Marcelle Padovani Marcelle Padovani
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EDIZIONI DELLA BATTAGLIA Gioacchino Nania San Giuseppe e la mafia Nascita e sviluppo del fenomeno nell’area dello Jato Introduzione di Marcelle Padovani 1 Attraverso documenti, in massima parte inediti, questo lavoro ricostruisce, in maniera sistemati ca, nascita e sviluppo del fenomento mafioso nell'area dello Jato a partire dall'abolizione dei diritti feudali, nel 1812, sino ai tempi moderni con particolare riferimento a San Giuseppe Jato e San Cipirello. Due comuni, in unica realtà urbana, ubicati a lle spalle di Palermo in posizione baricentrica rispetto al circolo formato da Monreale, Piana degli Albanesi, Corleone, Alcamo, Partinico, Montelepre. Comuni noti per i Brusca, Di Maggio, Siino, Salamone e per la base operativa insediatavi, negli ultimi d ecenni, da Salvatore Riina. Comuni che, con motivazioni diverse, si rilevano nelle biografie non solo di Calvi, Insalaco, Salvo, Sindona ma anche di Marco Minghetti, Benito Mussolini, V.E. Orlando o dei parlamentari Rocco Balsano, Alfredo Cucco, Lanza di Trabia, Giovanni Lo Monte, Francesco Termini, Nicolò Zito. Sono i comuni di Portella della Ginestra e dell' "ideologo" della banda Giuliano, Pasquale Sciortino. Comuni di luminari, professori, professionisti e di straordinari arricchimenti attraverso mediat ori, assicuratori, industrie conserviere e portuali, mulini e pastifici . Nel 1927 l'on. Rocco Balsano dichiarava dinanzi al giudice Triolo: " Se un comune vi era in Sicilia dove la maffia era onnipotente era proprio quello di San Giuseppe Jato ". Erano gli anni del ducino on. Alfredo Cucco, plenipotenziario del fascismo in Sicilia, legato alla mafia dei comuni jatini attraverso il suo compare d'anello Santo Termini, Sindaco di San Giuseppe Jato. Erano gli anni del prefetto Mori che, quasi certamente indagando sulla mafia dei comuni jatini, veniva "promosso" e trasferito. L'esposizione, sotto forma di dialogo, e lo stile, a tratti ironico, rendono la lettura scorrevole e piacevole senza nulla togliere alla serietà dell'argomento e al contenuto, spesso tragico, della documentazione d'archivio riportata. Indice Pag. Nota della Casa Editrice a cura di F.P. Castiglione 5 Introduzione di Marcelle Padovani 10 Prologo Internet da Paradiso 14 I Beccadelli: Principi di Camporeale e fondatori del 16 centro jatino Alla ricerca di San Giuseppe su Internet. Sorpresa! La 18 mafia Riina, Di Maggio, Brusca, Siino… 23 Non solo Andreotti e San Giuseppe: anche Marco 2 Minghetti, Benito Mussolini e Vittorio Emanuele 27 Orlando Un noto anonimo degli anni '90. Vip 29 Portella della Ginestra 33 Anno 1999: "Non c'è nulla di male a essere mafiosi!" 38 Anno 1926. On. Rocco Balsano: "Se un comune in Sicilia vi era dove la maffia era onnipotente era proprio quello 40 di San Giuseppe Jato." San Giuseppe nelle aspirazioni del Principe 42 Luminari, professori, professionisti, mediatori, assicuratori, industrie conserviere e portuali, mulini e 43 pastifici Per conoscere la mafia. 49 1918-1925: gli anni dei grandi arricchimenti Alfredo Cucco, Santo Termini, Ciccino Cuccia e il Prefetto di Ferro Cesare Mori 55 Truffe, estorsioni, ruberie e ammazzatine. Le grandi retate di Mori. Il Processo a Santo Termini e compagni. 62 Elementi utili per un’analisi economica del territorio 91 San Giuseppe Jato nel memoriale di una cooperativa 94 1922-23: quando per eleggere l’Arciprete di San Giuseppe Jato si mobilitava mezza Italia 97 Nascita e sviluppo della mafia sul territorio: analisi storico-documentale 108 I primi abitanti: vittime del maggiorasco e liberati dal 109 carcere I gestori di violenza 117 L'ordine pubblico sul territorio 120 I galantuomini: l'alba dei mafiusi 123 Compagni d'armi, campieri e galantuomini 127 I medi proprietari ovvero la borghesia nascente all'assalto dei latifondi 129 Mafiusi, rivolte e rivoluzioni: 1820, 1848, 1860, 1866 132 Dal 1866 al 1912. I Fasci Siciliani 136 1912 - 1925: nascita della mafia moderna 142 La mafia è… 154 La mafia oggi: primo, secondo e terzo livello 157 Non solo mafia. L'area dello Jato: terra di lotte e 167 ribellioni. Bibliografia 177 Realtà mafiosa e burattinai Nota della Casa Editrice «Edizioni della Battaglia » a cura di Francesco Paolo Castiglione E’ incredibile la rapidità e la pervasività con cui un certo sistema speculativo violento - che oggi chiamiamo mafia - finalizzato al rapido arricchimento di individui e di gruppi familistici, sia comparso e si sia immediatamente e largamente diffuso, come maligna metastasi, in molti piccoli centri dell’agro 3 palermitano, tra la fine del Settecento e gli anni dell’Unità italiana. Questo lavoro di Gioacchino Nania ne fornisce un esempio da manuale, scoprendo, con impressionante evidenza, lo spessore e l’incredibile ampiezza delle dinamiche mafiose che hanno