ARTE E STORIA A MILANO MILANO BOMBARDATA. , DISTRUTTA, RISORGE Di Decio Marco Spinelli

Invano cerchi tra la polvere Povera mano, la città è morta. E’morta: si è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l’usignolo è caduto dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case. La città è morta, è morta.

Così scriveva Salvatore Quasimodo, all’indomani dei bombardamenti del 1943, nella sua poesia “ Milano agosto ‘43” . Su Milano erano state lanciate 2450 tonnellate di bombe e spezzoni incendiari, i morti furono 1033, oltre il 60 % di case rase al suolo o gravemente danneggiate, 239 fabbriche colpite, 400.000 persone senza tetto su 1.200.000 abitanti, la metà dei tram distrutti , la rete dei binari divelta in 500 punti. Lo scenario di quei giorni sarà ricordato così da Camilla Cederna nel suo libro “ Milano in guerra”: “ Le rotaie divelte si tendono verso il cielo, i tram sono capovolti, le rare automobili sventrate, si aprono voragini al posto delle case, se no molti edifici ancora in piedi sono divisi a metà o ridotti a un quarto, c’è chi siede sul suo materasso sul marciapiedi, chi tra le macerie grida disperatamente il nome di un congiunto, Non c’è gas, non c’è luce, si direbbe il collasso della civiltà, la fine del mondo” e più avanti scrive “ Già si leva nell’aria il terribile odore dei morti. Dal centro alla periferia non si contano le rovine. Il Duomo sbocconcellato è circondato da decine e decine delle sue statue cadute giù dalle guglie, la galleria è scoperchiata, e son crollate le due ali verso via Foscolo e via Berchet. Rovinate le chiese delle Grazie, di San Gottardo, del Carmine. In fiamme un’ala del Palazzo Reale, Palazzo Marino è sventrato, fuma ancora per gli incendi l’Arcivescovado, scomparso il Teatro Manzoni “ . Il Teatro Manzoni di cui parla la Cederna era il vecchio teatro che si trovava in Piazza San Fedele ed era stato inaugurato il 3 Dicembre 1872 con il nome di Teatro della Commenda ma dopo la morte di Alessandro Manzoni avvenuta il 22 Maggio del 1873,aveva assunto subito il nome del grande scrittore. Tra i suoi appellativi ufficiosi ebbe quello di Scala della prosa . Anche la Scala , purtroppo, era stata duramente colpita. L’ing. Luigi Lorenzo Secchi che dal 1932 era incaricato dal Comune di lavorare anche per il Teatro alla Scala , nel libro “ Dalle rovine del 1943 la Scala rinasce con Antonio Ghiringhelli “ scrive a pag.19 , “ le bombe esplose sul fastigio del muro perimetrale che dà forma alla sala, fatta una grande breccia nell’ordinatura dei palchi di sinistra, avevano sollevato e sconvolto le grandi capriate alla Palladio, di circa trenta metri di luce, distruggendo in un solo colpo il tetto e la volta centinata; e tetto e volta, precipitando nel vano della sala, trascinarono nel crollo tutta l’ordinatura della seconda e della prima galleria e tutto il proscenio, unitamente al prospettico arco scenico a cassettoni e a larghi tratti dei quattro ordini di palchi “. La svolta nella strategia dei bombardamenti da parte degli inglesi era avvenuta nel ’42 quando venne nominato capo del Bomber Command, Arthur Harris, soprannominato dagli stessi aviatori britannici “the Butcher” ( il macellaio ). Egli infatti aveva deciso che gli aerei non dovevano più limitarsi a colpire aree selettive ma dovevano colpire a tappeto zone geograficamente prestabilite e anche le abitazioni civili venivano considerate un bersaglio. Il 1 Marzo di quell’anno , infatti, aveva diramato una circolare ai comandi periferici della RAF “ In riferimento alle nuove norme sui bombardamenti , sia chiaro che i punti di mira devono essere le aree edificate, non ad esempio i bacini portuali o le fabbriche “. Con Lubecca, Rostok , Colonia, toccò a Milano diventare una “ città martire” ! Intanto, subito dopo