Ultime Ore Di Mussolini E Della

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Ultime Ore Di Mussolini E Della MAURIZIO BAROZZI ULTIME ORE DI MUSSOLINI DEL FASCISMO E DELLA RSI Le ultime vicende umane, militari e politiche che travolsero Mussolini, la RSI ed il Fascismo, dal 25 al 27 aprile 1945, spiegano lo spartiacque storico tra quella che era stata la storia, la funzione e l’essenza di questo movimento e mostrano le premesse per quella che poi sarà la degenerazione neofascista. Capire quel che accadde in quel fazzoletto di ore, perché accadde e cosa esattamente è successo è importante per ricostruire una verità storica fino ad oggi mistificata . Milano 23 aprile 1945: Cortile della Prefettura. Si nota, a sinistra del Duce, A. Pavolini, mentre la giovane italiana non è Elena Curti come si riteneva Testo ai soli fini di studio – non in commercio - Roma Gennaio 2021 AVVERTENZA: La presente ricostruzione storica, ha vagliato documenti, esaminato e incrociato testimonianze e testi inerenti l’argomento, che purtroppo presenta una letteratura di parte e alquanto inattendibile. Noi riteniamo di aver fornito una ricostruzione storica oggettiva, scevri come siamo da condizionamenti o interessi politici. Se il lettore troverà nomi, datazioni e orari che non gli collimano con certe sue letture, sarà inevitabile, ma possiamo garantirgli che i dati da noi foriti sono stati attentamente verificati . Per difficoltà di ricerca, a distanza di tanto tempo e la confusione che riguarda queste vicende di cui più che altro ci sono resoconti testimoniali da rintracciare e vagliare, il nostro lavore negli anni è stato un work in progress, per novità e aggiornamenti. Ciò ci ha costretto a rivedere spesso precedenti risultanze e deduzioni. Purtroppo possono trovarsi on line altri nostri saggi simili su questa vicenda, datati, che preghiamo di ritenere superati, e attenersi solo al presente saggio datato gennaio 2021. Maurizio Barozzi Maurizio Barozzi , è nato a Roma nel 1947. Oggi pensionato, ha lavorato nel settore edile e nella riassicurazione di cui fu anche quadro sindacale regionale. Per anni si è dedicato a studi e ricerche storiche, relative alla morte di Mussolini, agli ultimi giorni della RSI, alle vicissitudini del Carteggio Mussolini / Churchill, alla seconda guerra mondiale, alle vicenfade della “strategia della tensione” e al caso Moro. Ha collaborato con il quotidiano Rinascita , pubblicando molti articoli di controinformazione storica. Coautore del libro Storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI, ha inoltre pubblicato inchieste, inerenti la morte di Mussolini, su la rivista Storia del Novecento e articoli in Storia in Rete . Recentemente ha pubblicato per le Edizioni della Lanterna: “La guerra del sangue contro l’oro ” e “Intervista sul mistero della morte di Mussolini ”, 2016- Per le edizioni Pagine ED. 2017: Morte Mussolini Fine di una Vulgata. 2017. 2 . INTRODUZIONE Le ultime vicende di Mussolini e della Repubblica Sociale Italiana, come ebbe già a rilevare Bruno Spampanato nei primi anni ‘50, sono in buona parte governate da una certa irrazionalità che derivava dall’impatto psicologico, conseguente al disimpegno bellico dell’alleato germanico (già evidente dal 20 aprile ’45 con la preannunciata presa di Bologna, da parte delle truppe Alleate, ma palesatosi nelle intenzioni di una resa contrattata di nascosto, solo il 25 aprile), su gli uomini di una repubblica immersa dentro una guerra che tutti avevano sempre intuito dovesse chiudersi con una sconfitta, ma il cui epilogo veniva sempre rimosso e rimandato e nessuno aveva mai progettato seriamente un preciso piano collettivo per far fronte all’apocalisse che si sperava non dovesse mai arrivare. Può sembrare incredibile, ma come vedremo l’unico che fino all’ultimo mantenne un atteggiamento coerente e fermo fu Mussolini, anche se fece degli errori dovendo improvvisare alcune iniziative a seconda delle situazioni che mutavano in continuazione, mano a mano che passavano le ore, e si spostava di località in località perdendo molti dei suoi seguaci. Il fascismo cadde a Como il 26 aprile 1945, mentre Mussolini rimasto pressoché solo non ebbe scampo, pochi chilometri più avanti, sulla strada della Valtellina. Quello che accadde quel giorno a Como è di una semplicità evidente e sconcertante e ancora Bruno Spampanato, con il suo Contromemoriale pubblicato sull’”Illustrato” negli anni ’50, lo aveva percepito con perfetta lucidità quando aveva contestato, una ad una, tutte le scusanti addotte da alcuni ufficiali superstiti della colonna fascista giunta in città, i quali cercavano di spiegare, con giustificazioni poco credibili, i motivi e le contingenze per cui si era arrivati a sottoscrivere una resa, fatta apparire come una “tregua”, con un inconsistente CLN locale e un paio di agenti pro americani giunti nella cittadina, dalle nefaste conseguenze. 