leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it 32 Angela Camuso

MAI CI FU PIETÀ

LA VERA STORIA DELLA DAL 1977 FINO AI GIORNI NOSTRI

I edizione: agosto 2012 © 2012 Lit Edizioni Srl Sede operativa: Via Isonzo, 34 – 00198 Roma Castelvecchi Rx è un marchio di Lit Edizioni www.rxcastelvecchieditore.com www.castelvecchieditore.com [email protected] a Miranda Alle origini del «mito» della «banda della Magliana»

di OTELLO LUPACCHINI magistrato

Quando mi è stato chiesto di redigere la prefazione a Mai ci fu pietà di An- gela Camuso, mi è tornato in mente che Varvara Petrovna, nei Démoni di Dostoevskij, straccia senza rimedio l’amitié amoureuse che per vent’anni l’ha legata a Stepan Trofimovicˇ con un secco: «Voi siete un critico!». Mi son det- to, allora: questo, è l’insulto, perché d’insulto si trattava, a cui rischi d’e- sporti. E non nascondo che sono stato sul punto di declinare l’invito. Già a pelle, infatti, provoca un certo qual sospetto di congenita crudeltà sviluppa- tasi in mestiere l’idea che qualcuno, per investitura di cattedra, ingaggio edi- toriale o, ancor peggio, per indole e inclinazione, abbia da ridire sull’opera altrui. È un po’ come quando si scopre che il celebre tal chirurgo, da bam- bino, seviziava lucertole e rospi. Né è consolante, in proposito, la rivendica- zione, tacita o conclamata, di uno spazio autonomo e creativo per l’arte del- la critica, unta perfino col crisma di sapienziale da un’autorità come Harold Bloom. Innanzi tutto, perché Mr Bloom, si sa, è un critico; in ogni caso, poi, perché a rendere il critico ancor più spregevole e degno d’esser respinto ol- tre i confini del consorzio umano è che, a mo’ di parassita, abbisogni di un «ospite» rubicondo al quale attaccarsi per succhiarne linfe vitali. Profondamente lacerato da tali pensieri, tuttavia, ho deciso alla fine di correre il rischio. E, nella speranza d’incappare in lettori dotati di sanissi- ma indipendenza di giudizio – i quali, sebbene non ricerchino nella pre- fazione l’idea quintessenziale, la matrice del testo, neppure, però, la getti- no via come fosse la cartina di una caramella – mi son ripromesso, per un verso, di evitare di far la figura di chi ti anticipa all’orecchio il film che stai per vedere mentre in sala hanno già spento le luci e il proiettore incomin- cia a ronzare, e si azzittisce soltanto allo scorrere dei titoli di testa; e, per l’altro, di cercare di confezionare un prodotto che possa vivere una sua gagliarda vita autonoma, sia dotato di luce propria, che si diffonde e illu- mina, e non funga da satellite pallidamente illuminato al testo. Si tratta, mi rendo conto, d’un proponimento ambizioso, ma è anche l’im- prescindibile condizione per evitare che la funzione di quest’angoscia di sti- 8 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 9 le si riduca a quella dei bei vasi dello scaffale più alto nelle farmacie, che, per diante il quale attuare il progetto «dalle borgate alle stelle», esso sarebbe dirla con don Lisander, «sono vuoti, ma servono a dar lustro alla bottega». anche stato l’elemento dissolutore della stessa holding criminale. L’Autrice imbastisce il racconto sulla scorta di elementi di fatto rigoro- È naturale che almeno due parole sull’opera e sul suo oggetto le debba samente desunti da sentenze, molte delle quali ormai irrevocabili, verbali pur spendere. d’interrogatori, rapporti e informative di polizia. Resta, dunque, fedele Dirò allora che Mai ci fu pietà narra fatti e misfatti accaduti a Roma, ma agli atti giudiziari e sfugge così al rischio di trasformare i cattivi in eroi de- non soltanto, negli ultimi trent’anni, riconducibili generalmente alla crimi- gni d’ammirazione, come capita sempre, quando, per rendere più glamour nalità organizzata capitolina e non, molti dei quali, ma non tutti, opera del- il racconto, si cede, invece, alla tentazione di ricostruzioni fantasiose. la cosiddetta «banda della Magliana», sodalizio delinquentesco che, nato Detto questo e riconosciuti, dunque, i suoi meriti all’Autrice, va anche durante gli anni Settanta del Novecento, riuscì, a cavaliere del fatidico 1978, detto che Mai ci fu pietà s’inserisce nel filone lato sensu letterario che per- a insediarsi saldamente al centro di ogni traffico criminale della Capitale e petua, di fatto, il mito della «banda della Magliana». E proprio le origini a imporre la propria supremazia in ogni settore di attività illegali. di questo mito meritano d’essere indagate, attingendo, magari, anche al Erano, quelli, gli anni in cui si andava realizzando e consolidando la com- pozzo dei ricordi personali. mistione di vertice tra gruppi mafiosi, con una base economica sempre più vasta, e settori della finanza, dell’imprenditoria e dell’amministrazione; il All’inizio, fu la cosiddetta «operazione Colosseo», o per meglio dire il traffico di droga a fungere da volano e a produrre disponibilità di denaro li- «processo penale n. 1164/87A G.I. (n. 8800/86A P.M.), nei confronti di quido. Erano, quelli, gli anni durante i quali, nel Paese, la caccia ai sovversi- Abbatino Maurizio + 237». In precedenza, come vedremo, se non proprio vi era momento genetico e fine ultimo di ogni inchiesta giudiziaria, accordo il nulla, certamente le tenebre. politico o campagna mediatica. Erano, quelli, gli anni in cui c’era, dunque, Correva l’anno 1993 quando si diede corso alla suddetta «operazione» tutto il tempo e lo spazio per appropriarsi dell’Italia, mentre gli addetti alla e non vi fu, all’epoca, giornale o telegiornale che non occupasse buona sicurezza cavalcavano l’ossessione terroristica. Erano, quelli, finalmente, gli parte degli spazi di «nera» con la cronaca dei delitti commessi dai bravi anni, in cui alti gradi dell’Esercito e dei Servizi di sicurezza, variamente con- ragazzi della banda. Se ciò avvenne con tanta assiduità è perché sui pro- nessi alla Strategia della Tensione, aderivano alla loggia massonica P2. cessi penali cosiddetti celebri – e tale si prospettava sarebbe stato quello I promotori del sodalizio, figli della città, delle borgate, novità assoluta in parola – la curiosità del pubblico si getta avidamente. È questa, infatti, nei fragili equilibri della malavita della Capitale, avevano un progetto: ri- al pari e forse più di tante altre, una forma di divertimento: si evade dalla prendersi Roma. propria vita occupandosi di quella degli altri; e l’occupazione non è mai Nei quartieri dell’Urbe scorrevano fiumi di eroina, da immettere nel così intensa come quando la vita degli altri assume l’aspetto del dramma, corpo sociale attraverso un ineluttabile travaso di sangue. Erano, quindi, verso i cui personaggi, l’atteggiamento del pubblico è il medesimo che necessari «amministratori» del territorio, capaci di dispensare morte con aveva, una volta, la folla verso i gladiatori che combattevano nel circo e ha fredda determinazione ed efficienza da contabili, ma anche «manovali» oggi, almeno là dove la si pratica ancora, per la corrida dei tori. per azioni inconfessabili. Grazie ai talenti e all’ambizione dei sodali – i Artefice di quel processo, per avventura, fui io, nel ruolo ormai «pre- quali non rifuggivano dal ricercare l’appoggio anche di elementi esterni, carizzato» di giudice istruttore, le cui funzioni il Parlamento «prorogava», che lavorassero per loro – rapida e inesorabile fu la trasformazione della di semestre in semestre, su iniziativa ad libitum del Guardasigilli. banda in un’intrapresa criminale ampia e dagli scopi sociali sommamente Omnibus et lippis notum et tonsoribus esse1 che, assolto ogni dovere ver- articolati: la gestione del mercato della droga rappresentava per l’organiz- so le funzioni di servizio, specie se gratuite, il prefatore scrive per attirare zazione l’opportunità d’intessere «relazioni» paritarie con altri sodalizi l’attenzione su se stesso, nessuno degli smaliziati lettori di questo scritto criminali di prima grandezza nel panorama nazionale. La disponibilità di me ne vorrà per la digressione ad meam personam alla quale mi accingo. una massa ingente di liquidità d’illecita provenienza le offriva l’occasione Taluno pretende per questo, e purtroppo non da oggi, d’inchiodarmi al- di acquisire il controllo del mercato dell’usura, ma anche di spregiudica- la croce, gabellando come una mia «creatura» la «banda della Magliana», te scorrerie in settori dell’economia legale, che meglio e più di altri si pre- per essere la genesi di questa attribuibile a mie «ipotesi», premurandosi di stavano a remunerative operazioni di riciclaggio e reinvestimento dei ca- aggiungere, «smentite dalle verifiche della magistratura giudicante». E vor- pitali d’illecita provenienza. E se il rapporto intessuto da taluni fra i ban- diti e i grossi imprenditori del «prestito a strozzo» fu lo strumento me- 1. Orazio, Satire., I, 7. 