La Resistenza Italiana E Gli Alleati (*)
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LA RESISTENZA ITALIANA E GLI ALLEATI (*) Quando Mussolini dichiarò la guerra alla Francia, il io giugno 1940, gli elementi che portarono alla sconfitta dell’Italia fascista, alla resistenza e alla nascita dell’Italia repubblicana erano già pre- senti. Il problema essenziale fu anzi posto quel giorno: come avreb- be reagito il fascismo alla guerra e quali forze si sarebbero sprigiona te dalla nazione italiana? Era un’esperienza nuova e tragica, che ave va un valore generale, per tutta l’Europa. Quale era la vera natura e quale la solidità dei nazionalismi, dei fascismi, e in particolare di quello italiano? La proclamata volontà del fascismo di essere e di rappresentare l’anti-Europa avrebbe retto alla prova dei fatti? E il popolo italiano sarebbe stato in grado di esplicare una propria azio ne, di affermare una propria volontà di tornare ad essere Europa, di inserirsi nel mondo delle nazioni libere? La risposta a queste domande stava anch’essa in germe nella realtà che sfociava, il io giugno 1940, alla guerra. Il fascismo era in grado di inserirsi nel conflitto mondiale, ma la sua debolezza e la sua crisi interna già prometteva la catastrofe. Le vecchie classi diri genti, simboleggiate dalla monarchia, espresse nei comandi militari, nei ministeri, nelle ambasciate, nelle prefetture, legate alla struttura dello stato italiano tradizionale, dimostrarono quel giorno di non essere capaci di opporsi al fascismo e alla sua politica di guerra. Mu te assistevano al compiersi di un destino che esse avevano tanto contribuito a mettere in movimento venti anni prima e che ora le sovrastava come una fatalità ineluttabile. La società italiana, ancora tutta anchilosata e chiusa quel giorno nello stato corporativo e ditta toriale era ancora strumento passivo nelle mani di Mussolini. Come avrebbe reagito di fronte alla guerra? Dalla triste partenza dei sol dati , il io giugno 1940, verso le Alpi, alle dure mobilitazioni e battaglie che seguirono in Africa, nei Balcani, in Russia, ovun que la pazza strategia del dittatore disperse le forze italiane, dalle prime reazioni incredule e impensierite all’approfondirsi ogni gior no più grave della crisi italiana, si accumularono di fronte alla co scienza e alla volontà del paese i problemi essenziali. Perchè questa (*) Relazione italiana presentata al II Congresso internazionale di storia della Resistenza europea, del quale si dà notizia alle pagg. 93-94 di questo stesso fascicolo. La resistenza italiana e gli alleati 19 guerra? Perchè dalla parte di Hitler? Perchè contro le Nazioni uni' te? Perchè contro la Francia, l’Inghilterra, la Russia, gli Stati Uniti e tutti gli altri stati che combattevano fascismo e nazismo? Il risub tato di questa evoluzione, la risposta a questi interrogativi si chia- mera la resistenza. Ma lunghi anni di incubazione, di lacerazioni e di sconfitte saranno necessari perchè essa possa nascere. Il tema che oggi dobbiamo esaminare — la resistenza italiana e gli alleati — potrebbe dunque essere quasi tautologico. La resistem za e la risposta degli italiani, di quegli italiani che ad essa parted' parono, ai problemi posti dalla guerra fascista, alla sua origine, ai suoi sviluppi e al suo interrompersi nella sconfitta, sono praticarne^ te la stessa cosa. Battersi per la libertà interna e per il passaggio deh l’Italia dalla parte degli alleati costituisce un solo ed unico processo storico, difficile e complicato come tutte le grandi crisi storiche, e che qui esamineremo soltanto nelle grandi linee. Non dunque storia diplomatica, come può essere stata, almeno in misura maggiore, in altri paesi, i cui governi o movimenti dellV silio e della resistenza cercarono nei rapporti con gli alleati i mezzi, le modalità, le opportunità di un inserimento dei loro sforzi in quelli generali delle Nazioni unite. Per gli italiani liberi non si trattò della continuazione della guerra in altre condizioni e con altri mezzi, e neppure di un rovesciamento di fronte (che non riuscì alla monar' chia), ma della riscoperta da parte di tutto un popolo d’una diversa realtà internazionale — dal contatto con i prigionieri a quello con le missioni alleate, con partigiani di altri paesi, come con i governi che fornivano armi e istruzioni. La storia della resistenza italiana, anche nei suoi rapporti con gli alleati, non può non essere conside' rata che « dal basso », come storia della liberazione delle forze che nella società italiana vollero la lotta contro il fascismo, al fianco delle Nazioni unite. Non è questo, ritengo, pregiudizio storico o politico. Scaturì see da quella che è una delle caratteristiche fondamentali della si' tuazione italiana durante la seconda guerra mondiale: la profonda passività cioè della vecchia classe monarchica e militare. Essa non si oppose, neppure per ragioni tecniche — che pure erano evidenti e pesanti — alla guerra del 1940, non seppe in nessun momento do' minare la guerra stessa, cercandone una condotta razionale o uno sbocco parziale, non seppe approfittare infine dell’armistizio, nè seppe operare il rovesciamento del fronte. E, si badi bene, essa si 20 