'arresto della gamba sinistra: esemplare nel suo genere. Cosa avrebbe fatto l'italiano se non ci fosse stata la guerra e se avesse conosciuto e messi in atto i benefici del "body building" all'americana? Senza dubbio più di sessanta metri, distanza che raggiungeva spesso in allenamento… Quanto a Gordien, praticamente imbattibile per tre stagioni, nel 1952 non fa attenzione all'ascesa di un connazionale, Sim Iness, studente dell'Università della California del Sud, che risulterà vincitore della selezione olimpica. Attanagliato dal demone del teatro, Gordien ha ottenuto un ingaggio per Hollywood. Le sue spalle larghe, le qualità acrobatiche e il temperamento da stuntman gli fanno ottenere un contratto con la XXth Century Fox. Apparirà in molti film, ma non riuscirà a sfondare. Quando penserà di nuovo all'atletica, non avrà più l'abilità e la forza di un tempo. Ad Helsinki finirà quarto (52,66) dietro Iness (55,03) e Consolini (53,78). Anche l'italiano si impegnerà nel cinema, con una parte importante nel bellissimo film Cronaca di poveri amanti. Da La fabuleuse histoire de l'athletisme, di Robert Parienté, Paris 1978.

SPIRIDON / 7 la testimonianza di un (non) ex allievo

La stima di Giuseppe Lombardo Radice per Don Bosco

«Educare significa mettere l’alunno in grado di essere il signore della sua vita, nella consapevolezza della sua umana dignità». La frase è estrapolata dalla pagina 60 di Lezioni di didattica, un testo scritto da Giuseppe Lombardo Radice, insigne pedagogista e politico che, negli anni Venti, ha ricoperto la carica di Direttore Generale alla Pubblica Istruzione. Siamo nel 1920. Già da tempo gli ex allievi hanno deciso di erigere un monumento a Don Bosco a Torino, al centro della piazza prospicente la Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. Causa la prima guerra mondiale l’inaugurazione può essere effettuata solo il 20 maggio, appunto del 1920. In tale circostanza viene celebrato il 2° Congresso Internazionale degli ex allievi di Don Bosco. Un giornale definisce tale riunione un fatto decisamente nuovo nella storia della pedagogia. In questo contesto subentra la personalità di un ateo, Giuseppe Lombardo Radice il quale, pur professandosi decisamente «fuori della Chiesa e di ogni chiesa», considera Don Bosco tra i maestri in Italia. Sulla Rivista di pedagogia laicista Rinascita scolastica pubblica un articolo intitolato “Meglio Don Bosco”. «Il segreto è lì: un’idea. E un’idea vuol dire un’anima» scrive il professor Lombardo Radice, commentando una circolare dei Salesiani agli ex allievi, intesa a celebrare una degna commemorazione del comune padre Don Bosco. Ma leggiamo integralmente l’articolo, che esprime il giudizio sulla validità dell’educazione salesiana. «...Una circolare dei Salesiani dice: “...I nostri Exallievi celebrano il Fondatore delle loro scuole, Don Bosco, nostro venerato padre, in occasione della inaugurazione a Torino del monumento erettogli col contributo degli Exallievi di tutto il mondo”. Don Bosco. Era un grande, che dovreste cercare di conoscere. Nell’ambito della Chiesa... seppe creare un imponente movimento di educazione, ridandole il contatto con le masse, che essa era venuta perdendo... Per noi, che siamo fuori della Chiesa e di ogni chiesa, egli è pure un eroe, l’eroe della educazione preventiva e della scuola-famiglia. I suoi prosecutori possono esserne orgogliosi. Noi possiamo dalla loro opera imparare qualche cosa per la scuola laica. Leggete le parole della circolare: intuite subito che i figli di Don Bosco hanno un grande numero di famiglie e di cittadini di ogni specie che alimentano il loro movimento. Sono gli ex allievi. Una idea li tiene legati alla tradizione delle loro scuole: sono gli ex allievi, che i Salesiani non abbandonano mai; che frequentano i solenni ritrovi indetti per loro; che affermano l’idea in solenni cerimonie, espressione della loro devozione. Questa gente ha fede nella scuola; i loro scolari ricordano la loro scuola, fanno qualche cosa per la sua vita. E pagano anche per glorificarla. Sono dei forti... Se la nostra scuola non giungerà a tanto: ad essere centro attivo della vita giovanile, che leghi a sé i giovani, anche dopo che l’hanno lasciata, nell’opera o almeno nel ricordo; se la nostra scuola non avrà i suoi ex allievi, come allievi grati alla madre e desiderosi qualche volta di rivederla e di rivivere con gli altri loro compagni i giorni lieti dello studio e del lavoro scolastico, non sarà ancora una scuola. Intanto i nostri scolari scioperano... i nostri deputati trovano il cattivo gusto nell’occuparsi di scuole; i nostri professori si agitano solo per gli stipendi, i nostri maestri mutantur in horas (cambiamenti nelle ore, nda) e nessuna scuola ha una tradizione sua... Don Bosco? Il segreto è lì: un’idea!... Firmato: Giuseppe Lombardo Radice». Giuseppe Lombardo Radice conosce molto bene le realizzazioni salesiane, soprattutto in Sicilia, ove egli steso è originario. Nel 1920 addita Don Bosco quale modello esemplare. Riprende poi questo pensiero tre anni dopo, nei “Programmi” predisposti per la scuola elementare. Nel 1925 infine, inserisce Don Bosco tra gli autori da studiare obbligatoriamente dai futuri maestri.

