L'autunno Di Giovanni Giolitti (1919-1928)

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L'autunno Di Giovanni Giolitti (1919-1928) UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO di Scienze politiche, della Comunicazione e delle Relazioni internazionali CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN Storia e teoria delle costituzioni moderne e contemporanee CICLO XXVI TITOLO DELLA TESI L’autunno di Giovanni Giolitti (1919-1928) RELATORE DOTTORANDO Chiar.mo Prof. Roberto Martucci Dott. Duccio Chiapello COORDINATORE Chiar.ma Prof.ssa Isabella Rosoni ANNO 2014 Indice Ringraziamenti 1 Premessa L’autunno di Giolitti, l’autunno dello Statuto 3 PARTE I Capitolo I. «Il vecchio, non più lo stesso» 1. Agli antipodi della Vittoria: Dronero, 12 ottobre 11 1919 2. Un autunno di risentimento. Giolitti e i suoi 41 giorni dell'ira 3. Il «temperamento pratico» giolittiano e la neme- 53 si del «bagno di sangue»: uno sguardo a ritroso 4. Il ritorno del «vero Re» 69 5. Da “dittatore parlamentare” a “servo del popo- 80 lo”? 6. ...e gli sventurati risposero 84 Capitolo II. E il demonio si fece frate. Dalle ele- zioni del 1919 al V governo Giolitti 1. L'arma posata sul tavolo 95 2. Hic manebimus optime . Nitti nel caos parlamen- 111 tare 3. Un Natale di sangue (blu) 116 4. Frassati e il “giolittismo bianco” 123 5. E il «frate» fece proseliti: come Giolitti tornò 131 sugli scudi 6. Il gioco dei portafogli. Il “secondo ministero 136 Nitti” e le analogie con il Facta II 7. I «nati morti». La fine dell'esperienza nittiana e 142 il Giolitti malgré tout 8. Scacco al Re? 154 Capitolo III. Epilogo 1. Una naumachia in un bicchier d’acqua? Giolitti 175 e l'“accordo dei tre presidenti” PARTE II CAPITOLO I. La malattia parlamentare 1. La fallacia constitutionalis giolittiana 191 2. Il “bolscevico” Giolitti e la “grande paura” degli 211 industriali 3. Il «cavallo di Troia» Bonomi e il parlamentari- 226 smo come “vizio assurdo” dello Statuto. 4. Di carta e d’acciaio. L’organizzazione del fronte 237 antigiolittiano fra industria, finanza e giornali 5. Il “corruttore parlamentare”, i corrotti extrapar- 254 lamentari e la sistemazione della questione fiu- mana 6. L’eversore a Palazzo 266 CAPITOLO II. Il colpo di Stato legale 1. Una «rivoluzione liberale e legale» 291 2. Il mal sottile dei luogotenenti. La fiera delle va- 304 nità al capezzale dello Stato liberale CAPITOLO III. La marcia su Roma 1. Quando l’intendenza non segue più. I luogote- 326 nenti giolittiani e la marcia su Roma. 1.1. Soleri, o il “Giolitti bianco”. 326 1.2. L'illusione di una palingenesi liberale. 337 1.3. Il «grande amico» e il grande ammaliatore. 347 Luigi Facta, fra ortodossia giolittiana e am- bizioni ministeriali 1.4. Pochi statisti, e al posto sbagliato. Giulio 369 Alessio e la radiografia di un Ministero 1.5. L'impossibile liberalcombattentismo. Soleri 373 e Amendola: l'occasione mancata di «due giovani non privi di prestigio» 2. L’ultimo treno liberale. Giolitti fra guasti ferro- 393 viari e avarie costituzionali CAPITOLO IV. La legge Acerbo e l’ultima dife- sa dell’ ancien régime liberale. 1. Cooperare per sabotare? 399 2. Il caso Matteotti, l’Aventino e l’opposizione co- 410 stituzionale 3. Un ritardo fatale. Il contrasto politico al fasci- 429 smo: l’Aventino, l’opposizione parlamentare, la massoneria 4. Sipario. Il Mussolini-Richelieu e il redde ratio- 434 nem finale CAPITOLO V. Epilogo. Il “millenarismo costituzionale” del “corruttore par- 442 lamentare” BIBLIOGRAFIA 445 Ringraziamenti Alla conclusione del mio triennio di studi dottorali, è per me doveroso ringraziare Roberto Martucci, che mi ha sempre se- guito e sostenuto con il rigore e la passione che lo contraddi- stinguono. Altrettanta gratitudine devo alla mia famiglia, che mi ha co- stantemente supportato e facilitato nei miei lunghi spostamenti, condividendo con me la fatica e la gioia del lavoro di ricerca. 1 2 Premessa L'autunno di Giolitti, l'autunno dello Statuto Questo lavoro, a dispetto del titolo, non aspira a rivestire i connotati né di una biografia politica né di un excursus storico sull’ultimo decennio di Giovanni Giolitti. Molto, infatti, si è già scritto tanto sul suo profilo di statista quanto sulla sua parabola personale, pervenendo per la verità a conclusioni differenti e spesso antitetiche, per cui, se si dovesse oggi passare in rasse- gna – e in parte lo si farà – come l’ultimo Giolitti passò alla sto- ria, si dovrebbe redigere un elenco dai tratti ossimorici: ultimo baluardo del liberalismo italiano e nel contempo Giovanni Bat- tista del fascismo, estremo spauracchio di Mussolini e insieme suo Virgilio nei gironi della politica parlamentare, strenuo di- fensore dell’ordine liberale ma anche primo liquidatore di una cultura politica e di un assetto istituzionale che, dall’unità al primo dopoguerra, avevano retto – pur fra difficoltà e contrad- dizioni – il regno plasmato da Camillo Cavour. Questo lavoro intende, più modestamente, concentrarsi sull’autunno di Giovanni Giolitti nella misura in cui questo coincise con l'autunno dello Statuto Albertino, o, più precisa- mente, con la progressiva liquidazione del suo nucleo di demo- crazia rappresentativa. Tanto per citare il terminus ad quem , il 1928 