il 25 Luglio, sui muri, all’esterno della Scala, erano apparsi , incollati da mano ignota, grandi cartelli con le scritte “ Evviva Toscanini” e “ Ritorni Toscanini”. L’autore, si seppe solo più tardi, era stato un avvocato milanese, Franco Dameno. Quando in Settembre , dietro ai tedeschi, tornarono i fascisti, Dameno fu preso, pestato a sangue e messo in carcere. L’odio dei fascisti verso Toscanini è stato costante a causa della sua integrità morale, del suo senso democratico, della sua assoluta indisponibilità a qualsiasi compromesso che potesse anche solo scalfire i suoi valori . E’ noto il famoso episodio del 14 Maggio 1931 quando il maestro, invitato a partecipare alla commemorazione del musicista Giuseppe Martucci venne aggredito , malmenato e minacciato dalle squadre fasciste. Traggo da un suo manoscritto, e più precisamente da un telegramma da lui scritto il giorno successivo a Benito Mussolini quanto accadde quel giorno: “ A sua Eccellenza Benito Mussolini. Iersera mentre colla mia famiglia mi recavo al teatro Comunale di Bologna per compiere un gentile atto di amicizia ed amore alla memoria di Giuseppe Martucci ( invitatovi dal Podestà della suddetta Città per una religiosa ed artistica commemorazione, non per una serata di gala), venni aggredito, ingiuriato e colpito replicatamente al viso da una masnada inqualificabile, essendo presente in Bologna il sottosegretario degli Interni. Non pienamente soddisfatta di ciò la masnada ingrossata nelle sue fila si recò minacciosa sotto le finestre del grand hotel Brun, dove io abitavo, emettendo ogni sorta di contumelie e minacce contro di me, non solo , ma uno dei suoi capi per il tramite del maestro Respighi mi ingiungeva di lasciare la città entro le sei antimeridiane, non garantendo in caso contrario la mia incolumità. Questo comunico a Vostra Eccellenza perché sia per il silenzio della stampa o per fallaci informazioni Vostra Eccellenza non potesse avere esatta notizia del fatto e perché del fatto resti memoria. Ossequi. “ “ Il Capo del Governo non rispose. Il 16 Maggio mi fu tolto il passaporto per l’estero ed ebbi vigilata la casa”. Toscanini si era rifiutato di far suonare “ Giovinezza” che era l’inno del regime e la Marcia Reale. Riuscirà poi a partire per gli Stati Uniti dove gli creeranno un’orchestra tutta per lui con i migliori esecutori , la NBC. Non tornerà più in Italia sino al 1946, a Scala ricostruita. Intanto qui a Milano, dopo i tragici bombardamenti dell’agosto del’43, si discuteva su cosa fare del Teatro alla Scala. Alcuni ingegneri e architetti ritenevano che i danni fossero tali da richiederne l’abbattimento e la successiva ricostruzione a tempo debito in forma più moderna e nazionalpopolare .Pensavano fosse “un teatro d’élite, precluso a gran parte della società, concepito come lontano dai cambiamenti che la società potrà subire al termine del conflitto”. Altri ,fra cui l’ing. Secchi, sostenevano che si potesse e si dovesse salvare anche perchè la Scala è uno dei simboli di Milano, uno dei suoi monumenti con il più alto valore storico , a prescindere da motivazioni di carattere tecnico o finanziario. Inoltre, la Scala era stata gravemente danneggiata ma non in modo tale da dover essere abbattuta e ricostruita dalle fondamenta. Oltre a ciò vi era anche da considerare il fatto che una buona parte dell’attrezzatura scaligera con i suoi dispositivi, per allora d’avanguardia, si era salvata . Tra le tante voci che parteciparono al dibattito, anche sui quotidiani, vi furono quelle di grandi architetti come Peressutti, Ponti, Belgioioso e Rogers. Ernesto Rogers, all’inizio uno dei più contrari alla ricostruzione, si convertirà successivamente, dando atto che la scelta migliore fosse stata quella di ripristinare il teatro come era