Pierluigi Lazzarini Ex allievo e Storico di Don Bosco

SPIRIDON / 8

Da Atletica, settimanale della Federazione Italiana di Atletica Leggera – 1967 –

Dal numero 6 del 25 febbraio. Roberto Frinolli ha ottenuto ancora due grandi riconoscimenti del suo valore in campo mondiale: la rivista ufficiale americana <> per il secondo anno consecutivo ha giudicato il nostro campione il migliore atleta del mondo per la distanza dei 400 hs. In un altro speciale <> europeo, Frinolli, unitamente al giavellottista sovietico Lusis, viene posto al vertice dei valori atletici assoluti per la stagione 1966.

Dal numero 7 del 4 marzo. Con il titolo <>, viene pubblicato il messaggio inviato dall'avv. Giulio Onesti al presidente della Fidal Giosuè Poli alla vigilia dell'Assemblea federale di Campobasso. Nel corso dell'Assemblea, il 26 febbraio, l'unanimità dei presenti (voti 3.116) ha approvato la relazione tecnico-morale- finanziaria presentata dal Consiglio Federale. L'Assemblea ha inoltre approvato l'ordine del giorno presentato da Tosi-Toscana: I Delegati riuniti a Campobasso plaudono all'iniziativa della città di Firenze che pone la propria candidatura a sede delle Olimpiadi 1976. ha trionfato a Toronto piegando di misura il <> Willie Davenport che per tre volte consecutive non aveva conosciuto sconfitte. Il tempo di Ottoz, 6"0 sulle 50y ad ostacoli, è di un solo decimo inferiore alla migliore prestazione mondiale di Hayes Jones che per quattro volte ha percorso la distanza in 5"9. A distanza di sole 24 ore, Ottoz coglieva un'altra sonante affermazione a Baltimora: sulla distanza delle 60h hs conseguiva il tempo di 7"0 che rappresenta la migliore prestazione europea.

Dal numero 11 dell'1 aprile. Premiati, con medaglia d'oro, 50 Presidenti di Gruppi Sportivi Scolastici, 30 maschili e 20 femminili. La graduatoria è stata ricavata dal Ministero della Pubblica Istruzione sulla base delle migliori 20 prestazioni conseguite dagli alunni e dalle alunne nelle varie specialità dei Campionati provinciali studenteschi. L'Associazione Italiana Storici e Statistici di atletica leggera (AISAL) ha tenuto la propria Assemblea annuale il 18 marzo a Modena. Eletto il Consiglio direttivo per il 1967-68: Bruno Bonomelli, Emanuele Carli, Luciano Serra, Gianfranco Sozzani, Giuseppe Panini, Salvatore Massara, Luciano Lamberti. Il giorno successivo, al termine di un Convegno della stessa associazione, sono stati premiati, per risultati particolarmente significativi, Abdon Pamich e Paola Pigni.

Dal numero 13 del 15 aprile. Il 14, 15 e 16 aprile si svolgeranno a Venezia due importanti riunioni della Federazione internazionale. Il 14 si riunirà il Comitato Europeo della IAAF che esaminerà tutte le questioni inerenti lo svolgimento della Coppa Europa Bruno Zauli del 1967. Il Council della IAAF inizierà il proprio lavoro il 15 e, tra gli altri argomenti, importantissimo sarà quello riguardante i giorni di svolgimento e gli orari delle gare atletiche per le prossime Olimpiadi di Città del Messico. Presiederà i lavori il Marchese di Exeter, Presidente della IAAF.

