Selezione dal volume Alberto Beneduce (1877‐1944)

Nasce a Caserta il 29 marzo 1877. Laureatosi nel 1902 in Discipline matematiche all'Università di Napoli, entra poco dopo negli uffici preposti alle statistiche demografiche e sociali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. In breve tempo si distingue come uno dei maggiori esperti nel campo della demografia, dell'economia e delle scienze attuariali. Chiamato ad assistere il Consiglio superiore di statistica, predispone le operazioni per il compimento del quarto censimento demografico e del primo censimento industriale, contribuendo anche al progetto di monopolio statale delle assicurazioni sulla vita e all'istituzione dell'INA. Negli anni della Prima guerra mondiale collabora con Stringher alla istituzione del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali e ricopre gli incarichi di consigliere delegato dell'INA, componente del comitato centrale amministrativo del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali e dirigente dell'Istituto nazionale dei cambi. Nel 1917 si impegna a fianco di Nitti per l'istituzione dell'Opera nazionale combattenti (ONC), di cui diviene presidente. Nel 1919 concepisce e presiede il CREDIOP (Consorzio di credito per le opere pubbliche), primo di una serie di enti pubblici economico‐finanziari attraverso i quali alimentare la costruzione di opere pubbliche senza gravare sul Tesoro. Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel governo Bonomi (1921‐22), intensifica la propria attività politica e istituzionale assumendo . incarichi sempre più importanti nei vari enti pubblici in crescita. Muore a Roma il 26 aprile 1944. Alberto Pironti (1867‐1936)

Nasce a Vallo della Lucania (Salerno) il 24 novembre 1867. Laureatosi in giurisprudenza all'Università Napoli, nel 1889 entra nell'amministrazione del Ministero dell'Interno, percorrendo i primi gradi della carriera presso le sedi di Palermo, Velletri e Catanzaro. Dieci anni dopo viene assegnato alla Direzione generale dell'amministrazione civile, della quale diventa direttore generale nel 1907. Mantiene l'incarico fino al 1924, anno in cui viene nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato. Funzionario tra i più preparati dell'amministrazione giolittiana, nel 1922 viene nominato senatore del Regno. Uomo chiave di tutta la politica di riforma degli enti locali, compresa la finanza locale e le istituzioni di assistenza e beneficienza. Nel periodo fascista, dal Consiglio di Stato dà la sua impronta al Testo unico sugli enti locali. Muore a Roma il 4 dicembre 1936. Angelo Annaratone (1844‐1922)

Nasce a Frascarolo (Pavia) il 23 agosto 1844 da un'agiata famiglia borghese. Nel 1867 si laurea in Giurisprudenza all'Università di Torino, segnalandosi sin da studente per le sue idee accesamente patriottiche tanto da essere scelto tra tutti gli studenti per esprimere i sentimenti comuni di devozione verso Giuseppe Garibaldi, in visita all'Ateneo. Nel luglio 1870 assunse il primo incarico nella Pubblica Amministrazione in qualità di delegato straordinario (prima a Bagnacavallo e poi a Stroppiana, Campi Bisenzio e Lugo) e dopo due anni partecipa al concorso per il posto di volontario nella carriera di prima categoria dell'amministrazione provinciale, ottenendo la nomina ad «alunno di categoria» ma rimanendo in attesa di destinazione. Il 25 giugno 1873 viene firmato il decreto reale che gli consente di salire il primo gradino della carriera, divenendo sottosegretario di terza classe nei ruoli delle Amministrazioni provinciali. Questo passaggio determina il suo trasferimento a Roma. Dopo appena sei mesi viene nominato sottosegretario di seconda classe ma a suo carico si apre anche una non ben precisata inchiesta amministrativa che in definitiva sottolinea l'atipicità della carriera percorsa. Nel luglio 1876, divenuto per concorso consigliere di prefettura, riesce a lasciare la non gradita sede di Imola e a entrare nei nuovi ruoli, venendo destinato prima a Siracusa e poi a Palermo (nelle cui campagne la situazione è resa oltremodo difficile dalla persistenza e dalla recrudescenza del brigantaggio). Nel marzo 1877, con un provvedimento del Ministero dell'Interno e con il placet di quello delle Finanze, viene nominato componente della Commissione per i debiti dei Comuni della Sicilia. Grazie all'arrivo di al Ministero dell'Interno riesce a ottenere il trasferimento prima a Brescia e poi ad Anghiari. Raggiunge infine la sede di Salò dopo aver ottenuto, il 2 ottobre 1879, la promozione a sottoprefetto reggente. In questa fase si delinea il suo duraturo e autentico legame sia con Zanardelli sia con . Nell'ottobre 1887 arriva il tanto atteso mutamento di ruolo: dopo aver ottenuto una promozione, il 23 novembre viene destinato «in missione» al Ministero per essere assegnato all'Ufficio Primo. Nel corso del 1888 riceve l'importante incarico di «verificare in tutte le sedi continentali delle Questure l'allestimento del servizio». Un compito evidentemente svolto con soddisfazione dei suoi superiori se il 28 ottobre 1888 viene promosso sottoprefetto di prima classe. Il 27 gennaio 1890 consegue l'ultima promozione in via burocratica, divenendo ispettore generale del Ministero. Il 19 giugno dello stesso anno il Re gli conferisce le insegne di commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia. Il rapporto con Giuseppe Zanardelli non gli impedisce tuttavia di condividere la politica propugnata da di severa repressione del movimento irredentista e, più in generale, del sovversivismo anarchico e socialista. E' comunque grazie all'appoggio di Zanardelli che il 17 giugno 1892, in seguito all'arrivo di Giolitti alla guida dell'Interno e del Governo, riesce a ottenere la nomina a prefetto del Regno. Dopo avere prestato servizio per due anni nel feudo zanardelliano di Brescia, nonostante la sua espressa contrarietà viene trasferito a Girgenti nel 1894 in coincidenza con l'avvento del nuovo ministero Crispi (che assume anche la guida del Ministero dell'Interno). Tra l'ottobre 1895 e il gennaio 1908 svolge le funzioni di prefetto a Novara, Parma, Bari, Livorno e Firenze. Il 2 marzo 1905 viene nominato senatore del Regno (un riconoscimento piuttosto raro per i prefetti in carriera) proprio perché riconosciuto tra i sostenitori più fidati del presidente Giolitti. Prefetto a Roma dal febbraio 1908 fino al luglio 1914, quando viene collocato a riposo su provvedimento del presidente del Consiglio Antonio Salandra. Muore a Frascati il 21 agosto 1922.

Antonio Stoppani (1824‐1891)

Nasce a Lecco il 15 agosto 1824. Ordinato sacerdote nel 1848, partecipa alla rivolta antiaustriaca delle Cinque Giornate di Milano costruendo piccole mongolfiere che volando fuori dalla città portano messaggi di propaganda nelle campagne milanesi. Prende parte anche alla Prima guerra di indipendenza esolo la sconfitta di Novara lo induce a tornare in seminario, come insegnante di grammatica. Quando nel 1853 i suoi superiori decidono di espellerlo, mal tollerando la sua precedente attività patriottica e le sue idee liberali (è un seguace di Antonio Rosmini), trova impiego come precettore presso la famiglia comasca dei conti Porro. In questo periodo avvia gli studi di geologia e paleontologia, favoriti dalla vicinanza con gli ambienti naturali della Brianza e delle Alpi Retiche. Dopo l'unità d'Italia, senza abbandonare la veste talare e curandosi poco dei crescenti dissensi tra la Chiesa e il nuovo Stato italiano, diventa insegnante straordinario di Geologia all'Università di Pavia (1861), quindi docente di Geologia al Politecnico di Milano (1867). Nel frattempo vive un'altra breve ma intensa esperienza militare: arruolatosi nel 1866 nelle ambulanze milanesi della Croce Rossa, segue il Corpo d'Armata del generale Cialdini nella campagna di liberazione del Veneto. Aderisce alla Società Italiana di Scienze naturali, della quale èprimo segretario dal 1859 al 1877 insieme al mineralogista Giovanni Omboni. Dal 1882 al 1891 dirige il Museo Civico di Storia naturale di Milano (che tuttora conserva alcuni reperti delle sue raccolte paleontologiche). Appassionato di alpinismo, nel 1873 diventa il primo presidente della sezione milanese del Club Alpino Italiano. Molti lo riconoscono come il fondatore della geologia e della paleontologia in Italia. Scrive numerose opere di carattere scientifico ed èautore del notissimo libro "Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d'Italia" (1876), che costituisce uno dei più riusciti tentativi di divulgazione scientifica dell'Ottocento. Ne èprotagonista è uno zio che, al ritorno delle vacanze, viene interrogato sui suoi viaggi da un pubblico di bambini, ragazzi, madri e padri. In 34 'serate' vengono così descritti fenomeni naturali, centri abitati, usi e costumi delle popolazioni italiane. Da Milano alle cave di Carrara, dalle descrizioni del mare a quelle delle montagne, dai grandi vulcani ai fanghi e ai soffioni: non c'è aspetto della penisola che non venga affrontato con un linguaggio chiaro e gradevole, con frequenti paragoni con le altre meraviglie naturali del resto del mondo. Risulta interessante anche la ripartizione degli interlocutori: i giovanissimi sono il pubblico desideroso di apprendere (quasi un'ideale rappresentazione della giovane nazione) mentre i genitori intervengono di quando in quando per vigilare che gli argomenti siano conformi alla didattica e alla morale. L'opera ottiene un grande successo, con numerose riedizioni. Gli ultimi anni della sua vita, ricchi di soddisfazioni sul piano scientifico e accademico, vengono però amareggiati dalle polemiche che lo oppongono agli integralisti cattolici dell'epoca, rappresentati da don Davide Albertario. Il suo credo cattolico e liberale è compiutamente espresso nel saggio "Gli Intransigenti", nel quale afferma che «non si può ottenere vittoria sugli increduli, se non la si ottiene prima sui falsi credenti». Questi ultimi sono coloro che «professando il Cristianesimo e pretendendosi difensori e propugnatori della sua integrità cattolica, hanno e manifestano il gusto, come il bisogno, della divisione e della discordia e non pare loro vero di attizzarla e mantenerla». Le dure controversie tra la sua rivista "Il Rosmini" e alcune pubblicazioni periodiche cattoliche ispirate dalla Curia romana lo costringono addirittura a intentare e vincere una causa civile, i cui strascichi lo lasciano comunque turbato e afflitto. Muore a Milano il 2 gennaio 1891. Per il loro carattere solenne e l'enorme partecipazione popolare, i suoi funerali vengono paragonati a quelli dell'altro grande cattolico milanese Alessandro Manzoni. Antonio Winspeare (1840‐1913)

Nasce a Potenza il 23 maggio 1840 da Eduardo (discendente da una famiglia di origine inglese trapiantata a Napoli nel Settecento, che dette alla monarchia borbonica funzionari, diplomatici, militari e persino un ministro) e da Giuseppina Leonetti (a sua volta appartenente a una ricca famiglia del notabilato casertano). Dopo aver completato gli studi giuridici a Napoli entra appena ventenne nell'amministrazione, ricoprendo per un decennio una serie di incarichi minori nell'Italia meridionale. Sin da allora l'intervento della sua potente famiglia risulta spesso decisivo nei passaggi di carriera. Dopo la nomina a sottoprefetto nel 1870 ricopre tutti i gradi della carriera prefettizia a Nuoro, Brindisi, Isernia, Roma, Napoli, Forlì, Caserta, Modena, Alessandria, Palermo, Torino e Milano. In quest'ultima città, in seguito ai disordini creatisi nelle giornate del maggio 1898, per un breve periodo viene collocato a disposizione con l'accusa di non averli previsti e di non averne informato il governo. Trascorre gli ultimi cinque anni di servizio nelle sedi di Venezia e di Firenze. Il 1 febbraio 1904 viene collocato a risposo per anzianità di servizio. Winspeare è stato uno dei grandi prefetti dell'unificazione, appartenendo a quella leva di primi funzionari postunitari che interpretò al meglio, anche dimostrando un elevato grado di autonomia e di consapevolezza del ruolo, il progetto di costruzione del nuovo Stato italiano. Muore a Firenze il 25 agosto 1913. Camillo Peano (1863‐1930)

Nasce a Saluzzo il 5 giugno 1863. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università di Torino nel 1886, per breve tempo presta servizio presso la Corte di Cassazione torinese. Nel 1887 passa nell'amministrazione provinciale dell'Interno e viene destinato prima a Perugia, poi a Milano e infine a Roma. Promosso ispettore nell'aprile del 1905, è inviato come commissario straordinario nei Comuni vesuviani danneggiati dall'eruzione vulcanica. Nel terzo ministero Giolitti (1906‐1909) diventa capo di gabinetto all'Interno, incarico nel quale viene confermato nel 1907 quando consegue la promozione a prefetto. Nel novembre dell'anno successivo viene nominato consigliere di Stato. Nel 1911, quando Giovanni Giolitti costituisce il suo quarto ministero (1911‐1914), diventa capo di gabinetto e in seguito capo della segreteria della Presidenza del Consiglio. Presidente della "Commissione Peano" (istituita nel luglio 1910) che decide la localizzazione dei principali Ministeri e uffici pubblici. Deputato dal 1913 al 1924, meritano di essere ricordati due suoi interventi pronunciati nel 1914: quello in cui invita il presidente del Consiglio Antonio Salandra a chiarire le competenze delle due sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e quello sulla proposta di legge che prevede modifiche alle procedure elettorali per le elezioni politiche. Alla vigilia della prima guerra mondiale, partecipa al dibattito sull'entrata dell'Italia nel conflitto. A tal proposito resta celebre la "lettera del parecchio": dopo aver incontrato il principe Bernhard Bülow (ambasciatore tedesco in Italia), Giolitti gli scrive infatti che "[…] potrebbe essere e non apparirebbe improbabile che nelle attuali condizioni dell'Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra". Pubblicata nella "Tribuna", essa viene considerata espressione di un neutralismo assoluto e 'materialista' e gioca a favore degli interventisti. Nel maggio 1920 diventa ministro dei Lavori pubblici, incarico che mantiene anche nel quinto governo Giolitti (1920‐1921). Torna al Governo nel primo ministero Facta (1922) come titolare del Tesoro. Nel dopoguerra tiene alla Camera discorsi pessimistici sulle effettive possibilità di riforma della burocrazia e sul disavanzo dello Stato (che denuncia ammontare a oltre sei miliardi e mezzo di lire) ed espone la gravità della situazione economica del Paese, inasprita dalla difficoltà di reperire fondi con l'introduzione di nuove imposte o con l'inasprimento di quelle esistenti. Nel 1922 partecipa alla conferenza di Genova, che si propone di dare basi solide alla pace e di preparare la ricostruzione economica dell'Europa. In quello stesso anno è nominato senatore del Regno e presidente della Corte dei conti. Viene collocato a riposo il 31 dicembre 1928. Muore a Roma il 13 maggio 1930.

Carlo Alberto Pisani Dossi (1849‐1910)

Nasce a Zenevredo (Pavia) il 27 marzo 1849. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università di Pavia nel 1871, percorre le tappe della carriera consolare fino alla promozione a segretario nel 1885. Avvicinatosi a Francesco Crispi, comincia un'intensa collaborazione con il quotidiano "La Riforma" pubblicando articoli, saggi e recensioni di carattere letterario e storico. Nello stesso periodo si impegna nell'elaborazione di una ambiziosa riforma dell'amministrazione degli Esteri. Guardando alle diplomazie coeve delle altre potenze europee, il suo progetto riformatore mira a introdurre la parità tra carriera centrale e diplomatica così come al rinnovamento della formazione e della selezione del personale perseguendo un modello di diplomatico più consapevole degli interessi economici italiani all'estero. Nel frattempo intraprende una fortunata esperienza letteraria che, grazie si suoi raffinati esperimenti di ricerca linguistica, lo colloca tra gli intellettuali di punta nel movimento della Scapigliatura lombarda. Tra le opere di quegli anni ricordiamo "L'altrieri. Nero su bianco" (1868), "Vita di Alberto Pisani scritta da Carlo Dossi" (1870), "Elvira, elegia" (1872), "Il regno dei cieli" (1873), "Ona famiglia de cialapponi" (1873, scritta con Gigi Pirelli), "Ritratti umani, dal calamaio di un medico" (1873) e "La colonia felice, Utopia" (1874). I suoi scritti migliori rimangono comunque "Ritratti umani ‐ Campionario" (1885), "La desinenza in A. Ritratti umani" (1878 e 1884) e "Amori di Carlo Dossi" (1887). Si tratta di testi nei quali emerge una vocazione classificatoria dei tipi umani che avrebbe fatto parlare alla critica di assonanze implicite con la sua vita di burocrate. Nel 1887 Crispi lo chiama al Ministero dell'Interno come segretario capo di gabinetto del ministro. Poco dopo viene trasferito nella carriera diplomatica con il grado di segretario di legazione di 1a classe e quindi nominato capo di gabinetto ad interim del ministro degli Affari esteri, incarico che gli consente di svolgere un ruolo di primo piano in relazione alla riforma della struttura centrale. Animato da un vivo interesse per il tema dell'emigrazione, si interessa anche all'attività delle associazioni italiane all'estero. Contemporaneamente svolge un'intensa attività diplomatica ai fini dell'espansione coloniale italiana, occupandosi attivamente del Trattato di Uccialli ma soprattutto elaborando i criteri e predisponendo gli strumenti per il nuovo assetto amministrativo della colonia eritrea. La caduta di Crispi è tuttavia fatale alla sua ascesa di giovane diplomatico. Promosso nel 1891 consigliere di legazione, viene destinato in Montenegro come ministro residente ed esonerato dalla reggenza del gabinetto del ministro. Nello stesso anno, con un provvedimento dal sapore quasi vessatorio, viene incaricato di reggere il consolato di Bogotà in qualità di console generale e di ministro residente. Le sue sorti burocratiche si risollevano nel 1894, quando il nuovo governo Crispi lo promuove ministro plenipotenziario di 2a classe. Due anni dopo, caduto nuovamente Crispi, viene però trasferito a Rio de Janeiro. Reintegrato nel 1898 nel servizio attivo del Ministero, ècollocato a riposo nel 1901. Si ritira allora nella villa di Corbetta per coltivarvi la propria passione: l'archeologia. Muore a Como il 16 novembre 1910. "Note azzurre", forse il suo capolavoro, uscirà postumo nel 1912 (parzialmente) e infine nel 1964. Carlo Astengo (1837‐1917)

Nasce a Savona l'8 febbraio 1837. Frequenta un "corso completo di filosofia". Nel 1853 entra come aspirante volontario nella Prefettura di Savona. Trasferito nel 1861 nell'amministrazione centrale, nel 1874 raggiunge il grado di ispettore centrale. Prefetto a Siracusa nel 1884 e l'anno successivo a Caserta. Nominato consigliere di Stato nel marzo 1886. Dal 1896 al 1897 regge la Direzione generale dell'amministrazione civile presso il Ministero dell'Interno. Nel frattempo (ottobre 1896) viene nominato senatore del Regno. Pubblica tra l'altro il "Manuale degli amministratori comunali e provinciali e delle opere pie", il "Manuale del funzionario di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria" e la "Guida amministrativa" dedicata al commento della nuova legge comunale e provinciale crispina. Muore a Roma il 7 ottobre 1917. Carlo Cadorna (1809‐1891)

Nasce a Pallanza l'8 dicembre 1809. Conseguita la laurea in Giurisprudenza nel 1830, interviene su diverse testate con articoli di argomento sociale ed economico e fonda il periodico "Album letterario", particolarmente attento ai temi dell'educazione popolare e degli asili infantili. Nel frattempo sviluppa rapporti d'amicizia con ed entra in contatto con gli ambienti liberali torinesi. Avvocato, svolge anche le funzioni di magistrato le funzioni di giudice aggiunto al Tribunale di Novara (1835‐1837) e al Tribunale di prima istanza di Casale (1840‐1844). Eletto ininterrottamente deputato della Camera subalpina dal dicembre 1848 al gennaio 1860, ne ricopre la carica di presidente dal 1857 al 1858. Dalla fine del 1848 al febbraio 1849 è anche ministro della Pubblica Istruzione nei governi Gioberti e Chiodo. Presenzia all'abdicazione di Carlo Alberto e partecipa alle trattative con gli austriaci che portano alla firma dell'armistizio. Nel 1855 ènominato relatore della Commissione incaricata dell'esame del disegno di legge sulla soppressione di conventi e comunità religiose, e in tale veste esprime una compiuta visione liberale dei rapporti fra Stato e Chiesa ispirata alla libertà di coscienza e alla separazione fra sfera civile e religiosa (secondo la formula "Libera Chiesa in libero Stato"). Nel 1858 viene prima nominato senatore del Regno, quindi chiamato da Cavour alla guida del Ministero della Pubblica Istruzione (anche al fine di allargare al centro sinistra le basi della maggioranza). Nominato consigliere di Stato nel luglio 1859. Sei anni dopo diventa vicepresidente del Senato e viene nominato anche prefetto di Torino in un momento particolarmente delicato (nel settembre dell'anno precedente si sono verificati gravi tumulti a causa del trasferimento della capitale del Regno a Firenze). Nel gennaio 1868 viene nominato ministro dell'Interno nel secondo gabinetto Menabrea. In questa veste presenta un articolato progetto di riforma amministrativa (peraltro mai approvato) che prevede la sostituzione dei segretari generali dei Ministeri con "soprintendenti" permanenti, al fine di assicurare uniformità e continuità di indirizzo all'azione amministrativa; la ripartizione dei Ministeri in uffici (i più importanti dei quali da costituire in direzioni generali) nonché il rafforzamento dell'istituto prefettizio. Conclusa l'esperienza politica, nell'aprile 1869 Menabrea lo invia a Londra come Ministro plenipotenziario. Tornato in patria nel febbraio 1875, diventa presidente del Consiglio di Stato. Muore a Roma il 2 dicembre 1891.

