NOBILTÀ E CHIESE NEL MEDIOEVO e altri saggi

Scritti in onore di GERD G. TELLENBACH

a cura di C. VIOLANTE

]OUVENCE MARIO NOBILI

FORMARSI E DEFINIRSI DEI NOMI DI FAMIGLIA NELLE STIRPI MARCHIONALI DELL'ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE: IL CASO DEGLI

Il collettivo Obertenghi viene comunemente usato nella letteratura storio- grafica italiana per designare i dicendenti di - marchese della marca cosiddetta della « orientale» e conte del Sacro Palazzo con Berengario II ed Ottone I, attestato come vivente fra il 945 ed il 972 -, considerato come capostipite, fino alla VII generazione (primo quarto del secolo XII) l. È opportuno subito notare che sfogliare i documenti del periodo alla ricerca del termine è fatica vana. Iltermine infatti è una creazione erudita dei genealogi- sti del secolo XIX 2. Probabilmente esso fu esemplato - in conformità e ad imitazione di collettivi designanti stirpi regie e nobiliari notissime (ad esempio, Merovingi, Carolingi ecc.) - sull'aggettivo obertingus: aggettivo ilcui uso è atte- stato nella documentazione del secolo XI per indicare luoghi o beni o complessi di beni della famiglia ubicati in Toscana (contee di Pisa, Lucca, Volterra e Arez- zo), o anche, nella espressione Terra abertinga, l'intero complesso dei beni posse- duti dalla famiglia nella regione 3. Non fu dunque in uso - o almeno la documentazione giunta fino a noi non ne ha lasciato traccia - un termine, trasmissibile di generazione in genera- zione, che valesse per tutti gli appartenenti alla fascia genealogica che siamo soli- ti definire come Obertenghi: vale a dire un cognome.

1 Cfr. la tavola genealogica. In essa compaiono tutti gli obertenghi maschi che al- lo stato attuale delle ricerche sono stati identificati. 2 U terrnine non si trova, ad esempio, in L.A. MURATORI,che nel primo volume delle sue Antichità estensi (Modena 1717), ha offerto la trattazione più sistematica ed esauriente dei discendenti di Oberto I.U termine Obertenghi è entrato nella letteratura storiografica nel corso dell'Ottocento; ed è stato imposto ed ufficializzato, per cosi dire, soprattutto dall'opera di C. Desimoni (Sulle marche d'Italia e sulla loro diramazione in marchesati, in «Alti della Società figure di Storia Patria», 28, 1891, pp. 1-338). Nella storio- grafia tedesca che, a partire da G.G. Leibniz, ha coltivato parallelamente a qùella italia- na lo studio sulla grande famiglia, il termine utilizzato per designare la discendenza di Oberto I, almeno fino alla V o VI generazione, è quello di Otbertiner. (Cfr., ad esempio, H. BRESSLAU,Das haus der Otbertiner oder Estenser, in Jahrbücher das Deutschen Reichs unter Konrad II, Berlin 1879, pp. 414-430). J Cfr. M. NOBILI,La tetra «ubertenga» aretina, in Arezzo ed il suo territorio nell'Al- . lo Medioevo, Calosci-Cortona 1986, pp. 118-119, nota 30.

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Solo a partire dalla settima generazione si afferma e si diffonde l'uso - di cui già nella generazione precedente si erano manifestati sparsi e timidi accen- ni - del soprannome: soprannome che si affianca al nome di ogni singola perso- ne e che ben presto, talvolta nel giro di una generazione, si fissa in cognome; giacché esso viene trasmesso, quasi per cosl dire in eredità, dal padre a tutti i suoi figli. Tale fenomeno si verificò a livello delle generazioni che vissero nella prima metà del secolo XII. Fu allora che i vari rami usciti dal gran ceppo obertengo, identificatisi del tutto gli uni di fronte agli altri, si organizzarono come casati autonomi (domus); ciascuno dotato di un proprio sistema di signorie, dislocate in zone di loro prevalente influenza, e ciascuno tendente a strutturarsi dinastica- mente: donde anche la fissazione del nome di famiglia o cognome: Malaspina, Estensi, Pelavicino, Marchesi di Gavi, Marchesi di Massa-Corsica, Marchesi di Parodi 4. 2. Già queste elementari constatazioni e rilevamenti possono introdurre tutta una serie di domande nella cui stessa formulazione e nelle strategie di ricer- ca cui possono dar luogo quasi si distilla il travaglio di sperimentazione più origi- nale di buona parte della medioevistica europea di questi ultimi decenni 5. Se infatti ci proviamo, ad esempio, a ricercare e descrivere i presupposti e le ragioni dei fenomeni che sopra abbiamo registrato: e cioè della assenza fino ad un certo momento di un nome di famiglia e da un certo momento in poi del suo fissarsi, e delle modalità del suo formarsi, ecco che noi non possiamo fare a meno di imbatterci nelle questioni della struttura della fàmiglia e della parente-- la, della coscienza che singoli e gruppi familiari e parentali hanno di loro stessi e del proprio passato, e della evoluzione e modificazione che tale coscienza e me- moria e strutture hanno subito nel periodo considerato: periodo da questo punto di vista estremamente significativo nella storia della aristocrazia europea, come da tempo hanno mostrato gli studi di Geni Tellenbach, Karl Schmid, Karl Ferdì- nand Werner, Georges Duby, l.eopold Genicot, Cinzio Violante, tanto per citare . gli storici più eminenti 6.

4 Su ciò vedi da ultimo M. NOBIU, L'evoluzione delle dominazioni marcbionali in relazione alla dissoluzione delle circoscrizioni marchionali e comitali ed allo sviluppo della politica territoriale dei comuni cittadini nell'Italia centro-settentrionale (secoli XI e XIl), in La Cristianità dei secoli XI e XII in Occidente: coscienza e strutture di una società, (Atti della ottava Settimana internazionale di studio Mendola, 30 giugno-5 luglio 1980), Mi- lano 1983, pp. 235-258. , Per un sintetico quadro d'insieme problematico e bibliografico si vedano, ad esempio, la rassegna di A. GUEIlREAU-JALABERr, Sur /es structures de parenti dans l'Euro- pe médiévale, in Anna/es E.S.C., (1981),2, pp. 1028-1049; ed iIlibro di J. GOODY, Fami- glia e matrimonio in Europa. (Origine e sviluppo dei modelli familiari dell'Occidente), Mi- lano 1984. 6 Numerosi sono ormai i contributi che i singoli autori sopracitati hanno dedicato all'argomento. Per una messa punto sintetica, metodologica e storiografica, si consideri i1libro Familie et parenti dans J'Occident médiéval. (ktes,du colloques de Paris - 6, 7, 8 Juin 1974 - organisé,par l'Ecole Pratique des Hautes Etudes en collaboration auec le Collège de France et l'Ecole Française de Rome), Rome 1977.

