FUORI DAL LIMBO Teorie E Direzioni Progettuali Di Resistenza Alle Mafie

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FUORI DAL LIMBO Teorie E Direzioni Progettuali Di Resistenza Alle Mafie Alma Mater Studiorum – Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE PEDAGOGICHE Ciclo XXVIII Settore concorsuale di afferenza: 11/D1 – Pedagogia e Storia della Pedagogia Settore scientifico – disciplinare: M-PED/01 – Pedagogia generale e sociale FUORI DAL LIMBO Teorie e direzioni progettuali di resistenza alle mafie Presentata da Elena Gazzotti Coordinatore Dottorato Relatore Prof.ssa Emma Beseghi Prof. Maurizio Fabbri Esame finale anno 2016 1 INDICE Introduzione 5 1. Cornice socio-culturale: le mafie interpretate 11 1.1 Il nome della cosa 12 1.1.1 Territori e denominazioni 12 1.1.2 “Mafia” come etichetta vincente 17 1.2 Dalla mafia alle mafie? 21 1.3 Le mafie nella normativa italiana: i passaggi fondamentali e il dibattito attuale 25 1.3.1 Il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso 27 1.3.2 La contiguità alle mafie e la giustizia penale 29 1.4 Interpretare le mafie 31 1.4.1 I primi studi sulle origini di mafia e camorra 33 1.4.2 Gli approcci culturali 43 1.4.3 Stato e anti-stato: la mafia come ordinamento giuridico 55 1.4.4 La mafia imprenditrice 60 1.4.5 Il capitale sociale delle mafie 70 1.4.6 Organized crime e dibattito internazionale 77 1.4.7 Punti di forza e punti di fragilità dei vari approcci 80 2. Storia delle mafie 91 2.1 Premessa 91 2.2 Le mafie come fenomeni moderni 93 2.2.1 Mafie alle origini: l’Ottocento meridionale 96 2.2.2 Terre e commerci tra l’Italia Unita e l’Italia fascista 109 2.2.3 Le opportunità di ricostruzione per le mafie durante l’occupazione alleata 119 2.2.4 Anni ’50-’70: i grandi affari dell’urbanistica e dei contrabbandi 121 2.2.5 Anni ’70-90: il mercato delle droghe e la centralità di Cosa nostra 130 2.2.6 Il trapianto delle mafie nel Centro-nord Italia 143 2.2.7 Dagli anni ‘90 a oggi: il potere della ‘ndrangheta 152 2 2.2.8 Europeizzazione e crimine mafioso 163 2.3 Mafie altrove 168 2.3.1 Origine e sviluppo della yakuza giapponese 169 2.3.2 Le triadi cinesi a Hong Kong 173 2.3.3 La crisi dell’URSS e la Mafia russa 176 2.3.4 La mafia negli Stati Uniti di primo Novecento: gli effetti distorti del proibizionismo 177 3. La società civile antimafia: verso l’educazione 183 3.1 Antimafia e legalità come obiettivi educativi: parole logore? 183 3.2. Istituzioni e movimenti antimafia 189 3.2.1 Dall’Unità d’Italia agli anni ’50. L’impegno antimafia nelle lotte per i diritti dei contadini e dei lavoratori 190 3.2.2 Gli anni ’50 e ’70 come periodo di transizione 198 3.2.2.1 Danilo Dolci: nonviolenza e sviluppo maieutico reciproco 205 3.2.2.2 Giuseppe Impastato, controcultura mafiosa 212 3.2.3 Dagli anni ’80 a oggi: la centralità del discorso educativo e della società civile 217 3.3 Sostare per riflettere. Educazione e antimafia oggi tra luci e ombre 229 4. Spunti progettuali 233 4.1 La ricerca: interessi, obiettivi, strumenti, metodi 233 4.2 Riconoscere le mafie 237 4.2.1 Riconoscere la mafia in Germania: la nascita dell’associazione Mafia? Nein, Danke! 239 4.3 Parlare delle mafie 248 4.3.1 Mafia? Nein, Danke! e le scuole 250 4.4 Fare memoria 253 4.4.1 Il Centro Studi, ricerche e documentazione Sicilia/Europa “Paolo Borsellino” 255 4.5 Riappropriarsi degli spazi pubblici 260 4.5.1 Il progetto “Adotta un parco” 264 4.6 Iniziarsi all’impegno 270 3 4.6.1 In viaggio…nelle terre dell’impegno 272 4.7 Il discorso pedagogico e l’antimafia 283 4.7.1 Decostruire la pedagogia mafiosa 284 4.7.2 Educazione, legalità e cittadinanza 290 4.8 Riflessioni conclusive 298 Conclusioni 303 Bibliografia 311 Documenti 326 Filmografia e sitografia 327 4 INTRODUZIONE Secondo Duccio Demetrio, una ricerca può cominciare sia da un dubbio, una domanda, una curiosità di ordine concettuale, sia dall’esperienza: un incontro, un problema pratico, una conversazione1. Riconosco diversi incontri significativi che mi hanno spinto ad avvicinarmi al tema di questa ricerca. In un’assemblea di istituto a cui partecipai in quarta superiore, durante gli anni di liceo scientifico, ho incontrato la figura di Giuseppe “Peppino” Impastato, attraverso la narrazione cinematografica di Marco Tullio Giordana, I cento passi (2001). Il regista aveva scelto di raccontare la storia della formazione e dell’impegno civile di questo giovane della provincia palermitana, ucciso dalla mafia ad appena trent’anni. Ricordo che il film mi suscitò grande commozione, rabbia, e diverse domande. Com’era possibile che un ragazzo fosse morto nella difesa della sua città da una cattiva amministrazione e che le istituzioni non si adoperassero per ottenere verità e giustizia per la sua morte? Cos’era la mafia? Ma, soprattutto, mi colpì in modo profondo la sua dedizione alla cura del suo paese e il suo coraggio di compiere scelte di rottura così nette con gli affetti, la sua famiglia che significava famiglia