Celestino Bianchi (1817‐1885)

Nasce a Marradi (Firenze) il 10 luglio 1817. A sedici anni si trasferisce nel capoluogo toscano per studiare presso gli Scolopi, sotto la guida di padre Giovanni Inghirami. Una volta divenuto insegnante di Storia e geografia presso l'Istituto femminile della SS. Annunziata, inizia a impegnarsi come giornalista politico. Dal 1847 collabora con "La Patria" (che appoggia il gruppo moderato ricasoliano) e presto ne diventa segretario di redazione e poi responsabile. Il primo dicembre 1848 fonda "Il Nazionale", cui imprime un indirizzo filo‐piemontese che appoggia il triumvirato rivoluzionario formato da Giuseppe Montanelli, Giuseppe Mazzoni e Francesco Domenico Guerrazzi ma che si oppone al progetto di unione con la Repubblica Romana diretta da Giuseppe Mazzini. Collabora a titolo gratuito anche con "L'imparziale fiorentino", giornale i cui proventi vengono destinati «a benefizio degli indigenti». Nel 1850, in seguito al ritorno del Granduca, il giornale viene soppresso e lui stesso viene rimosso dall'incarico di insegnante. Con il fratello Beniamino organizza allora una tipografia in Piazza Santa Croce ("Barbèra, Bianchi e comp.") ma l'impresa non riscuote successo e presto viene ceduta. Riprende a collaborare con giornali letterari del tempo come "Il Genio" (1852‐54) e la "Polimazia di famiglia" (1853‐55). Fonda anche un altro giornale, "Lo Spettatore", che dirige fino al 1858 rendendolo uno dei migliori fogli letterari della Toscana. Legato ai moderati filo‐piemontesi, promuove tuttavia una linea politica che salvaguardi l'autonomia della Toscana. Nel 1859 diventa segretario del Governo provvisorio della Toscana guidato da Bettino Ricasoli in seguito alla fuga del granduca. La notte del 26 aprile in casa del fornaio Dolfi si radunano i capi del gruppo liberale nazionale e dei radicali, che stabiliscono per il giorno dopo una grande dimostrazione. Ne danno avviso a tutte le città toscane, scelgono i nomi per la giunta provvisoria di governo (Ubaldino Peruzzi, Ermolao Rubieri, Ferdinando Zannetti, Vincenzo Malenchini e Bettino Ricasoli, che rifiuta dovendo recarsi dal Cavour), e fanno stendere proprio da Celestino il seguente manifesto: "Toscani! L'ora èsuonata: la guerra dell'Indipendenza d'Italia già si combatte. Voi siete italiani; non potete mancare a queste battaglie; e italiani siete anche voi, prodi soldati dell'Esercito Toscano; e vi aspetta l'esercito italiano sui campi di Lombardia. Gli ostacoli che impediscono l'adempimento dei vostri doveri verso la Patria devono essere eliminati: siate con noi e questi ostacoli spariranno come la nebbia. Fratellanza della Milizia con il popolo. Viva l'Italia, Guerra all'Austria! Viva Vittorio Emanuele Generale in capo dell'Armata Italiana". Deputato all'Assemblea dei Rappresentanti della Toscana, viene in seguito eletto alla Camera per sette legislature consecutive (dal 1860 al 1880) e ricopre la carica di segretario generale del Ministero dell'Interno durante i due ministeri Ricasoli del 1860‐61 e 1866‐67. Collaboratore de "La Nazione" dal 1860, ne diventa direttore a partire dal 1871 trasformandolo nel quotidiano di maggior successo di Firenze (tra i suoi collaboratori Edmondo De Amicis, Carlo Collodi e Yorick figlio di Yorick, alias Pietro Coccoluto Ferrigni). E' l'ideatore di rubriche di successo, come quella sulla moda femminile. Uomo della destra, in quegli anni scopre nella donna un nuovo tipo di lettore, tanto che nei giorni del referendum per l'annessione al Piemonte "La Nazione" ospita un dibattito sul voto femminile. A Firenze si rende protagonista di molte battaglie, tra cui quella per ottenere dal Governo nazionale una "legge speciale" per aiutare il Comune a ripianare la bancarotta creatasi per le molte spese sostenute negli anni in cui era capitale d'Italia. Studioso di Giambattista Vico, gli si devono anche alcune opere storiche come la "La geografia politica dell'Italia" (1843), "La Compagnia della Misericordia di Firenze. Cenni storici" (1855), "Federico Confalonieri e i carbonari del 21" (1863), "Manuale di Storia Moderna (1454‐1866)" (1869) e "Storia della questione romana" (1870) nonché volumi a carattere patriottico: "Ciro Menotti", "Venezia e i suoi difensori" (1863) e "I martiri d'Aspromonte" (1871). Tutta la sua opera èprotesa all'unificazione dell'Italia sotto la Casa Savoia. Muore a Firenze il 29 giugno 1885. Cesare Brandi (1906‐1988)

Nasce a Siena l'8 aprile 1906. Laureato in Lettere all'Università di Firenze nel 1928, dopo due anni riceve l'incarico di riordinare, catalogare e sistemare la collezione dei dipinti dell'Accademia di Belle Arti di Siena nella nuova sede di palazzo Buonsignori. Nel 1933, vinto il concorso per ispettore nei ruoli dell'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti, passa alla Sovrintendenza ai Monumenti di Bologna dove organizza un primo laboratorio di restauro e, nel 1935, la "Mostra della Pittura Riminese del Trecento". Nel 1936 assume funzioni ispettive presso la Direzione di Antichità e Belle Arti e successivamente viene nominato Provveditore agli Studi di Udine. Trasferito presso il Governatorato delle isole italiane dell'Egeo, nel 1938 viene richiamato a Roma su proposta di Giulio Carlo Argan. Nella capitale costituisce il Regio Istituto Centrale del Restauro (ne manterrà la direzione per un intero ventennio), un esempio di istituzione statale attenta al rapporto tra teoria del restauro, coscienza del fare conservazione e pratica del restauro con caratteri interdisciplinari ancor oggi imitati e studiati. Dopo il 1961 il suo impegno si orienta verso l'insegnamento della storia dell'arte, prima all'Università di Palermo e poi all'Università di Roma. Per anni fondista culturale del "Corriere della Sera", nel 1975 firma i testi della serie di documentari televisivi "A tu per tu con l'opera d'arte", realizzati in collaborazione con il regista Franco Simongini. Fondatore e collaboratore di numerose riviste specializzate, èautore di un numerosi volumi di storia dell'arte, cataloghi e raccolte, opere di critica sull'arte contemporanea elibri di viaggio. Muore a Vignano (Siena) il 19 gennaio 1988. Edmondo Sanjust di Teulada (1858‐1936)

Nasce a Cagliari il 21 febbraio 1858 dalla famiglia nobile dei baroni di Teulada. Figlio di Giovanni, capitano di fregata della Regia Marina e comandante del porto di Cagliari, conclude gli studi tecnici nella città di Genova e nel 1878 consegue la laurea in Ingegneria presso la Scuola di applicazione per ingegneri di Torino. Nel 1879 entra per concorso al Genio civile di Cagliari e vi presta servizio per ventiquattro anni fino a diventarne ispettore superiore. Tra le sue più importanti realizzazioni vanno ricordate la costruzione del ponte di ferro sul fiume Flumendosa, gli ampliamenti e i rifacimenti dei porti di Cagliari, Tortolì, Carloforte e Bosa e i lavori di bonifica di Sanluri. Consigliere comunale di Cagliari dal 1888 al 1905. Nel 1897 èsegretario della commissione per la compilazione della legge speciale per la Sardegna e nel 1902 viene incaricato dal presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli di redigere la relazione alla legge speciale per la Basilicata. Trasferito al Genio civile di Milano, nel 1904 dirige i lavori del Palazzo delle Poste e gli interventi idraulici sul fiume Po e sui canali presenti nel territorio. Su incarico del sindaco di Roma Ernesto Nathan, nel 1908 presenta il nuovo piano regolatore della capitale la cui approvazione consente l'allargamento della città oltre le Mura Aureliane. Il successo romano gli garantisce progetti analoghi per altre amministrazioni comunali (Albano, Udine, Salerno) e l'affidamento dello studio dei piani regolatori di Messina e Reggio Calabria, le due città colpite dal terribile terremoto del 1908. Rappresentante italiano nei congressi internazionali di navigazione a San Pietroburgo (1908) e a Philadelphia (1912), cura la sistemazione delle sedi diplomatiche italiane di Parigi, Vienna, San Pietroburgo, Bruxelles e Washington. Deputato al Parlamento (con i liberali poi con i popolari) dal 1909 al 1919, quando diventa sottosegretario del Ministero dei Trasporti marittimi e ferroviari del primo governo Nitti (1919‐1920). Nominato senatore del Regno nel 1923. Più volte delegato italiano al Congresso internazionale di navigazione, nel 1924 diventa presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Muore a Roma il 5 settembre 1936.

Ettore Troilo (1898‐1974)

Nasce a Torricella Peligna (Chieti) il 10 aprile 1898 in una famiglia di proprietari agrari di tradizioni conservatrici. Vicino agli ideali del socialismo interventista, nel 1916 parte volontario per la guerra dove, giovane ufficiale, si distinse meritando una Croce al merito. Nelle trincee alpine conosce Emilio Lussu, con il quale stringe una duratura amicizia. Nel 1923, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza all'Università di Roma, si trasferisce prima a Milano, dove frequenta lo studio di Filippo Turati, e poi di nuovo a Roma, dove lavora nella segreteria di Giacomo Matteotti fino al suo giorno del suo assassinio. Attivo nell'ambiente dell'antifascismo democratico, fin dalla sua fondazione entra a far parte del movimento clandestino Italia Libera. Nello stesso periodo collabora con Giovanni Amendola, Alberto Cianca e Mario Ferrara nella redazione de "Il Mondo". Dal 1926 si occupa dello studio professionale di Egidio Reale dopo che questi, condannato per le sue idee antifasciste, era stato costretto a rifugiarsi all'estero. Con la caduta del regime fascista partecipa in prima fila alla lotta partigiana: nel gennaio 1944 si pone al comando della Brigata Maiella che combatterà in Abruzzo, nelle Marche, in Romagna e in Emilia. Tornato alla vita civile, ricopre gli incarichi di ispettore generale del Ministero per l'Assistenza post‐bellica (fino al gennaio 1946), di prefetto di Milano (fino al dicembre 1947), di delegato del Governo italiano presso l'ONU (fino al gennaio 1948). Nel 1951 partecipa con Antonio Greppi e Leo Valiani alla costituzione del Partito di Unità socialista, destinato a vita breve come anche il Movimento di Autonomia socialista che promuove nel febbraio 1953 con Greppi, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei e altri. Chiamato nel 1951 a sottoporsi a visita medica collegiale per l'assegnazione della pensione di guerra, ritiene «un atto di doverosa onestà civica» rinunciarvi mentre migliaia di ex combattenti attendono ancora il riconoscimento delle loro effettive e concrete infermità e la conseguente assegnazione della relativa pensione. Tornato a esercitare la professione di avvocato, promuove diverse iniziative per far rivivere la memoria della Resistenza. Muore a Roma il 5 giugno 1974. Giacomo Malvano (1841‐1922)

Nasce a Torino il 15 dicembre 1841. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università di Torino nel 1861, l'anno successivo entra per concorso nel Ministero degli Affari esteri, percorrendo tutti i gradi della carriera interna. La profonda comprensione delle questioni internazionali e soprattutto la conoscenza perfetta dei meccanismi ministeriali e del personale lo rendono infatti uno dei personaggi più influenti del dicastero. Il 31 luglio 1879 arriva la nomina a direttore generale della nuova Direzione degli affari politici e degli uffici amministrativi, un incarico che lo porta ad affrontare diverse questioni importanti tra cui l'organizzazione della nuova colonia di Assab e la gestione della crisi italo‐francese per la questione di Tunisi. Nel 1885 ricopre contemporaneamente le cariche di direttore generale e di segretario generale, quest'ultimo incarico mantenuto solo per pochi mesi a causa della caduta del governo De Pretis. L'avvento di Francesco Crispi e il suo interim al Ministero degli Affari esteri segnano in effetti il periodo più difficile per la sua carriera (il nuovo capo gabinetto del ministro, Carlo Alberto Pisani Dossi, non tollera la sua presenza al Ministero considerandolo l'emblema di una politica estera moderata e tradizionalista in potenziale contrasto con le ambizioni imperialiste dell'Italia crispina). Il 29 marzo 1888 rifiuta la nomina, palesemente punitiva, ad ambasciatore a Tokyo e nell'agosto dell'anno successivo chiede di essere collocato a riposo. La caduta di Crispi lo richiama però il 10 febbraio 1891 alla guida del segretariato generale, incarico che mantiene per due anni fino a quando lo statista agrigentino non ritorna al Governo. L'allontanamento dal Ministero dura questa volta sino al 12 marzo 1896 quando, caduto per la seconda volta Crispi, ritorna segretario generale e viene quasi in coincidenza nominato senatore del Regno. In più di dieci anni di segretariato mantiene una linea costante di politica estera costante: tiene fede agli accordi con l'Austria e la Germania, affina i rapporti di amicizia con l'Inghilterra e cerca sempre il riavvicinamento alla Francia. Forte dell'esperienza maturata in più di quarant'anni di servizio, continua a collaborare con il Ministero anche dopo il suo definitivo collocamento a riposo, avvenuto l'8 settembre 1907. Il 20 giugno dello stesso anno viene nominato presidente della Sezione I del Consiglio di Stato, di cui diventa presidente il 16 febbraio 1913. Socio fondatore della Società geografica italiana, dal 1875 al 1909 èanche presidente della sezione romana del Club alpino italiano. Muore a Roma l'8 novembre 1922. Giorgio Agosti (1910‐1992)

Nasce a Torino il 17 ottobre 1910. Di famiglia borghese, si iscrive alla Facoltà di giurisprudenza del capoluogo piemontese, dove stringe una solida e duratura amicizia con Alessandro Galante Garrone e Dante Livio Bianco. Laureatosi nel 1931, entra in magistratura nel 1935. Nel 1942 è tra i fondatori del Partito d'Azione piemontese, divenendo membro del suo esecutivo. Il 28 aprile 1945, giorno della liberazione di Torino, viene nominato questore di Torino dal Comitato di liberazione nazionale. Lo stesso giorno, ritenendola incompatibile con la nuova carica, restituisce la tessera del partito. Agosti affronta con intelligente intraprendenza il nuovo incarico, mettendo anche a punto un piano di riorganizzazione democratica della polizia su cui, già durante la Resistenza, aveva preparato uno studio a partire da un esame comparato degli ordinamenti di altri Paesi ("Studi per l'organizzazione della polizia del nuovo Stato"). Durante il governo Parri svolge anche incarichi ispettivi presso diverse questure dell'Italia settentrionale. Ultimo rimasto tra i questori "politici" e sempre più a disagio per il mutare del clima politico (all'epoca è alle dirette dipendenze del ministro Scelba), decide di dimettersi dalla carica il 28 febbraio 1948. Nel marzo dello stesso anno viene insignito della Legion d'Onore dal governo francese per i suoi meriti nella Resistenza. Nel frattempo si va consolidando il rapporto di amicizia con Piero Calamandrei e la collaborazione con "Il Ponte", rivista da questi fondata nel 1945. Il 1˚ gennaio 1950 Agosti lascia la magistratura con il grado di consigliere onorario di Corte d'Appello per divenire di lì a poco segretario generale della Società idroelettrica Piemonte (SIP). Con la creazione dell'Enel, assume la carica di vicedirettore del compartimento Piemonte‐Liguria. Di questo periodo vanno ricordate le innovazioni, assai avanzate per i tempi, che apporta nell'azienda nel campo dell'assistenza sociale: vengono infatti istituiti il servizio sanitario che integra l'assistenza mutualistica, una scuola materna e una biblioteca per i lavoratori e gli impiegati. Nel corso degli anni successivi si impegna attivamente per far rivivere la memoria della Resistenza, promuovendo la nascita e favorendo lo sviluppo di diversi istituti di studio. La sua intensa e vivace passione civile viene premiata nel 1976 con il conferimento della cittadinanza onoraria da parte della città di Torino per l'azione svolta nella lotta di liberazione e a difesa dei valori della democrazia. Muore a Torino il 20 maggio 1992.

Felice Barnabei (1842‐1922)

Nasce a Castelli (Teramo) il 13 gennaio 1842. La sua prima giovinezza èsegnata dalla crisi economica che colpisce il padre Tito, produttore di maioliche artistiche nel piccolo centro abruzzese, un tempo rinomato ma in quegli anni in forte declino. Compiuto il primo biennio di studi secondari a Montorio al Vomano (1852‐54), prosegue gli studi secondari a Teramo (1854‐1860) presso il Collegio dei Barnabiti, sostenuto economicamente da un sussidio quadriennale di 36 ducati annui elargito dal governo borbonico. Il primissimo contatto con la Pubblica Amministrazione avviene nel 1860 attraverso la frequentazione dell'intendente di Teramo Pasquale Virgilii, un giornalista di origine chietina che, conquistato dai suoi modi gentili e dalle precise conoscenze in materia di arte ceramica, lo vuole nel suo gabinetto come segretario nel disbrigo degli affari dell'ufficio. A Teramo inizia a frequentare una sorta di circolo culturale che si riunisce nella farmacia di un notabile del luogo, Raffaele Quartapalle. Qui viene presentato al parlamentare abruzzese Leonardo Dorotea, incaricato dal governo di individuare due giovani della provincia di Teramo meritevoli di recarsi a Firenze per visitare l'Esposizione nazionale artistico‐industriale del 1861. Ottenuto il premio, resta per diversi mesi nel capoluogo toscano dove segue i corsi dell'Accademia di Belle arti e dell'Istituto di studi superiori. Vince il concorso per entrare alla Scuola normale superiore di Pisa e, all'indomani di un soggiorno londinese nel quale incontra Giuseppe Mazzini, inizia nel settembre 1862 a frequentarne il corso di Lettere. Dal 1865 insegna Lettere greche e latine a Napoli come professore di terza classe, stringendo con Giuseppe Fiorelli un sodalizio umano che si rivela determinante per la sua ascesa professionale. Proprio grazie a lui viene assunto nel 1875 presso Direzione generale dei musei e degli scavi, appena istituita dal ministro Ruggiero Bonghi. Con il trasferimento a Roma la sua esperienza scientifica in campo archeologico si consolida e nel 1880 viene coronata dall'incarico di redigere le "Notizie sulle scoperte di antichità", pubblicate dall'Accademia dei Lincei. La sua carriera amministrativa progredisce inoltre attraverso le nomine a ispettore nei musei (22 agosto 1880), direttore di terza classe dei musei scavi e gallerie (15 giugno 1882) e ispettore centrale addetto alla direzione generale per le antichità (giugno 1885). Prima all'ombra di Fiorelli e poi in prima persona, contribuisce in maniera decisiva alla rifondazione teorica e pratica dei principi della tutela pubblica delle antichità e delle opere d'arte nonché alla progettazione e attuazione di servizi efficienti in tal senso. In particolare, si rende interprete di una concezione nuova (e da molti avversata) che individua il valore degli oggetti del passato nella loro intrinseca natura di documenti storici e non solo per il loro pregio artistico: da qui una diversa configurazione di musei e gallerie, non più allestiti secondo criteri puramente formali e di pertinenza estetica ma conformati anche come veri e propri archivi del passato. Nel febbraio 1889 viene incaricato di curare l'ordinamento del Museo nazionale romano. Direttore generale per le Antichità e Belle arti dal 1895 al 1900, quando chiede di essere collocato a riposo per motivi di salute. Meno esposto, ma per nulla intenzionato ad abdicare alle convinzioni che ne avevano informato l'attività di pubblico amministratore, accede quell'anno alla Camera dei deputati (nell'ambito della quota ristretta nella quale potevano essere eletti gli impiegati dello Stato) prima nel collegio di Teramo, poi in quello di Atri. Dalla nuova posizione partecipa al dibattito sulla prima legge per la conservazione dei monumenti e degli oggetti di antichità e di arte (Legge 12 giugno 1902 n. 185). Si tratta di un testo ancora fortemente imperfetto che riconosce allo Stato, a presidio delle ragioni della tutela, un diritto di prelazione nell'acquisto dei beni. Consolidato in quegli anni il suo prestigio personale, riesce a ottenere nel 1907 la nomina al Consiglio di Stato (che lascerà dieci anni dopo con il grado di presidente onorario di sezione). Nel 1917 viene nominato presidente del Consiglio superiore delle Antichità e Belle Arti. Contribuisce alla fondazione del periodico "Notizie degli scavi di antichità", la cui pubblicazione viene affidata all‘Accademia dei Lincei. Muore a Roma il 29 ottobre 1922. Amedeo Guillet (1909‐2010)

