IL CATTIVO ZELO Virgilio E Il Segreto Dell’Eneide
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Remo Mangialupi IL CATTIVO ZELO Virgilio e il segreto dell’Eneide “Molte, sì, le cose meravigliose, eppure talvolta miti elaborati con arte travisano con variopinte menzogne, andando al di là del discorso verace, le storie degli uomini. La Grazia, che apporta ogni dolcezza, spesso fa sì che credibile sia l’incredibile, ma sono i giorni a venire i testimoni più sicuri” (Pindaro, Olimpiche, I) Libro autoprodotto su floppy-disk © 2006 by Vittorio Fincati – casella postale 31 – 36055 NOVE VI Testo depositato - Tutti i diritti riservati - Riproduzione e diffusione vietata Hanc etiam, Maecenas, aspice partem1 a Salvatore Conte cui debbo l’ispirazione dell’argomento www.queendido.org 1 [Anche su ciò, o Mecenate, getta uno sguardo]Virgilio: Georgiche, IV, 2 2 L’OPPOSIZIONE SPIRITUALE A ROMA E I MOTIVI DEL «CATTIVO ZELO» “Solo in mestieranti, o in studiosi senza vera vita interiore, i temi di ricerca sono casuali o tralatizi. Non era certamente un mestierante, ma una ricca personalità umana e scientifica il giovane studioso [Harald Fuchs] che, in anni di trionfanti totalitarismi esaltanti la ‘missione’ civilizzatrice di Roma, indagava invece l’opposizione spirituale a Roma nel mondo antico” (M. Mazza: IL VERO E L’IMMAGINATO, p.43 Jouvence, Roma 1999) Roma contro l’Oriente ellenistico. Virgilio fin dai primi versi del suo poema stabilisce l’antagonismo mitico-politico dell’Urbe, Venere Genitrice, Enea e Augusto, contro Cartagine, Tanit e Didone – quest’ultimi essendo i da poco sconfitti Egitto, Iside e Cleopatra; obbedendo così alla direttiva di Augusto di esaltare il nuovo corso della storia romana e fornendo le basi celebrative alla politica di recupero di antichi valori religiosi non più vissuti dalla società romana dell’epoca; salvo trascurare culti altrettanto arcaici ma di opposta concezione, come quello palustre della madre di Latino, Marica. Nella vicenda di Enea e Didone riecheggia il conflitto tra lo stesso Augusto e Cleopatra, quando nei versi dell’Eneide (IV, 105) Virgilio mostra una Giunone desiderosa di dare a Cartagine il dominio del mondo: quo regnum Italiae avertere oras. Poco mancò infatti che Giulio Cesare (poi Marco Antonio) e Cleopatra scrivessero le pagine iniziali di un assetto mondiale del tutto nuovo. La contrapposizione fu anche fra una visione rigidamente romana, secolarizzatrice, antimitica ed una più trasversale, mediterranea e che in ambito greco si potrebbe chiamare “cultura del simposio”2; se infatti i Greci amavano banchettare e andare a teatro i Romani amavano invece andare al circo per assistere ai più turpi e sanguinosi spettacoli. Come ha scritto infatti Luciano Canfora «…la guerra determina e permea di sé tutta la realtà romana. La guerra è lo strumento dell’arricchimento individuale e collettivo, è il pilastro della società schiavistica. E gli uomini che fanno innanzitutto e sopra ogni cosa il mestiere delle armi sono animaleschi in ogni loro manifestazione e assassini in ogni loro comportamento».3 Questa contrapposizione non fu un episodio retorico ma fu vissuta all’interno stesso della romanità e la si potrebbe identificare, sulla scorta di Orazio (Ep. VII e XVI) in visione “romulea” e visione “remia” della vita; vide schierati infatti oltre a Virgilio molti poeti romani, imbevuti di quell’ellenismo che aveva già fatto dire al greco Isocrate (Panegirico, 50) “il nome degli Elleni sia non più distintivo della stirpe, ma della spiritualità, e che si chiamino elleni coloro che hanno in comune con noi la cultura piuttosto che l’origine”. Questa contrapposizione si manifestò potentemente, da una parte, nella pervicace avversione verso il culto di Iside, dall’altra, nell’intenzione di Caligola di trasferire la capitale dell’impero ad Alessandria4. Si potrebbero citare tutta una teoria di personaggi legati più o meno consapevolmente a questa lotta. 2 L’espressione è di A. Fratta: “Tutta la pittura vascolare greca, quella d’importazione e quella originata nelle città italiote, introduce tra le genti italiche col mezzo dell’immagine la rappresentazione di un diverso ideale di vita. La kylix, la coppa dal profilo basso ed elegante, miracolo di armonia, simbolo del rito conviviale…” (Aa.Vv.: I GRECI IN OCCIDENTE. Electa, Napoli 1996) 3 L. Canfora: Cesare, la guerra e le donne – Tutti gli errori di «Roma» (CORRIERE DELLA SERA, 18/3/2006). 