Processo Dell'utri 2010-2012
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PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI PALERMO Requisitoria del P.G. nel procedimento a carico di Dell’Utri Marcello, imputato del reato p.e.p. dagli artt.110,416 bis c.p. I LE QUESTIONI PROCESSUALI 1)Nullità della sentenza per genericità dell’accusa Spia visibile della denunciata indeterminatezza del capo di imputazione sarebbe il fatto che al cappello (costituito da quella parte della rubrica in cui sono enunciati i comportamenti generici ascritti all’imputato) seguono degli esempi di fatti specifici, che però per la difesa specifici non sarebbero e dimostrerebbero che la tecnica seguita dal PM tende a far riempire dal dibattimento degli schemi vuoti preliminarmente costruiti. E’ evidente che si tratta di eccezione formulata per scrupolo difensivo, del tutto apodittica e internamente contraddittoria nella parte in cui non tiene conto del fatto che formulare esempi costituisce esercizio di concretezza, salvo stabilire se le condotte esemplificate siano provate o non. Il requirente si limita a ricordare che la contestazione non è costituita dal solo capo di imputazione, ma dal complesso degli elementi di accusa, emersi anche nel corso del dibattimento, che sono stati portati a conoscenza del prevenuto e sui quali egli è stato posto in condizione di esercitare la propria difesa. Inoltre, si richiama quanto rilevato dal primo giudice nell’ordinanza 18\11\97 con cui l’eccezione fu rigettata: che la natura di reato a forma libera del delitto di cui all’art.416 bis impedisce “di ripercorrere singolarmente le numerose condotte che formeranno oggetto di accertamento, essendo questa operazione incompatibile con la necessaria sintesi che deve guidare la redazione del capo di imputazione”. 2) Assoluzione perché il fatto non è previsto come reato Anche tale richiesta appare formulata per scrupolo difensivo. Questo P.G. sottolinea che le S.U. della Corte Suprema hanno reiteratamente affermato che il concorso esterno in associazione mafiosa è previsto dalla legge come reato. 3)Nullità della sentenza per mancata correlazione con l’accusa Tale nullità – stando ai motivi d’appello principali – deriverebbe oltre che dalla genericità dei capi di imputazione prima evidenziata, anche dal 1 robusto e irrituale ricorso fatto dal PM al meccanismo dell’attività integrativa di indagine, attraverso il quale il thema probandum è stato ampliato oltre i limiti della originaria contestazione. Non solo, però, per tale via il tema del decidere sarebbe stato indebitamente ampliato, ma “già dalle richieste istruttorie avanzate dalla Procura nella lista ex art. 468 c.p.p. ed oggetto poi dell’illustrazione introduttiva ex art. 493 c.p.p., i fatti che la Pubblica Accusa intendeva provare e per i quali chiedeva ed otteneva l’ammissione delle prove, apparivano prima facie non completamente pertinenti rispetto all’oggetto delle contestazioni. ”(motivi p.56). Ciò in quanto “Dalla lettura dei relativi capitoli di prova si evince… come oggetto delle prove a carico avrebbero dovuto essere i seguenti argomenti: rapporti tra Dell’Utri Marcello, Mangano Vittorio e Cinà Gaetano, rapporti più in generale avuti dal primo con esponenti di Cosa Nostra ed, in particolare, con riferimento a fatti e circostanze attinenti a relazioni di tipo economico–imprenditoriale tra Cosa Nostra e Dell’Utri Marcello, quale esponente di spicco del Gruppo Fininvest.” Sull’ammissione delle prove concernenti le relazioni economico- imprenditoriali, nulla quaestio da parte della Difesa, che invece si duole dell’ammissione dei capitoli di prova riguardanti il tema della politica perché estraneo al capo di imputazione e all’ordinanza del Tribunale 18.11.97 ( che aveva respinto l’eccezione di nullità per indeterminatezza dell’imputazione e sottolineato la specificità e pertinenza delle suddette relazioni economico-imprenditoriali). Donde, prosegue la difesa, “non vi è chi non veda come l’aver ammesso capitoli di prova attinenti ad un eventuale ruolo politico (con riferimento a Sicilia Libera e alla consultazione elettorale del 1994) già di per sé rappresentasse un inammissibile allargamento del thema probandum…”. A contestazione di tali asserzioni questo P.G. (oltre a rilevare una contraddizione, per così dire, strutturale del ragionamento perché, se ci si duole del superamento dei limiti vuol dire che dei limiti sono stati individuati e perciò la contestazione non può esser marchiata di indeterminatezza, essendo delimitata dagli individuati limiti), osserva : nei capi di imputazione a Marcello Dell’Utri è stato dato carico, oltre a quanto evidenziato dalla difesa (avere messo a disposizione di Cosa Nostra l’influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario ed imprenditoriale) anche “l’influenza ed il potere derivanti …dalle relazioni intessute nel corso della sua attività”. Gli é stato dato carico di avere “ determinato nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della disponibilità di esso DELL’UTRI a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare – a vantaggio della associazione per delinquere – individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario.”