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SANDRO BERNARDI

I LUOGHI DEL CINEMA NELL'OPERA DI FERRERI

L'Occhio-Ferreri

Le strade dissestate di Madrid, con i negozi decorati da insegne otto- centesche, frequentate da rari passanti e rare auto della Spagna fran- chista; la Rolls Royce con la marchesa invisibile che accompagna il fi- glio paralitico, erede delle antiche malinconie dei grandi di Spagna; i grandi palazzi del centro con i loro appartamenti stretti, caotici, so- vraffollati da gente in vestaglia: madri, suocere, figli, nipoti, cani e gat- ti, avvocatuzzi che esercitano in casa, con segretari piuttosto equivoci, nonni ficcanaso e brontoloni, buoni solo a chiedere soldi, panni stesi alle finestre o in cortile, la stalla dietro casa in pieno centro, la muc- ca che rumina placida sul cemento, galline bambini comari sfatte spor- che brontolone sparse un po' dappertutto, le camere da letto piene di santini o immagini giganti del Sacro Cuore, inquilini o inquilini degli inquilini, oppure ospiti degli inquilini degli inquilini, tutti uguali in una sola moltitudine — alla Pessoa — fantasmi che si aggirano per le case sovraffollate, vivi ma ufficialmente inesistenti, presenti ma ignorati e considerati assenti: e infine, corona di tutto lo scenario, i vecchietti pa- ralitici che in branco, quasi una parodia ante litteram dei Selvaggi cor- maniani, angeli dell'inferno un po' invecchiati, volano sulle loro car- rozzelle a motore per le strade deserte, nei parchi, nelle campagne, nei cimiteri liberty, giù per le colline che circondano la capitale sonnac- chiosa nel cuore dell'estate. Questo è il panorama dei primi due film di Ferreri e . Nel secondo poi, a corredo di que-

17 SANDRO BERNARDI I LUOGHI DEL CINEMA sta umanità dissestata, c'è il cimitero, così nettamente diviso in due pa. Dietro la sua apparente follia c'è del metodo, c'è molto più me- zone: le tombe private, ricche, signorili e la zona povera dall'altra par- todo che nel metodo stesso: c'è una perfida, pericolosa insistenza sul- te, piena di loculi condominiali dove i morti si accatastano come i pro- la coerenza del paradosso, sulla tremenda logica che abita l'assurdo. letari delle periferie industriali, una beffarda, candida parodia della Partendo dallo stile neorealista — tanto che El cochecito venne scam- città. «Qui costruiscono sempre», osserva il vecchio Luca all'amico biato per una variazione sul tema di Umberto D. — Ferreri spinge il don Anselmo, mentre l'altro si limita a constatare seccato che lo svan- realismo fino all'eccesso e al suo rovesciamento naturale, consequen- taggio dei loculi bassi è che i morti vengono spesso derubati dei fio- ziale; la sua osservazione si spinge nel cuore dei dettagli più impro- ri, con lo stesso tono con cui si lamenterebbe di un appartamento al babili, fino a oltrepassare i confini della rappresentazione classica, fino pianterreno, dove entrano sempre i ladri. Qualche cosa di simile ac- a cogliere la disgregazione, il disordine, il caso, il caos, il mistero che cade più avanti nel film L'ape regina, in cui il funerale della mamma governano il mondo che noi crediamo di conoscere. Infatti, il surrea- di Alfonso e la discesa nella cripta di famiglia offrono a Regina l'oc- le in Ferreri non si produce con una speciale, stravagante messa in sce- casione per mostrare al marito i loculi aperti con le bare dei familiari na, come in Bui-mei, per esempio, ma con la semplice osservazione ac- defunti, per arrivare all'amena conclusione: «E questo è il posto per canita, insistente. La macchina da presa ci pone continuamente di noi due...». Terrorizzato, sudato, Alfonso scappa lungo i viali bianchi fronte alla pazzia del mondo, una pazzia che noi', dall'interno, non riu- costellati di angeli bianchi, ma una bambina a cui chiede dell'acqua, sciremmo a vedere. Così, alla fine del Cochecito, non c'è niente di stra- dolcemente lo prende per mano e lo conduce con sé dentro una va- no nella frenesia di Don Anselmo e nel gesto finale con cui scarica la sta camera piena di bare in costruzione. bottiglia di veleno nel brodo di famiglia, se è vero che prima alcuni Il grottesco ferreriano assume l'aspetto di una sfasatura continua, in- ragazzini al cimitero, eredi degli Olvidados butiueliani, avevano chie- sistente, fra azioni e personaggi, o fra comportamento e ambiente, per sto al suo amico in carrozzella: «Scusi, lei è uno storpio?»; se è vero cui vediamo accadere, sentiamo dire certe cose là dove non ce lo aspet- che l'usuraia del monte dei pegni ha le stanze tappezzate di crocifissi, teremmo mai e non vediamo niente invece negli spazi in cui viene crea- che i vigili urbani organizzano gare di corsa su carrozzelle a motore ta un'attesa, una tensione drammatica che si trascina per tutto il film. per i nonnetti invalidi, con tanto di assistenza medica, che nella cuci- Nella fortissima riduzione narrativa operata da Ferreri, che