« Italia contemporanea », giugno 1980, n. 139

La politica dei « prominenti » italo-americani nei rapporti dell’Oss

Tra il 1943 e il 1945 il gruppo dirigente conservatore che prima della guerra aveva guidato la comunità italo-americana (i cosiddetti prominenti) riconquistò il potere ot­ tenendo un consenso di massa alla propria visione dell’Italia postbellica. I prominenti crearono nuove alleanze e diedero vita ad organizzazioni che esercitarono un ruolo di primo piano nella formulazione della politica statunitense nei confronti dell’Italia per tutto il corso degli anni quaranta. Nel momento stesso in cui i prominenti riaf­ fermavano la propria leadership, l’antifascismo americano scompariva definitiva­ mente. Gli antifascisti non erano riusciti a conquistare il consenso degli italo-ame­ ricani per il loro programma di rieducazione democratica degli Stati Uniti e di rico­ struzione democratica in Italia. Scoppiarono risse furibonde tra la fazione moderata e quella radicale, tra i dirigenti nati negli USA e quelli nati all’estero, e tra orga­ nizzazioni sindacali in concorrenza tra loro *. Approfittando della sconfitta subita dai loro oppositori, i prominenti organizzarono comitati che avevano lo scopo di raccogliere la massa degli italo-americani attorno ad un programma di ricostruzione di tipo conservatore per l’Italia e che riconfermava la posizione tradizionale dei prominenti, quella cioè di interlocutori privilegiati tra la comunità italo-americana e il governo degli Stati Uniti. I comitati rappresentavano il mezzo tradizionale tramite il quale il piccolo gruppo degli italo-americani politicamente attivi mobilitava le masse italo-americane, poli­ ticamente indifferenti. I due più attivi ed efficienti organizzatori di questi comitati furono il ricco proprietario di giornali e filo-fascista nell’anteguerra Generoso Pope, editore de «Il progresso italo-americano », il più diffuso quotidiano di lingua ita­ liana degli Stati Uniti, e Luigi Antonini, capo della Locai 89 sezione della Interna­ tional Ladies Garment Workers Union e vicepresidente dell’unione stessa. Pope ave­ va raccolto un imponente consenso di massa all’aggressione fascista all’Etiopia del 1935. Nel dicembre del 1941 Luigi Antonini fondò il Consiglio Italo-americano del lavoro (Italian American Labor Council) che univa i dirigenti italo-americani delle due organizzazioni sindacali più potenti e rivali tra loro intorno ad un programma comune e rappresentante, a suo dire 300.000 lavoratori. Entrambi fecero ricorso allo stesso metodo: ottenere l’appoggio del maggior numero possibile di dirigenti sindacali concentrando l’attenzione su poche e semplici istanze: conquistare il fa­ vore delle masse tramite una campagna che si servisse della radio e della stampa e organizzare raduni, poi, con grande battage presentare le loro richieste alle autorità governative1 2.

1 Documento n. 1. Copia dei documenti originali è conservata nell’Archivio dell’Insmli. 1 Documento n. 2. 52 James E. Miller

Nell’estate del 1943 Antonini e Pope unirono forze e energie per creare l’American Committee for Italian Democracy (Acid), in cui i prominenti si alleavano con gli antifascisti moderati. L’elemento che teneva insieme questa coalizione era l’antico­ munismo. I capi dell’Acid temevano soprattutto che il caos generato dalla sconfitta dell’Itaiia avrebbe creato lo spazio per una dittatura comunista. Nell’autunno del 1943 i dirigenti dell’Acid tentarono di usare la questione degli aiuti economici all’Ita­ lia come mezzo per realizzare i loro obiettivi, sia in patria che all’estero. Pur non riuscendo nel loro intento, ebbero tuttavia una notevole influenza sulla politica americana degli aiuti: l’alleanza rappresentata dall’Acid esercitò un ruolo predo­ minante nella politica italo-americana durante tutto il periodo della guerra. Lo scontento degli italo-americani per la politica di occupazione alleata, l’ostilità nei confronti degli inglesi, la crescente preoccupazione per l’inadeguatezza degli aiuti economici all’Italia, il rifiorire del sentimento nazionale italiano, e il desiderio di vedere assicurato all’Italia lo status di alleato a tutti gli effetti, tutti questi elementi furono abilmente sfruttati dai dirigenti della coalizione per rafforzare la loro posi­ zione personale e per esercitare sull’amministrazione Roosevelt una pressione volta a modificare la sua politica nei confronti dell’Italia3. Con ravvicinarsi delle elezioni presidenziali del 1944, l’amministrazione Roosevelt rispose a queste pressioni con una più intensa attività politica4. Nonostante i sospetti italo-americani, la nuova politica per l’Italia annunciata da Roosevelt e dal primo ministro britannico Winston S. Churchill nel settembre del 1944 costituiva da parte degli Stati Uniti una mossa politica quanto mai significativa. Il 5 dicembre 1944 il Segretario di stato americano Edward R. Stettinius jr. rim­ proverò pubblicamente il governo britannico per la sua intromissione nella politica interna dell’Italia. La dichiarazione di Stettinius toccò una corda molto sensibile tra gli italo-americani che auspicavano un ruolo più attivo degli americani in Italia e che temevano gli obiettivi sia degli Stati Uniti che dell’Unione Sovietica5. Quando gli Stati Uniti non riuscirono a portare avanti fino in fondo questa linea alla confe­ renza di Jalta, il malcontento degli italo-americani divenne incontenibile. Nuovi comitati furono organizzati da italo-americani desiderosi di sollecitare un più deciso intervento degli Stati Uniti e di assicurare accordi di pace favorevoli per l’Italia6. La coalizione di antifascisti moderati e di prominenti si concentrò su questi problemi per accrescere la propria influenza. Nel 1945 l’antifascismo non esisteva più: era giunta l’ora delFanticomunismo. L’alleanza con l’Unione Sovietica e l’esigenza di unità da parte di tutti partiti antifascisti italiani aveva indotto l’amministrazione Roosevelt a mettere in secondo piano la questione comunista. Nel maggio 1945 Roosevelt tuttavia era morto, e colui che gli succedette, Harry S. Truman, era privo di esperienza e alquanto aggressivo. La guerra in Europa era finita; gli accordi di pace erano ormai i principali problemi che gli alleati del tempo di guerra si trovavano a dovere affrontare, e gli obiettivi che si ponevano americani e sovietici erano evidentemente in contrasto tra loro. Durante i successivi diciotto mesi, l’amministrazione Truman andò via via assumendo una posizione sempre

3 James E. Miller, The Politics of Relief: and The Roosevelt Administration, 1943-44, relazione presentata al convegno annuale della American Historical Association, svoltosi a San Francisco, California, nel dicembre 1978. 4 Documento n. 4. 5 Documento n. 5. 6 Office of Strategie Services, Foreign Nationalities Branch, Report B-359, Italian Americans Campaign for Italian Territorial Integrity, 18 maggio 1945, da 356 a 365, Intelligence Publications (« P ») Files. Records of the Assistant Chief of Staff for Intelligence, Records of War Depart­ ment General and Special Staffs (Record Group 165), National Archives, Washington. La politica dei prominenti 53 più decisamente e palesemente anticomunista, sia all’interno che all’estero. Muo­ vendosi su questa linea, trovò ampio consenso presso la grande maggioranza degli italo-americani. I sentimenti anticomunisti e conservatori degli italo-americani e dell’amministrazione Truman trovarono conferma gli uni negli altri, provocando sempre più pesanti interventi americani negli affari interni italiani7. I documenti che riportiamo in questo articolo furono compilati dal Foreign Na- tionalities Branchi (Fnb) dell’Office of Strategie Services. Il Foreign Nationalities Branch fu istituito nel novembre del 1941 su proposta del Sottosegretario di stato Sumner Welles. I compiti attribuitigli consistevano nel mantenersi costantemente informato circa le attività degli esuli politici negli Stati Uniti, nel controllare le attività dei gruppi etnici e dei loro leaders, e nel trasmettere i dati raccolti al Dipartimento di Stato e ad altre agenzie governative8. Inoltre, grazie ai contatti che teneva con i fuorusciti, il Foreign Nationalities Branch tentò di favorire le attività resistenziali nell’Europa occupata9. Per realizzare questi obiettivi, l’Fnb si tenne in contatto con i leaders di circa cinquantacinque gruppi etnici — che rappresentavano quasi un terzo della popo­ lazione degli Stati Uniti — e con un vasto numero di uomini politici in esilio. Le notizie raccolte tramite contatti individuali e un attento spoglio della stampa perio­ dica in lingua straniera pubblicata negli Stati Uniti venivano trasmesse alle agenzie governative interessate per mezzo di rapporti scritti. Tra le agenzie che si valsero dei servizi del Fnb vi furono i Dipartimenti di Stato, della Guerra, della Giustizia; il Federai Bureau of Investigation (Fbi); l’Office of Naval Intelligence; l’Office of War Information e i capi di Stato maggiore congiunto 10 11. II numero dei funzionari che lavoravano per il Fnb era molto limitato: 45 persone nel 1943. Un aiuto considerevole veniva da una vasta schiera di volontari non stipendiati, formata soprattutto da docenti universitari. Il quartier generale del Fnb era a Washington, ma ebbe ben presto filiali anche a New York, centro delle attività dei gruppi etnici e dei cittadini di nazionalità straniera, e in città quali Boston, Pittsburgh, Chicago e San Francisco dove vivevano numerose comunità di immigrati n. Durante il primo anno di partecipazione degli Stati Uniti alla secondo guerra mon­ diale, vi fu un forte interesse per i problemi che riguardavano i cittadini di nazio­ nalità straniera, suscitati soprattutto dalla preoccupazione per la posizione che avrebbero potuto assumere alcuni consistenti gruppi, quali gli italiani e i tedeschi. Molte importanti agenzie governative furono direttamente coinvolte in rapporti con gruppi di cittadini di nazionalità straniera e, di conseguenza, le operazioni del Fnb vennero di fatto ridotte al semplice resoconto di quanto avveniva. Verso la metà del 1943 le altre agenzie governative avevano notevolmente diminuito il loro interesse per le vicende dei gruppi etnici, dando così al Fnb la possibilità di eser-

7 JAMES E. MILLER, The Politics of Relief, cit. 8 Generale William Donovan a Roosevelt. 20 dicembre 1941, OSS December 18-21,1941, President’s Secretary’s File, Franklin D. Roosevelt Papers, Franklin D. Roosevelt Library, Hyde Park, N.Y. ’ KERMiT Roosevelt (a cura di), War Report of the OSS, New York, 1976, pp. 64-65. A.I.H., Note on Functions of the FNB, 23 luglio 1943, « Miscellaneous Papers », Foreign Nationalities Branch Correspondence, Records of the Office of Strategic Services (Record Group 226), National Archives, Washington. D’ora innanzi FNB Correspondence, RG 226, NA. 10 DeWitte Poole a Cecil W. Barnes, 9 febbraio 1943, e John Wiley al colonnello Buxton, 15 luglio 1942, entrambi in Miscellaneous Papers, FNB Correspondence, RG 226, NA. 11 Poole a L.C.M. Smith, 29 marzo 1943, Miscellaneous Correspondence, FNB Correspondence, RG 226, NA. 54 James E. Miller citare un ruolo molto più attivo nella politica riguardante i cittadini di nazionalità straniera. Al tempo stesso, i contatti sviluppatisi sin dallo scoppio della guerra e l’esperienza derivante dallo stretto contatto mantenuto con la stampa e le trasmis­ sioni radio in lingua straniera, aumentarono notevolmente l’attendibilità delle no­ tizie fornite dal Fnb e la precisione dei suoi rapporti analitici. Il Foreign Nationa- Iities Branch mantenne rapporti particolarmente stretti con Luigi Sturzo e seguì con grande interesse e attenzione la formazione della Democrazia cristiana *2. Altri esuli italiani con i quali il Fnb ebbe stretti contatti furono e . Tra gli italo-americani, il Fnb collaborò attivamente con Luigi Antonini, George Baldanzi, Girolamo Valenti e numerosi altri dirigenti socialisti e sindacali. Pur controllando da vicino le attività dei prominenti più in vista, ad esempio Generoso Pope, pare che abbia evitato ogni contatto diretto. Le simpatie del Fnb andavano tutte agli antifascisti italo-americani di idee liberali e ai fuoru­ sciti di tendenze moderate, quali Sforza e Pacciardi. Mentre questa preferenza per la linea politica dei fuorusciti di idee moderate non sembra avere pregiudicato l’analisi della loro attività politica, vi è, nei rapporti del Fnb, la tendenza a soprav­ valutare l’influenza e l’importanza dei gruppi, numericamente poco consistenti, che stavano alla sinistra di Antonini. Il Foreign Nationalities Branch venne abolito neH’ottobre del 1945. I documenti che lo riguardano sono dispersi e frammentari. La corrispondenza e i documenti relativi al Fnb si trovano nel Record Group 226 dei National Archives di Washington (Records of thè Office of Strategie Services). Le carte del Fnb sono sparse in tutte le filze che contengono i documenti riguardanti diverse agenzie governative. Il set­ tore più consistente dei documenti qui riprodotti si trova nelle filze dellTntelligence Division of thè War Department General and Special Staffs (Record Group 165).