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Ora è a proposito di tali questioni - la terminologia stessa ci avverte _ ehe, forse più che in altri settori, l'attuale medioevistica si pone a confronto con i metodi di altre scienze umane, come l'antropologia e la linguistica. Non è infatti azzardato dire che, per certi versi, i medievisti impegnati in tal genere di ricerche a quelle discipline si sono rivolti, se non proprio per mutua- re, certo per trarre ispirazione nel forgiare gli strumenti necessari a descrivere la realtà familiari e parentali della aristocrazia del periodo, a capirne la disloca- zione all'interno della società nel suo complesso e infine a coglierne il modo di essere e le trasformazioni all'interno della società stessa e nel nesso con le strut- ture economiche, sociali e politiche e culturali 7. All'interno di tali preoccupazioni metodologiche e storiografiche si muove - almeno nelle intenzioni - questa ricerca. La struttura della famiglia e della parentela, lo strutturarsi dinastico, la coscienza parentale e familiare di una delle maggiori stirpi marchionali della italia centro-settentrionale - quale è quella de- gli Obertenghi - sono infatti alcuni dei temi che cercherò di affrontare, magari soltanto sfiorandoli, nel trattare l'argomento che fornisce il titolo a questo ar- ticolo. 3. Come oggetto di base dell'indagine può essere assunto iltesto costituito dalla genealogia degli Obertenghi: vale a dire l'insieme dei nomi, doppi nomi, nomi più soprannomi portatidai dicendenti di Oberto Inel corso delle sette ge- nerazioni considerate. Si tratterà di individuare e .descrivere i criteri o le. regole in base Il cui nomi, doppi nomi, soprannomi si distribuiscono fra i membri delle varie generazioni, e in base a cui variano o meno da una generazione all'altra, e poi di cercare di cogliere ilsignificato di tale sistema di distribuzione, delle in- varianze, varianze ed innovazioni: di spiegare cioè il significato del testo rappor- tandone la superficie alle cosidette strutture profonde che presiedono alla suaco- stituzione 8. Ho parlato di testo: non a caso; ma forse, a prima vista, non propriamente. Si tratta infatti di un testo molto speciale, sulle cui peculiarità è opportuno spen- dere qualche parola. . Georges Duby ha, da tempo, distinto opportunamente due tipi di genealo- gie: quelle ricostruite dagli eruditi e dagli storici, e quelle stilate dai contempora- nei, che sono il prodotto diretto dell'ambiente che noi vogliamo studiare 9. $010 a proposito delle genealogie di quest'ultimo tipo, che éi offrono l'immagine che all'interno dei gruppi aristocratici in un certo momento si aveva della parentela

1 Interessanti osservazioni metodoligiche ed anche spunti di 'ricerca appropriati al . periodo è all'argomentcrdi cui ci occupiamo in C. UVI-STRAUSS, Histoire et Ethnologie, in «Annales E.S.c.» 38 (1983), pp. 1217-1231. 8 L'eventuale lettore non particolarmente versato in semiotica non si infastidisca per l'uso di questa terminologia tecnicizzata. In effetti mi avvalgo, seppur in modo rudi- mentale, della nozione di «testo» quale è formulata dalla moderna semiotica, in partico- lare quella sovietica. (Cfr., ad esempio, V. IVANov,J.M. LorMAN,A.M. PJATIGORSKIJ, Topo. ROV, B.A. USPENSKIJ, Tesi sullo studio semiotico della cultura, 1980). 9 G. DUBY, Structures de parenté et noblesse dans la France du Nord au Xltet XIIt siècles, in Hommes et structures du Moyen Age, Paris-Le Haye 1973, pp. 267-285.

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Mario Nobili e della ascendenza, è possibile parlare di testo genealogico: testo che è prodotto individuale o collettivo di un dato ambiente culturale, che ha proprie regole e criteri di costruzione, che ha scopi e funzioni, è destinato ad un certo pubblico ed ha una sua committenza. Nd primo caso invece tutt'al più si potra parlare di testo genealogico come prodotto storiografico, frutto dell'opera di ricostruzio- ne, che a volte dà risultati divergenti, degli eruditi e degli storici. Anche le genea- logie di questo tipo tuttavia - quelle ricostruite dagli storici - possono in real- tà, con opportuni accorgimenti, essere considerate come testi nel senso sopra in- dicato: come prodotto di un determinato ambiente culturale e sociale ed essere assimilate agli schemi genealogici composti in quell'ambiente. Nulla infatti ci vieta di considerare come un testo le trame ed il reticolo dei nomi, doppi nomi, nomi e soprannomi e poi nomi e cognomi che ciascuna gene- razione ha dato a se stessa, o ha ereditato dalla precedente ed eventualmente tra- smesso alla seguente. Un testo dunque - è necessario aggiungere - che si pre- senta come prodotto collettivo di ~iù generazioni di una medesima discendenza. Peculiarità questa da sottolineare. E per essa, infatti, che il testo genealogico cosi costituito viene a caratterizzarsi rispetto alle genealogie che sono espressione di- retta della coscienza della dinastia e della parentela di membri di una certa gene- razione in un certo periodo; ed è in virtù di questa peculiarità che questi testi ci offrono le loro più specifiche informazioni. ~ analisi del distribuirsi delle deno- minazioni lungo le linee verticali della discendenza e lungo quelle orizzontali dei vari livelli di generazioni, con le loro combinazioni, varianze, invarianze, innova- zioni ci può fornire indizi significativi, e darci anche un'idea generale, circa la coscienza che isingoli hanno del gruppo parentale, della loro ascendenza, e inol- tre il senso di identità collettiva che esiste all'interno dei vari livelli di generazio- ne, e infine e soprattutto quasi ci permette di cogliere il grado di permanenza e di trasformazione di questa coscienza ed identità nel succedersi delle genera- zioni. Nel sistema dei nomi si può considerare infatti incorporata la memoria de- gli avi e ad un tempo il grado di solidarietà parentale, e le sue moficazioni posso- no registrare il venir meno o l'allentarsi di tale memoria e identità e solidarietà e viceversa. N aturalmente le informazioni andranno estratte dal corpo del testo. E que- sto è quanto finalmente ci accingiamo a fare analizzando il testo costituito dalla genealogia degli Obertenghi. 4. La genealogia obertenga è oggetto di ricerche erudite da almeno tre se- coli. Se ne occuparono agli inizi del XVIII secolo Goffredo Guglielmo Leibniz e Ludovico Antonio Muratori; nel secolo scorso, fra gli altri, Pompeo Litta e Cor- nelio Desimoni; e poi, nei primi decenni di questo secolo, Harry Bresslau, Bene- detto Baudi di Vesme, Ferdinando Gahotto, Uhaldo Formentini, Antonio Mana- resi io, In una ipotetica storia della storiografia genealogica si può dire che le ri- cerche su questa genealogia abbiano un valore paradigmatico. Allo stato attuale

lO Cfr. F. GABanD, Gli Obertenghifino alla pace di Luni, in «Giornale storico della », IX (1918), pp. 3-46; M. NOBn.J, Gli Obertenghi: genealogia e vicende (945-1124),tesi di laurea, discussa nella Facoltà di Lettere della Università di Pisa, relato- re prof. C. Violante, anno accademico 1967-68.