10 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 11 rebbe accollarmi persino la costituzione della suddetta banda, nella quale, tenza; l’insieme di implicazioni logiche che possano assicurare che le ipo- motu proprio et inaudita altera parte, avrei arruolato, addirittura con fun- tesi implicano la tesi è la dimostrazione. zioni apicali, anche un illustre Trapassato, già mondato dalla res iudicata, che, insegnavano gli intenditori, facit de albo nigrum, originem creat, aequat L’endiadi «banda della Magliana», dovuta alla penna di qualche brillan- quadrata rotundis, naturalia sanguinis vincula et falsum in verum mutat. te e fantasioso, ancorché anonimo, cronista di «nera» di fine anni Settan- Aristotele raccomandava di non «discutere con chiunque» e di non ta, esprime con suntuosa semplicità l’essenza di un efferato e articolato so- «esercitarsi col primo venuto», perché «quando si discute con certe perso- dalizio criminale, che è poi quello descritto nei capi d’imputazione del ci- ne, le argomentazioni diventano necessariamente scadenti». Quelle vele- tato processo penale vs. Abbatino Maurizio + 237. Ma non è da quella en- nose provocazioni dovrebbero, dunque, essere tenute in non cale, sebbene diadi, vale a dire dal concetto ch’essa magistralmente esprime, ch’ebbi a il fin de non-recevoir possa essere maliziosamente spacciato per ammissio- dedurre l’esistenza della banda stessa, che inferii invece dalla conoscenza di ne dell’addebito. Poco male, se non mi fosse intollerabile lasciarmi infilare dati concreti, cioè da fatti ricostruiti, per dirla con Enrico Redenti4, «se- a forza i panni dell’Anselmo da Aosta, rimanendo in silenzio: è per me abo- condo metodi intellettuali pregiuridici od extragiuridici, come può avveni- minevole la goffaggine del nano che indossa il mantello rubato al gigante. re di qualunque persona normale, di fronte a un quesito o ad un dubbio di Sarebbe comodo vedere tutto simultaneamente, ma, stando a san Tom- ordine storico». maso2, il piano divino riserva questa visione intellettuale sincronica agli an- Non sono così malvagio da pretendere che il nostro Taluno affatichi le geli ed alle anime accolte «in patria», chiamati intellectuales proprio perché già consunte meningi nello sforzo di discernere tra la deduzione e l’infe- colgono lo scibile intuitivamente; certo, se tutto sarà andato bene, anche noi renza, e neppure sono a tal punto sadico da imporgli di confrontarsi con la godremo, speriamo il più tardi possibile, del motus cognitionis angelicae, ma sussunzione, che è quel procedimento intellettuale al quale è chiamato il al momento siamo soltanto rationales: situati ad un livello inferiore nella giudice, allorché, come direbbe Benedetto Croce5, «fa rientrare il fatto che scala metafisica, i nostri contenuti mentali sfilano a fatica, ab aliis in alia eun- si ha innanzi, storicamente ricostruito, in una norma di legge». Vorrei solo tes atque redeuntes. Ebbene, anche se mi sarebbe molto piaciuto, per pro- ricordargli, parafrasando il Pro insipiente di Gaunilone, che non è parten- vare l’esistenza del sodalizio criminale denominato «banda della Magliana», do dal pensiero che la leggendaria «sentenza del 2000» della Suprema Cor- non avrei potuto appagarmi dell’argomento ontologico dell’id quo maius co- te di Cassazione abbia «demolito» il famigerato «teorema Lupacchini», gitari nequit3. È proprio di questo che mi accusa il Taluno de quo agitur. E che si può dedurre che quella leggendaria sentenza abbia effettivamente allora rivendico il diritto di dirla tutta, ma proprio tutta, una volta per tut- «demolito» quel famigerato «teorema», non potendosi dedurre l’esistenza te, sul modo come si sia giunti alla formulazione di quel «teorema». di un oggetto pensato, per il solo fatto che esso esiste nella nostra mente, Mi corre, tuttavia, l’obbligo di alcune preliminari precisazioni termino- o peggio soltanto nei nostri desideri. logiche, magari inutili per gli smaliziati lettori di questa prefazione, ma co- Restando, comunque, ancorati ai fatti, colgo l’occasione di questa ango- munque necessarie, ai fini di articolare un discorso vertebrato, dal mo- scia di stile, per ribadire, a scanso di equivoci, che tutte le sentenze, sia di mento che il Taluno de quo agitur asserisce che quello che sprezzante- merito sia di legittimità, pronunciate sulla scorta dei dati fattuali condotti mente chiama «teorema Lupacchini» sarebbe stato «demolito» dalla Su- a emersione dall’istruzione formale nel citato processo penale vs. Abbati- prema Corte di Cassazione, con l’ormai leggendaria «sentenza del 2000». no Maurizio + 237, in cui s’iscrive la cosiddetta «operazione Colosseo», co- «Teorema» è parola che designa una proposizione che, a partire da con- stituenti ormai anch’esse res iudicata, hanno affermato l’esistenza della dizioni iniziali arbitrariamente stabilite, trae delle conclusioni, dandone consorteria di malfattori descritta nell’imputazione, finalizzata alla com- una dimostrazione. Il «teorema» è composto, dunque, da una o più ipo- missione di un numero indeterminato di reati, fra i quali il traffico inter- tesi, una tesi e una dimostrazione della tesi. Nel «teorema giudiziario pe- nazionale e la commercializzazione su larga scala di sostanze stupefacenti, nale», le ipotesi, vale a dire le condizioni iniziali su cui si vuole ragionare, gli omicidi, le rapine e le estorsioni contestate; che tutte, meno una di tali puramente arbitrarie e che non abbisognano di dimostrazione, sono le fat- sentenze, hanno sussunto il fatto storico accertato nella norma di cui all’art. tispecie incriminatrici; la verifica della tesi implica la ricostruzione del fat- to al fine di poterne predicare il valore, in conformità alle ipotesi di par- 4. Enrico Redenti, Profili pratici del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano, 1938, p. 444. 2. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, 1a.58.3, in corpore. 5. Guido Calogero, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, Cedam, 3. Anselmo da Aosta, Proslogion. Padova, 1937, in Critica, 1937. 12 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 13 416 bis c.p., qualificando dunque mafiosa l’associazione dedotta in impu- siva implicate in vicende malavitose, come dimostravano il rinvio a giudizio tazione; che, dunque, soltanto la leggendaria «sentenza del 2000» della di esponenti della loggia P2, di ufficiali dei Servizi segreti deviati e di estre- Cassazione ha sussunto il fatto storico accertato nelle norme di cui agli artt. misti»; che i guadagni della malavita organizzata, provento del traffico degli 416 c.p. e 74 d.lgs. n. 309 del 1990, qualificando non mafiosa, ma pur sem- stupefacenti, della gestione del totonero e delle macchine del videopoker, pre associazione per delinquere finalizzata, fra l’altro, al traffico e alla com- dello sfruttamento della prostituzione e delle estorsioni, calcolabili in alcune mercializzazione su larga scala degli stupefacenti, nonché alla commissio- migliaia di miliardi (delle vecchie lire), avevano consentito agli esponenti del ne di omicidi, estorsioni, rapine e birbanterie varie, la consorteria di mal- crimine organizzato di accumulare delle fortune, tanto da farli assurgere a fattori tristamente nota come «banda della Magliana». veri e propri operatori economici, in concorrenza talvolta con grossi nomi È ben vero, insomma, per dirla con Aulo Gellio, che «Rethori conces- della finanza; che, insomma, «divenuta “imprenditrice”, la malavita romana, sum est, sententiis uti falsis, audacibus, subdolis, captiosis, si veri similes con forti collegamenti internazionali (Cartello di Medellin), cerca[va] ora modo sint et possint ad movendos animos hominum qualicunque astu irre- una collocazione stabile e una supremazia nel tessuto sociale e nei rapporti pere»6. È anche vero, però, che nulla vieta di qualificare falsario il retore, con gli apparati amministrativi»; che a preoccupare maggiormente del «sal- allorché costui, pur d’avere ragione, alteri fraudolentemente i dati di fat- to di qualità» della criminalità organizzata capitolina, «potuto avvenire gra- to, poco importa se pietatis causa. zie ai contatti con mafia,’ndrangheta e », era la «presenza grigia» In ossequio al precetto giusto il quale suum cuique tribuere7, a quel Ta- avente radici nel mondo economico e finanziario, potendo «il livello di pe- luno qualche ragione devo pur riconoscerla. È la sacrosanta verità, infat- netrazione nel mondo economico e la dimensione degli affari trattati evin- ti, che fino a quando non riattivai le indagini nel più volte citato processo cersi dai contatti con personaggi quali Licio Gelli, deferentemente chiamato penale vs. Abbatino Maurizio + 237, il cui punto d’emersione fu l’«ope- “il grande venerabile”»; nonché dalla trattazione di «appalti di grandi opere razione Colosseo», la banda della Magliana non godeva neppure un po’ edili da realizzare in Paesi stranieri (Argentina, Tanzania, Congo)», sintomo della considerazione che invece meritava. inequivocabile dell’esistenza di «un complesso reticolo di relazioni ad alto li- Per rendersene conto basterà tornare con la memoria a quei tempi. vello anche internazionale». Nel citato documento parlamentare, si evidenziava, altresì, come gli Nella prima Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia sullo omicidi volontari, tra il 1989 e il 1990, fossero raddoppiati, passando da stato della criminalità organizzata a Roma e nel , in corso di approva- 44 a 86, mentre nelle restanti 20 regioni la crescita media era stata del zione proprio nei giorni dell’ottobre-novembre 1991, si evidenziava che la 18,44%; come le rapine fossero aumentate del 28% rispetto al 23% del- Capitale si caratterizzava per «sue specifiche manifestazioni criminali: da una la media nazionale, le estorsioni del 67% rispetto al 18% della media na- parte la criminalità nata dal tessuto urbano, maturata cooperando con grup- zionale, gli attentati con esplosivo del 9%, i furti del 25% rispetto al 22% pi della mafia, della ’ndrangheta e della camorra, mentre dall’altro si [anda- della media nazionale, gli scippi del 44% , rispetto al 32,5% della media vano] formando raggruppamenti criminali di stranieri»; che, pertanto, in Ro- nazionale, i furti in appartamento del 23% rispetto al 20% della media ma si andava delineando «un milieu di formazioni criminali le quali trovava- nazionale. E vi si sottolineava, finalmente, come «i fatti, meglio sarebbe no tra di loro collegamenti, sia saltuari che duraturi», con il conseguente «pe- dire i cadaveri che insanguinano la capitale, d[essero] ragione a chi so- ricolo d’importare forme di criminalità e d’esportarne altre, attraverso lo st[eneva] l’esistenza in Roma di una criminalità organizzata operante se- scambio d’esperienze tra italiani e stranieri nelle grandi aree urbane»; che, condo gli stilemi delle organizzazioni mafiose». per altro, «sebbene si registr[asse] un’apparente calma, [erano] all’opera personaggi che già in passato [avevano] dimostrato conoscenze in ambienti Nessun dubbio, del resto, che alla fine degli anni Ottanta, fossero note cosiddetti insospettabili». Sotto tale profilo, Roma veniva descritta alla stre- tanto l’esistenza della banda della Magliana quanto la circostanza che essa gua di «un crocevia tra la criminalità di stampo mafioso, criminalità comu- aveva intessuto una fittissima rete di collegamenti, complicità, coperture e ne, attività di grandi faccendieri a livello nazionale e frange della Destra ever- agganci di vario genere, con gli ambienti più svariati, dalla Massoneria a ta- luni spezzoni dei Servizi di sicurezza, operanti, molto spesso, ai margini del- l’illegalità. Contesto, questo, in cui s’iscrivevano i rapporti operativi con am- 6. «Al retore è consentito il ricorso ad argomentazioni false, audaci, maliziose, in- gannevoli, sofistiche, purché abbiano qualche somiglianza col vero, e riescano in bienti eversivi della Destra estrema, che prosperarono anche grazie alle qualche modo a commuovere l’uditorio», Aulo Gellio, Noctes Atticae, I, 6, 4. complicità e agli aiuti, così economici come logistici, della banda: forniture 7. «A ciascuno sia dato quanto gli è dovuto». di armi, rifugi, documenti d’identità contraffatti e altro. 