prima. Fortunatamente prevalse la tesi sostenuta dall’ing. Secchi che subito si mise al lavoro per far sgomberare le macerie, demolire le strutture pericolanti e coprire la sala con una tettoia in legno e cartone catramato, sorretta da una struttura di tubi di ferro. Ciò permise di evitare che l’inverno peggiorasse la situazione, in particolare le condizioni statiche e quanto rimaneva dei fregi e delle parti decorative. D’altronde Milano non si era fermata anche se duramente provata. I negozianti di Via Manzoni avevano collocato dei tavoli sui marciapiedi per continuare i loro commerci; i teatri e i cinematografi continuavano a funzionare. Era in quel periodo Sovrintendente della Scala il celebre musicologo Carlo Gatti . Non esisteva una direzione artistica , come la intendiamo oggi. Quella, con carattere indipendente dal Direttore d’Orchestra, verrà creata da Ghiringhelli nel 1945. Tutta la responsabilità spettava dunque a Gatti che seppe organizzare , nonostante il periodo fosse drammatico, delle stagioni comunque apprezzabili, coadiuvato da Direttori di grande valore come Mario Rossi, Tullio Serafin e Gino Marinuzzi . La Scala proseguì dunque la sua attività, prima al Teatro Sociale di Como, poi al Teatro Donizetti di Bergamo per la sua stagione lirica invernale. Nel Maggio del ‘ 44 tornò a Milano presso il Teatro Lirico che era stato anche lui danneggiato ma in modo fortunatamente meno grave per cui era stato subito restaurato. In Estate Gatti decise di svolgere i concerti sinfonici al Castello in modo da permettere una maggiore affluenza di pubblico popolare. In Autunno si ritornò al Lirico con una stagione interamente dedicata a Puccini di cui ricorreva il ventesimo anniversario della morte. All’inizio del’45 Marinuzzi sostituì Gatti alla sovrintendenza . Il sipario del Lirico si chiuse il 24 Aprile, alla vigilia della Liberazione, con il Don Giovanni di Mozart, e con i soldati tedeschi muniti di mitra anche all’interno del teatro Fu l’ ultima che il Maestro Marinuzzi diresse. Morirà infatti qualche mese più tardi. Il 9 Maggio 1945 il Maestro Antonino Votto diresse un concerto in onore delle truppe alleate e dei patrioti italiani al teatro Lirico e quattro giorni dopo una bella rappresentazione di Bohème con il tenore Giovanni Malipiero. All’indomani della Liberazione, il CLN ( Comitato di Liberazione Nazionale) nominò Antonio Greppi , Sindaco di Milano. Greppi abitava in Via San Michele del Carso e aveva l’abitudine di andare tutti i giorni a piedi in Piazza della Scala, nella sede provvisoria del Comune, in quanto Palazzo Marino era ancora inagibile. Arrivava puntuale alle sette del mattino , nell’Ufficio al primo piano e riceveva i cittadini che avevano da esporgli i propri problemi. Poi doveva sbrigare le numerosissime pratiche che ogni giorno arrivavano sul suo tavolo e tra queste naturalmente c’era il “caso Scala” . Il Sindaco che amava profondamente il teatro e aveva scritto anche delle commedie in lingua e in dialetto mise la Scala tra le opere prioritarie da realizzare. Nacquero polemiche e contrasti ma alla fine la Giunta approvò la sua proposta. D’altra parte gli stessi Alleati con i loro rappresentanti nel Governo Militare premevano in questo senso. Due americani , il Col. Hersenshon e il capitano Petrillo, di origine italiana e musicologo appassionato, furono incaricati di occuparsi della ricostruzione della Scala. A questo punto Greppi nominò un Comitato di tecnici ( ingegneri, architetti, avvocati e musicologi ) per seguire al meglio i lavori di ricostruzione. Nel Comitato vi erano nomi di grande rilievo nella Milano dell’epoca e precisamente il prof. Alfredo Amman, il prof. Alberini, l’avv. Ansbacher, l’ing. Bacchini, il Maestro Natale Gallini, l’ing. Mario Gonzales, l’ing. Giovanni Falck, Ettorina