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delle ricerche, delle diverse ricostruzioni della genealogia quella di Ferdinando Gabotto è da ritenere la più valida. E questa dunque che assumiamo come testo su cui condurre l'analisi; analisi i cui risultati - come vedremo - offriranno conferme alla validità della ricostruzione genealogica del Gabotto. Vi sono alcune peculiarità che ad una prima ricognizione del nostro testo genealogico balzano subito all'occhio. Innanzitutto i nomi di Adalberto e di Oberto, Essi si ripetono con fre- quenza di generazione in generazione; sia fra i discendenti di Adalberto I (i . membri della cosiddetta linea adalhertina) sia fra quelli di Oberto II (i membri della cosiddetta linea obertina). In un certo senso essi possono essere considerati come i «nomi guida» della discendenza; (anehe se non in senso strettamente tecnico) u A livello della terza generazione nella linea obertina possiamo notare una al- tra singolare peculiarità: il cosiddetto «doppio nome»: Adalberto-Azzo, Oberto- Obizzo iz il fenomeno si ripete anehe in una persona della generazione succes- siva (Adalberto-Azzo II); poi scompare. Si forma invece una tradizione il secondo nome (Azzo, Obizzo) del doppio nome. A partire dalla V generazione, infatti, nella linea obertina gli Azzi e gli Obizzi, - nomi che saranno diffusi fra gli Estensi ed i Malaspina -, si ripetono con frequenza. A livello della VI .generazione nella linea adalhertina compare per la prima volta, con Al~rto IV «Rufo», il soprannome 13. il fenomeno si generalizza con

11 Vedi in proposito K.F. WERNER, Liens de parenté et noms de petsonne. Un problè- me bistorique et métbodologique, in Familie et parenté dans I'Occident médiéval, cit., pp. 13-18 e 25-34; K. SCHl-IID, Remarque sur la coscience de soi des Staufen, in Familie et pa- renté, cit., pp. 49·56. 12 Nella documentazione la denominazione di questi due membri della famiglia si presenta, rispettivamente, in queste forme: «Al.bertus qui AI:.zo vocatur» e «Opertus qui et Opizo (tho)»; o anche, (più spesso), con il secondo ,nome del doppio nome: cioè ri- spettivamente: «Azo», «Azoni»: «Opizo»; «Opitioni», E da notare che l'altro ohertengo attestato con il doppio nome, e cioè il figlio di Adalberto Azzo I, quell'Adalberto Azzo II(<

81 Mario Nobili la generazione successiva, sia nella linea adalbenina sia in quella obertina. (Nel caso dei Malaspina e dei Pelavicino sarà quel soprannome a fissarsi in nome di famiglial+'. Fatte queste rilevazioni cerchiamo di ragionarci sopra. A ben considerare una lettura del nostro testo centrata sulla evidenza dei fenomeni sopra elencati (ripetizione dei nomi di Adalberto e di Oberto, doppio nome, soprannome) ci induce a constatare in esso la presenza combinata di due tensioni: una tendenza a mantenere ed una spinta a modificare l'equilibrio del sistema onomastico e denominativo. Espressione della prima tendenza può esse- re considerato il ripetersi dei «nomi guida» Adalberto ed Oberto. Il fenomeno è un indizio di un atteggiamento comune a tutti gli Obertenghi nei confronti della loro tradizione onomastica; atteggiamento che tende alla salvaguardia della stessa e che potremmo definire di «conformismo temporale», cioè di fedeltà alla tradizione. Questo atteggiamento appare dominante all'interno del sistema ono- mastico del gruppo parentale almeno fino alla generazione dei soprannomi. Cal- tra tendenza, che è imposta - come vedremo - dalle cose, e che combinandosi con la prima porta all'innovazione del doppio nome, agisce, per così dire, in for- ma subalterna: almeno all'inizio. Consideriamo infatti attentamente il fenomeno del doppio nome. Esso si verifica nella linea del secondogenito (Oberto II) a livello della terza generazione, che corrisponde alla quarta generazione della linea del primogenito (Adalberto I). Dei tre figli maschi attestati di Oberto II due portano il doppio nome: Adalberto - Azzo (I) (<

14 Gli Obertenghi appartenenti alla VII generazione nel ramo adalbertino e alla VI nel ramo obertino portano tutti, ad esclusione di quelli del ramo estense, e di un Gui- do (III) dei marchesi che poi saranno detti «de Gavi» (di Gavi), (il quale è tuttavia atte- stato una sola volta e come defunto, e del quale è incerta l'identità), il soprannome conti- nuativamente (cfr. Tavola genealogica). Di questi soprannomi solo quelli di Oberto (VI) «Pelavisinus» e di Alberto «qui dicitur Malaspina», si fisseranno in cognome con la ge- nerazione successiva. E appunto a livello di questa generazione (VIII del ramo adalberti- no e VII di quello obertino) che si fissano stabilmente i nomi di famiglia, in corrispon- denza dello strutturarsi delle domus marchionali uscite dal ceppo obertengo, Solo nel caso dei «Malaspina» e dei «Pelavicino.. il nome di famiglia, o delle domus, o della dina- stia marchionale, è derivato dal soprannome portato dai due marchesi (Alberto e Oberto VI) che fungono da nuovi capostipiti. Negli altri casi sarà il centro principale delle ri- spettive dominazioni signorili (i cosiddetti «marchesati..), il «Domede terre.., a fornire la denominazione alle domus, o nuove schiarte marchionali: donde appunto i«marchio- nes de Massa», i «marchiones de Parodi», i «marchiones de Gavi», i «marchiones de Este». La fissazione di queste ultime denominazioni avviene dagli anni 50 agli anni 80 del secolo XII. " Sarebbe interessante poter stabilire in che modo questo nome sia entrato a far parte dello stock onomastico obertengo. Esso si ritrova, nelle successive generazioni, sia nel ramo obertino sia in quello adalbertino (cfr. Tavola g_enea/ogica).Degli altri nomi che compaiono nell'albero genealogico e cioè Guido, Guglielmo, Amedeo, Guelfo, e Folco, solo i primi due hanno un certo successo. Ma Guido entra nel sistema denominativo (nella linea adalbertina) solo a livello della V generazione, mentre Guglielmo addirittura

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si ipotizza ~'esistenza di un Oherto (ipotetico progenitore dei Pelavicino), figli ambedue di un Oberto premorto al padre Adalberto II. Ci troviamo dunque di fronte ad una linea orizzontale cosiffatta: Oberto, Adalberto, Adalberto-Azza, Oberto-Obizzo, Ugo. Se proviamo a semplificare togliendo il secondo nome del doppio nome, tale linea risulta così: Oherto, Adalberto, Adalberto, Oherto, Ugo, Non sembra arduo, a questo punto, tenuto conto del fatto che i rispettivi genitori sono omonini (Oberto è il nome sia del padre dei primi due' sia del padre degli altri tre), spiegare il doppio nome: esso assolve una funzione che potremmo definire «disambiguante» all'interno del gruppo parentale; funge da elemento di- stintivo fra l'uno e l'altro Adalberto, fra l'uno e l'altro Oherto. Si intende così perché ad Ugo non venga aggiunto un secondo nome. Se cosi è allora l'analisi ci ha rivelato che ci troviamo di fronte, a livello della generazione presa in esame 16, ad un g:uppo parentale coeso, cosciente della propria comune ascendenza, che anche su questa coscienza fonda la sua identità parentale, e che ha un forte senso della propria identità rispetto all'esterno: il che anche vuoI dire, data la posizione dei nostri, autonomia rispetto al potere regio e rispetto a famiglie di eguale rango e posizione con le quali eventualmente siario .. entrati in rapporto matrimoniale 17. I nostri obertenghi insomma imporranno

solo alla VII. (Ma lo troveremo poi anche fra i Malaspina). Amedeo compare solo una volta, nella linea obertina a livello della V generazione, Guelfo e Folco sono dovuti alla politica matrimoniale di Adalberto Azzo (11). Gran cacciatore di mogli e procacciatore di doti per sé e per i figli, costui si sposò tre volte. Dapprima con Cunizza, figlia di Guelfo IIconte di Altdorf, possessore di vasti beni in Svevia e in Baviera, dalla quale ebbe Guelfo (IV), cui andò tutta la vasta eredità dei Guelfi. Contrasse poi un secondo matrimonio con Gersenda figlia del conte del Maine, Erberto Svegliacane, vassallo del conte di Angiò Goffredo il Martello: da questo matrimonio nacquero Folco ed Ugo. Di un terzo matrimonio con una certa Matilde, vedova del marchese obertengo Guido, e della quale lo stesso Adalberto Azzo (II) era parente in quarto grado, ci informa una let- tera del papa Gregorio VII, con la quale si contestava al marchese la validità del matri- monio (<