Dal numero 19 del 27 maggio. A Belgrado, il 21 maggio, vittoria dei romani nel quinto confronto tra le rappresentative maschili di Roma e Belgrado. Affermazioni di Giannattasio sui 100 (10"4), di Del Buono sugli 800 (1'51"7), di Liani sui 110 ost. (14"7), di Vizzini sui 400 ost. (53"5), di Santoro nel salto in lungo (7,42), di Gentile nel salto triplo (15,75), di Simeon nel disco (54,39), di Urlando nel martello (61,16), della rappresentativa romana nella 4x100 (41"6) e nella 4x400 (3'22"5).

Dal numero 20 del 3 giugno. 10" netti in due! Una finale al fulmicotone, quella della gara dei metri 100 nell'ambito di una riunione disputatasi a Modesto in California, il 28 maggio: Jim Hines 10"0, Willie Turner 10"0, Charlie Greene 10"1, Harry Jerome 10"1, Jerry Brught 10"1.

Dal numero 24 dell'1 luglio. La IAAF ha disposto il divieto agli atleti di portare allo Stadio, tanto in allenamento, quanto in gara, borse o sacchi con soprascritto il nome di un qualsiasi prodotto o servizio fornito al pubblico. Anche borse che rechino il nome di fabbriche di scarpe da corsa che rientrano nel predetto divieto.

Dal numero 26 del 15 luglio. Jim Ryun vola i 1500 in 3'33"1. Los Angeles: Nel corso dell'incontro USA- Commonwealth, Jim Ryun ha battuto il primato mondiale che l'australiano Herb Elliott aveva stabilito nella finale olimpica dei 1500 di Roma nel 1960. Il mezzofondista americano ha corso in 3'33"1 contro il 3'35"6 di Elliott. Ryun ha corso i primi 400 metri in 60"6, gli 800 in 1'57"5, e i 1200 in 2'55". La gara è stata tirata per buona parte dal keniano Kipchoge Keino, classificatosi secondo in 3'37"2. Nella seconda giornata, vittoria di Keino sui 5.000 in 13'36"8.