14 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 15 Proprio Paolo Aleandri, già appartenente alla formazione d’estrema Nonostante l’abnorme crescita della criminalità; nonostante il cruento rie- Destra «Ordine Nuovo» e uomo di fiducia dei professori splodere della faida interna alla banda della Magliana; nonostante il «preoc- e Fabio De Felice, nonché tramite fra costoro e il Venerabile Maestro del- cupato allarme» della Commissione parlamentare antimafia, che «richia- la loggia massonica P2 , Licio Gelli, imboccata, dopo la strage del 2 ago- ma[va] l’attenzione del Parlamento e del Governo su una situazione certa- sto 1980 alla Stazione ferroviaria di Bologna, la strada della collaborazio- mente pericolosa», gli ambienti polizieschi romani, inspiegabilmente, conti- ne processuale, aveva del resto rivendicato immediatamente la piena con- nuavano a ispirare una vulgata tesa alla programmatica sottovalutazione del- sapevolezza sia della pericolosità del famigerato sodalizio delinquentesco la pericolosità della banda della Magliana e, più in generale, delle infiltrazio- capitolino, sperimentata addirittura sulla sua pelle, sia della rete di conni- ni mafiose nel tessuto sociale e nei rapporti con gli apparati amministrativi venze di cui esso godeva, della quale era sintomatica la sostanziale impu- della Capitale. Ancora nell’ottobre del 1991, il Prefetto di Roma Carmelo nità dei suoi adepti. Caruso, discutendo in Campidoglio i problemi legati alla criminalità orga- «Quanto alla pericolosità dell’organizzazione», questo è quanto dichia- nizzata con il sindaco, i capigruppo consiliari, il questore e i comandanti dei rato al riguardo dall’ex terrorista, «posso dire, per aver vissuto da prota- e della guardia di finanza, dichiara che «se la mafia è intesa come gonista quegli anni, che la banda della Magliana determinò un cambio di una foresta che soffoca le città, a Roma ci sono soltanto alcuni alberi». mentalità nell’ambiente malavitoso romano facendo passare il principio Quanto ricordava Macbeth, il prefetto Caruso, col suo sprezzante ri- che si poteva imporre il proprio potere applicando regole semplici e fero- fiuto di farsi intimidire dalle notizie riferitegli: Till Birnam wood remove ci al fine di intimidire qualunque interlocutore che poteva, addirittura, es- to Dusinane / I cannot Taint with fear. Un orgoglioso gesto di sfida, il suo, sere fisicamente soppresso senza grossi rischi. In tal modo il sodalizio ha o non, piuttosto, il discorso di un uomo «roso dal terrore»? cambiato le precedenti regole del gioco diventando esso stesso l’ente che Occorre pur dire, comunque, che con due memorabili interventi, il Tri- le poneva, a differenza di quanto accadeva prima e cioè che tutto dovesse bunale della libertà di Roma, il 28 marzo e il primo aprile 1987, aveva re- essere contrattato». vocato gli ordini di cattura, emessi il 12 febbraio precedente, da un pool Una lucida quanto spietata analisi, quella dell’Aleandri, che trovava di pubblici ministeri, sulla scorta di devastanti chiamate in correità di puntuale riscontro, innanzi tutto, nell’impiego feroce e determinato, da Claudio Sicilia, nei confronti di numerosissime persone, accusate di ap- parte della banda, di ogni tipo di violenza ed intimidazione, per quanto partenere, a vario titolo, alla banda. efferata potesse essere. Basti ricordare, in proposito, sia pure in via di ra- Le indagini sulla banda, da quel momento, languirono per anni, men- pidissima sintesi, il sequestro, avvenuto il 7 novembre 1977, e la successi- tre il sangue continuava a scorrere per le strade romane. Nel frattempo, va uccisione del marchese Massimiliano Grazioli Lante della Rovere; l’o- infatti, era riesplosa la faida interna all’organizzazione, che, nel corso de- micidio di Franco Nicolini, detto Franchino er Criminale, commesso il 2 gli anni Ottanta, per dirla col poeta, «spinse anzi tempo al morto regno» luglio del 1978, e quello di Sergio Carrozzi, eseguito il 28 agosto dello le anime, «E a’ cani e augei le salme [...] abbandonò» di numerosissimi stesso anno; il tentato omicidio di Giovanni Piarulli, il 16 agosto 1979; l’o- esponenti della criminalità organizzata capitolina. micidio di Amleto Fabiani, perpetrato il 15 aprile 1980; il tentato duplice Le vicissitudini giudiziarie che tra il 1981 e il 1987 avevano investito omicidio in danno di Pierluigi Parente e Maria Nicoletta Marchesi, il 19 quell’universo, con strascichi variamente durevoli, avevano costretto gli settembre 1980; il tentato omicidio di Enrico Proietti il 27 ottobre 1980 e elementi di maggior spicco a più o meno lunghi periodi di detenzione, nel quello di Mario Proietti il 12 dicembre dello stesso anno; gli omicidi di corso dei quali – vuoi per le esigenze di sostegno ai detenuti e alle loro fa- Orazio Benedetti, commesso il 23 gennaio 1981, di Nicolino Selis e di An- miglie, vuoi per le oggettive difficoltà di gestione delle lucrose attività cri- tonio Leccese, nella serata del 3 febbraio 1981; l’omicidio di Maurizio minali, appannaggio della consorteria – le rivalità che già serpeggiavano Proietti e il tentato omicidio di Mario Proietti, il 16 marzo 1981; l’omici- fra i sodali non soltanto avevano provocato inevitabili frammentazioni del dio di Giuseppe Magliolo, perpetrato il 24 novembre 1981; gli omicidi di sodalizio, ma avevano anche reso concreta la possibilità, per elementi di Massimo Barbieri, eseguito il 18 gennaio 1982, di Claudio Vannicola, il 23 secondo piano, di affrancarsi con autonome iniziative, sottratte al con- febbraio successivo, di Fernando Proietti realizzato il 30 giugno 1982 e di trollo degli esponenti di primo piano in vinculis: in conseguenza di tali ac- Michele D’Alto, commesso il 30 giugno dello stesso anno; l’omicidio di cadimenti, proprio nello stesso momento in cui alcuni di costoro erano Raffaello Daniele Caruso, attuato il 22 gennaio 1983, e quelli di Angelo tornati in libertà, si erano anche spezzati i delicati equilibri in atto e, in ra- De Angelis e di Mario Loria, consumati, rispettivamente il 10 febbraio e pida successione, erano rimasti sul terreno, fra il 1989 e il 1990, Edoardo il 18 settembre dello stesso anno. Toscano, Giovanni Girlando ed Enrico De Pedis. 16 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 17 Difficile dire se si fosse trattato di un eclatante caso di frustrazione pa- Dottor C: «Ho capito, comunque... ». ralizzante le capacità intellettive degli organismi statuali preposti alla pre- Avvocato D: «Dovrebbe essere una vecchia cosa ancora». venzione ed alla repressione del crimine ovvero di un macroscopico caso Dottor C: «... comunque, se mi chiama, io... ». di disattenzione selettiva, ma, certamente, a fronte di quel nuovo divam- Avvocato D: «Embè! Lo vedremo di quello che si tratta... ». pare della violenza fu disarmante l’inadeguatezza dell’opus investigante. E Dottor C: «Sì, credo che si tratti della banda della Magliana, è una trancia pure, non sarebbe stato difficile cogliere come non potesse essere stato [sic!] del processo sulla banda della Magliana». soltanto per un accidente che la sanguinosa faida si fosse riaccesa e svi- Avvocato D: «E di che anno era il caso?». luppata proprio tra il settembre del 1989 e il marzo del 1990, per poi ces- Dottor C: «Di quattordici o quindici anni fa». sare, quasi miracolosamente, nel luglio 1990: nel luglio del 1989, era eva- Avvocato D: «Ecco, allora può essere, perché ecco, appunto, questo [dove so dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, per essere nuo- il «questo» ero ancora una volta io] è un tipo così, un po’ emarginato lì nel- l’ambiente, e gli hanno lasciato questi disastrati e vecchi processi imputridi- vamente arrestato proprio nel luglio del 1990, Marcello Colafigli, da sem- ti dagli anni... ». pre considerato, al pari dell’allora latitante e di Enri- co De Pedis, uno dei punti di riferimento indiscussi della criminalità or- Sebbene il titolare del «disastrato e vecchio processo imputridito dagli an- ganizzata romana e sicuramente, fra quelli, il più feroce e sanguinario. ni» fosse «un tipo abbastanza strano» e «un po’ emarginato», Claudio Si- cilia, collaboratore già liquidato, per i suoi precedenti, per la sua posizio- Era questa la situazione, quando, nel febbraio del 1990, mi ritrovai in ne giudiziaria, per la sua personalità e per i suoi presumibili moventi, qua- mano i settanta volumi del processo istruito sulle dichiarazioni di Claudio le «fonte inattendibile», tornò, tuttavia, prepotentemente alla ribalta e ciò Sicilia. Vi restai immerso quasi due anni. Fatica ingrata: i precedenti pe- accadde, purtroppo per lui, contro la sua volontà. savano maledettamente. Tutto ormai sembrava deciso e altro non ci si Paolo Aleandri, esaminato nel pomeriggio del 18 novembre 1991, aveva aspettava da me se non che ponessi la pietra tombale su una materia che chiuso il suo interrogatorio sottolineando come la «banda della Kawasaki» gli intenditori consideravano ormai morta. – nome con cui, in epoche più remote, veniva designata la «banda della Ma- Una bizzarria, del resto, era considerata la stessa esigenza che avvertivo gliana» – avesse «memoria d’elefante»: deliberata una sentenza di morte, la di ricostruire puntualmente i fatti e di comprendere lo straordinario fe- eseguiva, in ogni caso, magari anche dopo