3 L’unica cosa, infatti, che quella mattina, da parte dei dirigenti e comandanti fascisti, era logico e doveroso attendersi, non appena la colonna dei fascisti partita da Milano tra le ore 5 e le 6 del mattino arrivò . poco prima delle 8 in avanti a scaglioni in Como e non trovò Mussolini all’appuntamento stabilito, era quello di far superare l’inevitabile disorientamento che poteva diffondersi nelle fila dei seguaci e proseguire immediatamente per Menaggio (a metà strada, per la Valtellina, lungo la riva occidentale del Lago di Como, cioè la meta di tutti, prefissata), dietro al Duce, forse senza neppure spegnere i motori. L’ordine preciso, categorico e immediato da dare ai fascisti doveva essere uno solo: “dobbiamo proseguire perché il Duce si è dovuto spostare a Menaggio dove ci attende!”, nient’altro che questo. Come fino a quel momento si era fatta la strada Milano – Como, ora non restava altro da fare che proseguire per quella verso Menaggio, poco più oltre di una trentina di km, al massimo procedendo per grossi gruppi da formare con gli arrivi a scaglioni dei fascisti, formando colonne sufficientemente numerose ed armate da avviare mano a mano sulla strada del Duce. In quel mattino, partigiani in giro non ce ne erano Fermarsi a riflettere, consultarsi, attendere tutti gli altri, discutere fu la fine di tutto, perché quello che era difficile fare a botta calda sarebbe divenuto impossibile con il trascorrere delle ore. Si finì quindi per disgregarsi, per impantanarsi in discussioni che portarono ad una “tregua”, di fatto una resa, tanto incredibile quanto ingiusta e assurda perché, non solo conseguita all’insaputa e senza il consenso di Mussolini, ma addirittura trattata con un avversario che in quel momento in Como e dintorni e per tutta la strada fino alla Valtellina non aveva alcuna seria consistenza militare. I delegati del CLN, che si aggiravano come ectoplasmi a Como dietro le spalle dei funzionari della RSI che da tempo cercavano il modo indolore per defilarsi da quelle poltrone, ed altri che mano a mano con il passare delle ore spunteranno con il loro bravo bracciale tricolore negli uffici istituzionali, rappresentavano in quel momento solo se stessi, non avevano divisioni garibaldine e neppure grossi contingenti armati con i quali imporre le loro condizioni. La loro stessa storiografia ci dice che, al massimo, potevano contare su una cinquantina di seguaci clandestini in città. Avevano soltanto la “forza” del tempo che inesorabilmente li avvicinava alla vittoria finale, all’arrivo degli Alleati, al travolgente spuntare dei soliti “partigiani dell’ultim’ora”. Tutto al più potevano contare, ma solo dalle successive ore, sulla presenza di sparuti nuclei di partigiani che lungo la stretta e angusta strada, la via Regina, sulla sponda occidentale del Lago che da Como poi arrivava fino a Dongo, minacciavano seriamente le strade o potevano occupare e isolare alcune località evacuate dai presidi fascisti. 4 Anche nelle zone dove il giorno dopo venne fermata la colonna, militarmente inerme, di Mussolini, affiancata dai camion della colonna dei tedeschi che non avevano alcuna intenzione di battersi, le forze partigiane rappresentate soprattutto dal pomposamene chiamato distaccamento della 52° Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, assommavano in tutto a poche decine di elementi, per giunta male armati. Sarebbe bastato, quel giorno in Como, agguantare un paio di questi melliflui neo dirigenti partigiani, con o senza bracciale tricolore, e minacciare di passarli immediatamente per le armi, perché a tutti passasse la voglia di trattare, proporre condizioni, consigliare una “resa onorevole” dietro il solito pretesto di “risparmiare lutti alla cittadinanza”. I lutti invece li causeranno ai fascisti quando, arresisi, risulteranno oramai inermi! Certo, per i fascisti, uscir fuori da quella situazione non era uno scherzo, non bastava il solo coraggio che pur sicuramente molti di loro (ma non tutti) avevano, ci voleva anche decisione, polso fermo, audacia, visione militare del problema, tutte doti che in quel momento vennero a mancare, ma soprattutto perché, come vedremo, nei più mancava la convinzione fanatica e rivoluzionaria, l’unanimità degli intenti politici ed ideologici, che dovevano indicare, a istinto, la condotta da seguire per chiudere la guerra e la pagina del fascismo repubblicano. E si finì così per consegnare le armi di quei pochi che, in quel clima di indecisione ed incertezza, ancora non le avevano gettate per conto loro. Salvo defezioni e tradimenti, che pur non mancarono, furono quindi i fattori emotivi e la mancanza di polso, che impedirono ai comandanti fascisti di reagire e superare il momento di sbandamento, i pericoli e le difficoltà incontrate. Ma come accennato questa “emotività” che determinò l’inspiegabile sosta in città, non fu solo frutto delle contingenze e del caos di quelle ore, essa ha anche una sua ragione, ha delle premesse di ordine psicologico, ha dei contenuti latenti persino di carattere ideologico. In quelle ore, infatti e sia pure anche come conseguenza di uno scollamento logistico nei collegamenti, si era venuta a creare una latente diversificazione tra le scelte e gli intendimenti di Mussolini che, seppur non chiari, avrebbero dovuto essere compresi “ad intuito”, se ci fosse stata una forte comunanza ideologica e politica e quindi assecondati se non preceduti nelle intenzioni, e quelli di alcuni capi del fascismo arrivati a Como.
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