Nasce a Piacenza il 7 febbraio 1909 da una famiglia di nobili piemontesi e capuani strettamente legata a casa Savoia. Dopo aver frequentato l'Accademia Militare di Modena, nel 1931 viene assegnato al reggimento "Cavalleggeri di Monferrato" come sottotenente di Cavalleria del Regio Esercito Italiano nel 1931. Tra i primi ufficiali ad applicare il metodo di equitazione naturale del capitano Federico Caprilli, fa parte della squadra italiana di equitazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936 ma la campagna d'Abissinia gli impedisce tuttavia di partecipare alle gare. Viene infatti trasferito dapprima in Libia presso un reparto di cavalleria coloniale, quindi nell'ottobre 1935 prende parte come comandante di plotone all'inizio della guerra in Etiopia. Al termine della guerra, il 5 maggio 1936 viene decorato a Tripoli da Italo Balbo per il coraggio dimostrato in combattimento. Nel marzo 1937 organizza a Tripoli la parte equestre della cerimonia in cui Mussolini si proclama "difensore dell'Islam". Nell'agosto dello stesso anno parte per la guerra civile spagnola, segnalandosi nel combattimento di Santander e nella battaglia di Teruel (prima al comando di un reparto carri della divisione "Fiamme Nere" e poi alla testa di un tabor di cavalleria marocchina). Dopo un breve periodo di convalescenza in Italia, viene trasferito in Libia al comando del VII squadrone Savari ma non ottiene la promozione a capitano che le autorità militari gli avevano promesso. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale viene inviato in Eritrea e nominato comandante del Gruppo Bande Amhara, primo esempio di unità militare multinazionale inquadrata da ufficiali italiani e composta da 1700 uomini di origine etiope, eritrea e yemenita. Nel 1939, durante un combattimento nella regione di Dougur Dubà, dà prova di un tale eroismo da essere insignito di una medaglia d'argento al valor militare. I suoi soldati indigeni lo soprannominano "Comandante Diavolo", convinti che sia praticamente immortale. La sua fama si diffonde presto in tutto il Corno d'Africa così come la notizia del suo stile di comandante 'democratico' che riconosce ai soldati indigeni pari dignità e rispetto, dando loro massima responsabilità così come la possibilità di mantenere e curare i rispettivi usi e costumi. Sta di fatto che nella sua unità non si verifica mai un caso di diserzione né di contrasto tra i soldati indigeni, nonostante la loro appartenenza a differenti etnie e fedi religiose. Anche nei confronti dei nemici catturati e delle popolazioni locali il suo comportamento èsempre rispettoso e leale. In successivi combattimenti con gli inglesi arriva addirittura a sfidare i carri armati con le truppe a cavallo, ricorrendo ad azioni che molti ritengono quasi folli. In realtà comprende come l'unico modo per aiutare i commilitoni italiani che operano sul fronte nord‐africano sia quello di tenere impegnati in Eritrea il maggior numero di truppe inglesi. Quando Roma ordina la resa, si spoglia dell'uniforme italiana eassume l'identità di Cummandar es Sciaitan (Comandante Diavolo, appunto): radunata una banda di fedelissimi ex‐soldati indigeni inizia così una sua personale guerriglia contro gli inglesi. Dopo quasi otto mesi di azioni temerarie scioglie la banda e si dà alla macchia, assumendo la falsa identità di Ahmed Abdallah al Redai, lavoratore di origini yemenite. Diventa così un autentico arabo: perfetta conoscenza della lingua, studio del Corano e perfino una conversione (di pura convenienza) alla religione musulmana. Dopo una serie di avventure a dir poco romanzesche, riesce a tornare a Roma il 3 settembre 1943. Promosso maggiore per meriti di guerra, viene assegnato al Servizio Informazioni Militari. All'indomani dell'armistizio dell'8 settembre decide di attraversare le linee mettersi a disposizione della monarchia rifugiatasi a Brindisi. Continua a operare nel Servizio Informazioni del nuovo Esercito Italiano e svolge numerose missioni segrete anche nel primo dopoguerra, recuperando fra l'altro la corona imperiale del Negus d'Etiopia (la cui restituzione segna il primo momento di riappacificazione tra Italia ed Etiopia). Abbandonata la carriera militare e laureatosi in Scienze Politiche, nel 1947 vince il concorso pubblico per la carriera diplomatica e per correttezza rifiuta qualsiasi trattamento di favore. Dopo essere stato segretario di legazione all'ambasciata italiana del Cairo (1950) e incaricato d'affari nello Yemen (1954) viene nominato ambasciatore in Giordania (1962), in Marocco (1964) e in India (1971). Quattro anni dopo viene collocato a riposo per limiti d'età. Il 2 novembre 2000 viene insignito della Gran Croce dell'Ordine Militare d'Italia dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Muore a Roma il 16 giugno 2010. Giovanni Battista Cavalcaselle (1819‐1897)

Nasce a Legnago il 22 gennaio 1819. Studia all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Patriota ed è esule antiaustriaco in Inghilterra. In gioventù compie numerosi viaggi in Italia e all'estero per approfondire la conoscenza della pittura italiana e fiamminga. Nel 1847 conosce a Monaco Joseph Archer Crowe e con lui pubblica "The Early Flemish Painters" (1857), seguito nel 1864 da "A New History of Painting in Italy". Nel 1861, insieme a Giovanni Morelli, riceve dal Ministero della Pubblica istruzione l'incarico di redigere un catalogo delle opere d'arte di proprietà ecclesiastica nell'Umbria e nelle Marche: uno dei grandi censimenti del patrimonio artistico nazionale promossi subito dopo l'Unità. Nominato nel 1867 ispettore generale del Museo nazionale del Bargello, dal 1875 fino al 1893 ricopre il ruolo di ispettore centrale presso la nuova Direzione Centrale degli Scavi e dei Musei del Regno (nel 1881 denominata Direzione Generale per le Antichità e Belle Arti). Autore di numerosi testi di storia dell'arte e di varie pubblicazioni in difesa del patrimonio artistico italiano. Muore a Roma il 31 ottobre 1897.

Giacomo Agnesa (1860‐1919)

Nasce a Sassari il 1 novembre 1860. Figlio di un avvocato di provincia attivo nella vita politica cittadina, nel novembre 1884 si laurea in Giurisprudenza all'Università di Roma. Tre anni dopo viene ammesso come volontario nella carriera consolare e destinato al Cairo in qualità di applicato volontario. L'anno successivo viene nominato vicesegretario di seconda classe e trasferito nella capitale. Promosso segretario di terza classe, viene trasferito alla divisione Affari politici e nel 1895, dopo l'istituzione dell'ufficio "Eritrea e protettorati", inizia a lavorare al primo organo centrale addetto alla trattazione delle questioni coloniali. Diventa uno dei più attivi collaboratori di Ferdinando Martini, il commissario civile della prima colonia italiana (l'Eritrea), che lo considera «un funzionario di larga esperienza di cose africane». Insignito di varie onorificenze, lavora con dedizione all'assestamento dell'ufficio, trattando problemi di carattere amministrativo e organizzativo legati all'espansione coloniale italiana. Nel 1900 viene così nominato ufficiale coloniale di prima classe e capo dell'ufficio coloniale, che in quegli anni si occupa in particolare della delimitazione dei confini tra Etiopia, Eritrea e Sudan così come dell'assetto amministrativo del Benadir. Nel 1905 diventa consigliere della Società geografica italiana (carica che manterrà sino alla morte). Aderisce poco dopo all'appena costituito Istituto coloniale italiano e nel 1907 viene nominato membro della Commissione per la riforma dell'ordinamento dei consolati all'estero, della legge e tariffa consolare, della Commissione per il riordinamento delle scuole italiane all'estero nonché del Consiglio di vigilanza della Scuola di studi commerciali in Roma. Tra il 1908 e il 1911 la direzione degli affari coloniali continua sotto la sua guida a lavorare per l'assetto definitivo dei possedimenti coloniali italiani, sino all'istituzione dell'ufficio Studi coloniali. Divenuto nel 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, si trasferisce nell'appena costituito Ministero delle Colonie, dove si impegna a fondo nella questione concernente le modalità di selezione e reclutamento del personale da inviare nelle colonie (in particolare in Libia). Presidente del consiglio di amministrazione dell'Istituto orientale di Napoli, nel 1914 diventa il primo direttore generale degli Affari politici del Ministero delle Colonie. Tra i suoi ulteriori incarichi vanno ricordate le nomine a membro della Commissione reale per il regime monetario nelle colonie, della Commissione incaricata di esaminare lo schema di statuto organico per l'Università israelitica di Tripoli e della Commissione per lo studio delle modifiche da introdurre nell'ordinamento didattico e amministrativo del Regio Istituto orientale di Napoli. Nei suoi ultimi anni partecipa anche all'importante Commissione Reale per il dopoguerra (partecipando ai lavori della sezione VII, "Questioni coloniali") che all'indomani della Prima guerra mondiale denuncia la generale carenza di istruzione specifica del personale amministrativo delle Colonie. Muore a Roma l'8 maggio 1919. Giovanni Montemartini (1867‐1913)

Nasce a Montù Beccaria (Pavia) il 19 febbraio 1867. Si laurea in Giurisprudenza all'Università di Pavia, la stessa in cui anni dopo insegnerà Economia politica. Svolge un'intensa attività pubblicistica e scientifica collaborando a "Critica sociale" e a"Nuova antologia" nonché svolgendo le funzioni di caporedattore del "Giornale degli economisti". Eletto consigliere della Società Umanitaria di Milano nel 1901, assume la presidenza della sezione interessata agli Uffici del lavoro e matura una notevole conoscenza del funzionamento del mercato del lavoro. Trasferito a Roma l'anno seguente, diventa direttore generale del Ministero dell'Agricoltura, dell'Industria e del Commercio e ottiene l'incarico di direttore del neocostituito Ufficio governativo del Lavoro (embrione del futuro Ministero del Lavoro), che manterrà fino alla morte. Sotto la sua guida, questo Ufficio diventa un centro di studi nel quale si affrontano i problemi dell'occupazione, proponendo il collocamento e l'assicurazione volontaria integrata contro la disoccupazione ed elaborando gli schemi della futura legislazione sociale. Nel 1907 viene eletto consigliere comunale di Roma, diventando assessore ai servizi tecnologici nella giunta retta dal sindaco Ernesto Nathan (1907‐1912). In questa veste sostiene la necessità dell'intervento municipale nei settori (ad esempio elettricità, acqua e trasporti urbani) in cui i concessionari privati non sono in grado di soddisfare le aspettative dei consumatori. Pubblicato nel 1902, il suo volume "La Municipalizzazione dei pubblici servigi" aveva d'altra parte contribuito a creare un clima favorevole all'approvazione della legge Giolitti sulle municipalizzazioni. Quest'ultima prevedeva tra l'altro che per procedere alla municipalizzazione di un servizio in concessione occorra il pagamento da parte del Comune di un indennizzo pari al valore dell'impianto e al lucro cessante, calcolato sulla media dei profitti dichiarati nei cinque anni precedenti e commisurato al numero di anni in cui la concessione sarebbe rimasta in vigore. Per evitare le pesanti conseguenze di questa norma sulle finanze comunali cittadine, propone a Roma la creazione di aziende municipali che si pongano in concorrenza con le società private, in modo da costringere queste ultime a desistere da comportamenti monopolistici. Dopo aver preso parte alla fondazione dell'Istituto Internazionale di Agricoltura (antenato della FAO), dal 1911 assume la responsabilità di direttore generale dell'appena costituito Ufficio di Statistica (embrione dell'ISTAT). Colpito da malore durante una riunione del Consiglio comunale, muore prematuramente a Roma il 7 luglio 1913. Giulio Natta (1903‐1979)

Nasce a Porto Maurizio (Imperia) il 26 febbraio 1903. Dopo essersi dedicato ad attività di ricerca nel campo della chimica e aver installato presso la sua abitazione a Milano un piccolo laboratorio di ricerca, nel 1924 si laurea in Ingegneria chimica al Politecnico di Milano. Scienziato con una profonda preparazione teorica e tecnico attento alle applicazioni pratiche, sin dal 1926 si dedica allo studio della sintesi del metanolo, affinando le sue conoscenze sulla catalisi. Nel 1933 vince il concorso per la cattedra di Chimica Generale all'Università di Pavia, quindi viene nominato direttore dell'Istituto di Chimica generale. Nel 1935 ètitolare della cattedra di Chimica fisica all'Università "La Sapienza" di Roma. Nel 1938 sostituisce Mario Giacomo Levi alla direzione dell'Istituto di Chimica industriale del Politecnico di Milano (incarico che manterrà fino al 1973), poiché questi èstato epurato a causa delle leggi razziali. Dedicandosi in maniera sempre più rilevante alla ricerca sui polimeri a struttura cristallina, studia i solidi per mezzo dei raggi X e della diffrazione elettronica così come i catalizzatori e la struttura di alcuni polimeri. In quel periodo comincia ad applicarsi sulla produzione di gomma sintetica in Italia e prende parte alla ricerca sul butadiene e sulla polimerizzazione delle olefine, sul metanolo, sulla formaldeide e sulla catalisi e l'oxosintesi. Il valore strategico delle sue ricerche non viene però compreso appieno. Gli anni della guerra lo costringono a vivere da sfollato, per un certo periodo, alla Cascina Marzorata di Vittuone. Alla fine del conflitto mondiale riprende gli studi e nel 1953, grazie a un adeguato finanziamento da parte dell'industria chimica Montecatini, estende la ricerca condotta da Karl Ziegler sul polietilene fino ad arrivare alla messa a punto di catalizzatori stereospecifici per la polimerizzazione stereochimica selettiva delle alfa‐olefine, consentendo così la realizzazione di un materiale termoplastico, il polipropilene isotattico, che nel 1957 sarà prodotto dalla Montecatini su scala industriale nel proprio stabilimento di Ferrara. Alcuni dei polimeri sono commercializzati dalla stessa industria con il nome di Moplen (articoli in plastica) e Meraklon (fibra tessile). Nel 1963 riceve il premio Nobel per la chimica. Non meno importanti sono le sue successive ricerche, che portano alla realizzazione di gomme sintetiche e di altri materiali plastici. Nel corso della sua carriera viene insignito di numerosissime onorificenze scientifiche nazionali e internazionali. Tra queste ultime spiccano la nomina a membro avita onorario dell'Accademia delle Scienze di New York e della Chemical Society di Londra nonché quelle a membro estero associato dell'Académie des Sciences dell'Institut de France e a membro aggiunto dell'Accademia Internazionale di Astronautica di Parigi. Il 27 dicembre 1965 viene nominato Cavaliere di Gran Croce Ordine al merito della Repubblica Italiana. Muore a Bergamo il 2 maggio 1979.

Giuseppe Fiorelli (1823‐1896)

Nasce a Napoli l'8 giugno 1823. Laureatosi in giurisprudenza, si dedica nel frattempo alla numismatica segnalandosi per alcuni pregevoli studi che gli fruttano prima la nomina a corrispondente di varie Accademie e Società archeologiche e poi, appena ventunenne, quella a ispettore addetto alla Soprintendenza generale degli Scavi di antichità di Napoli. Vicepresidente della sezione di archeologia all'VIII Congresso degli scienziati di Genova. Nominato ispettore dei Regi Scavi di Pompei, viene incarcerato dopo i moti del 1848. Nel 1853 Leopoldo di Borbone, conte di Siracusa e fratello del re, lo impiega prima come consulente e poi come segretario personale. Viene reintegrato il 20 dicembre 1860 presso il Museo nazionale e gli Scavi di Napoli, di cui tre anni dopo diventa direttore. Dal 1861 èpreside della Facoltà di Lettere, consigliere comunale, membro e segretario della Regia Accademia di archeologia lettere e belle arti (incarico mantenuto, con brevi interruzioni, fino al 1888). Nominato senatore del Regno l'8 ottobre 1865. Dal 1866 èpresidente della Commissione consultiva di belle arti di Napoli, membro della Consulta per le belle arti del Regno e presidente della Commissione per la preparazione di una legge sulla conservazione degli oggetti d'arte e di antichità. Dopo aver realizzato diverse opere dedicate all'archeologia (in particolare sugli scavi di Pompei), il 6 maggio 1875 assume la guida della neo istituita Direzione centrale degli Scavi e dei musei del Regno. Dopo aver iniziato la pubblicazione nel 1876 delle "Notizie degli Scavi", nel 1881 Fiorelli ‐ già membro dell'Accademia dei Lincei ‐ vede aumentare l'area della sua competenza con la trasformazione della sua direzione nella Direzione generale alle Antichità e Belle Arti. Dopo un'intensa attività ministeriale si dimette nel giugno 1891. Ritiratosi a Napoli, vi muore il 29 gennaio 1896. Licisco Magagnato (1921‐1987)

Nasce a Vicenza l'8 giugno 1921. A soli diciannove anni entra a far parte dell'antifascismo vicentino e nel 1942 aderisce al Partito d'Azione, divenendo l'anno successivo il leader della locale resistenza azionista. Laureatosi nel 1945 a pieni voti in Lettere e Filosofia con una tesi in storia dell'arte, inizia immediatamente la sua attività di operatore museale e ricercatore, vincendo nel 1951 il concorso a direttore del Museo Civico di Bassano del Grappa. Storico dell'arte di prima grandezza, tra i fondatori dell'Associazione Nazionale dei Musei di Enti Locali e Istituzionali (ANMIL) e impegnato in prima linea nella difesa del patrimonio artistico e storico del nostro Paese, Magagnato si pone al centro di una vasta rete di contatti fra studiosi, università, istituzioni italiane ed estere. Va considerato come uno dei principali ispiratori della creazione del Ministero per i Beni Culturali, fondato da Giovanni Spadolini. Direttore dei Musei e Gallerie del Comune di Verona dal 1955 fino al giorno della sua morte. Tra i suoi meriti vi è quello di aver valorizzato il genio creativo di Carlo Scarpa, al quale affida la progettazione del restauro e del rinnovamento espositivo del Museo di Castelvecchio in Verona. Fondatore di altri musei nella città scaligera, conduce una lunga battaglia in favore della tutela nazionale del patrimonio storico e artistico, contro lo spezzettamento regionalistico propugnato allora da vari esponenti del mondo intellettuale. Nel 1987 viene nominato primo presidente dell'Istituto Veronese per la storia della Resistenza. Morto prematuramente l'11 aprile dello stesso anno, viene sepolto nel Famedio del cimitero di Vicenza. Livia Pirocchi (1909‐1985)

Nasce a Milano il 15 settembre 1909. Si laurea a 23 anni in Scienze naturali all'Università di Milano sotto Rina Monti (la prima donna cattedratica del Regno d'Italia), specializzandosi in limnologia ovvero lo studio degli organismi che vivono nelle acque dolci e del loro ambiente naturale (corsi d'acqua e soprattutto laghi). Collabora all'organizzazione dell'Istituto italiano di Idrobiologia "Marco De Marchi", che viene aperto ufficialmente nel 1938 a Pallanza, sulle rive del Lago Maggiore. Ne assume la guida nel 1942, quando il direttore Edgardo Baldi deve partire per il servizio militare. Negli anni della guerra l'Istituto offre riparo a numerosi giovani studiosi italiani (garantendo anche un'ottima copertura alle loro attività a favore della Resistenza): tra questi Adriano Buzzati Traverso, Giuseppe Ramazzotti, Luigi Luca Cavalli Sforza e Vittorio Tonolli. Quest'ultimo èun medico milanese scappato dal plotone di esecuzione per aver attivato in casa sua un radiotrasmettitore per le truppe alleate. Nel dopoguerra la sposa e diviene a sua volta direttore dell'Istituto. Il breve periodo di semiclandestinità ha dato vita a un reticolo di amicizie, parentele, comuni interessi scientifici e contatti internazionali che vanno a tutto vantaggio dell'Istituto di limnologia, che proprio grazie alle doti organizzative di Livia si trasforma in un vero e proprio punto di riferimento scientifico per idrobiologi di tutto il mondo. In quegli anni la coppia lavora in una sorta di simbiosi, occupandosi anche delle conseguenze dell'industrializzazione sull'ambiente naturale (ad esempio attraverso l'analisi della polluzione cupro‐ammoniacale del lago d'Orta), delle condizioni trofiche e dell'eutrofizzazione dei laghi, sino a formulare proposte per la protezione delle acque dagli inquinamenti. Quando Tonolli muore nel 1967, è quindi lei ad assumere a tutti gli effetti la direzione dell'Istituto, che nel 1977 viene finalmente incorporato nel Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Membro di numerose società scientifiche legate all'ecologia, all'oceanografia e ovviamente alla limnologia, entra a far parte dei comitati editoriali di numerose riviste specializzate. Dopo un'intensa attività scientifica e promozionale in campo ecologista, muore a Suna (frazione del Comune di Verbania) il 15 dicembre 1985.

