I draghi del ponte San Giorgio di Emanuela Burgazzoli

“Miracolo”, “magia”, “orgoglio”, “un modello per l’Italia e per il mondo”: nonostante il sobrio protocollo imposto dal presidente della Repubblica alla cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte Genova San Giorgio, i politici che si sono succeduti sul palco lunedì non hanno resistito alla tentazione della retorica e delle iperboli. Né si è rinunciato all’inno di Mameli e alle frecce tricolori. Il nuovo ponte è certamente “il ponte dell’Italia che reagisce”, costruito in tempi record, non grazie però a un miracolo, ma piuttosto a un metodo basato sulla solidarietà e sul lavoro. Ma è anche “simbolo di uno Stato che non ha saputo vegliare sui suoi cittadini” – e sono parole di Emmanuel Diaz, l’unico famigliare che è salito sul ponte per l’inaugurazione e che nel crollo ha perso il fratello. Questo nuovo ponte è infatti figlio del dolore – “un dolore che non si cancella”, ha sottolineato sempre Mattarella nell’incontro privato con i parenti delle 43 vittime causate dal crollo del ponte Morandi il 14 agosto 2018; ed è figlio di una tragedia - e le tragedie restano imprigionate nelle coscienze, ha ribadito l’architetto genovese Renzo Piano, il padre del nuovo viadotto, che ha dovuto rinunciare (per ragioni tecniche e di sicurezza) alle 43 lanterne luminose progettate per ricordare le vittime (sostituiti da 18 lampioni). E al progetto di un vero e proprio memoriale ci si sta ancora lavorando. “Forgiato nel ferro e nel vento” – lo vorrebbe Renzo Piano – evocando un verso di Caproni – Piano che è sicuro che questo ponte sarà amato dai genovesi, perché “è semplice e forte”. E forte dovrà esserlo il ponte San Giorgio, che dall’alto dei suoi 45 metri e dai suoi 18 pilastri si trova già a dover affrontare i suoi draghi: le polemiche sul tracciato – che non rispetta le nuove norme geometriche di costruzione delle strade e che imporrebbe un limite di velocità di 70km orari; la battaglia politica e giuridica sulla nuova concessione che dovrebbe tornare a chi già gestiva (e male) il ponte Morandi ovvero la società Autostrade; e qui arriviamo alla battaglia per ottenere giustizia e verità - perché le responsabilità – ha ricordato Mattarella – hanno sempre un nome e un cognome (e gli inquirenti ne hanno già 71 di nomi, fra gli indagati manager e tecnici di Autostrade Spa). Poi ci sono i draghi al di là del ponte (di cui si è occupato persino il New Yort times): ovvero le emergenze infrastrutturali di cui soffre Genova e la intera - che per lo stato di “incompletezza e di disagio nel quale sono costrette, rappresentano ormai il Sud del Nord”. Senza contare i blocchi autostradali per i lavori di manutenzione di queste settimane con enormi disagi al traffico; i collegamenti ferroviari ancora lenti e insufficienti per una regione così turistica, e altri importanti cantieri viari – come quello della Gronda - ancora fermi. Senza contare la vita e il tessuto economico tutti da ricostruire là, sotto il ponte, nella vallata del . Senza queste vittorie la “perla della riconoscenza” che tutti lunedì hanno giustamente espresso alle oltre mille persone che hanno lavorato ininterrottamente su questo grande cantiere, rischia di trasformarsi in tradimento.