JAMES EDWARD MILLER

1. Rapporto 128. Attuale politica negli Stati Uniti, 15 maggio 1943

Con l’approssimarsi del collasso definitivo della potenza dell’Asse nel Mediterraneo, sono aumentati il disaccordo politico e l’insicurezza tra i circoli di esuli e di emigrati italiani negli Stati Uniti. Colloqui avuti di recente con fuorusciti che abitano a New York hanno rivelato come si stia verificando attualmente un cambiamento considerevole nella compo­ sizione delle organizzazioni antifasciste. Non ne sono chiare le finalità e il morale è piut­ tosto basso. È chiaro che tutti gli elementi di origine italiana prendono molto male la ormai inevitabile rovina militare della madrepatria. Da parte degli ex fascisti la cattiva notizia ha provocato espressioni apertamente ostili nei confronti del governo americano e della sua politica, quali non erano state usate dai tempi di Pearl Harbor. Anche ai vecchi antifascisti le recenti notizie sulla guerra non sembrano fornire alcun motivo di cui rallegrarsi: non hanno ottenuto alcun ricono­ scimento del loro ruolo, e nessuna promessa tangibile di un buon trattamento per l’Italia una volta eliminati fascisti e nazisti. I principali esponenti dell'antifascismo si azzuffano e sono sospettosi gli uni degli altri; ciascuno cerca di ottenere facilitazioni per recarsi in Algeria o a Tripoli preoccupandosi poco o nulla di coloro che erano stati un tempo suoi alleati. È diffusa un’amarezza generalizzata nei confronti di tutto ciò che è britannico; nessuno mette in dubbio il fatto che il termine « filobritannico » sia obbrobrioso. Non si sente nessuna espressione di gratitudine o di amicizia nei confronti delle autorità degli Stati Uniti. Il conte Cario Sforza viene ancora riconosciuto come il capo di tutte le forze in esilio, ma è sotto il tiro incrociate delle critiche sia dei liberali che dei comunisti per non essere riuscito ad ottenere risultati più concreti per la « Italia libera » in esilio. La Mazzini Society. La Mazzini Society, con l’organizzazione affine sudamericana Italia libera, e con le sezioni associate in Inghilterra ed in Egitto ha sino a poco tempo fa da una u Documenti n. 4 e n. 6. La politica dei prominenti 55 parte persistito nella politica precedente (antifascismo, antimonarchia e anticomunismo) dall’altra mantenuto tra tutti gli antifascisti in esilio, una posizione preminente men­ tre invece la sua forza è andata decisamente declinando. Si sono successivamente riti­ rati vari gruppi e varie personalità, e ci sono state dispute all’interno del gruppo diri­ gente. La Mazzini Society quindi è ormai giunta al punto in cui sta realmente subendo non solo un radicale cambiamento nella direzione, ma anche quella che ormai si profila come una svolta decisiva negli scopi dell’associazione e nella sua composizione. Max Ascoli, che ha sostenuto la Mazzini Society in diversi modi, si è recentemente dimesso dalla carica di presidente per potere accettare incarichi affidatigli dal Coordinatore degli Affari Interamericani. Le teste pensanti dell’organizzzioane, Alberto Tarchiani e Alberto Cianca, stanno ora progettando di traserirsi in Africa settentrionale. Nella ricerca di per­ sone in grado di assumere la direzione non si è assolutamente riusciti ad ottenere che qualche italo-americano o qualche esule italiano un po’ in vista accettassero di assumere la presidenza. Per costoro, la Mazzini non aveva più motivo di esistere, e non intendevano, come dichiarò uno di loro, « fare l’impresario di pompe funebri ». Ben pochi, tra i fuoru­ sciti che si occupavano delle faccende italiane, erano convinti che la Mazzini Society avrebbe esercitato un ruolo attivo. Si parla di formare, con queste persone, un gruppo liberale «puro», forse una specie di nuova «Giustizia e Libertà». Sembra, d’altra parte, che la possibilità di assumere la direzione della Mazzini Society abbia tentato Luigi Antonini, dirigente del Partito socialista italiano negli Stati Uniti. Antonini è il capo del Labour Council italoamericano e della Locai 89 (Sindacato dei sarti italiani) dell’International Ladies Garment Workers Union (Ilgwu). È anche vice- presidente della Ilgwu e uno dei principali esponenti della destra anticomunista dell’Ame- rican Labor Party di New York. Tramite il braccio destro di Antonini, Vanni B. Montana (titolare delTufficio stampa del Consiglio italo americano del lavoro e segretario della sezione di New York della Federazione socialista italiana) furono presi accordi per elabo­ rare una rosa di nomi, nel corso di una riunione speciale dei dirigenti della Mazzini Society, svoltasi il 9 maggio 1943. I dirigenti dimissionari, che pure avevano avuto in passato motivi di disaccordo con Montana, collaborarono per mettere insieme questa lista. Il presidente che fu quindi cosi eletto, Giacomo Battistoni di Buffalo, ha in programma di trascorrere diversi giorni della settimana negli uffici di New York, ma il lavoro di ogni giorno sarà affidato a due amici di Antonini, Montana e Umberto Gualtieri. Tutti e tre sono da tempo funzionari del sindacato, oltre che membri attivi della Federazione socia­ lista italiana. Battistoni è stato per diversi anni uno dei personaggi più significativi dei circoli antifascisti di Buffalo. Si ritiene possibile che, sotto il controllo di Antonini, la Mazzini Society si occupi più da vicino degli affari interni, soprattutto di New York. Ci si aspetta anche che si faranno tentativi perché entrino a farne parte noti personaggi politici italo-americani e membri di associazioni. Il settimanale « Nazioni Unite », organo della Mazzini Society, è stato redatto soprattutto da Tarchiani, Cianca e Guido Magrini (che scrive con la pseudonimo di Garosci), che ora stanno per partire insieme per l’Africa settentrionale. Ora dovrebbero mandare avanti il giornale Gualtieri e Montana. Secondo Montana, non ci sono ancora progetti ben defi­ niti. Il giornale potrebbe diventare mensile per contrapporsi al mensile « II mondo », il più antico periodico antifascista, diretto dal socialista Giuseppe Lupis, che desideravano mettere fuori gioco principalmente per ragioni personali ma anche perché, durante l’ul­ timo anno, si era opposto alla Mazzini Society ed aveva appoggiato le proposte di unità antifascista avanzate dai comunisti. Può anche darsi che « Nazioni Unite » continui come settimanale socialista, portando avanti le polemiche a fianco di « La parola ». La nuova Mazzini. Il nuovo atteggiamento del gruppo dirigente influenzerà profonda­ mente le attività politiche e le tendenze della Mazzini Society, sebbene sia troppo presto per dire come esattamente ciò avverrà. Nonostante la sempre maggiore opposizione, la Mazzini Society ha rappresentato, nel corso degli ultimi due anni, il principale punto di riferimento del conte Sforza. Gli uffici della Mazzini a New York hanno avuto la fun­ zione di stanza di compensazione delle informazioni e del lavoro organizzativo in Egitto, a Londra, e soprattutto in America Latina. La « Nazioni unite » ha costituito il princi­ pale mezzo di diffusione delle idee di quegli antifascisti che erano anche anticomunisti. Tra le personalità più influenti appartenenti alla Mazzini Society vi erano i dirigenti in esilio di liberali, socialisti e repubblicani; era anche in rapporti molto cordiali con il gruppo dirigente del Partito popolare cattolico. Quasi tutti gli intellettuali e i fuorusciti appartenenti alle classi sociali più elevate parteciparono alle vicende o collaborarono al giornale della Mazzini. Tra gli antifascisti, soltanto comunisti e alcuni anarchici la con­ trastarono: i primi furono comunque sempre disposti a farne parte, se a coloro che chie­ devano di iscriversi fosse stato consentito di giurare la lotta ai nazifascisti, e non a qual­ siasi forma di dittatura. 56 James E. Miller

La crescente influenza all’interno della Mazzini dei dirigenti sindacali italo-americani incominciò ad allontanare, nel corso del 1942, molti intellettuali e fuorusciti, mentre il ripetersi di discussioni di carattere personale e ideologico portò al ritiro, nel 1943, di quasi tutti gli iscritti, tranne i socialisti membri di associazioni sindacali. I legami con le società latino-amercane sono ancora forti da un punto di vista formale, mentre gli elementi che hanno assunto la direzione in quei paesi hanno ben poco in comune con il gruppo dirigente della Mazzini, e nessun interesse per le questioni sindacali di New York. È quindi evidente che le « Nazioni unite » non può continuare ad avere la stessa influenza di prima. Non è affatto certo che la ricostituita Mazzini Society possa trovare nuova forza in am­ bienti nei quali non era riuscita a penetrare in precedenza, e cioè tra i personaggi più significativi delle confraternite italo-americane e tra gli uomini politici della città. Com­ plesse rivalità personali e gelosie tra questi personaggi ed i politici sarebbero servite ad introdurre nuovi motivi di disaccordo all’interno della Mazzini. Gli italo-americani. Nel mondo italo-americano sia i fascisti di prima di Pearl Harbor che quegli immigrati che hanno sempre espresso consenso politico, stanno attraversando un periodo difficile. I criptofascisti sfogano il loro malumore sull’amministrazione, occupan­ dosi solo dei problemi interni, allo scopo di evitare accuse di sedizione, oppure rivolgono la loro amarezza contro i nostri alleati, soprattutto la Gran Bretagna e la Russia. È molto difficile tenere del tutto nascosto il profondo conflitto tra posizioni contrastanti di cui soffrono i criptofascisti. La maggioranza silenziosa, a giudicare almeno da alcune dichiarazioni, è profondamente depressa per la vergogna e la rovina dell’Italia, ma è fiera di essere americana. Sembra abbastanza improbabile che anche la « nuova » Mazzini Society riesca a crearsi un seguito tra questo genere di persone, o che riesca comunque a farlo un’altra organizzazione anti­ fascista. È fuori dubbio che la stragrande maggioranza degli italo-americani vorrebbe che venissero accettate immediatamente le offerte di pace avanzate dal generale Franco. Quando i commentatori italo-americani nominano Sforza (il che avviene di rado) è quasi sempre con odio e con disgusto nei confronti di tutti gli antifascisti. Antifascisti, anti-Mazzini. Gli ex sostenitori della Mazzini Society non sono ora legati tra di loro in alcun modo, sebbene abbiano in comune elementi sufficienti a consentire la formazione di una organizzazione rivale. Sono tutti nemici di Antonini; la maggior parte di loro desidera ardentemente entrare a fare parte di un movimento antifascista forte e vitale; molti sono in posizione critica nei confronti della politica inglese e americana degli ultimi sei mesi; e pochi hanno pregiudizi nei confronti dei comunisti. Molti intellettuali italiani ebrei, che vivono soprattutto a New York, fanno ancora parte della Mazzini, pur condividendo tutti i punti di vista elencati tranne l’ultimo: sono di­ chiarati capitalisti borghesi. In linea generale sono propensi a restare a fare formalmente parte della Mazzini, ma è presumibile che non ne appoggeranno granché le attività. Non hanno alcun interesse per la politica sindacale italo-americana. La lista di coloro che avevano avuto in passato un ruolo di primo piano nelle attività della Mazzini ma che le sono ora più o meno apertamente ostili comprende uomini come Carlo a Prato, già appartenente all’ala destra del Partito socialista italiano; Giuseppe Lupis, direttore de « Il mondo »; e , ex membro del Parlamento italiano e intellettuale antifascista da lunga data. A motivo dei suoi impegni con l’Owi, a Prato avrebbe potuto avere un ruolo positivo nel tentativo di creare una organizzazione antifa­ scista. Lupis, amico di a Prato, era in stretti rapporti con Pacciardi, con i dirigenti co­ munisti negli Stati Uniti e in Messico, e con coloro che, a Londra o in America Latina, si stanno dando da fare per sciogliere le varianti locali della Mazzini o per impadronirsene. Nell’assumere il controllo della Mazzini Society, Antonini si è posto in aperto contrasto con i dirigenti sindacali locali italo-americani, a capo dei quali è Augusto Bellanca, la cui posizione in seno alla Amalgamated Clothing Workers è analoga a quella di Antonini all’interno della Ilgwu. Sembra che la posizione dichiaratamente anticomunista della Amalgamated Clothing Workers Union si sia leggermente modificata all’inizio dell’inverno. In conseguenza di ciò, la fazione di Bellanca è oggetto di pressioni da parte dei dirigenti della Sezione italiana dell’International Workers Order, e il « Worker » della domenica (9 maggio) auspica la formazione di una confederazione di locali sindacali italo-americane, in opposizione al Consiglio italo-americano del lavoro di Antonini. La fazione di Antonini è ormai in rotta, in seguito a violenti disaccordi tra le persone che ne fanno parte, con la fazione di Bellanca, sia all’interno del Consiglio italo-americano del lavoro che della Federazione socialista italiana e del gruppo dirigente della Mazzini. Alla riunione del 9 maggio Bellanca stesso non fu più rieletto nel gruppo dirigente della Mazzini Society: i suoi amici, capeggiati da Girolamo Valenti, direttore de « La parola », dichiararono di ritirarsi dalla società e abbandonarono la seduta. La politica dei prominenti 57

