Marco Praga La Biondina
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Marco Praga La biondina www.liberliber.it 1 Questo e-book è stato realizzato anche grazie al sostegno di: E-text Editoria, Web design, Multimedia http://www.e-text.it/ QUESTO E-BOOK: TITOLO: La biondina AUTORE: Praga, Marco TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: "La biondina" di Marco Praga; Biblioteca Amena n. 735; Fratelli Treves editori; Milano, 1910 CODICE ISBN: informazione non disponibile 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 22 aprile 2007 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Paolo Alberti, [email protected] REVISIONE: Paolo Oliva, [email protected] PUBBLICATO DA: Paolo Alberti, [email protected] Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori infor- mazioni sono disponibili sul sito Internet: http://www.liberliber.it/ Aiuta anche tu il "progetto Manuzio" Se questo "libro elettronico" è stato di tuo gradimento, o se condividi le fina- lità del "progetto Manuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuo sostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente la nostra biblioteca. Qui le istruzioni: http://www.liberliber.it/sostieni/ 2 LA BIONDINA ROMANZO DI MARCO PRAGA MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1910 3 La Biondina Marco Praga I Il sole entrava dall'ampio finestrone a inondare di luce lo studio vastissimo, dove Giacomo Burton lavorava, dall'alba al tramonto. Due delle bianche pareti erano coperte da grandi tavole di disegni, modelli di macchine; sulla terza, di contro al finestrone, era una sfilata di mensole chiare di larice, con tutte le fiale ed i vasi bianchi ed azzurri, pieni di minerali e di acidi, nella gamma allegra di colori che la chimica possiede. Qua e là, e negli angoli, sul pavimento, erano pezzi di macchine, e pile, e fornelli. Un terzo della stanza era occupato da due lunghe tavole da disegno poggianti sui ca- valletti altissimi: sulle tavole, cosparse di compassi e di regoli, spioveva una gran luce dall'ampia vetrata. Tutto, là dentro, era semplice, rigido, severo, ordinato; tutto, fuorchè il breve spazio rac- chiuso dall'angolo a destra del finestrone, dove era un divano; e due poltroncine di tela russa con u- n'alta bordatura di azzurro fissata da borchiette d'oro: e, steso dinanzi ad essi, un rosso tappeto a fio- rami oscuri; e, sulla parete, a coprire il bianco della muraglia, una stoffa drappeggiata con arte, che inquadrava una grande fotografia di donna racchiusa in una semplice cornice d'abete. Quell'angolo, come un salottino non ricco ma civettuolo, introdottosi quasi furtivo in quel tempio severo del lavo- ro, era Adelina che l'aveva voluto, che l'aveva imposto a suo marito. Aveva comperato essa il diva- no e le poltroncine, e il tappeto, e un giorno era capitata là con tutta quella roba recata da un operaio della fabbrica: e, tutta sola, mentre Giacomo, sorridendo, disegnava, avea creato quel cantuccio, tra- sfondendovi un po' della grazia, della allegra civetteria ch'era nella sua persona. Avea messo il pic- colo divano di sbieco, nell'angolo: poi, salita in piedi su di esso, appiccicò con quattro chiodi il drappeggio; poi stese il tappeto; e mise le poltroncine ai due lati del divano. — Adesso esci un momento. — Perchè? — Te ne prego. Esci in corte, due minuti, poi ti chiamo. Giacomo uscì; ed essa, di furia, appese la fotografia fino allora tenuta gelosamente nascosta. Poi, affacciandosi alla porticina dello studio, ch'era all'angolo opposto a quello da lei trasformato, lo chiamò: — James! James! corri, adesso, vieni, vieni presto. — Oh! il tuo ritratto! — disse lui, con stupore, ma senza scomporsi molto, senza alzare troppo la voce. — Il tuo ritratto. Un'improvvisata. Bellissimo. Chi te lo ha fatto? — Un fotografo! — ribattè lei, ridendo, fissando gli occhi allegri negli occhi di suo marito. — Già, un fotografo. Ma, così grande! costerà molto. Non spendi troppo, Adelina, in cose superflue? — Nulla, nulla, nulla. È il regalo di un'amica mia che à sposato un fotografo. — Chi? — Un'amica mia di collegio; non la conosci, tu. Già, non ne conosci nessuna, — aggiunse, ridendo sempre. Poi fattasi seria, a un tratto: — Sei cattivo, però. Il mio ritratto lo chiami una cosa superflua. Vivi qua dentro dalla mattina alla sera: appena mi vedi una mezz'ora durante il giorno se vengo a farti una visitina. Almeno avrai il mio ritratto dinanzi agli occhi. Credevo ti dovesse far piacere! Invece!... — Sì, tanto piacere. Temevo soltanto tu avessi fatta una spesa troppo forte per noi. Tu sai che non possiamo ancora spendere molto. Lo sai. — E l'aveva baciata sulla bocca, e s'era rimesso al