Dai Fratelli Bandiera Alla Dissidenza : Cronaca
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university of connectin ir DG 556.A1F34 hbl, stx Dai fratelli Bandiera alla disside 3 1153 aD^fi4^^t. 7 vn Digitized by the Internet Archive in 2010 with funding from Boston Library Consortium IVIember Libraries http://www.archive.org/details/daifratellibandiOOfald Jor DAI ff^ATEJ.JLI BAJMDIEF^A alla DI331DEJM^A . Scritti ì)j (xIO VANNI FAI^Ì)^I^I^A A Vienna, Grita col lapis L. 2 — FiauEiNE ?? 2 — Le Conquiste » 2 50 EoviNE '? 2 50 Un viaggio a Eoma senza vedeee il Papa ?? 1 50 Un Seepe, Storielle in giro: i Idillio a tavola » 2 — Il Un consulto medico .... » 2 — Eoma boeghese, Assaggiature .... "3 — Salita a Montecitoeio (1878-1882): Parte prima : Il Paese di Montecitorio » 2 50 » — Parte seconda : I pezzi grossi 3 Parte terza: Caporioni "2 — SALITA A MONTECITORIO (1878-1882) DAI FRATELLI BANDIERA ALLA IDISSIIDEZSrZ-A. CRONACA DI O I ivi B E, O vri'^ TOEINO 1883. CDG- r3^ PKOPEIETA LETTERAEIA (6Ì8) PARTE QUARTA DAI FRATELLI BANDIERA ALLA DISSIDENZA GOG§DG?0e^DOO3OGO0?0CD§G^^ Conquista patriottica. Nel principiare a discorrere del Nicotera, sale in mente la considerazione, che dei dieci presidenti del Consiglio avuti nel nuovo Kegno d'Italia dal 1861 al 1882 (Cavour, Ricasoli, Rattazzi, Luigi Carlo Farini, Minghetti, Lamarmora, Menabrea, Lanza, Depretis e Cairoli), niuno fu delle provincie meridionali. La ra- gione della prevalenza nordica e della mancanza meridionale nel direttorio italiano in questo periodo storico venne riposta da taluno nel fatto che la parte del sud, benché principale e feracissima di forze (pure d'ingegno), passò all'unità italiana quasi per virtù di conquista. Spiaceva a Garibaldi, che Marco Mounier intitolasse Storia della conquista delle due Sicilie la Cronaca della più fortunata impresa ga- baldina e gli scriveva da Torino il 15 aprile 1861 : « Io non ho conquistato le due Sicilie. Non ho fatto altro che dar mano alle virtù civili, onde questa con- trada è stata fertile in ogni tempo e mostrarle al sole della libertà. )) Pure da certo carattere di con- quista non andò esente la Rivoluzione dell'Italia Me- ridionale. 8 PAKTE QUAETA Non fu certo conquista normanna, sveva, francese, aragonese, o in un altro modo straniera. Solo per celia fragorosa, come narra Giuseppe Cesare Abba nelle sue gemmee note d'uno dei Mille, il 17 giugno 1860 a Palermo un Giusti astigiano suonava la diana a' suoi eroici compagni Garibaldini, colla frottola che Vittorio Emanuele aveva fondato l'ordine dello sbarco e li aveva creati tutti cavalieri, donando loro i ca- stelli incontrati nelle marcie vittoriose. Quella compiuta dai Garibaldini fu conquista na- zionale, patriottica, morale; ma pur fu conquista; e, se venne aiutata di molto da Vittorio Emanuele, da Cavour e dagli altri elementi del Governo nazionale, fu opera precipua del partito d'azione, che si era educato necessariamente nelle congiure e nelle ribel- lioni, insomma nello spirito e nel metodo più alieno dalla posa di Governo. Quindi accadde che nelle altre provincie, le quali crebbero fortunate in nucleo spontaneo o ratificato di libertà nazionale, o furono acquistate per guerra regolare, o per matura e incon- trastata dedizione, gli uomini vecchi e giovani vennero stimati immediatamente opportuni alla direzione del nuovo ordine di cose ; ma dalle provincie meridionali appena si raccolsero finora ottimi guardasigilli