I repubblicani. Lo sparuto gruppo di repubblicani italiani che fa capo al colonnello Ran- dolfo Pacciardi è profondamente ostile alla Mazzini Society di Antonini. Sono disposti a collaborare con i comunisti ma non hanno ancora istituito legami organici; per ragioni storiche e personali è probabile che non li stabiliranno mai, ma si sono sempre dichiarati disponibili a prendere parte ad una vasta coalizione antifascista, della quale avrebbero potuto fare parte anche i comunisti. I repubblicani si dichiarano ufficialmente disposti a sostenere una eventuale proposta di movimento antifascista unitario. Il giornale di Pac­ ciardi, « La legione », è visto di buon occhio, per la sua imparzialità e ampiezza di vedute, da molti membri della Mazzini Society. Il fallimento del progetto di Pacciardi di formare una legione italiana antifascista (che è ormai evidente, nonostante il suo ostinato rifiuto a rinunciare alla speranza) ha attirato le simpatie di molti ed ha reso più aspre le critiche nei confronti della politica del governo americano nei riguardi dell’Italia. I comunisti. Fin dal giugno 1942 i comunisti hanno cercato di entrare a farte parte della Mazzini Society, pur cercando, al tempo stesso, di esaminare la possibilità di metter in piedi una organizzazione unitaria rivale, a livello mondiale. Finora hanno dato vita alla Alleanza Garibaldi in America Latina, che è una organizzazione « unitaria » controllata dai comunisti e che accoglie qualche socialista dissidente e un po’ di gente che non fa parte di alcun partito. La Alleanza Garibaldi, stando almeno a quello che dicono i suoi nemici, ha cercato di supplire alla propria debolezza, dovuta al numero esiguo di iscritti e alla mancanza di « nomi » di prestigio ai vertici, con una attività continua e a largo raggio. Non ha avuto alcun successo negli Stati Uniti, mentre, a Londra ed in alcuni paesi dell’America Latina, dei gruppi vicini all’Alleanza sono riusciti a far crollare o soppiantare società affiliate alla Mazzini; è anche affiliata con l’unica organizzazione ita­ liana antifascista esistente in Australia. II dottor Francesco Frola, capo dell’Alleanza Garibaldi, ex socialista per un lungo periodo vicino ai comunisti, ha ultimamente cercato di trascinare i nemici della Mazzini in una organizzazione super-unitaria che dovrebbe includere, senza assorbirla, la Alleanza Gari­ baldi. Si chiama provvisoriamente « Comitato di coordinamento e orientamento dei liberi movimenti italiani all’estero e di aiuto al popolo taliano ». Il conte Sforza. Si ritiene che il conte Sforza continuerà ad esercitare negli Stati Uniti il suo ruolo di capo carismatico dei movimenti italiani di liberazione. Il suo soggiorno negli Stati Uniti, si pensa generalmente, non è più dovuto alla necessità di mantenersi in con­ tatto con il centro degli esuli politici. I liberali sono propensi a criticarlo per non essere riuscito ad ottenere da parte dei governi americano e britannico precise garanzie circa la risoluzione dei problemi italiani. I militanti comunisti, o coloro che sono in qualche modo vicini al partito, continuano ad attaccare i suoi sostenitori liberali e insistono sempre più energicamente perché rinunci al ciclo di conferenze che tiene nelle università americane e si dedichi alla costituzione di un libero comitato italiano. Attualmente il conte Sforza sta tenendo un corso al Carnegie Endowment; dovrebbe rien­ trare a New York il 20 maggio. Verso l’Africa settentrionale. Gli anticomunisti che fanno parte della fazione di Tarchiani ed anche i loro avversari sono ora tutti presi dalla corsa verso l’Africa settentrionale. Indipendentemente dal fatto che il conte Sforza resti o meno negli Stati Uniti, il centro dell’attività per gli uomini politici italiani in esilio si sta spostando dall’emisfero occiden­ tale. È probabile che d’ora innanzi la libera attività politica italiana eserciterà lì la sua influenza anziché irradiare da qui le sue direttive.

2. Rapporto B-65. La fine di Mussolini e la scena politica Italiana negli Stati Uniti, 3 agosto, 1943 La fine dell’era fascista non ha favorito l’unità degli italo-americani, ma ne ha anzi accen­ tuato le divergenze. A destra è già stato organizzato un « Committee for Italian Democracy » da parte di un gruppo che comprende il dirigente sindacale Luigi Antonini e numerosi italo-americani che occupano posizioni di rilievo nella vita pubblica e nel mondo degli affari: alcuni di costoro erano stati dichiaratamente filo-fascisti. All’estrema sinistra i comunisti stanno creando un blocco che si chiama United Americans of Italian Origin for United Nations Victory per il quale cercano l’appoggio di elementi del centro ed anche della destra. Al centro un gruppo di socialisti e dirigenti sindacali, che comprende ex alleati di Antonini nel Consiglio italo-americano del lavoro e nella Mazzini Society, si è dichiarato contrario al Committee for Italian Democracy ma, sino ad ora, ha anche evitato di legarsi a sinistra con il blocco comunista. 58 James E. Miller