lavoro. Allora, Adelina, quel giorno, s'era accoccolata sul divano, ed era rimasta più a lungo. Ah! così! Adesso, quando verrò a trovarti qui, avrò un cantuccio simpatico dove mettermi, avrò un sedile decente sul quale non arrischierò di rovinarmi le vesti come sulle tue sedie di paglia inzuppate di acidi. Sei contento? Ma anche a questo ò dovuto pensar io. Sei un orso, tu! E poi, via, quando vien qui qualche persona per bene, potrai riceverla a modo. Un orrore, proprio un orrore: tu eri capace di far sedere sul trespolo un commendatore, o di tenere in piedi un deputato, per mancan- za di sedili. Ma la tua mogliettina pensa a tutto. Nevvero? Anzi, sai che cosa ò pensato, adesso che 4 La Biondina Marco Praga c'è il salottino, qui? Io verrò ogni giorno, porterò con me il mio lavoro ed un libro, e rimarrò a lun- go, a tenerti compagnia. Eh? — Ti annoierai, piccina. — E quando mi annoierò anderò via! Ecco!... Soltanto, ti prego: quando ti fabbrichi qualcu- na di quelle tue combinazioni chimiche.... di quelle.... Dio! che odori, ah! allora sì, avvertimene prima, che non ci venga. Mi fai star male una settimana intera. Poi, ancora, gli aveva raccontato una quantità di frottole graziose, e di storielle piccanti, rac- colte qua e là, nei salotti della zia o della sua amica, la Bianca, dove essa passava le ore del pome- riggio. Lui, impassibile, serio, ascoltava silenzioso, disegnando, durante le visite che sua moglie gli faceva all'officina, quasi ogni giorno, da un anno in qua. Poichè s'erano sposati da quattro anni, ma questa intimità tra di loro, questa affettuosità di Adelina per lui, erano nate da poco. Giacomo, in- namorato di sua moglie lo era stato sempre: ma non era nel suo carattere di dirlo e di dimostrarlo troppo: poi, gli mancava anche il tempo di dirlo e di dimostrarlo. Dalle sette di sera sino all'alba del giorno appresso, ecco le ore che poteva dedicarle. Dall'alba alle sette, lavorava. E Adelina, nei primi tre anni di matrimonio, s'era acconciata facilmente a questa vita. Tutto il giorno era libera: l'officina lontana, fuori dazio; e poiché aveva sposato l'inglese (glie ne avevano parlato chiamandolo così, la prima volta) senza amore, per convenienza, perchè di- sperava, a 24 anni, di trovare di meglio, non si crucciava di questa gran libertà che suo marito era obbligato a concederle: anzi, forse, ne gioiva e se ne valeva. Ma da un anno, un gran cambiamento s'era fatto in lei. Quasi ogni giorno, essa veniva a trovarlo in istudio. Saliva in tram in piazza del Duomo, e scendeva al dazio. Poi aveva ancora buon tratto di strada a percorrere, sino alla gran porta di un lungo fabbricato di mattoni rossicci, sulla quale ad alte lettere nere, era scritto: «Società inter- nazionale dei tramway a vapore». Era una società inglese che aveva costrutto ed esercitava molte linee di tram nell'Alta Italia, e aveva la sua sede principale a Milano, e quivi il suo direttore tecnico, James Burton. Un valore, quest'uomo. C'era in lui la stoffa di un inventore. Da quattro anni studiava l'appli- cazione dell'elettricità alla trazione dei tram, secondo un sistema nuovo, pratico, economico, che, perfezionato al punto ch'egli aveva fissato di raggiungere, avrebbe portata una rivoluzione in questo genere d'industria, avrebbe debellato in modo assoluto il sistema della trazione a vapore e a cavalli, e avrebbe fatta la fortuna di lui. Così, egli rubava al sonno, agli svaghi, alla famiglia, molte ore, e le dedicava ai suoi studi. Gli sarebbe bastato di lavorare dalle dieci del mattino alle quattro di sera per sbrigare le faccende del suo ufficio. Invece, egli rimaneva all'officina dodici ore al giorno, occupato sempre in nuovi tentativi ed in esperimenti nuovi. Era questa la fissazione di quell'uomo tenace e di genio: farsi una fama e una fortuna. Giacomo era il minore di sette fratelli. Era nato a Glasgow. Papà Burton, commerciante, a- veva allevato i suoi cinque maschi con idee pratiche e sane seguendone le attitudini ed avviandoli alla carriera a ciascuno più adatta. «Soltanto. — aveva detto loro — badate che non sono ricco, che non ò nessuna probabilità di diventarlo; la vita costa assai; e se potrò mettere da parte qualcosa sarà per le vostre sorelle, ed è giusto che abbia ad essere per loro. Voialtri potete e dovete lavorare, e pensare a voi stessi. Quindi, se è possibile, sceglietevi una professione nella quale si guadagni pre- sto, senza un troppo lungo tirocinio». Chi s'era dato al commercio, chi all'ingegneria: il maggiore, innamorato del mare, aveva percorsi gli studi navali, ed era ufficiale, adesso, nella marina inglese. James, laureato ingegnere, s'occupò alla costruzione di una ferrovia.