cosa rima- na della signora marchesa il personale di servizio cena con capriolo e ne di ogni storia? Rimane solo uno spunto o poco più che un'azione, aragoste, mentre il padroncino riesce appena con fatica a digerire un quella finale; il film ferreriano è fatto sostanzialmente di spazio e di magro caffelatte; come del resto il padrone di casa a cui si rivolgono tempo. In questo tempo vuoto, occupato da gesti che servono solo a i due sfortunati inquilini nell'altro film spagnolo, El pisito, è sempre scandirlo, in questo spazio occupato da oggetti che servono solo a sud- malato e si lamenta da mattina a sera, facendo pena addirittura a quei dividerlo, senza condurci da nessuna parte, si produce una tensione poveretti che sono andati li per chiedergli aiuto. fortissima, una pressione che solo alla fine arriva a sciogliersi con un Noti c'è niente di strano, eppure tutto è strano, non c'è niente di gesto definitivo, catartico, spesso mortifero, che dovrebbe lasciarci sgo- straordinario, eppure tutto è straordinario. Per ricordare una famosa menti e che invece appare quasi naturale, dopo il lungo e lento pro- frase di Godard, potremmo dire che, come Lumière, Ferreri, «trova lo cesso di osservazione della morte del senso. In Ferreri il senso non è straordinario nell'ordinàrio». E dove meglio potrebbe essere arrestato il grande assente fin dall'inizio, come in Antonioni o in Rossellini, ma il povero criminale don Anselmo, se non su uno stradone lungo dirit- viene lasciato morire a poco a poco, nella semplice osservazione del- to piatto e deserto, dove lo attendono due carabinieri solitari? Una l'ambiente. strada butiueliana ma anche neorealista, che sembra anticipare quella I film di Ferreri appaiono folli al senso comune dello spettatore abi- su cui camminano i protagonisti de tuato agli edifici retorici e narrativi. Eppure è proprio contro questa H fascino discreto della borghesia, retorica, contro questo «edificio dell'eloquenza», come lo chiamava Ba- o quella su cui appaiono Padre Figlio e Spirito Santo ne La via lattea; taille, che Ferreri lavora, scavando e scavando come una vecchia tal- ma ricorda anche quella su cui si allontana effettivamente Umberto D.,

19 18 SANDRO BERNARDI I LUOGHI DEL CINEMA o quella su cui viaggia il camion di Ossessione, o quella su cui corre cui unico esterno, la splendida gastronomia dove appare lo stesso re- la corriera di Quattro passi fra le nuvole. gista in carne e ossa, hitchcockianamente, è un delirio di salamini, pro- Il realismo degli scenari ferreriani è sempre talmente intenso da di- sciutti o formaggi, culatelli, galantine e bottarghe, di cui si riesce per- ventare metaforico, anzi simbolico e addirittura surreale, coerente- sino a sentire-l'odore. Nella mente con la poetica stessa dei surrealisti che, come Breton, usavano Grande abbuffata, l'azione è una sola, in- finitamente ripetuta e variata, come in una serie visiva di variazioni la fotografia come strumento per la loro «teratologia plastica»', come Goldberg, o di poesie epanalettiche in cui ricorrono sempre gli stessi occhio speciale per vedere l'invisibile, l'improbabile, lo straordinario orrore quotidiano. La differenza fra Ferreri e Bufluel, forse, è che Fer- versi; ma la grande villa, con il grande albero di Boileau, funerario e reri non ha bisogno di interventi surreali, gli basta guardarsi intorno retorico come il suo proprietario, non è solo un corredo della storia, semplicemente, con grande attenzione, e tutto il mondo è scenografia un luogo scenico, metafora della tendenza claustrale dei personaggi ferreriani: il «castello prigione» come ha osservato puntualmente Mau- per le sue storie surreali. Non gli occorrono struzzi nella camera da rizio Grande'. È tutto questo, ma in più è anche letto, e tanto meno persone che accendono una lampada e la chiudo- il luogo, uno spazio no nell'armadio, perché ci sono già mucche e galline che vivono in\- protagonista assoluto del film, misteriosamente aristocratico e carico sieme con gli abitanti dei dissestati palazzi madrileni e le persone pos- del suo passato funerario, l'unico spazio dove si potrebbe consumare sono incontrare il papa solo a condizione di non parlare con lui. quell'azione. È il luogo della retorica classica, l'«edificio dell'eloquen- Ferreri non inserisce nelle sue immagini...oggetti decontestualizzati, za» di cui parla Bataille, una villa che, nella sua maestosa prosopopea, è anche l'obiettivo da distruggere, da ridicolizzare, con la sua cucina ma li scopre semplicemente guardandosi intorno; fotografando e rifo- tografando il reale, il suo sguardo naturalista diviene surrealista senza attrezzatissima come uno scannatoio e il frigorifero pieno di animali, alcuno sforzo, anzi con un solo e semplice sforzo inerente allo sguar- ma pronto a trasformarsi in obitorio. Resteranno, triste e finale paro- do stesso: l'insistenza. È nota infatti la durata oltremodo protratta