. 2 Il riferimento nella contestazione alle relazioni intessute nel corso della sua attività (tutte le relazioni, in tutto il periodo di attività considerato) è sufficientemente ampio perché possano ricondurvisi le relazioni politiche, come è ulteriormente e più esplicitamente ribadito dal successivo riferimento agli “individui operanti nel mondo istituzionale”, mondo istituzionale che certamente annovera al proprio interno anche il mondo della politica. Tornando alla questione della irrituale attività integrativa, la Difesa rileva che grazie ad essa si è reso possibile “Il successivo allargamento dell’indagine dibattimentale ad altre e diverse tematiche, palesemente estranee al capo di imputazione e addirittura interessanti periodi storici successivi al contestato tempus commissi delicti”: ciò in forza di una non condivisibile interpretazione della norma, compiuta dal Tribunale con l’ordinanza 22\9\98 (ammissiva, per mezzo dell’art.430, dell’esame di Rapisarda su circostanze ulteriori rispetto a quelle originariamente indicate in lista) in cui quel Giudice si era così espresso: “L’ammissibilità della procedura seguita dal P.M. non trova ostacolo…, nella formulazione letterale dell’art. 430 C.p.p., tenuto conto che in detta norma il legislatore fa riferimento al compimento di “attività integrativa di indagine”, locuzione assolutamente generica che non si riferisce necessariamente al fatto che detta attività si debba formalmente svolgere nello stesso procedimento. La suddetta constatazione rende legittima l’introduzione al fascicolo del P.M., attraverso il meccanismo di cui all’art. 430 c.p.p., di atti di indagine compiuti in un diverso procedimento, senza che si sia costretti a subordinare tale possibilità ad una mera ripetizione (e conferma) dell’attività istruttoria nel procedimento giunto ormai alla fase dibattimentale, la qual cosa costituirebbe un inutile dispendio di risorse.” La Difesa, però, “ innanzitutto evidenzia come l’art. 430 comma 1° c.p.p. riguardi ogni attività di indagine compiuta dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, ma pur sempre nell’ambito dello stesso e non di altro procedimento”; e contesta che attraverso tale meccanismo possano farsi transitare nel procedimento atti e documenti provenienti da un diverso procedimento, poiché “altre sono… le disposizioni che consentono e disciplinano tale attività di trasmigrazione di atti di indagine e/o di verbali di prove da un procedimento ad un altro (artt. 117 – 371 e 238 c.p.p.).”. Contesta, altresì, che nel procedimento ad quem possano essere utilizzati atti non utilizzabili nel procedimento a quo perché compiuti oltre il termine fissato per le indagini preliminari. In proposito osserva questo requirente che il richiamo alle disposizioni sopra menzionate appare inappropriato, perché da esse non può desumersi il divieto di trasmigrazione di cui si discute. Ed infatti, l’art.117 stabilisce semplicemente che il PM procedente può ottenere dall’A.G. competente copia di atti relativi a un diverso 3 procedimento quando lo ritenga necessario per le proprie indagini, e non distingue tra le indagini preliminari in senso stretto (da compiersi entro il termine stabilito) e l’attività integrativa di cui all’art.430 cpp (compiuta dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio). L’art.371 stabilisce che gli uffici diversi del PM che procedono ad indagini collegate – senza operare nemmeno qui la distinzione sopra evidenziata – provvedono allo scambio di atti : nell’uno e nell’altro caso, resta impregiudicata la facoltà di riversare nel procedimento di destinazione, attraverso il meccanismo di cui all’art. 430 cpp, l’atto ottenuto o scambiato dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio. L’art.238 disciplina l’acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali di prove di altri procedimenti: siamo, dunque, in una fase successiva all’esercizio dell’attività integrativa per mezzo della quale il PM si è già procurato il verbale, lo ha depositato ai difensori e ora ne chiede al Giudice la produzione. E’ interessante, però, constatare che la Difesa non fa menzione di un’ulteriore argomentazione con la quale il primo Giudice – subito dopo avere rilevato che la genericità della locuzione attività integrativa di indagine, non implica “affatto che detta attività si debba formalmente svolgere nello stesso procedimento” – prosegue affermando