83 Mario Nobili eventualmente la loro tradizione onomastica, offriranno più che ricevere nomi. Fedeltà alla tradizione onomastica forse significa anche coscienza di discendere da un conte del Sacro Palazzo, quell'eillustris marchio Otberrus», come lo defini- sce lo storico Liutprando 18, che esercitò la carica in un momento particolar- mente fondante per la aristocrazia del regno italico, quello di Ottone I, e che dello stesso imperatore fu il principale fautore 19. Al tempo stesso l'analisi ci ha rivelato la necessità obbiettiva, cogente della innovazione per permettere la definizione della identità personale all'interno del gruppo parentale. È a questa necessità che risponde l'uso del doppio nome. A questo punto per chiarire ulteriormente ilfenomeno è opportuno sincro- nizzarlo con un altro fenomeno, cui sono interessati i membri di quella stessa generazione'; la suddivisione, o meglio, due successive divisioni del patrimonio. (In tal modo - fra l'altro - noi attingiamo una delle strutture del testo genea- logico). Da un famoso documento del 18 ottobre 1124, cosiddetto della «pace di Lucca» 20, noi sappiamo che, proprio a livello della generazione che finora ab- ' biamo considerato, il patrimonio obertengo subì due successive divisioni. La t0- talità di esso fu dapprima suddivisa in due metà. Una prima toccò («receperunt comuniter» secondo che si esprime ildocumento) al proavo del Pelavicino ed al proavo di Guglielmo Francigena, (vale a dire Oberto III e Adalberto IIdella li- nea adalbertina); l'altra metà andò al proavo del Malaspina ed all'avo di Azzo mar- chese, (cioè, Oberto III Opizzo I e Adalberto Azzo I1). In un secondo momento questi ultimi due divisero ulteriormente la parte loro toccata (<

18 LIUTPRANDl, Histona Ottonis, ed. E. BECKER, MGH (Scriptores in usum schola- rum), II, 38-39, pp, 54-55, 19 Su ciò vedi M. NOBIU, La cultura politice al"" corte di Matilde di Canossa, in Le sedi del"" cultura in Emilia Romagna, [;Alto Medioevo, Milano 1983, pp. 217-236, a p.232. 20 M. Lupo GENTILE, Il regesto del Codice Pelaoicino, cit., nr. 50, pp. 72-78. Si tratta della composizione di una controversia insorta tra ilvescovo di Luni e due marche- si Obertenghi (Alberto Malaspina e Guglielmo Francigena) per ilpossesso di un poggio del monte Caprione (Diocesi di Luci). La lite fu discussa di fronte ai consoli di Lucca. 21 «...mons ille namque, et coloni in eo et circa eum residentes, in quo predictus pogius est, ita divisi fuerunt. Medietatem namque, per certa et divisa Ioca receperunt ad se comuniter proavus Pelavicini et proavus Wilielmi Francisci; aliam vero medieta- tem, similiter per certa et divisa Iaea, receperunt ad se comuniter proavus Malaspine atque avus Athonis marchionis, in quam partem sine dubio predictus pogius totus venit et fuit. Postea vero supradictus avus Malaspine et avus Athonis marchionis inter se divi- serunt suam partem, et predictus pogius in partem tantum proavi Malaspine venit atque fuit». 22 Il necrologio del monastero di San Savino di registra come data di morte di Adalberto II il5-1-1034(cfr. F. NEISKE, Das altere Neerclog des Klosters S, Savi- no in Piacenza - Edition und untersuchung der An""ge -, München 1979, p. 120 e pp. 255-256). E la stessa data che si legge nella epigrafe funeraria dedicata al marchese esi-

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chienis» furono condannati in blocco dai messi dell'imperatore Enrico IIinun placito Aretino del marzo 1014, in seguito alla sommossa, cui gli Obertenghi eb- bero parte, contro l'imperatore tedesco avvenuta a Roma nel febbraio di quell'an- no; condanna che fu ripetuta qualche mese dopo con un diploma dello stesso imperatore diretto appunto contro «Otbertum marchionem et filios eius et Al- bertum nepotem illius» 23. A quel tempo, come i passi citati chiaramente atte- stano, il gruppo obertengo era ancora del tutto unito setto la guida del vecchio Oberto II24. Ma con le due divisioni le maglie cominciano ad allentarsi. So- prattutto con la seconda, che nel caso del proavo del Malaspina e di quello di Azzo marchese avvenne fra zio e nipote (anche se il nipote - che era Adalberto Azzo II- non doveva essere molto più giovane dello zio, dacché era nato nel 996 e morirà ultracentenario). Ora è possibile - almeno relativamente a certi possessi - che tali divisioni siano avvenute «per certa et divisa loca» 25; cioè

stente nel monastero di Castione dei Marchesi, su cui vedi U. FORMENTINI,Marca Ja- nuensis. Nuove ricerche intorno alla marca della Liguria orientale, Pontremoli 1926, p. 5; e M. NOBILI, Sviluppo e caratteri della dominazione obertenga in Corsica fra XI e XII se- colo, cit., p. 8. 23 Cfr. I placiti del «R.egnum ltaliae», a cura di C. MANARESI,Roma 1955-1956, II/2, nr. 281, pp. 525-527; MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, Heinriet II diplomata, nr. 321, p. 403. Ma su queste vicende vedi M. NOBILI, La tetra «uberten- ga» aretina, cit., pp. 112-115. 24 überto II è attestato come vivente, per l'ultima volta in un documento del lO luglio 1014, (Ed. L. BEl.GRANO,Il registro della curia arcivescovile di Genova, in «Archi- vio della società ligure di Storia patria», II, 1873, I, nr. 62, p. 93). Probabilmente überto II non sopravvisse di molto a tale data. Nel documento si afferma che il marchese, a causa della sua infermità, non poté apporre di suo pugno la sottoscrizione. 2' È l'espressione usata, nel lodo del 1124, dall'avvocato dei marchesi Alberto Malaspina e Guglielmo Francigena, Guglielmo «de Apulia», per definire il metodo che gli Obertenghi avrebbero applicato nelle divisioni patrimoniali. In particolare, secondo l'avvocato dei marchesi, tale metodo sarebbe stato usato nella divisione del monte Ca- prione, Il poggio in questione sarebbe stato in tal modo attribuito, con la prima divisio- ne, al proavo del Malaspina e all'avo del marchese Azzo; in seguito poi alla seconda divi- sione, avvenuta fra ilproavo del Malaspina e l'avo del marchese Azzo, il poggio sarebbe toccato al proavo del Malaspina. La tesi sostenuta dall'avvocato dei marchesi mirava ad inficiare i diritti che il vescovo affermava di avere sul poggio. L'avvocato del vescovo, Maginardo di Pontremoli, sosteneva infatti che la maggior parte del poggio era di pro- prietà della Chiesa di Luni, dacché il vescovo Filippo aveva comprato la parte del mar- chese Folco (<

