Caso Rostagno. La Mafia Ha Mascariato E Gli Inquirenti Negavano L’Esistenza Di Cosa Nostra
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Caso Rostagno. La mafia ha mascariato e gli inquirenti negavano l’esistenza di Cosa nostra Il resoconto dell’udienza del 14 aprile. Gli interventi dei pm Paci e Del Bene di Rino Giacalone “L'istruzione dibattimentale ha dimostrato che il delitto di Mauro Rostagno ha avuto una matrice mafiosa, che la organizzazione ed esecuzione dell'omicidio è stata della famiglia mafiosa di Trapani, che il killer è stato Vito Mazzara, uomo d’onore di fiducia del capo mandamento Vincenzo Virga. Le sentenze in atti dimostrano che quello seguito è stato il classico ordine mafioso: Virga ha dato l'ordine e Mazzara lo ha eseguito...un dato assolutamente certo in questo processo… Mazzara Vito ha sparato perchè Vincenzo Virga ha dato l'ordine. Cosa nostra ha decretato l'omicidio di Mauro Rostagno per un interesse divenuto sempre più impellente e improrogabile rispetto alla sua attività giornalistica che perserava dagli schermi di Rtc, denunciando talvolta anche in modo ironico, i legami di Cosa nostra con la politica, le istituzioni, la massoneria. Non avremmo mai potuto conoscere lo stato di insofferenza di Cosa nostra contro Rostagno senza l'imprenscibidibile contributo dei collaboratori di giustizia ovvero della voce interna di Cosa nostra, della pancia di Cosa nostra che mal tollerava quegli articoli”. Ha esordito così il pm Francesco Del Bene nella sua requisitoria in Corte di Assise a Trapani.Il primo pentito citato dal pm Del Bene è stato Vincenzo Sinacori. Ha raccontato del malumore contro Rostagno che è arrivato da Mazara del Vallo, da “mastro Ciccio”, Francesco Messina. Fu questi a parlare con il padrino don Ciccio Messina Denaro, perchè la mafia eliminasse quel giornalista. C'era la forte irritazione di Mariano Agate contro Rostagno per le sue cronache sul delitto Lipari e sul relativo processo dove Agate era imputato assieme al gotha mafioso catanese e a un capitano dei carabinieri, Melito che lasciata l’arma guarda caso finì assunto nella banca del banchiere trapanese Giuseppe Ruggirello (padre dell’attuale deputato regionale Paolo). Anche Milazzo Francesco ha parlato del malcontento di Cosa nostra trapanese contro Rostagno, ricordando come veniva apostrofato, “cornuto e infame”, perchè Rostagno faceva i nomi di soggetti che non andavano fatti, perchè istigava, perchè provocatori erano i suoi interventi contro i mafiosi trapanesi, "li attaccava troppo" ha detto Milazzo: ."era all’epoca – ha chiosato Del Bene - l'unico giornalista che faceva quel lavoro giornalistico con impegno civile". Giovanni Brusca: Riina dopo il delitto disse che i mazaresi e i trapanesi si erano tolti dai piedi una rogna, una camurria. Brusca non ha dimenticato nelle sue rivelazioni che che la tv dove lavorava Rostagno, Rtc, era di Puccio Bulgarella: “Riina sapeva bene dove Rostagno lavorava ...Riina era a Mazara e lì ha trascorso latitanza e vacanze fino al 1992, protetto da Mariano Agate. "Brusca è stato utile per farci capire cos'era il gotha trapanese, altro che fratelli Minore, la gestione era corleonese a tutti gli effetti, ha descritto i ruoli di Mariano Agate, dei Messina Denaro, di Virga con il quale interlocuiva in quanto questi gestiva una attività parallela a Brusca, occupandosi del locale tavolino degli appalti. Brusca ha parlato di Puccio Bulgarella e dei suoi ottimi rapporti tra questi e Angelo Siino (il cosidetto ministro dei lavori pubblici di Riina)..Bulgarella era visto male perchè amico di Falcone e per la presenza di Rostagno in tv, ma Bulgarella era amico di Siino, e ha ricordato una cena fatta con i due al ristorante Trittico di Palermo e in quella occasione Bulgarella spiegò la presenza di Rostagno in tv per i rapporti di questi con sua moglie, Caterina Ingrasciotta.. E le dichiarazuioni di Siino nel processo hanno costituito un importante riscontro alle dichiarazioni di Brusca. Ha ammesso la conoscenza con Bulgarella, socio con lui nei lavori nella zona artigianale di Castelvetrano. Siino ha spiegato di avere mediato con i capi mafia della provincia a favore di Bulgarella del quale però don Ciccio Messina Denaro aveva precisa convinzione: “era uno sbirro!”. E Rostagno era “un cornuto” per le sue trasmissioni, che facevano "arrizzare i carni". Siino ha ancora detto che in occasione di un incontro a casa di Filippo Guttadauro, genero di Francesco Messina Denaro, il padrino castelvetranese era tornato a parlare male di Bulgarella per via di quel suo legame con Rostagno che "un giorno o l'altro avrebbe fatto una brutta fine perchè disonesto". Siino riferì la cosa a Bulgarella che gli rispose allargando le braccia, spiegando che Rostagno era un cane sciolto non gli si poteva chiedere nulla. E’ stato ancora Siino a dire del commento di Agate Mariano dopo il delitto Rostagno: Agate disse che quello era stato un delitto di corna e che la mafia non c’entrava perché era stata usata “una scupittazza vecchia”; quel giorno c’era anche Ciccio Messina che, ha ancora ripetuto Siino quando fu sentito in Corte di Assise, fece un segno così eloquente come a dire che non era vero. Non voleva smentire il boss Agate, era un