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In massima, si emigra per stare meglio. Per riuscire,pero’, è imperativo imparare la lingua del posto. Lo dicono anche le statistiche quando trattano l’argomento degli emigranti. Lo ha provato nella sua tesi di dottorato,mia nipote. La percentuale di emigranti che hanno successo,qui in America, sono quelli che imparano l’inglese o che lo sanno gia’. Per esempio, la stragrande maggioranza di emigranti che arrivano dal Messico o dall’America Centrale, vengono per lavorare e non per perseguire un’ educazione e percio’, per loro, imparare la lingua non è una priorità.Tra i gruppi, la loro percentuale di successo è tra le piu’ basse.Non si può biasimare quel nonno che voleva che,in casa, si parlasse solo in inglese per aiutare il nipote ad assimilare la nuova lingua. Mi hanno raccontato di aver fatto la stessa cosa,appena arrivati, i miei amici di Vicenza ,hanno voluto che i figli in casa comunicassero in inglese anche se loro stessi non lo conoscevano. Interessante, entrambi i figli , laureati , uno in medicina e l’altro specializzato in maxilla facciale, parlano perfettamente l’italiano.Per me, esperienza personale, sapere gia’ l’inglese, è stato il trampolino di lancio.Sono riuscita la’ dove non avrei mai creduto di poter riuscire. In famiglia e con amici , abbiamo pero’ sempre parlato italiano ed abbiamo mantenuto vivi i legami con l’Italia, ed,appena potuto, siamo ritornati in patria. Durante questi anni di America l’abbiamo fatto tantissime volte, con figli,nipoti ed ora pronipoti. Senza l’inglese però, non avremmo potuto prender vantaggio delle opportunità presentateci qui , opportunita’ che ci hanno poi permesso di procurarci i mezzi per tenere vivi i contatti con l’Italia, di assistere qui’ ad eventi italiani importanti inclusi opere liriche, Pavarotti, Bocelli ecc.. .I miei figli parlano l’italiano fluentemente, i miei nipoti lo capiscono ed all’occorrenza, lo potrebbero parlare, i miei pronipoti ne conoscono il suono e qualche parola. L’intenzione di farglielo imparare c’è e dovra’ avvenire quanto prima attraverso corsi adeguati che,come detto sopra, qui non mancano. Nelle scuole elementari e liceo, almeno nelle zone dove abitiamo, la lingua italiana non fa’ parte del curriculum. Sono invece offerti corsi di francese e spagnolo. Corsi di italiano si possono frequentare anche nei “Community Colleges”. Joe,americano e mio nipote acquisito, ne sta’ infatti frequentando uno. Joe trova l’italiano una lingua difficile ed ha ragione ed io aggiungo,difficile si’ ma melodiosa. E poi le poesie...Pascoli,Leopardi,Carducci...ecc... In America ci sono moltissime associazioni e clubs italiani. Molti di questi, oltre che offrire corsi della nostra lingua ed eventi varii, organizzano anche viaggi in Italia in gruppo e completi di guide. Al Mazzini Verdi club abbiamo passato tante ore divertenti insieme a gente come noi. In Chicago, nello stesso edificio, sulla prestigiosa Michigan Avenue,dove ha dimora il Consolato Generale D’Italia, si trova l’ICE, Istituto Commercio Estero e l’Istituto Italiano di cultura. Sono organi ufficiali del governo italiano. L’Istituto Italiano di Cultura offre, oltre a corsi di lingua italiana, anche eventi culturali di diversi generi. Invitano ospiti illustri, Umberto Eco, Roberto Benigni con la Divina Commedia ecc...Mio figlio stesso, sotto l’egida dell’Istituto di Cultura, Neocon ed Assolombarda ,ha presentato la mostra Leonardo Da Vinci, i lavori dell’architetto Gae Aulenti ed il Torino Design. Se si sente il richiamo delle proprie origini e se si possiede la costanza e la volontà, si può, oltre che la lingua, imparare la storia dell ‘Italia ecc...si può ascoltarne la musica...oggi con internet non e’ difficile. Per $10 al mese si può avere RAI-TV e ci sono programmi della televisione pubblica americana dove si possono gustare Montalbano, Don Matteo, i preferiti da mia sorella fervente cattolica, e film interessanti come quello su Borsellino per esempio.Mi viene in mente il nostro caro amico Giovannino ,toscano, prima di Internet, della RAI-TV e dei cavi, aveva collocato nel giardino un’enorme parabola proprio per ascoltare e vedere in italiano.Per poter fare tutto questo, bisogna pero’ esserci riusciti e non si può riuscire se prima non si impara,qui in America dove appunto le opportunita’ per riuscire esistono, la lingua inglese. È mia opinione che l’italiano è vivo, mai come ora ci sono tanti italiani e oriundi italiani che visitano l’Italia e che visitano i nostri posti meravigliosi,i musei, Ercolano,Pompei e sopratutto i posti da dove provengono le loro famiglie originali. Senza parlare della nostra cucina, si dovrebbe andare in Italia ,se non per altro , solo per quella e non importa in quale regione.Altro che salsa Alfredo, salsa rossa o ,e questa l’ho appena letta, mortadella fritta degli italiani americani di generazioni fa’. Se l’italiano si è perso, si è perso forse tra i discendenti di generazioni emigrate precedentemente,quando ancora non esistevano i mezzi di comunicazione odierni e magari il desiderio era proprio quello di non ricordare. Io penso in italiano,comunico in italiano con famigliari,amici,giovani figli di amici,amici dei miei figli, ascolto e gusto programmi italiani ma,dell’Italia, mi manca tanto,tantissimo il cappuccino col cornetto e bevuto in un bar come in Italia...ahahah...ah si’ mi sono divertita un mondo con Virginia Raffaele in Habanera, L’ ho visto lo scketch, in RAI- TV in Northbrook Illinois, seduta comodamente nel salotto dei miei. Mirella Tainer Zocovich

SPIRIDON / 10

Tre podi per il Ticino alla finale della UBS Kids Cup Team: 1500 spettatori entusiasti hanno seguito la finale svizzera della UBS KIDS CUP Team. Alla Wankdorfhalle, la versione invernale del progetto giovanile più popolare della Confederazione ha regalato un grande spettacolo sportivo animato da 800 ragazzi suddivisi in 144 squadre. Nella lotta per la vittoria nelle 12 categorie, le squadre ticinesi hanno raccolto tre terzi posti con SA Bellinzona, AS Monteceneri e Comunità Atletica 3 Valli.