Nella lotta tra diverse fazioni che si sta svolgendo, le questioni sindacali americane e le divergenze politiche americane hanno indubbiamente un peso assai superiore a quello delle motivazioni esclusivamente italiane. Gli italo-americani, compresi coloro che si erano in passato dichiarati filo-fascisti, sembravano pronti ad assistere alla caduta di Mussolini, dopo le imprese degli ultimi tre anni. La destra: Commiato for Italian Democracy. Un progetto per una unità italo-americana fu avanzato per la prima volta da Luigi Antonini sul « Progresso italo-americano » di New York (19 luglio) c sul giornale del gruppo Hearst di New York, il « Journal-American ». Nella sua qualità di presidente del Consiglio italo-americano del lavoro, egli rese nota la sua intenzione di mettere insieme rappresentanti di confraternite italiane, società di mutuo soccorso, gruppi sindacali, e giornali « per dare al popolo americano un esempio di unità reale e di fiducia e appoggio alla democrazia ». 11 convegno avrebbe dovuto svolgersi al­ l’inizio dell’autunno. Dopo l’annuncio della caduta di Mussolini, Antonini, insieme ad altri dirigenti italo-ame­ ricani, indisse per il 2 6 luglio una riunione, nel corso della quale venne annunciata la formazione del Committee for Italian Democracy. Il giudice Ferdinando Pecora ne è pre­ sidente, Antonini vicepresidente. I Figli d’Italia sono rappresentati dal loro presidente, il giudice Felix Forte di Boston, e da membri influenti quali il giudice Alessandroni di Filadelfia, Frank B. Giglioni di San Francisco, e Generoso Pope di New York, direttore de «Il progresso italo-americano». Gigliotti e Pope sono rispettivamente segretario e tesoriere del nuovo comitato. Alla riunione del 26 luglio erano inoltre presenti John C. Montana di Buffalo, il giudice Felix Benvenga della Suprema Corte di New York, Anthony Sarese di Queens, e il dott. Charles Fama, presidente della commissione medica del si­ stema pensionistico della città di New York. Il membro del Congresso Thomas d’Ales­ sandro del Maryland era stato invitato ma non compare nelle fotografie del Comitato. La prima indicazione circa la composizione del Committee for Italian Democracy apparve su « Il progresso » del 25 luglio, in un articolo di Drew Pearson (redattore della pagina sindacale) intitolato L ’allegro girotondo di Washington. Pearson, che ha collaborato a « Il Progresso » con una rubrica settimanale, proponeva che il Consiglio fosse formato da italo-americani importanti, come Pecora, Forte, Alessandroni, d’Alessandro e Poletti. Un simile consiglio di « liberáis », affermava Pearson, avrebbe potuto impedire il « darlani- smo » in Italia; egli auspicava inoltre la collaborazione con i Figli d’Italia. Il primo pub­ blico annuncio riguardante la creazione del comitato fu dato da Pearson nel corso di una trasmissione radiofonica diffusa nella notte del 25 luglio. Egli dichiarò che Pecora avrebbe convocato la riunione del comitato; ripetè, con l’eccezione del tenente colonnello Poletti (che si trovava in Sicilia) i nomi proposti nell’articolo, aggiungendo quelli di Pope, Anto­ nini, e del banchiere californiano A.P. Giannini. Nella sua rubrica sindacale del 31 luglio espresse la sua adesione incondizionata al comitato. Anche il gruppo editoriale Hearst diede pronta e favorevole pubblicità al comitato. In passato, i giornali del gruppo Hearst avevano offerto una serie di trasmissioni per l’Italia condotte da italo-americani che occu­ pavano posizioni di prestigio, tra i quali vi erano anche i dirigenti dei Figli d’Italia. Si può dire che il programma adottato il 2 6 luglio dal comitato di Pecora, come base per « un movimento di reale unità democratica tra gli italo-americani », fosse un adattamento del programma iniziale di Antonini per una conferenza italo-americana. Il suo scopo era di fare aumentare il contributo italo-americano allo sforzo bellico; di consolidare l’opinione pubblica americana in favore di una giusta pace per l’Italia, che comprendeva il mante­ nimento della integrità territoriale e dell’indipendenza italiane nello spirito della Carta atlantica e delle Quattro libertà; di favorire una soluzione democratica del problema ita­ liano «libera dalla paura dei fascisti o di qualsiasi altra rappresaglia antidemocratica»; e, infine, di collaborare con le agenzie governative americane alla riabilitazione dell’Italia. Il programma per l’Italia del Comitato mette in guardia contro i pericoli del « darlani- smo » e insiste sul diritto degli italiani a scegliere la propria forma di governo. La piat­ taforma del Comitato è analoga a quella di Antonini, con la sola differenza che nella dichiarazione originale non viene affatto menzionata la questione della monarchia. Anto­ nini è sempre stato un oppositore di Casa Savoia. Anche in passato si erano manifestati segnali dei tentativi di Antonini di cercare l’ap­ poggio di persone note come ex fascisti. Per un certo periodo era stato strettamente legato a Generoso Pope del cui giornale « Il Progresso » si serve regolarmente come canale pub­ blicitario. Antonini ha anche fatto la corte ai Figli d’Italia, la più potente confraternita italo-americana. È membro di un gruppo dissidente di New York noto come i « Figli d’Italia, Grande Loggia » (talvolta chiamata anche « Figli americani d’Italia ») che si era distaccata dall’ordine dei Figli d’Italia soprattutto per la propria opposizione al fascismo. Lo scorso inverno i Figli d’Italia hanno ripudiato pubblicamente il fascismo; da allora Antonini si è fatto promotore di un riavvicinamento della Grande Loggia all’ordine prin- La politica dei prominenti 59 cipale. Chiaramente intende ora servirsi della influenza dell’ordine sul Committee for Italian Democracy. La sinistra: United Americans of Italian Origin for United Nations Victory. Nel frat­ tempo la sinistra si è data da fare per proprio conto al fine di costruire « l’unità ». I comunisti hanno esercitato un ruolo di primo piano nei Consigli della vittoria organizzati sotto gli auspici dell’Owi in varie città per tenere uniti gli italo-americani nel sostenere lo sforzo bellico americano. Prima dell’annuncio della destituzione di Mussolini avevano tentato di organizzare una serie di incontri destinati ad attrarre i siculo-americani, in quanto ponevano l’accento sulla liberazione della Sicilia. A Pittsburgh era assolutamente impossibile ottenere la partecipazione ad un incontro del genere, mentre a New York circa 1600 italo-americani si riunirono presso la Cooper Union il pomeriggio di domenica 25 luglio. La notizia della caduta di Mussolini, data dal membro del Congresso Marcan­ tonio di New York mentre la riunione era in corso, diede origine ad una irrefrenabile dimostrazione di gioia. Da allora la stampa comunista ha sostenuto la riuscita della riunione. Viene ora annunciato che il 9 settembre, al Madison Square Garden di New York, si terrà un raduno sotto gli auspici dell’organizzazione degli United Americans of Italian Origin for United Nations Victory. Il membro del Congresso Marcantonio è provvisoriamente presidente della nuova organizzazione, alla quale si dice essersi dichiarato favorevole il sindaco di New York Fiorello La Guardia. Questo gruppo sostiene anche di avere otte­ nuto l’appoggio di molti giovani funzionari italo-americani... Il centro. È già stato sottolineato (FN n. 128, 15 maggio 1943) come Antonini avesse recentemente assunto il controllo della Mazzini Society, la più importante organizzazione di italiani antifascisti negli Stati Uniti. Ma il nuovo presidente della società, James Batti- stoni di Buffalo, la cui candidatura era stata proposta da Antonini, si era rifiutato di fare parte di un comitato insieme a Generoso Pope e altri che egli definisce « uomini del- l’ultim’ora». Battistoni firmò un documento prodotto nel corso di una riunione di un gruppo antifascista i cui leaders erano un altro dirigente della Mazzini, Girolamo Va­ lenti, direttore di « La parola » e il magistrato J. Roland Sala. Il loro documento attacca il re [Vittorio] Emanuele e Badoglio e denuncia sia i filo-fascisti che i comunisti. Sala ha affermato che Joseph Catalanotti della Amalgamated Clothing Workers (Ciò) era presente alla riunione ed ha firmato il documento. La sua speranza è di formare una nuova orga­ nizzazione antifascista e di ottenere adesioni tra le fila dei socialisti e dei liberali italo- americani; ha anche detto che accetterà gli ex filo-fascisti, purché non avessero occupato posizioni di rilievo. Palesemente assenti dalla lista del Comitato Pecora-Antonini sono i nomi di coloro che erano stati con Antonini nel Consiglio italo-americano del lavoro: Augusto Bellanca e Joseph Catalanotti, che occupano posizioni di rilievo nella Amalgamated Clothing Workers (Ciò), e George Baldanzi, dirigente della Textile Worker’s (Ciò). Il 27 luglio costoro sottoscrissero una dichiarazione che condannava la contemporanea presenza in questo co­ mitato di sindacalisti e di uomini « che fino a poco tempo prima avevano cantato le lodi del fascismo e di tutti i delitti compiuti in suo nome». Dichiararono anche che «Anto­ nini non aveva alcun diritto a fare partecipare al Comitato di Pope il Consiglio [italo- americano del lavoro] e che agiva a titolo puramente individuale ». In seguito Antonini dichiarò di parlare esclusivamente a nome del sindacato al quale apparteneva, cioè l’In- ternational Ladies’ Garment Workers’ Union (Afl). Sia il gruppo di Sala del Centro che la fazione diretta dai comunisti all’estrema sinistra stanno cercando di ottenere l’appoggio di Bellanca e della Amalgamated... Il fattore interno. All’interno della manovra politica che si sta ora svolgendo, il problema dell’Italia non sembra costituire il fattore principale. Gli scontri verificatisi tra l’Afl e la Ciò hanno creato motivi di disaccordo tra Antonini e Bellanca. Il dissenso tra la destra e la sinistra all’interno dell’American Labor Party fornisce una spiegazione parziale dei contrasti tra Antonini e Marcantonio. Si dice inoltre che gli italo-americani repubblicani come Edward Corsi, ex Commissario per l’emigrazione, e la naturalizzazione, potrebbero ostacolare il Comitato Pecora-Antonini per il fatto che è di matrice democratica. La fine del Duce. In pratica tutti i settori della popolazione italo-americana, anche coloro che in passato erano stati filo-fascisti, erano in realtà preparati alla fine di Mussolini. A Pittsburgh i dirigenti di alcune società di mutuo soccorso, un tempo convinti sosteni­ tori del Duce, ormai non lo giustificavano più in alcun modo. Il commentatore radiofonico Lido Belli, noto in passato per le lodi sperticate a Mussolini, nel corso di una trasmissione radiofonica della Wbnx di New York il 26 luglio descrisse il fascismo come « uno dei più grandi fallimenti politici che la storia ricordi». Il «Progresso italo-americano » di New York, che era stato apertamente filo-fascista, descrisse la destituzione di Mussolini come « la conseguenza logica ed inevitabile del suo tradimento nei confronti del popolo ita­ liano ». Il « Progresso » aveva spesso parlato del Maresciallo Badoglio come di un possi- 60 James E. Miller bile successore di Mussolini. La « Notizia » di Boston, che era sempre stata vicina al fascismo, non espresse alcuna opinione al momento della fine del fascismo. L’espressione di giudizi sul nuovo assetto politico fu inizialmente molto controllata. Il conte Carlo Sforza, che aveva di recente espresso la sua opposizione a Casa Savoia, si mostrò inizialmente propenso a non prendere posizione. In seguito espresse commenti sulla debolezza del re e affermò che Badoglio non avrebbe potuto « creare una situazione che avrebbe salvato l’Italia». I comunisti, secondo l’opinione espressa tra gli altri, dal docente universitario e giornalista Ambrogio Donini, erano propensi ad evitare di attac­ care il re e Badoglio fintanto che non fosse stato chiaro se avrebbero seguito una politica « democratica », Altri antifascisti furono meno prudenti. Il socialista Giuseppe Lupis, direttore de « Il mondo », nel corso di trasmissioni sulla rete Whom (25 e 26 luglio) descrisse il re come la persona più direttamente responsabile della durata del regime fascista. Lupis affermò che gli avvenimenti recenti dimostravano che il re avrebbe potuto cacciare via Mussolini già da un pezzo. « L’episodio di Mussolini è trascorso nella vergogna. Non resta che liqui­ dare l’episodio della monarchia fascista e sarà anch’esso liquidato». Lupis sosteneva che Badoglio, un «residuo di Caporetto», era appoggiato esclusivamente dagli industriali. Vi fu chi mise in guardia contro il pericolo che si verificasse anche in Italia il « darla- nismo ». Su questa linea il professor Giuseppe Borgese, autore di Golia, la marcia del fascismo condannò sia il re che Badoglio. « Il re — affermò — era responsabile del fa­ scismo tanto quanto Mussolini. E Badoglio in quanto comandante in capo nella guerra di Etiopia era responsabile della fine della Società delle Nazioni ». Un forte nazionalismo italiano, la preoccupazione per i confini e per le colonie d’Italia, nonché il timore dell’imperialismo britannico erano più che evidenti nelle reazioni di molti italo-americani e italiani intervistati a Pittsburgh e altrove. Il colonnello Randolfo Pacciardi, che aveva tentato di organizzare una Legione di italiani liberi, pur esprimendo ad un rappresentante del Foreign Nationalities Branch la sua opposizione al re e a Ba­ doglio, assunse sostanzialmente un atteggiamento da nazionalista italiano. Gli dispiaceva che il funzionario responsabile degli affari civili dell’Amgot non fosse americano; diffidava della Gran Bretagna. Pacciardi si preoccupava del futuro del territorio italiano; avrebbero dovuto essere sacrificati l’Albania e il Dodecaneso ma né la Sicilia né Trieste; se si fosse profilata la minaccia di una simile eventualità, l’Italia avrebbe combattuto — sosteneva Pacciardi — alleandosi, per la difesa del territorio italiano, con qualsiasi altro paese, per­ fino con la Russia. Il colonnello Pacciardi sosteneva anche che l’Italia necessitava di uno sbocco per la popolazione eccedente. La maggioranza degli italo-americani era concorde nello sperare che l’Italia avrebbe ben presto ottenuto la pace: solo alcuni non speravano nella pace, bensì in una nuova guerra nella quale l’Italia sarebbe stata alleata delle Nazioni Unite contro il nazismo.

