Vittime Di Cosa Nostra
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1 VITTIME DI COSA NOSTRA PER NON DIMENTICARLE A cura del Centro Studi dell’Osservatorio per la Legalità e la Sicurezza Blog: osserbari.wordpress. com e-mail: [email protected] Cell: 3476839372 - 3392922301 1 2 PREMESSA Volgevano al termine gli anni Settanta, anni di artigianato investigativo, scanditi dalle foto in bianco e nero che ritraevano il ghigno beffardo di tanti boss mafiosi graziati con la formula dell‟insufficienza di prove. O – quando proprio andava male – spediti a bordo di un barcone nelle minuscole isole di Linosa o Filicudi per quel soggiorno obbligato che non avrebbe intralciato più di tanto i loro traffici. Discutibilissime assoluzioni, condanne tiepide, avevano chiuso il processo ai centoquattordici rappresentanti della nuova mafia di quel tempo. La prima commissione antimafia, richiamata in vita all‟inizio degli anni Settanta, pur avendo fagocitato nei suoi archivi moltissimo materiale necessario alla conoscenza del fenomeno, si manifestava per quello che era: la santabarbara che non sarebbe mai esplosa. Nella sua deposizione-lampo, il 4 novembre 1970, durata in tutto dieci minuti, Carlo Alberto Dalla Chiesa, comandante del gruppo carabinieri di Palermo, fece in tempo a dire ai commissari: <<Loro, questi signori, hanno la sensazione certa di poterla fare franca… Essi avvertono che da processi come quelli di Catanzaro, o quello di Bari, di Lecce, o di altre sedi, vengono assolti e che poi, tornando, non ci troviamo pronti a riceverli come si converrebbe. Siamo senza unghie, ecco…>>. Disse il giudice Giovanni Falcone in un convegno a Palermo nella primavera del 1988: <<Nell‟immediato dopoguerra e fino ai tragici fatti di sangue della prima guerra di mafia degli anni‟62-63, gli organismi responsabili e i mezzi di informazione sembrano fare a gara a minimizzare il fenomeno mafioso. Al riguardo appaiono significativi i discorsi di inaugurazione dell‟anno giudiziario pronunciati dai procuratori generali di Palermo>>. E‟ una via crucis di documenti ufficiali che non fa onore allo Stato italiano. Nel 1956 si disse che il fenomeno mafioso era scomparso. Nel 1957 si registravano delitti di sangue, ma da ascrivere <<a opposti gruppi di delinquenti>>. Un vero e proprio canto di vittoria nella relazione del 1967: <<La mafia aveva imboccato la strada lenta ma costante della sua inevitabile sconfitta>>. Nel 1968 si teorizzò lo strumento del soggiorno obbligato perché <<il mafioso fuori dal proprio ambiente diventa pressoché innocuo>>. Alla fine degli anni Settanta si concludeva dunque quasi un trentennio zeppo di omissis ammiccanti sui nomi di decine di uomini politici che forse di fronte alla mafia e ai suoi traffici avevano chiuso almeno un occhio. Se poi a qualche mafioso saltava in testa di raccontare la mafia dall‟interno, accusandosi di delitti che lui stesso aveva commesso, lo Stato provava un profondo senso di fastidio. Infatti, pazzo, schizoide, venne bollato con discutibili certificati medici quel Leonardo Vitale che nel 1973 salì le scale della Questura di Palermo per raccontare tutto quello che sapeva. D‟altra parte non si era ripetuto per decenni che in fondo i <<mafiosi si ammazzavano tra loro>>? Che la mafia ricorreva all‟uso delle armi solo se vi fosse <<costretta>>? Si comprendeva allora che il senso comune di fronte a ogni nuovo delitto era naturalmente portato a interrogarsi sulle responsabilità della vittima. <<Certo, se lo hanno fatto fuori un motivo ci sarà stato. Nessuno ammazza la gente per nulla>>. Spesso si tessevano le lodi per una mafia che rispettava le donne e i bambini, attenta a non aprire il fuoco contro magistrati e poliziotti. Ossequiosa verso i rappresentanti del potere politico con i quali doveva scendere a patti. Ma non fu così: la mafia poté sempre giocare con largo anticipo con delle istituzioni perennemente in ritardo nel capire e nel reprimere. Tanto che verso la fine degli anni Settanta riuscì a innalzare la sua sfida poderosa con la tremenda catena di delitti che sarebbe continuata a lungo. 2 3 Da tutto questo ampio scenario, noi oggi vogliamo consegnare alle nuove generazioni, a quelle che ancora devono completare gli studi superiori - e non solo a quelle - un noverio di quei caduti per mano della mafia, perché rimangano impressi nelle loro menti le gesta e le morti di tanti eroi minori, non per questo meno meritevoli di essere ricordati. E‟ vero che in questa opera è particolarmente impegnata l‟associazione “Libera” di don Ciotti che ogni anno, in occasione della sua celebrazione del giorno della memoria, pubblicamente sciorina il rosario dei tantissimi loro nomi, trucidati per mano delle tante mafie ancora operanti in tutte le parti del nostro Paese. Non solo, in occasione della sua organizzazione itinerante, la Carovana Antimafia si sofferma sul luogo di una delle mattanze, qunado vi è coincidenza di date degli anniversari e localmente con le sue strutture non trascura di organizzare eventi rievocativi in memoria delle locali vittime. Altrettanto lodevolmente Libera ha anche favorito la costituzione