4 E. Köberlein: CALIGOLA E I CULTI EGIZI, p.39. Paideia, Brescia 1986. Analoga intenzione forse era in Giulio Cesare e Antonio 3 E’ nostra intenzione dimostrare che anche nell’Eneide di Virgilio – tramite il segreto che M.V. Agrippa chiamò del cattivo zelo – è stato portato avanti il tentativo di difendere quell’altra romanità, cioè la concezione ellenica della vita. Da troppo tempo infatti la storia di Roma appresa pedissequamente sui libri di scuola grava come una cappa di falsità sulle coscienze di tutti coloro che vogliono andare al fondo delle cose. I libri scolastici ci hanno insegnato che Roma fu un tutt’uno, quanto a idealità e condotta ideologica. Ebbene le cose stanno molto diversamente e si comincia a scoprire e a capire che nel mondo romano vi furono DUE ANIME, in perenne lotta fra loro: potremmo chiamarle l’anima di Remo e l’anima di Romolo. La prima incarnava il sostrato protomediterraneo, legato al culto della Natura, ad un ideale di vita se non pacifico almeno edonistico, alla ricerca del destini dell’uomo attraverso la comunione con la propria madre tellurica. La seconda, generata dall’irruzione di stirpi extra-mediterranee nelle sedi altrui, propugnava ideali di sopraffazione, di una spiritualità avulsa dalla realtà e autocastrante. Queste due anime le troviamo presenti fin dalle origini e lungo tutto il corso della romanità e oltre il suo epilogo, quando nella prima Roma dei Papi l’anima remia dava ancora segni di vita nella celebrazione degli ultimi orgiastici Saturnali. Il conflitto, se così si può dire, è ancora in corso, seppure attraverso percorsi che ormai non emergono direttamente alla luce del sole. La nostra rivisitazione eneidica intende porsi da un punto di vista “remio” e contrapporsi a coloro che ancora propagandano, pur a distanza di così tanti secoli, la romana fabulositas in tutta la sua retorica artificialità, prendendo per verità rivelata l’esposizione apparente di Virgilio (mentre il suo vero intendimento lo si rintraccia nella tecnica di alludere alle versioni scartate di un mito all’interno di quello da lui accolto) e le invenzioni propagandistiche dello Stato Romano. Leggendo gli scritti di tali moderni zelatori5 stupisce vedere come questa fabulositas sia dura a morire anche in seno a degli apparenti intellettuali e come il partito preso fideistico e sentimentale abbia la prevalenza sull’oggettività dei dati e delle conoscenze. Se già nell’antichità tutti costoro ebbero un loro antesignano in un ebreo praticante, il celebre Filone di Alessandria - che difese la concezione augustea della storia nella Legatio ad Gaium affermando che Augusto aveva guarito dalle “pestilenze” che contro Roma venivano da Sud e da Oriente e attraversavano l’impero scorrendo verso Nord e l’Occidente, e che quell’imperatore aveva eliminato le guerre…“occulte”- essi hanno avuto dei moderni teorizzatori con il francese Gabriel André Aucler nel 1799, autore de La Threicie, e il tedesco Friedrich Creuzer, che aveva scritto Simbolismo e mitologia dei popoli antichi (Leipzig e Darmstadt 1837-1841), i quali propugnavano la tesi di una rivelazione originaria custodita e tramandata attraverso i millenni da una successione di sacri sacerdoti. Inoltre l’ancora inedito Domenico Bocchini, che in una pubblicazione a fascicoli del 1836 propugnava da Napoli gli stessi argomenti anche se in un tono ed in un linguaggio privo di ogni scientificità (vedi Appendici). Anche l’ultimo Bachofen, con la sua Leggenda di Tanaquilla del 1870, “avrebbe dato una metafisica della storia, interpretandola come il campo dell’eterna lotta tra lo spirito, rappresentato per la prima volta adeguatamente da 5 Uno di essi è G.A. Colonna di Cesarò, che scrisse IL MISTERO DELLE ORIGINI DI ROMA La Prora, Milano 1938. Di questo autore segnaliamo però l’esattezza del seguente passo, apparentemente in controtendenza ma in realtà originato dall’influenza che su di lui esercitò il pensiero di Rudolf Steiner (cit. p.167): “Il fatto è, che gli dèi romani, sebbene sieno stati più tardi confusi e fusi con gli dèi greci, in verità erano tutte divinità ctonie”. – A quanto appena detto si può aggiungere a buon titolo la seguente espressione: “c’è voluto tutto il buon senso di Franz Altheim per riscoprire questo fatto evidente, che cioè la recezione di divinità greche da parte degli Italici si spiega con il fatto semplice e profondo insieme che esse apparivano alla loro coscienza come più vere e più grandi” (J. Heurgon: IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE, p.375, Laterza, bari 1985). 4 Roma contro gli Etruschi e Cartagine e poi trionfante con il Cristianesimo, e la sensuale materia, quindi tra Occidente e Oriente”6. Un esempio davvero lampante della sragionevolezza dei già citati zelatori lo possiamo riscontrare, dopo le furiose fantasticherie di Domenico Bocchini, in quelle di Camillo Ravioli (L’Italia e i suoi primi abitatori, Roma 1865), il quale pretendeva – sulla scia delle elucubrazioni del quasi contemporaneo Angelo Mazzoldi – che l’Atlantide si trovasse in Italia, un’Italia che nel 2.200 a.C. era unita alla Sardegna essendo tutto il Mar Tirreno privo di acqua; Malta unita alla Sicilia; sul Campidoglio la famosa capitale atlantidea… appoggiandosi ad un passo di Plinio in base al quale l’Italia aveva la forma