3. Rapporto B-187. L’opinione italo-americana e la collaborazione tra il Re, Badoglio e i comunisti, 21 aprile 1944 L’annuncio, dato il 13 marzo, che vi sarebbe stato uno scambio di rappresentanti tra l’Unione Sovietica ed il governo italiano mise in evidenza il problema della collaborazione tra il re e Badoglio da una parte e i sei partiti antifascisti italiani dall’altra. I comunisti italo-americani, come del resto i loro compagni in Italia, furono colti del tutto alla sprov­ vista dalla notizia, e assunsero troppo precipitosamente posizioni che furono poi costretti ad abbandonare in gran fretta quando fu chiarito il significato della mossa sovietica. Per i non-comunisti i nuovi sviluppi riportarono alla ribalta l’eterna questione della collabo- razione con i comunisti. Molti di loro videro una nuova alleanza tra comunismo e fa­ scismo, e gli anti-comunisti più intransigenti sostennero che le circostanze avevano con­ fermato la loro opposizione ad ogni forma di collaborazione con i comunisti. La posizione comunista: prima interpretazione. In un primo momento i comunisti italiani residenti negli USA interpretarono lo « scambio » di rappresentanti voluto dai sovietici come un riconoscimento del popolo italiano, destinato non a rafforzare la monarchia e Badoglio bensì a condannarli. Sebbene il « Daily Worker » e il « New Masses » dichiaras­ sero apertamente che il governo Badoglio, in seguito alla mossa sovietica, avrebbe potuto essere allargato, i comunisti italiani, stando almeno a quanto dichiarato sul settimanale di New York «L’unità del popolo», o in discorsi tenuti in pubblico da Giuseppe Berti, Ambrogio Donini e Bruno Erber, non prevedevano di instaurare alcuna forma di colla­ borazione con Badoglio o con il re. Donini, nel corso di un colloquio con un rappresen­ tante del Fnb il 26 marzo, ha manifestato la speranza che nel prossimo futuro si possa dare vita ad un governo guidato dal conte Sforza. La politica dei prominenti 61 L’eventualità di una collaborazione con il re e con Badoglio appariva così remota che «L’Unità» del 1° aprile attribuì con titoli di scatola al Partito comunista italiano la responsabilità di avere impedito la formazione di un governo di coalizione guidato da Badoglio. Si citava un discorso tenuto il 18 febbraio dal dirigente comunista Eugenio Reale per dimostrare come dopo il Congresso di Bari i comunisti e il Partito d’azione si fossero opposti al « torbido compromesso » che gli altri partiti erano disposti a fare con un re fascista e con un governo fascista. Un rapido voltafaccia. Questo numero de « L’Unità » era appena uscito quando venne rilasciata sull’« Izvestia » la dichiarazione che chiariva la posizione dei sovietici. Seguì poi la conferenza-stampa del dirigente comunista italiano Paimiro Togliatti (Ercoli), ap­ pena rientrato in Italia dall’Unione Sovietica. Appariva ora chiaro che i comunisti ave­ vano intenzione di rinviare il problema della monarchia e di prendere l’iniziativa di allar­ gare il governo Badoglio. I comunisti italiani residenti negli Stati Uniti seguirono la linea del partito. « L’Unità [del popolo] » interpretò « l’iniziativa » comunista come una giusti­ ficazione per la collaborazione che i comunisti avevano in passato tanto sdegnosamente respinto, e trovò nel discorso tenuto il 9 aprile dal segretario di stato Hull una indicazione dell’appoggio che gli americani erano disposti a dare all’allargamento del governo pro­ posto dai comunisti. La politica di Ercoli fu approvata senza riserve in un telegramma firmato dai comunisti italiani più in vista dell’emisfero occidentale: Berti e Donini a New York, Mario Montagnana e Vittorio Vidali a Città del Messico, Ennio Gnudi in Canada, e Paolo Quaglierini (probabilmente Paolo Bono a Montevideo). Posizione degli antifascisti in linea di massima sfavorevole. Nelle settimane che seguirono l’annuncio dello scambio proposto dai sovietici monsignor Ciarrocchi, direttore di « La voce del popolo » e don Luigi Sturzo, ex dirigente del Partito popolare cattolico, furono in pratica gli unici antifascisti ad avere una buona parola per il nuovo stato di cose. Ciarrocchi, che sin dalla caduta di Mussolini si era mostrato favorevole alla collaborazione con la monarchia e con Badoglio, si era distinto dalla maggioranza degli antifascisti ap­ provando sia il discorso di Churchill del 22 febbraio, sia la proposta sovietica di scambio di rappresentanti. Don Sturzo non condivideva la posizione di Ciarrocchi nei confronti del discorso di Churchill, mentre si espresse a favore dello scambio di rappresentanti («Il mondo», marzo) come mezzo per risollevare il prestigio del popolo italiano, e so­ stenne l’opinione (che aveva ottenuto il consenso dei comunisti), che il re e Badoglio avrebbero costituito soltanto una fase transitoria nella vita politica italiana. Tra la maggioranza degli antifascisti la notizia dello « scambio » proposto dai sovietici provocò la stessa costernazione causata dal discorso di Churchill del 22 febbraio e dal­ l’annuncio dato dagli americani che un terzo della flotta italiana (o il suo equivalente) avrebbe dovuto essere consegnata all’Unione Sovietica. Si accese un dibattito per stabi­ lire se la Russia avesse agito allo scopo di favorire la politica anglo-americana in Italia 0 di opporvisi, mentre vi fu accordo totale sul fatto che Stalin, come Churchill, aveva rafforzato in Italia il re e Badoglio, imponendo di fatto al popolo il loro governo. Alcuni giornali avevano addirittura avanzato l’ipotesi che vi fosse stato un armistizio segreto i cui termini potevano avere motivato l’appoggio dato agli attuali governanti delPItalia. Una lettera di protesta. L’opinione più diffusa tra gli antifascisti era che gli italiani fos­ sero trattati come un popolo conquistato e privato del diritto di decidere la propria forma di governo. Una lettera aperta di protesta al Presidente Roosevelt intitolata « Signor Presidente, stiamo combattendo per il re d’Italia? » fu firmata da numerosi antifascisti italo-americani, tra i quali Luigi Antonini e George Baldanzi che appartenevano a con­ sigli italo-americani del lavoro in concorrenza tra loro, il dottor Max Ascoli, ex presidente della Mazzini Society, e il Professor Lionello Venturi della Ecole Libre di New York («New York Times», 1 aprile). Al fascismo, sostenevano i firmatari della lettera, veniva concessa « una preziosa dilazione », grazie al mantenimento in carica di un re fascista e di un generale fascista. In pratica tutti gli antifascisti condividevano la posizione espressa nella lettera. II professor Gaetano Salvemini dell’Università di Harvard predisse che sarebbe giunto il momento della resa dei conti per coloro che avevano collaborato con il re e con Badoglio. 11 eo- lonnelo Randolfo Pacciardi, nel corso di un colloquio con un rappresentante del Fnb, si dichiarò certo che il suo piccolo Partito repubblicano — come pure i socialisti, anche se non risulta che avessero pienamente autorizzato una confidenza del genere — non sì sarebbero messi dalla parte dei collaborazionisti. 1 comunisti sotto accusa. Come ai tempi del patto nazi-sovietico, si sosteneva che fascia®© e comuniSmo si fossero ancora una volta alleati. Secondo Salvemini la storia delle tdaeìomì sovietiche con il fascismo italiano era una storia di «collusione tra fascisti e comunisti» e di « colpi alle spalle » per gli antifascisti italiani, il primo dei quali fu ìnferto dog© il delitto Matteotti nel 1924. Il giornale anarchico «L’Adunata dei refrattari» pubblicò 62 James E. Miller serie di articoli molto sarcastici il primo dei quali era intitolato Stalin alla corte dei Savoia. I comunisti italiani, residenti sia negli Stati Uniti che in Italia, venivano messi in ridicolo per il loro rapido voltafaccia. Ricordando che Leo Weiczen [Leo Valiani] era uscito dal Partito comunista italiano al tempo del patto nazi-sovietico nel 1939, alcuni espressero la speranza che ci fossero anche nella circostanza attuale dei comunisti che, come lui, « ponessero il paese al di sopra del partito ». Ma questo si rivelò una posizione ottimistica della prima ora. L’opinione più diffusa era che i comunisti si sarebbero conformati alla linea sovietica, non appena ne fossero venuti a conoscenza. Ercoli, quando infatti definì questa linea, fu descritto come un lacchè di Stalin. Salvemini predisse che il re d’Italia gli avrebbe ben presto conferito una decorazione. Per illustrare l’improvviso voltafaccia dei comunisti italiani in USA, il giornale socialista « La parola » (15 aprile) riprodusse allegramente i titoli de « L’Unità » nei numeri immediatamente precedenti e immediatamente seguenti l’articolo della « Izvestia ». Mentre anche Pacciardi, che si era in passato dichiarato favorevole alla collaborazione con i comunisti, si opponeva ora alle loro posizioni (secondo « L’Unità » ciò era dovuto all’influenza di Salvemini), i più irreducibili avversari della collaborazione con i comunisti trovavano ora conferma ai loro più seri timori. Tra i leaders di questo gruppo vi sono Luigi Antonini, capo della Locai 89 della International Ladies’ Garment Workers’ Union (Afl) e il titolare dell’ufficio stampa, Vanni Montana, che era inoltre segretario della Federazione socialista italiana negli Stati Uniti. La loro opposizione era stata ancora più dura a causa delle loro recenti esperienze nelle organizzazioni sindacali americane. Costoro avevano combattuto e vinto la battaglia contro i comunisti all’interno della Locai 89, ed avevano anche visto l’American Labor Party, della cui destra Antonini era un dirigente, passare sotto il controllo del gruppo favorevole alla collaborazione con i comunisti. Già in gennaio Montana, il quale aveva saputo che Badoglio aveva accettato che Ercoli tornasse, dichiarava al Fnb che ci sarebbe stato un accordo tra Badoglio e i comunisti. In qualità di segretario della Federazione socialista italiana, egli denunciò quei socialisti che, nel­ l’Italia liberata, erano disposti a collaborare con i comunisti o con Badoglio; secondo lui, erano sotto l’influsso di Pietro Nenni, della sinistra socialista italiana che aveva per un certo periodo collaborato con i comunisti. I Consigli italo-americani del lavoro invertono la rotta. Antonini è presidente del Con­ siglio italo-americano del lavoro, formato in origine dai sindacati italo-americani Afl a Ciò. L’agosto scorso, dopo che Antonini si era unito con ex filo-fascisti nell’American Committee for Italian Democracy, un gruppo di sindacati locali, soprattutto della Ciò, guidati dalla Amalgamated Clothing Workers, si erano staccati ed avevano costituito un loro Libero Consiglio italo-americano del lavoro, schierandosi apertamente contro qual­ siasi alleanza con il fascismo e dichiarandosi oppositori intransigenti di ogni forma di collaborazione. Pacciardi e Salvemini furono i principali oratori durante il raduno che tennero in occasione del Columbus Day. Oggi le posizioni del Consiglio si sono capovolte. Antonini, che al momento della seces­ sione si era dichiarato favorevole ad una temporanea collaborazione con il re e con Ba­ doglio, si oppone ora a questa tattica con ardore pari a quello con cui condanna la colla­ borazione con i comunisti. Ricordando la condanna di Salvemini per ogni forma di colla­ borazione pronunciata al raduno per il Columbus Day del Consiglio per l’Italia Libera, egli lesse, nel corso della trasmissione radiofonica del 15 aprile, l’articolo di Salvemini su Badoglio e Ercoli (« Corriere del popolo », 6 aprile) e sfidò le « caste Susanne » (così An­ tonini chiamava il Consiglio per l’Italia libera) a fare altrettanto. Questa trasmissione fece sì che « l’Unità [del popolo] » (22 aprile) attaccasse quella che definiva la « coalizione Antonini-Salvemini ». II gruppo Italia Libera, che segue la politica dell’unità con i comunisti sul fronte interno del Comitato di azione politica del Ciò, passa ora sopra al fatto della collaborazione con la monarchia e con Badoglio in Italia. Nel corso delle loro trasmissioni settimanali sulla stazione Whom di New York, gli esponenti dell’Italia Libera evitarono qualsiasi riferi­ mento allo «scambio» sovietico; il 15 aprile però Giovanni Lago, parlando a nome del Consiglio dell’Italia Libera, si dichiarò apertamente favorevole alla collaborazione con il re, attribuendo la proposta non a Ercoli ma al filosofo Benedetto Croce, dirigente del Partito liberale dell’Italia liberata. Non risulta tuttavia che il Consiglio fosse del tutto unanime. Come abbiamo già detto, un suo membro, e cioè George Baldanzi, aveva firmato la lettera aperta al presidente Roosevelt per protestare contro il fatto di dovere combat­ tere per il re italiano. Il presidente del Consiglio per l’Italia Libera, Giuseppe Catalanotti, affermò, durante una conversazione privata, di rifiutare di firmare la lettera, e dichiarò che Baldanzi non era autorizzato a servirsi del nome del Consiglio. È anche opportuno rilevare un mutato atteggiamento nei confronti del conte Sforza. La politica dei prominenti 63 Antonini e Montana, che erano stati tra i più attivi sostenitori di Sforza, si oppongono ora all'intenzione manifestata da Sforza di collaborare con i comunisti. Carmelo Zito, che era stato un tempo un ammiratore di Sforza, ha usato sul suo giornale « Il corriere de' popolo » (23 marzo) la sprezzante espressione « Sforza and Company ». D’altro canto monsignor Ciarrocchi, che l’autunno scorso criticava Sforza per aver creato confusione in Italia, ora si augura (« La voce del popolo », 7 aprile) che Sforza entri a fare parte del governo Badoglio. La maggioranza nazionalista vede l’Italia rafforzata. La stragrande maggioranza degli italo- americani che andava avanti sempre allo stesso modo, seguendo gli stessi leaders e leg­ gendo quegli stessi giornali che un tempo avevano esaltato il fascismo, non era minima­ mente al corrente delle diatribe che dividevano gli antifascisti. I suoi giornali erano pro­ pensi a commentare favorevolmente lo « scambio » russo, non tanto perché avrebbe raffor­ zato la posizione del re e di Badoglio, quanto perché avrebbe forse fatto aumentare il prestigio dell’Italia. « Il progresso italo-americano » quotidiano di New York e tra i principali giornali italo- americani, rassicurato dal discorso del segretario di stato Hull e dalla dichiarazione di VySinskij che l’Allied Advisory Council on approvava la politica italiana, accentuò vieppiù il nazionalismo italiano e richiese che venisse concesso all’Italia lo status di al­ leato a tutti gli effetti. Benché non di rado venisse espressa una forte diffidenza nei con­ fronti dell’Unione Sovietica, alcuni giornali decisamente anti-sovietici trovarono molti argomenti sui quali scrivere. « Può anche risultare che il diavolo è meno nero di quanto 10 si dipinge», osservò il settimanale di Bridgeport, Connecticut, «Sentinella», «o forse ha soltanto fatto uno scherzo ai suoi amici, con un indiretto vantaggio per l’Italia». 11 più ampio consenso per il re e Badoglio veniva dai diffusissimi articoli di Luigi Cri- scuolo, mentre in alcuni giornali l’entusiasmo per il re e Badoglio era mitigato dalla scarsa fiducia nei legami, apparentemente solidi, che costoro intrattenevano con la Gran Bre­ tagna e con l'America. Il conte Sforza e gli altri partiti antifascisti erano, come in passato, trattati con disprezzo da molti dei giornali che erano stati filo-fascisti. Sembrava che il quotidiano di Boston « La Notizia » avesse un atteggiamento leggermente più amichevole nei confronti degli antifascisti che vivevano in Italia. Il 19 aprile il giornale riportava, senza commenti, un editoriale tratto da « Nazioni Unite » che aveva parlato del « tragico dilemma » di fronte al quale si erano trovati i partiti. « Il Progresso », che per alcuni mesi aveva dato rilievo alle notizie riguardanti Sforza e i partiti italiani, era favorevole ad un allargamento del governo Badoglio. Se si eccettua la riproduzione su la « La Notizia » dell’editoriale di «Nazioni Unite», nessuno di questi giornali diede voce alla protesta contro la collabora­ zione con il fascismo. Benché tentassero di mettere in ridicolo i comunisti, non ci fu praticamente alcuna protesta contro la collaborazione con loro.