85 Mario Nobili con l'attribuzione ai singoli di ben precisi lotti di proprietà. Data la consistenza di quell'immenso patrimonio e la sua diffusione (era sparso per ben venti contee del «regnum»), la distribuzione fra i singoli sarà avvenuta in modo tale che i sin- goli stessi avessero i beni concentrati in certe regioni o zone o territori ad esclu- sione degli altri; ma in certi casi, sia per la natura dei beni sia per altri motivi, avvenne che, non solo all'interno di uno stesso territorio, ma addirittura di uno stesso luogo, tutti o alcuni dei membri della parentela avessero ciascuno la pro- pria parte dei beni: donde anche la necessità di precise confinazioni sul terre- no 26. Ma di qui veniva anche l'esigenza nella pratica notarile di distinguere fra loro i vari Adalberti ed Oberti. Ed ecco, per tornare al nostro testo, individuato uno dei possibili motivi della aggiunta nei documenti del secondo nome al pri- mo. A questo proposito è necessario sottolineare l'estrema importanza delle prati- che notarili nella fissazione delle denominazioni individuali e collettive. Non è, d'altronde, proprio dagli atti privati di compravendita e donazione, oltre che dai placiti, che noi veniamo a conosc_ere i nomi dei nostri p<:rson~i nella loro for- ma più compiuta: «Adalbertus qui et !v:::zo»; «Obertus qui Opitho vocatur» e ca- si via? 27.

al suddetto vescovo (eilla se dedisse, pro communi, predicto episcopo"); e che nessuna divisione era stata fatta del poggio (<

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Per tornare, in conclusione, alle due tensioni la cui presenza combinata ab- biamo visto operante nella risultanza del doppio nome; e cioè, da un lato la ten- denza alla fedeltà alla tradizione onomastica in ambedue le linee di discendenza , e dall'altro la necessità della definizione della identità personale all'interno del gruppo parentale, dovremo dire che l'adozione del sistema dei doppi nomi indica ilprevalere della tensione che spinge alla coesione, al mantenimento di una iden- tità collettiva, rispetto alla tendenza alla dissociazione Interna. E ciò nonostante la pratica delle suddivisioni patrimoniali, anche eventualmente secondo il crite- rio della assegnazione dei beni «per certa et divisa loca». Uno dei fattori del prevalere di tale esigenza può essere costituito dalle mo- dalità dell'esercizio del potere marchionale. Almeno fino alla metà del secolo XI si può dire, pur con tutte le riserve e le cautele del caso, che il potere marchionale, in quanto tale, sia. ancora funzio- nante. I marchesi tengono placito nelle circoscrizioni comitali che costituiscono la cosiddetta marca della «Liguria orientale», proteggono i beni ecclesiastici, ten- gono a bada i gruppi signorili emergenti nelle città e nei contadi, sono ricono- sciuti come rappresentanti legittimi del potere regio 28. Ora nell'esercizio di questa funzione i membri della famiglia, fino alla metà del secolo XI, appaiono spesso uniti. Ancora nel 1044 troviamo a presiedere placito in Rapallo, «prope litus maris», insieme un membro della linea adalbertina, Alberto III figlio di Adalberto II, ed un membro della linea obertina, ilcapostipite estense Adalberto Azza II, (<

28 Cfr. M. NOBILI, L'evoluzione delle dominazioni marchionali in relazione alla dis- soluzione Jelle circoscrizioni marchionali e comitali ed allo sviluppo Jella politica territoria- le dei comuni cittadini nell'Italia cento-settentrionale (secoli XI-XII), cito 29 Ed., in I piaciti del Regnum ltaliae, a cura di C. MANARESI, III, I, nr. 361, p. 83. JO Tenuto fermo che tutti i singoli marchesi esercitarono le funzioni inerenti l'uf- ficio marchionale e comitale, (almeno tutti i membri delle prime tre generazioni sono testimoniati nell'esercizio di presidenti di pIaciti; ma è probabile - anche se di ciò non abbiamo diretta testimonianza - che anche a livello della generazione successiva sia avvenuto lo stesso), rimane da appurare il modo in cui eventualmente si distribuirono il potere nelle varie contee costituenti la marca. (Il problema si pone dopo la morte di Oberto II, avvenuta nel 1015). Rimane anche da stabilire quale tipo di potere esercitas- sero, nel corso del secolo XI, nei territori posti fuori dalle contee costituenti la marca e dove molto cospicui erano i loro interessi patrimoniali. '

87 Mario Nobili

sua trasmissione all'interno della discendenza, e infine delle consuetudini ono- mastiche e delle forme in cui, attraverso esse, si esprime la memoria degli avi ed al tempo ste~so si manifesta la coscienza che isingoli hanno della propria pa- rentela e della propria ascendenza, noi non stiamo facendo altro che prendere in considerazione, ad uno ad uno, gli elementi che permettono di defmire la struttura della parentela ed il senso o la coscienza della ascendenza nella aristocrazia deI periodo. A quale tipo di struttura ci troviamo di fronte nel caso degli Obertenghi? Sulla base delle considerazioni che sin qui abbiamo fatto è più facile ed anche più opportuno mettere in evidenza a quale tipo di struttura gli Obertenghi non sono assimilabili. Occorre allora rilevare innanzitutto come fra gli Obertenghi non si riscontri la pratica della primogenitura. Tutti i figli maschi hanno gli stessi diritti sia per quanto riguarda il patrimonio sia relativamente al titolo marchiona- le e alle cariche comitali. Col progressivo allargarsi della discendenza ciò compor- tava, sul piano patrimoniale, la tendenza al proliferare dei rami ed al loro individuarsi, una volta che, oltrepassata la soglia della terza generazione, ilventaglio della discendenza si allarga così da distanziare eccessivamente le estremità paren- tali 31. Ma se il patrimonio poteva essere diviso, anche materialmente e non solo per quote ideali, la carica era di per sé indivisibile. Eppure non solo tutti gli Obertenghi portano il titolo di «marchio», ma tutti imembri delle tre generazio- ni che abbiamo considerato sono testimoniati nell'esercizio della pubblica fun- zione - (presiedono placiti) -, o da soli, o più spesso in coppia - (ciò avviene di regola con i due figli del capostipite) 32. In questo atteggiamento degli Ober- tenghi nei confronti della carica pubblica vi è qualcosa di singolare. Per esso si differenziano, a quanto pare, dalle famiglie marchionali dello stesso rango e della stessa importanza del «regnum Italiae», come i Canossiani e gli mar- chesi di Torino: sia negli uni che negli altri la carica viene esercitata da una sola persona, e viene trasmessa dal padre ad uno solo dei figli, naturalmente privile-