registrò sia la morte di Giolitti, sia la sostituzione della Camera dei deputati 3 con quella corporativa, da eleggersi tramite plebiscito 1: sostan- zialmente contemporanee furono dunque la morte del “dittatore parlamentare” e la scomparsa de facto dell'assemblea su cui egli aveva così a lungo esercitato la propria influenza. Non si tratta, tuttavia, di passare in rassegna questa e altre pur significative coincidenze e concomitanze storiche, quanto piuttosto di seguire, dal punto di osservazione di un eminente protagonista del Novecento liberale italiano, il processo che portò la Carta del Regno a degenerare, nella forma e ancor più nella sostanza, in un deforme e incoerente simulacro costituzio- nale, che restò simile al modello originario unicamente per la sopravvivenza delle prerogative ufficialmente riconosciute al sovrano, anche se effettivamente esercitate in misura crescente e vieppiù esclusiva da Benito Mussolini – situazione che durò e si consolidò fino al significativo ma tardivo coup de Majesté 2 di Vittorio Emanuele III, il 25 luglio 1943. Giolitti, come uomo di Stato, nacque, si formò e costruì le proprie fortune politiche nell'Italia dello Statuto, e aggrappato allo Statuto affondò. Per ricorrere a una metafora cosmologica, la Carta del Regno fu il suo orizzonte degli eventi: come ebbe modo di testimoniare Labriola, lo statista piemontese conside- rava l'ordine da essa disegnato come incoercibile e immutabile. Nelle frequenti dispute che io avevo con Giolitti sulla materia del fascismo […] rimasi sbigottito dal sentirgli ripetere il ritornello: è roba che deve sfogarsi, e come i repubblicani sono stati riassorbiti dalla 1 Si tratta della legge n. 1019 del 17 maggio 1928 (così come integrata e modificata dal R.D. n. 1993 del 2 settembre 1928 e dal R.D. n. 2225 del 30 settembre 1928), che istituiva un collegio unico nazionale e un'unica lista di 400 candidati selezionati dal Gran Consiglio del fascismo sulla base di una rosa di mille nomi individuati da sindacati e associazioni fasciste (ma potevano anche essere inseriti nomi esterni), da sottoporre in blocco al responso degli elettori, che non potevano far altro che esprimersi con un «sì» o un «no»; solo in caso di bocciatura – eventualità “di scuola” stante la natura plebiscitaria della riforma e considerate le modalità di svolgimento delle elezioni – sarebbe stato possibile ripetere le consultazioni con apertura a liste concorrenti. Giolitti morì esattamente due mesi dopo il varo della riforma elettorale, il 17 luglio, a Cavour. 2 Per il termine, cfr. Roberto Martucci, Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto Albertino alla Repubblica (1848-2001) , Roma, Carocci, 2002, p. 243. 4 monarchia e i socialisti da rivoluzionari si son fatti buoni amministra- tori, anche ai fascisti accadrà di rientrare nella comune regola dello Stato liberale, che tollera tutto e sopravvive a tutti .3 Solo tornando alle coordinate politico-culturali di quell'epo- ca e di quell'ordine, così come concretatosi storicamente, si può comprendere il tramonto di un assetto costituzionale i cui più significativi connotati sfuggirebbero se ci si limitasse al mero esame dei suoi contenuti formali e dei suoi modelli di riferi- mento. Cos'era la Carta albertina? La «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia» 4 o una sorta di “catalogo di opzioni” che è «sempre stato modificato» 5? L'estremo lascito costituzionale della Restaurazione o una flessibile leva in grado di far evolvere l'ordinamento italiano in senso pienamente par- lamentare? Una pura carta octroyée o «un compromesso chia- mato Statuto» 6, stretto fra il sovrano e la nazione? La risposta non può essere facile, perché la Carta albertina presenta una serie di nodi problematici, a cominciare dai consi- derevoli poteri riservati al sovrano, che, con il progressivo complicarsi del “mestiere di Re” e il ritrarsi del monarca dalla gestione diretta della res politica , possono tradursi in altrettanti atout per l'esecutivo 7. La presidenza del consiglio dei Ministri, istituto extrastatutario, visse d'altra parte costantemente della caratura e delle qualità personali di chi la incarnava, non poten- do contare su alcuna prerogativa formalmente riconosciuta. In- fine, la Camera dei deputati – assemblea rappresentativa che lo Statuto riconosceva e nel contempo sterilizzava con disposizio- ni vessatorie, quali lo scioglimento e la proroga delle sessioni a 3 A. Labriola, Spiegazioni a me stesso. Note personali e colturali, Centro Studi Sociali, Napoli 1945, p. 200. Il corsivo è mio. 4 Statuto Albertino , Preambolo. 5 M. Soleri, Memorie , Einaudi, Torino 1949, p. 209. Soleri mette tale osservazione in bocca allo stesso Vittorio Emanuele III. 6 Ibidem. 7 Su tale questione, cfr. R. Martucci, Storia costituzionale italiana , cit., p. 46 e Id., L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 , Sansoni, Milano 1999, p. 354. 5 piena discrezione dell'esecutivo, per non menzionare la prassi extrastatutaria del conferimento dei pieni poteri al governo – fi- niva per diventare, in caso di esecutivi deboli, il luogo in cui si coltivava e si consumava l'endemica instabilità dell'ordinamento italiano.
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