Maria (Marussia) Bakunin (1873‐1960)

Nasce a Krasnojarsk (Siberia) il 2 febbraio del 1873, terza figlia del principe anarchico Michail Bakunin e di Antossia Kwiatowoska. Alla morte del padre (1876), viene accolta con la sua famiglia a Napoli dall'avvocato socialista Carlo Gambuzzi. Il matrimonio della madre con quest'ultimo le permette una vita agiata e la frequentazione delle migliori scuole partenopee. Laureatasi nel 1895 in Chimica pura all'Università di Napoli, per dieci anni si dedica all'insegnamento della chimica nel corso pareggiato di magistero superiore di Napoli. Dopo regolare concorso, alla fine del 1906 viene nominata libero docente di Chimica generale. In occasione della prova di Stato dimostra di condurre la lezione "con piena conoscenza dell'argomento" (i composti del cianogeno) e "con chiarezza di esposizione". Nello stesso anno entra a far parte di un gruppo di ricerca incaricato dal Ministero della Pubblica Istruzione di effettuare una mappa geologica nazionale. E quando poco dopo si verifica l'eruzione del Vesuvio, insieme ad altri avventurosi (fra questi suo marito e la scrittrice Matilde Serao) assiste da vicino all'evento, sfidando temerariamente l'imprevedibilità del vulcano. Nel corso del biennio 1909‐1910 insegna Chimica applicata presso il Politecnico di Napoli e approfondisce gli studi sugli scisti bituminosi, rocce metamorfiche intrise di bitume originatesi dopo grandi catastrofi naturali. Le sue ricerche si concentrano sui giacimenti presenti nel Tirolo e nei monti Picentini (in particolare nel territorio circostante il Comune di Giffoni), da cui èpossibile estrarre il petrolio. Gli alti costi necessari per questa operazione la convincono però a concentrarsi su un'altra loro caratteristica importante: intuisce infatti come da esse si possa estrarre l'olio di ittiolo, una sostanza molto simile allo zolfo presente nelle pomate e particolarmente adatta a lenire le bruciature e le malattie della pelle. Nel 1912 diventa titolare della cattedra di Chimica tecnologica organica presso la Scuola superiore d'ingegneria di Napoli. Due anni dopo il ministro dell'Agricoltura, dell'Industria e del Commercio Francesco Saverio Nitti la incarica di recarsi in Svizzera e in Belgio per studiare le metodologie dell'insegnamento scientifico praticate in quei Paesi. Nella sua relazione conclusiva invita lo Stato a investire maggiori risorse a favore dei laboratori di ricerca, anche grazie a una politica fiscale più severa: in questo modo gli insegnanti sarebbero finalmente costretti ad avere un approccio meno cattedratico all'insegnamento delle materie scientifiche. Nel 1919 è vice presidente della Sezione Chimica di Napoli e nel 1926 partecipa al secondo congresso di Chimica pura e applicata tenutosi a Palermo, presentando un apprezzato contributo sugli scisti reperiti in Sicilia. Nel 1935 si reca in Russia per le celebrazioni del centenario del chimico russo Dimitri Mendeleev e l'anno successivo viene nominata professoressa di Chimica industriale. Nel 1940 diventa titolare della cattedra di Chimica tecnologica organica presso l'Istituto di Chimica della Facoltà di Scienze dell'Università di Napoli. Rimasta vedova fin dal 1925, si dedica esclusivamente all'attività di ricerca e didattica in un mondo accademico dominato dai maschi. Sintetica durante le lezioni e per nulla indulgente con i suoi allievi, trascorre la maggior parte della sua vita all'interno dei laboratori di ricerca, facendosi rispettare grazie alla sua indiscussa preparazione e bravura. Durante le rappresaglie tedesche del 1943 difende con tutte le sue forze le biblioteche universitarie e rifugia presso di sé perseguitati politici e militari alleati (tra questi il generale Hume e il colonnello Gayre of Gayre). Nel 1944 Benedetto Croce la nomina presidente dell'Accademia Pontoniana. Il 24 giugno 1948 viene collocata a riposo per limiti d'età e il 19 febbraio dell'anno seguente le viene conferito il titolo di "professore emerito". Muore a Napoli il 17 aprile 1960. Adelaide Coari (1881‐1966)

Nasce a Milano il 4 novembre 1881 in una famiglia borghese di estrazione cattolica. Conseguito il diploma magistrale, nel 1901 inizia a insegnare nelle scuole elementari rurali della provincia milanese. Si distingue presto come un particolare tipo di femminista, di formazione cattolica ma istruita nella scuola pubblica, poco incline al modello di donna "angelo del focolare" e più interessata a migliorare le condizioni delle donne al lavoro (dalle contadine alle operaie delle filande), soggette a orari massacranti e a salari miserandi, in condizioni igieniche inadeguate. Non a caso inizia a collaborare con il mensile "L'Azione muliebre", primo organo di stampa del nascente femminismo cattolico milanese che si apre alle questioni sindacali e che giunge a rivaleggiare con la componente socialista. Vicina alle posizioni di don Romolo Murri, partecipa alla fondazione del "Comitato italiano per la protezione della giovane" e del "Fascio democratico cristiano femminile", creati entrambi nel 1902. Dopo essere uscita da "L'Azione muliebre" in seguito a contrasti con la direzione, nel dicembre 1904 fonda la rivista femminile "Pensiero e azione", rivolta soprattutto all'educazione e all'organizzazione delle operaie nonché sostenitrice convinta del voto alle donne. Nel giugno 1909 le accuse di 'modernismo' portano alla chiusura di "Pensiero e Azione", obbligando le sue collaboratrici a confluire nell'Unione Donne, un'organizzazione decisamente più moderata ma in sintonia con il Vaticano, che nel frattempo ha mutato posizione sotto l'impulso del pontificato conservatore di Pio X. Non le resta quindi che tornare all'insegnamento, elaborando un suo peculiare metodo pedagogico in contrasto con quello di Maria Montessori. Il suo è una sorta di insegnamento 'senza metodo', senza un programma stabilito: le lezioni devono partire dalle esperienze del bambino mentre l'educatore ètale soprattutto per ispirazione divina e il suo compito principale è quello di essere una guida di anime, una sorta di 'pedagogo integrale'. Alla fine del 1916 viene nominata ispettrice nelle scuole elementari di Milano. Dal 1917 si adopera anche per la Biblioteca circolante dei maestri e prepara il Gruppo d'azione per le scuole del popolo, dotato di un periodico omonimo di collegamento e informazione per i maestri cattolici. Nello stesso periodo si avvicina a don Orione, altra nobile figura del cattolicesimo sociale. Nel 1919 ètra i primi associati al Partito Popolare di don Sturzo ma questo non le impedisce di lavorare per le istituzioni anche quando cambia il sistema politico, avendo come principale obiettivo il miglioramento della condizione femminile e il progresso del mondo della scuola. Tra il 1926 e il 1934 svolge così accurate ispezioni nelle settecento scuole rurali lombarde (con particolare attenzione all'edilizia scolastica) e realizza il "Cenacolo" di Lentate, un corso di didattica per le maestre rurali che il regime fascista decide però di chiudere nel 1934. Per poter continuare il proprio lavoro accetta allora di iscriversi al Partito Nazionale Fascista, una scelta peraltro ormai obbligata per tutti i pubblici dipendenti. All'indomani del suo pensionamento (1939) fonda un istituto secolare femminile e collabora attivamente all'Opera dei figli di don Orione. Nel frattempo riordina i suoi appunti, che nel 1962 vengono pubblicati con il titolo "Ho cercato la mia scuola. Spirito e tecnica". Muore a Rovegno (Genova) il 16 febbraio 1966. Ruggiero Bonghi (1826‐1895)

Nasce a Napoli il 21 marzo 1826 dall'avvocato Luigi e da Carolina de Curtis. A vent'anni inizia a pubblicare testi di filosofia (in particolare sul platonismo) e nel biennio 1846‐48 si impegna insieme ad altri giovani intellettuali in una campagna di petizioni, pubblicazioni, istruzioni e delegazioni provenienti dai settori progressisti della borghesia partenopea per attirare il Regno borbonico in un vasto processo federalista, sulla base delle speranze provocate dai primi anni di regno di papa Pio IX. Perseguitato per le sue idee liberali, all'inizio del 1848 scrive a Napoli una petizione ‐ sottoscritta da molti patrioti ‐ per invitare Ferdinando II di Borbone a concedere la Costituzione. Segretario della delegazione inviata dal primo ministro Carlo Troja per trattare nelle principali capitali italiane la realizzazione di una Lega italiana, dopo il fallimento della missione rimane comunque a Roma fino all'agosto del 1848, incontrando Vincenzo Gioberti e collaborando al periodico liberale "Contemporaneo". Trasferitosi a Firenze, frequenta il gabinetto Vieusseux e conosce Silvio Spaventa ma presto viene raggiunto dagli strali del governo borbonico, che nel 1850 ottiene il suo allontanamento dalla Toscana. Trova definitiva sistemazione in Piemonte, dal quale si allontana tra il 1851 e il 1852 per un viaggio a Parigi e successivamente a Londra. Tornato in Piemonte, soggiorna a tra Torino e Stresa, ospite di famiglie nobili e liberali, frequentando Antonio Rosmini e Alessandro Manzoni. Convertitosi nel frattempo all'ideale unitario (che a suo avviso non deve andar disgiunto, nella sua pratica attuazione, da un grande afflato morale e religioso), aderisce alla Destra storica, nella quale però mantiene una notevole indipendenza di giudizio. Docente di Logica all'Università di Pavia, il 25 marzo 1860 viene eletto deputato al Parlamento subalpino. Vicesindaco di Napoli dopo l'arrivo di Garibaldi, è rieletto deputato nella prima Camera del Regno unitario e trascorre i successivi dieci anni alternando gli impegni parlamentari con quelli universitari. Dopo essere stato nominato il 15 ottobre 1865 membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, nel 1866 assume a Milano la direzione della "Perseveranza" e collabora a diverse altre riviste, tra cui "Il Politecnico" e "La Nuova Antologia". Ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo governo della Destra Storica (fine 1874 ‐ marzo 1876), aggiorna i programmi e gli esami della scuola media e tenta di elevare la condi‐zione dei maestri elementari, istituendo per i loro orfani il collegio "Principe di Napoli" ad Assisi. Gli si devono fra l'altro l'istituzione del Bollettino Ufficiale della Pubblica Istruzione, il riordino dell'Accademia dei Lincei, la creazione della Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele" e l'istituzione della Direzione Generale degli scavi e dei musei. Nel marzo 1876 torna temporaneamente all'inse‐gnamento e viene nominato membro straordinario del Consiglio su‐periore della Pubblica Istruzione. Rieletto più volte alla Camera e abbandonato ormai l'insegnamento, diventa membro di numerosi istituti culturali. Presidente (dal 1884) dell'Associazione della Stampa e (dal 1889) della Società Dante Alighieri, èsocio dell'Accademia Reale di Torino, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, dell'Istituto veneto, dell'Accademia Reale di Palermo, dell'Accademia della Crusca e della Società di Storia patria. Membro del Consiglio di Stato dal 1891 (dal quale Giovanni Giolitti cerca inutilmente di espellerlo perché reo di averlo duramente attaccato in Parlamento e sulla stampa), l'anno successivo viene eletto presidente della Reale Accademia musicale di Santa Cecilia. Muore a Torre del Greco (Napoli) il 22 ottobre del 1895.

Tommaso Arabia (1831‐1896)

Nasce a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia) il 6 dicembre 1831. Trasferitosi a Napoli all'età di quindici anni al seguito del fratello maggiore Francesco Saverio (futuro magistrato e senatore del Regno nel 1892), viene da questi introdotto nei circoli letterari della città, dove conosce e diventa allievo di Francesco De Sanctis. Nel 1852 si laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Frequenta i circoli liberali studenteschi e nel 1856 attira i sospetti della polizia borbonica per l'aiuto fornito a due suoi conoscenti compromessi con Agesilao Milano nell'attentato al re delle Due Sicilie Ferdinando II. In quello stesso anno fonda con il fratello lo "Spettatore napoletano" e nel 1859‐1860 diventa direttore de "L'opinione nazionale", voce dei moderati e degli annessionisti. Già avvocato e patrocinatore presso la Gran corte criminale di Napoli, nel 1860 entra a far parte della Guardia regia come "ufficiale centrale" nel momento in cui la Guardia viene equiparata alla truppa regolare. Dopo l'Unità d'Italia accetta il trasferimento a Torino e nel 1862 ricopre il ruolo di capo sezione nel Ministero dell'Interno. Nominato prefetto il 27 novembre 1873, viene destinato a Sassari dove rimane fino all'8 settembre 1876, data del suo trasferimento a Pesaro. Il 29 luglio 1878 viene nominato a capo della Prefettura di Brescia e l'11 gennaio 1884 riceve la nomina a consigliere di Stato. Nell'organo giurisdizionale èassegnato dapprima alla sezione di Grazia e giustizia poi a quella dell'Interno. Durante la sua attività di consigliere si occupa degli oggetti tipici della Sezione III: accettazioni di eredità da parte delle opere pie, erezione in enti morali, approvazioni di statuti, applicazione della legge Crispi sulla beneficenza. Studioso di diritto amministrativo, scrive "La nuova Italia e la sua costituzione. Studi" (1872) e "La nuova Italia e la sua costituzione ossia i principi di diritto costituzionale ed amministrativo applicati alla legislazione vigente" (1873). E' anche autore di un celebre commento sulla legge comunale e provinciale del 1865 e nel 1876 pubblica "Discentramento e libertà", un'opera dedicata al progetto di riforma della legge comunale e provinciale presentato alla Camera dal ministro Nicotera. Muore a Roma il 26 marzo 1896. Giovanni Bolis (1831‐1884)

Nasce a Caprino Bergamasco il 22 gennaio 1831. Dopo gli studi in Giurisprudenza all'Università di Pavia, entra nell'amministrazione giudiziaria come praticante legale presso il Tribunale provinciale di Bergamo per poi essere successivamente abilitato come giudice civile e criminale a Treviglio. Il passaggio dalla carriera giudiziaria a quella della Pubblica sicurezza avviene con la nomina a questore e la successiva destinazione a Lovere nel luglio 1859. Dopo il trasferimento alla Questura di Palermo nell'aprile 1862 e una non brillante prova nel governo dell'ordine pubblico della città, nei due anni successivi viene incaricato della repressione del brigantaggio prima a Benevento e poi nella provincia di Basilicata. Da questo momento la sua carriera riprende a scorrere con molta rapidità: dall'aprile 1865 al maggio 1872 viene destinato prima alla questura di Bologna e successivamente a Livorno, per poi essere chiamato all'incarico ben più prestigioso di questore di Roma. Il suo passaggio alla carriera prefettizia avviene con la designazione a consigliere delegato nell'agosto 1876. La nomina a prefetto giunge nell'aprile dell'anno successivo, quando riceve anche l'incarico di reggere la prefettura di Belluno. Non potendo raggiungere la destinazione viene però collocato a disposizione, rimanendogli confermato l'incarico di reggere temporaneamente la Questura di Roma. Il 10 marzo 1878 è insignito del grado di Grand'Uffiziale della Corona d'Italia. Tra il 1891 e il 1892 svolge le funzioni di prefetto a Cremona e poi a Como ma in entrambi i casi mantiene il più importante incarico di dirigere i servizi di Pubblica sicurezza conferitogli con decreto del 14 agosto 1879. Quell'incarico viene d'altra parte rafforzato dal decreto ministeriale del 23 dicembre 1880, con il quale ‐ in seguito alle dimissioni di Teodorico Bonacci dalla carica di segretario generale del Ministero dell'Interno ‐ viene incaricato di firmare «pel Ministro» il carteggio ufficiale del Ministero (ad esclusione di quello della Direzione Generale delle carceri e di quello spettante ai direttori capi di Direzione «d'ordine del Ministro»). Viene riconfermato nell'incarico con decreto del 21 aprile 1881. Segna una fase importante nella storia della polizia: riorganizza l'amministrazione centrale in due divisioni (una per la polizia giudiziaria e amministrativa, l'altra per il personale); crea un Ufficio politico al quale affidare la tutela dell'ordine pubblico, la prevenzione e repressione dei reati politici, il coordinamento del controllo sull'attività dei partiti, delle associazioni, della stampa, la sorveglianza sulle persone sospette e sugli stranieri; costituisce anche un servizio di polizia internazionale, in collaborazione con il ministero degli Esteri. Nel suo ponderoso volume "La polizia e le classi pericolose della società" (Zanichelli, 1871) individua queste ultime tra quelle più disagiate e marginali: «tutti quegli individui che essendo sprovvisti dei mezzi necessari di sussistenza, vivono nell'ozio e nel vagabondaggio a spese degli altri cittadini. Le classi povere e inoperose furono sempre e saranno il semenzajo più produttivo di tutte le specie di malfattori, essendoché il delitto diventa per esse quasi una necessità di esistenza». L'aggravarsi delle sue condizioni di salute lo costringe a lasciare la guida della Pubblica sicurezza il 31 dicembre 1883. Muore a Bergamo il 17 novembre 1884. Luigi Bodio (1840‐1920)

Nasce a Milano il 12 ottobre 1840. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1861 a Pisa, trova subito impiego come interprete giudiziario di tedesco presso la sezione civile del Tribunale di Milano. Trasferitosi due anni dopo a Torino, riesce a farsi includere tra i praticanti volontari dell'Ufficio di statistica. Ottiene poi da parte del Ministero della Pubblica istruzione una borsa annuale di perfezionamento all'estero che gli consente di approfondire a Parigi lo studio dell'economia politica. Tornato a Torino, riprende la collaborazione con la Direzione della statistica, compiendo parallelamente studi sul commercio estero commissionatigli dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Nel 1863 gli viene affidato l'insegnamento di Economia politica nell'Istituto di marina mercantile di Livorno mentre nel 1868 è nominato professore titolare di Economia e statistica all'Istituto tecnico di Milano. Segnalatosi alla comunità scientifica per i suoi studi, solo nel 1871 riesce a entrare definitivamente nell'Amministrazione centrale della statistica, di cui sarebbe divenuto direttore generale nel 1883. Per oltre due decenni svolge un ruolo decisivo e centrale nel settore, sviluppando e perfezionando l'opera del suo predecessore Pietro Maestri: estende le competenze della statistica a settori come l'emigrazione, la giustizia civile e penale e il commercio; introduce importanti innovazioni nei metodi di raccolta e di elaborazioni dei dati; riorganizza l'apparato statistico basandolo sulla centralizzazione e sul concentramento del lavoro anche per la sperimentata fragilità e impreparazione delle strutture periferiche; forma infine uno staff straordinariamente preparato di giovani specialisti, selezionati severamente all'accesso e addestrati attraverso la pratica del lavoro d'équipe e l'integrazione nei circuiti internazionali. Per vent'anni segretario dell'Institut international de statistique, di cui diventa presidente nel 1909. Consigliere di Stato nel maggio 1898, viene esonerato dal lavoro di Palazzo Spada nel febbraio 1901 perché nominato presidente del Commissariato generale dell'emigrazione, organismo appena istituito per mettere ordine nel fenomeno dell'emigrazione italiana. Nel giugno 1900 viene nominato senatore del Regno. Nel 1905 rientra al Consiglio di Stato, per esservi però collocato a riposo su sua richiesta nel 1909. In quell'anno entra a far parte del consiglio di amministrazione della Società italiana Breda per costruzioni meccaniche, che avrebbe poi presieduto fino al gennaio del 1919. Nell'ottobre del 1920 partecipa ai lavori della Commissione per la statistica internazionale convocata a Parigi dal consiglio della Società delle nazioni. Muore a Roma il 2 novembre 1920.