dell‟associazione dei familiari delle Vittime di mafia. Noi, per i mezzi a nostra disposizione, ci soffermeremo ad esporre quelle vittime uccise da Cosa Nostra, omettendo, però, le altre che, giustamente, hanno riempito fiumi di inchiostro e diventate protagoniste di rappresentazioni, le più varie, e quindi più volte raccontati. Per ciò avvertiamo, non troverete citati Giovanni Falcone (con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta: Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani) e Paolo Borsellino (con gli agenti di scorta: Agostino Catalano, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina), ormai giustamente icone dell‟antimafia; così come don Puglisi che, con la sua beatificazione, ha ricevuto il più alto riconoscimento perenne, e ancora Peppino Impastato: ai suoi “Cento Passi” è stato dedicato un indimenticabile film. Troverete, insieme eroi apparentemente più modesti (poliziotti, carabinieri, uomini delle scorte, imprenditori o semplici cittadini coinvolti casualmente in attentati), con personaggi più conosciuti, se non altro per le funzioni che lo Stato aveva loro assegnato, il cui sacrificio ha bisogno di essere costantemente rinverdito come: Dalla Chiesa, Chinnici, Terranova, Ninni Cassarà e tanti altri. Avvertiamo che per alcuni di questi ultimi il racconto è particolarmente corposo perché non abbiamo voluto tralasciare l‟esposizione di fatti ed episodi, per mettere in luce i comportamenti di Cosa Nostra e quello dello Stato. Ciò è bene, per chi affronta per la prima volta una lettura specifica, appunto come quella sull‟organizzazione criminale, affiché abbia quanti più elementi valutativi del grave fenomeno. Vogliamo sottolineare che il gran numero degli ammazzati (tra magistrati, uomini delle forze dell‟ordine, semplici cittadini) sono siciliani; segnaliano questo perché sia sfatata la favola che la Sicilia sia solo terra di mafia, è vero, invece, che la Sicilia migliore ha visto cadere i suoi eroi che rappresentano la maggioranza della popolazione dell‟isola. Per ultimo avvertiamo che, in forma più sintetica, elenchiamo i caduti dagli anni: 1871 ai primi degli anni ‟60. Questo nostro sforzo auspichiamo che sia apprezzato e valutato per quello che si propone, non certo per i suoi mancati meriti letterari, in quanto frutto di una ricerca sugli scritti di chi ha già impegnato la sua opera a raccontare di Cosa Nostra. Probabilmente la nostra ricerca, per quanto minuziosamente approfondita, potrebbe eventualmente far torto ad altri eroi, non menzionati, nei confronti dei quali e soprattutto delle loro famiglie chiediamo fin d’ora scusa. Il nome e il numero delle vittime In totale le vittime di Cosa Nostra risultano essere 519 approssimativamente più di 5000, se compresi anche gli stessi mafiosi uccisi, che noi abbiamo evitato di elencare, in quanto solo vittime 3 4 di faide interne alla mafia. Qui sotto elenchiamo le vittime che consideriamo storiche, a partire dagli albori del fenomeno, fino ai primi anni ‟60. Solo per alcuni, come ad esempio Bernardino Verrio, primo sindaco massacrato, dotato di inutile scorta, dedichiamo una più larga analisi, perché, secondo noi, serve a chiarire meglio la lunga vita e la forza della mafia in Sicilia XIX Secolo Giuseppe Montalbano ( 3 marzo1861) Medico, amico di Mazzini, si batte durante la rivoluzione palermitana del 1848 e con i garibaldini nel 1860. Appoggia i contadini che rivendicano tre feudi di Santa Margherita Belice (Agrigento), divenuti un bene comunale in base al testamento del principe Nicolò I Filangeri, il cui figlio non ha eredi. Ma da un‟amante, poi sposata in seconde nozze, è nata Giovanna (futura nonna materna della scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa) e a lei viene intestata la proprietèà, tra il plauso dei latifondisti. Già minacciato dai mafiosi, Montalbano è ucciso il 3 mnarzo 1861, a quarantadue anni, con tre fucilate. La folla dà l‟assalto al municipio e lincia otto presunti responsabili del delitto. Repressa la rivolta, venti agricoltori finiranno ai lavori forzati. Pietro Sampaolo ( 17 maggio1861) Nato a Palermo il 1810. Docente di diritto romano e codice civile, difensore dei patrioti nei tribunali borbonici, poi giudice, è ucciso il 17 maggio 1861in un agguato mafioso rimasto impunito. Giovanni Corrao (3 agosto 1863) Nato a Palermo il 1822. Operaio portuale, partecipa alla rivoluzione palermitana del 1848, è incarcerato ed esiliato dai Borboni, poi espulso dal regno di Sardegna. Nel 1860 affianca i Mille e risale la penisola con Garibaldi che lo nomina generale. Il “comandante dei picciotti” entra in seguito con i gradi di colonnello nell‟esercito italiano, ma presto sbatterà la porta per la piega moderata presa dall‟Unità nazionale. Segue il suo eroe in Aspromonte nel 1862, apre il fuoco sui bersaglieri che gli sbarrano la via per liberare Roma dal potere temporale del Papa e resta anche lui ferito assieme al padre della patria. Un anno dopo, il 3 agosto 1863, due colpi di lupara lo uccidono in località Maredolce mentre sta tornando in calesse nella sua tenuta di San Ciro. In cinquantamila assistono ai funerali.