Dopo le 21 eliminatorie e le 6 finali regionali, nella capitale si lottava per la vittoria e per il privilegio di prendere il via al Weltklasse Zürich il 29 agosto, un’esperienza unica (riservata ai soli vincitori) alla quale purtroppo, per la prima volta dal 2015, non prenderanno parte giovani ticinesi. TV Zofingen e TV Langgässe Bern hanno trionfato due volte, notevoli anche i quattro podi dello Stade Genève. Sempre apprezzatissima la presenza delle star della nazionale, in questo caso Jason Joseph e Noemi Zbären.In mattinata, grazie agli U14 sono arrivati i primi due podi per il Ticino.

Nella tiratissima gara maschile, con 4 squadre in tre punti, l’AS Monteceneri (Nicola Fattorini, Noah Crescini, Gioele De Marco, Leonardo Zamboni, Cedric Müller, in foto) ha chiuso al 3º rango, a soli due punti dal KTV Wil. Tra le ragazze, continua l’ottima tradizione della SA Bellinzona (Lara Pedrioli, Laura Grossi, Giulia Pontarolo, Alice Comandini, Thais Codiroli), 3^ nella gara dominata dal TVL Bern: le ragazze, seconde nel Salto, hanno pagato gli errori nella Staffetta. Nella categoria U16 maschile, 7º posto della SA Lugano, mentre nella categoria U16 Mista 8º rango per l’AS Monteceneri e 12º per l’US Ascona.

Nel pomeriggio, 3º rango per la mista U12 della Comunità Atletica 3 Valli (Tosca Del Siro, Aline Oliva, Agata Bullo, Al Abbas Ali, Ithan Jacoma, Jan Marenghi), seconde nel Salto e terze nel Biathlon. Lontani dal podio i ragazzi della SA Massagno (10) e le due squadre femminili SAM (11) SFG Sementina (12). Nella categoria U10, a metà classifica le ragazze delle SFG Sementina (6) ed i ragazzi della SAM (7), così come la mista CA 3 Valli (10). Ben 24 società sparse in tutta la Confederazione sono riuscite a conquistare un posto sul podio, a dimostrazione della capillarità e popolarità del movimento atletico svizzero.

Gaetano Genovese e Marco Oberti campioni svizzeri Master Medaglie di bronzo per Enrico Cavadini Christoph Schindler. Titoli assoluti per Eric Rüttiman e Chiara Scherrer.

Quasi 600 atleti hanno partecipato domenica nell’animato centro di Uster ai Campionati Svizzeri della 10 km su strada. Una bella cornice di pubblico e una gara di ottimo livello, pur senza il primatista europeo Julien Wanders, ha visto i primi tre uomini chiudere in meno di 30 minuti: l’atleta di casa Erik Rüttiman ha infatti festeggiato il titolo in 29’42 davanti a Joey Hadorn e al campione svizzero di cross Fabian Kuert. Fabienne Schlumpf, gareggiando nella gara maschile, correndo in 32’10 ha mancato di poco il primato nazionale. Nel suo gruppo hanno corso a lungo anche i migliori ticinesi, ma il solo a reggere fino in fondo è stato Roberto Delorenzi che ha chiuso in 32’13. Il titolo femminile è andato a Nicole Egger, che in 34’12 ha battuto la favorita Chiara Scherrer. Una ventina i ticinesi al via, che come da tradizioni hanno raccolto un buon bottino tra i Masters. Gaetano Genovese (Runners Club Bellinzona) ha vinto il titolo tra gli M60 in 36’35, imitato da Marco Oberti (smrun) tra gli M55 in 37’12. Un buon 34’31 ha regalato il bronzo M50 Enrico Cavadini, il bottino si completa con il bronzo di Christoph Schindler (Frecce Gialle Malcantone) tra gli M60. Il giovane Ismail Sebghatullah (SA Lugano) ha sfiorato il podio tra gli U20 in 33’09, nella stessa gara Dave Derigo (GAB Bellinzona) ed Enea Iten (USC Capriaschese) hanno chiuso sotto i 34’. Poco distanti anche Marco Maffongelli, Marco Engeler, Marco Delorenzi e Tommaso Marani. USC Capriaschese e SA Lugano hanno chiuso tra i primi 15 nella classifica a squadre maschile vinta dallo Stade Genève, mentre il titolo femmninile è andato al LZ Oberaargau. L. Stampano (da FTA)