Meuccio Ruini (1877‐1970)

Nasce a Reggio Emilia il 14 dicembre 1877. Laureatosi in Giurisprudenza a Bologna nel 1899, consegue la libera docenza in Filosofia del diritto e poco dopo viene assunto presso il Ministero dei Lavori pubblici. Studioso preparato e attento alle novità istituzionali d'inizio secolo, in questi anni èautore di numerose pubblicazioni e studi ‐ in parte usciti sotto l'egida dello stesso Ministero ‐ che trattano in particolare di legislazione speciale, opere pubbliche per le aree arretrate, riforma degli appalti e bonifiche idrauliche. Progressista e anticlericale, nel 1904 aderisce al Partito radicale e tre anni dopo viene eletto consigliere comunale a Roma e consigliere provinciale a Reggio Emilia. Seguace del riformismo socialista, contribuisce alle rivendicazioni del nascente primo associazionismo burocratico, impegnandosi a fondo (con diversi interventi sulle testate "Avanti" e "Critica sociale") nella riflessione sulla modernizzazione dell'amministrazione e sulla riforma dello Stato anche a opera delle associazioni di impiegati. Nel 1913 viene eletto deputato nelle liste radicali. Al tempo stesso prosegue la sua brillante carriera amministrativa, prima come capo di gabinetto nel Ministero dei Lavori pubblici e poco dopo come direttore generale dei servizi speciali per il Mezzogiorno. Nominato consigliere di Stato nel 1914. Convinto interventista al pari del suo leader Leonida Bissolati, parte volontario nella guerra mondiale e con i gradi di tenente si guadagna la medaglia d'argento al valore militare per il suo comportamento nelle giornate del Carso (agosto 1917). Tornato alla vita politica, nel 1919 diventa sottosegretario al Ministero dell'Industria, del Commercio e del Lavoro. Ministro delle Colonie nel primo e secondo governo Nitti (maggio‐giugno 1920). Dopo la fine del Partito radicale, di cui aveva redatto il programma economico ("I più essenziali ed urgenti problemi finanziari"), si avvicina a Giovanni Amendola e nel 1924 ètra i fondatori dell'Unione nazionale della nuova democrazia. Antifascista convinto e intransigente, viene epurato dal Consiglio di Stato nel 1927. Sorvegliato costantemente, si astiene dall'attività politica dedicandosi alla professione legale, al giornalismo, agli studi e alla stesura di opere di taglio storico, giuridico ed economico. Attivo nella ripresa clandestina dei partiti, dopo il 1942 ètra i fondatori della Democrazia del Lavoro (poi Partito democratico del lavoro). Ministro senza portafoglio e ai Lavori pubblici nei governi Bonomi, poi ministro della Ricostruzione nel governo Parri. Dal maggio 1945 è anche segretario del Partito democratico del lavoro. Nello stesso anno viene riammesso in servizio al Consiglio di Stato, che presiederà sino al 1947. Il 20 luglio 1946 viene nominato presidente della commissione per la Costituzione ("Commissione dei 75") nonché presidente del comitato di redazione del testo costituzionale (detto "dei diciotto"), fornendo così un contributo di primissimo piano alla elaborazione della Costituzione repubblicana. Senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana (1948‐53), viene eletto presidente del Senato nel marzo del 1953 e svolge un ruolo attivo nelle infuocate giornate dell'approvazione della cosiddetta "legge truffa", il provvedimento che avrebbe introdotto un premio di maggioranza a vantaggio di chi avesse vinto le elezioni. Nel 1958 assume la carica di presidente del Cnel, carica che mantiene fino al 1959. Il 2 marzo 1963 viene nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Antonio Segni. Muore a Roma il 6 marzo 1970. Pasquale Saraceno (1903‐1991)

Nasce a Morbegno (Sondrio) il 14 giugno 1903. Compie gli studi universitari presso l'Università Bocconi di Milano, laureandosi nel 1929 in Economia con una tesi su "Coordinazioni caratteristiche di gestione bancaria" sotto la guida di Gino Zappa. Negli anni Trenta inizia a lavorare all'ufficio della Direzione generale dell'IRI, collaborando strettamente con Alberto Beneduce e con Donato Menichella. E' in questo periodo che inizia ad approfondire l'analisi sul ruolo dell'intervento pubblico per la risoluzione della crisi del sistema capitalistico. Nell'immediato dopoguerra collabora alla redazione dei piani di utilizzazione degli aiuti statunitensi, tracciando le linee di programmi di spesa ed effettuando le prime proiezioni di sviluppo dell'economia del Paese. Tra i fondatori nel 1946 dell'Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (Svimez), creata per iniziativa dell'allora ministro dell'Industria Rodolfo Morandi e di cui diventerà presidente nel luglio 1970. Sulla scorta dell'antico insegnamento di Francesco Saverio Nitti, si schiera a favore di un piano di investimenti straordinari per l'industrializzazione nel Mezzogiorno. L'intervento pubblico nel Sud avrebbe dovuto mettere in moto un meccanismo autopropulsivo di sviluppo vantaggioso anche per le regioni del Nord. Sulla base di queste convinzioni contribuisce con Francesco Giordani e Menichella alla stesura del testo di legge che nel 1950 dà inizio alla politica di intervento straordinario che porta alla creazione della Cassa per il Mezzogiorno, un ente pubblico costituito all'epoca con criteri moderni e scioltezza organizzativa. Partecipa al Comitato scientifico che nel 1954 prepara la versione finale dello "Schema di sviluppo della occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955‐1964" (il cosiddetto "Schema Vanoni") e si trova in prima linea per realizzare la politica di piano del primo centro‐sinistra. Figura per molti aspetti cruciale nella storia delle istituzioni pubbliche dell'economia, il suo nome è strettamente legato alla questione del Mezzogiorno, alla quale per oltre quarant'anni dedica la sua attenzione e i suoi scritti. Le sue attività pubbliche restano sempre saldamente ancorate al lavoro di ricerca scientifica e confortate dagli incarichi accademici: insegna dal 1933 a Milano sia all'Università Cattolica sia alla Bocconi e poi dal 1959 all'Università Ca' Foscari di Venezia, dove nel 1971 progetta e avvia il corso di laurea in Economia aziendale. Muore a Roma il 31 maggio 1991. Terenzio Mamiani della Rovere (1799‐1885)

Nasce a Pesaro il 27 settembre 1799, ultimo conte di Sant'Angelo in Lizzola. Esponente di spicco del Risorgimento italiano. Cugino di Giacomo Leopardi, sin dall'età della formazione entra in contatto con le cerchie liberali fiorentine vicine al Gabinetto Vieusseux. Nel 1827 insegna a Torino alla Accademia militare e nel 1831 èuno dei capi dei moti popolari a Bologna e ad Ancona contro il governo di Gregorio XVI. Ministro dell'Interno dello Stato pontificio durante la fase liberale di Pio IX (maggio 1848), dopo l'assassinio di Pellegrino Rossi (novembre 1848) e il ritiro del Papa a Gaeta accetta la carica di ministro degli Esteri. Viene eletto deputato nel 1849 e diventa segretario dell'Assemblea nazionale. Contrario alla Repubblica Romana, insieme a Vincenzo Gioberti fonda a Torino la Società nazionale per la confederazione italiana. Dopo l'intervento dell'Austria e il ripristino dell'autorità papale viene condannato all'esilio perpetuo. Si stabilisce allora a Genova e ottiene la cittadinanza dello Stato sabaudo. Eletto deputato nella III legislatura del Parlamento subalpino, viene riconfermato nelle tre legislature successive. Nominato ministro della Pubblica istruzione nel terzo governo Cavour (gennaio 1860 ‐ marzo 1861), propone di avviare vaste riforme nel campo dell'insegnamento ma il mancato consenso del Parlamento ai suoi disegni di legge lo induce a rinunciare al mandato. Eletto nel primo Parlamento italiano, si dimette nell'agosto 1861 quando viene nominato ministro plenipotenziario presso il re di Grecia (incarico che mantiene fino al 1864). Ministro plenipotenziario a Berna dal febbraio 1866, viene collocato a riposo nel luglio 1867. A partire dal 1861 Mamiani è presidente praticamente di tutte le commissioni di concorso per la selezione del nuovo personale diplomatico del Regno d'Italia. Nominato senatore del Regno nel marzo 1864 e consigliere di Stato nel luglio 1867. All'indomani del 20 settembre 1870 la Giunta provvisoria costituita a Roma lo incarica di seguire tutti gli aspetti relativi all'istruzione. E' stato prima membro e poi vicepresidente del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Professore dal 1857 all'Università di Torino, nel 1861 viene nominato dottore collegiato onorario dell'Università di Bologna. Nel 1871 ottiene la cattedra di Filosofia della storia all'Università di Roma, che regge fino al 1875. Nell'aprile 1883 diventa membro del Consiglio del contenzioso diplomatico. Autore di numerose pubblicazioni di stile e generi diversi (poesia, filosofia e problemi politici), collabora a diverse riviste e nel 1850 fonda a Genova l'Accademia di filosofia italica. Muore a Roma il 21 maggio 1885.

Luigi Zini (1821‐1894)

Nasce a Modena l'11 febbraio 1821. Nel 1843 si laurea in legge all'Università di Modena. Fortemente influenzato dallo spirito liberale della famiglia, diviene un fervente sostenitore del progetto dell'unità nazionale. Allontanato da Modena per aver partecipato ai moti del 1848, è condannato a 24 anni di esilio. Si rifugia allora in Piemonte dove ottiene la naturalizzazione sarda e l'incarico dell'insegnamento di storia nel Collegio municipale di Asti. In quegli anni si occupa dell'istituzione di scuole serali per operai. Pubblica i quattro volumi della "Storia d'Italia dal 1850 al 1866 continuata da quella di Giuseppe La Farina", in cui esprime tra l'altro la sua propensione per un sistema amministrativo che lasci ampie autonomie a Comuni e Province, limitando al massimo l'ingerenza governativa. Nel 1858, trasferitosi a Lugano, insegna letteratura italiana nel liceo locale, avendo come colleghi Giovanni Cantoni e Carlo Cattaneo. Entra in contatto con altri profughi modenesi e conosce tra gli altri lo stesso Giuseppe La Farina, che nel febbraio del 1859 ‐ in accordo con Cavour ‐ gli affida l'incarico di recarsi nel Ducato di Modena per verificare le possibilità di suscitare in quel territorio un moto popolare favorevole all'annessione al Regno sabaudo. Dopo l'insurrezione modenese, Zini assume nel giugno 1859 il titolo di commissario provvisorio del re di Sardegna. Regge il governo della città fino all'arrivo di Luigi Carlo Farini, emanando una serie di provvedimenti tra i quali il sequestro dei beni dell'ex duca, il riordinamento della magistratura, l'accentramento degli istituti di istruzione sotto il relativo dicastero, la soppressione dell'Ordine dei Gesuiti. Nel settembre del 1859 fa parte della delegazione che reca a portare a Vittorio Emanuele i risultati del plebiscito di annessione delle province modenesi (un'azione che gli varrà il conferimento onorifico della cittadinanza torinese). Dopo l'Unità entra nell'amministrazione e diventa negli anni prefetto di Ferrara, Siena, Brescia, Padova, Como e Palermo. Eletto deputato per i collegi di Ferrara e Guastalla nella IX e X legislatura (dal novembre 1865 al novembre 1870), interviene alla Camera soprattutto su questioni di politica interna. Il 10 luglio 1873 ènominato consigliere di Stato e nell'aprile 1881 viene collocato a riposo col grado e titolo di presidente di sezione. Nominato senatore il 16 novembre 1876. Muore a Modena il 21 settembre 1894. Roberto De Vito (1867‐1959)

Nasce a Firenze il 19 febbraio 1867. Laureatosi in legge, nel 1891 entra al Ministero dei Lavori pubblici enel 1909 diviene direttore generale dell'Ufficio speciale delle ferrovie e tranvie e delle automobili. Nello stesso anno viene nominato consigliere di Stato. Aderisce al gruppo di Democrazia sociale e nelle elezioni suppletive del 1912 viene eletto alla Camera per la XXIII legislatura (dove rimane ininterrottamente fino al 1924). Sottosegretario ai Lavori pubblici prima nel ministero Boselli (1916‐1917) e poi in quello Orlando (1917‐1919). Nel 1918 viene nominato commissario ai Combustibili, quindi ministro dei Trasporti marittimi e ferroviari nel primo governo Nitti (1919‐1920). Si dimette dalla carica nel marzo 1920 quando, in contrasto con lo stesso presidente del Consiglio, non aderisce alla richiesta sindacale di pagare ai ferrovieri le loro giornate di sciopero. Nominato ministro della Marina nel primo e secondo Ministero Facta (1922), deve affrontare la grave crisi in cui versa la Marina mercantile italiana, non più in grado di sostenere la concorrenza estera. La caduta del Governo Facta in seguito alla marcia su Roma, segna anche la conclusione della sua carriera politica. De Vito riprende a questo punto il suo lavoro a Palazzo Spada e nel marzo 1929 viene promosso presidente di sezione del Consiglio di Stato. Nel febbraio del 1937 è collocato a riposo per raggiunti limiti di età. Dopo la seconda guerra mondiale riprende la sua attività di avvocato. E' stato direttore della "Rivista del registro navale italiano", della "Rivista delle Comunicazioni" e del "Giornale degli economisti". Muore a Roma 13 agosto 1959. Martino Beltrani Scalia (1828‐1909)

Nasce a Palermo il 5 febbraio 1828. Segue il corso degli studi legali presso l'Università di Palermo nel 1844‐1847 ma ottiene la laurea solo nel 1875, grazie ai titoli scientifici e alla fama internazionale già acquisita. Dopo aver partecipato alla rivoluzione palermitana del 1848 ed essere stato per questo costretto ad abbandonare la sua città al ritorno dei Borboni, vive in esilio per diversi anni. Amnistiato e rientrato in Sicilia, si dedica alla carriera forense prima di entrare nell'amministrazione pubblica nel 1860. Quattro anni dopo su sua richiesta passa al Ministero dell'Interno come ispettore generale delle Carceri, in ragione della profonda conoscenza dei diversi sistemi carcerari. E' infatti un convinto assertore del sistema "auburniano" (dal nome del carcere di Auburn, New York), che prevede l'isolamento in cella dei carcerati durante la notte e la vita comune durante il giorno. Per le pene più lunghe èinvece un sostenitore del sistema "progressivo" irlandese, basato sulla riduzione della severità del trattamento per il carcerato ravveduto. Beltrani Scalia ottiene presto incarichi di rilievo: nel 1868 viene inviato in Inghilterra e in Irlanda per studiarne i sistemi penitenziari; rappresenta il governo in vari congressi penitenziari internazionali e in occasione di quello londinese del 1872 gli viene affidata la statistica internazionale delle carceri, poi pubblicata nel 1875. Nel 1871 fonda la "Rivista di discipline carcerarie", organo ufficiale della Direzione generale delle Carceri, nella quale era dedicato ampio spazio alle discipline più nuove e in particolare al fondatore dell'antropologia criminale Cesare Lombroso, che diviene per lui punto di riferimento importante. Dal 1879 alterna il ruolo di direttore generale delle Carceri (1879‐1885, 1887‐1891, 1895‐1898), nel quale si distingue per la sua stretta collaborazione con Francesco Crispi, con quello di consigliere di Stato. Viene collocato a riposo il 2 dicembre 1906. Nel 1896 è nominato senatore per la XV categoria (consiglieri di Stato dopo cinque anni di funzione). Nella sua lunga permanenza ai vertici della Direzione generale Beltrani può mettere in pratica le sue idee, con la creazione del primo manicomio criminale ad Aversa (1879), in attuazione della teoria lombrosiana di stabilimenti speciali per gli incorreggibili e con l'inaugurazione della colonia delle Tre Fontane, per incrementare i lavori all'aperto dei condannati. Fonda anche l'Ufficio tecnico con personale esperto in architettura carceraria. Tuttavia l'esito del suo costante impegno a favore della modernizzazione del sistema carcerario si rivela in parte deludente: il Regolamento carcerario del 1891 si fonda ancora su una esasperata centralizzazione e inoltre non abolisce ma anzi conserva l'uso dei crudeli sistemi tradizionali di punizione dei detenuti. Altri fattori esterni impediscono comunque la piena attuazione delle sue idee di riforma: il Consiglio superiore delle Carceri viene costituito solo nel 1897 e il taglio dei cospicui fondi stanziati per l'edilizia carceraria impedisce di sperimentare i nuovi criteri di esecuzione delle pene. Negli ultimi anni della sua vita Beltrani Scalia si dedica alla ricerca storica, scrivendo le "Memorie storiche della rivoluzione di Sicilia del 1848‐1849" (pubblicata postuma nel 1933). Muore a Palermo l'11 febbraio 1909.

Giuseppe Alasia (1820‐1885)

Nasce a Torino il 30 novembre 1820. Nel 1840 si laurea in Legge all'Università di Torino e tre anni dopo inizia la professione nell'ufficio dell'Avvocato generale presso il Senato di Torino. Dopo essere stato Intendente generale a Pavia nel 1859, viene nominato dal ministro Mamiani segretario generale nel Ministero dell'Istruzione pubblica. Deputato dal marzo 1860 al settembre 1865 e, ancora, dal dicembre 1870 al settembre 1874. Prefetto di Bari, dell'Aquila (provincia nella quale deve combattere il brigantaggio) e infine di Ravenna. In precedenza è stato anche segretario generale dell'Interno dal 1865 al 1866, anno in cui viene nominato segretario generale del Consiglio di Stato. Consigliere di Stato nel novembre 1872, viene collocato a riposo nel luglio 1885 col grado e il titolo di presidente di sezione. Muore a Torino il 22 agosto del 1885. Giuseppe Pisanelli (1812‐1879)

Nasce a Tricase (Lecce) il 23 settembre 1812. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza all'Università di Napoli, nel 1836 intraprende la professione forense e l'anno successivo pubblica il saggio "Della punibilità del mandante nei reati di sangue". Dedicatosi all'insegnamento, nel 1838 fonda a Napoli una scuola privata di diritto e procedura penale e soprattutto approfondisce i suoi studi sull'abolizione della pena di morte. Contemporaneamente inizia a collaborare con la rivista "Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti", dedicandosi anche all'attività politica, con orientamento liberale moderato. Eletto al Parlamento napoletano nel 1848, si impegna afondo per l'abolizione della pena di morte ma anche per una riforma della legge comunale e provinciale così come per una legge sul duello, all'interno del più complessivo progetto costituzionale di matrice liberale. Sfuggito alla repressione borbonica dopo la parentesi rivoluzionaria, nel 1849 si imbarca per Genova e si stabilisce a Torino. Nell'estate dell'anno successivo si trasferisce a Parigi ed entra in contatto con altri esuli meridionalisti, in particolare con Guglielmo Pepe e Vincenzo Gioberti. Tornato in Piemonte nell'agosto 1853, viene raggiunto dalla condanna in contumacia alla pena di morte e alla confisca dei beni. Esule e vicino ad altri intellettuali meridionali emigrati nel Regno di Sardegna, inizia a collaborare con Pasquale Stanislao Mancini e Antonio Scialoja alla redazione di un "Commentario al codice di procedura civile per gli stati sardi", significativa opera comparata di legislazione e giurisprudenza a cui lavorano altri tra i migliori giuristi piemontesi. Sempre più vicino a Cavour e fermo sostenitore della causa dell'unificazione nazionale, tra il 1859 e il 1860 si impegna anche nell'opera di riordinamento delle università di Modena e Bologna, e poco dopo su incarico di Cavour rientra a Napoli appena liberata. Assume per un breve periodo la guida del Ministero della Giustizia in seno alla dittatura di Garibaldi, tentando di estendere al Mezzogiorno l'ordinamento istituzionale e la legislazione penale del Regno di Sardegna. Eletto nel primo Parlamento italiano vi rimane fino al 1874, militando nelle fila della Destra storica e ricoprendo la carica di ministro di Grazia e Giustizia nei governi Farini e Minghetti (1862‐1864). In tale veste si impegna nella repressione del brigantaggio e per l'attuazione delle relative misure eccezionali per il controllo militare delle province meridionali. Al tempo stesso, scontrandosi con il mondo ecclesiastico, promuove un progetto di legge relativo all'intervento dello Stato sul patrimonio della Chiesa, alla conversione dell'Asse ecclesiastico e alla soppressione di alcune corporazione religiose. Tuttavia il suo contributo più significativo rimane l'opera di unificazione legislativa, culminata nella messa a punto dei progetti di codice civile, di procedura civile e del primo libro del codice penale. Nel giugno 1865 viene nominato consigliere di Stato, continuando tuttavia ad occuparsi degli altri suoi incarichi istituzionali. In questo periodo partecipa alla Commissione nominata dal secondo governo Lamarmora per l'esame del disegno di legge relativo alla soppressione delle corporazioni religiose e dal 1866 al 1874 assume anche la carica di vicepresidente della Camera. Rieletto alle consultazioni suppletive della XII legislatura nel collegio di Brindisi, viene chiamato a rappresentare il collegio di Manduria in quelle del gennaio 1878. In questo periodo prende le distanze dal suo partito rispetto alle problematiche dei rapporti Nord/Sud d'Italia, criticandolo perché incline a una politica favorevole agli interventi nel Settentrione anziché al rilancio economico del Meridione. Tornato alla professione forense e all'attività didattica e di ricerca scientifica, pubblica tra l'altro "I progressi del diritto civile in Italia" (1871) e il "Trattato della Corte di Cassazione" (1875). Muore a Napoli il 5 aprile 1879. Giovanni Palatucci (1909‐1945)