del- dia, i due_ quarti—di bue alla Butiuel appesi agli alberi secolari mentre i sopravvissuti, infreddoliti dalla morte prossima cercano di sboccon- le inquadrature e delle sequenze ferreriane, ed è questa durata appunto cellare un ultimo smisurato tremolante budino a forma di seno. Un che spezza gli stereotipi del mondo percepito, per aprire davanti a noi luogo- orizzonti di senso sempre nuovi. Ferreri porta il neorealismo alle sue da cui í quattro personaggi-amici sono posseduti, invece di pos- conseguenze estreme: lo sguardo diventa visione, la «montata di situa- sederlo. È il rovescio simmetrico e tuttavia speculare della villa sper- duta fra le dune e gli sterpi di Capalbio dove si svolge la vicenda an- zioni puramente ottiche» di cui parla Deleuze2 diventa qui rappresen- tropofagica di Cino tazione del mondo reale e nello stesso tempo scoperta di un mondo (Il seme dell'uomo), spazio vuoto solitario e deso- surreale: tutto è vero e nello stesso tempo tutto è falso, allucinato, sim- lato, altrettanto quanto la prima è sovraccarica di mobili eleganti, antichi e circondata da uno splendido parco; ma a poco a poco anche bolico; il mondo intero è un'«allucinazione vera», come direbbe an- cora Bazin". la casa abbandonata di Capalbio si trasforma in un museo, come la Ferreri trasgredisce e mette da parte anche i principi fondamentali villa di Boileau, poiché Cino comincia a raccogliere tutti i residui fram- menti dell'epoca consumistica e ad ammassarli in un fascinoso bric-à- della rappresentazione classica. Se nel cinema americano classico i pre- brac. cetti costitutivi per la produzione delle immagini erano tre, ovvero du- rata, leggibilità, gerarchizzazione 4, Ferreri sviluppa in una direzione af- Altre volte l'azione è un coronario, un finale improbabile' e tutta- via naturale, che scaturisce sempre comunque dal luogo, dallo spazio fatto originale la rivoluzione neorealistica spingendosi fino all'opposto scenico in cui si aggirano i personaggi; e questi sono avvolti in una- di queste tre categorie. Spesso l'azione viene dopo che l'autore ha te- girandola di gesti insignificanti, irrilevanti, un pericoloso tour de for- nuto i suoi personaggi sotto osservazione per un tempo che dura tut- to il film, come nel Cochecito; oppure è l'azione stessa, una sola azio- ce che ha come unica funzione quella di mostrare l'habitat, come in Dillinger è morto o in Ciao maschio. ne oltremodo prolungata, a costituire il corpo intero del film, come Anche qui l'azione scaturisce dal- lo spazio stesso, ne è una conseguenza, anzi l'unica conseguenza pos- nella "magnifica ossessione" di Break-up, in questo mondo chiuso il sibile.

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Inoltre, le inquadrature di Ferreri non—obbecliscono mai ai principi un pezzo di Giulio Cesare, di durata classica, non sono per„ conseguenza neppure inquadrature prima di gettarsi fra i castelli di cartone di una piccola Roma in miniatura e morire fra le fiamme. leggibili, nel senso classico: il mistero dei volti' e delle cose circostan- Del resto, anche Tognazzi, ne La donna scimmia, è ti, la profonda insensata ambiguità del mondo rappresentato, osserva- più scimmiesco della moglie: abita in un grande garage che gli servirà anche da sce- to,_emergono al di sopra della storia raccontata, se pure è raccontata. nario per il suo spettacolo, ha un cucinotto squallidissimo dietro il ga- E, infine, le inquadrature non sono gérarchizzate, .né al loro interno rage e dorme avvoltolato in una bandiera per coperta, con una porta- né al montaggio, ma sono strutturate in modo da farci andare alla de- saracinesca che si apre sopra un mercatino fittissimo di bancarelle, va- riva, anzi sono quasi sempre immagini divaganti, distratte, disordina- gabondi, truffatori, vecchie, monelli di ogni sorta. Eppure, a ben te, in cui oggetti, ambienti e personaggi vengono ai nostri occhi così guardare, ci chiediamo subito: è più vivo e umano questo antropoide come nel corso di un'osservazione priva di uno scopo preciso. Come guazzabuglio, in cui la sposa avvolta nel suo velo passa cantando "La va alla deriva il film, così va alla deriva il nostro sguardo dentro l'in- novia" con un microfono, pigiata tutt'intorno da facce ovoidali e mol- quadratura ferreriana. Il nostro occhio si muove incerto, non sapendo to più scimmiesche di lei, oppure il ricco elegante palazzo barocco, bene che cosa guardare, divaga come nello spazio di un'erranza: può con giardinetto alberi e fontana, dove un non meglio specificato "pro- soffermarsi sugli oggetti più periferici senza che per questo abbiamo fessore", vorrebbe "visitare" la donna scimmia, il cosiddetto "fenome- timore di perderci l'essenziale, poiché non c'è alcun essenziale e forse no", e prenderla a noleggio due, tre giorni per le sue non precisate, l'unico centro è la periferia. ma comunque ben chiare "ricerche"? E a Parigi, in questa finta Pari- È così che