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Nel mezzo del centro storico, sotto i portici medioevali, spiccano quattro vetrine che recano una sritta svolazzante a caratteri dorati: Marzi - Antichità All'interno del negozio si possono scegliere mobili d’antiquariato, lampade belle epoque, orologi a muro e da tavolo di varie fogge e dimensioni, soprammobili Liberty. Un'attività, quella dei Marzi, tramandata negli anni da varie generazioni fino all'attuale gestione: quella dell'architetto Benito Marzi. In verità, il giovane Marzi avrebbe voluto fare ben altro che il commerciante ma il destino aveva deciso per lui. Terminati gli studi, fu costretto ad occuparsi dell'attività di famiglia in seguito all'improvvisa scomparsa del padre Giovanni. Benito non immaginava che una volta messo piede in quel labirinto di preziose antichità non ne sarebbe più uscito. La tradizionale vocazione dei Marzi per quella professione doveva aver sopraffatto quelle che lui credeva fossero le sue naturali inclinazioni, riaffiorando come un fiume deviato che ritrova il suo corso originario. Quel giorno piovoso di fine novembre, Benito, nel suo ufficio ricavato nel retro sopraelevato del negozio, stava consultando il calendario aste del mese. Tre lievi battiti annunciarono la signora Silvia Contini, preziosa collaboratrice nell’attività come lo era stata in passato per suo padre. Silvia era una sessantenne alta, magra, diritta, dai capelli grigi raccolti e dal trucco essenziale; quel particolare tipo di donna che poteva anche permettersi di vestire stracci senza perdere un briciolo dell’innata eleganza. “ Mi cercava, architetto? “. “ Sì, volevo farle leggere… “, rispose Benito, mentre estraeva da una busta ingiallita un biglietto. La Contini, con l’abituale imperturbabilità, inforcò gli occhiali che teneva appesi al collo per mezzo di una sottile catena dorata e lesse lo scritto. I suoi occhi cerulei assunsero un’espressione perplessa. Con tutta l’immaginazione del mondo sembrava proprio non aver alcun senso quel bel corsivo tondeggiante scritto ad inchiostro, neppure per un’enigmista del suo calibro. “ Non so proprio cosa pensare… Non è da lei fare indovinelli, di che si tratta? “. “ Nessun indovinello: visto che risolve tutti i rebus della rivista che tiene sulla scrivania, ho pensato che potesse essermi d’aiuto “. “ Beh… Ci penserò su “, e, in un bisbiglio, come parlando a se stessa: “ Ai lama d’Amalia…“. “ C’è altro architetto? “. “ No, è tutto Silvia… Anzi, ci sarebbe una cosa… “. “ Dica architetto “. “ Perché si ostina a chiamarmi così? Mio padre lo chiamava Giovanni “. Non era la prima volta che lui le rivolgeva la domanda e lei, come faceva di solito, uscì sorridendo senza rispondere. Benito guardò ancora il biglietto prima di rimetterlo nella busta e poi, con aria assorta, si mise a fissare la finestra con le luccicanti ramificazioni che la pioggia stava tracciando sugli antichi vetri Tiffany. Fuori, seguendo il percorso consunto dei portici, si può raggiungere il lato opposto della piazza e l’antica libreria Vernieri: giusto il tratto che stava percorrendo l’architetto Marzi. Il suo proposito iniziale era quello di sbrigare la faccenda con una semplice telefonata, salvo poi decidere impulsivamente di cambiare programma. Per la fretta Benito dimenticò di prendere un ombrello e, pur essendo al riparo, con quella pioggia battente che veniva giù di traverso, entrò in libreria con i lembi inferiori dell’impermeabile fradici. Dopo aver dato una rapida occhiata, Benito si rese conto di essere l’unico cliente. La donna seduta dietro al banco si girò lentamente. “ Ah, è lei… Buongiorno, architetto! Oh… Ma è tutto bagnato! “. “ Tranquilla, solo quattro gocce “. Si schermì Benito. “ C’è qualche problema con… “ “ Dovevo solo consegnarle questo… “, disse lui mentre le porgeva una busta ingiallita. “ Di cosa si tratta? “ “ Dunque… L’ha trovata l’orologiaio che revisiona gli orologi d’epoca: era nel suo orologio a pendolo Vedette. Stava nel retro, dove alloggia la meccanica. Ho capito troppo tardi che poteva essere personale... dopo averne letto il contenuto insomma “. Benito aggiunse cautamente: “ … Mi dispiace “. Nel frattempo la Vernieri, che di nome faceva Vanda, aveva letto l’enigmatico scritto ad inchiostro. Come aveva fatto poc’anzi la signora Contini aggrottò la fronte. “ Non so proprio cosa dire… E’ una calligrafia che non conosco … Forse si trovava nell’orologio quando è stato regalato a mio padre, anzi recapitato imballato senza nessun mittente. Già, il donatore è rimasto ignoto. Un autentico mistero... Se ne parlava spesso in famiglia, oltretutto mio padre, vincendo le resistenze della mia povera mamma, l'aveva pure appeso in un angolo del salotto. Comunque lei non avrebbe dovuto aprire questa busta... “, concluse Vanda. Benito alzò il sopracciglio destro, un movimento involontario abituale. Per un attimo i suoi lineamenti subirono una lieve mutazione, sufficiente a tracciare sul suo volto un’inesattezza che ne alterava il perfetto equilibrio. La sua reazione fu tutta qui, se avesse aggiunto una sola parola non avrebbe fatto altro che amplificare la gaffe. D’altronde era noto per chi lo conosceva: l’uomo era questo, non amava dilungarsi troppo in spiegazioni o puntualizzazioni. (Continua) Ermanno Gelati