Mazzucchelli, il dott. Mozzi, l’ing. Marco Semenza, il prof. Tabanelli, Ferdinando Tagliabue e l’ing. Vanzetti. Greppi , però, si rese subito conto di non poter seguire per mancanza di tempo i lavori e propose così al Comitato di nominare un Commissario Straordinario che sovrintendesse quest’impresa. “ Quest’uomo deve possedere impegno a tempo pieno, autonomia decisionale, onestà e rigore e capacità menageriali utili alla successiva ripresa dell’attività artistica del teatro “ suggerì il Sindaco ( Maria Bellinzona- “ Antonio Ghiringhelli” Tesi di Laurea in Lettere e Filosofia- Univ. Statale di Milano ) L’uomo che Greppi aveva in mente era Antonio Ghiringhelli. Antonio Ghiringhelli divenne Commissario straordinario nel luglio 1945 per poi essere nominato Sovrintendente nel 1948 su proposta del Sindaco e con l’approvazione del Governo. La sua nomina venne confermata per molti anni sino al 1972. 27 anni. Un record sino ad ora mai raggiunto ! Anche Ghiringhelli era un appassionato di teatro ed era amico di moltissimi attori. Si era laureato in Economia all’Università di Genova , e aveva iniziato a lavorare con l’Orga di Malinverni e poi con la Società Morel che produceva prodotti chimici. Per l’Orga nel 1930 aveva dovuto svolgere proprio alla Scala controlli di gestione amministrativa, e anche rimodernare l’amministrazione del Teatro. Entrato poi alla Morel , riuscì in poco tempo a rovesciare la situazione finanziaria della società che era in forte perdita, portandola in utile al punto che il sig. Morel prima lo volle come socio e poi gli cedette l’azienda. Come si conobbero Greppi e Ghiringhelli ? Lascio rispondere allo stesso Greppi che descrive il primo , fondamentale incontro , avvenuto intorno al 1920, in modo semplice ma suggestivo nel suo libro “ La coscienza in pace- 50 anni di Socialismo “ “ Il treno della Nord era già affollato a Cittiglio e mi trattenni sul terrazzino scoperto a leggere la “Vera Vita” di Tolstoj, una singolare biografia di Gesù, ad uso dei semplici, assai poco conosciuta. Subito dopo la fermata di Varese mi volsi di scatto, qualcuno aveva fatto il mio nome, pur col segreto timore di un errore di persona. Quello che mi stava davanti era un ragazzo di sedici o diciassette anni, quasi gracile e, nell’aspetto, poco meno che povero. Ma due occhi aveva che bastavano da soli a far sorridere di simpatia e di confidenza. Ed erano, a un tempo, giovanissimi e adulti, timidi e caparbi. Veramente ho indovinato il suo nome ? Sono qui a dimostrarlo con la mia stessa identità. Ma come ha potuto indovinare il mio nome senza conoscermi? E’ stato quel libro, Tolstoj! Ho letto molti dei suoi racconti e dei suoi articoli sul “Lavoratore Comasco”- Ma chi sarebbe Lei ? Oh il mio nome non ha alcuna importanza mi rispose , come a schermirsi. Sono il Segretario della Sezione di Brunello. Dunque un compagno! E poiché era un compagno, pretesi lo scambio del tu. Durante il viaggio seppi che apparteneva ad una famiglia di contadini molto poveri e che per concedersi il lusso dell’Istituto Tecnico a Varese, doveva disimpegnare di notte, il servizio di recapito dei telegrammi , quale fattorino avventizio delle PP e TT. E’ tutto esatto ? Esattissimo! ribattè ,accigliandosi, ferito da quel dubbio Allora sei un bravo compagno Arrivammo alla stazione di Como ch’eravamo già vecchi amici. Si era lasciato, finalmente, sfuggire il suo nome e l’avevo trascritto sul libro di Tolstoj, dedicandoglielo. Era Antonio Ghiringhelli, predestinato alla Sovrintendenza della Scala. E sarebbe stato lui, una ventina d’anni dopo, il protagonista del più impegnativo dei miei romanzi “ I poveri fanno la storia” Dopo molti tentennamenti ( A Ghiringhelli era stato diagnosticato due anni prima un tumore al fegato che poi fortunatamente si