10-27 Aprile 1945
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27 APRILE 1945 IL RUOLO DELLA GUARDIA DI FINANZA NELLA CATTURA DI MUSSOLINI A DONGO 1. Premessa – 2. La cattura e la fucilazione di Mussolini. – 3. La partecipazione della Guardia di finanza all’insurrezione generale. – 4. Il ruolo dei finanzieri nella cattura di Mussolini e dei gerarchi fascisti. – 5. Il memoriale Buffelli. – 6. L’arresto dei gerarchi che intendevano espatriare attraverso il valico di Oria. – 7. L’oro di Dongo. – 8. Conclusioni. 1. Premessa L’insurrezione generale ordinata dal Comitato di Liberazione Alta Italia il 24 aprile 1945 fu caratterizzata da una partecipazione eterogenea. Ad essa infatti, presero parte, oltre ai patrioti già da tempo combattenti contro il nazifascismo, i partigiani dell’ultima ora che si sollevarono soltanto nei giorni finali della lotta ed una larga rappresentanza popolare che diede il suo apporto con lo sciopero generale oppure scendendo in piazza a sostegno della Resistenza. A quei drammatici eventi partecipò anche la Guardia di Finanza, i cui comandi al nord erano da tempo segretamente collegati con i patrioti. Il 25 aprile ed i giorni successivi, quindi, il Corpo ebbe parte di rilievo negli avvenimenti1. Le diverse provenienze sociali, politiche e militari dei partecipanti alla insurrezione generale si riflettono anche sulle fonti attraverso le quali, ormai a distanza di oltre mezzo secolo, lo storico deve ricostruire il reale evolversi degli accadimenti. Da parte fascista non esistono, ovviamente, relazioni ufficiali perché il crollo del regime fu repentino e drammatico ed i responsabili delle istituzioni e dei reparti militari, ove non passati per le armi, furono tutti catturati ed imprigionati. Le fonti di quella parte quindi consistono nei memoriali dei sopravvissuti e negli atti dei procedimenti penali e amministrativi cui furono sottoposti i fascisti e quindi godono di scarsa attendibilità essendo ispirati da sentimenti giustificazionisti, oppure di esaltazione di episodi bellici in cui i protagonisti pongono in luce solo gli aspetti positivi della loro condotta, trascurando ogni descrizione di fatti moralmente deprecabili, quali deportazioni, saccheggi, incendi per rappresaglia, fucilazioni ed eccidi. 1 Cfr. verbale del 28/11/1944 con il quale la Guardia di Finanza di Milano si poneva agli ordini del CLNAI (Archivio Storico del Museo Storico della G. di F. – d’ora in poi ASMSGF – fascicolo 675, l’Italia settentrionale, busta nr.2, documento nr.3. 2 Anche la parte vincitrice ha lasciato fonti da valutare con diffidenza. Le brigate e le divisioni partigiane operavano nella clandestinità e quindi limitavano la documentazione delle loro attività, per ovvi motivi, al minimo indispensabile. Al termine della guerra ben pochi di questi reparti si presero la briga di stendere relazioni sui fatti ed in quei pochi casi, tesero sempre a far apparire le gesta dei propri appartenenti in una luce il più eroica possibile, demonizzando nel contempo l’avversario. Anche la successiva memorialistica di origine partigiana risente, com’è anche naturale, dell’esigenza di glorificare la guerra patriottica, anche perché negli anni successivi alla conclusione del conflitto, la Resistenza divenne argomento di polemica politica che aveva notevole peso nella vita del Paese2. Unica entità militare che continuò a funzionare prima e dopo la liberazione, tra l’altro con accresciuto prestigio, fu la Guardia di Finanza. Nel normale andamento burocratico della Guardia di Finanza era ricompresa la produzione di relazioni sui fatti di notevole importanza che vedevano coinvolti i finanzieri. Lo storico quindi oggi dispone di valido materiale documentario, redatto nell’immediatezza dei fatti e perciò sufficientemente attendibile, essendo i finanzieri per loro costume restii ad enfatizzare comportamenti ed avvenimenti di cui erano stati protagonisti3. Anche negli eventi di Dongo, che segnarono la fine del regime fascista e dei suoi capi, passati per le armi, alcuni finanzieri dei reparti locali furono al centro di quei drammatici accadimenti, talvolta in posizione di rilievo e le loro relazioni, che sono custodite nell’archivio storico del Museo del Corpo, consentono di ricostruire con sufficiente attendibilità alcuni aspetti delle ultime ore di vita di Mussolini e dei gerarchi catturati il 27 aprile 1945. 2. La cattura e la fucilazione di Mussolini. Il Duce lasciò la sua residenza di Gragnano il 19 aprile, mentre le armate angloamericane infrangevano la linea gotica e dilagavano verso nord, per portarsi a Milano, ove il giorno successivo in una riunione con alcuni ministri in Prefettura ordinò la smobilitazione dei ministeri ed il trasferimento del governo. Dove, non lo sapeva nemmeno lui4. 