31 Gli Obertenghi professavano la legge longobarda, e praticavano di conseguenza l'individualismo successorio. (Tutti i figli maschi avevano uguali diritti di successione). Ciò portava al proliferare dei rami e al frantumarsi di un patrimonio originario; ma pote- va anche costituire un incentivo alla iniziativa dei singoli a riacquistare illivello patri- moniale dei genitori, attraverso l'attività di acquisto e di conquista. Soprattutto, però è da rilevare come proprio all'individualismo successorio sia strettamente connessa ~ congruente la mentalità consortile. La suddivisione per quote ideali, che era la forma di ripartizione corrispondente a questa mentalità, se dava a rutti la possibilità del godi- mento dei proventi di una certa azienda (<

88 Obertenghi giando il primogenito, dimodoché si afferma una spiccata mentalità dinastica 33 • Nel caso degli Obertenghi invece si rivela una sorta di accentuata mentalità con- sortile. Occorrerebbe una lunga disgressione per mettere in evidenza la rilevanza e le implicazioni di questo fatto. Anticipiamo solo alcune considerazioni provvi- sorie. In questa attitudine all'esercizio consortile dell'ufficio pubblico si manife- sta, anche a livellodella più alta aristocrazia del «regnum», uno degli aspetti più tipici della strutturazione signorile del potere nell'Italia centro-settentrionale; che consiste appunto nella possibilità, molto spesso attuata, di una sua gestione consortile. Fu fra XI e XII secolo che l'ordinamento signorile della società e del potere si precisò nei suoi contorni, assumendo i tratti di una struttura stabile ca- pace di riprodursi. In quei decenni si diffonde sempre più nella documentazione l'uso di una espressione e di un termine, che in modo particolare esprimono la nuova realtà a due diversi livelli. Si tratta della espressione «castrum et curia» e del termine «domus». Lespressione indica l'organismo cellulare che sta alla base del nuovo assetto territoriale ed istituzionale del contado: il distretto o circoscri- zione signorile che ha il suo centro in un castello (castellanìa); castello che non solo è strumento di dominio, concreto e simbolico, ma anche è soggetto di diritti pubblici. Quei diritti che trovavano applicazione (tranne che per gli enti immu- nitari) sullo spazio della intera circoscrizione comitale, si concentrano ora nelle singole castellanie in cui si è frammentata la contea: si tratta del cosiddetto pro- cesso di dissoluzione signorile delle circoscrizioni pubbliche di origine carolingia (marche e contee) 34. Contemporaneamente e parallelamente i gruppi parentali che hanno promosso l'incastellamento e che si trovano a gestire il potere signorile connesso ai distretti di castellanìa si organizzano in funzione di tale gestione: as- sumono veste e dignità di «domus», di casato, che incorpora in sé le prerogative signorili, il diritto di comandare e di punire, È un vero e proprio modello di orga- nizzazione della società e del potere che si diffonde capillarmente, in stretta con- nessione con il movimento delle istituzioni ecclesiastiche, che diquelle «domus» garantiscono prestigio e fondano la memoria, e al tempo stesso cercano di rego- larne la turbolenta e rapinosa attività proponendo anche modelli di comporta- mento etico (gli ideali cavallereschi) 35. Non è certo un caso che a partire dal se- condo quarto del secolo XI si moltiplichino le fondazioni ecclesiastiche (mona- steri, priorati, chiese) opera di questi gruppi parentali signorili che costruiscono e che gestiscono a livello capillare il potere signorile 36.

JJ Per i Canossiani cfr. M.G. BERroUNI, Note di Genealogia e di storia canossiana, in I ceti dirigenti in Toscana in età precomunale, cit., pp. 111·143; circa gli Arduinici di Torino vedi G. SERGI, Una grande circoscrizione del regno italico: la marca arduinica di Torino, in «Studi Medievali», 3s., XII (1971), pp. 637-712. )4 Cfr. P. V ACaRI, La territorialità come base del/'ordinamento giuridico del contado nell'Italia medioevale, 2a ediz. riveduta ed accresciuta, Milano 1963 (Archivio della Fon- dazione Italiana per la Storia Amministrativa). " Vedi da ultimo J. FWRY,Eessor de la Chavalerie; Xlt·XI!' siècles, Genève 1986. J6 Una funzione particolare in tal senso esercitarono le fondazioni cluniacensi ed in generale del monachesimo riformato. cfr. C. VIOLANTE, Clutty in Lombardia II Ce. sena 1981; e H.M. SCHWARZMAlER, Riforma monastica e movimenti religiosi a ~cc~ alla fine del secolo XI, in Lucca, Il Volto santo e la civiltà medioevale, Lucca 1984, pp. 71-89.

89 .\fario .\!obili

Georges Duby ha mostrato come nella regione di Mäcon il processo di strutturazione delle «domus», che si precisa alla fine del secolo XI nel contesto dello sviluppo signorile, si attui principalmente attraverso l'applicazione sempre più rigorosa della pratica della primogenirura-". Sia il patrimonio, sia i poteri di banno passano ad uno solo dei discendenti: il primogenito. Di qui l'afferma- zione, comune a tutta l'aristocrazia, di una «mentalità dinastica», che comporta anche unitarietà di comando e di gestione dei complessi signorili-feudali; e che anche è conforme con l'accento e l'enfasi posti sui legami personali nel rapporto feudo-vassallatico nelle regioni dell'Europa settentrionale. Nell'Italia centro-settentrionale invece- sembra prevalere quella che abbiamo definito come «mentalità consortile», che si esprime soprattutto nella trasmissio- ne e gestione dei poteri signorili e delle strutture materiali con quei poteri più strettamente connessi (castelli e torri). Ilfenomeno sembra riscontrarsi soprattut- to a livello della piccola e media aristocrazia. 1.0 strato superiore, quello detentore degli «honores» marchionali e comitali, almeno in un primo tempo - fino alla metà del secolo XI 38 - sembra che pratichi la primogenitura relativamente alla trasmissione dell'ufficio. Fra il pugno di famiglie di vocazione principesca il caso degli Obertenghi, che - come abbiamo notato - esercitano consortilmente la carica, appare singolare. Ma se singolari all'interno di quel gruppo, gli Oberten- ghi sono profondamente affini alle consorterie parentali protagoniste a livello lo- cale dello sviluppo signorile. In particolare a quei gruppi professanti legge longo- barda - si pensi ai «Lambardi» toscani - che proprio nei decenni intorno alla metà del secolo XI dichiarano con speciale insistenza la legge di appartenenza in relazione ad atti di disposizione patrimoniale e di pratiche successorie. È pro- pria di costoro la mentalità consortile, che si applica alla gestione dei beni comu- ni, si esprime nell'esercizio dei poteri signorili, carat~rizza la strutturazione del- le «domus» che quei poteri signorili incorporano 39. E la stessa mentalità che in fondo è presupposta dallo stesso sviluppo del fenomeno comunale. Nel chiudere la disgressione mi accorgo di aver proposto dei nessi, che non solo andrebbero maggiormente articolati per valutarne la funzionalità, ma che soprattutto dovrebbero essere verificati nel concreto della ricerca storica. Ma, pur nella loro provvisoria genericità, le considerazioni che abbiamo fatto posso-