ne La donna scimmia niente appare importante e tutto-lo è, gi, fatta di interni, le cose non cambiano tanto, con la vecchietta- a partire da quel convitto dei vecchietti da prima guerra mondiale,o dalla mostro, cavallo di battaglia di Achille Majeroni, che faceva la stessa cucina mostruosa in cui si nasconde — altro che Africa! — la donna scina- parte anche ne L'ape regina, e il dottore che rimane impaurito dalla si- mia, mentre Antonio/Tognazzi mangia lo stufato sul coperchio di una pen- gnora che deve visitare: «Mais c'est un monstre!» Meno male che c'è tola, invece di usare un piatto come tutti gli altri. il santone napoletano, che non si meraviglia di nulla, con la sua stan- C'è in Ferreri, tutta una serie di cucine mostruose, che vanno da za coperta di immagini sacre e- di cartoline da tutto il mondo, e il ra- questa cucina conventuale, popolata di mostri, a quella aristocratica gazzino alla cassa che fa il cambio aggiornato di tutte le valute stra- della Grande abbuffata, ben più signorile, ma altrettanto misteriosa e niere per riscuotere i compensi delle preghiere. Napoli, con il suo cao- forse anche più, covo di perversità sconosciute e di crudeltà ignote; o tico vorticare di vite umane, è la città meno provinciale del mondo, come diceva Beuys. da quella alto-borghese di Dillinger è morto, ritratto di una classe col- ta, raffinata, ma inutile e demotivata, a quella cucina piccolo borghe- La stessa cosa si potrebbe dire dei salotti borghesi di Marcia nuzia- le, se asettica moderna e attrezzatissima nel suo squallore, in cui Depar- dove viene celebrato il primo incontro e il fidanzamento dei cani. dieu affetterà il suo membro come un salame, o all'altra cucina lumi- Che altro potrebbe accadere fra quelle piante rampicanti, le poltrone• nosa e fusa con l'ambiente nello splendido loft dove vive Michael, il finto antico, i barometri alla parete, i bicchierini di Cherry Stock, non Sherry, ma il liquore dolciastro alla ciliegia così di moda negli anni Ses- protagonista di I Love You, con l'albero delle pere che si affaccia fin santa, le abat-jour di design industriale e i tavolinetti bassi di vetro, o sulla finestra, o quell'altra opposta, altrettanto desolata, scura e verda- in quei giardini alto borghesi con le sedie a dondolo sul prato ben to- stra del seminterrato in cui abita Lafayette, il Depardieu di Ciao Ma- sato, dove vagano signore con i cappellini a cono che farebbero invi- schio e in cui la povera scimmietta, metafora kubrickiana dell'uomo, dia a un film di Tati? Per non dire dell'ambulatorio per cani dove il verrà divorata da un nugolo di topi urlanti: «Guarda te stesso, ecco matrimonio a lungo maturato deve finalmente consumarsi sotto l'oc- che cosa eri. Non è una bestia, non è un uomo, un errore del creato. chio vigile del veterinario e quello pudibondo dei padroni. O del Cen- Un uomo compiuto a metà, l'imbarazzante immagine dell'essere», gli tral Park con la pista di pattinaggio, e i grattacieli che fanno da sfon- dice l'amico che, sorpreso di notte nel museo delle cere, recita da solo do all'amore fatto il sabato pomeriggio, come preparazione alle riu-

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SANDRO BERNARDI I LUOGHI DEL CINEMA nioni di autocoscienza americane. La televisione soporifera, le camere da letto in nero, i frigoriferi bombati, le sopraccoperte a pelle di tigre, mamma. Sono tutte conclusioni che scaturiscono dallo stile del film, sono i protagonisti di questo mondo che prelude all'altro, quello fu- ancor prima che dalla storia: dal suo aprirsi su una vertigine, sull'infi- turo, dove uomini senza età sposano mogli di gomma come in racconti nità del mondo visibile, sulla crudeltà e sull'immensità del mondo cir- alla McEwan. costante, sull'infinito disordine che si cela, ma non troppo, sotto l'ap- parente coerenza del mondo organizzato dall'uomo. Con questi finali marini Ferreri non solo allude ai confini del mondo, ai confini dell'e- Sul lido dei mondi sperienza umana, che i suoi personaggi oltrepassano quasi sempre, di- rigendosi verso orizzonti sconosciuti e poco attraenti, ma ironizza an- Molto spesso, come già , i film ferreriani terminano sul- che su un grande mito degli anni Sessanta: la spiaggia, luogo di pia- la riva di un mare di cui viene sottolineato il carattere primordiale o cere, di libertà, di sole, di gioia senza pensieri, la spiaggia delle canzoni dopostorico. Ne L'ape regina la spiaggia su cui vanno Alfonso e Regi- di Vianello e di Bongusto, che qui diventa invece un luogo tenebroso na ancora fidanzati ha un uomo sepolto nella sabbia fino alla testa, e angelico, una natura matrigna e misteriosa, il lido del mondo, dove che emerge fumando tranquillamente un sigaro: ricordo di Buriuel op- giocano i bambini prima di morire, e recitano poesie i poeti in cam- pure semplici sabbiatur0 La morte dei personaggi, come in 'Chiedo bio del seno di una ragazza sconosciuta, prima