mafiosa. Quando riuscii a procurarmi il libro a cura del Centro Studi palermitano a lui dedicato, che ne raccoglieva biografia, scritti, poesie, copioni della satira su Mafiopoli, rimasi toccata dalla sua sofferenza e dal grido di libertà che il suo impegno narrava. Anche se nei contesti formativi in cui ero inserita, la parrocchia, il liceo, non trovai riferimenti per approfondire la parte di storia del nostro Paese che è segnata dalla violenza mafiosa, la biografia di Peppino mi orientò a cercare di capire meglio le ingiustizie attorno a me e a sperimentare forme di impegno civile. La mafia rimase, per me, problema geograficamente lontano, che mi suscitava rabbia e che mi richiamava ad un’assunzione di responsabilità che interpretavo allora solo come possibili forme di solidarietà a chi contrastasse tale potere. Fino a quando, nel 2007, durante un campo estivo organizzato dalla Caritas diocesana modenese, incontrai il responsabile del Consorzio GOEL, cioè una rete di cooperative sociali, associazioni, comunità calabresi che si erano riunite attorno alla finalità di costruire percorsi alternativi sul territorio alle forme di oppressione mafiosa. Vincenzo Linarello ci disse che non avremmo dovuto considerare il problema della 1 D. Demetrio, Micropedagogia: la ricerca qualitativa in educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1992. 5 mafia, o meglio della ‘ndrangheta, come fatto che riguardava solo la Calabria, o la Sicilia… e ce lo disse iniziando ad elencare: l’attentato davanti all’Agenzia delle entrate di Sassuolo (MO), la scoperta di un arsenale vicino a Maranello (MO), e così via. Non fui solo stupita dal fatto che anche la civilissima zona in cui abitavo era toccata da fenomeni oscuri e così pericolosi, ma anche dal fatto che lui, che viveva a circa 1.000 km di distanza, ne fosse informato e io no. Anche questo incontro segnò un cambiamento per me, decisi di approfondire, insieme ad altri, la realtà della presenza delle mafie nel luogo in cui vivevo e di mettermi in gioco per organizzare iniziative rivolte alla città, inizialmente molto simboliche… Come la celebrazione della giornata della memoria e dell’impegno per le vittime delle mafie, il 21 marzo nel salotto della nostra comunità, che preparai mentre studiavo l’esame di Riflessività e Deontologia pedagogica e quindi decisi di intitolare “Dalla condizione data… alla destinazione prescelta”. Non fu uno scuotimento minore quello che provai quando, con una decina di minuti di preavviso, mi obbligarono gentilmente a parlare, a nome del gruppo di volontari impegnati in città, a un centinaio di bambini siciliani che frequentavano le scuole elementari, in occasione dell’anniversario dalla morte di Paolo Borsellino. Ormai abituata agli imprevisti, misi abilmente da parte l’ansia per non essermi preparata e mi concentrai rapidamente su un pensiero: “Se fossi una bambina come loro, cosa potrebbe interessarmi di quello che stiamo facendo? Quale messaggio riuscirei a percepire come vicino? Quale comunicazione potrebbe essere adatta?”. E così, mi ricordai, fu come in un flashback, di me bambina, davanti alla televisione mentre ascoltavo la notizia della morte di Giovanni Falcone prima, di Paolo Borsellino poi. Nel mio ricordo ero sola davanti alla TV e incapace di comprendere perché mai avessero ucciso due persone così giuste. Allora decisi di partire proprio da me, dal fatto che magari anche loro si stavano facendo molte domande sulla giustizia e che ad essi si apriva l’opportunità di avere insegnanti e amministratori interessati alle loro domande; e gli spiegai che da una città un po’ lontana – ma non troppo – avevamo scelto proprio la loro città, piena di iniziative innovative e interessanti, per continuare a cercare risposte a quelle domande e imparare come si può essere più giusti. Questi incontri mi hanno motivata fin da prima del dottorato ad addentrarmi in un percorso di ricerca di comprensione di questo fenomeno, di come esso riguarda i soggetti e i contesti e di come può rispondere la società civile, anche con il contributo della progettualità educativa. 6 Dal punto di vista della ricerca pedagogica, abbiamo scelto di approfondire questa tematica per prima cosa in considerazione della diffusa e pressante domanda di comprensione dell’evoluzione del fenomeno mafioso e dell’espressione di impegno per promuovere giustizia e libertà da parte di movimenti di singoli cittadini e associazioni, tra cui in particolare spicca per dimensioni e continuità nel tempo la rete di Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie, a cui prendono parte tanti giovani, educatori e insegnanti2. Questo aspetto interpella fortemente la riflessione pedagogica, poiché la connotazione utopica di tali messaggi e azioni ha la funzione di “anticipare, sul piano del possibile obiettivi educativi per cui non si danno le condizioni di realizzabilità oggi, ma domani, chissà”3.
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