ARTE E STORIA a MILANO MILANO BOMBARDATA. LA SCALA, DISTRUTTA, RISORGE Di Decio Marco Spinelli

ARTE E STORIA a MILANO MILANO BOMBARDATA. LA SCALA, DISTRUTTA, RISORGE Di Decio Marco Spinelli

ARTE E STORIA A MILANO MILANO BOMBARDATA. LA SCALA, DISTRUTTA, RISORGE Di Decio Marco Spinelli Invano cerchi tra la polvere Povera mano, la città è morta. E’morta: si è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l’usignolo è caduto dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case. La città è morta, è morta. Così scriveva Salvatore Quasimodo, all’indomani dei bombardamenti del 1943, nella sua poesia “ Milano agosto ‘43” . Su Milano erano state lanciate 2450 tonnellate di bombe e spezzoni incendiari, i morti furono 1033, oltre il 60 % di case rase al suolo o gravemente danneggiate, 239 fabbriche colpite, 400.000 persone senza tetto su 1.200.000 abitanti, la metà dei tram distrutti , la rete dei binari divelta in 500 punti. Lo scenario di quei giorni sarà ricordato così da Camilla Cederna nel suo libro “ Milano in guerra”: “ Le rotaie divelte si tendono verso il cielo, i tram sono capovolti, le rare automobili sventrate, si aprono voragini al posto delle case, se no molti edifici ancora in piedi sono divisi a metà o ridotti a un quarto, c’è chi siede sul suo materasso sul marciapiedi, chi tra le macerie grida disperatamente il nome di un congiunto, Non c’è gas, non c’è luce, si direbbe il collasso della civiltà, la fine del mondo” e più avanti scrive “ Già si leva nell’aria il terribile odore dei morti. Dal centro alla periferia non si contano le rovine. Il Duomo sbocconcellato è circondato da decine e decine delle sue statue cadute giù dalle guglie, la galleria è scoperchiata, e son crollate le due ali verso via Foscolo e via Berchet. Rovinate le chiese delle Grazie, di San Gottardo, del Carmine. In fiamme un’ala del Palazzo Reale, Palazzo Marino è sventrato, fuma ancora per gli incendi l’Arcivescovado, scomparso il Teatro Manzoni “ . Il Teatro Manzoni di cui parla la Cederna era il vecchio teatro che si trovava in Piazza San Fedele ed era stato inaugurato il 3 Dicembre 1872 con il nome di Teatro della Commenda ma dopo la morte di Alessandro Manzoni avvenuta il 22 Maggio del 1873,aveva assunto subito il nome del grande scrittore. Tra i suoi appellativi ufficiosi ebbe quello di Scala della prosa . Anche la Scala , purtroppo, era stata duramente colpita. L’ing. Luigi Lorenzo Secchi che dal 1932 era incaricato dal Comune di lavorare anche per il Teatro alla Scala , nel libro “ Dalle rovine del 1943 la Scala rinasce con Antonio Ghiringhelli “ scrive a pag.19 , “ le bombe esplose sul fastigio del muro perimetrale che dà forma alla sala, fatta una grande breccia nell’ordinatura dei palchi di sinistra, avevano sollevato e sconvolto le grandi capriate alla Palladio, di circa trenta metri di luce, distruggendo in un solo colpo il tetto e la volta centinata; e tetto e volta, precipitando nel vano della sala, trascinarono nel crollo tutta l’ordinatura della seconda e della prima galleria e tutto il proscenio, unitamente al prospettico arco scenico a cassettoni e a larghi tratti dei quattro ordini di palchi “. La svolta nella strategia dei bombardamenti da parte degli inglesi era avvenuta nel ’42 quando venne nominato capo del Bomber Command, Arthur Harris, soprannominato dagli stessi aviatori britannici “the Butcher” ( il macellaio ). Egli infatti aveva deciso che gli aerei non dovevano più limitarsi a colpire aree selettive ma dovevano colpire a tappeto zone geograficamente prestabilite e anche le abitazioni civili venivano considerate un bersaglio. Il 1 Marzo di quell’anno , infatti, aveva diramato una circolare ai comandi periferici della RAF “ In riferimento alle nuove norme sui bombardamenti , sia chiaro che i punti di mira devono essere le aree edificate, non ad esempio i bacini portuali o le fabbriche “. Con Lubecca, Rostok , Colonia, toccò a Milano diventare una “ città martire” ! Intanto, subito dopo il 25 Luglio, sui muri, all’esterno della Scala, erano apparsi , incollati da mano ignota, grandi cartelli con le scritte “ Evviva Toscanini” e “ Ritorni Toscanini”. L’autore, si seppe solo più tardi, era stato un avvocato milanese, Franco Dameno. Quando in Settembre , dietro ai tedeschi, tornarono i fascisti, Dameno fu preso, pestato a sangue e messo in carcere. L’odio dei fascisti verso Toscanini è stato costante a causa della sua integrità morale, del suo senso democratico, della sua assoluta indisponibilità a qualsiasi compromesso che potesse anche solo scalfire i suoi valori . E’ noto il famoso episodio del 14 Maggio 1931 quando il maestro, invitato a partecipare alla commemorazione del musicista Giuseppe Martucci venne aggredito , malmenato e minacciato dalle squadre fasciste. Traggo da un suo manoscritto, e più precisamente da un telegramma da lui scritto il giorno successivo a Benito Mussolini quanto accadde quel giorno: “ A sua Eccellenza Benito Mussolini. Iersera mentre colla mia famiglia mi recavo al teatro Comunale di Bologna per compiere un gentile