Nasce a Montella (Avellino) il 31 maggio 1909. Terminato il servizio militare a Moncalieri come allievo ufficiale di complemento e iscrittosi al Partito Nazionale Fascista, nel 1932 si laurea in Giurisprudenza all'Università di Torino. Quattro anni dopo giura come volontario vice commissario di Pubblica Sicurezza e nel 1937 viene trasferito alla questura di Fiume come responsabile dell'Ufficio stranieri e poi come commissario e questore reggente. Nella sua posizione prende coscienza del dramma che vivono gli ebrei all'indomani dell'emanazione delle leggi razziali e pur di poter continuare ad aiutarli a salvarsi dalle persecuzioni decide di restare a Fiume, rifiutando una promozione a Caserta. Nel marzo 1939 avvisa del pericolo imminente un primo contingente di 800 ebrei in procinto di essere consegnato alla Gestapo e ne garantisce il rifugio nel vescovado di Abbazia. Si calcola che durante tutta la sua permanenza a Fiume riesca a salvare circa 5.000 persone. Nel novembre 1943 la città entra di fatto a far parte della cosiddetta Adriatisches Küstenland ossia il "Territorio d'operazioni del litorale Adriatico" controllato direttamente dai nazisti per ragioni d'importanza strategica. Quando il comando militare della città passa al capitano delle SS Hoepener decide di restare al suo posto e far scomparire gli archivi contenenti informazioni sugli ebrei fiumani. Contattati i partigiani italiani, cerca anche di coordinare una soluzione politica post‐bellica per il territorio di confine fiumano, proponendo l'istituzione di uno "Stato Libero di Fiume" affinché mantenga una sua indipendenza e non venga ceduto alla Jugoslavia. Per contrastare ulteriormente l'azione dell'amministrazione nazista, vieta il rilascio di certificati alle autorità tedesche se non su sua esplicita autorizzazione, così da poter aver notizia anticipata dei rastrellamenti e poterne dare tempestivamente avviso agli interessati. Inoltre invia relazioni ufficiali al governo della Repubblica Sociale Italiana (dalla quale Fiume dipende formalmente pur essendo di fatto occupata e controllata direttamente dalle truppe naziste) per segnalare le continue vessazioni alla popolazione così come le forti limitazioni alla loro attività subìte dai poliziotti italiani (compreso il loro disarmo). Il 13 settembre 1944 il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler lo fa arrestare e tradurre nel carcere di Trieste. Il 22 ottobre dello stesso anno viene trasferito nel campo di sterminio di Dachau dove muore il 10 febbraio 1945, pochi giorni prima della Liberazione. Nel 1990 lo Yad Vashem lo giudica "Giusto tra le nazioni". Il 15 maggio 1995 lo Stato italiano gli conferisce la Medaglia d'oro al merito civile con la seguente motivazione: «Funzionario di Polizia, reggente la Questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l'arresto e la deportazione. Fedele all'impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l'occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all'arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio, ove sacrificava la giovane vita». Il 21 marzo 2000 il Vicariato di Roma emette un Editto per l'apertura del suo processo beatificazione, avvenuta il 9 ottobre 2002. Inoltre, in occasione della cerimonia ecumenica Giubilare del 7 maggio 2000, papa Giovanni Paolo II lo annovera tra i martiri del XX Secolo. Nel 2004 si conclude la fase diocesana del processo di canonizzazione con la sua proclamazione a Servo di Dio.

Giulia Cavallari (1856‐1935)

Nasce a Imola (Bologna) il 5 marzo 1856. Diplomatasi al Liceo Galvani di Bologna, si iscrive nel 1878 alla Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna. Fra i suoi compagni di studio vi è anche Giovanni Pascoli e il suo maggior maestro è Giosuè Carducci, del quale diventa la prima allieva. Nel 1879 vince un premio di incoraggiamento dell'amministrazione provinciale bolognese e il 16 giugno 1882 èla prima italiana a laurearsi in Lettere e Filosofia. Due anni dopo ottiene la cattedra di Latino e Greco presso la Scuola superiore femminile "E. Fuà Fusinato" di Roma. Sono anni di forte interesse per i problemi della didattica e della pedagogia e la neo‐insegnante si iscrive alla Società didascalica italiana, collaborando all'organo ufficiale dell'associazione "L'Annotatore". Il 20 settembre 1889 sposa Ignazio Cantalamessa, primario dell'Ospedale maggiore di Bologna e docente universitario. Carducci la accompagna in Municipio, quasi a sancire un'ideale continuità con gli anni della formazione accademica, ma il matrimonio comporta anche la rinuncia all'insegnamento e il ritorno a Bologna. Trascorrono così dieci anni di vita in famiglia, in un ambiente ricco di sollecitazioni culturali e contatti con la migliore cultura laica e democratica del tempo. In questo periodo tiene conferenze (ad esempio "La donna nel Risorgimento nazionale", Bologna, 1892), esaltando il contributo delle donne alla vita familiare, sociale e politica. In particolare sostiene che solo il lavoro e una nuova dignità sociale possono garantire loro la necessaria indipendenza. Mantiene rapporti di collaborazione con varie riviste e il suo interesse per gli spiriti liberi e i riformatori si esprime nei suoi scritti su Ulrico Zuinglio e la sua riforma, sulla storia dell'Università di Bologna e su Niccolò Tommaseo. Il suo salotto è frequentato dai più bei nomi del mondo laico e democratico della "Terza Italia": Andrea Costa, Aurelio Saffi, Felice Cavallotti e ovviamente Carducci e Pascoli. Rimasta vedova nel 1896, decide di tornare all'insegnamento e nello stesso anno viene nominata docente di Italiano nella Scuola Normale di Bologna. L'anno seguente diventa direttrice della locale scuola professionale femminile: la riorganizza e la trasforma in scuola comunale col nome di "Regina Margherita". La sua attività si espande anche ad altri campi dell'emancipazione femminile, sino a promuovere la costituzione della Società operaia femminile di Bologna. Per dimostrare l'eccellenza dell'impegno femminile nel Risorgimento, si dedica allo studio di personalità come Adelaide Bono Cairoli e Gualberta Beccari, quasi a stabilire un'ideale continuità tra le femministe di fine secolo e le personalità femminili talvolta offuscate ma non per questo meno meritevoli per il loro contributo alla costruzione di una solida coscienza nazionale. Nel 1899 ottiene il suo incarico più importante: la direzione dell'Istituto delle figlie dei militari della Villa della Regina a Torino, che mantiene per un trentennio introducendo nuovi e più aperti sistemi pedagogici. Si dedica anche alla letteratura per ragazzi scrivendo varie commedie (tra le quali "Dottoresse", "Un'ora alla Villa della Regina duecento anni fa ‐ Bozzetto drammatico per fanciulle", "Commedie per giovanette" e "La cometa ‐ Commedia in due atti per fanciulli") e compone una vasta opera poetica che spazia dalle liriche ai canti patriottici. Il suo maggior contributo alla cultura restano comunque i numerosi saggi di pedagogia e di storia. Muore a Bologna il 6 novembre 1935. Boris Giuliano (1930‐1979)

Nasce a Piazza Armerina (Enna) il 22 ottobre 1930. Brillante commissario della Polizia di Stato, viene nominato capo della Squadra mobile di Palermo e si occupa delle indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (1970) così come di alcune delle inchieste‐chiave sulla mafia e il traffico di droga (in una delle quali scopre il nascondiglio del boss mafioso Leoluca Bagarella e i collegamenti tra questi e il banchiere Michele Sindona). Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, èil primo a comprendere come il capoluogo siciliano sia ormai divenuto uno snodo importante nei percorsi internazionali del traffico di stupefacenti (vi si raffina l'oppio proveniente dall'Oriente), gestito da una nuova generazione di mafiosi che detengono non solo il controllo 'militare' del territorio ma anche un'enorme capacità finanziaria. Nel 1975 frequenta un corso dell'FBI in Virginia, stringendo rapporti anche personali con colleghi americani che più tardi gli sarebbero stati preziosi. Le sue grandi capacità professionali lo trasformano suo malgrado in un pericolo enorme per le organizzazioni criminali. Muore a Palermo il 21 luglio 1979, ucciso con sette colpi pistola alle spalle sparatigli proprio da Bagarella mentre sta pagando un caffè in un bar di via Blasi. Gioacchino Palutan (1901‐1961)

Nasce a Trieste il 6 aprile 1901. Laureatosi in Scienze economiche e commerciali, diventa dirigente delle Assicurazioni generali a Trieste. Dopo l'occupazione del Territorio di Trieste e l'instaurazione del Governo Militare Alleato, viene nominato vicepresidente e (dal novembre 1947) presidente della Zona A di Trieste, qualifica corrispondente a quella di presidente della Provincia con funzioni anche prefettizie. Il 30 dicembre 1950 viene nominato prefetto del capoluogo. Trasferito a Vicenza per aver criticato duramente l'azione della polizia (che dipende ancora dagli Alleati) in occasione di una manifestazione pubblica nella città, vi sperimenta nuovi sistemi di governo basati sul consenso e sulla contrattazione anziché sulla preminenza gerarchica. Il nuovo metodo, da lui teorizzato e definito di "relazioni pubbliche", altro non èin realtà se non un sistema strutturato modernamente di rapporti fra amministrazioni statali e locali. Uomo pragmatico e di esperienza non solo ministeriale, si rende infatti conto che il Paese si sta avviando, sia pure con grande ritardo rispetto alla previsione costituzionale, verso l'attuazione dell'ordinamento regionale. Intuisce così che sta mutando anche il ruolo del prefetto, che più di prima dovrà essere calibrato sulla situazione economico‐ sociale della Provincia e sulle aspettative delle popolazioni, e soprattutto dovrà essere utile a suscitare una collaborazione funzionale e un clima di reciproca fiducia fra tutti gli ambienti della vita pubblica locale. Instaura così vere e proprie relazioni (nel senso di contatti e rapporti sistematici) tra gli uffici dell'amministrazione statale e parastatale e tra questi e gli enti locali, le categorie economiche, l'opinione pubblica e gli amministrati. Questi collegamenti si fondano essenzialmente su riunioni periodiche programmate e coordinate, così da costituire una struttura capillare di incontri e di scambi i cui risultati vengono poi acquisiti dall'ufficio di coordinamento della Prefettura. La periodicità delle riunioni e la più ampia informazione pubblica costituiscono a suo giudizio il presupposto di un'azione solidale delle istituzioni a tutti i livelli, al fine di predisporre piani di opere pubbliche e di interventi di vario genere da trasmettere a Roma per ottenere i necessari finanziamenti, mantenendo comunque la leva del comando nelle mani del prefetto. Funzionario intelligente e accorto, anticipa o forse èpersino l'ispiratore di una direttiva del ministro degli Interni Fernando Tambroni che il 31 dicembre 1956 prevede effettivamente l'istituzione in ciascuna Provincia di un ufficio per la trattazione degli affari economico‐sociali. L'esperimento vicentino si scontra però con la resistenza dei funzionari della sede (costretti a un lavoro giudicato eccezionale e gravoso, anche per l'obbligo di apertura prolungata degli uffici) e con quella, assai più incisiva, dei parlamentari della zona (che si vedono espropriati della rappresentanza degli interessi locali, soprattutto riguardo alla concessione di finanziamenti). Nel novembre 1958 viene così 'diplomaticamente' trasferito a Roma e chiamato a dirigere l'Ufficio studi e documentazione per le Pubbliche relazioni istituito tre anni prima presso il Gabinetto del Viminale. Anche in questo caso si dedica al nuovo incarico con entusiasmo e senza risparmiare le energie. Ma i suoi sforzi per instaurare un diverso rapporto di collaborazione tra le direzioni generali si scontrano con l'opposizione tacita dell'alta dirigenza ministeriale, gelosa della propria autonomia. Nel giro di pochi anni assiste così al sostanziale fallimento dell'esperimento di riforma. Muore nel maggio 1961.

Marco Besso (1843‐1920)

Nasce a Trieste il 9 settembre 1843. Il dissesto finanziario della famiglia lo costringe a interrompere gli studi e a impiegarsi sedicenne presso una società di assicurazioni, prima a Lubiana e poco dopo a Innsbruck. Nel 1863 le Assicurazioni Generali, di cui nel frattempo è diventato funzionario, lo incaricano di lasciare l'Austria per concludere a Roma una lunga e difficile trattativa col ministro degli Interni pontificio per l'assorbimento della "Privilegiata Società Pontificia delle Assicurazioni". Acceso patriota, entra a far parte del Comitato nazionale romano per la liberazione di Roma e collabora alla redazione del giornale clandestino "Roma dei Romani". Nel 1866 le Generali lo trasferiscono prima a Milano e poco dopo a Trieste e in Sicilia. In questo periodo compie importanti ricerche di carattere tecnico che avrebbero contribuito non poco a modernizzare il settore assicurativo. Le sue ricerche si concentrano infatti nel campo, fino ad allora poco indagato, delle assicurazioni sulla vita e della connessa tecnica attuariale. Il prestigio acquisito gli vale la promozione a direttore della sede di Trieste. Nel 1871 gli vengono quindi affidate la direzione dell'agenzia di Bologna e poco dopo di quella di Firenze. Pubblica "Le casse pensioni delle Ferrovie dell'Alta Italia" (1875) e si occupa della Società nazionale di mutuo soccorso degli impiegati di Milano, redigendo anche il progetto di legge per il riconoscimento giuridico delle Società di mutuo soccorso. Nel 1877 torna a Trieste in qualità di segretario generale delle Generali e nel 1909 ne assume la presidenza. Dotato di uno spiccato senso delle istituzioni e di una visione generale dello sviluppo del capitalismo italiano, ricopre un ruolo di primo piano nella vita finanziaria e industriale italiana del periodo. A partire dal 1914 ricopre tra l'altro la carica di consigliere di amministrazione della Banca Commerciale Italiana, dell'Istituto di Credito fondiario e della Società per lo sviluppo delle imprese elettriche in Italia nonché quella di presidente della Società anonima italiana contro gli infortuni, della Società anonima di Assicurazione a premio fisso contro la grandine, della Società italiana elettrocarbonium, della Società italiana forni elettrici e della Fabbrica italiana di carburi e derivati. Affascinato dalla figura di Erasmo da Rotterdam, coltiva la passione per i libri e costruisce negli anni una delle più ricche e raffinate biblioteche private dedicate alla figura e all'opera di Dante. Muore a Milano il 7 ottobre 1920. Vittorio Ellena (1844‐1892)

Nasce a Saluzzo (Cuneo) il 30 marzo 1844. Le umili condizioni famigliari lo costringono a interrompere presto gli studi ma la sua formazione culturale da autodidatta gli consentirà di esercitare l'insegnamento di Scienza delle finanze e Legislazione commerciale all'Università di Roma. Nel 1862 inizia la carriera amministrativa come applicato copista di quarta classe al Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, dove inizia a collaborare con il segretario generale Luigi Luzzatti. Quest'ultimo lo valorizza, affidandogli incarichi di responsabilità e patrocinando nel 1869 il suo ingresso nella Commissione consultiva sulle istituzioni di previdenza e del lavoro (in seguito Consiglio della previdenza), dove rimane fino al 1876. Sempre nel 1869 entra nel Consiglio superiore del Commercio, di cui l'anno seguente diventa segretario. A lungo membro della Giunta consultiva di statistica, si impegna alacremente anche sul piano internazionale. Nel 1871 è chiamato a far parte della Commissione istituita per preparare la partecipazione dell'Italia all'Esposizione internazionale di Vienna del 1873, rappresentando lo Stato italiano come commissario generale. In quello stesso anno èinoltre chiamato nell'Ufficio temporaneo per la riforma della tariffa doganale e per il rinnovo dei trattati commerciali, presieduto da Luzzatti. Nel novembre 1877 passa al Ministero delle Finanze con la funzione di ispettore generale delle gabelle e quattro anni dopo ne diventa direttore generale. Abbandonate le giovanili simpatie liberiste, sposa la tesi del protezionismo e tra il 1877 e il 1878 viene coinvolto in una polemica sulle sue ripercussioni nell'economia (agli attacchi di Alessandro Rossi sulle pagine della "Nuova Antologia" risponde dalla tribuna de "L'Archivio di statistica"). Durante gli anni Settanta promuove diverse iniziative statistiche: tra queste il primo studio in Italia sulle società cooperative (1874) e un'indagine sulla condizione delle donne edei fanciulli nelle fabbriche (1876). Nel 1882 il Consiglio superiore di statistica gli affida la guida di un'indagine nazionale sulle condizioni industriali delle Province italiane che fornisce il primo quadro analitico del settore. L'anno seguente scrive la relazione sull'industria in qualità di membro della nuova Commissione d'inchiesta per la revisione delle tariffe doganali (il leggero incremento nel 1887 della tariffa protezionistica delle industrie nazionali gli attirerà gli strali dei neoliberisti). Deputato della Destra nelle legislature XVI e XVII (1887‐1892), ricopre contemporaneamente la carica di segretario generale e poi di sottosegretario (dal marzo al dicembre 1888) del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, alla cui riforma lavora insieme al ministro Bernardino Grimaldi. Nel corso della sua attività parlamentare si occupa di commercio internazionale e tariffe, presentando tra l'altro provvedimenti legislativi per tutelare le classi lavoratrici dagli infortuni sul lavoro. Consigliere di Stato dal 1885, collabora con Silvio Spaventa nella neonata IV sezione, distinguendosi anche in quella sede per le sue doti organizzative e di lavoratore instancabile. Nel 1892 contribuisce alla caduta del governo Di Rudinì, andandosi a sedere nei banchi del centrosinistra e preparando così il proprio ingresso nel primo governo Giolitti in qualità di ministro delle Finanze. Muore a Roma il 19 luglio 1892, dodici giorni dopo aver rassegnato le dimissioni a causa delle sue precarie condizioni di salute. Pietro Baratono (1884‐1947)

Nasce a Frosinone il 25 settembre 1884. Figlio di un ufficiale dei carabinieri, si laurea in Giurisprudenza nel 1907. L'anno seguente entra nell'amministrazione provinciale del Ministero dell'Interno per poi passare nel 1910 a quella centrale, percorrendovi tutti i gradi della carriera prefettizia. Nominato nel luglio del 1937 prefetto di Torino, si scontra con il gerarca fascista del capoluogo piemontese Piero Gazzotti, legatissimo al segretario del Partito Nazionale Fascista Achille Starace. Di quest'ultimo denuncia i comportamenti scorretti (difendendo l'autorità prefettizia) in un memoriale indirizzato a Benito Mussolini. A conclusione di un breve braccio di ferro, Gazzotti riesce a imporre il suo richiamo a Roma e la sua sostituzione con Carlo Tiengo, prefetto di provata fede fascista. Espulso dal Partito nel 1938, viene tuttavia di lì a poco nominato consigliere di Stato: vi rimane fino al settembre 1943, operando nelle sezioni IV e V. Ricopre anche gli incarichi, in seno al Ministero delle Finanze, di membro della Commissione di vigilanza sul debito pubblico (gennaio 1943) e del Collegio arbitrale per la regolazione e la revisione delle commesse belliche. Caduto il regime fascista, dal 26 luglio 1943 al 1 febbraio 1944 èsottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel primo governo Badoglio. In tale veste dimostra un chiaro atteggiamento antifascista, aperto alla collaborazione con i neonati partiti. Sfuggito alla repressione nazifascista in quanto ricercato su sentenza del Tribunale speciale dello Stato, a liberazione avvenuta torna al suo posto nel Consiglio di Stato. Nel 1946 ricopre il ruolo di giudice presso il Tribunale supremo militare e viene incaricato di presiedere la Commissione di epurazione di primo grado presso il Ministero dell'Interno, non senza lamentarsi con l'Alto commissario per l'epurazione per i criteri di giudizio troppo morbidi che èchiamata ad adottare. Poliglotta e appassionato di studi umanistici e letterari, scrive anche delle novelle firmandosi con il nome di Pierangelo Baratono. Muore a Roma il 4 dicembre 1947.