della fine e dopo la asilo, o la loro erranza senza meta e senza senso come fra le dune di fine: uno strano solare luogo di confine fra essere e non essere, fra ter- Storie di ordinaria follia, o l'attesa senza fine che segue alla fine del ra e mare, da cui la vita è uscita e in cui sembra voler rientrare. E sul- la riva del mare, alla fine di mondo, nella natura aspra e dolce di Capalbio, fra i cespugli e le dune Ciao maschio, giocano Angelica e il bam- di sabbia, dove Ciro costruisce la sua impressignante, strana donna di bino, immagini crudeli e tenere della vita intramontabile. sabbia (Il seme dell'uomo); o ancora il parodico volo privo di carbu- rante narrativo, come nel dolce inconcludente finale della Cagna, all'i- Ferreri pittore sola di Cavallo, con le sue scogliere primordiali e le sue vallette dol- cissime; o la scarpata della costa dalmata nella quale viene precipitata Carrol Baker (Margherita) ne L'harem, dopo il suo piccolo tentativo di Ad un certo punto, con la scoperta del colore, Ferreri da osservatore rovesciare i rapporti di forza fra uomini e donne; o ancora il mare in straniato diventa pittore, da fotografo e cronista del semplice„-orrore cui si butta a nuoto Michel Piccoli alla fine della sua notte senza fine, quotidianò diventa sacerdote o testimone della falsità del mondo rea- in•Dillinger è morto; e la casetta sulla riva del mare in cui Piera (Isa- le. Con il cinema a colori Ferreri .coniuga pittura e fotografia, come belle Huppert) porta a morire l'amante di sua madre consumandolo per mostrare che i colori del mondo non sono naturali, che la natura con il risucchio della sessualità; e poi anche la strana spiaggia di New stessa non è naturale, che il mondo, insomma, è un mondo dipinto. Già fin da York con i due grattacieli gemelli in costruzione e lo scimmione gi- L'harem, i titoli scorrono sopra stelline colorate diun gante di plastica steso sulla sabbia come se fosse morto, accanto al quadro astratto. E Carrol Baker/Margherita dice subito all'inizio: - quale stranamente Mastroianni trova una scimmietta piccola, sullo «Amo i colori». Il film è pieno di colori forti: dal rosso violento del- sfondo di una Manhattan più che mai mai scenografica e pittorica, in la tenda che isola il letto, al giallino squallido dei muri, al grande cac- Ciao maschio. Un ricordo di King Kong? Certo, ma anche della mi- tus verde, alla poltrona marrone in fintapelle, al ghepardo che Mike steriosa spiaggia finale del Pianeta delle scimmie, in cui Charlton He- le regala e che finirà per fare parte innocua dell'arredament corda il leopardo di o e che ri- ston incontrava i resti di un'America scomparsa innumerevoli anni pri- Susanna. Margherita ama anche le immagini, con ma. Per non parlare poi della casa sul mare, altro territorio di confi- quelle tre foto giganti dei suoi amanti che tiene appese al muro. Un ne del film La carne, in cui si ritira Paolo per uccidere e mangiare reale smisurato, assunto a proporzioni ultraumane, una fotografia che l'amante, che ha eletto anche a sua diyinità, sotto la foto vigile della schiaccia il suo infantile osservatore. Del resto, tutto questo film è pie- no di citazioni cinematografiche. I personaggi citano La signora di 24 25 SANDRO BERNARDI I LUOGHI DEL CINEMA

Shanghai, Gli uccelli, come se il referente di Ferreri si fosse spostato, dal mondo empirico al cinema, come se il mondo fosse ormai solo una distoglierlo dalla proiezione di questo mondo interiore il rapporto con copia del cinema. Le prostitute sulla strada, tutte nella stessa posizio- la misteriosa Aike, o Ayesha, come la chiama il principe (Gassman), il nome esotico tratto dal grande romanzo di Rider Haggard, ne di serie, con la gamba destra piegata, ricordano le modelle di Blow- She. Aike up, come anche le fotografie giganti tagliate a pezzi e rimontate in un con il suo candore di prostituta, con il suo appartamento di cui ve- identikit dell'uomo ideale ricordano il montaggio compiuto da David diamo solo la camera da letto, i lenzuoli erotici e il grande specchio Hemmings nel tentativo di decifrare un evento inesistente; anche le alla testata del letto, è anch'essa un condensato della mitologia eroti- ca degli anni Sessanta. Viene più dal cinema che dalla realtà quoti- scene del party, con i cappelli colorati, i vestiti sfavillanti, e poi anche diana. la piscina con le ragazze che giocano con una grande palla a pois sono Non era molto diversa del resto la Roma de classici del kitsch degli anni Sessanta. La villa di Dubrovnik sembra L'ape regina, ancorché invece un ricordo di Hitchcock, di Intrigo internazionale, con i suoi ri- in bianco e nero, con Piazza del Popolo, il caffè di Rosati, le stole di ferimenti all'arte, antica e moderna: dal busto di marmo, che Mike ab- visone, le Millecento, le Citroen del salone, la Giulietta, l'ufficio con braccia e bacia al posto di Margherita, al prosciutto coperto di muffa il divano-letto