rivelò una diagnosi totalmente sbagliata), spronato anche da un commento di alcuni americani presenti ai colloqui “ Questi italiani sono tutti uguali, dicono tutti di voler rifare l’Italia ,poi si tirano indietro”) rispose di accettare l’incarico e , contro le aspettative di tutti, si impegnò a ricostruire il Teatro in solo nove mesi e senza una lira di retribuzione. Si iniziarono subito i lavori e siccome i denari scarseggiavano e lo Stato anche allora non era puntuale nei finanziamenti promessi, Ghiringhelli anticipò spesso di tasca sua quelle somme che necessitavano perchè i lavori potessero procedere con continuità, giorno e notte. La prima difficoltà che Secchi dovette affrontare fu la ricostruzione del tetto, “provocata dalla mancanza delle travi in larice di grande sezione e lunghezza necessarie per costruire le capriate alla Palladio di 28 metri di luce” ( Maria Bellinzona –op.citata) . Si ponevano due possibilità : una struttura in cemento armato e una in ferro. Fu scartata la prima per varie ragioni. La struttura avrebbe avuto un peso eccessivo per gli antichi pilastri in muratura e poi avrebbe seriamente danneggiato l’acustica che invece doveva essere riportata ai precedenti livelli se non addirittura migliorata. Essa dipendeva in gran parte dalla grande volta centinata che sovrastava la sala del Piermarini. La volta , costituita da quarantadue centine, scrive Secchi” con una leggera curvatura, si raccorda al ritmico succedersi dei palchi e delle due soprastanti gallerie e concludeva così l’unità armonica della sala. Il segreto dell’acustica è dato dalla combinazione tra centine e raccordi snodati, tra loro concordanti, che permettono la massima possibilità di vibrazione” Per quanto attiene la decorazione, sempre in accordo con la Soprintendenza ai Monumenti di cui allora era responsabile l’arch.Rocco, vennero incaricati quattro pittori lombardi esperti nel campo: Albertazzi, Temoli, Migliavacca e Scaglioni di ripetere la decorazione antecedente il 1879 con la maggior fedeltà e accuratezza possibile. Per il bellissimo lampadario in cristallo di Boemia pesante 30 quintali , la ricostruzione fu un altro grande problema. Fortunatamente l’ing Secchi riuscì a trovare su una rivista di radiotecnica una riproduzione in 5X7 cm. del lampadario e della plafoniera. Su questa base e cercando di interpretare al meglio questa piccola foto , partendo dal fusto rimasto, giunse a ricomporre il nuovo lampadario che , pur ottenendo lo stesso effetto di luminosità con le sue 352 lampadine, pur essendosi arricchito di cristalli e pur essendo dotato di maggior solidità , riuscì a pesare 22 quintali in meno, facilitando le manovre di pulizia e di manutenzione. Infine vi fu grande timore per la ricostruzione dei palchi e del proscenio. Secchi era preoccupato per le deformazioni che avrebbe potuto subire il legno nel tempo e poi c’era sempre il problema dell’acustica da tenere in considerazione. Trovò delle travi in larice che andavano bene in piazza presso il Monumento a Leonardo da Vinci e le utilizzò insieme a quelle che aveva recuperato dai resti delle capriate. Un bravissimo artigiano di nome Bovolato segò le travi secondo le sezioni desiderate mentre i carpentieri dell’architetto Monti, normalmente dediti a costruire e ad arredare navi, le inserirono nella trama superstite dell’ossatura portante dei palchi e del proscenio. I fregi dei parapetti a grifi, putti , trofei e fogliame progettati dal grande scenografo e pittore Alessandro Sanquirico ( 1777-1849) vennero ricostruiti, utilizzando calchi degli originali in cartapesta. Infine venne installato un modernissimo impianto di condizionamento estivo e invernale a cura dell’Ing. Fabio Sartori e sempre sotto la sua guida nuovi impianti elettrici con comandi centralizzati