vt G. DuBY, Lignaggio, nobiltà e CllVa/feria nel secolo XII nella regione di Mäcon. Una reoisione, in G. DuBY, Le societ4 medioevali, Torino 1985 pp. 133-165. )8 Per la Toscana cfr. C. VIOLANTE,Le strutture famiÜ4ri, parentali e consortili tklk aristocrazie in Toscana durante i secoli X-XII, cit., p. 13-14. )9 Sullo sviluppo del fenomeno consortile fra XI e XII secolo e sulla caratterizza_ zione delle stesse consorterie nel corso del secolo XII in Toscana di nuovo vedi C. VIO- LANTE, Le strutture famiÜ4ri, parentali e consortili ... , cit., pp. 28-35; e G. TABACCOÙ rapport de parenti camme instrument de domination consortÌ4le: quelque: exnnpks 'piI- montais, in Familie et parenté. .. , cit., pp. 153-158. Circa ilnesso fra strutturazione in «do- mus» e strutture sociali e politiche nel momento del primo affermarsi della organizzazio- ne politica del comune in Pisa dr. G. Rosszrn, Histoire familiale et structures sociaks et politique à Pisa aux XI et XII siècle«, in Familie et parenti, cit., pp. 159-179.

90 Oberlenghi no fungere da essenziale contesto, anche problematico, all'ulteriore svolgimento della nostra indagine. 6. Torniamo all'analisi del testo genealogico. Consideriamo la sesta genera- zione: quella dei cruciali primi decenni del secolo XII. Ci troviamo di fronte ad una radicale e generalizzata innovazione: la comparsa del soprannome. Eccetto due membri tutti gli altri lo portano: Oberto «Pelavicinus»; Guglielmo «Franci- gena»; Oberto «Brotoporrada»; Ugo «marchio Corsice»; Alberto «marchio de Gavi», Alberto «Malaspina»; Oberto «Malenevothe». Alcuni di questi soprannomi sono destinati a fissarsi in nome di famiglia: così è per i marchesi di Gavi; così per i Pelavicino ed i Malaspina 40. Questa innovazione è davvero radicale; essa ci dice che a livello di questa generazione all'interno della vasta discendenza obertenga le forme di interazione dei singoli nel gruppo parentale sono mutate; che forse il gruppo parentale dotato di identità collettiva in quanto tale non esiste più: che non si può più, insomma, parlare di Obertenghi: nuove realtà diverse e distinte si stanno formando o si sono già formate. Di queste modificazioni è quasi possibile render conto semplicemente con il descrivere il possibile meccanismo di formazione dei soprannomi. Vediamo dunque di ricostruire il possibile processo di invenzione, attribu- zione, diffusione, accettazione e fissazione del soprannome. Si può cominciare col dire che il soprannome è il risultato di un atto indivi- duale di invenzione linguistica. Una persona percepisce ed isola in un atteggia- mento ricorrente di un'altra, in un suo gesto peculiare e tipico, in una sua qualità fisica o morale o psicologica, o in chissà che altro, qualcosa che è proprio diquel- l'individuo; e, immediatamente, lo definisce con un termine 41. Ciò avviene per forza alla presenza di altri appartenenti allo stesso ambiente, i quali possono ac- cettare la attribuzione del soprannome, riconoscendola, per così dire, «calzante», oppure esitare ad accettarla, o anche scartarla. Il verificarsi del fenomeno presuppone un ambiente molto coeso, integrato, dove la gente si intende, parla lo stesso linguaggio; cosa che comporta - per usa- re una nozione di Roman Jakobson - capacità di «percezione ellittica»: la capa-- cità cioè da parte di colui che ascolta di colmare le lacune, di cogliere sfumature, sottintesi, ammiccamenti, etc. Nel caso del soprannome sarà capacità di percepì- re la sintesi significante che si è operata tra la peculiarità dell'individuo ed il so- prannome (significato ed anche sostanza fonica). Bisogna dire che la attribuzione del soprannome è un fatto necessario in ogni comunità che abbia una spiccata identità culturale; 'presuppone quel biso- gno di precisione nella individuazione, quel sovrappiù di qualificazione caratte- rizzante che il nome imposto dai parenti non riesce a soddisfare. In quanto tale il fenomeno presenta aspetti di universalità.

40 Cfr. supra alla nota nr. 14. 41 In realtà la gamma dei soprannomi è talmente ampia, e così variegato è il modo in cui la f~~i~, popola:e e non, ~isbiz~isce nella.lo~ inve.nzioneche ogni definizio- ne dei cnren di formazione degli stessi soprannomi risulta madeguata.

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Ma una cosa è l'invenzione; una cosa la diffusione del soprannome nell'am- biente in cui si forma e che lo impone all'interessato che, indifeso, è costretto ad accettarlo; un'altra cosa ancora è la sua ufficializzazione, cioè il rìconoscimen- to dell'interessato e quindi la diffusione del soprannome anche aldifuori dell'am- biente in cui è sorto: vale a dire la sua fissazione come elemento di identificazio- ne permanente di un individuo. E, per finire, è ancora un'altra cosa il suo tra- . smettersi ai discendenti di quell'individuo come nome di famiglia. Nel contesto socio-culturale dei decenni intorno al1100 sono gli ultimi due fenomeni ad essere storicamente rilevanti; anche nel caso degli Obertenghi. La fissazione del soprannome come elemento di identificazione permanente e la sua accettazione da parte dell'interessato ci dice innanzitutto che ai singoli membri del gruppo parentale viene imposta dall'ambiente esterno la parte signifi- cante e veramente connotativa della loro denominazione. Ciò è tanto più eviden- te se si considera la qualità dei soprannomi: nella maggior parte dei casi si tratta di soprannomi peggiorativi (<

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e dei marchesi Pelavicini, ed del marchese Azzo di Verona (estense) 42. Aggiun- giamo a questa lista i marchesi di Massa e Parodi e abbiamo qui elencate tutte le domus marchionali - con il termine domus espresso - uscite dal gran ceppo obertengo. 7. n fenomeno della definizione e fissazione dei nomi di famiglia o comun- que di denominazioni cognominali nei diversi strati della aristocrazia dominante è molto diffuso nell'Europa del secolo XII. La critica storiografica, laddove se ne è occupata, oltre ad accertare e descrivere i modi di formazione e diffusione, ha cercato di coglierne il significato correlandolo ad altri fenomeni di più vasta portata, di cui sarebbe espressione e insieme a cui concorrerebbe a definire un nuovo modo di essere di quella aristocrazia. La storiografia tedesca 43 ha consi- derato il fenomeno, specialmente in relazione al suo manifestarsi in dinastie im- periali o principesche, come fatto di autocoscienza, come espressione di una nuo- va coscienza di sé che si affermerebbe nel nesso con il processo di territorializza- zione - (donde il diffondersi del nome del castello di residenza o centro di pote- re come nome di famiglia) - e nel contesto delle lotte per il potere regio ed im- periale - (donde un diverso rapportarsi con il passato della stirpe). Georges Du- by, a proposito della aristocrazia regionale del mäconnaise, ha notato come i co- gnomina, - il cui uso per designare i gruppi familiari si generalizza alla fine del secolo XI 44 e che, nella maggioranza dei casi, sono «nomi di terra» (nome de terre) -, si affermino nel periodo in cui si sono formati «casati» coerenti e solida- li, signori di castellanìe indipendenti, investiti del diritto di comandare e punire, di «honores» di origine pubblica, condensati attorno ad una linea di maschi ed in cui si manifesta una mentalità dinastica. In effetti, se il definirsi ed il diffondersi dell'uso del nome di famiglia è da considerare come un segno di una nuova identità dei gruppi famigliari e parenta- li, esso va strettamente connesso con lo strutturarsi delle casate o domus signorili- feudali, che a sua volta si precisa nel diffuso processo di signorilizzazione che investe l'Europa ex-carolingia fra XI e XII secolo. È lo sviluppo di questo proces- so che, nel dissolversi dell'ordinamento pubblico di origine carolingia con l'aderi- re degli attributi della potenza pubblica alle più elementari cellule della società