2 Basti pensare che i movimenti dedicatisi alla lotta armata in Italia negli anni ’70 e ’80 (Brigata Rosse, Prima Linea, etc.) si ispiravano nei metodi di lotta, ma anche in parte nell’ideologia, alla Resistenza. 3 Ad esempio, ancora oggi l’opinione pubblica è in gran parte ignara della parte di rilievo avuta dalla legione della G. di F. di Milano nella liberazione del capoluogo lombardo. 4 La ricostruzione delle ultime ore di Mussolini segue quella, molto documentata, di G. F. Bianchi, Mussolini aprile 1945, l’Epilogo, Editoriale Nuova, Milano, 1979 3 Il ministro Pavolini aveva riproposto di ritirarsi nel “Ridotto alpino repubblicano” della Valtellina, che però, nonostante se ne parlasse da qualche mese, non aveva pratica esistenza. Il generale Graziani, che conosceva la verità, aveva gridato al segretario del partito che continuava a magnificare la consistenza del Ridotto: “E’ ignobile mentire fino all’ultimo momento !”. Il 25 aprile, il cardinale Schuster organizzò un incontro in arcivescovado per far incontrare i dirigenti del CLNAI5 con Mussolini, al fine di prevedere un ordinato passaggio di poteri alle autorità dell’Italia liberata. Mentre il convegno era in corso e la discussione verteva sulla resa incondizionata delle truppe repubblicane alle quali sarebbe stato garantito il trattamento previsto dalle convenzioni internazionali, intervenne il maresciallo Graziani, che era stato messo al corrente in quel momento che i tedeschi stavano trattando la resa separata, per proporre un tempo di attesa per far coincidere la cessazione delle ostilità da parte dei tedeschi con quella delle truppe della RSI. Mussolini, impressionato dalla rivelazione e sentendosi tradito proprio dai tedeschi decideva di abbandonare la riunione per una breve riflessione, dichiarando che sarebbe ritornato entro un’ora. Rientrato in prefettura, ordinava invece – non si conoscono i motivi - la partenza per Como, con una piccola autocolonna, con alcuni ministri e personalità della RSI, scortata da un drappello di SS al comando del tenente Benzen, che aveva il compito di proteggerlo ma anche di impedirgli, se del caso con le armi, di espatriare in Svizzera, come sembra fosse sua intenzione. Il 26 l’autocolonna si spostò a Menaggio e da lì tentò una puntata verso la Svizzera, subito sventata dagli uomini delle SS. Nella serata, giunse Pavolini, praticamente da solo, che subì anche una sfuriata del Duce che gli chiese ragione del mancato arrivo dei 30.000 fascisti in armi da lui promessigli il giorno prima. Durante la notte sul 27 passava per Menaggio un’autocolonna della Flack, la contraerea tedesca, diretta in Alto Adige, al comando del tenente colonnello Fallmeyer. I fuggiaschi decidevano di unirsi ai tedeschi e di partire con loro. Pochi chilometri più avanti, a Musso, la colonna venne bloccata dai partigiani della 52^ brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle detto “Pedro”, che aveva come Capo di SM Luigi Canali detto “Neri” e come commissario politico Michele Moretti, detto “Pietro Gatti”. 5 Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. 4 Questa parte della vicenda non è controversa: i partigiani ed i tedeschi trattarono per un accordo sul transito dei soli germanici, previo controllo nel corso dei quali Urbano Lazzaro,detto Bill, un finanziere della tenenza di Dongo che faceva parte della resistenza scoprì Mussolini che aveva cercato di mimetizzarsi indossando un pastrano della Wehrmacht6. Il Duce fu catturato alle 15 del 27 aprile; subito dopo egli venne portato al municipio di Dongo e verso le 17 fu trasferito nella caserma della Guardia di Finanza nella vicina località di Germasino e affidato al brigadiere Giorgio Buffelli, anch’egli organico alla Resistenza. I partigiani non si sentivano ancora padroni della situazione e temevano che gruppi isolati di armati fascisti potessero tentare colpi di mano per liberare il loro Duce. Occorreva un altro trasferimento con modalità più riservate. Nella notte, quindi, “Pedro”, con la partigiana “Gianna”, con Michele Moretti e con “Neri” prelevò il Duce, al quale venne ricongiunta Claretta Petacci, su sua esplicita richiesta. Con la testa fasciata per essere reso irriconoscibile, Mussolini venne trasportato con un’automobile, seguita da un’altra con altri partigiani e la Petacci verso un nuovo luogo di detenzione: una baita di San Maurizio di Brunate, sopra Como. Una decina di chilometri prima, a Moltrasio, “Neri” apprese che a Como erano arrivati gli alleati e decise di ritornare sui suoi passi, per non correre il rischio di dover consegnare il prigioniero agli angloamericani. “Neri” portò quindi i prigionieri a Bonzanigo a casa di una famiglia di contadini che egli conosceva, i De Maria. Era ormai l’alba del 28 e Mussolini e la Petacci vennero lasciati a dormire con due giovani partigiani (“Lino” e “Sandrino”) di guardia. Intanto la notizia della cattura era