Michele Amari (1806‐1889)

Nasce a Palermo il 7 luglio 1806. Figlio di Ferdinando e di Giulia Venturelli, partecipa attivamente ai moti risorgimentali degli anni Venti dell'Ottocento. Impiegato presso la Segreteria di Stato sotto il regime borbonico, viene dichiarato sgradito dal governo di Napoli e costretto a cercare riparo in Francia dopo aver pubblicato "La Guerra del Vespro", cui la censura impone il titolo neutro e generico di "Un periodo delle istorie siciliane del XIII secolo". In Francia apprende l'arabo (sotto la guida del grande arabista Joseph Toussaint Reinaud) e studia il greco, collegandosi ai circoli europei più impegnati negli studi di orientalistica. Rientrato in Sicilia per prender parte ai moti del 1848‐49, viene eletto deputato nel Parlamento siciliano e nominato ministro delle Finanze. Con la restaurazione ècostretto a rifugiarsi nuovamente in Francia, dove si avvicina alle idee mazziniane. Professore di Lingua e storia araba all'Università di Pisa dal maggio 1859, alla liberazione della Sicilia diventa ministro del governo provvisorio di Giuseppe Garibaldi. Nominato senatore del Regno il 20 gennaio 1861, ricopre anche la carica di ministro dell'Istruzione nel governo Farini (1862‐64). Conclusasi l'esperienza politica, si trasferisce a Firenze e fino al 1873 insegna la lingua araba presso l'Istituto di Studi Superiori del capoluogo toscano. Storico, politico, fondatore della scienza orientalistica italiana e studioso profondo della Sicilia araba, è considerato uno dei padri della storiografia nazionale italiana. Le sue opere sono numerose e di grande valore scientifico. Su tutte meritano di essere citati i tre volumi della "Storia dei Musulmani in Sicilia" (1854‐72). Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a Grand'Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, a Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia e a Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia. Muore a Firenze il 16 luglio 1889. Carlo Mayr (1810‐1882)

Nasce a Ferrara il 3 ottobre 1810 da una famiglia piuttosto agiata (il padre Giuseppe discende da una famiglia originaria della Baviera giunta in Italia all'inizio del XVIII secolo). Frequenta l'Archiginnasio di Ferrara, entrando in contatto con alcuni esponenti della carboneria e affiliandosi poco tempo dopo alla Giovine Italia. Al compimento dei 21 anni consegue la laurea in Giurisprudenza nell'Università ferrarese, diventando poi procuratore nelle cause civili e penali. Nello stesso anno partecipa ai moti scoppiati nei Ducati di Parma e Modena e poi estesisi alle limitrofe Legazioni pontificie. Il 13 novembre 1843 viene ammesso all'avvocatura, professione che in diverse occasioni esercita per difendere i più attivi propagandisti degli ideali nazionali. Viene quindi presto sottoposto alla sorveglianza della polizia. Verso la fine del giugno 1848 assume la direzione provvisoria della "Gazzetta di Ferrara", foglio politico, scientifico e letterario di orientamento liberale. Partecipa ai moti del 1848‐49 come maggiore della Guardia civica, membro della Commissione provvisoria di governo, deputato alla Costituente e presidente della provincia di Ferrara, carica alla quale venne designato con decreto del Comitato esecutivo della Repubblica romana del 10 febbraio 1849. Per volere di Giuseppe Mazzini il 30 maggio dello stesso anno viene nominato ministro dell'Interno della Repubblica romana. Per il valore dimostrato nella sua difesa dall'invasione delle truppe francesi, l'Assemblea romana lo dichiara «benemerito della Patria» conferendogli una medaglia d'oro. La sconfitta della Repubblica lo costringe però all'esilio. Dopo essersi rifugiato in Grecia, Turchia, Inghilterra, Francia e Toscana si stabilisce in Piemonte dove, ormai abbandonate le idee repubblicane, viene nominato presidente del Comitato generale di emigrazione. Nel 1859, liberate le province emiliane e romagnole, diventa intendente della provincia di Forlì e quindi ministro dell'Interno delle province di Modena, Parma e delle Romagne. Il 27 marzo 1860 viene nominato intendente generale della provincia di Bologna, carica per la quale viene annullata (per incompatibilità) la sua elezione a deputato nella VII legislatura, l'ultima del Regno di Sardegna. Tuttavia questa dura solo pochi mesi e nella successiva (febbraio 1861) può essere rieletto al ballottaggio nello stesso collegio di Ferrara. Nel corso della sua attività parlamentare si occupa prevalentemente di problemi giuridici, intervenendo con decisione nei dibattiti sull'abolizione di quanto ancora restava del sistema feudale e sostenendo la necessità di riformare i codici, uniformandoli a tutto il territorio nazionale. Nel 1863 rassegna le dimissioni da deputato per motivi di salute, anche se fino al 1877 continua a ricoprire la carica di prefetto (prima a Caserta epoi ad Alessandria, Genova, Venezia e Napoli) con un'azione di forte impronta anticlericale ed esercitando uno stretto controllo sulle amministrazioni locali. In molti casi si occupa personalmente del ricambio di funzionari e impiegati pubblici, favorendo nei posti chiave uomini di provata fede liberale. In qualità di prefetto di Venezia depone nella Commissione d'inchiesta sull'istruzione secondaria promossa dal ministro Antonio Scialoja, soffermandosi in particolare sui problemi relativi all'amministrazione scolastica provinciale e sul rapporto tra scuole governative e istituti religiosi. Il 3 dicembre 1868 viene nominato senatore del Regno. Il 30 ottobre 1877 diventa presidente della Sezione di grazia giustizia e dei culti del Consiglio di Stato, carica che mantiene fino alla morte. Nel corso della sua carriera raccoglie diversi riconoscimenti: nel 1870 viene insignito della medaglia commemorativa per la difesa di Roma, nel 1874 riceve l'onorificenza di grande ufficiale dell'Ordine mauriziano, nel 1876 ottiene il gran cordone della Corona d'Italia e nel 1879 gli viene conferita la medaglia d'argento per gli eminenti servizi resi alla salute pubblica durante l'epidemia di colera scoppiata a Venezia nel 1873. Riceve anche la Gran Croce dell'Ordine austro‐ungarico di Francesco Giuseppe. Muore a Ferrara il 24 luglio 1882. Antonio Sorice (1897‐1971)

Nasce a Nola (Napoli) il 3 novembre 1897. Allievo del Collegio militare di Napoli e dell'Accademia militare di Torino, partecipa alla Prima guerra mondiale con il grado di sottotenente. Fatto prigioniero sul Carso nel 1917, l'anno seguente frequenta il corso di perfezionamento presso l'Accademia militare di Torino ed è ammesso ai corsi della Scuola di guerra. Superati brillantemente gli esami finali, viene destinato prima a Genova e poi ad Ancona. Nel 1933 è trasferito a Roma presso il Ministero della Guerra, dove ricopre l'incarico prima di addetto alla segreteria militare e poi di vice capo gabinetto. Si occupa della preparazione e della mobilitazione delle forze terrestri destinate all'Africa orientale, meritandosi un encomio da parte di Benito Mussolini. Nell'aprile 1936, ormai tenente colonnello, diventa capo gabinetto del ministro della Guerra. Ufficiale competente e orgoglioso dell'indipendenza dell'esercito, si schiera contro la partecipazione dell'Italia alla Seconda guerra mondiale. Nel giugno 1938 è nominato consigliere di Stato e contemporaneamente collocato fuori ruolo per continuare a disimpegnare l'incarico ministeriale, dal quale viene però allontanato nel giugno 1941 dopo che si è pubblicamente espresso sulle difficoltà sostenute al fronte dall'esercito italiano e sulla necessità di trovare una soluzione per trarsi fuori dal conflitto. Nel febbraio 1943 torna al Ministero della Guerra come sottosegretario, chiamatovi per le sue indiscusse doti organizzative e tecnico‐militari. All'indomani della riunione del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, viene nominato ministro della Guerra nel governo Badoglio (luglio 1943‐aprile 1944) e nei quarantacinque giorni che precedono l'armistizio si preoccupa di evitare disordini nelle forze armate inviando direttive ai comandanti di corpo d'armata. L'8 settembre, quando un dispaccio dell'agenzia di stampa inglese Reuter annuncia al mondo la resa senza condizioni dell'Italia agli eserciti alleati, con altri membri del Governo viene convocato al Quirinale per il Consiglio della Corona. Il tale occasione si dice preoccupato per gli effetti di questa notizia sulle forze armate dislocate fuori dal territorio nazionale. Quella stessa notte accoglie il re e la regina al Ministero della Guerra, ritenuto un luogo più sicuro del Quirinale e di Villa Savoia. Non segue il Governo al Sud ma decide invece di restare a lavorare al suo Ministero. Accanto al maresciallo d'Italia Enrico Caviglia e al generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, segue le trattative con i tedeschi per la dichiarazione di Roma "città aperta" e, pur considerando inaccettabili le condizioni imposte, si vede costretto ad accettarle per il timore di gravi ritorsioni sulla popolazione civile. L'11 febbraio 1944 il Governo lo revoca dall'incarico di ministro della Guerra perché, trovandosi lontano da Brindisi, non èin grado di esercitare al meglio le sue funzioni. Sottoposto nel settembre 1944 a procedimento di epurazione per aver "partecipato attivamente alla vita politica del fascismo", èperò prosciolto dall'accusa perché viene accertato il suo fattivo contributo all'organizzazione della resistenza. Viene quindi riammesso in servizio al Consiglio di Stato e, nel 1954, decorato con medaglia d'argento al valor militare. Agli inizi degli anni Cinquanta chiede al sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti di non essere promosso a presidente di sezione. «Nessuno ‐ spiega ‐ si ricorda di me come ministro della Guerra con Badoglio. Meglio così. Non vorrei che si aprisse un quesito sul generale immesso nel Consiglio di Stato. Preferisco essere dimenticato». Nel settembre 1966 viene collocato in pensione per raggiunti limiti di età. Muore a Roma il 14 gennaio 1971.

Palma Bucarelli (1910‐1998)

Nasce a Roma il 16 marzo 1910. La professione del padre Giuseppe (funzionario del Ministero dell'Interno trasferitosi a Roma da Messina dopo il terremoto del 1908) la costringe giovanissima a vivere di volta in volta a Venezia, Ancona, Modena e Bologna. Trasferitasi nel 1920 a Roma, si iscrive all'Università e frequenta i corsi di Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Laureatasi nel 1931 con una tesi su Francesco Salviati, in quello stesso anno entra per concorso nell'amministrazione delle Antichità e Belle arti, nominata subito ispettrice presso la Galleria Borghese. Nel 1936 viene quindi trasferita alla Soprintendenza alle Gallerie di Napoli e qualche anno dopo alla Soprintendenza di Roma. Alla fine del 1939 trova la sua destinazione definitiva presso la Galleria nazionale d'Arte moderna. Donna raffinata e di bella personalità, si distingue subito per le indubbie doti professionali e per la frequentazione della vita mondana della capitale (in questi anni si unisce sentimentalmente allo scrittore e giornalista Paolo Monelli, che sposerà nel 1964). Allo scoppio della Seconda guerra mondiale sostituisce il direttore della Galleria Roberto Papini (richiamato alle armi), prendendone poi definitivamente il posto nel 1942. Durante il periodo bellico svolge un ruolo prezioso nel ricoverare in luoghi sicuri e così salvare dalle distruzioni il patrimonio artistico affidatole. All'indomani dell'8 settembre 1943, riesce inoltre a nascondere a Castel Sant'Angelo opere di inestimabile valore, preservandole dalla razzia delle truppe tedesche: un'iniziativa che qualche anno dopo le varrà un ammirato ritratto giornalistico di Indro Montanelli. Su suo impulso si tiene nel 1944, nella Roma appena liberata dagli Alleati, una grande mostra di opere di arte contemporanea. E quando alla fine del conflitto viene conferito alla Galleria nazionale d'Arte moderna lo statuto di Soprintendenza speciale all'Arte contemporanea, questa diventa presto uno dei centri fondamentali della politica culturale nel settore. Risale a questo periodo il suo incontro con Lionello Venturi, che importa dagli Stati Uniti il modello innovativo di museo quale luogo di scambio e di innovazione estetica: una concezione che lei abbraccia con entusiasmo e che da quel momento mette in atto con consumata capacità operativa. Il sodalizio tra i due, arricchito dall'amicizia con Giulio Carlo Argan, è destinato a rinnovare profondamente la concezione della fruizione dell'arte nell'Italia del dopoguerra. Resta difficile ripercorrere nel dettaglio la sua appassionata attività: mostre, esperienze didattiche e divulgative, studi raffinatissimi, vere e proprie 'scoperte', donazioni e depositi di opere da parte di privati. Il suo ruolo si rivela poi fondamentale nell'incoraggiare una generazione di giovani artisti: Piero Dorazio, Achille Perilli, Carla Accardi, Pietro Consagra, Giulio Turcato e molti altri. Resta importantissima la sua valorizzazione dell'arte astratta, culminata nel 1951 nella mostra "Arte astratta e concreta in Italia", organizzata dall'Art Club e dall'Age d'Or con la sua fondamentale azione di promozione e di impulso. Vanno inoltre ricordate le esposizioni "Picasso" (1953) e "Arte italiana contemporanea" (1955), tesa a far conoscere all'estero i giovani artisti italiani. Come ha scritto Maura Piccialuti, «orientava il mercato [dell'arte] piuttosto che subirlo». Grazie alla sua azione lo Stato ‐ attraverso le sue prestigiose strutture culturali ‐ può infatti svolgere un ruolo di educazione, orientamento e valorizzazione, dando corpo a una vera e propria politica culturale nel settore dell'arte. Da qui le inevitabili tensioni con gli ambienti più conservatori e con lo stesso mondo politico. Emblematica resta a questo proposito l'interrogazione parlamentare che il dirigente comunista presenta nel 1979 alla Camera per contestare l'avveniristica esposizione del "Grande Sacco" di Aberto Burri nella sede della Galleria. Negli anni Sessanta le sue monografie su Alberto Giacometti e Jean Fautrier testimoniano la profonda conoscenza maturata nel campo dell'arte contemporanea. Sviluppa inoltre un ambizioso programma di mostre di arte italiana contemporanea all'estero, autentica vetrina per giovani artisti emergenti. Costretta a lasciare il suo incarico nel marzo 1975 per sopraggiunti raggiunti limiti di età, nei successivi vent'anni continua tuttavia a curare mostre e importanti eventi culturali. Nel 1997 pubblica "Cronaca di sei mesi", memorie della sua attività al tempo della guerra. Muore a Roma il 25 luglio 1998. Luigi Francesco Des Ambrois de Nevâche (1807‐1874)

Nasce a Oulx (Torino) il 30 ottobre 1807 da una famiglia di nobili e militari. Laureatosi in legge a Torino nel 1828, viene assunto nell’ufficio del procuratore generale del Re e nel 1834 consegue il grado di sostituto procuratore. Tre anni dopo riceve l’incarico di redigere le osservazioni della Camera dei Conti sul progetto del codice penale albertino e nel 1839 prende parte anche alla redazione del codice di procedura penale. Nel 1841 viene nominato intendente della divisione di Nizza Marittima e tre anni dopo èchiamato alla reggenza del Ministero degli Interni, di cui diventa titolare nell’ottobre 1847. In questo periodo prepara un progetto di riforma dell’ordinamento comunale e provinciale del Regno diretto a garantire una forma di transizione dalla monarchia consultiva all’ordinamento costituzionale, largamente ispirato a criteri di decentramento e ricco di interesse anche per il ruolo attribuito al Consiglio di Stato. Le sue proposte confluiscono nell’Editto del 27 novembre 1847. Alla fine dell’anno passa alla guida del Ministero dei Lavori pubblici, dell’Agricoltura e del Commercio. Partecipa attivamente alla preparazione dello Statuto albertino: tra i redattori del proclama dell’8 febbraio 1848, riveste un ruolo di primo piano nella scelta del modello costituzionale francese del 1830. Nell’aprile 1848 viene eletto deputato per il collegio di Susa e l’anno dopo ènominato presidente della sezione Giustizia del Consiglio di Stato. Nel dicembre dello stesso 1849 viene nominato senatore del Regno. Vice‐presidente del Consiglio di Stato nel 1851 (fino alla riforma del 1859 la presidenza spettava formalmente al sovrano), nel 1860 èchiamato a presiedere la commissione incaricata di preparare i provvedimenti di unificazione legislativa. Da quel momento partecipa con contributi rilevanti a tutti i momenti di formazione delle nuove istituzioni unitarie. Dal 1865 ricopre anche la carica di presidente della Commissione per il contenzioso diplomatico. Nel novembre 1874 diventa presidente del Senato. Muore a Roma nella notte fra il 3 e il 4 dicembre 1874. Francesca Morvillo (1945‐1992)

Nasce a Palermo il 14 dicembre 1945. Laureatasi in Giurisprudenza all’Università di Palermo con una tesi su “Stato di diritto e misure di sicurezza”, vince il Premio Giuseppe Maggiore per la migliore tesi in discipline penalistiche del suo anno accademico. Seguendo le orme del padre Guido e del fratello Alfredo, decide di intraprendere la carriera di magistrato. Svolge così le funzioni di giudice del Tribunale di Agrigento, di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Palermo e quindi di consigliere della Corte d’appello di Palermo. Insegna anche materie giuridiche alla Scuola di specializzazione in pediatria della Facoltà di Medicina dell’Università di Palermo. Dopo un matrimonio non riuscito, conosce Giovanni Falcone nel 1979 e lo sposa civilmente nel maggio 1986. La sera del 23 maggio 1992, nei pressi dello svincolo di Capaci (sulla strada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo), una carica di 500 chilogrammi di tritolo fa saltare in aria sia l’auto nella quale sta viaggiando accanto al marito sia quelle della scorta. Gravemente ferita, viene sottoposta a una delicata operazione che non riesce tuttavia a salvarle la vita. Alla sua memoria è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile.