42 n 23 novembre del 1166 diversi comites di Lavagna giurano fedeltà al Comune di Genova (<

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e dd territorio, provoca anche l'enfatizzazione dei rapporti di perentela t e lo speciale condensarsi di attributi di potere signorile, prestigio e memoria nelle do- mus. Ma infine che cosa si deve intendere per domus, indipendentemente - ma relativamente s'intende! - dal significato che iltermine può essumere nei diversi contesti documentari alla fine dd secolo XI e lungo il corso dd secolo xn 46? Claude Lévi-Strauss ha proposto di utilizzare il termine di «maison» - (che po- tremmo tradurre in italiano con -casato», cui potremmo far corrispondere il ter- mine «domus» di certi documenti dd XII secolo) - per designare un tipo di «formazione sociale», (che nell'Occidente europeo si individua a partire dal sec0- lo XII), distinta dalla famiglia in senso stretto, che può anche non coincidere con la linea agnatica, ma che consiste piuttosto «en un héritage material et spiritual comprenant la dignité, les origines, la parenté, les noms, et les symboles, la posi- tion, la puissance et la richesses. La «maison» è dunque una persona morale, de- tentrice di un patrimonio composto di beni materiali e spirituali; e che infine si perpetua «en trasmettant son nom, sa fortune et ses titre en ligne directe Oll fictive, tenue pour légitime a la seule condition que cette continuité puìsse s'ex- prirner dans le language de la parenté ou de l'alliance et, le plus souvent, des deux ensemble» 47. Così definita la «maison» appare, a partire dal secolo XII, come il modello di organizzazione della aristocrazia dominante in Europa, e come una delle strut- ture portanti della società europea nel suo complesso. La definizione, infine, rac- chiude una delle caratteristiche che meglio valgono a individuare l'identità delle domus: il fatto di essere organizzatrici e produttrici della propria memoria e di cultura storiografica in generale, Non è certo un caso la diffusione in tutti gli strati della aristocrazia, proprio nel corso dd secolo XII, della letteratura genea- logica; fenomeno nel cui vario manifestarsi si esprime, meglio che in ogni altro, l'autocoscienza delle singole domus signorili-feudali 48.

4' Sia C. Violante (Le strutture fami1i4ri, parenllJ/i ~ consortili ... , cit., p. 30) sia G. Tabacco (Le rapport de parenté comme instrummt de domination consoniale ... cit., p. 155) hanno notato come si assista al fenomeno di chiamare formalmente «parentela» delle as- sociazioni di famiglie che non avevano origini comuni. (E anche il caso delle «consone- rie per carta»). Si tratterebbe di una applicazione cosciente e dichiarata della esperienza della parentela alle esigenza della dominazione di gruppo. 46 G. Rossetti (5torilz familiare e struttura sociale ~ politica a Pisa nei secoli XI e XII, in Famig/ia e parentela ne//'IIIJ1i4 medioevale, a cura di G. DUBY e J. LE GOFF, Bolo- gna 1981, p. 106) cosl definisce le domus pisane: «Domus è il gruppo parentale: dei con- sanguinei formato dalle famiglie dei discendenti maschi del ceppo originario». Esse «hanno uno o più cognomi propri, ma sono unite nella attività pubblica che ese:rcitano collettivamente, nella gestione comune del patrimonio familiare, nell'esercizio di un pa- tronato su di un ente ecclesiastico di cui sono i principali benefattori, nel giulamento difide/illJs vescovile per il godimento di un bene awto in livello, nella residenza comune: in un complesso di edifici (domus) localizzati stabilmente in una parte della cittä», 47 C. LÉVl-STRAUSS, Histoire et ethnologie, cit., p. 1124. Lapplicazione più compiu- ta di questo modello inJ.E. RUIZ-DoMtNEC, L'Estructura f~/, Barcellona 1985. Dello stesso autore cfr. Estrategias matrimoniales y sistema de allianzas mire Casti/la y CaIlJIllNi en el siglo XII, in «Hispania. XL (1980), pp. 277-284. Vedi anche per il fissarsi deì co- gnomi B. GARl, E linai~ des los Caste/~//, Belleterre 1983. 48 Cfr. L. GENlcar, Les Généalogies, (Typologie des sources du Moyen A~ Occùkn- tal 15), Brepols-Turnhaut 1975.

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Per concludere ancora una osservazione circa i soprannomi poi fissatisi in • nomi di famiglia in alcuni rami obertenghi. il carattere di soprannomi come «Malaspina» e «Pelavicino», e il modo con cui si sono affermati e fissati in co- gnome indica che non si tratta di un fenomeno di «autocoscienza» e di produzio- ne ideologica voluta dagli interessati. Si tratta, come abbiamo visto, di un feno- meno che viene imposto agli interessati dall'ambiente esterno, e da essi accettato in quanto risponde ad esigenze e bisogni più generali; si tratta insomma di un fenomeno della cultura generale del tempo. Solo in un secondo periodo, nel corso del secolo XIII, quei cognomi saranno sottoposti ad un processo di ingentilirnen- to, contemporaneamente alla loro riproduzione figurata in stemmi ed insegne araldiche, e al sorgere di leggende eziologiche che investono l'etimo stesso del no- me di famiglia.

95 GE'iEAlOGIA D~GU OBERTINGHI condotta per Hnrt stmplificalt Generazioni

OBERTO I V.945-972 q. 975

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Il GLiElFO OBERro I I v ADALBERTOI 1\' RliFO UGO I GUlDOII ? FOlCO UGOII OBllZO " OBERTO IV AMEDEO di BAVIERA I. 1095 I'. 1081 v, 1076 I. 1080-1085 q. lOBO I v. 1076-1097 v.I076 Q. 1132 q. 1094 I I I I ----ì III I ) I r fa.cOIl I OBERro VI PELAVICINO I UGOII GUIDO III ALBERTO OBERTO BROTOPORRA TA GUGLIELMO fRANCIGENA OBIZZO I d'ESTE AZZOIV BONIFACIO ALBERTO MAlASPINA OBIZZO MAlNIPOTE I, 1116-1124 v. 1095-1124 q, 1127 VI I. 1094-1130 I. 1116-1130 v'.1124 v. 1120 v, 1108 q. 1145 marchio Cersire l q.1141 q. 1124

l MARCHESI DI GAVI PHAVICINO ! l MARCHESIr MARCHESI DI PARODI ESTENSIl MAlASPINA DI ~lASSA-CORSICA

v. - vivente q. - quondam n. - nato + = mono ca. = circa