delle luci e delle loro combinazioni di intensità e di colori . Era possibile comandare 336 circuiti e , durante lo spegnimento del grande lampadario centrale, alla fine dello spettacolo e di ogni atto , illuminare la sala con quella suggestiva luce rossa soffusa che tutti noi ben conosciamo. Contemporaneamente vennero ricostruiti gli uffici della Direzione e dell’Amministrazione in Via Filodrammatici. Anche il Museo Teatrale che era stato inaugurato nel 1913 doveva essere restaurato e Secchi ne seguì i lavori. Sessanta ditte lavorarono instancabilmente in quel periodo sotto il continuo controllo di Ghiringhelli che voleva arrivare il più presto possibile a riaprire il Teatro e di Secchi che lo coadiuvò con intelligenza e passione. I costi furono minori di quanto era stato preventivato ma pur sempre significativi La parte anticipata da Antonio Ghiringhelli per pagare rapidamente le fatture, ricevere gli sconti conseguenti e ottenere che il lavoro continuasse fluido senza interruzioni fu poi rimborsata dallo Stato quasi cinque anni più tardi. Probabilmente se si fosse dovuto aspettare di averli in cassa per svolgere i lavori di ricostruzione , il Teatro alla Scala sarebbe stato inaugurato molti anni più tardi e Toscanini sarebbe morto nella sua casa di Riverdale a New York senza più ritornare in Italia. La vita nel fatidico anno della riapertura della Scala, il 1946, era in ripresa ma vi erano ancora molte ristrettezze. Il gas scarseggiava e aveva uno scarso potere calorico . Ricordo ancora il gran freddo che faceva in casa quell’inverno e anche quella memorabile nevicata che mise la città in crisi per la scarsità di spalatori. I mezzi pubblici erano bloccati, la bicicletta inutilizzabile per cui io andai per vari giorni a scuola con gli scarponi che affondavano nella neve fresca ,giocando con gli amici a palle di neve ,e vivendo questa strana esperienza ancora mai provata di essere inserito in una città bianca , silenziosa, quasi irreale. Gli sfollati tornarono a casa e ciò rese necessaria molto spesso la coabitazione che fu legalizzata. Gli approvvigionamenti scarseggiavano . Dagli Stati Uniti, Fiorello La Guardia , capo dell’Unrra ( United Nations Relief and Rehabilitation Administration) faceva presente la gravità della situazione alimentare. La razione del pane era di 150 grammi a persona ! Il mercato nero non era più come prima ma i prezzi al consumo erano altissimi. La primavera fu bella e dolce. Toscanini che era stato invitato da Ghiringhelli a venire a Milano per dirigere il concerto inaugurale, arrivò a fine aprile, il giorno 27 dopo un viaggio rocambolesco. Mancava dalla Scala dal 12 Maggio 1929 quando diresse la Manon Lescaut di Puccini. Adesso aveva 79 anni. Andò subito in teatro con Ghiringhelli, raggiunse la platea, al momento vuota, poi battè le mani ritmicamente per tre o quattro volte per provare l’acustica. “E’ sempre la mia Scala”disse. Il quotidiano “ La Libertà” così diede la notizia “ ….. Toscanini si è recato al Teatro alla Scala: quando ne ha varcato la soglia, dopo molti anni, il Maestro appariva visibilmente commosso; ha espresso la propria ammirazione per lo sforzo ricostruttivo compiuto in questi ultimi mesi e si è intrattenuto con i tecnici e con gli operai che stanno dando gli ultimi ritocchi ai lavori. L’inizio delle prove con l’orchestra e il coro, in vista del concerto inaugurale, è stato fissato per il 3 di Maggio”. Toscanini ,nel frattempo,aveva voluto contribuire anche lui alla ricostruzione con un assegno di 10.000 lire. Prima di iniziare le prove, il Maestro fece un breve saluto all’orchestra in cui tra l’altro disse “ Desideravo vedervi nella stessa atmosfera di amicizia con cui vi ho sempre ricordato in questi lunghi anni di lontananza. Vi abbraccio tutti nella persona