4. Rapporto B-263. L’America italiana valuta la dichiarazione Churchill-Roosevelt e gli aiuti Unrra, 17 ottobre, 1944

Le reazioni degli italo-americani e degli italiani residenti in USA alla dichiarazione riguar­ dante l’Italia rilasciata congiuntamente dal presidente Roosevelt e dal primo ministro Churchill il 26 settembre andavano dal più profondo scetticismo all’esultanza. Il senti­ mento predominante era tuttavia un senso di contenuta soddisfazione accompagnata da un atteggiamento di « stiamo a vedere ». Promesse ne erano state fatte tante in passato, si osservava: gli italiani avevano bisogno di fatti, non di parole. I limiti posti agli aiuti Unrra all’Italia, il continuo confronto tra il trattamento riservato all’Italia e quello riser­ vato alla Romania nonché la riconferma, da parte del ministro degli Esteri Anthony Eden, del veto britannico alla restituzione all’Italia delle colonie che aveva prima del fascismo, contribuivano a mitigare gli entusiasmi. « Un’altra dichiarazione! ». Nel corso di colloqui con funzionari del Fnb alcuni rappre­ sentanti sia della destra che della sinistra sostennero che questa dichiarazione era priva di significato. Il professor Gaetano Salvemini la definì in tono irritato una « pura e sem­ plice truffa elettorale». «Sempre le stesse belle promesse che si ripetono periodicamen­ te! » egli dichiarò. « E che cosa accade? Altre parole! ». Il punto di vista di Salvemini era condiviso dal reverendo Theodore De Luca, ministro e docente universitario a Boston, attivo nei circoli italo-americani di sinistra. De Luca sosteneva che tutte le fazioni ave­ vano accolto la dichiarazione con freddo scetticismo. Sia Salvemini che De Luca mette­ vano a confronto i termini dell’armistizio per l’Italia con quelli accordati alla Romania. Allo stesso modo, anche Graziano N. Longarini, direttore del quotidiano già filo-fascista di Boston « La Notizia », pose l’accento sulle « promesse non mantenute » del passato. 64 James E. Miller

L’ipotesi che il governo italiano sarebbe stato per il futuro più indipendente fu messa in ridicolo dal settimanale anarchico « L’Adunata dei refrattari » di New York (7 ottobre): « Il governo continuerà ad essere il governo della monarchia fascista, soggetto agli ordini degli Alleati». Lo status di alleato per l’Italia. Tre giornali di lingua italiana pubblicati sulla costa occi­ dentale interpretarono in modo sbagliato i nuovi sviluppi della situazione che concedevano all’Italia il pieno status di alleato, intendendo che ciò comportasse diritto di accesso alle Nazioni Unite. Il 28 settembre il quindicinale sindacale di San Francisco « Il corriere del popolo » osservò in tono compiaciuto che all’Italia veniva finalmente accordato lo stesso trattamento della Francia. Sia « Il corriere [del popolo] » che il quotidiano « L’Italia ». sempre di San Francisco un tempo filo-fascista, espressero la speranza che l’Italia e il governo italiano si mostrassero all’altezza delle proprie responsabilità. Meno chiacchiere e gelosie politiche e più lavoro, sosteneva « L’Italia » (28 settembre); una più stretta colla­ borazione con gli Alleati, e un nuovo spirito di fede democratica per eliminare definiti­ vamente il fascismo con la creazione di una nuova mentalità piuttosto che con mezzi repressivi. La « Gazzetta italiana » di Seattle, che era stata in passato filo-fascista, pur non approvando (29 settembre) l’accento posto sull’aiuto militare che l’Italia avrebbe po­ tuto dare « proprio quando le cose non vanno troppo bene in Germania » e pur sostenendo il diffondersi di un certo malcontento « in alcuni circoli [...] non del tutto soddisfatti di un passo che viene attribuito soprattutto all’influenza esercitata su Churchill dalla Santa Sede », affermava con una certa soddisfazione che non si sarebbe più parlato dell’armi­ stizio; la minaccia di smembramento era stata esorcizzazta. Il giornale vedeva questa mossa come una vittoria di Churchill su Stalin, e dichiarava che la salvezza dell’Italia sarebbe risultata dalla « lotta tra le due forze che cercano di dominare il Mediterraneo: la Russia e la Gran Bretagna ». La certezza che l’Italia fosse stata accettata come alleato era forse anche la causa dell’entusiasmo mostrato da « L’Unione » di Pueblo, Colorado, organo della Federazione liberale colombiana. Reazione dei conservatori: approvazione condizionata. Su posizioni intermedie tra scettici e ottimisti, molti vedevano la dichiarazione come un segno confortante, il cui significato sarebbe stato chiarito soltanto dagli eventi futuri. L’importante quotidiano di New York « Il progresso italo-americano » attribuiva notevole importanza alla mossa e dava largo credito all’editore del giornale Generoso Pope; lo « storico annuncio » era tuttavia « sol­ tanto l’inizio » del mantenimento delle promesse di buone notizie fatte inizialmente dal presidente. Il passo successivo, suggeriva « Il progresso », sarebbe stato di assicurare ga­ ranzie all’integrità territoriale dell’Italia (ivi compreso il ripristino delle colonie pre-fa- sciste), di concedere lo status di alleato, e di realizzare la Legge affitti e prestiti. Riguardo poi alla dichiarazione rilasciata da Eden alla Camera dei comuni il 4 ottobre, il commen­ tatore de « Il progresso » Italo Carlo Falbo si chiedeva « Come ci si possa aspettare che l’Italia combatta contro il Giappone allo scopo di restituire le colonie a Francia, Inghil­ terra, Portogallo e Olanda - e per perdere poi le sue colonie? ». Preoccupazione per il fatto che l’Unione Sovietica e la Francia non si fossero unite alla dichiarazione fu espresso da « L’Araldo » (29 settembre). Il settimanale di Cleveland manifestò la speranza che il « rassicurante passo » non costituisse una astuta mossa elettorale ma « un atto di tardiva riparazione». Lo stesso giorno, tuttavia, « L’italo-americano » di Los Angeles riferì che l’entusiasmo iniziale per la dichiarazione era stato « in qualche modo oscurato » dall’annuncio di « condizioni » e « controlli » che « aprono la via a nuovi dubbi e a nuove incertezze». Commento liberale. Nei circoli liberali e della sinistra moderata il giudizio meno critico era quello espresso dalle « Nazion ¡unite » organo della Mazzini Society. Venne accolto con particolare favore l’invito fatto all’Italia di inviare rappresentanti diplomatici negli Stati Uniti e in Inghilterra. « Se le agenzie governative delle amministrazioni alleate ese­ guono le direttive [...] in fretta e in buona fede — dichiarava il giornale il Io ottobre — i risultati si faranno ben presto sentire, e la terribile miseria che regna in Italia potrà essere alleviata in maniera adeguata ». Altri esprimevano motivi di insoddisfazione. Il settimanale socialista «La Parola», pur ammettendo che « in effetti Roosevelt e Churchill stanno offrendo all’Italia pieno rico­ noscimento e maggiore credito» obiettava (13 ottobre) che la dichiarazione di Hyde Park « non servirà a procurare il latte ai bambini, né contribuirà a risolvere i molteplici problemi della defascistizzazione e della ricostruzione economica e morale del paese ». La posizione di don Sturzo. A giudizio di don Luigi Sturzo, capo spirituale del partito italiano della Democrazia cristiana, la dichiarazione congiunta annunciava « forse passi più importanti » verso un mutamento dello status delITtalia. Sintomi di « maggiore libertà politica » si potevano scorgere nell’abolizione della parola « controllo » dalla deno­ minazione della Commissione alleata e i « vantaggi economici » venivano forniti dalla sostituzione del Trading Act con l’Enemy Act. La politica dei prominenti 65

L'insuccesso riportato nelle trattative riguardanti sia le questioni delle clausole segrete dell’armistizio con l’Italia sia il problema dei prigionieri di guerra — dichiarò Sturzo al Fnb — avrebbe probabilmente raffreddato gli entusiasmi degli italiani in Italia e all’estero. Nel corso di una visita a Washington ai primi di settembre, don Sturzo aveva dichiarato al Fnb che, secondo lui, le clausole segrete avrebbero dovuto essere abolite e si sarebbe dovuto invece stendere un accordo di pace provvisorio. In quel periodo don Sturzo riteneva di esercitare, seppure in forma ufficiosa, il ruolo di questuante in nome dell’Italia, fintanto almeno che non fosse stata autorizzata una rappresentanza ufficiale; sosteneva di non avere comunque alcuna intenzione di rappresentare « né il governo italiano, né l’opinione pubblica del mio paese, e neppure il partito della Democrazia cristiana». Durante il suo soggiorno a Washington don Sturzo ebbe colloqui con il Vicese­ gretario di stato Berle, con l’amministratore della Fea Leo Crowley, con il generale O’ Dwyer, con Sir Alexander Cadogan, con Philip Murray e con altri. Ora, come egli dichiara al Fnb, la dichiarazione congiunta Roosevelt-Churchill ha rimosso quelli che erano i mag­ giori ostacoli per il raggiungimento di un accordo di pace provvisorio, ancora più auspi­ cabile dopo la firma dell’armistizio con la Romania. L’atteggiamento di Sturzo trovava conferma in una lettera inviata al presidente dal People and Freedom group-Americans of ltalian Descent (fondato a New York come circolo culturale da italo-americani vicini ai democristiani). La lettera ribadiva anche la richiesta, già più volte formulata, che gli italo-americani fossero autorizzati ad inviare pacchi a persone abitanti in Italia. Unrra. Il malcontento causato dai limiti imposti agli aiuti Unrra per l’Italia contribuì largamente a frenare l’entusiasmo per la dichiarazione di Hyde Park. Pur accogliendo favorevolmente i « segni di buona volontà » nei confronti dell’Italia mostrati alla confe­ renza Unrra, « soprattutto da parte della Francia », don Sturzo faceva osservare come cinquanta milioni di dollari non sarebbero serviti granché per alleviare le sofferenze dell’Italia. Analoga opinione fu espressa da Luigi Antonini, tornato di recente da un viaggio in Italia dove si era recato come rappresentante dall’Afl; lo stanziamento fatto per le operazioni da compiere in Italia, avvertiva il vicepresidente della Ugwu, era « una goccia nel mare ». Il professor Levi Della Vida dell’Università di Pennsylvania, affer­ mando che « non abbiamo ancora affrontato il problema alla radice », dichiarò che non meno importante del cibo era il rifornimento di materie prime, che avrebbe favorito l’occupazione e avrebbe messo gli italiani in condizione di combattere. Esprimendo il proprio scontento per gli aiuti previsti per l’Italia dalla dichiarazione congiunta anglo-americana e dalla dichiarazione rilasciata successivamente dal presidente Roosevelt, Philip De Luca, rappresentante per Philadelphia della Amalgamated Clothig Workers e membro del Libero consiglio italo-americano del lavoro, dichiarava di non associarsi alla soddisfazione espressa in una lettera al presidente nella quale il Consiglio aveva caldamente lodato la dichiarazione ed aveva approvato « il tono comprensivo della dichiarazione Unrra sugli aiuti all’Italia ». La maggior parte dei gruppi italo-americani stanno facendo propaganda a favore del Piano affitti e prestiti nonché dell’autorizzazione a inviare pacchi a persone residenti all’estero. La posizione comunista. Forse il più critico tra tutti coloro che espressero la propria opinione riguardo alla dichiarazione fu il dirigente comunista Giuseppe Berti. Non vi era alcun dubbio, scrisse Berti su « L’unità del popolo » (7 ottobre) che la dichiarazione fosse una dimostrazione di buone intenzioni della quale i patrioti italiani sarebbero stati certamente grati; vi erano però diversi ostacoli alla realizzazione della dichiarazione: primo, la politica alleata nei confronti dell’Italia era controllata principalmente dall’In­ ghilterra, mentre l’America occupava soltanto il secondo posto; secondo, l’Unione So­ vietica — che aveva sino ad allora mostrato di avere un atteggiamento amichevole nei confronti dell’Italia — era stato impedito di partecipare; e, terzo, la stessa politica ame­ ricana era incoerente ed illogica. Berti passava poi ad esaminare la dichiarazione punto per punto. Andava benissimo abolire la parola « controllo » dal nome della Commissione alleata, egli dichiarò —- ma era ancor più importante che cessasse la realtà del controllo. Berti faceva sua la proposta di don Sturzo, che l’amministrazione militare alleata esten­ desse cioè il proprio campo d’azione. Dopo avere espresso i propri dubbi circa il fatto che i rappresentanti diplomatici italiani avrebbero avuto un potere reale, Berti prose­ guiva affermando di non credere ai futuri aiuti Unrra. Per quanto riguardava la rico­ struzione economica, aggiungeva Berti, la dichiarazione aveva « lasciato freddi gli ita­ liani »: il Piano affitti e prestiti non era stato approvato e l’amministrazione militare anglo-americana avrebbe dovuto assumersi l’onere della ricostruzione. Dal momento che si deve riedificare mezza Italia, avremo altri dieci anni di occupazione militare alleata. Ed era del tutto assurdo parlare di guerra al Giappone quando gli Alleati non avrebbero permesso agli italiani neppure di combattere la Germania. « Che diano all’Italia la di­ gnità di una potenza alleata, che le diano il Piano affitti e prestiti; solo allora il problema potrà diventare oggetto di discussione ». 66 James E. Miller

