Testimoni Di Libertà. Chiesa Bresciana E Repubblica Sociale Italiana
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MAURILIO LOVATTI Testimoni di libertà Chiesa bresciana e Repubblica Sociale Italiana (1943 – 1945) Grafica: Tipografia Camuna S.p.A. - Breno/Brescia © Edizioni Opera Diocesana San Francesco di Sales - Brescia 2015 ISBN: 978-88-6146-066-9 È vietata la riproduzione dei testi senza autorizzazione scritta. Prefazione “Purificare la memoria” è un compito delicato e indispensabile per una crescita equilibrata delle persone e della società. Con quest’e- spressione s’intendono almeno due cose. Anzitutto non censurare il passato, non nasconderlo o non alterarlo perché non ci piace, perché non corrisponde all’idea che vogliamo avere di noi stessi; poi pren- dere una posizione corretta nei confronti del passato, riconoscendo- ne con sincerità gli errori e le insufficienze in modo da superare il rischio di ripeterli. La ‘censura’ a livello personale produce nevrosi e quindi immagini infondate e comportamenti irrazionali; a livello sociale, poi, censurare il passato produce intolleranza, aggressività, incapacità di un dialogo sincero e fruttuoso. Di dialogo abbiamo un bisogno profondo e urgente in questi tempi nei quali le cultu- re si confrontano, si contrappongono, si criticano a vicenda; e per il dialogo è condizione previa necessaria la sincerità, la correttezza, la libertà interiore. Ora, nella nostra memoria di Italiani hanno un posto importante gli anni del fascismo, della guerra e della resisten- za. Rivisitare quegli anni, farlo con un animo obiettivo e sereno, è indispensabile per costruire poco alla volta, con fatica, una memoria 5 che sia condivisa e che contribuisca, quindi, ad arricchire la com- pattezza morale del nostro paese. Non è un impegno facile perché anche la memoria è sottomessa a valutazioni animose, di parte, che tendono a esacerbare i conflitti e a contrapporre le interpretazioni. Per questo scopo il libro di Lovatti è un contributo prezioso del quale non possiamo che essere riconoscenti. Negli anni cui ci rife- riamo il clero ha avuto una notevole importanza nel dirigere la co- scienze delle persone e quindi nell’orientare le loro scelte. Questo vale per tutto il territorio italiano, ma vale in particolare per una provincia come quella di Brescia nella quale il radicamento religio- so è stato e rimane fortissimo. Come si sono comportati i preti in quegli anni? Come hanno interpretato la loro missione negli anni della guerra, negli anni della resistenza? L’esposizione di Lovatti è chiara, documentata e serena. I diversi atteggiamenti del clero nei confronti della resistenza che l’autore delinea offrono un criterio preciso per orientarsi in un campo che non è facile da esplorare. Come ci viene ricordato, infatti, i preti erano più di mille in dio- cesi; e se anche qualcuno fosse disposto a studiarli uno per uno, i documenti rimasti sono scarsi e non ci permetterebbero di giunge- re a risultati sufficientemente precisi. E tuttavia la visione del clero bresciano nel suo complesso non è incerta. Da una parte l’atteggiamento di mons. Gaggia aveva immesso da subito, nel tessuto della diocesi bresciana, degli anticorpi note- 6 voli di fronte all’ideologia fascista; dall’altra l’anticlericalismo di al- cune autorità fasciste aveva favorito una presa di distanza progres- siva. Le contraddizioni rispetto alla visione cristiana della vita era- no emerse sempre più chiare alla coscienza di molti. Lovatti indica come un momento decisivo di questa consapevolezza le leggi raz- ziali del 1938. L’atteggiamento istintivo dei cristiani nel confron- ti dell’autorità è improntato al lealismo, nel riconoscimento che l’autorità corrisponde a un bisogno della società e quindi entra nel disegno di Dio sulla convivenza umana. Ma questo lealismo non può essere cieco, incondizionato: “Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini” avevano affermato Pietro e Giovanni di fronte al Sinedrio; e da allora questa consapevolezza è rimasta chiara, non contestata nella visione cristiana della vita. “Ribelle per amore” è lo slogan (di Teresio Olivelli) che ha il- luminato molte coscienze e ha determinato molte decisioni: ‘ribel- le’, perché ci sono comportamenti che non si possono accettare per nessun motivo e ai quali è dovere ribellarsi – quei comportamenti che violano la dignità della persona umana; ma ribelle ‘per amore’ dell’uomo, di quell’uomo che Dio ha creato e a cui Dio ha dato una vocazione divina. Senza odio, senza volontà di vendetta. Non è fa- cile insediarsi a questa altezza di valori, ma non ci si può acconten- tare di meno. Bisogna tendere lì e solo lì fissare la dimora. È bello che Lovatti faccia emergere i sentimenti di umanità che hanno il- 7 luminato anche scene di per sé buie; chissà, forse nel cuore dell’uo- mo, nascosta magari nel profondo, rimane sempre una scintilla di umanità che è nostro compito fare emergere e valorizzare. Solo così possiamo “sperare nell’uomo”, sempre. La purificazione della memoria richiede anche di dare un giudi- zio sulle scelte del passato in