dieci anni. Con questa lugubre nomeno criminal-politico-affaristico, del quale la banda della Magliana, premonizione, l’ex terrorista neofascista divenuto collaboratore di giustizia, ma specialmente la rete di protezioni efficienti e interessate di cui essa go- aveva enunciato una fondamentale regola d’esperienza, che, a quanto pare, deva, costituivano le più evidenti manifestazioni. esulava dal repertorio di quel variopinto e patetico sciame di «grandi inve- Prova ne siano le «voci correnti nel pubblico» sul mio conto e su quel stigatori» soi disants che, a Roma, si piccavano ormai di conoscere tutto del- processo. Le documenta una conversazione, intercettata, proprio mentre si la e sulla famigerata banda. Marcello Colafigli, infatti, in occasione dell’ar- stava tanto faticosamente quanto inesorabilmente riavviando la macchina resto che ne aveva interrotto la latitanza, aveva manifestato il proprio in- processuale. Al telefono, due eminenti frammassoni: il primo, lo chiame- tento di eliminare fisicamente Claudio Sicilia per le sue fluviali rivelazioni e remo «dottor C», doveva rendere testimonianza, pertanto, si era rivolto al lo aveva fatto – colmo dell’impudenza! – rispondendo a un interrogatorio secondo, che chiameremo «avvocato D», e lo aveva pregato di assumere del pubblico ministero. E, tenuti nel debito conto sia il ruolo processuale informazioni sul conto di chi intendeva interrogarlo, dunque sul mio: svolto dal collaboratore – le cui molteplici chiamate in correità avevano Avvocato D: «Dunque, quello [dove il «quello», per l’appunto, ero io] consentito l’acquisizione d’importanti conoscenze sull’universo sommerso è un tipo un po’ strano, mi riferiscono che non è della Procura della Re- della criminalità organizzata della Capitale – sia il ruolo che, in contingen- pubblica bensì è ormai destinato al Tribunale giudicante, però, siccome ze meno avverse, egli avrebbe potuto tornare a giocare, v’era più d’una buo- c’è ancora qualche vecchio processo superstite che ancora segue il vecchio na ragione per escludere che il feroce Colafigli si fosse lasciato andare ad un rito, quindi con l’ormai soppresso giudice istruttore, dice che probabil- innocente pour parler davanti al magistrato. Quantunque fosse esplicito, mente lui [dove il «lui» ero sempre io] ha qualche vecchissimo processo nella sua minaccia, un più che plausibile movente per un omicidio annun- del quale è giudice istruttore». ciato, Claudio Sicilia era stato, tuttavia, lasciato solo. E, proprio la sera del 18 novembre 1991, due killer, a bordo di una motocicletta, lo freddarono Dottor C: «Ho capito». con alcuni colpi di pistola, all’interno di un negozio di calzature. Avvocato D: «Ed è un tipo abbastanza strano». 18 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 19 Il 20 novembre 1991, «Il Messaggero», sotto il titolo Troppi piccoli reati Maurizio Abbatino, colpito da più provvedimenti restrittivi, dopo un impuniti, pubblicava un’intervista al dottor Fernando Masone, all’epoca lungo periodo di latitanza, che si protraeva dal dicembre 1986, venne ar- Questore di Roma, nella quale si leggeva: «Il problema vero di questa città restato, a Caracas, il 24 gennaio 1992. Gli antichi sodali si attivarono im- è quello della piccola criminalità. Qui non abbiamo frequenti esplosioni di mediatamente, senza, tuttavia, approdare a risultati utili, per propiziarne grossa criminalità. Quel che più s’avverte invece è la quotidianità della pic- la liberazione e scongiurarne l’estradizione dal Venezuela verso l’Italia: es- cola criminalità. Sono questi piccoli reati quelli che incidono fortemente si avevano ben fondate ragioni di temere che l’Abbatino, considerato da sui cittadini. La gente quando viene colpita nel suo, nella sua casa, nella sua sempre personaggio di primo piano dell’organizzazione delinquentesca, auto, non pensa e non può pensare che questo sia un piccolo reato. Chi vie- potesse indursi a clamorose quanto pericolose rivelazioni, specie dopo la ne derubato, chi viene malmenato, chi subisce un danno, uno scippo, un barbara uccisione del fratello Roberto, prima torturato e, quindi, finito a furto in appartamento, riceve un’offesa. Gravissima. Ecco, su queste cose coltellate sul greto del Tevere, alcuni giorni dopo l’agguato nel quale era dobbiamo avere una vera attenzione. Insomma, noi dobbiamo lottare e caduto Enrico De Pedis. combattere per ridurre questo problema che a mio avviso è il vero proble- Non si sbagliavano. ma di Roma. Del centro, ma soprattutto dei quartieri di periferia, dei quar- Giunto in Italia, a seguito della sua espulsione dal Venezuela, Maurizio tieri dormitorio, di Tor Bella Monaca, di Corviale, di Centocelle e di tanti Abbatino, il quale, già poco dopo il suo arresto, aveva manifestato l’inten- altri ancora. Ecco, se stasera sapessi che siamo riusciti a ridurre il numero zione di voler collaborare agli stessi ufficiali della nostra polizia giudiziaria degli scippi anche di una sola unità, sarei davvero felice». che l’avevano rintracciato all’estero, fornì preziose informazioni sulla ban- Incalzato dall’intervistatore («Dunque, il problema è questo. E la dro- da, rivendicando al suo interno un ruolo di vertice; ne tracciò le linee di svi- ga?»), il Questore insisteva: «La droga c’è ed è tanta. E droga significa per luppo, sia sotto il profilo dei partecipi sia sotto il profilo della sua struttu- lo più microcriminalità. Il piccolo spaccio, il consumo quotidiano trova- razione per progressive aggregazioni e stratificazioni di gruppi delinquen- no alimento proprio nel piccolo reato non in quello grande». ziali, in precedenza non omogenei, sia, finalmente, sotto il profilo stretta- Non potendosi sottrarre a una domanda sulla possibilità che vi fossero mente operativo, sul terreno del traffico, del controllo e della commercia- legami tra la banda della Magliana, la mafia e la camorra, l’intervistato af- lizzazione, a Roma, dell’eroina e della cocaina, tra la fine degli anni Settan- fermava: «Io personalmente non ho fatto indagini su questo, ma mi sento ta e i primi anni Ottanta. La sua collaborazione apparve subito particolar- di dire che è sicuro». Salvo naturalmente affermare, subito dopo: «A Ro- mente interessante per i cospicui elementi di novità su un impressionante ma, comunque, non ci sono quelle manifestazioni tipiche di altre zone d’I- numero di omicidi, che, proprio a partire dall’ultimo scorcio degli anni Set- talia come il racket, l’estorsione capillare a negozianti e industriali, il con- tanta e sino all’inizio degli anni Novanta, avevano insanguinato la Capitale; trollo su tutte le attività economiche con percentuali e parcellizzazione del su efferati sequestri di persona; su cruente lotte per il «controllo» del mer- territorio. Tutto questo qui da noi non c’è». E, quindi, ulteriormente pre- cato della droga, della gestione del gioco d’azzardo e dell’esercizio dell’u- cisare: a Roma «ci può essere quello che noi abbiamo già detto ripetuta- sura; sulla fagocitazione ed il controllo di attività economiche. mente: l’investimento di danaro sporco in attività lecite. E siccome questo Quelle rivelazioni, d’altra parte, risultarono di assoluta importanza sotto è stato provato in vari casi già sottoposti all’autorità giudiziaria, che ha de- un ulteriore punto di vista: mentre a Claudio Sicilia, il quale proveniva da ciso il sequestro dei beni anche recentemente, non vedo perché questi fe- Napoli e, dunque, non era pienamente consapevole delle dinamiche che nomeni di criminalità organizzata non debbano esserci ancora. E noi la- avevano attraversato la criminalità romana degli anni Settanta, sfuggivano voriamo per bloccarli. Anche se tutto va ricondotto entro certi limiti. Ro- spesso la reale portata ed il significato dei fatti che riferiva, Maurizio Abba- ma non è un territorio di conquista per questa gente. Io ipotizzo tutto al tino, cresciuto nell’ambiente della malavita capitolina di quegli anni, era top per essere pronto all’occorrenza, ma non dobbiamo esagerare». perfettamente in grado di apprezzare l’unitarietà, pur nella diversità dei Tutte queste dichiarazioni del Questore Masone intervenivano all’in- gruppi, fondamentale caratteristica della banda della Magliana, e, dunque, domani dell’omicidio di Claudio Sicilia, a bloccare il quale, la macchina di trarne le conseguenze, in termini di adeguata spiegazione del fenomeno. della prevenzione, ipotizzata al top, ma senza esagerare, purtroppo non Inutile dire che con le rivelazioni di Maurizio Abbatino la banda della era stata pronta. Magliana entrava nella mitologia. Gli autori dell’omicidio di Claudio Sicilia sono ancora ignoti, ma la sciagurata scelta di collaborazione della vittima, in ogni caso e contro ogni Sulla strada della costruzione del mito, è poi arrivato Romanzo Crimi- ragionevole previsione, non restò isolata. nale di Giancarlo De Cataldo, libro nel quale, per l’appunto in forma ro- 20 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 21 manzata, cioè mediante un artificio narrativo che permette di non atte- nersi rigorosamente alla verità storica, si racconta l’epopea della «banda della Magliana», i legami di questa con l’eversione, i Servizi segreti devia- ti, la massoneria, la politica, le alte sfere del clero. Da un così bel libro, che attinge, con grande intelligenza e gusto raffi- nato, agli atti del processo, è stato tratto, però, l’omonimo film di Miche- le Placido, sorta di specchio deformante che divora l’immagine riflessa, quella cioè della feroce associazione di malfattori brutti, sporchi e cattivi, per restituirne, grazie anche alla bravura e ai pregi estetici degli attori, quella di una patetica banda di «piacioni»: non eroi negativi, ma soltanto good fellas, belli, sfortunati, magari, e maledetti. Come se non bastasse, è spuntata finalmente anche la «serie», propagandata con discutibili trova- te pubblicitarie, tributaria di un incredibile successo di pubblico: su in- ternet, in particolare su Facebook, proliferano «gruppi» inneggianti a MAI CI FU PIETÀ questo o a quel personaggio oppure sondaggi che si domandano se è più fico er freddo o er dandi.

