Giuseppe Montalto
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Giuseppe Montalto Giuseppe Montalto nacque a Trapani il 14 maggio 1965 e morì a soli 30 anni il 23 dicembre 1995, ucciso da Cosa Nostra. Prestò servizio per vari anni nel carcere “Le Vallette” di Torino, prima di essere trasferito, nel 1993, a Palermo, nella tana dei boss, nella sezione di massima sorveglianza dell’Ucciardone, quella destinata ai criminali che dovevano scontare il regime carcerario del 41 bis. Era il giorno precedente la vigilia di Natale del 1995 quando in contrada Palma, una frazione di Trapani, Giuseppe Montalto fu assassinato da due killer davanti alla moglie: erano in auto e sul sedile posteriore c’era la loro figlioletta, Federica di 10 mesi. La moglie Liliana ancora non sapeva di aspettare la loro secondogenita, Ilenia, che purtroppo non conobbe mai il padre. Era un uomo generoso e buono che mostrava sempre comprensione verso chi viveva tra le sbarre per ripagare il proprio debito con lo Stato, anche quando fu trasferito in Sicilia e cominciò a lavorare a contatto con i boss dell’Ucciardone, nonostante questi continuassero ad ostentare avversione nei confronti dello Stato e delle Istituzioni anche in quel contesto seguitando a recitare la parte dei capi, protetti dallo loro stessa fama di uomini feroci e spregiudicati, nonché scrivendo e spedendo i loro ordini attraverso i pizzini. Anni dopo un pentito, Francesco Milazzo, rivelò che l’agente fu ucciso proprio perché aveva sequestrato un bigliettino fatto arrivare in carcere ai boss Mariano Agate, Raffaele Ganci e Giuseppe Graviano e Cosa nostra non gli perdonò questa applicazione delle norme nel rispetto dello Stato. Il delitto fu considerato un avvertimento dei vertici di Cosa Nostra nei confronti del trattamento riservato ai boss nelle carceri. Il pentito Giovanni Brusca, in Corte di Assise, spiegò che “questa eliminazione aveva un valore simbolico di monito nei confronti delle altre guardie carcerarie in quanto in quel periodo circolava la voce che nelle carceri di Pianosa e dell’Asinara si verificassero maltrattamenti ai danni dei detenuti”. I mafiosi trapanesi con un passa parola decisero di uccidere una guardia carceraria, così “potevano fare un regalo a 1 qualche amico che è in carcere…” Dal carcere avevano fatto sapere che quello da uccidere aveva una Fiat Tipo targata Torino. Con l'aiuto di una «gola profonda» dell’ufficio della Motorizzazione civile individuarono quell'agente in Giuseppe Montalto. Anche la scelta del giorno così vicino al Natale, è stato un segnale inequivocabile, per far trascorrere, come si dice in Sicilia, un “malo Natale” a familiari e amici della vittima. Montalto poteva essere infatti ucciso in qualsiasi tempo e in qualsiasi posto in quanto non aveva mai adottato particolari misure di sicurezza per la propria incolumità, ne’ aveva manifestato timori di nessun tipo. Il killer fu Vito Mazzara, «capo famiglia» di Valderice, professionista che partecipava ai campionati nazionali di tiro a volo. Ma certo non si poteva considerare un uomo di sport… Milazzo, il pentito che raccontò l’omicidio, fece anche il nome di Franco Orlando, consigliere comunale del Psi a Trapani, all’epoca segretario particolare di un deputato regionale, che però fu assolto dal delitto ma condannato per associazione mafiosa. Con Mazzara c'era un secondo killer rimasto senza volto. Per il delitto sono stati condannati all'ergastolo il super boss (latitante) Matteo Messina Denaro, il capo mafia di Trapani, Vincenzo Virga, il killer valdericino Vito Mazzara, e il palermitano Nicolò Di Trapani, boss di Resuttana. Alla memoria di Giuseppe Montalto è stato intitolato il carcere di Alba, le caserme degli agenti dei reparti di Palermo Ucciardone e Agrigento e la Sala Convegno del Reparto di Ragusa. Anche la piazza nella frazione di Palma porta il suo nome. La Provincia regionale di Trapani dal 2007 ha istituito la borsa di studio "Giuseppe Montalto", assegnata ogni anno a parenti di vittime della mafia o di incidenti del lavoro. Il 19 novembre 1997 gli è stata assegnata la medaglia d'oro al merito civile per aver sacrificato la propria vita a difesa dello Stato e delle istituzioni contro l’operato di "Cosa Nostra", nonché di criminali sottoposti al regime carcerario 41 bis. E’ stato riconosciuto “Vittima del Dovere” ai sensi della legge 466/1980 e lo Stato ha onorato il sacrificio della vittima, con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99. 2 .