per le occasioni galanti, le cambiali su cui era costruito verdebianca come una scultura antica, che troneggia sul caminetto. In il miracolo economico, i terrazzi-giardini pensili che si affacciavano sul questo mondo in cui l'arte è un prosciutto posto sul caminetto, si con- cupolone, la televisione in camera da letto, i viali del Vaticano deser- suma la tragedia di Margherita seduttrice, il pallido rovescio della Mar- ti al mattino presto con le comitive di mariti che partivano per gli eser- gherita di Goethe. cizi spirituali. Non era certo meno misteriosa, meno equivoca, meno L'udienza invece comincia con una Roma brumosa all'alba, vista in strana. Nell'antica casa di Regina, con le vecchie ziette zitelle fra cui teleobiettivo: San Pietro, le fontane, il colonnato, i suoi santi con le primeggia il già ricordato Majeroni, fra le innumerevoli foto appese al braccia aperte nei loro gesti magnanimi, le teorie delle finestre baroc- muro dei parenti più remoti fino al nonno del nonno, c'era anche una che, le anticamere del Vaticano piene di persone inquadrate, immobi- fotografia di un missionario squartato dai cinesi che sorrideva duran- te la tortura, un'immagine famosa che Bataille aveva collocato nel suo li, in attesa, le grandi sale vuote con i busti di marmo. Ma anche qui libro Le lacrime d'eros, il realismo è solo un pretesto per sottolineare sempre costantemente il di cui tutto il film potrebbe essere considera- referente letterario: una situazione kafkiana, non fa che ripetere Jan- to un commento, un'illustrazione. Tutto il film infatti è disseminato di nacci, come se avesse paura che non lo abbiamo capito, o che ce ne indizi di morte, dalla chiesa diroccata con il santo mummificato al ci- mitero di cui ho già fatto cenno. possiamo dimenticare, distratti dalla realtà fotografica. L'insistenza di E nemmeno la Latina di questi riferimenti fa dubitare. Non si tratta di un film kafkiano, ma di Storia di Piera fa eccezione a questo gusto per il falso dentro il vero: la città monumentale, le sue architetture lit- un film i cui personaggi pensano di vivere in una situazione kafkiana; la citazione è dunque una citazione di secondo grado: tutto è falso, so- torie, le colonne quadrate fasciste, le torri ocra o bianche, i rossi pom- prattutto la realtà è falsa. Un passo avanti viene fatto da Ferreri nel- peiani degli edifici e i Mobili anch'essi imponenti in stile littorio, fino l'illustrazione delle metropoli moderne: qui il mondo non appare più al Partenone ricostruito in piazza. Ferreri racconta la vita di un'attri- solo a noi, ma appare anche ai personaggi stessi come un falso, una ce teatrale partendo da un mondo che è tutta apparenza,messa in sce- copia, una citazione o una riproduzione di una finzione letteraria o na, il fascismo, per arrivare a scoprire che l'unica verità sta invece nel teatro, dove la finzione è strumento per esprimere i sentimenti più pittorica. E il cinema, che compare per la prima volta ne L'udienza, profondi. con le immagini di repertorio di Paolo VI sulla sedia gestatoria, serve Ma è Dillinger che segna l'instaurazione del colore quale padrone a costruire un gioco di specchi falso-vero in cui Jannacci si trova in- di casa nel cinema di Ferreri. vischiato, gridando sempre: «Papa, papa!». Accecato da se stesso, in questo falso campo-controcampo, Jannacci crede di guardare al mon- Mite, paffuto, Michel Piccoli si affaccia alle grandi vetrate del suo stu- do e vede invece solo immagini cinematografiche. E non serve certo a dio di progettazione di maschere antigas e guarda, dall'alto della gran- de azienda in cui lavora, il panorama al tramonto di una città densa di

26 27 SANDRO BERNARDI I LUOGHI DEL CINEMA grattacieli prefabbricati, percorre i labirintici corridoi asettici giallini ed destinato a, rinnovare nelle serate insopportabili i fasti di vacanze eso- esce in quell'orgia di blu e di viola che è la città nel tramonto. tiche, -fr-a i palmizi, su navi da crociera, con le belle, sensuali, ammic- Ferreri pittore comincia da qui, dai colori industriali degli anni Ses- canti, false indonesiane. Come nell'episodio rosselliniano di santa, che appaiono altrettanto forti e falsi quanto quelli dell'America RoGoPaG, Piccoli abbraccia le immagini femminili stampate sul muro, accarezza di Bukowski. Da queste metropoli ingolfate di colori che sono vere e i seni piatti e i sogni altrettanto piatti, a due dimensioni, ma sempre proprie opere d'arte moderna, apoteosi dell'informale. meno rischiosi della realtà, flirta con i ricordi di lontane corride, sfio- La casa di Piccoli è una perfetta sintesi di modernità e di kitsch in- ra malinconico il toro perseguitato dai banderilleros, ammira un violi- dustriale; lo accoglie con le pareti giallo-verdine tinteggiate in Duco- nista alla Clair che appare all'improvviso immerso nell'acqua, con il ci- tone (lavabile), gli scaffali di ferro del salotto, il telefono colorato in