modo da discernere, nei limiti del pos- sibile, il bene dal male, le scelte sagge da quelle stupide. Non si tratta mai di giudicare le singole persone; questo esce dalle nostre possibi- lità perché nessuno è in grado di raccontare in modo corretto la sto- ria degli altri. Motivazioni fisiche, psicologiche, spirituali, relazionali, politiche… s’intrecciano nelle singole scelte delle persone e chi mai è in grado di districare questo complesso di legami? Lasciamo a Dio il giudizio sulle persone. Ma il giudizio sulle scelte deve essere anche nostro; ci sono scelte intelligenti e scelte stupide: distinguere le une dalle altre ci permette di diventare un po’ meno stupidi e un po’ più intelligenti; questo è un vantaggio per noi e per la società in cui vivia- mo. Ci sono scelte buone e scelte cattive; discernere le une dalle altre ci rende un poco più buoni e rende migliore la società in cui vivia- mo. A questo non possiamo rinunciare. Il libro di Lovatti è l’occasio- ne per rinnovare e approfondire e calibrare elementi che abbiamo in memoria e che ci aiutano a muoversi all’interno del mondo di oggi. Il giudizio nei confronti del fascismo è sufficientemente condi- viso nella società italiana di oggi, ma non si può mai dare nulla per 8 scontato. Bisogna far emergere le motivazioni per le quali un cer- to giudizio viene emesso; bisogna mettere in luce i valori che sono operanti in un giudizio. Solo così si può trasmettere da una gene- razione all’altra una base ferma, che permette di procedere retta- mente e di costruire solidamente. Il libro di Lovatti ci accompagna in questo itinerario; siamo convinti che la fatica non piccola cui Lovatti si è sottomesso possa portare frutti buoni di intelligenza e di comunione. Mons. Luciano Monari Vescovo di Brescia Brescia, luglio 2015 9 Introduzione Nella sezione Aned (Associazione nazionale ex deportati) di Bre- scia, è appeso un pannello con le foto scattate il 29 maggio 1982 quando, in piazzale Cremona, venne inaugurato il monumento ai deportati nei lager nazisti. In quel giorno, alla presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e del sindaco di Brescia Cesare Trebeschi, padre Car- lo Manziana – superstite di Dachau – benedisse l’opera “A perenne memoria” di quella immane, tragica deportazione, costata la vita a 11 milioni di innocenti. Dopo l’8 settembre 1943, nella diocesi di Brescia era nata una Resistenza attiva. I padri Filippini della Pace, a cui apparteneva pa- dre Carlo Manziana, da sempre avevano messo in rilievo l’incom- patibilità della dottrina fascista e nazista con il cristianesimo (una incompatibilità non sempre avvertita in altri ambienti cattolici). Padre Carlo non ebbe mai dubbi sul dovere di una resistenza cul- turale e morale dinnanzi al regime. I fascisti (che già una volta nel 1926 avevano “invaso” la sede dei Filippini di Brescia) e i nazisti lo ritenevano un nemico che doveva 11 essere tolto dalla circolazione insieme con altri sacerdoti e laici (fra questi l’amico fraterno, avvocato Andrea Trebeschi) e il 29 febbraio 1944 lo deportarono a Dachau. Approfondendo la figura di padre Carlo, nacque nella nostra sezione Aned, il desiderio di conoscere, nei limiti del possibile, il numero dei religiosi bresciani che avevano dato il loro contributo alla lotta di Resistenza, chi erano, come avevano operato nel quadro della loro missione e come erano giunti a una scelta coerente con la loro coscienza, ma spesso in contrapposizione con ordini superiori. Una scelta certo non facile per chi era stato educato ad ubbidire, ma obbligatoria per seguire la voce intima che li invitava a diven- tare “ribelli per amore”. Durante i primi mesi della mia presidenza (2013) da quella ricer- ca emersero tre dati importanti: 1. il numero dei religiosi deportatati da tutta Europa era altis- simo, circa 2.750 ( la maggior parte cattolici – 2.550 – ma anche valdesi. Di questi circa 1.400 avevano trovato la morte nel lager. 2. In 70 anni dalla chiusura dei campi, mai vi era stata una ce- rimonia ufficiale per onorare le loro inimmaginabili sofferenze e le loro morti. 3. Nella quasi totalità i religiosi internati erano stati concen- trati (pare su pressioni vaticane sui massimi dirigenti nazisti) in un solo lager, Dachau, nelle vicinanze di Monaco di Baviera. 12 Questo era, quindi, il luogo simbolicamente più indicato per ri- cordarli. Proprio in questo campo di concentramento padre Manziana di Brescia, don Giovanni Fortin di Padova e don Giuseppe Girotti di Torino, assistendo con generosità gli internati, furono i grandi susci- tatori di speranza in mezzo alla disperazione infernale. Da qui il nostro duplice impegno di lavoro. Per prima cosa era nostra intenzione sintetizzare il materiale rac- colto in brevi schede e pubblicarlo per onorare e divulgare il sacri- ficio dei deportati nei lager e dei religiosi bresciani impegnati nella Resistenza. Grazie al lavoro del professor Lovatti è nato così questo prezio- so libro che dà giusto riconoscimento e luce ai religiosi bresciani che parteciparono alla Resistenza, e alla loro sofferta scelta in un periodo di caos totale.