Marcello, Silvio E La Mafia [Archivioantimafia]
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1 2 Federico Elmetti Marcello, Silvio e la mafia Trent'anni di storia italiana 3 4 PREFAZIONE L'11 dicembre 2004, la II Sezione Penale del Tribunale di Palermo, composta dal Presidente Leonardo Guarnotta e dai Giudici Estensori Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari, ha condannato in primo grado Marcello Dell'Utri e Gaetano Cinà a nove e sette anni di reclusione rispettivamente per concorso esterno in associazione mafiosa. La vicenda giudiziaria era cominciata il 19 maggio 1997 quando il Giudice per l'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Palermo aveva disposto il rinvio a giudizio degli imputati Marcello Dell’Utri, a piede libero, e Gaetano Cinà, detenuto in carcere in stato di custodia cautelare, per rispondere dei reati loro contestati. All’udienza di comparizione del 5 novembre 1997, si presentava il solo Marcello Dell’Utri, mentre veniva dichiarata la contumacia dell’altro imputato, Gaetano Cinà , il quale non compariva senza addurre alcun legittimo impedimento. Dopo sette anni, all’udienza dell’8 giugno 2004, il pubblico ministero concludeva la sua requisitoria, iniziata il 5 aprile 2004, chiedendo l’affermazione della responsabilità penale dei due imputati in ordine ai reati loro contestati e la condanna di Marcello Dell’Utri alla pena di undici anni di reclusione e di Gaetano Cinà alla pena di nove anni di reclusione, di entrambi alle pene accessorie e al pagamento in solido delle spese processuali e del Cinà anche al pagamento delle spese di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare e di entrambi in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. 5 All’udienza del 15 giugno 2004, i procuratori delle costituite parti civili, Provincia Regionale di Palermo e Comune di Palermo, iniziavano e concludevano il loro intervento chiedendo, affermata la penale responsabilità dei due imputati in ordine ai reati loro ascritti, la condanna degli stessi alle pene di legge nonché al risarcimento dei danni morali sofferti dalle parti assistite, quantificati in euro 5.000.000,00 con la liquidazione di una provvisionale, immediatamente esecutiva, di euro 2.500.000,00. All’udienza del 9 novembre 2004, la difesa dell’imputato Gaetano Cinà iniziava e concludeva il suo intervento chiedendo l’assoluzione del suo assistito dalle imputazioni ascrittegli con l’ampia formula liberatoria “perché i fatti non sussistono”. All’udienza del 15 novembre 2004, la difesa dell’imputato Marcello Dell’Utri concludeva la sua arringa, iniziata nel corso dell’udienza del 28 giugno 2004, chiedendo l’assoluzione del suo assistito dalle imputazioni contestategli con l’ampia formula liberatoria “perché i fatti non sussistono”. L’11 dicembre 2004 il Tribunale dava lettura del dispositivo della sentenza di condanna per i due imputati. In particolare, Marcello Dell'Utri veniva giudicato colpevole dei seguenti reati: A) Delitto di cui agli artt. 110 e 416 commi 1, 4 e 5 c.p., per avere concorso nelle attività della associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra, nonché nel perseguimento degli scopi della stessa, mettendo a disposizione della medesima associazione l’influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario ed imprenditoriale, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività, partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento ed alla espansione della associazione medesima. E così ad esempio: 1. partecipando personalmente ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi della organizzazione; 2. intrattenendo, inoltre, rapporti continuativi con 6 l’associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo di detto sodalizio criminale, tra i quali Bontate Stefano, Teresi Girolamo, Pullarà Ignazio, Pullarà Giovanbattista, Mangano Vittorio, Cinà Gaetano, Di Napoli Giuseppe, Di Napoli Pietro, Ganci Raffaele, Riina Salvatore; 3. provvedendo a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione; 4. ponendo a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Rafforzando così la potenzialità criminale dell’organizzazione in quanto, tra l’altro, determinava nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della responsabilità di esso Dell'Utri a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare – a vantaggio della associazione per delinquere – individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Con l’aggravante di cui all’articolo 416 comma quarto c.p., trattandosi di associazione armata. Con l’aggravante di cui all’articolo 416 comma quinto c.p., essendo il numero degli associati superiore a 10. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo della associazione per delinquere denominata Cosa Nostra), Milano ed altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982. B) Delitto di cui agli artt. 110 e 416 bis commi 1, 4 e 6 c.p., per avere concorso nelle attività della associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra, nonché nel perseguimento degli scopi della stessa, mettendo a disposizione della medesima associazione l’influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario ed imprenditoriale, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività, partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento ed alla espansione della associazione medesima. E così ad esempio: 1. partecipando personalmente ad incontri con esponenti anche 7 di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi della organizzazione; 2. intrattenendo, inoltre, rapporti continuativi con l’associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo di detto sodalizio criminale, tra i quali, Pullarà Ignazio, Pullarà Giovanbattista, Di Napoli Giuseppe, Di Napoli Pietro, Ganci Raffaele, Riina Salvatore, Graviano Giuseppe; 3. provvedendo a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione; 4. ponendo a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Così rafforzando la potenzialità criminale dell’organizzazione in quanto, tra l’altro, determinava nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della responsabilità di esso Dell'Utri a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare – a vantaggio della associazione per delinquere – individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Con le aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416 bis c.p., trattandosi di associazione armata e finalizzata ad assumere il controllo di attività economiche finanziate, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo dell’associazione per delinquere denominata Cosa Nostra), Milano ed altre località, dal 28.9.1982 ad oggi. 8 Questo libro si ripropone di analizzare passo passo tutta quella serie di testimonianze, documenti, intercettazioni, riflessioni, deduzioni logiche che hanno portato alla sopra citata sentenza di condanna, rimanendo sempre aderente solo a quei fatti che costituiscono per il Tribunale “una granitica fonte probatoria”. L'autore è pienamente consapevole del fatto che, trattandosi di una sentenza di primo grado ed essendo il processo d'appello tuttora in corso, l'imputato Marcello Dell'Utri deve essere ritenuto innocente fino a che tutti i successivi gradi di giudizio non saranno conclusi. D'altra parte, l'autore è assolutamente convinto che, prima di tutto, e quindi anche prima di ogni considerazione di tipo giuridico, venga il principio del diritto-dovere all'informazione. Marcello Dell'Utri, per la propria storia personale e per il solo fatto di essere stato in tutti questi anni l'alter ego dell'attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, rappresenta una personalità pubblica troppo importante nel panorama economico-politico italiano perché una sentenza tanto pesante e contenente fatti tanto gravi e clamorosi possa essere fatta passare sotto silenzio o, peggio, liquidata con una semplice battuta (l'avvocato della difesa Roberto Tricoli ha dichiarato che trattasi di “un complotto di pentiti”). Sarebbe offensivo nei confronti della Corte giudicante e disonesto nei confronti di chi, credendo nella giustizia, abbia voglia di informarsi e sapere come veramente si sono svolti i fatti. Poiché le vicende narrate nelle 815 pagine della sentenza, se fossero confermate nei successivi gradi di giudizio in tutta la loro gravità, rischierebbero di riscrivere una buona parte della storia d'Italia degli ultimi trent'anni, e poiché, a parere dell'autore, tali vicende non sono state sufficientemente divulgate e fatte conoscere all'opinione pubblica (se non in modo frammentario, frettoloso e per lo più distorto), questo testo ha proprio la pretesa di colmare tale lacuna. Come esiste, sancita dalla Costituzione, l'obbligatorietà dell'azione penale (almeno per ora), così dovrebbe esistere la “obbligatorietà dell'informazione”, ovvero il dovere, da parte di ogni cittadino, di informarsi e il diritto dello stesso ad essere informato. La libertà non è qualcosa di astratto. E' qualcosa che si deve costruire e difendere. Il primo passo per costruire e difendere la propria libertà 9 è informarsi. Con serietà e onestà intellettuale. Colui che rinuncia ad informarsi o, peggio, delega ad altri