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Salone de’ Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze anche quest’ anno strapieno di gioventu’ per la tradizionale Festa dell’atletica toscana, organizzata dal Comitato regionale FIDAL Toscana presieduto da Alessio Piscini. Eran presneti, noblesse oblige, il vicepresidente FIDAL Ida Nicolini, il consigliere federale Gerardo Vaiani Lisi e l’assessore comunale allo sport Andrea Vannucci nel ruolo di padrone di casa. Oltre duecento gli atleti premiati. Il premio per l’atleta dell’anno è stato attribuito a Leonardo Fabbri, fiorentino cresciuto nell’Atletica Firenze Marathon, vincitore del titolo italiano assoluto nel getto del peso indoor arrivando fino a 20,69 e azzurro quest’anno ai Campionati Europei indoor di Glasgow, oltre che all’aperto nella scorsa estate a Berlino. Premio come dirigente a Giovanni Giannone, quello di il tecnico dell’anno è andato a Maurizio Cito, allenatore di Yohanes Chiappinelli, bronzo europeo sui 3000 siepi. Ad Alessio Bernardini il riconoscimento come giudice. Sono stati consegnati anche premi speciali a Nicola Vizzoni e due dei protagonisti degli ultimi Europei indoor di Glasgow: Chiara Bazzoni, bronzo con la staffetta 4x400, e Claudio Stecchi, che nella stagione in sala è diventato il secondo italiano di sempre con 5,80 e poi ha sfiorato il podio nel salto con l’asta. Sotto i riflettori gli atleti toscani che hanno vestito maglie azzurre assolute, che hanno vinto medaglie internazionali e che hanno stabilito migliori prestazioni italiane nel 2018, i campioni toscani e le società che hanno ottenuto vittorie e piazzamenti in chiave nazionale e titoli toscani, i principali protagonisti dell’attività master. Assegnate pure le Querce al merito atletico: quella di terzo grado a Pierluigi Dei, vice fiduciario nazionale del Gruppo Giudici Gare, quelle di secondo grado a Tamara Balestri, Carlo Balestri, Palmiro Finamori e Silvano Furiesi, mentre Lia Bellucci, Alessio Bernardini e ai tecnici Stefano Giardi e Claudio Pannozzo hanno avuto quelle di primo grado.

FOTO D’ EPOCA

Squadra di atletica leggera delle Fiamme Gialle, vincitrice del primo titolo italiano di società. Dall'alto e da sinisistra: finanzieri Bocci, Ranciaro, Minocchi; brigadieri Orecchioni (allenatore), Danelutti; maresciallo Castagnetti; finanzieri Lovati, Del Piccolo, Baldacci, Corsaro, Ghinelli, Leone, Ricci; maresciallo Malu Fattacciu (allenatore); finanzieri Franchi, Di Giovanni, Montanari; tenente Lombardo; generale Simoni; capitano Posani; finanzieri Lucchese, Sagnella, Lentini, Infraccioli, Mondelli, Casini (Roma 1956) Foto archivio Fiamme Gialle