lindro, intento a suonare mentre le onde lo sommergono, osserva le il- verde chiaro (status symbol degli anni Sessanta ma anche parodia in lusioni erotiche di due mani che s'incrociano, si accarezzano, si stile industriale dei telefoni bianchi), la moquette verde, le coperte pat- accoppiano specchiandosi su un fondo nero. E, del resto, anche mol- chwork, i quadri d'arte moderna alla parete accanto a un manifesto to più tardi in Come sono buoni i bianchi! del futurismo, la cucina snob in stile rustico, con i fornelli in muratu- Ferreri indicherà nella ci- nepresa uno strumento di profonda ambiguità. In quel cielo dipinto ra, le pannocchie appese al muro con il loro giallo così decorativo e sempre blu del Sudan, che ruolo ha l'occhio del video, erede del ci- il caminetto in pietra per le pizze, i paioli di rame e gli scaffali pieni nema? È testimone di avvenimenti recenti a cui nessun occhio di uomo fino a traboccare di spezie d'ogni tipo e d'ogni colore, sofisticatezze bianco ha assistito, il cannibalismo? Oppure è uno strumento oscura- - da ghiottone, da ottimo cuoco, quale si presenterà alla fine Michel Pic- mente regressivo che ci mette in contatto con -un passato primordiale, coli, epitome dello stesso Ferreri, parlando di sé alla sensuale e gio- con un immaginario terrifico e oscuro che se de sta chiuso dentro cia- vane capitana in bikini del veliero che lo porta via verso i mari del scuno di noi? Non si sa, forse sono validi tutti e due i valori con- Sud, dopo avere attraversato l'arco della grotta di Byron, vera e pro- traddittori, la cinepresa-testimoni o e la cinepresa regressione dentro pria soglia dell'immaginario romantico, verso un finale tutto rosso con l'inconscio, certo è che solo attraverso di essa si scopre che fine ab- un sole grande così da invadere tutto lo schermo e la nave che lenta- biano fatto Michele Placido e Marushka Detmers. mente trascolora in negativo. • Se Glauco, l'ingegnere senza nome di Dillinger, Ma prima di partire in un finale così cinematografico, Piccoli dovrà s'improvvisa pitto- re nel corso della notte, smontando, oliando accuratamente, rimon- aggirarsi per tutta la notte ozioso e attivissimo, con un grembiule da tando e dipingendo di rosso-a-pallini bianchi un vecchio revolver che cucina rosso e lindo, impeccabile sopra la candida camicia da diri- avrebbe potuto uccidere Dillinger gente, anche lui una composizione di colori in movimento. I mobili e che gli serve invece per uccidere la moglie addormentata, è perché, prima ancora di Piccoli, Ferreri stes- moderni, il tavolino di cristallo a losanghe multicolori, le mattonelle so è pittore alla Lichtenstein, in questa casa così perfettamente arre- decorate azzurro chiaro della cucina, il vuoto freddo delle stanze e per data e colorata con grande ricercatezza, nell'accostamento dei colori contro il pieno della cucina che trabocca di oggetti e di colori, sono dentro l'inquadratura, alla ricerca di dissonanze, di forti contrasti, nel tanti quadri nello stile Warhol, Lichtenstein o Beuys. Il bianco imma- gioco delle composizioni in cui il colore diventa materia corposa. E, colato della camera in mansarda, che porta solo due stampe giappo- proprio come le opere di uno dei padri dell'informale, Dubuffet, sono nesi sopra il letto matrimoniale e un grande stampato con le onde del come altrettanti racconti del gesto pitttorico, anche l'opera di Ferreri mare.su fondo nero appeso fra le finestre. È questa casa, cui manca si ribalta su se stessa, diventando racconto di uno sguardo, sguardo solo la vasca dei pesci per essere alla Tati, a uccidere la povera mo- che segue un pittore all'opera nella sua casa-studio. glie di Piccoli, Anita Pallemberg, che vediamo appena. Piccoli è solo Ma è più tardi, verso la fine degli anni Ottanta, che Ferreri poten- l'esecutore, indifferente, irresponsabile, assente, di questo crimine zia il colore fino a farne simbolo della sorda violenza che il mondo bianco. Ma al posto della vasca c'è, comunque, nuovo status symbol esercita sull'uomo. In Chiedo asilo, della borghesia italiana, il cinema in casa, il proiettorino sul treppiede film sulla morte delle idee rivolu- zionarie, in cui anche un funzionario di polizia ha dietro la scrivania

