“Mischa” L'aguzzino Del Lager Di Bolzano
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QUADERNI DELLA MEMORIA 2/02 “MISCHA” L’AGUZZINO DEL LAGER DI BOLZANO Dalle carte del processo a Michael Seifert a cura di Giorgio Mezzalira e Carlo Romeo Circolo Culturale ANPI di Bolzano "Mischa", l'aguzzino del campo di Bolzano Stampato con il contributo finanziario dell’Assessorato alla cultura del Comune di Bolzano © ANPI, 2002 Edizione online a cura di Dario Venegoni. Nelle foto di copertina: Michael Seifert negli anni '40 e nel 2000 a Vancouver. Sono consentite la stampa e la riproduzione di questo testo per fini di studio e di consultazione. È vietato qualsiasi utilizzo commerciale. www.deportati.it 2 "Mischa", l'aguzzino del campo di Bolzano Memoria e libertà “La storia di ogni paese insegna quanto sia facile seppellire gli ideali, innalzando marmi a coloro che li osservarono”. Sono parole di Arturo Carlo Jemolo, grande giurista e storico di matrice cattolica, che si leggono in uno scritto del 1960 sulla lotta di liberazione ‘43-’45. La Resistenza italiana è stata oggetto negli anni duri seguiti alla rottura dell’unità antifascista, negli anni della guerra fredda, di aggressioni e di falsificazioni, che le forze democratiche hanno saputo respingere. Il tentativo di annullare o deformare valori e significati dei grandi periodi storici – tali in quanto vissuti nella coscienza popolare – è fenomeno ricorrente. Ma falliti i tentativi di rovesciamento della realtà, vie più subdole vengono imboccate: si finisce per accettare formalmente le vicende storiche, ma le si svuotano dei loro pregnanti valori, per relegarle nei musei di storia antica. Vani espedienti. Le grandi svolte dei popoli non si cancellano, vivono e orientano, preservate da cedimenti retorici. Così per la Resistenza contro il nazifascismo. La partecipazione di massa di operai, di contadini, assieme agli strati attivi del ceto medio, dell’intellettualità, dei militari – carattere distintivo della Resistenza italiana – costituisce nella nostra storia un evento di eccezionale rilevanza, gravido di benefiche conseguenze. La presenza di ceti popolari all’iniziativa patriottica diviene una conquista definitiva, che né il Risorgimento, né i decenni seguiti all’unità d’Italia avevano conosciuto. Si è discusso e si discute tuttora sulla più intima natura e formazione della Resistenza italiana. Si sostiene da parte di taluno che all’appuntamento per la costituzione delle formazioni partigiane ci si è ritrovati senza cartolina precetto. Certo, la Resistenza è stata anche la conseguenza di una grande spinta spontanea, popolare. Non vi può essere movimento dell’ampiezza e forza che assunse il nostro partigianesimo, che non sorga da un impulso spontaneo. Ma è errato ignorare o sottovalutare il contributo per molti aspetti decisivo che a questa spinta e alla sua capacità di consolidamento avevano dato per lunghi anni i gruppi e le organizzazioni clandestine antifasciste, che nemmeno nei momenti più preclusivi del ventennio si erano minimamente sottratti alla cospirazione, alla lotta. Il Fascismo era stato oppressione, anticultura, retorica, follia imperiale e razzista al servizio di ben distinti interessi delle classi dominanti. Ma pur in condizioni tanto avverse, le tradizioni gelosamente raccolte dalle forze illuminate del paese si confrontavano fecondamente con le grandi concezioni politico-sociali, con I grandi movimenti etico- culturali che avevano profondamente animato le genti dalla Rivoluzione francese in avanti. La Resistenza, che darà vita alla Repubblica democratica, alla Costituzione, è stata l’incontro di queste sofferte componenti ideali penetrate di forza nella nostra storia. Incontro, sia chiaro, che non è stato apertamente spontaneo, disteso, non è stato un idillio. Incontro passato attraverso vicende difficili, ma salutari, tali da promuovere comprensione definitiva verso la situazione nazionale di ordine storico e attualistico. Ma oggi? Negli anni attuali di “revisionismo dei fondamenti democratici” c’è chi vorrebbe che la Resistenza sia stata un trascurabile incidente della vita italiana. Ignobile disegno di contraffazione, vano tentativo di oscuramento. Al di là di turbamenti, di incertezze politiche del periodo che viviamo, la difesa degli indistruttibili principi di giustizia e libertà, di autentica democrazia – consacrati da corsi e ricorsi della storia – è forte, connaturata nel nostro popolo. Andrea Mascagni ANPI Bolzano www.deportati.it 3 "Mischa", l'aguzzino del campo di Bolzano I giovani capiranno Questa terra ha conosciuto anche la parte più feroce dell’occupazione nazista, che in poco meno di due anni di diffuse intimidazioni, ritorsioni e violenze, fece conoscere l’apice dell’efferatezza con gli internamenti nel Lager di via Resia e le deportazioni nei campi di sterminio. La