di Nastrucci, mio vecchio amico” . Nastrucci era il primo violino e il decano dell’orchestra. L’attesa a Milano per questo grande evento era diventata spasmodica. I Biglietti erano stati subito tutti venduti e lunghe code erano state affrontate con pazienza ed entusiasmo. Nacque, però, in occasione della preparazione della serata un forte dissidio tra il Sindaco Greppi e Arturo Toscanini. Il Sindaco voleva far precedere il concerto da un breve discorso in cui avrebbe ricordato i valori morali che erano stati alla base della Resistenza, la forza e l’operosità dei Milanesi, la gioia per il ritorno di Toscanini a cui avrebbe rivolto un pubblico ringraziamento a nome di tutti gli italiani. Avrebbe voluto ricordare anche i bambini e le maestre uccise durante l’efferato bombardamento della scuola elementare di Gorla effettuato dagli aerei alleati non per caso in quanto nella zona non vi era nessun bersaglio strategico. Toscanini si oppose fermamente a qualunque intervento di carattere politico. Ghiringhelli cercò disperatamente di trovare un compromesso che potesse accontentare entrambi. Toscanini non voleva però assolutamente che la politica potesse essere mescolata con la musica che, con la sua purezza, doveva rimanere al di sopra di tutte le meschinità e gli orrori delle vicende umane ! Greppi scrisse allora a Ghiringhelli su carta intestata , a mano, poche parole che chiusero la vicenda: “ Caro Ghiringhelli, Toscanini è certamente un grande artista. Ma prima di lui ci sono i Martiri e gli Eroi . Tuo Antonio “ Secondo il Sindaco, perciò, Toscanini , con la propria intransigenza, aveva offeso tutti quelli che si erano sacrificati ( fra loro ,un figlio giovanissimo di Greppi, Mario, trucidato dai fascisti in strada vicino alla propria abitazione ) per la liberazione dalla dittatura . Il Sindaco decise di non essere presente ma evitò comunque in seguito ogni ulteriore polemica. Toscanini accettò comunque che gli venisse consegnata dagli orchestrali una pergamena con la dedica : “ Al Maestro che non fu mai assente, la sua Orchestra” Naturalmente tutti furono d’accordo di non suonare la marcia reale. Il Concerto ebbe inizio alle ore 21 precise. Toscanini lo diresse con la bacchetta dall’impugnatura tricolore. Il programma era concentrato solo su musicisti italiani con le vistose assenze di Bellini e Donizetti Si cominciava con la sinfonia della Gazza ladra di Rossini, a testimoniare la gioia e l’allegria per la libertà riconquistata, poi il coro dell’Imeneo,e le danze del Guglielmo Tell, opera in cui si esalta l’anelito alla libertà e la lotta per ottenerla, e sempre di Rossini la preghiera del Mosè, brano bellissimo in cui debuttò ,( accanto a Jolanda Gardino, Giovanni Malipiero e Tancredi Pasero), Renata Tebaldi, definita da Toscanini “ Voce d’angelo”. Verdi non poteva mancare.Era presente con l’Ouverture e il sempre toccante” Va Pensiero” dal Nabucco che ogni italiano nel periodo risorgimentale aveva considerato come il proprio inno,stimolo morale alla lotta contro l’oppressore austriaco. L’Ouverture dai Vespri Siciliani , opera che pur incentrata per lo più sulle vicende amorose della Duchessa Elena e del giovane Arrigo, celebra la cacciata dello straniero dopo una sanguinosa ma vittoriosa rivolta. il Te Deum, infine, pagina forse non tra le migliori del Maestro di Busseto ma che rappresentava il ringraziamento a Dio per il ritorno della pace e della libertà. Nella seconda parte venne suonato l’Intermezzo e l’atto III dalla Manon Lescaut con le bellissime voci di Mafalda Favero, Giovanni Malipiero, Giuseppe Nessi, Mariano Stabile e Carlo Forti. La parte terza prevedeva il prologo del di Boito con il grande Tancredi Pasero. Il prologo era molto importante in quanto permetteva di impegnare notevolmente il Coro e