o fi- nanzieri, altri ministri specialisti: che il metodo storico esige una lunga prova e una dura disciplina governativa e parlamentare, prima di preporre all'as- setto del recente Stato gli ufficiali dell'antico governo borbonico, o i motori principi delle antiche rivolte. Questa prova governativa e parlamentare, che si accorciò pel lombardo Cairoli (primo del partito d'azione pervenuto alla presidenza del Consiglio, DAI FEATELLI BANDIEKA ECC. forse per la sua rassicurante e placida bonomia), non venne ancora ultimata per l'eumenide Nicotera, come lo chiama il Bovio, eumenide dal soffio vulcanico. Nicotera è il tipo piiì vivido e più pregno di moto dell'antico congiurato patriottico e ribelle eroico. Quanto diverso questo tipo poetico di congiurato e ribelle patriottico, scaturito nei tempi eroici, quanto diverso dal tipo prosaico del congiurato parlamentare e dell'avventuriero politico, che cresce nella gioventìi meschina e faccendiera dei bassi tempi ! Forse lo ve- dremo altrove. * * * E quanto diversi i tempi! Una volta nelle anime nobili si piantava un ideale eroico ed evangelico : la redenzione della nazione schiava. Si inarcava sugli intelletti, come un raggiante arcobaleno, la bandiera tricolore. Per quell'ideale, per quella bandiera, si di- ventava pazzi, si diventava santi, si diventava martiri. Ed ora certi scrittori e certe scrittrici, anche uscendo dal popolo, servono come gli schiavi romani di leno- cinlo ai gaudenti: non pensano alla educazione ed alla elevazione della plebe: si sentono inferiori a ciò che eravamo nel mondo cicisbeo del settecento: diver- tono e fomentano ruffianescamente ciò che l'austero Parini bollava di ridicolo. Oh! usciamo dalle corrotte piccinerie del nostro 10 PAETE QUARTA tempo, in cui si chiama gentilezza italiana la frol- laggine della fibra sfatta; usciamo dai nostri tempi... Giovanni Nicotera è nato in San Biase, provincia di Catanzaro, nel i831. Nel collegio di Catanzaro, fu a scuola del Set- tembrini, professore stoicamente evangelico di libertà italiana, poi martire nel carcere di Santa Maria Ap- parente e nell'Ergastolo di Santo Stefano, e conserva- tosi ingenuamente, quasi fanciullescamente, patriota anche nel Senato del Regno. Oltre alle lezioni del Settembrini, quale impronta deve avere lasciato nell'animo del Nicotera la notizia della tragica impresa dei fratelli Bandiera ! Di lì gli venne certamente il proposito di emularli con un parallelismo di gesta! Attilio ed Emilio Bandiera, veneti, figli di un ba- rone contrammiraglio dell'Austria, l'uno di essi già alfiere di vascello, l'altro alfiere di fregata nella ma- rina austriaca, quantunque avviati ad una carriera ac- carezzata dal mondo pratico e brillante e dalla fa- miglia, sentivano il peso delle assise straniere, come gramaglia della patria. E fermarono di svestirsene sull'altare d'Italia, il cui culto per loro era una re- ligione. Imperocché, lo ricordino i neo patrioti atei, ricordino che i principali autori del riscatto nazio- nale si dichiararono mossi dallo spirito di Dio. Scri- veva nel 1842 Attilio Bandiera a Giuseppe Mazzini: « Sono italiano... Studiomi quanto più posso di segui tare le massime stoiche. Credo in Dio, in una vita futura e nell'umano progresso: accostumo nei miei pensieri di progressivamente riguardare all'umanità, alla patria, alla famiglia ed all'individuo ; fermamente DAI FRATELLI BANDIERA ECO, 11 ritengo che la giustizia è base d'ogni diritto ; e quindi conchiusi, è già gran tempo, che la causa italiana non è che una dipendenza dell'umanitaria... w I Bandiera, votatisi alla patria, e cospirando per essa, si accomunarono col Mazzini ; e l'uno dopo l'al- tro i due fratelli nel 1844 disertarono le insegne del- l'Austria e si ricongiunsero a Corfù, dove vennero raggiunti da Nicola Ricciotti, maturo soldato della libertà, insorto del 21, già prigione a Civita Ca- stellana, esule in Corsica e in Francia, e valoroso capitano in Ispagna, e da Domenico Moro, pur esso già ufficiale nella marina austriaca, giovanissimo, biondo, gentile e bello, un vero angelo della Risur- rezione italiana. L'uno dei Bandiera aveva lasciata una tenera, sposa, che soccombette allo strazio del suo abbandono, tutti e due un'amatissima madre, che si recò pre- cipitosa a Corfù come un'aquila per ghermire, sal- vare i suoi aquilotti. Abbracciato Emilio, promise perdono, restituzione di onori, gioie di famiglia ; im- precò persino disperata allo snaturato suo sangue. Tutto invano. I Bandiera, pur adorando la loro mam- mina, non vollero mancare alla grande madre patria. All'auditore austriaco, che li citava come felloni, ri- sposero : « la nostra scelta è determinata fra il tradire la patria e l'umanità, o l'abbandonare lo straniero e l'oppressore. )) Invano Nicola Fabrizi e lo stesso Mazzini cerca- vano di dissuaderli dalla impresa. Emilio Bandiera e Ricciotti scrivevano al Mazzini ni giugno 1844: «Se soccombiamo, dite a' nostri concittadini che imitino l'esempio, poiché la vita ci 12 PAETE QUAETA venne data per ùtilmente e nobilmente impiegarla, e la causa, per la quale avremo combattuto e sa- remo morti, è la più pura, la più santa che mai abbia scaldato i petti degli uomini; essa è quella della libertà, dell'eguaglianza, dell'umanità, dell'indi- pendenza e dell'unità italiana. » Salparono da Corfù la notte del 12 al 13 giugno 18M, sbarcarono nella sera del 16 sulla spiaggia di Cotrone presso la foce del fiume Neto. Come il povero Giovacchino Murat, agli 8 di ot- tobre del 1815, in un giorno di festa, era sceso al Pizzo con l'animo teatralmente festoso pel riconquisto del Kegno ; e si trovò solo col suo drappello di ven- ticinque seguaci, eccitando dapprima una sospettosa curiosità degna di una compagnia istrionica; e poi una tempesta di brutali scherani; e invano tese le braccia al mare; che dal lido si dilungava a scherno il suo infame battelliere, il maltese Barbara; — cosi i Bandiera, Moro, Ricciotti e i quindici seguaci appena discesi in terra italiana e baciatala, vi- dero il loro barcaiuolo prendere traditorescamente il largo. Avere nell'anima un programma di compiuta re- denzione : tt Italia indipendente, libera ed unita, demo- craticamente costituita in repubblica con Roma per capitale » ; sentire nella testa una vampa di luminoso incendio e nel cuore una musica rivelatrice di un para- diso di gloria, e trovare sorda, mutola, refrattaria la terra che si vuol redimere... quale tormento ! Eppure gli eroi vanno avanti... Loro si squaglia un compagno, il corso Boccheciampe e poi una per" fida guida calabrese, il bandito Nivara. Questo DAI FEATELLI BANDIERA ECC. 13 malandrino li addita ai compaesani come turchi predoni. Gli eroi si salvano valorosamente da una imboscata di gendarmi e urbani loro tesa al bosco di San Be- nedetto; ma presso San Giovanni in Fiore vengono assaltati dalle turbe imbestialite, che li credono mar- rani, cani infedeli.