28 29 SANDRO BERNARDI I LUOGHI DEL CINEMA il ritratto di Guevara, i palazzoní di periferia compongono le linee Dillinger astratte di un quadro di arte moderna e gli interni rossi e blu si com- trasmesso in televisione. Così anche Michael se ne può an- dare con la moto alla spiaggia e rivedere il veliero di Piccoli che ap- pongono sempre in grandi campiture, cui fanno debole contrasto i pic- coli patetici grembiulini rosa e blu dei bimbi o l'alberello solitario in pare sullo specchietto retrovisore, ma ormai è solo un'illusione, e in mezzo al mare c'è solo la morte ad attenderlo. un prato tutto verde. Oppure lo squallore degli interni d'ospedale, con i corridoi giallini e il pavimeno di linoleum nero. Anche il cielo si driz- Anche qui il cinema, assente, sparito, disciolto nel mondo come un'aspirina nell'acqua, è la chiave per comprendere lo stato d'animo za in una grande parete blu contro i deboli poveri personaggi. E que- sta volta il cinematografo solitario sulla riva del mare, dove Benigni rag- dei personaggi, che si vedono sempre come in immagini sovraesposte. giunge Dominique Laffin solo per sentire ancora una volta la sua lon- I colori sono l'ambiente stesso, è dentro il colore che vivono e si muo- tananza, è come un sogno spento, è solo «il sogno di una cosa». vono i personaggi delle megalopoli contemporanee. -La città è sempre più il regno della fantasmagoria previsto da Walter Benjamin, luogo di In Storie di ordinaria follia il colore è protagonista, crea e distrug- ge gli ambienti con la forza dell'allucinazione. Dal grande castello apparizioni improbabili, come il portachiavi che sussurra «I love you», orientale dipinto sulla tela di un teatro, in cui Gazzara sta discorren- oppure lo scimmione di gomma con una scimmietta viva nel grembo, do dell'arte davanti a una platea semivuota, alle stanze decorate in sti- o il salterone gigante con le immagini della jungla. La città è come il le orientale, sovraccariche di ori e di rossi, alla stanza blu acrilico dove cinema, vicina e impenetrabile, la profondità di campo è solo illusio- lavora e vive e muore il poeta prigioniero della società industriale; dal- ne, come nel cinema; la città si mette sulla difensiva, si maschera, in- la plastica blu e gialla che riveste il bar alla luce rossastra delle inse- ganna, si offre e sfugge contemporaneamente, come direbbe Walter gne che entra di notte dalla finestra a cui si appoggia Ornella Muti Benjamin'. La metropoli ferreriana è un delirio di luci di colori, di im- con il sedere nudo per il coito tergale in cui Gazzara in piedi con gli magini e di oggetti-immagine, in cui i personaggi vagano in una deri- va senza tempo. occhiali da sole va su e giù come se invece di fare l'amore andasse in moto; dagli interni della polizia rivestiti di mattonelle candide alla sce- «Nulla avrà avuto luogo se non il luogo», diceva Mallarmé, Ma ormai na dei box dove lavorano gli scrittori e i poeti, vibrante traduzione alla anche il luogo non esiste più. È rimasto solo il sogno di un luogo. lettera della industria culturale, virata in giallo-verde; alla camera ar- dente, con un grande cielo azzurro dipinto sulla parete di fondo: «I pittori dipingono, intingono i loro rossi verdi e gialli — cita Ferreri da (1) Per Bazin, con l'esperienza della fotografia, il mondo rappresentato «si aggiunge alla Bukowsld — i poeti mettono in rima la loro solitudine, i musicisti creazione naturale, invece di sostituirgliene un'altra. E surrealismo lo aveva intravisto quan- muoiono di fame, i romanzieri sbagliano mira». La vecchia Hollywood, do faceva appello alla gelatina della lastra sensibile per generare la sua teratologia plasti- ca». Cfr. André Bazin, Ontologia dell'immagine fotografica, in Che cos'è il cinema?, una Hollywood semiabbandonata con i suoi edifici fatiscenti e mae- di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1973, pp. 9-10. a cura stosi alla Sunset Boulevard, è il luogo più adatto nel quale possono rin- (2) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo, Milano, UBULibri, 1988. tanarsi questi scrittori del dopostoria, topi che si aggirano fra le rovi- (3) Bazin, Ontologia dell'immagine fotografica, cit., p. 10. La definizione di «allucinazione ne di una fabbrica di sogni. vera», proviene da Taine, attraverso Sartre e Bergson, per i quali il mondo stesso è «allu- Ferreri diceva di amare in modo particolare quest'America, con i cinazione vera». Cfr. Sandro Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Firenze, Le suoi colori falsi e violenti. Un'America alla Warhol, alla Monory. In I Lettere, 1994, p. 88 sgg. (4) Cfr. Fabrice Revault d'Allonnes, Love You, sull'autostrada in costruzione, Michael corre con la sua moto La lumière au cinéma, Paris, Cahiers du Cinéma, 1991. (5) come in un dipinto, sotto un cielo che varia dal blu al rosso fuoco. Cfr. Maurizio Grande, , Firenze, La Nuova Italia, 1974. La sua casa è un loft, sintesi di archeologia industriale e di arte mo- (6) Uso il termine "improbabile" non come aggettivo comune, ma come categoria esteti- derna. Il film sstesso si abbandona alle composizioni figurative con la ca, nel senso che l'opera d'arte è una vera e propria apertura sull'improbabile. Cfr. Pier- re Sorlin, testa del portachiavi parlante sopra le onde azzurre del televisore ac- Esthétiques de l'audiovisuel, Paris, Nathan, 1993. (7) Cfr. Walter Benjamin, Immagini di. città, ceso fuori orario, e Ferreri si spinge all'autocitazione con il verbo di Torino, Einaudi, 1971; e anche, Idem, Parigi capitale del XIX secolo, Torino, Einaudi, 1986.

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