anche le Voci Bianche esaltando così anche Vittore Veneziani : Maestro del Coro fu appunto Vittore Veneziani che era stato cacciato dai fascisti nel 1938 per le leggi razziali nonostante la strenua difesa del sovrintendente Mataloni che era fascista ma anche una persona per bene. Fu richiamato nel suo teatro da Ghiringhelli appena questi fu nominato Commissario Straordinario. Il concerto sarebbe stato trasmesso per mezzo di altoparlanti in Piazza Duomo e nei dintorni. I tram che allora arrivavano nella piazza furono fermati per tutta la durata dello spettacolo in modo che non vi fosse intorno alcun rumore che potesse disturbare la gente assiepata in piazza, in galleria , davanti al teatro. Attraverso l’etere, le note varcarono le frontiere e furono sentite in Europa e negli Stati Uniti. Fu la riconsacrazione del Teatro alla Scala sulla scena mondiale e, attraverso la sua mediazione , Milano tornava a essere il faro dell’Italia nel mondo. Come scrisse Guido Vergani “ la città era ancora ferita, ansimante tra le macerie dei suoi ottomila edifici, dei suoi 259.000 locali annientati o gravemente lesionati. Ma al ritmo di 10.000 stanze all’anno, stava rinascendo. Dalla Scala veniva la musica di Rossini, riempiva la Piazza, la Galleria, Via Manzoni. Il passato era finalmente passato ( “ La Scala è ricostruita. Dirige Toscanini”) Il bellissimo articolo che il grande critico musicale Franco Abbiati scrisse sul Corriere della Sera di domenica 12 Maggio, intitolato “ L’Arte di Toscanini consacra la rinascita della Scala “ è troppo lungo per poter essere riprodotto qui, anche se costituisce un documento di valore storico e di grande bellezza . Ne citerò un frammento “ Indubbiamente ieri sera , la prima memorabile sera del ritrovamento di un tempio ancora tanto splendido e di un sacerdote ancora tanto puro, il pubblico ha voluto improvvisare lo spettacolo vivo e trascinante di se stesso e della propria esultanza dentro la cornice d’oro della Scala risorta: lo spettacolo di un ‘immensa cosa , ch’è poi una immensa casa , finalmente ricostruita per l’avvenire” . Un atto importante che fece Ghiringhelli, sin dall’inizio del suo mandato e che è bene ricordare, fu la stabilizzazione delle Masse. Sinora, infatti, le Masse artistiche e tecniche non erano alle dipendenze dei teatri lirici ma venivano assunte a tempo o a prestazione. Lavoravano pertanto in condizioni di grande precarietà. Ghiringhelli fu il primo a stipulare con loro un contratto a tempo indeterminato , garantendo così a tutti ( Orchestra, Coro, Squadre tecniche) sicurezza di lavoro ma anche una presenza continua in teatro di artisti di grande livello. Il prestigio internazionale è forse il patrimonio maggiore della Scala ed è un elemento che si deve confermare sempre, ogni giorno, con l’eccellenza dell’Orchestra , del Coro e del suo Corpo di Ballo. Sino ad oggi la nostra Scala ha saputo mantenerlo. Auguriamoci che anche in futuro questo teatro possa rimanere uno degli elementi rappresentativi più importanti di Milano nel mondo. Decio

Gennaio 2021

Bibliografia Autori Vari: La Scala è ricostruita . Dirige Toscanini.Ediz. Campari 1986 in occasione della Mostra al Teatro alla Scala allestita nel Ridotto dei Palchi con il Patrocinio del Comune di Milano e del Teatro alla Scala Vieri Poggiali: Antonio Ghiringhelli- Una Vita per la Scala- ediz. QuattroVenti – Urbino 2004 Maria Bellinzona. Antonio Ghiringhelli- tesi di laurea in Lettere e Filosofia – Univ. Statale di Milano- Anno Accademico 2006-2007 Concerto Straordinario dell’11 Maggio 1986 per il 40° Anniversario della Ricostruzione. Libretto di Sala Concerto Straordinario dell’11 Maggio 1996 per il 50° Anniversario della Ricostruzione- Libretto di sala Achille Rastelli- Bombe sulla città- ediz. Mursia. Milano- 2000