Oggi, dovrebbe essere ormai noto lippis et tonsoribus che la liquidazio- ne giudiziaria e la conseguente estinzione del sodalizio delinquentesco la cui storia è narrata in Mai ci fu pietà è avvenuta nel periodo a cavaliere del 1993; e che da allora non si dovrebbe, dunque, più parlare di «banda del- la Magliana» come se fosse un fenomeno associativo criminale in qualche modo ancora attuale, sia pur con riguardo alle gesta dei suoi epigoni, i so- pravvissuti, cioè, alle mattanze o all’inesorabile scorrere del tempo, tal- volta ancora in stato di detenzione o tornati in libertà dopo carcerazioni più o meno lunghe. Eppure, le odierne cronache giornalistiche, considerato il forte appeal che quell’associazione di malfattori, grazie soprattutto ai film e alle fiction, continua a esercitare sull’immaginario collettivo, concorrono a farla con- tinuamente rivivere, sia pure in modo assolutamente virtuale, quasi per ef- fetto del sortilegio d’una fata Morgana mediatica, ogni volta che qualche evento criminale funesta Roma e il suo hinterland, sol che si sospetti vi possano essere implicati soggetti che ne abbiano fatto parte, in tempi co- munque ormai remoti, ovvero loro eredi o aventi causa. 22 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 23 Banditi

Con il sangue raffermo incrostato sulla fronte, il sequestrato giaceva in quello scantinato ormai da quattro giorni. Appena arrivato, gli avevano ordinato di spogliarsi, lasciandogli solo calzini e mutande. Era primavera, ma nel nascondiglio faceva freddo. Una flebile luce filtrava da una grata e un sacco a pelo sopra una brandina da campeggio non poteva essere ab- bastanza. C’era però il cuscino di stoffa, rossa, morbidissimo, con l’im- bottitura di lana grezza. E l’ottimo cibo, perché era lo stesso destinato ai carcerieri, dei veri buongustai. Molto spesso, all’ostaggio venivano serviti dentro contenitori di plastica filetti al sangue e una volta anche rigatoni con la pajata: era uno dei piatti preferiti dal capo, il più cattivo, che si di- vertiva a mimare con la mano la pistola e a puntarla in mezzo agli occhi del prigioniero. La mossa aveva ricordato al rapito, con un brivido di or- rore, quella di quando si uccidono le bestie dentro il mattatoio. «Caro papà, carissimi tutti, sono nelle mani di un’organizzazione forte e decisa a tutto. Se volete salvarmi fate quanto vi sarà richiesto. Per ogni trattativa detta organizzazione si farà riconoscere con questa sigla AZ 71 di cui so- lo voi siete a conoscenza. Spero che farete tutto senza perdere tempo. Tut- to si può rifare fuorché una vita. Silenzio con tutti e non commettete er- rori, potrebbero essere fatali», scrisse finalmente ai suoi familiari il mal- capitato, dopo quei primi giorni di inferno1. L’uomo finito nelle mani di quei balordi era l’orefice romano Roberto Giansanti, 29 anni, con nego- zio in via Livorno. Fu rapito la sera del 16 maggio del 1977 da un gruppo all’epoca piuttosto inesperto di sequestri di persona, ma voglioso di inse- rirsi nel business criminale più redditizio di quei tempi. Era l’ora di cena, Giansanti aveva appena posteggiato la sua auto nel garage condominiale di via Franco Sacchetti, alla Bufalotta, dove abitava. Prima che i banditi Le vicende narrate sono realmente accadute: si tratta di fatti accertati dai giudici così come scritto su sentenze irrevocabili. Questo libro è il frutto dello studio di gli saltassero addosso, ebbe il tempo di vedere con la coda dell’occhio tre documenti giudiziari e di colloqui avuti dall’autrice con magistrati, investigatori e uomini calarsi in testa i passamontagna, con lo sguardo implorò un altro avvocati. inquilino presente casualmente nel garage, ma questi rimase ad assistere 24 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 25 alla scena ammutolito e immobile. Un attimo dopo, i banditi si diedero da l’unica palese dimostrazione di agiatezza era proprio quella grossa villa in fare con una spranga e i calci delle loro pistole. costruzione. Franco Giuseppucci l’aveva adocchiata e si era fatto i suoi «Ma chi è?», chiese un rapitore a un complice. conti: si convinse di poter organizzare un sequestro-lampo, in cambio di «Ma chi sei?», ripeté un altro al gioielliere. «Sono Giancarlo Rossi», un riscatto colossale. provò a mentire Roberto Giansanti, già mezzo tramortito dalle botte in te- In realtà, i rapitori intascarono 350 milioni, ovvero una somma di gran sta. I rapitori gli frugarono nelle tasche e trovarono la patente. «È lui, è il lunga inferiore alla richiesta iniziale di 5 miliardi. Per di più, dovettero di- padre», si rassicurarono. Originariamente, infatti, i banditi progettavano videre i guadagni in molte parti: mentre era prigioniero, il gioielliere eb- di prendere in ostaggio uno dei figli piccoli del gioielliere, ma poi qualco- be modo di distinguere almeno sei distinti carcerieri e nell’appartamento sa li costrinse a cambiare idea. «Dovevamo rapire il bambino, ma per la adiacente alla sua prigione avvertì la presenza anche di una o di due don- legge reale che tutela i minorenni abbiamo scelto te», vollero riferire con ne, addette alla cucina dei pasti. L’allungarsi inaspettato delle trattative e scherno all’orefice, che aveva origini nobili, per terrorizzarlo. Lo carica- la salute cagionevole del sequestrato crearono tra i banditi una certa ten- rono quindi in una macchina, facendolo sdraiare sul sedile posteriore del- sione. Dopo pochi giorni il gioielliere si ammalò di congiuntivite acuta. Fu l’auto con la testa appoggiata alle ginocchia di un bandito, che non smise necessario l’intervento di un medico amico della banda. «Sei il peggio af- di colpirlo e di insultarlo per tutta la durata del viaggio. fare che ci poteva capitare. Invece di un cristiano ci hanno portato un ca- «Fijie ‘e bocchina», gli urlava2. Dopo una corsa di un’ora sul Grande davere e per di più malato di cuore», disse a Giansanti uno di loro4. Alla Raccordo Anulare, Roberto Giansanti si ritrovò segregato in quella specie fine, dopo altre tre lettere scritte alla famiglia e una serie di telefonate ter- di cantina. In effetti, ebbe l’impressione che quelli fossero del tutto im- rorizzanti, si arrivò a un accordo per la liberazione. Il cinquantaduesimo preparati a occuparsi di un adulto: per legargli le caviglie, non trovarono giorno di prigionia al gioielliere furono date da mangiare mele cotte; quin- di meglio che la cintura dei suoi stessi pantaloni e malamente lo copriro- di fu rivestito, narcotizzato e caricato su un’auto fino al luogo dello scam- no con una tovaglia. Quando ne sentì il bisogno, durante la sua prima not- bio, una strada isolata sotto un ponte sulla Prenestina. La moglie dell’o- te da prigioniero, il gioielliere non poté fare a meno di orinare contro il refice, Marina, si ritrovò a giocare a una caccia al tesoro. Arrivò all’ap- muro, in un angolo. puntamento seguendo man mano le indicazioni contenute in quattro bi- «Le informazioni necessarie per sequestrare il gioielliere le diede Fran- glietti lasciati in altrettanti cestini per i rifiuti, disposti in luoghi diversi co Giuseppucci», raccontò il pentito Claudio Sicilia nel 19863. della città. Franco Giuseppucci era un criminale di trent’anni, appartenente alla Fu, questo dei messaggi, uno stratagemma utilizzato dallo stesso grup- vecchia guardia. Faceva il fornaio e per questo era soprannominato For- po anche per un altro rapimento. Il fatto accadde sempre a Roma di lì a naretto, anche se poi gli affibbiarono il nomignolo di er Negro per via del quattro mesi esatti ed ebbe un epilogo ben peggiore. Il riscatto pagato fu colorito scuro. Temuto e stimato, aveva ottimi canali per la ricettazione ed di due miliardi e l’ostaggio, il duca Massimiliano Grazioli Lante della Ro- era molto conosciuto nell’ambiente delle corse dei cavalli: agli scommet- vere, non fece mai ritorno a casa. titori clandestini prestava a strozzo i soldi accumulati con le rapine, riu- scendo così a riciclare il denaro e nello stesso tempo a ottenere ampi gua- Il tragico sequestro del duca Grazioli rappresentò un salto di qualità. dagni. Il gioielliere Giansanti, quando fu liberato, riferì ai carabinieri di Fu questo il vero trampolino di lancio di quella che sarebbe poi diventa- aver notato proprio er Negro, qualche giorno prima del rapimento, da- ta la famigerata «banda della Magliana». Si stava formando in quel perio- vanti al suo negozio di gioielli in via Livorno. Se l’era ricordato perché il do il suo gruppo originario, derivato dall’unione di alcuni criminali nati- bandito aveva un occhio di vetro, a causa dei postumi di un incidente. Er vi dell’omonimo quartiere a Sud di Roma, la Magliana appunto, che a par- Negro, peraltro, era la stessa persona che Giansanti aveva visto, più di una tire dal 1975, su input del Nuovo Piano Regolatore, era diventata «preda volta a partire da un mese prima del sequestro, nei pressi di un maneggio del degrado e della speculazione edilizia»5. Alla Magliana le ruspe aveva- vicino al cantiere dov’era in costruzione la sua villa di famiglia, sull’Aure- no distrutto il paesaggio, colline verdi furono ricoperte in tempi record da lia: Giuseppucci arrivava in quel maneggio sempre a bordo di una Fiat brutti alveari mal soleggiati, lasciando al contempo i nuovi residenti privi 124 spider, di colore giallo, parcheggiava la macchina con il retro contro dei servizi pubblici essenziali. un albero, così da nascondere la targa e si piazzava in piedi per alcuni mi- Il capo di questo primo nucleo della gang, Maurizio Abbatino, era na- nuti davanti al cofano, per coprire anche il numero di targa anteriore. to a Roma nel 1954 e dunque all’epoca del rapimento aveva 23 anni. Lo I Giansanti, d’altra parte, non erano tipi da sfoggiare lussi e ricchezze e chiamavano Crispino, per la capigliatura folta e riccia. Molti anni dopo, fu 26 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 27 proprio lui a fare ai giudici i nomi dei suoi compagni di imprese dell’epo- lare l’Olimpo criminale non diedero invero gli effetti sperati. Ad esempio, ca: Giovanni Piconi, Emilio Castelletti, Renzo Danesi, Enzo Mastropietro finì in sparatoria, con l’arresto in flagranza di uno dei banditi, il progetta- e Giorgio Paradisi, garagista, tutti suoi coetanei. Quando il gruppo di Cri- to rapimento di un costruttore perugino, Vincenzo Ciriello: imprevedibi- spino si unì a Franco Giuseppucci, er Negro, nativo invece di Trastevere, le fu la reazione dell’ostaggio, che era armato. Addirittura, ci fu anche il si costituì quella che si chiamava nel gergo della malavita una «batteria». tentativo di recuperare il riscatto frutto del sequestro di un imprenditore La «batteria» presupponeva un patto di solidarietà e l’accordo a steccare emiliano, liberato in cambio dell’impegno a pagare a posteriori i rapitori. in parti uguali i proventi dei delitti, anche qualora non tutti i sodali par- L’uomo, a suggello del patto, aveva dato ai carcerieri metà di un santino, tecipassero all’azione. Er Negro, più anziano degli altri di una