parlare tra mafiosi, la conferma che era stata la mafia ma in giro si doveva dire che era stato un delitto di corna, “per mascariare”. “In tanti delitti di mafia – ha sottolineato il pm Del Bene - Cosa nostra ha sempre saputo operare in questo modo”. "Abbiamo dimostrato come dalla ricostruzione della scena del crimine con certezza si è materalizzata la presenza di Vito Mazzara e a questa conclusione siamo arrivati dalla sequenza dei colpi di arma da fuoco, dal fatto della precisa esecuzione dei colpi e per il testimone rimasto vivo, per l'uso di un'auto rubata....e poi ci sono state le parole dei collaboratori di giustizia che hanno confermato la presenza di Vito Mazzara". Così poco prima dell’intervento del pm Del Bene ha sottolineato sempre in Corte di Assise, nel corso dell’udienza del 14 aprile, l’altro pm del processo, Gaetano Paci che ha aggiunto: "C'è un ulteriore elemento che porta a dire che sulla scena del crimine c'è la firma di Vito Mazzara". Il riferimento all’esito della perizia del Dna disposta dai giudici nella fase finale del dibattimento: “Il processo è pervenuto a risultati di straordinaria importanza per certificare la presenza di Vito Mazzara sulla scena del crimine". L'esame del Dna ha riguardato tutti i reperti trovati sulla scena del crimine. "Sono stati fatti 42 prelievi di campionature dagli 11 reperti....tre risultati riconducono al Dna estratto dall'imputato Mazzara...sono risultati particolarmente utili per il rapporto di comparazione...". "In uno è risultato la piena compatibilità, per gli altri due i periti hanno scritto non si esclude e altamente probabile...caratteristiche genetiche riconducibili all'imputato". Circostanza che i periti hanno descritto alla Corte in maniera eloquente: “la possibilità che vi sia compatibilità tra la traccia rinvenuta sui reperti con il profilo genetico di Mazzara è di una su 100 milioni”. E loro quel numero magico di uno l’hanno individuato. Ma non solo. C’è un’altra conferma ancora più pesante. E’ stata individuata un’altra traccia che per la sua conformazione genetica è risultata "legata" all'imputato Vito Mazzara. "Si tratta di una traccia ritrovata sia all'interno che all'esterno del frammento ligneo…traccia ancora più forte di quella relativa all'imputato Vito Mazzara". Il pentito Francesco Milazzo ha raccontato che tra le abitudini di Vito Mazzara c'era anche quella di tenere le armi che usava per i delitti dentro sacchi che affidava a terzi. In questo modo, ha spiegato il pm Paci, sul fucile si possono essere conservati le tracce genetiche di altri, di un possibile parente. Lo stesso Milazzo ha anche detto che a far parte dei gruppi di fuoco guidati da Mazzara solitamente ne faceva parte un suo zio, Mario Mazzara, classe 23, deceduto da tempo. I consulenti della difesa hanno cercato di smontare la tesi dei periti del Dna con estrema sufficienza....ma le prove sono precise e schiaccianti. "Oggi abbiamo al vaglio un risultato di straordinaria importanza relativo all'accertamento del Dna....questa è una firma che l'imputato inconsapevolmente ha finito con l'imprimere sulla scena del crimine". “E come firma del delitto ci sono anche le parole (intercettate) dell'imputato Vito Mazzara che però qui in aula è venuto a dirsi innocente”. "Intendo riferirmi – ha spiegato alla Corte il pm Paci - alle indagini svoltesi in questi anni sul circuito relazionale di Vincenzo Virga, un circuito vasto, ampio, dove ci sono killer come Vito Mazzara, altri mafiosi, ma anche politici, imprenditori ". Ci sono le intercettazioni disposte sull’ auto di Virga Francesco cioè sull’auto di quel macellaio, di quel titolare della macelleria il cui scontrino si materializzò in un locale diruto della cava dove fu trovata, fumante, l'autovettura usata dai killer di Rostagno: “Tre muratori vennero a dirci che erano stati loro a consumare quello che avevano comprato in quella macelleria in quel luogo". Francesco Virga all'epoca del rinvenimento dello scontrino era incensurato e gli investigatori nulla sapevano di suoi collegamenti con Cosa nostra venuti fuori anni dopo quando venne condannato per il ruolo determinante che aveva e per il quale fu condannato. L’intercettazione: il primo febbraio del 1998 dentro questa autovettura di Virga Francesco, quando i poliziotti della Mobile indagavano sul clan Virga, veniva intercettata una conversazione tra Pietro Virga, figlio di Vincenzo, e un certo Maltese. I due sono stati sentiti parlare della figura di Vito Mazzara che era stato arrestato due anni prima per l’omicidio dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto. Ne parlavano con preoccupazione discorrendo del degrado fisico che Mazzara soffriva mentre si trovava ristretto al 41 bis nel carcere di Spoleto: “loro esprimevano preoccupazione per quelle condizioni fisiche e dicevano che il rischio era quello che lui potesse morire..prospettando l'ipotesi di farlo scappare addirittura usando un elicottero da fare arrivare sul tetto del carcere....Ma il passaggio importante è stato anche un altro – ha continuato Paci - i due interlocutori non hanno nascosto parlando tra loro la paura che Mazzara potesse pentirsi...se lui parte di cervello è cuoio per tutte cose perchè Vito è un pezzo di storia".