atto di amicizia ed amore alla memoria di Giuseppe Martucci ( invitatovi dal Podestà della suddetta Città per una religiosa ed artistica commemorazione, non per una serata di gala), venni aggredito, ingiuriato e colpito replicatamente al viso da una masnada inqualificabile, essendo presente in Bologna il sottosegretario degli Interni. Non pienamente soddisfatta di ciò la masnada ingrossata nelle sue fila si recò minacciosa sotto le finestre del grand hotel Brun, dove io abitavo, emettendo ogni sorta di contumelie e minacce contro di me, non solo , ma uno dei suoi capi per il tramite del maestro Respighi mi ingiungeva di lasciare la città entro le sei antimeridiane, non garantendo in caso contrario la mia incolumità. Questo comunico a Vostra Eccellenza perché sia per il silenzio della stampa o per fallaci informazioni Vostra Eccellenza non potesse avere esatta notizia del fatto e perché del fatto resti memoria. Ossequi. Arturo Toscanini “ “ Il Capo del Governo non rispose. Il 16 Maggio mi fu tolto il passaporto per l’estero ed ebbi vigilata la casa”. Toscanini si era rifiutato di far suonare “ Giovinezza” che era l’inno del regime e la Marcia Reale. Riuscirà poi a partire per gli Stati Uniti dove gli creeranno un’orchestra tutta per lui con i migliori esecutori , la NBC. Non tornerà più in Italia sino al 1946, a Scala ricostruita. Intanto qui a Milano, dopo i tragici bombardamenti dell’agosto del’43, si discuteva su cosa fare del Teatro alla Scala. Alcuni ingegneri e architetti ritenevano che i danni fossero tali da richiederne l’abbattimento e la successiva ricostruzione a tempo debito in forma più moderna e nazionalpopolare .Pensavano fosse “un teatro d’élite, precluso a gran parte della società, concepito come lontano dai cambiamenti che la società potrà subire al termine del conflitto”. Altri ,fra cui l’ing. Secchi, sostenevano che si potesse e si dovesse salvare anche perchè la Scala è uno dei simboli di Milano, uno dei suoi monumenti con il più alto valore storico , a prescindere da motivazioni di carattere tecnico o finanziario. Inoltre, la Scala era stata gravemente danneggiata ma non in modo tale da dover essere abbattuta e ricostruita dalle fondamenta. Oltre a ciò vi era anche da considerare il fatto che una buona parte dell’attrezzatura scaligera con i suoi dispositivi, per allora d’avanguardia, si era salvata . Tra le tante voci che parteciparono al dibattito, anche sui quotidiani, vi furono quelle di grandi architetti come Peressutti, Ponti, Belgioioso e Rogers. Ernesto Rogers, all’inizio uno dei più contrari alla ricostruzione, si convertirà successivamente, dando atto che la scelta migliore fosse stata quella di ripristinare il teatro come era prima. Fortunatamente prevalse la tesi sostenuta dall’ing. Secchi che subito si mise al lavoro per far sgomberare le macerie, demolire le strutture pericolanti e coprire la sala con una tettoia in legno e cartone catramato, sorretta da una struttura di tubi di ferro. Ciò permise di evitare che l’inverno peggiorasse la situazione, in particolare le condizioni statiche e quanto rimaneva dei fregi e delle parti decorative. D’altronde Milano non si era fermata anche se duramente provata. I negozianti di Via Manzoni avevano collocato dei tavoli sui marciapiedi per continuare i loro commerci; i teatri e i cinematografi continuavano a funzionare. Era in quel periodo Sovrintendente della Scala il celebre musicologo Carlo Gatti . Non esisteva una direzione artistica , come la intendiamo oggi. Quella, con carattere indipendente dal Direttore d’Orchestra, verrà creata da Ghiringhelli nel 1945. Tutta la responsabilità spettava dunque a Gatti che seppe organizzare , nonostante il periodo fosse drammatico, delle stagioni comunque apprezzabili, coadiuvato da Direttori di grande valore come Mario Rossi, Tullio Serafin e Gino Marinuzzi . La Scala proseguì dunque la sua attività, prima al Teatro Sociale di Como, poi al Teatro Donizetti di Bergamo per la sua stagione lirica invernale. Nel Maggio del ‘ 44 tornò a Milano presso il Teatro Lirico che era stato anche lui danneggiato ma in modo fortunatamente meno grave per cui era stato subito restaurato. In Estate Gatti decise di svolgere i concerti sinfonici al Castello in modo da permettere una maggiore affluenza di pubblico popolare. In Autunno si ritornò al Lirico con una stagione interamente dedicata a Puccini di cui ricorreva il ventesimo anniversario della morte. All’inizio del’45 Marinuzzi sostituì Gatti alla sovrintendenza . Il sipario del Lirico si chiuse il 24 Aprile, alla vigilia della Liberazione, con il Don Giovanni di Mozart, e con i soldati tedeschi muniti di mitra anche all’interno del teatro Fu l’ ultima opera che il Maestro Marinuzzi diresse. Morirà infatti qualche mese più tardi. Il 9 Maggio 1945 il Maestro Antonino Votto diresse un concerto in onore delle truppe alleate e dei patrioti italiani al teatro Lirico e quattro giorni dopo una bella rappresentazione di Bohème con il tenore Giovanni Malipiero.

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