Giacomo Racioppi (1827‐1908)

Nasce a Moliterno (Potenza) il 21 maggio 1827. Il padre Francesco èun patriota, un giudice di pace e un professore privato di giurisprudenza. La sua formazione intellettuale, incentrata soprattutto sullo studio delle discipline storiche e letterarie, viene però influenzata dallo zio Antonio Racioppi, abate e professore di Letteratura italiana e latina presso il Collegio del Salvatore di Napoli, dove sotto la sua guida si trasferisce all’età di cinque anni. Il 22 febbraio 1849 viene arrestato per aver preso parte al movimento antiborbonico (è sospettato di essere iscritto alla Giovine Italia) e quindi incarcerato, senza un regolare processo, nella prigione di Santa Maria Apparente. Qui entra in contatto con altri patrioti e intellettuali vittime della repressione borbonica (tra i quali Luigi Settembrini, Antonio Scialoja e Michele Pironti), grazie ai quali riesce a sviluppare i suoi interessi in economia. Liberato il 7 giugno 1853 grazie all’intercessione dello zio, torna a Moliterno e per sette anni prosegue gli studi storico‐letterari, senza però rinunciare alla cospirazione patriottica. Nel 1860 partecipa da protagonista al processo di unificazione nazionale (ricoprendo un ruolo nella Giunta centrale di amministrazione, a fianco del governatore di Potenza Giacinto Albini) e organizza personalmente il plebiscito di annessione al Regno sabaudo. Nominato segretario prefettizio a Potenza e poi a Napoli, si dimette dall’incarico il 3 settembre 1863 per contrasti con il prefetto Rodolfo D’Afflitto. Ottenuta l’aspettativa, torna nuovamente a Moliterno e per circa dieci anni si dedica completamente agli studi di ricerca letteraria, storica ed economica secondo un eclettismo scientifico che lo avvicinava al movimento romantico di stampo idealistico di fine secolo. Durante questa fase di allontanamento dalla vita pubblica, alla quale non sembra estranea la disillusione per il nuovo Stato e il suo scarso impegno per il Meridione, scrive diverse opere. Tra queste spicca senz’altro la “Storia dei moti di Basilicata e delle province contermini nel 1860” (1867), nella quale la ricostruzione storica degli avvenimenti si sposa con la ricerca delle cause economico‐sociali all’origine dell’insurrezione delle popolazioni meridionali contro i Borboni (le stesse che in quel periodo continuano ad alimentare la piaga del brigantaggio). Torna all’impegno politico nel 1871, trasferendosi a Roma e divenendo capo della direzione generale di Statistica ed Economato presso il Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio in sostituzione del defunto Pietro Maestri, fondatore della statistica italiana. Nel 1876 viene nominato direttore generale dell’Economato e nel 1894 consigliere governativo dell’amministrazione del Banco di Napoli. Dal 1896 assume le funzioni di consigliere di Stato. In quegli anni prosegue comunque i suoi studi, pubblicando tra l’altro la biografia “Antonio Genovesi” (1871) e la “Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata” (1899). Viene nominato senatore del Regno nel 1905 e mantiene tale carica fino alla morte, avvenuta a Roma il 21 marzo 1908. Marco Tabarrini (1818‐1898)

Nasce a Pomerance (Pisa) il 31 agosto 1818 da una famiglia nobile. Segue gli studi secondari nel Collegio degli Scolopi di Volterra e continua la sua formazione alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Pisa. Si laurea nel 1842 e subito dopo si trasferisce a Firenze per esercitare l’avvocatura. Introdotto nei circoli letterari della città dal suocero Antonio Targioni Tozzetti, noto botanico, stringe amicizia con Giovan Pietro Vieusseux, guadagnandosi ben presto la sua stima e la sua ammirazione. Sebbene di tendenze moderate, nel 1848 prende parte alle lotte per l’indipendenza italiana. Nello stesso anno il presidente del Consiglio del governo provvisorio toscano Cosimo Ridolfi lo chiama a svolgere le funzioni di segretario. Negli anni precedenti l’unificazione èdeputato al Consiglio generale toscano, ministro dell’Istruzione (1849) e segretario del Consiglio di Stato di Firenze. La nomina al Consiglio di Stato del Regno d’Italia avviene il 18 giugno 1865 e per volere del presidente Des Ambrois de Navâche fa parte fino al 1869 della sezione Grazia e giustizia e successivamente della sezione Interno. In tale veste si occupa di rapporti fra Comuni, deputazioni provinciali e prefetti del Regno, opere pie, dichiarazioni di pubblica autorità per l’espropriazione di beni immobili nonché di interpretazione dei regolamenti preunitari in materia di organici dell’amministrazione. Partecipa attivamente a numerosi congressi internazionali e a molte commissioni ministeriali. Durante il Congresso internazionale di Statistica (1867) propone e fa approvare il principio secondo cui i documenti conservati negli archivi vanno distinti da quelli conservati nelle biblioteche per il loro carattere di atto pubblico o privato. Nello stesso anno redige la relazione al progetto di legge sulla tutela degli oggetti d’arte, d’antichità e delle memorie storiche. Nominato senatore del Regno il 15 novembre 1871, ne diventa segretario di presidenza (dal 1873) e vicepresidente (dal 1886 al 1897). Le indubbie capacità professionali e la fama di uomo colto e affidabile lo portano a ricevere nuovi incarichi di responsabilità all’interno dell’amministrazione. Presiede il Consiglio superiore per gli archivi (1888‐1897), prende parte a diverse commissioni d’inchiesta ed è più volte membro di commissioni di concorso pubblico. Cultore di studi storici e letterari, è anche presidente della Deputazione storica di storia patria per la Toscana così come dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo. Tra le sue opere si ricordano “Studi di critica storica” (1876), “Gino Capponi, i suoi tempi, i suoi studi, i suoi amici” (1879) e “Vite e ricordi di italiani illustri del secolo XIX” (1884). La sua azione in seno al Consiglio di Stato viene particolarmente apprezzata dal presidente Carlo Cadorna, che nel 1884 lo vuole alla Commissione di sorveglianza per le spese d’ufficio. Presidente del Consiglio di Stato dal 3 dicembre 1891, muore a Roma il 14 gennaio 1898. Luigi Pagliani (1847‐1932)

Nasce a Genola (Cuneo) il 25 ottobre 1847. A soli 21 anni si laurea in Medicina all’Università di Torino, la stessa in cui diventerà titolare della prima cattedra di Igiene (dal 1881 al 1924). Viaggia in Germania, Francia, Belgio, Olanda e Svezia per studiare i loro progressi nel campo sanitario, quindi nel 1878 fonda nel capoluogo piemontese il primo Istituto italiano sperimentale di Igiene e (insieme a Giacinto Pacchiotti) la Società di Igiene di Torino. Nel 1885 il Ministero dell’Interno gli affida l’inchiesta epidemiologica per la comparsa del colera in Sicilia ed egli indica le misure profilattiche necessarie per l’organizzazione della “difesa sanitaria”. Inizia così la sua collaborazione con il Governo, in particolare con Francesco Crispi. E’ proprio quest’ultimo che, assunta la Presidenza del Consiglio e la titolarità del Ministero dell’Interno, lo chiama a dirigere la nuova Direzione generale della Sanità pubblica. Il suo impulso èdecisivo per l’approvazione parlamentare del Codice sanitario (Legge 22 dicembre 1888, n. 5849), alla cui attuazione si dedica nei successivi dieci anni. Fonda e radica così nel territorio un moderno sistema sanitario, istituendo tra l’altro le figure del medico e del veterinario provinciale. Gli strumenti di direzione previsti dalla nuova legge consentono a questi ultimi (e anche al prefetto) di guidare i Comuni verso una gestione più efficace della sanità locale. Il vero fiore all’occhiello della sua gestione resta comunque l’istituzione nel novembre 1887 di una Scuola di Igiene, che nelle intenzioni dello stesso Crispi dovrebbe sostituirsi alla formazione universitaria (considerata del tutto insufficiente e inidonea) come luogo di istruzione e di perfezionamento per medici, ingegneri, veterinari e farmacisti già in possesso di laurea e diplomi universitari. Vi vengono impiantati laboratori di chimica e di microscopia applicate all’igiene, e da quel momento si forma un gruppo di ‘discepoli’ (tra questi anche l’eminente igienista accademico Achille Sclavo). A lui si deve anche la nascita della “Rivista di igiene e sanità pubblica”. Quando lascia la direzione generale nel 1896 (in coincidenza con la caduta di Crispi) l’apparato centrale della Sanità venne però completamente smantellato e ridotto nuovamente al rango di divisione nell’ambito della direzione generale dell’amministrazione civile. La Scuola di Igiene viene soppressa e il servizio veterinario passa al Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio. Lui stesso viene allontanato con il pretesto che la salute pubblica ècosa troppo importante per essere lasciata ai medici. Tornato all’insegnamento universitario, continua tuttavia a impegnarsi sullo stesso terreno, fondando nel 1905 la “Rivista di ingegneria sanitaria” e dedicandosi alla stesura di un “Trattato di igiene e sanità pubblica” che tra il 1905 e il 1913 viene pubblicato in più volumi ed edizioni. Noto appartenente alla massoneria, si distingue anche come uno dei più convinti sostenitori della cremazione (tra il 1902 e il 1932 mantiene ininterrottamente la presidenza della Società per la cremazione di Torino). Membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione dal 1905 al 1909 e poi dal 1917 al 1919. Muore a Torino il 4 giugno 1932.

Arrigo Serpieri (1877‐1960)

Nasce a Bologna il 15 giugno 1877. Laureatosi nel 1900 in Scienze agrarie presso la Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, entra nel corpo docente dell’istituto come docente di Estimo. Nel 1906 si trasferisce a Perugia dopo aver vinto il concorso per una cattedra presso la Scuola superiore di Agricoltura. Inizia a collaborare con le istituzioni nel 1910, scrivendo la legge forestale voluta da Luigi Luzzatti e Francesco Cocco Ortu. Dirige dal 1912 il neonato Istituto Nazionale Forestale di Firenze e l’anno successivo ottiene la cattedra di Economia ed Estimo rurale all’Istituto superiore agrario e forestale del capoluogo toscano. In questo periodo compie importanti studi sui pascoli alpini in Lombardia, prima importante azione per il miglioramento dei pascoli di montagna. Attivissimo, già prestigioso esponente della nuova élite dei tecnici agrari che va affermandosi nell’Italia giolittiana, promuove un nuovo indirizzo nella politica forestale del periodo. Volontario nella Prima guerra mondiale, dirige come ufficiale del Genio il servizio per l’approvvigionamento del legname e la gestione dei servizi forestali. Presidente dal 1919 al 1935 del Segretariato per la montagna, per oltre un quindicennio influenza in modo decisivo le politiche governative di settore. Socialista riformista e di idee progressiste, aderisce tuttavia al Partito nazionale Fascista anche nell’illusione che un governo più autoritario avrebbe potuto meglio realizzare gli ambiziosi progetti di modernizzazione economica. Nominato nel 1923 sottosegretario per l’Agricoltura nel Ministero dell’Economia nazionale, promuove importanti misure legislative sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse, sugli usi civici, sull’istruzione agraria e su quella professionale dei contadini. Sostenitore della piccola proprietà agraria e di un regime economico competitivo, si schiera a favore dello sviluppo delle moderne imprese indipendenti contrapposte al latifondo assenteista. Grande conoscitore dell’economia agraria ed esperto di risorse idrauliche, fornisce un fondamentale apporto alla legge forestale (Regio decreto legge 30 dicembre 1923 n. 3267) e a quella sulla bonifica integrale (Legge 13 febbraio 1933 n. 315). Nel corso degli anni Venti riforma inoltre l’organizzazione degli Istituti agrari, trasferendone tutte le competenze al Ministero dell’Economia e creando gli Istituti tecnici agrari per la formazione di personale con qualifiche intermedie. Dopo essere stato sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura dal 1929 al 1935, diventa professore ordinario di Economia e politica agraria all’Università di Firenze, di cui è rettore dal 1937 al 1939. In quest’ultimo anno viene anche nominato senatore del Regno. Presidente dell’Accademia dei Georgofili dal 1926 al 1944 e socio corrispondente dell’Istituto veneto di Scienze, lettere e arti. Caduto il regime, viene deferito alla Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo e solo dal 1947 può riprendere l’insegnamento universitario. Tra le sue opere si ricordano “Il contratto agrario e le condizioni dei contadini nell’alto Milanese” (1910), “Le proposte di modificazione alla legge forestale (1911)”, “La guerra e la crisi del legname in Italia” (1916), “Il metodo di stima dei beni fondiari” (1917), “Per l’approvvigionamento del legname nel dopoguerra” (1919), “Le montagne, i boschi, i pascoli” (1920), “Studi sui contratti agrari” (1920), “La politica agraria del governo nazionale” (1924), “Problemi della terra nell’economia corporativa” (1929), “La bonifica integrale” (1930), “La bonifica delle terre (1937)”, “La riforma agraria in Italia” (1946), “La legislazione sulla bonifica” (1948) e “Istituzioni di Economia agraria” (1956). Muore a Firenze il 29 gennaio 1960. Rina Monti (1871‐1937)

Nasce ad Arcisate (Varese) il 16 Agosto 1871. Iscrittasi ai corsi di Scienze naturali dell’Università di Pavia (una scelta coraggiosa per quei tempi), si laurea a pieni voti nel 1892. Appassionata della ricerca scientifica, rinuncia all’insegnamento nelle scuole secondarie e intraprende la carriera universitaria. Assistente di Mineralogia con il professor Francesco Sansoni, passa in seguito all’Anatomia comparata sotto la guida di Leopoldo Maggi. Nel 1899 ottiene a soli 28 anni la libera docenza in Anatomia e Fisiologia comparata e nel 1902 assume la direzione del gabinetto di Anatomia comparata pavese e il relativo incarico di insegnamento. Partecipa intanto a vari concorsi ma senza vincerne alcuno, probabilmente perché il suo essere donna costituisce a quei tempi un ostacolo difficilmente superabile. Nel 1905 riceve comunque l’incarico di Zoologia e Anatomia comparata presso l’Università di Siena e due anni dopo risulta seconda classificata al concorso. Viene quindi chiamata all’insegnamento di Zoologia e Anatomia comparata all’Università di Sassari. Tre anni più tardi èpromossa professore ordinario, prima donna nella storia dell’università italiana. Sposa il geologo Augusto Stella e una delle sue due figlie, Emilia Stella, diventerà a sua volta una nota limnologa. Nel 1915 torna all’Università di Pavia, insegnando prima Zoologia e poi Anatomia comparata. La neofondata Università di Milano le chiede nel 1924 di curare la sezione naturalistica. Vi rimane occupando la cattedra di Anatomia e Fisiologia comparata della Facoltà di Scienzenonchétenendo il corso di Biologia generale e di Zoologia e Anatomia comparata alla Facoltà di Medicina. Viene collocata a riposo nel 1936. Muore a Pavia pochi mesi dopo, il 25 gennaio 1937. Domenico Carutti di Cantogno (1821‐1909)

Nasce a Cumiana, circondario di Pinerolo (Torino), il 26 novembre 1821. Nel 1838 inizia a studiare Giurisprudenza all’Università di Torino per poi trasferirsi a quella di Pisa, ma senza conseguire la laurea. Ai suoi anni giovanili risalgono i primi scritti di narrativa e poesia, generi che continuerà a coltivare nel corso degli anni insieme alla stesura di opere a carattere storico, molte delle quali sulla dinastia dei Savoia. La frequentazione dei circoli liberali piemontesi e poi di quelli toscani (tra il 1841 e il 1843 vive aFirenze in stretto contatto con Giovan Pietro Vieusseux) rafforzano in lui la spinta all’impegno civile e politico. Tornato a Torino, inizia a collaborare alla “Concordia” diretta da Lorenzo Valerio e dirige con Domenico Berti la “Rivista italiana”. Aderisce alla Società per la confederazione italiana e nel 1849 entra nel Ministero degli Esteri. Sostenuto nella sua carriera dal presidente del Consiglio Vincenzo Gioberti, diventa plenipotenziario per la negoziazione e sottoscrizione di trattati e convenzioni con potenze estere: tra questi il trattato relativo ai confini con la Francia, la convenzione per la proprietà letteraria con la Spagna, il trattato di commercio con la Repubblica del Salvador, la convenzione di amicizia e buon vicinato con la Repubblica di San Marino. Nel 1859 viene nominato segretario generale del Ministero degli Esteri. In quello stesso anno elabora tra l’altro la prima stesura del Memorandum sardo all’Inghilterra sulle lagnanze degli italiani contro l’Austria, pubblicato da Cavour sulla base dei promemoria ricevuti dalle rappresentanze della Lombardia. Membro della commissione incaricata di trattare la cessione di Nizza e della Savoia, nel 1862 ènominato “ministro residenziale del re” presso la corte olandese e nel 1864 viene promosso inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso la stessa corte. Durante la sua permanenza nei Paesi Bassi si adopera per aprire quel mercato ai titoli di credito italiani. La nomina a consigliere di Stato arriva nell’aprile 1869. Esponente della Destra, viene eletto deputato nelle legislature VII e VIII (dall’aprile 1860 al settembre 1865), XI e XII (dal dicembre 1870 all’ottobre 1876). Tra i suoi interventi alla Camera si ricordano quello pronunciato il 21 dicembre 1870 in occasione del plebiscito romano nonché il discorso nel gennaio 1871 sulle guarentigie pontificie e quello pronunciato durante la discussione del progetto di legge per la soppressione delle corporazioni religiose nella provincia romana. Nel febbraio del 1873 riafferma le sue convinzioni conservatrici e cattoliche alla Commissione d’inchiesta sull’istruzione maschile e femminile promossa dal ministro Antonio Scialoja, soffermandosi in particolare sulla concorrenza tra istituti scolastici governativi e istituti religiosi, sui libri di testo e sugli esami. Dopo la caduta della Destra abbandona la vita politica e nel 1879 si trasferisce definitivamente a Torino dove riceve l’incarico di dirigere la Biblioteca reale. Riprende gli amatissimi studi storici e letterari e diventa segretario dell’Accademia dei Lincei. Nominato senatore nel gennaio 1889, il mese dopo viene collocato a risposo dal Consiglio di Stato. Muore a Cumiana il 4 agosto 1909.

Giovanni Battista Grassi (1854‐1925)

Nasce a Rovellasca (Como) il 27 marzo 1854 da una famiglia benestante milanese. Si laurea nel 1878 in Medicina e Chirurgia all’Università di Pavia e nel corso dei suoi studi riesce a isolare le uova dell’anchilostoma, un parassita dell’uomo responsabile di gravissime anemie, indicando sia la via di infezione trans‐cutanea (e non, come si credeva, oro‐fecale) sia le misure per prevenirne la diffusione. Si tratta della prima dimostrazione delle sue capacità analitico‐scientifiche così come della sua spiccata propensione a occuparsi di tematiche dai risvolti socio‐economici. Concepisce infatti la ricerca non tanto come un’attività fine a se stessa quanto piuttosto come un mezzo per migliorare le condizioni di vita della collettività. Terminati gli studi universitari, svolge attività di studio e ricerca in Germania a Würzburg e all’Università di Heidelberg (dove conosce la ricercatrice Marie Koenen che di lì a poco diventa sua moglie) mentre in Italia lavora presso la Stazione Oceanografica di Messina e la stazione Zoologica di Napoli. I risultati di questi intensi anni di ricerca vengono raccolti nella monografia sui Chetognati e nella memoria su “Lo sviluppo della colonna vertebrale nei pesci”, entrambe pubblicate nel 1882 dall’Accademia dei Lincei. A soli 29 anni viene nominato professore di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata all’Università di Catania. Si trasferisce a Roma nel 1885, dove gli viene assegnata la cattedra di Anatomia comparata e la direzione dell’Istituto di Biologia. In questo periodo si occupa tra l’altro di entomologia di base (scoprendo un nuovo ordine di aracnidi che battezza “Koenenia mirabilis”) e di entomologia applicata all’agricoltura e alla medicina. Nel 1896 èil primo italiano ad essere insignito dalla Royal Society di Londra della Medaglia di Darwin per le sue ricerche sulle termiti e sulle anguille. I suoi primi studi sulla malaria risalgono invece al 1888, quando analizza la malaria degli uccelli e ne identifica e descrive gli sporozoi. Il suo nome resta comunque legato alla descrizione del ciclo vitale del plasmodio (il parassita che causa la malaria nell’uomo) all’interno del corpo delle zanzare femmine del genere genere Anopheles clavinger e all’identificazione della trasmissione del parassita dal corpo dell’insetto all’uomo attraverso le ghiandole salivari della zanzara. Il 4 dicembre 1898, nel corso di una sessione ufficiale dell’Accademia dei Lincei, viene letta una sua nota nella quale si anticipano i primi risultati della ricerca e un anno e sette mesi dopo pubblica un’ampia monografia dal titolo “Studi di uno zoologo sulla malaria”. Per questa sua scoperta non riceve però alcun riconoscimento internazionale ma anzi deve subire nel 1902 la beffa di vedere Ronald Ross ricevere il Premio Nobel per la medicina proprio per i suoi studi sulla malaria degli uccelli. Nominato senatore del Regno il 3 giugno 1908, si iscrive al Gruppo Liberale‐democratico e poi all’Unione Democratica. Insieme ai suoi più stretti collaboratori è anche in prima linea nelle campagne antimalariche condotte nell’Agro Portuense, a Fiumicino, lungo il Tevere, nell’Agro Pontino, nella pianura di Capaccio nei pressi di Paestum. In questo periodo promuove sia la cosiddetta profilassi meccanica (una schermatura fisica per evitare il contatto con gli insetti nelle zone affette da anofelismo) sia la profilassi chimica attraverso la somministrazione del chinino. Si dedica anche allo studio di un altro dannosissimo parassita, la filossera della vite (Phylloxera vastatrix), che colpiva le coltivazioni di vite in tutta Europa. Dopo essersi occupato di medicina sociale con ricerche sulla necrosi fosforica che colpiva i lavoratori dell’industria dei fiammiferi e di gozzo endemico comune nelle vallate alpine italiane, torna a occuparsi di malaria sul finire del primo conflitto mondiale, allorquando si verifica una recrudescenza dell’epidemia in Italia. Gli studi di quegli anni lo portano a dimostrare la presenza dell’anofelismo senza malaria, ovvero l’esistenza di una specie criptica di zanzara anofele che non punge l’uomo ma solo gli animali. Muore a Roma il 4 maggio 1925. A suo nome sono intitolate piazze, strade, istituti e ospedali. A 30 anni dalla sua morte le Poste Italiane lo hanno commemorato con un francobollo da 25 lire.