5. Rapporto B-295. Intervento in Italia, 21 dicembre, 1944 Il tema ricorrente nei commenti italo-americani alla crisi politica italiana era costituito da risentimento per l’intervento britannico e per l’appoggio del primo ministro Churchill a Casa Savoia. Gli italiani d’America hanno invitato il governo degli Stati Uniti a salvare l’Italia dalla politica « imperialista » britannica, politica che significa per la destra la perdita dell’impero coloniale italiano, mentre per la sinistra e per i liberali comporta il trionfo sulla democrazia degli elementi monarchici e clericali. La vita politica del conte Carlo Sforza, la cui partecipazione sia come primo ministro o come ministro degli Esteri in un ricostituito governo italiano incontrava il veto britannico, è diventata il simbolo del dilemma dell’Italia. Punti di vista estremisti. Rappresentanti dei due estremi dell’opinione italo-americana sono il professor G.A. Borgese di Chicago e Graziano Longarini, direttore del quotidiano di Boston « La Notizia ». Borgese, portavoce della sinistra, nel corso di una conferenza al City Teacher’s Institute di Los Angeles l’ll dicembre, dichiarò che per la Gran Bre­ tagna « l’Italia è un male di testa, la Grecia è un caso di neurite, e la Gran Bretagna vincerà — anche se soltanto il primo round ». L’ex fascista Longarini, nel corso di un colloquio privato con il Fnb, dichiarò di assistere con un certo piacere alla crisi italiana, in primo luogo perché essa rappresentava una sconfitta della sinistra, e secondariamente in quanto apriva una prospettiva favorevole alla destra, il suo giornale coglieva l’occa­ sione per rinnovare la sua vecchia animosità anti-britannica... Sia la destra che la sinistra erano concordi nel sostenere che il governo Bonomi non era in grado di fare fronte all’intervento britannico. Posizione socialista e comunista. Il professore Ambrogio Donini, che spesso in passato era stato portavoce dell’area comunista, dichiarò al Fnb che le cause alla base della crisi di governo erano: 1) il disarmo dei partigiani del nord « ai quali gli inglesi avevano detto » di tornarsene a casa per l’inverno, ordine che aveva suscitato una « generale indignazione » in quanto sciogliere le fila in questo momento avrebbe comportato morte certa per mano dei fascisti; e 2) il convincimento britannico che la Commissione per l’epurazione stesse spingendosi troppo oltre nel processare importanti collaborazionisti fascisti. In entrambi i casi, si riteneva che la Gran Bretagna si stesse intromettendo in quelle che erano faccende strettamente italiane, ciò che, a sua volta, faceva sorgere il sospetto peraltro già latente che i « conservatori britannici » fossero in collusione con gli elementi reazionari italiani. Il settimanale socialista « La Parola » dichiarò il 2 dicembre che il dimissionario gabi­ netto Bonomi « non era un governo nel senso proprio del termine, ma che era un governo fantoccio formato da uomini che non sarebbero mai potuti diventare ministri senza l’approvazione della Commissione alleata». I partiti della sinistra si rendevano ridicoli « cedendo a un processo compromesso — processo che aveva avuto inizio a Napoli l’aprile scorso, sotto l’alto patronato di un noto operatore di miracoli politici, cioè Paimiro Togliatti ». Il « veto » di Sforza. Tutti i settori dell’opinione italo-americana sostenevano che non soltanto il governo britannico era responsabile in prima persona per la crisi governativa italiana, ma che il ministro degli Esteri Eden aveva aggravato la situazione interferendo nella questione della candidatura di Sforza al governo. Questo atteggiamento fu espresso molto chiaramente in un articolo apparso sulla prima pagina dell’influente quotidiano di New York « Il progresso italo-americano » che il 3 dicembre si chiedeva: « Con quale autorizzazione delle Nazioni Unite il Segretario Eden si è arrogato il diritto di opporsi alla nomina del conte Sforza? » e continuava: « L’intera crisi italiana ha assunto la tragica importanza che ha grazie al tentativo britannico di imporre al popolo italiano un governo che questo non aveva scelto liberamente. L’Inghilterra, più di qualsiasi altra grande potenza delle Nazioni Unite, ha cercato di trattare l’Italia come un paese occu­ pato e conquistato anziché come una terra liberata. Soltanto l’influenza dell’America ha in qualche modo posto un freno a questo ingiusto comportamento della Gran Bretagna ». L’articolo de « Il progresso » invocava un pronto contro-intervento negli affari italiani da parte del governo degli Stati Uniti, nonché la convocazione della Commissione alleata in Italia per riprendere in esame il veto contro Sforza, abbandonando ogni « azione uni­ laterale». Altri giornali dichiararono che il «veto» contro Sforza dimostrava sempli­ cemente quanto fosse « limitata la supposta ’’autonomia” politica assicurata all’Italia e come ITtalia, per un periodo ancora lungo, dovrà rassegnarsi a prendere ordini». («L’Ita­ lia », San Francisco, 30 novembre). Gli antifascisti più coerenti attribuivano il « veto » britannico a Sforza al fatto che egli aveva attaccato alquanto duramente la monarchia italiana. Gli ex filofascisti credevano invece che esso fosse dovuto al progetto degli inglesi di privare l’Italia delle sue colonie, La politica dei prominenti 67 progetto che avrebbe certamente incontrato l’opposizione di Sforza. In generale, l’opi­ nione italo-americana riteneva che 1’« incidente Sforza » fosse stato un errore politico da parte degli inglesi. Eduardo Vergara, esponente della Mazzini Society, la cui assem­ blea aveva, il 3 dicembre, approvato all’unanimità una mozione che deplorava la posi­ zione britannica, ha dichiarato al Fnb che gli inglesi erano riusciti a fare di Sforza un problema nazionale, ridando così energia ad un uomo che era sul punto di perdere ogni rilievo politico. Allo stesso modo don Luigi Sturzo, fondatore del partito della Democrazia cristiana che abita ora a Brooklyn, sosteneva che gli inglesi avevano commesso un errore nell’espri- mere la loro netta opposizione a Sforza. « Sforza è un diplomatico, abituato a cambiare posizione a seconda del mutare delle circostanze». C’era quindi da aspettarsi che, quando si fosse reso conto che Badoglio non aveva alcun consenso popolare, si sarebbe schierato dalla parte di Bonomi. Benché Sforza non fosse mai stato un personaggio po­ polare, il comportamento britannico, secondo don Sturzo, lo aveva fatto apparire come la personificazione della sovranità e dell’orgoglio dell’Italia. Un limitato settore dell’opinione antifascista non condivideva peraltro questa posizione. Sia Giuseppe Lupis de «Il mondo» che Girolamo Valenti di «La parola», pur disap­ provando l’intervento britannico, esprimevano apertamente la propria convinzione che Sforza venisse ora finalmente messo da parte e privato di ogni credito perché aveva portato avanti una politica incerta, aveva continuato a tramare e, soprattutto, aveva temporeggiato sulla questione della monarchia alla vigilia della sua partenza per l’Italia. « È evidente » dichiarò Ambrogio Donini al Fnb, « che gli errori del passato vengono ora a galla». La dichiarazione di Sforza suscita critiche. La pubblicazione della dichiarazione di Sforza a proposito della nota lettera del 23 ottobre 1943 all’assistente di stato Berle, provocò ulteriori attacchi contro di lui. La lettera, che prometteva appoggio al primo ministro Badoglio, era stata usata ai Comuni contro Sforza dal primo ministro Churchill. Con la successiva dichiarazione, che sosteneva in effetti di non avere mai scritto la lettera a Berle ma di averla semplicemente firmata, Sforza, sostenevano i suoi nemici, aveva confermato la teoria secondo la quale non ci si poteva fidare degli italiani. Per il dottor Mario Einaudi della Università di Fordham, la dichiarazione era assoluta- mente inattendibile. Einaudi ha fatto osservare al Fnb come in realtà Sforza non avesse affatto le qualità che avrebbero potuto renderlo idoneo alla posizione di primo ministro o di ministro degli Esteri e che probabilmente era stato proposto come primo ministro soltanto perché i partiti d’azione, socialista e comunista, desideravano avere una pedina da manovrare con facilità. Il professor Borgese la pensava allo stesso modo: « Sforza aveva cercato di gabbare tutti, ma aveva finito con il gabbare soltanto se stesso ». Il liberale ad oltranza professor Gaetano Salvemini, dell’Università di Harvard aveva liqui­ dato l’episodio con le parole: « Sforza è un vecchio pazzo, ma è un liberale onesto ». La dichiarazione di Stettinius. Un coro di approvazioni accolse la pubblicazione della dichiarazione rilasciata il 5 dicembre dal segretario di stato Stettinius, per definire la politica americana nei paesi liberati. « La vigorosa e concisa dichiarazione rilasciata da Stettinius — scrisse in un articolo di fondo il « New Jersey Italian American » (8 dicem­ bre) — mette fine alle manovre politiche del nuovo imperialismo europeo ». « La poli­ tica degli Stati Uniti sarà accolta con gioia dalle popolazioni del Belgio, della Grecia, dell’Italia e della Polonia», scrisse «La parola» il 9 dicembre. Il segretario Stettinius, secondo il giornale cattolico di Detroit « Voce del popolo » dell’8 dicembre « suonava come un avvertimento non soltanto per l’Inghilterra ma anche per la Russia riguardo alla Polonia, ai Balcani e ai paesi baltici ». Parlando davanti a gruppi diversi durante un ciclo di conferenze sulla costa occidentale, il professor Borgese espresse approvazione incondizionata per la dichiarazione di Stetti­ nius. «L’episodio Stettinius», egli dichiarò, «dovrebbe portare ad una maggiore atten­ zione nei confronti della Gran Bretagna » per garantire continuità alla collaborazione anglo-americana. In questo coro di approvazione generale, la voce di Salvemini era forse la sola a dissentire. La dichiarazione di Stettinius, egli disse, era solo « una ma­ schera per coprire un reale appoggio alla politica britannica filo-Savoia e filo-Vaticano ». Appelli per un intervento americano. Durante il corso della crisi molti italo-americani si erano lamentati che il governo degli Stati Uniti si era « lavato le mani del pasticcio italiano » e aveva consentito che gli inglesi intervenissero liberamente negli affari interni italiani. In un articolo scritto prima della dichiarazione di Stettinius « La parola » (9 di­ cembre) aveva lamentato « l’assenteismo americano riguardo non soltanto alle vicende italiane ma a quelle europee in generale », e aveva osservato come quell’assenteismo fosse « una malattia grave » e una « resa ottenuta al prezzo del sangue e della ricchezza 68 James E. Miller del popolo americano ». Il professor Salvemini vide in questo episodio una conferma ad una sua precedente congettura, che la Russia cioè avesse dato via libera in Italia a Churchill, con il concorso degli americani. Anche da altre parti furono diretti appelli a Washington. La Mazzini Society aveva disapprovato il veto britannico a Sforza, e Luigi Antonini, a nome del Consiglio italo- americano del lavoro, aveva indirizzato una lettera (6 dicembre) al presidente Roosevelt nella quale protestava per la parte avuta dalla Gran Bretagna nella crisi di governo italiana e nei disordini che si erano verificati in Grecia, Belgio e in altri paesi europei. Contemporaneamente, una trasmissione radiofonica del 2 dicembre del Libero Consiglio americano del lavoro, di sinistra, faceva appello al governo degli Stati Uniti perché ponesse freno all’interferenza britannica contro la democrazia in Italia e nel resto d’Eu­ ropa. A Boston, gli ex filo-fascisti Figli d’Italia stavano organizzando un comitato misto, allo scopo di tenere insieme coloro che erano favorevoli alla dichiarazione di Stettinius. Verso la Russia e il comuniSmo? Una valutazione della crisi politica italiana, espressa da numerosi giornali, era che « il gioco britannico » avrebbe fatto dirottare gli italiani verso la Russia. Una buona parte dell’opinione italo-americana era convinta che l’Italia venisse usata come una pedina sullo scacchiere della politica delle potenze. Si riteneva che l’oppressione clericale e monarchica nell’Europa meridionale, ricevesse aiuto dal governo alleato in Italia. Così, mentre la Gran Bretagna e l’America non avevano, agli occhi degli italiani, tenuto fede alle loro promesse, la Russia costituiva, se non altro, un’entità sconosciuta. « La Gran Bretagna e gli Stati Uniti » aveva affermato il dottor Mario Einaudi nel corso di un colloquio con il Fnb, « avevano truppe in Italia; spettava a loro risolvere i problemi politici ed economici che si presentavano. La Russia non si trovava a dovere affrontare questi problemi ed era quindi completamente libera di trarre vantaggi da tutti i nostri errori. Se non miglioriamo le condizioni dell’Italia, il paese diventerà comunista, come ha profetizzato [Myron] Taylor l’altro giorno [14 dicembre]. Sono trascorsi più di due mesi da quando, il 26 settembre, è stata rilasciata la dichiara­ zione Churchill-Roosevelt, e all’atto pratico non è stato fatto nulla per realizzarne i termini ».