decina di che quelli avrebbero dovuto utilizzare per farsi riconoscere. Una volta al anni, era già famoso nell’ambiente e suo pupillo era un ragazzo noto per sicuro, però, l’imprenditore pensò bene di far andare al posto suo, per la essere irascibile e spietato, Marcello Colafigli detto Marcellone, con la fi- consegna del denaro, un poliziotto in borghese, del quale comunque ai sionomia del gigante: Marcellone si unì quasi subito alla «batteria», anche malviventi non sfuggì la presenza. se poi capitava che sia lui sia Giuseppucci, oltre che a lavorare con il nuo- C’è quasi sempre una talpa dietro ogni rapimento. Nel caso del duca vo gruppo, occasionalmente si aggregassero anche ad altre «batterie», con Massimiliano Grazioli, assassinato dopo il pagamento del riscatto, a tra- le quali di solito ci si incontrava nella zona dell’Alberone, sulla via Appia dirlo fu un amico di suo figlio. Giulio Grazioli, 35 anni, aveva la passione Nuova. Una di queste «batterie» era la cosiddetta «banda di Val Melai- per la caccia e per i fuoristrada e fu così che due anni prima aveva cono- na», che a differenza di quella di Maurizio Abbatino detto Crispino, spe- sciuto il suo Giuda, Enrico Mariotti, un coetaneo, tipo stravagante che cializzata in rapine, già controllava il traffico della cocaina tramite un ca- amava vestire con abiti militari e frequentava i giovani fascisti dei Parioli. nale aperto dal figlio diseredato di un conte, che aveva contatti con la ca- Mariotti gestiva al centro di Ostia una sala corse ed era un grande esper- morra. La «banda di Val Melaina», tuttavia, si sfaldò presto, intorno al to di motori e collezionista di armi. In passato, era stato arrestato per aver 1972: i soci si montarono la testa, furono incapaci di gestire i guadagni investito una persona su un’auto rubata, ma questo Giulio Grazioli non lo stratosferici. Per tali motivi si può dire che a Roma, in quel periodo, non sapeva. Al figlio del duca, invece, era noto che a fare il buttafuori per Ma- esisteva alcuna grossa organizzazione di mala autoctona. Piuttosto, im- riotti era un certo Franco Giuseppucci detto er Negro, di cui l’amico gli perversava un potente clan d’oltralpe: la cosiddetta «banda dei Marsiglie- parlava, peraltro, in maniera colorita. La circostanza, tuttavia, non aveva si»: proveniente appunto dalla città portuale, era un clan che si era tra- mai impensierito più di tanto il rampollo dei Grazioli, nonostante i suoi sferito in Italia dopo che la polizia francese era riuscita a smantellare in illustri natali: diventati duchi nel 1851, gli avi del giovane furono i mugnai patria molte raffinerie della droga. di papa Gregorio XVI mentre la famiglia di sua madre, Isabella Perrone, I Marsigliesi, a Roma, oltre che trafficare cocaina, controllavano buona era stata proprietaria del quotidiano «Il Messaggero». D’altra parte, Ma- parte del gioco d’azzardo e in particolare il «Totonero», ovvero le scom- riotti dimostrava di avere conoscenze in ogni ambiente. Tra i frequentato- messe clandestine sulle partite di calcio. Nei night club dell’ormai deca- ri di una sua villa nel Reatino, punto di partenza per gite in motocross, c’e- dente via Veneto riciclavano il denaro, anche quello frutto dei sequestri di ra anche il figlio di un questore. persona, e nell’aprile del 1975 organizzarono il rapimento di Giovanni Giulio veniva invitato spesso in quella casa di campagna da Enrico Ma- Bulgari, il gioielliere di fama internazionale con atelier in via Condotti, te- riotti e anche nella sua residenza di Ostia, dove il gestore della sala corse nuto prigioniero per un mese e liberato dopo il pagamento di un riscatto viveva con la moglie e due bambine. Allo stesso modo, la talpa conosceva di un miliardo e 300 milioni di lire. Fu il colpaccio dei «francesi», ma an- bene la famiglia del suo nobile amico. In particolare, era informato del fat- che l’inizio della loro fine. Solo un anno dopo, il clan fu stroncato dalla to che i Grazioli avevano ottenuto di recente un cospicuo indennizzo: era cattura clamorosa di uno dei suoi capi, Albert Bergamelli, che dimorava stato per l’esproprio di alcuni terreni nei pressi della via Salaria, dove era in una villa sull’Aurelia. Da quel momento, fino al 1983, l’anno in cui fu stata costruita l’autostrada. Più di una volta, Mariotti aveva anche incon- ucciso in carcere, Bergamelli assistette, suo malgrado, all’ascesa di quel trato l’anziano duca, sia nel suo palazzo di via del Plebiscito, dietro piaz- gruppo di malavitosi romani che aveva sempre disprezzato: «Sono dei za Venezia, sia nella tenuta della Marcigliana, all’altezza di Settebagni. Si borgatari – disse di loro una volta – è gente che agisce senza alcuna ra- trattava di 534 ettari di terreno coltivati a grano e pascolo alla cui cura zionalità»6. Massimiliano Grazioli aveva dedicato negli ultimi anni tutto se stesso. Bergamelli aveva le sue ragioni. Fino a quando la sorte di Crispino e de- Ogni giorno il nobiluomo, che aveva 66 anni, usciva da casa a orario fisso gli altri non incrociò quella dello sventurato Grazioli, i loro sforzi per sca- e si recava alla sua azienda agricola. Quindi ritornava a via del Plebiscito 28 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 29 percorrendo sempre a orari fissi, al volante della sua Bmw grigia, la me- lungarsi ben oltre ogni ottimistica previsione. desima strada, che solitamente era poco o nulla trafficata. Per questo, ri- «Non vi era un postino per recapitare i messaggi. I messaggi venivano cevuta la dritta da Enrico Mariotti, non fu difficile per er Negro, Crispino recapitati un po’ da tutti dopo aver preso accordi con il telefonista. Poi il e gli altri della sua «batteria» iniziare a pedinare la loro vittima. telefonista chiamava la famiglia e diceva dove erano i messaggi, che veni- vano lasciati da noi o in un bar, o in un cestino dei rifiuti o in una cabina L’azione scattò quando era buio. Un’Alfetta strinse la Bmw appena telefonica. Talvolta il telefonista dava delle indicazioni inesatte, in modo uscita dalla tenuta, costringendo il duca a fermarsi. Quindi i banditi, in tale che trovandoci noi sul posto potevamo verificare se e chi, ma soprat- sette, lo agguantarono. Erano tutti armati di pistole e uno anche di mitra. tutto in compagnia di chi il destinatario si sarebbe recato a ricevere il mes- Dopo aver tentato senza successo di narcotizzarlo lo caricarono in auto. saggio. Si facevano cioè, delle prove», spiegherà ancora Crispino ai magi- Il sequestro avvenne sotto gli occhi del fattore, Luigi, che era al volan- strati8. Il telefonista, esperto truffatore e falsario, si chiamava Franco Ca- te della sua 126. Come di solito, anche quella sera seguiva il suo padrone tracchi ma era soprannominato Spazzolino, perché fin da piccolo portava a breve distanza. Di lui i criminali non si curarono più di tanto: lo fecero i capelli a spazzola. Raffinato nei modi e nell’abbigliamento, la sua casa scendere dall’auto, obbligandolo a buttarsi con la faccia a terra in un fos- era arredata con mobili antichi e tappezzata di velluto verde-azzurro. Par- sato. Quindi tolsero le chiavi dal quadro della macchina e le gettarono: lava in italiano perfetto, con voce squillante e un po’ effemminata: per ca- «Erano travisati e parlavano in romanesco vero», raccontò il fattore ai ca- muffarla quando telefonava ai Grazioli, solitamente da cabine fuori Roma, rabinieri, quella stessa sera. si metteva una pallina da ping-pong in bocca. «Spazzolino era esperto di L’organizzazione del sequestro fu complessa e vi parteciparono in mol- trattative. Sua era stata l’idea di usare un codice, ovvero la parola d’ordi- ti, tant’è che la prima richiesta di riscatto, arrivata a meno di un’ora dal ne “Aquila Nera” e sua era stata l’idea di far pubblicare annunci sul gior- rapimento, fu di 10 miliardi. Faceva parte degli accordi tra er Negro e Cri- nale dalla famiglia, come anche di fornire circostanze note solo al duca, in spino, attivarsi soltanto in azioni lucrose. Ci pensò er Negro a reclutare gli modo tale che i Grazioli fossero sicuri che a telefonare erano i sequestra- uomini necessari per l’impresa. Ad alcuni banditi riuniti nel gruppo co- tori e non sciacalli. Una volta, per inscenare un depistaggio, dal momen- siddetto di Montespaccato, che faceva capo ad Antonio Montegrande, un to che il sequestrato era già stato spostato nel Napoletano, venne acqui- ventiduenne di Catania, fu affidato l’esclusivo compito della custodia del- stato da qualcuno di noi un giornale in Toscana, dopodiché io e Renzo l’ostaggio. Il duca, qualche decina di minuti dopo il blitz alla Marcigliana, Danesi andammo nel Napoletano, scattammo la foto e rientrammo a Ro- venne preso in consegna da costoro su una piazzola del Grande Raccor- ma in giornata. La Toscana fu scelta perché in quel periodo in quella re- do Anulare. Fu caricato su un furgone dietro una casa abbandonata che gione operavano nel settore dei sequestri delle bande di sardi», dirà an- costeggiava l’anello stradale. Gli autori materiali del rapimento erano sta- cora Abbatino9. In alcuni casi, i messaggi vennero composti con lettere ri- ti invece Crispino, quelli della sua «batteria» e due amici di Giuseppucci tagliate dai titoli di giornale; in altri battuti con una macchina da scrivere er Negro, gli stessi che ne avevano curato i preliminari. «Al momento del tipo giocattolo, di marca Lilliput, la stessa utilizzata per il sequestro Gian- sequestro a bordo della Fiat 131 rubata c’eravamo io, Emilio Castelletti, santi, che fu gettata nel Tevere e mai ritrovata. Franco Giuseppucci e Marcello Colafigli, che aveva procurato il clorofor- mio… Sull’Alfetta c’erano Renzo Danesi, Giovanni Piconi e Giorgio Pa- Tutto l’evolversi delle trattative, naturalmente, venne seguito da vicino radisi», racconterà agli inquirenti, 15 anni dopo, lo stesso Crispino7. I pro- dalla talpa Enrico Mariotti, che recitò la parte dell’amico a perfezione. Il tagonisti dell’assalto fuori dalla tenuta, in pratica, da quel momento in poi giorno dopo il rapimento, innanzitutto, si presentò a casa di Giulio Gra- non si occuparono più direttamente dell’ostaggio, salvo una volta, per un zioli con un apparecchio per registrare le telefonate dei rapitori. Il figlio imprevisto: la prima prigione, una palazzina a tre piani in zona Primaval- del duca ricompensò la solerzia, lasciandosi andare suo malgrado a peri- le, diventò insicura perché troppo frequentata e si dovette spostare il du- colose confidenze. La Procura di Roma, intanto, ordinò il blocco dei be- ca Grazioli in un altro nascondiglio, una casa in costruzione sull’Aurelia, ni dei Grazioli ma il 16 dicembre del ’77, a trentanove giorni dal seque- in località Valle dell’Inferno. Da lì, peraltro, il nobiluomo fu nuovamente stro, su «Il Messaggero» apparve un annuncio in codice: «ROLEX ACCIAIO trasferito, per finire in una terza e ultima prigione, una casa di campagna SMARRITO. Disposti rapida ragionevole soluzione riportando Rolex smar- nel Salernitano. Ma, Crispino e i suoi, insieme a