agito nel piccolo centro di San Giuseppe Jato, condizionandovi, per quasi due secoli, la realtà socioeconomica e politica. San Giuseppe Jato, naturalmente, non è il solo centro interessato al fenomeno. Molti storici, e non ultimo Salvatore Lupo, hanno indagato la realtà mafiosa della fascia agrumicola palermitana. Chi scrive, nel corso del riordino dell’archivio storico di una famiglia della buona borghesia palermitana, oriunda di Misilmeri, si è trovato a constatare, naturalmente da un limitato angolo visuale quale può essere l’archivio di una sola famiglia, lo stesso tipo di dinamiche. E’ apparso chiaro, dai documenti notarili - molti dei quali relativi ai vari passaggi di proprietà dei cespiti poi pervenuti ai proprietari dell’archivio - che le leggi eversive della feudalità e della manomorta ecclesiastica e quelle relative alla liquidazione delle “promiscuità” feudali, degli usi civici e dei beni demaniali dei Comuni, hanno dapprima favorito il nascere di una forte classe di proprietari, appartenenti alla piccola nobiltà e alle professioni. A Misilmeri, centro feudale dominato dai principi della Cattolica e dai marchesi di Spedalotto, grazie a questi meccanismi e col ricorso generalizzato allo strumento dell’enfiteusi, vediamo emergere piccoli nobili come i Tasca, che ben presto si fregiano dei titoli di principi di Cutò e di Trabia, già appartenuti alle antiche famiglie dei Filangeri e dei Lanza; o come i Pilo, conti di Capaci, già feudo della rinascimentale famiglia dei Bologna. Tra i funzionari pubblici e i professionisti di Misilmeri, spicca l’elevazione sociale della famiglia Paternostro, ben presto trasferitasi a Palermo dove sarà protagonista della vita civile e politica. Tutta gente che parteciperà in diverse maniere, assieme ai facinorosi delle “squadre” di picciotti , ai moti unitari. Basti pensare a Rosolino Pilo, dei conti di Capaci. Assieme a costoro, vediamo nitidamente emergere altri personaggi, senza che la documentazione e la logica ci aiutino a comprenderne le modalità di arricchimento. Per esempio: un carrettiere, impossidente e analfabeta, che già nel 1863, subito dopo l’avventura garibaldina, è in grado di dotare il figlio, per atto notarile, di appezzamenti di terreno e case. Naturalmente, gli atti notarili non documentano sopraffazioni, violenze e profferte di protezione. Documentano, però, l’usura; e la documentano in una dimensione insospettabile in un piccolo centro come la Misilmeri ottocentesca. Numerosissime sono le vendite con patto di riscatto entro un certo tempo e per un certo importo: nient’altro che pegni reali rilasciati ai prestatori di capitali. Quasi sempre, alla scadenza di queste vendite fittizie segue l’atto di presa di possesso del nuovo proprietario: l’usuraio. E il sistema è tanto generalizzato che i pochi notai attivi sul territorio si fanno predisporre a stampa apposite cartelle-copertine per gli atti di “Mutui privati” e relativi “Atti di quietanza”, tutti elegantemente rifiniti con la cura calligrafica ottocentesca. E tra i concedenti di questi mutui, che rodono le proprietà dei debitori, troviamo anche uno di questi stessi notai attivi a Misilmeri. Quasi sempre, sulle proprietà così finite nelle mani dei prestatori di capitali, gravano canoni enfiteutici in favore degli antichi feudatari o del “Fondo per il culto”, prova inoppugnabile che si tratta di cespiti assegnati ad enfiteuti in forza delle leggi 4 eversive della feudalità e della manomorta, finiti, come si paventava da più parti, nelle mani degli usurai. Tra le righe non scritte degli atti, si può indovinare la notevole capacità di imposizione del rispetto delle condizioni usurarie da parte di questi finanziatori, in un’epoca e in un contesto dove i morti ammazzati, spesso per molto meno e quasi sempre per conflitti di proprietà, si contano a decine. Un doveroso riserbo professionale nei confronti dei committenti del riordino dell’archivio ci ha distolti da un approfondimento che pur ci tentava; speriamo che queste poche righe invoglino qualcun altro, non vincolato a riserbo alcuno, a farlo. Anche a San Giuseppe Jato si è avuta una prima fase di arricchimento di una nutrita classe di imprenditori e di professionisti di importanza regionale, sui cui meccanismi di elevazione sociale il lavoro di Nania non indaga. E in parallelo con l’elevazione di questo ceto, esplode, con inequivocabile nitidezza, il fenomeno mafioso; uno dei cui primi obiettivi sarà l’occupazione dell'amministrazione comunale, con la benedizione di settori del clero locale e di politici regionali e nazionali. Nessun legame tra i due fenomeni è desumibile dal pregevole lavoro di Nania; ciononostante, sembra di potersi affermare che, per una sorta di incomprensibile meccanismo - ma forse non tanto incomprensibile se lo si collega ai repentini arricchimenti e al successivo bisogno di