6. Rapporto B-298. 1 democristiani negli Stati Uniti, 4 gennaio, 1945 Con la guida spirituale di don Luigi Sturzo, nel 1942 a New York fu fondata, da un gruppo di giovani laici cattolici animati dai principi della Democrazia cristiana, un’orga­ nizzazione denominata « People and Freedom ». Sembra anche che in seguito si siano costituiti altri gruppi « People and Freedom » a Boston, Philadelphia, Notre Dame e San Francisco. Operano tutti in maniera autonoma, pur traendo ispirazione da don Sturzo e da un gruppo analogo da lui fondato a Londra. Mentre non si sa quasi nulla degli altri gruppi americani, un italo-americano ha dichiarato al Fnb che l’intento pri­ mario del gruppo di New York era di elaborare una teoria e di formare dei dirigenti in grado di fare entrare la politica nella vita delle comunità americane. Quest’ultimo obiet­ tivo non è mai stato raggiunto. La Democrazia cristiana e gli Stati Uniti. Don Sturzo, in un articolo apparso sulla nuova pubblicazione del gruppo di New York « People and Freedom » (7 ottobre 1944) valutò l’influenza della Democrazia cristiana sulla società americana. Dopo avere sottolineato come la vita politica americana sia profondamente diversa da quella dei paesi europei — « l’applicazione di idee sociali in campo politico è molto difficile in questo paese » — don Sturzo osservò come vi siano nel nostro paese alcune tendenze che si dimostrano tuttavia favorevoli alla Democrazia cristiana. Egli affermava poi che le idee del cardi­ nale Gibbon erano tuttora vive, e citava gli sforzi di pionieri quali monsignor John A. Rian, e del vescovo Francis J. Haas, che era stato scelto dal presidente Roosevelt come presidente del Fair Employment Practices Committee; la National Catholic Rural Like Conference, della quale monsignor Ligutti è segretario; le cooperative Antigonish in Canada; e le esperienze dei canadesi francofoni nell’ambito del sindacalismo cattolico. Don Sturzo esortava il gruppo di New York ad opporsi a « qualsiasi ritorno ad una politica di isolazionismo e di puro nazionalismo, e di favorire una continua e significa­ tiva partecipazione dell’America alle vicende mondiali ». Il gruppo di New York. Il gruppo di New York, che per due anni non aveva preso alcuna iniziativa, tenne la sua prima riunione ufficiale il 5 agosto 1944 nella casa di don Sturzo a Brooklyn. Presiedeva Eleanor Skinner, moglie del fondatore americano di « People and Freedom ». Don Sturzo parlò degli scopi che si proponeva l’organizzazione e della Democrazia cristiana; Alfredo Mendizabal, membro del consiglio direttivo della Ecole Libre des Hautes Etudes di New York, della necessità di una dichiarazione inter­ nazionale dei diritti; e Anthony Moore, uno dei membri fondatori del gruppo di Londra, La politica dei prominenti 69 dello sviluppo e del successo del movimento in Inghilterra. Giunsero messaggi di Jacques Maritain, influente filosofo cattolico francese, di Sigrid Undset, scrittrice norvegese, e di José Antonio de Aguirre, presidente della Repubblica Basca. Nel corso di una riunione successiva svoltasi il 15 dicembre, i membri del gruppo avevano discusso le pro­ poste di Dumbarton Oaks e l’organizzazione mondiale. Il gruppo italo-americano. Sin dall’agosto scorso « People and Liberty», ramificazione del gruppo di New York, ha costituito una organizzazione separata tra i cui iscritti figurano esclusivamente americani di origine italiana. Il presidente Anthony P. Ullo dichiarò durante una riunione del 15 dicembre a casa di don Sturzo, che lo scopo prin­ cipale che il gruppo si proponeva era la diffusione degli ideali democristiani tra gli italo-americani, allo scopo di impedire che questi cadessero di nuovo sotto l’influenza della propaganda fascista. Al tempo stesso, egli affermò, « People and Liberty » avrebbe combattuto le conseguenze delle idee socialiste e comuniste che, a suo avviso, venivano diffuse nelle comunità italiane degli Stati Uniti dai rappresentanti dei partiti socialista e comunista italiani. I membri della nuova organizzazione dichiararono di « parlare in primo luogo come democristiani, in secondo luogo come leali cittadini americani, e in terzo luogo come persone di origine italiana», e di desiderare di collaborare «con altre associazioni e istituzioni che aderiscono agli ideali democristiani ». Il primo numero del bollettino dell’associazione « People and Liberty » annuncia che la base politica dell’as­ sociazione è « la Dichiarazione dell’Indipendenza americana e la Dichiarazione dei di­ ritti, che la base sociale ne è « l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII e la Quadra­ gesimo anno di Pio XI », che la base internazionale sono i Cinque Punti di Pio XII (di­ cembre 1939-41), la Carta Atlantica (agosto 1941) e la Dichiarazione di Washington [Nazioni Unite] (gennaio 1942) ». I funzionari di « People and Liberty » sono: Anthony P. Ullo, che aveva operato inizial­ mente all’interno del gruppo [People and] Freedom », presidente; Alfredo Di Lascia, studente presso l’Università di New York, segretario; e Mary Bagnara, tesoriere. Padre Nacasio Viso, parroco della chiesa del Sacro Cuore di New York, coordina il gruppo di studio. Durante la riunione del 15 dicembre, Di Lascia enumerò alcune delle più recenti attività del gruppo: 1) la distribuzione di migliaia di circolari in occasione del cinquan­ tesimo anniversario di don Sturzo: i 2.000 dollari raccolti per l’occasione erano stati inviati in Italia al partito della Democrazia cristiana; 2) partecipazione ad una campagna contro l’anti-semitismo, con una speciale trasmissione radiofonica alla stazione Wov; 3) una trasmissione ad onde corte per salutare il partito della Democrazia cristiana che si riuniva a congresso a Napoli il primo agosto — il congresso rispose inviando i suoi saluti al gruppo di New York quello stesso mese; 4) una dichiarazione (22 agosto) e un tele­ gramma (12 ottobre) al presidente Roosevelt, che proponeva la modifica dei termini del­ l’armistizio con l’Italia e chiedeva il riconoscimento dell’Italia come alleato; 5) uno scambio di corrispondenza con il direttore del « New York Times » (ottobre-novembre) « per correggere l’identificazione del popolo italiano con il fascismo », 6) la pubblicazione del giornale del gruppo «People and Liberty», il cui primo numero uscì in dicembre. Secondo Di Lascia, restava ancora un importante compito: la campagna per le iscrizioni. Origini del movimento. Don Sturzo tracciò le origini del movimento « People and Free­ dom » in un articolo intitolato La chiesa cattolica e la Democrazia cristiana (« Social Action », 15 maggio 1944). Il primo dei gruppi, scrisse Sturzo, fu fondato a Londra nel 1936 da lui stesso e da Virginia M. Crawford, pupilla del cardinale Manning, allo scopo di « far levare in Gran Bretagna la voce della Democrazia cristiana e di educare i gio­ vani a partecipare alla vita pubblica nazionale e internazionale con una visione morale e cristiana. I gruppi « People and Freedom » non sono partiti politici ma nuclei di azione politica... La International Christian Democratic Union. Con la formazione di diversi gruppi na­ zionali di « People and Freedom », divenne indispensabile una organizzazione generale e complessiva: nell’agosto 1944 fu fondata la International Christian Democratic Union « Per creare permanenti legami di solidarietà tra i movimenti democristiani esistenti in diverse nazioni, per mezzo di un’associazione a livello politico [...] » Il primo pubblico raduno della International Christian Democratic Union ebbe luogo a Londra nel gen­ naio del 1941 e fu appoggiata da gruppi democristiani in Inghilterra, Francia, Italia, Polonia, Cecoslovacchia, Olanda, Belgio, Catalogna e delle Province Basche. II suo programma auspicava l’esistenza di una Società delle Nazioni con il potere poli­ tico e giuridico di impedire nuovi ricorsi alla guerra. Aveva poi auspicato, sia tramite la stampa che nel corso di riunioni private, la difesa e l’applicazione della Carta Atlantica « contro qualsiasi manipolazione della realpolitik. » Nei suoi scritti don Sturzo ha a più riprese sostenuto che gli scopi della International Christian Democratic Union consistevano nel favorire i contatti tra i democristiani di 70 James E. Miller diverse nazionalità, oltre che nel creare una vasta organizzazione del lavoro secondo principi cristiani.

7. Estratto dal rapporto 228. I problemi di politica estera entrano nei campo degli aiuti di guerra, 16 gennaio, 1945 La comunità italo-americana. Fintanto che l’Italia erastata un paese nemico, nella comunità italo-americana non era stato fatto nulla per organizzare una raccolta siste­ matica dei soccorsi. Quando l’esercito di liberazione incominciò ad avanzare verso il nord fino a Roma e oltre, e quando sembrò possibile che lo status di cobelligeranza potesse trasformarsi in un rapporto più amichevole, gli italo-americani incominciarono a prendere provvedimenti per fornire aiuti. La confraternita Chief Italian-American ed altre associazioni si accinsero a racimolare denaro ed a raccogliere approvvigionamenti anche se all’inizio si manifestò una notevole competitività e se scoppiarono liti tra le diverse fazioni. La prima agenzia fu l’American Committee for Italian Democracy, for­ matasi subito dopo la caduta di Mussolini e appoggiata da alcuni dei personaggi più in vista dell’ordine dei Figli d’Italia. Non fu possibile registrarla come agenzia per gli aiuti in quanto aveva scopi politici. Nell’apriie del 1944, seguendo il suggerimento del Presidente del War Relief Control Board, fu istituito l’American Relief for Italy Ine., come nuova agenzia globale, pre­ sieduta da Myron C. Taylor. Il giudice Juvenal Marchisio, che era inizialmente vice- presidente, divenne in seguito presidente, mentre altri illustri cittadini facevano parte della commissione. All’inizio fu pesantemente criticato da coloro che sostenevano l’Ame­ rican Committee for Italian Relief, che era una riedizione dell’American Committee for Italian Democracy; quando però la chiesa cattolica lanciò una campagna per rac­ cogliere vestiario con l’appoggio dell’American Relief for Italy, e quando, rispondendo ad alcune persone che avevano espresso il loro scontento, il giudice Marchisio ebbe spiegato esaurientemente il programma della nuova agenzia e la sua intenzione di otte­ nere la collaborazione di tutti gli italo-americani, i motivi di attrito furono, un po’ alla volta, quasi del tutto eliminati. L’entrata a fare parte della commissione di Gene­ roso Pope causò un certo scompiglio, e provocò dimissioni (quelle di George Baldanzi); ma l’American Relief for Italy riuscì in seguito a resistere alla tempesta e sembra che si sia ora conquistato la fiducia della comunità italo-americana. L’influenza dei problemi di politica estera sull’attività del gruppo non era stata parti­ colarmente sensibile. Recenti rapporti sulle condizioni dell’Italia hanno dato origine ad uno scontento sempre maggiore, a causa della incapacità di fare giungere tempesti­ vamente gli aiuti al popolo italiano; la principale responsabilità per il ritardo viene at­ tribuita alla politica estera britannica ed americana. La convinzione che in effetti non si stia facendo nulla è stata motivo di grosse insoddisfazioni. Dicono che a Boston una iniziativa di soccorso sia stata energicamente ostacolata nella convinzione che i rifor­ nimenti raccolti sarebbero stati usati per corruzione politica. In altri ambienti vi fu­ rono lagnanze in quanto si riteneva che gli aiuti in Italia fossero gestiti dal Vaticano; e fu quindi organizzato a New York un Nationa Evangelical Committee for Relief in Italy per raccogliere fondi e capi di vestiario per soccorrere i protestanti italiani. Vi furono anche lamentele a causa degli indugi a consentire l’invio di pacchi-dono perso­ nali destinati a determinati individui, amici o parenti, in Italia. Alla base di questo senso di frustrazione, abbastanza diffuso tra gli italo-americani, vi è la convinzione che il problema degli aiuti e della riabilitazione dell’Italia sia troppo grande per potere essere risolto da sforzi privati. Organizzazioni e persone di tutte le tendenze politiche si sono quindi dati da fare perché venissero estesi all’Italia l’Unrra e il Piano affitti e prestiti. L’Alleanza Garibaldi e la Mazzini Society, il Consiglio del la­ voro per l’Italia libera e il Consiglio del lavoro italo-americano, la Iwo e i Figli d’Italia, insieme a numerose altre organizzazioni, si sono uniti per appoggiare questo appello. La decisione presa con il consenso alleato alla Conferenza dell’Unrra svoltasi a Montreal in settembre, di assegnare 50 milioni di dollari per l’aiuto più immediato all’Italia fu accolto favorevolmente dagli italo-americani come un passo nella dire­ zione giusta, benché vi fosse un comune senso di delusione perché la somma stanziata non era stata più elevata. (Traduzione di annamaria tasca)