Ferruccio Pani * Franco Venturi dimostrò incapace di iniziativa in ogni senso, sia nel controllare la guerra fascista, sia nel prendere contatto con gli avversari. Quando si legge il libro di Gerhard Ritter su Goerdeler, ripercorrendo così mentalmente la storia della resistenza conservatrice in Germania, e si volgono poi gli occhi verso l’Italia, tanto più evidente appare nel corso stesso del conflitto, l’incapacità della nostra classe dirigente ad operare sul piano dei contatti tecnici e militari, delle informazioni e delle controinformazioni. Quando poi venne l’armistizio e si ricosti' tuì il governo italiano nel meridione, questa lunga passività, dimo' strata durante la guerra, rese più difficili e talvolta impossibili i pur nobili tentativi che vennero fatti, da quello del generale Pavone a quello, realizzato, del Corpo Italiano di Liberazione, per inserirsi at' tivamente e tempestivamente nel corso della guerra e della politica delle Nazioni Unite (i). Unica eccezione quella della marina. Ed è un capitolo della nostra storia recente che dimostra quanto diverse probabilmente avrebbero potuto essere le nostre vicende se, per as' surda ipotesi, compatto ed efficiente fosse rimasto l’apparato statale militare capeggiato da Vittorio Emanuele III. Questa invero avrebbe potuto esser l’unica condizione capace di far uscire gli alleati dal rigido trinceramento pregiudiziale della « resa senza condizioni » che ebbe così infelice influenza sull’anda' mento della guerra almeno in Italia. Questa mentalità punitiva ed ostile non fu cancellata in fondo neppure dalla riscossa partigiana, neppure dalla evidente ripresa che anche nel Sud si venne gradata- mente manifestando. I reparti regolari italiani — tale era la valuta zione che se ne faceva — vennero impiegati per parecchi mesi solo nei servizi di salmeria e solo nella primavera del 1944 il bisogno sem pre più urgente di complementi indusse ad armare alcune grandi unità italiane. Ma poiché l’Italia doveva essere esclusa dal tavolo della pace dal novero dei belligeranti le si chiamarono « gruppi di combattimento » e non divisioni, nè si volle raggrupparle in una armata italiana. Ma proprio perchè l’apparato statale e militare italiano era profondamente intaccato da vent’anni di simbiosi con il fascismo, così come era indebolito dalle sue tare tradizionali, il popolo italiano nella sua faticosa strada verso il rovesciamento dei rapporti con gli (1) Claudio Pavone, 1 gruppi combattenti in Italia. Un fallito tentativo di costitu zione di un corpo di volontari nell’Italia meridionale (settembre - ottobre 1943) in « Il movimento di liberazione in Italia », n. 34-35, pag. 80-119. La resistenza italiana e gli alleati 2 1 alleati ebbe bisogno di ben diverse guide ed esperienze. L’antifa- seismo italiano trovò allora la sua giustificazione storica. Ne aveva avuta una morale nella disperata lotta contro la sopraffazione, la violenza fascista, ne aveva avuta una sociale e intellettuale conti' nuando a rappresentare le forze oppresse e sfruttate della società italiana. Ma, col io giugno 1940, e poi coll’8 settembre 1943, esso dimostrò di aver avuto ragione nelle sue tesi essenziali e nelle sue idee fondamentali sulla funzione dell’Italia in Europa. L’idea di Gramsci, di Gobetti, di Matteotti e di Rosselli, che fosse necessaria cioè una rottura radicale, integrale con l’Italia controllata dal fasci- smo si dimostrò giusta. Certo sarà il re a rovesciare Mussolini, a ri cercare l’armistizio. Non fu la rivoluzione italiana a rovesciare il fa scismo. Ma, alla prova dei fatti, nè il re nè i suoi governanti si di mostrarono poi capaci di sviluppare, di approfondire la situazione, di trovare il giusto posto dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Non seppero far altro che assistere passivamente al disfacimento dell’8 settembre 1943. La giusta risposta alle circostanze dell’estate di quell’anno fu la radicale rottura e guerra col fascismo e col nazi smo, e questa si chiamò la resistenza. Né l’antifascismo ebbe ragione soltanto nelle grandi linee. Esso aveva elaborato, attraverso vent’an- ni di lotta, un atteggiamento anche per quel che riguardava il rap porto dell’Italia con l’Europa, ed esso si dimostrò fecondo. La previ sione della guerra che tornava (giustamente famosa è rimasta la pro fezia di Carlo Rosselli al momento del riarmo della Renania), l’in terpretazione del conflitto etiopico come d’un elemento essenziale nella preparazione della guerra delle potenze fasciste, l’importanza centrale del conflitto spagnolo, e la lotta contro la passività con cui esso venne accettato da parte dei governi francesi ed inglesi, tutte queste concezioni e discussioni che si svolsero nell’esilio, in Fran cia sopratutto ma anche in Svizzera e in America, tra gli uomini dei partiti repubblicano, comunista, socialista e di « Giustizia e libertà », gettarono le fondamenta di quelle che saranno le linee politiche della resistenza all’epoca della seconda guerra mondiale (2). Possiamo perciò vedere le prime radici dell’azione internazio- (2) Per un orientamento generale vedi L uigi Salvatorelli e G iovanni M ira, Sto ria d’Italia nel periodo fascista, Torino Einaudi, terza edizione, 1959.