Franco Giuseppucci, in rito sette novembre a noto indirizzo». Tra-scorsero 24 giorni di angoscio- quel momento erano alle prese con un altro difficile compito: quello di se- so silenzio prima che la famiglia del rapito, ormai alla sua quarta implo- guire in prima persona le complesse trattative, anch’esse destinate a pro- rante inserzione, potesse ottenere notizie sulla sorte del povero duca. In 30 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 31 un cestino vicino a Castel Sant’Angelo furono trovate una lettera del pri- duta nella fase successiva del riciclaggio. Quindici milioni, infine, furono gioniero e due foto polaroid, in cui il sequestrato teneva in mano «La Na- dati a Enrico De Pedis detto Renatino o Renato, che nel periodo del se- zione». Per la consegna del riscatto, fu scelto Giulio Grazioli. E ancora questro si trovava in carcere per rapina. De Pedis, coetaneo di Abbatino, una volta la talpa giocò il suo ruolo. Fu Enrico Mariotti a informare la era molto amico di Giuseppucci er Negro per il quale nutriva una fiducia banda del fatto che l’auto del suo nobile amico era sempre seguita dai ca- incondizionata, tanto da avergli affidato il compito, quando Giuseppucci rabinieri, che era dotata di ricetrasmittente e sul tettuccio aveva una stri- era ancora incensurato, di custodire le sue armi. Er Negro, all’epoca chia- scia di vernice fosforescente, per essere avvistata anche al buio. I crimina- mato ancora Fornaretto, le occultava dentro una roulotte, parcheggiata al li aggirarono subito l’ostacolo: rubarono una macchina, una Golf bianca, Gianicolo che col tempo divenne il nascondiglio di un vero e proprio ar- con la quale ordinarono al figlio del duca di spostarsi. senale, visto che anche quelli delle altre «batterie» iniziarono a conse- Era il 4 marzo del 1978 quando arrivò la telefonata decisiva, che i ca- gnargli in custodia i ferri del mestiere. La storia andò avanti fino a quan- rabinieri non poterono intercettare. Il figlio del duca, senza dire nulla agli do fu scoperta dai carabinieri grazie alla «soffiata» di un informatore, an- inquirenti, aveva fornito ai banditi il numero di un amico. Il telefonista che se poi Giuseppucci la passò quasi liscia, se la cavò con un solo mese disse a Giulio Grazioli di andare alla fermata metro Magliana. Lì, in un di prigione: la roulotte, infatti, aveva un vetro rotto e il giudice ritenne cestino dei rifiuti, c’era il biglietto a firma «Leone Rosso»: gli si ordinava non ci fossero prove che era stato proprio lui a nascondervi le armi. Giu- di salire sulla Golf, parcheggiata di fronte alla stazione. Un altro messag- seppucci, poi, scoprì il nome dell’«infame» che lo aveva tradito. E lo fece gio, sotto il cruscotto, portava sulla via Cristoforo Colombo e un altro, ammazzare. stavolta autografato «Giglio Rosso», al km 17 della Roma-Civitavecchia. Poco tempo dopo, a Testaccio, un tale soprannominato Paperino, scip- Infine, al chilometro 20 della stessa autostrada, nei pressi di un ponte, l’ul- patore, rubò un Maggiolone davanti al cinema «Vittoria», lo aveva adoc- timo biglietto, insieme a una foto: il duca con la barba lunga e una copia chiato perché era parcheggiato con le chiavi inserite. Nel bagagliaio trovò de «Il Tempo» di quel giorno. «Se tutto andrà come noi vogliamo riceve- un borsone colmo di pistole, fucili e munizioni. Il Maggiolone era del Ne- rai a distanza massima di 24 ore la telefonata di papà», prometteva nel gro, che oltre a quelle sequestrate nella roulotte teneva in custodia per En- messaggio «Leone Rosso» e Giulio Grazioli, senza riuscire a distinguere rico De Pedis una quantità di altre armi. Ma Paperino non lo sapeva e sen- nulla per il buio, sentita solo urlare da sotto il ponte la parola d’ordine, za perder tempo se ne andò a vendere tutta quella santabarbara, per due lanciò nel vuoto il suo borsone pieno di banconote. milioni, a un bandito suo amico, Emilio Castelletti, del Trullo, già entrato «Il gruppo di Montespaccato ci informò del fatto che l’ostaggio aveva nel gruppo della Magliana che faceva capo a Crispino. Fu così, per caso, visto in faccia uno dei carcerieri, di tal che ci fu detto che non si poteva che nacque l’amicizia tra er Negro e il nucleo originario della futura ban- fare a meno di ucciderlo. A questa decisione, la quale non fu nostra, non da. Giuseppucci, quello stesso giorno, si presentò dagli amici di Emilio ci opponemmo, in quanto l’individuazione dei complici poteva significa- Castelletti per reclamare il bottino. E quelli, saputo che le armi apparte- re anche la nostra individuazione», racconterà Maurizio Abbatino10. nevano a De Pedis, già rispettato e temuto nell’ambiente, gliele ridiedero. La sentenza di morte fu emessa prima del pagamento del riscatto ma l’esecuzione avvenne dopo, perché era necessario fornire alla famiglia la Il progetto di fondare una grande banda organizzata, tutta composta da prova che il duca fosse ancora vivo. Massimiliano Grazioli fu finito a col- romani, fu concepito dentro il carcere. L’idea venne a un tale che si era pi di mitraglietta da un bandito biondo con i capelli a caschetto, Giovan- fatto un nome per aver trascorso molto tempo dietro le sbarre: Nicolino ni De Gennaro soprannominato Faccia d’Angelo. Il cadavere, mai ritrova- Selis, nato a Carbonia, in Sardegna, nel 1952 e romano d’adozione. Tra to, seppellito in campagna nel Salernitano, nei pressi forse dell’acquedot- Ostia e Acilia, sul litorale, già a partire dai primi anni Settanta, Selis ave- to di San Severino. va messo su una «batteria». Capeggiava un gruppetto di giovani rapina- tori che avevano tentato di recente il grande salto, gettandosi nel business Metà dei due miliardi del riscatto andarono al gruppo di Montespac- degli stupefacenti. Ma gli affari, nel periodo in cui a Selis venne l’idea di cato, che aveva tenuto in custodia l’ostaggio, e l’altra metà a quelli della fondare la «banda della Magliana», andavano male. Il principale interme- Magliana, che avevano organizzato il rapimento. Ciascun gruppo, poi, diario con i fornitori di droga, Gianfranco Urbani soprannominato il Pan- aveva detratto dalla propria quota la stecca destinata a Enrico Mariotti e tera, era detenuto mentre un altro tra i più valenti del gruppo, Edoardo al telefonista Spazzolino. Esclusi questi ultimi due, in pratica, ciascun ban- Toscano detto Operaietto, un ventenne con la stoffa del capo, soltanto da dito aveva intascato circa 70 milioni di lire, compresa la percentuale per- pochissimo era stato scarcerato. «Nicolino Selis disponeva di una banda 32 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 33 “raccogliticcia”. Ecco perché volle unirsi a noi, che eravamo economica- stratagemma della cosiddetta «fibbia», come in gergo si chiamava un mes- mente più solidi», dirà Abbatino agli inquirenti11. Anche lui e i suoi soda- saggio in codice destinato all’esterno: su un foglio annotò il nome di Sisto li, in verità, avevano i loro buoni motivi per accettare l’alleanza. Nicolino Nardinocchi più un elenco di 20 persone detenute nel carcere di Sulmo- Selis, infatti, era diventato amico di , il potente boss della na e a fianco di ciascuna un numero, 300.000. Quindi, durante un collo- camorra e quel contatto altolocato rappresentava ai loro occhi un’occa- quio, passò la lista a sua madre e la incaricò di contattare un amico, il qua- sione irrinunciabile: un patto di affari con i napoletani era utile, se non ne- le inviò a ciascuno dei nomi un vaglia da trecentomila lire, quanto valeva cessario, per realizzare i sogni di grandezza della neonata banda. la testa di quel disgraziato. La notizia, qualche tempo dopo, uscì sui gior- Gli anni erano quelli in cui ’O Professore, come si faceva chiamare Raf- nali: Sisto Nardinocchi era stato assassinato da ignoti, dentro le docce del faele Cutolo, aveva fondato la Nco, cioè la Nuova camorra organizzata. La penitenziario. Nco si era formata per strappare a Cosa nostra il monopolio sul contrab- bando delle sigarette e in quel periodo ’O Professore stava vincendo la sua La prima riunione operativa tra Selis, l’Accattone, la batteria di Crispi- guerra. «Nicolino Selis si era innamorato del pensiero di Cutolo, che ave- no e Franco Giuseppucci detto er Negro avvenne a otto mesi dall’assassi- va organizzato un gruppo che si opponeva a chi veniva da fuori, ovvero i nio del duca Grazioli, ovvero nel novembre del 1978. Si dovette aspetta- siciliani che, come si suol dire, la comandavano a Napoli. Cutolo voleva re che tutti i capi, prima detenuti, tornassero liberi. A benedire il sodali- difendere il suo territorio e Selis voleva fare la stessa cosa a Roma dove al- zio Franco Giuseppucci, che aveva presentato Selis agli altri e per questo lora imperversavano i marsigliesi, i calabresi e quant’altro», racconterà ai fu sempre considerato il padre spirituale dell’alleanza. Nel frattempo, la giudici, venti anni dopo, un altro pentito, Antonio Mancini, detto l’Ac- «banda della Magliana» esisteva già, anche se ancora non era nota la sua cattone12. Era stato lo stesso Nicolino Selis a parlargli del suo piano, du- potenza militare. Selis e Mancini avevano raccolto le adesioni di Edoardo rante una comune detenzione a Regina Coeli. L’Accattone, che veniva dal- Toscano l’Operaietto, Giuseppe Magliolo detto er Killer, Angelo de An- la borgata San Basilio, si chiamava così a mo’ di sfottò bonario: ai suoi gelis detto er Catena, Gianni Girlando detto il Roscio e Libero Mancone amici aveva confidato di essere rimasto impressionato dall’omonimo film nonché la promessa di collaborazione da parte del Pantera Urbani, a cui di Pierpaolo Pasolini, il cui protagonista gli assomigliava, fisicamente e Selis propose di fare il capo ma che rifiutò l’offerta, scegliendo piuttosto, anche nel carattere. Era, Mancini, uno che aveva «lavorato» con la batte- lui che era «uomo più di parole che di pistole», il ruolo di intermediario ria di Val Melaina, quella ormai disgregata, e lui e Selis, per quel proget- tra la banda e altre organizzazioni criminali14. Il Pantera, d’altra parte, ave- to di costituzione della banda, ritenevano di poter sfruttare l’uno l’espe- va già i suoi buoni contatti: i boss della ’ndrangheta Giuseppe Piromalli, rienza e le conoscenze dell’altro: Nicolino si era fatto molti amici dietro le Paolo Di Stefano e Pasquale Condello, interessati ad allargare i propri af- sbarre mentre invece l’Accattone, prima della galera, aveva svolto per tre fari di droga. A tale scopo, il Pantera li aveva incontrati in un lussuoso ri- anni un’intensa e ininterrotta attività criminale. storante dell’Eur, «Il Fungo», insieme ad altri due futuri affiliati della Ma- Il carcere di Regina Coeli, in quel periodo, era una vera e propria «ba- gliana: Amleto Fabiani detto er Voto e Manlio Vitale detto Gnappa15. raonda», per usare la stesse parole dell’Accattone: «Non vi erano cancelli A consentire il passaggio dalle parole ai fatti fu un’evasione di gruppo ed erano, quindi, possibili contatti tra tutti i detenuti, senza particolari da Regina