Suprema Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo di Mischa Seifert, riconosciuto colpevole dal Tribunale Militare di Verona, nel novembre 2000, di 11 omicidi perpetrati in danno di internati in detto Campo di transito. La città di Bolzano si è costituita parte civile nel processo, non per spirito di vendetta, ma per chiedere giustizia e per un doveroso omaggio alla memoria di quanti perirono e soffrirono in quel Lager, di quanti da lì furono avviati ai campi di sterminio. Lo esigeva questa città, divenuta tristemente sede di un campo di oppressione, e la cui popolazione, soprattutto del rione Don Bosco, ha condiviso, con umana solidarietà, la pena di quanti transitavano da quel campo. Ho assistito a Verona a parte del processo di primo grado, e sono rimasto profondamente scosso dalla grande compostezza e dignità morale dei testimoni, persone tutte che avevano superato gli ottant’anni, e dalle quali non è uscita una parola di rabbia, né un desiderio di vendetta. Nei loro volti e nel cuore vi era solo una grande commossa afflizione di aver visto uccidere compagne e compagni di cella, il tormento di udire ancora dopo tanti decenni le urla dei torturati, e di vedere il ghigno beffardo dei torturatori. Ho letto negli atti del processo, e ho appreso dalla viva voce dei compagni di sventura, di donne incinte squarciate nel ventre, di occhi che schizzavano, di membra straziate. Con indicibile dignità quei testimoni sono gli artefici del riscatto morale di una popolazione dalle barbarie e dagli orrori compiuti nell’obnubilazione collettiva che aveva calpestato ogni umanità. Testimoni che nello spirito e nella carne portavano i segni indelebili della malvagità di quell’aguzzino, e di altri come lui. Leggendo le pagine che seguono, sono certo che soprattutto i giovani capiranno a quali guasti può portare l’intolleranza, l’odio razziale, la persecuzione religiosa, la sopraffazione contro i più inermi ed emarginati, e sapranno immedesimarsi nella personale situazione di chi subisce torti o violenze, comprendendo l’enormità e la disumanità di una condotta abietta, che vuole togliere ogni dignità alla persona umana, e sopprimere ogni anelito di libertà e di democrazia. Occorre conoscere il passato, per vivere meglio il futuro. Giovanni Salghetti Drioli Sindaco di Bolzano www.deportati.it 4 "Mischa", l'aguzzino del campo di Bolzano Introduzione A mezzo secolo di distanza, grazie alle testimonianze degli ex-internati del campo di concentramento di Bolzano e alle indagini della Procura militare di Verona, Michael Seifert, uno delle due SS ucraine addette alla vigilanza del Lager è stato condannato all’ergastolo. Nel processo che si è celebrato a Verona nel novembre del 2000 e che lo ha chiamato a rispondere della morte di almeno diciotto prigionieri, è stato riconosciuto colpevole di aver torturato, seviziato ed ucciso, insieme all’inseparabile Otto Sein, ancora oggi considerato “irrintracciabile” per la giustizia italiana. I “due ucraini che servivano da boia”, così come li ricorda nel suo memoriale l’ex-internato Alfredo Poggi, scaricarono tutta la loro violenza ed il loro sadismo soprattutto contro i detenuti del blocco-celle. Dopo l’archiviazione nel 1999 del procedimento contro gli ufficiali delle SS responsabili del campo - per insufficienza di prove a carico del tenente Titho e per l’avvenuto decesso del maresciallo Haage - l’accertamento delle responsabilità in merito ai crimini commessi nel Lager di Bolzano ha avuto così un suo importante riscontro. Il lavoro d'indagine condotto dal Procuratore Militare della Repubblica, Bartolomeo Costantini, che in questo volume ricostruisce la storia del processo Seifert, è stato determinante per rimettere in moto il corso della giustizia, che si era interrotto bruscamente nel gennaio del 1960 con il provvedimento di “provvisoria archiviazione” nei confronti dei responsabili degli atti criminosi e delle violenze, ai danni di militari e civili internati nel Pol. Durchgangslager Bozen. Elementi di accusa contro Seifert erano emersi con chiarezza dalla sentenza pronunciata il 10 dicembre 1946 dalla Sezione Speciale di Corte di Assise di Bolzano, che aveva condannato a 30 anni di reclusione Albino Cologna, un altro famigerato guardiano SS del campo. In quella sentenza gli «ucraini Micha e Sain Otto» erano indicati espressamente come responsabili «di numerose uccisioni di internati», di «sevizie, torture e percosse», di aver trattato «gli internati del blocco celle in modo bestiale» e di aver commesso nel blocco «ogni sorta di atrocità». A giudizio di Mimmo Franzinelli, che nel suo recente libro Le stragi nascoste cerca di ricostruire le vicende processuali legate ai crimini ed ai criminali nazisti, se la magistratura militare nell’immediato dopoguerra non verificò, né approfondì le informazioni che scaturivano dalle accuse