Coeli. Selis, Toscano e Magliolo furono tra i protagonisti del- controlli. Questa situazione carceraria, del tutto particolare, consentiva l’impresa, pianificata con i passaparola e i telegrammi in codice. Anche a contatti senza problemi pure con gli ambienti esterni del carcere, agevo- Mancini l’Accattone, che era stato trasferito nel carcere di Pescara, arrivò lati talvolta anche dalle guardie»13. Non a caso, tra i primi «lavori» per il messaggio convenuto con gli organizzatori della fuga: si annunciava la quelli della banda ci fu un omicidio da eseguire proprio a Regina Coeli. I visita, «a giorni», di un fantomatico «avvocato Bellignani». Mancini, aven- committenti, calabresi, fecero recapitare a Selis e a un altro paio di dete- do compreso che la cosa era imminente, cercò in tutti i modi, invano, di nuti le pistole necessarie: i killer si introdussero nella cella del predestina- farsi rispedire a Regina Coeli. Ma dovette aspettare un altro anno, quan- to, che poi si salvò perché trasferito all’improvviso ad altro carcere. do arrivarono le licenze e i permessi di lavoro, per poter partecipare atti- Diversa fu la sorte di un recluso che voleva ammazzare l’Accattone per vamente alle imprese della banda. Nell’attesa, comunque, fu sempre te- via di uno sgarro: quest’ultimo scoprì il complotto in tempo e lo fece as- nuto informato dagli altri e ricevette pure la sua stecca, ovvero la quota di sassinare. Il condannato a morte si chiamava Sisto Nardinocchi ed era rin- guadagni che secondo i patti gli spettava. «La differenza tra “batteria” e chiuso nel carcere di Sulmona ma per l’Accattone, che si trovava a Regina “banda” – spiegherà Crispino agli inquirenti – oltre che nel diverso nu- Coeli, le distanze e le sbarre non furono un problema. Il bandito usò lo mero dei partecipi, sta anche nel ventaglio più ampio di interessi crimi- 34 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 35 nosi della “banda” rispetto alla “batteria”. La “banda”, peraltro, com- vorava ufficialmente nella ditta di suo padre che commerciava frutta e ver- porta l’esistenza di vincoli più stretti tra i partecipi, i quali sono tenuti a dura all’ingrosso e aveva ottime referenze, in quanto imparentato con i prendere in comune ogni decisione, senza possibilità di sottrarsi dal dare Maisto di Napoli, clan di camorra già conosciuto a Roma perché traffica- esecuzione alle stesse. Ad esempio, tutti gli omicidi… vennero di volta in va cocaina. volta decisi da tutti coloro che facevano parte della banda nel momento Sicilia era andato ad abitare alla Garbatella, vicino alla fermata della della loro esecuzione, di volta in volta affidata a chi aveva maggiori capa- metro San Paolo, al civico 122 di via Chiabrera, pochi metri da un bar sul- cità per assicurarne il successo con il minor rischio, sia personale che col- la stessa strada che era diventato il covo per quelli della Magliana. Al bar lettivo, soprattutto sotto il profilo preminente di assicurarsi l’impunità. di via Chiabrera la polizia non si vedeva quasi mai, grazie a un paio di Questo comportava che tutti si era parimenti compromessi, quindi tutti agenti del distretto di polizia di zona, il commissariato «Colombo», che parimente motivati ad aiutare chi fosse stato arrestato o incriminato... erano stipendiati dalla banda. Andavano a riscuotere i loro due-tre milio- Inoltre, una volta costituiti in banda, ci imponemmo l’obbligo di non ave- ni mensili proprio lì, a via Chiabrera: «Passavano con una macchina di re stretti legami di tipo operativo con gruppi esterni, il che assicurava la servizio, una Ritmo grigia, si appartavano a un angolo… », dirà Abbati- massima impermeabilità della nostra banda, nel senso che nessuno pote- no17. Sul retro del bar, nella sala dove si giocava a biliardo, si decidevano va agevolmente venire a conoscere i particolari delle azioni a noi ricondu- omicidi e si scambiavano milioni con chili di droga, si facevano recapita- cibili»16. re armi e si partiva tutti insieme per andare a uccidere. Il barista Ubaldo Alla fine del ’79, quando Renatino De Pedis fu scarcerato, la banda or- non vedeva e non sentiva. Spesso qualcuno chiamava al telefono, chie- mai era al completo. De Pedis era nato e cresciuto a Trastevere e aveva ini- dendo di parlare con gli avventori abituali, e Ubaldo passava la cornetta, ziato con gli scippi: quando si unì a quelli della Magliana era un esperto senza impicciarsi. rapinatore, aveva partecipato pure a qualche sequestro di persona ed era Fu iniziando a frequentare il bar sotto casa che Claudio Sicilia entrò in già un leader, nel suo quartiere e in quello contiguo di Testaccio: lì opera- contatto con quelli della Magliana. Il primo a stringere amicizia con il Ve- va una «batteria», i cosiddetti «Testaccini», appunto, diventati il gruppo suviano fu Marcello Colafigli detto Marcellone, che abitava su una paral- di riferimento anche per i malavitosi dell’Alberone. Fu il suo amico er Ne- lela di via Chiabrera. Marcellone era rimasto particolarmente impressio- gro a proporre l’entrata nell’associazione dei Testaccini. I più vicini a Re- nato da quelle parentele illustri del nuovo amico, ma anche dal suo re- natino erano Raffaele Pernasetti detto er Palletta, ufficialmente commer- cente passato: Claudio Sicilia, a Giugliano, aveva ammazzato un contrab- ciante di frattaglie all’ingrosso e un’altra vecchia conoscenza di Franco bandiere nel corso di una faida e gli sembrava dunque una persona da am- Giuseppucci, Danilo Abbruciati, tipo baffuto e corpulento, ex pugile di- mirare. Soprattutto, a parlare bene a Marcellone di Sicilia era stato il «pa- lettante originario della borgata Primavalle. Abbruciati, che aveva incas- drino» Raffaele Cutolo, che aveva conosciuto il Vesuviano nel ’67 al car- sato la prima denuncia nel ’71 per aver picchiato e sequestrato sua moglie, cere di Poggioreale. Tornato in libertà, Sicilia si era comportato da galan- era stato un pezzo grosso della mala romana, aveva «lavorato» con i Mar- tuomo, inviando ai Cutoliani ancora detenuti cioccolatini e cartoline con sigliesi e con il clan di Francis Turatello, il bandito che nei primi anni Set- francobolli da spedire e ’O Professore aveva gradito. Per questo, una vol- tanta spadroneggiava a Milano. Era però finito in prigione nel ’76 per ta anche lui fuori dal carcere, lo aveva presentato ai suoi amici romani co- omicidio e sequestro di persona e ritornato in libertà, tre anni dopo, si era me un tipo affidabile, di «buona famiglia» e anzi gli aveva mandato a di- ritrovato con ben pochi contatti: per questo motivo, all’inizio limitandosi re che voleva rivederlo, per salutarlo18. Fu anche combinato un appunta- a fornire «dritte» per qualche colpo, gli convenne avvicinarsi ai Testacci- mento all’ippodromo, anche se poi il boss non si presentò: ’O Professore ni, dei quali poi diventò con Renatino uno dei capi. era dovuto correre a Napoli per via del sequestro di un ragazzino, una fac- Nel frattempo, sempre nel corso del ’79, alla banda si era unito Vitto- cenda delicata, perché era il figlio di un suo amico e voleva occuparsene rio Carnovale detto il Coniglio e pure Fulvio Lucioli, il Sorcio, che aderì di persona. al progetto mentre era detenuto. Anche il Sorcio ricevette, per alcuni me- Dirà Claudio Sicilia: «Marcello Colafigli, che già aveva fatto il compa- si fino a quando non fu scarcerato, la sua stecca, trecentomila lire a setti- re di battesimo al figlio di Giuseppucci, prese un amore morboso per la mana che a turno i vari componenti della banda consegnavano a sua ma- mia famiglia… Alle 2 di notte mi veniva a svegliare a casa. Dormiva nel dre. letto mio matrimoniale. Mia moglie dormiva nella stanzetta a fianco… Di- Uno degli ultimi ad aggregarsi fu Claudio Sicilia, appena arrivato dal venni il suo confidente, pranzava a casa mia, usava i miei abiti e inoltre paesone di Giugliano, vicino Napoli, dove era nato: detto il Vesuviano, la- volle fare il compare di battesimo a mio figlio in una cerimonia offerta da 36 ANGELA CAMUSO MAI CI FU PIETÀ 37 lui che si svolse in un ristorante a Grottaferrata, ‘Il Fico Vecchio’ il cui L’oro di Roma proprietario era intimo amico della banda della Magliana. A tale battesi- mo Colafigli regalò a mio figlio una catena in oro pesante con un solitario al centro di una piastra come simbolo di grande rispetto e prestigio»19. Parlava tanto, quel Colafigli. Non conosceva la discrezione. Piuttosto, non perdeva occasione di vantarsi col compare: delle sue imprese perso- nali e di quelle della banda. «Questo atteggiamento – dirà ancora Sicilia – rientrava in una maniera tipica di agire di quelli della Magliana, che nella maggioranza facevano uso di cocaina, venivano dai furti di auto, dalle ra- pine di poco conto, dalle ricettazioni e simili e si erano trovati in un ruo- lo che non era il loro»20. Per questo desideravano affrancarsi da quel passato modesto, di sem- plici malavitosi di borgata. «Roma – amavano ripetere – è nelle mani no- stre»21. «Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!»1. Nel parcheggio dell’ippodromo di Tor di Valle, Nicolino Selis saltella- va esultante, come un ragazzino. Era mezzanotte e mezza del 26 luglio 1978 e Selis aveva in mano una pistola. A qualche metro da lui, per terra, giaceva un cadavere. Un proiettile gli aveva trapassato le guance e quattro gli avevano bucato la testa. Altre cinque pallottole lo avevano preso in va- rie parti del corpo. Qualche istante prima, l’uomo a terra si era congeda- to dal fratello all’uscita della sala corse. Stava camminando verso la pro- pria Mercedes, quando gli avevano sparato a bruciapelo. Il piazzale, es- sendo ormai l’orario di chiusura, iniziava in quel momento a riempirsi di gente. Il morto, all’anagrafe, si chiamava Franco Nicolini, 43 anni, ma lo co- noscevano tutti come Franchino er Criminale, per la bassa statura e il pes- simo carattere. Era a capo di una banda di allibratori clandestini. Lo ve- devano sempre a Tor di Valle in compagnia di suo fratello più piccolo, Giovanni, che tutti chiamavano Bebby storpiando l’inglese alla romana: di solito gli faceva da autista e quella notte si salvò per un caso, essendosi in- trattenuto all’ippodromo oltre la chiusura. Franchino fu ucciso, oltre che da Nicolino Selis, da altri cinque: Mar- cello Colafigli, Edoardo Toscano, Enzo Mastropietro, Giovanni Piconi, Maurizio Abbatino detto Crispino e Renzo Danesi, i quali premettero il grilletto senza sapere esattamente il perché, tranne che stavano facendo un favore a Nicolino Selis. Selis ce l’aveva con er Criminale per degli «screzi» avuti con lui a Regina Coeli e da allora aveva deciso di vendicar- si. Forte di essere un «vecchio», Franchino aveva attirato su di sé quell’o- dio feroce perché nel carcere voleva fare il «capo» e anche perché era con- siderato un «infame»: approfittando dell’appoggio delle guardie carcera- rie, che in cambio usavano la sua collaborazione per prevenire sommosse, er Criminale organizzava false rivolte e teneva sotto scacco i detenuti che