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XXVIII Convegno SISP - Università di Perugia - Dipartimento di Scienze Politiche e Università per Stranieri di Perugia - Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, 11 - 13 settembre 2014

Le primarie e la militanza: come cambia il ruolo degli iscritti ai partiti Giulia Sandri e Antonella Seddone

LE SFIDE ORGANIZZATIVE DEL PARTITO DEMOCRATICO IN SICILIA. LA LOGICA DEL SOTTO-FRANCHISING

Antonio Lenzi (Università di Palermo) Giancarlo Minaldi (Università di Palermo) Sorina Soare (Università di Firenze)

Abstract: Il paper si propone di indagare l’evoluzione della relazione tra la dimensione stratarchica dell’organizzazione del PD nel caso siciliano e le consultazioni per l’elezione dei segretari regionali, utilizzando quale principale punto di riferimento analitico il concetto di franchising elaborato da Carty (2004). Sin dalla sua fondazione il PD siciliano sembra tendere a un superamento dell’assetto stratarchico, mettendo in luce dinamiche altamente frammentate e costruendo la sua architettura organizzativa rispecchiando logiche quasi esclusivamente locali. Adattando il concetto classico di franchising, ciò che prevale a livello siciliano è anzitutto l’influenza di una “sponsorizzazione locale” ovvero una rete di challengers sub-regionali. Attraverso un processo di sotto-franchising, emerge, infatti, l’esistenza di un accordo informale di collaborazione fra il marchio consolidato del PD (il franchisor centrale) e leader sub-locali (i sotto-franchisees) i quali controllano de facto lo spazio di manovra dell’unità regionale, sia per quanto riguarda la mobilitazione del consenso elettorale, sia per la definizione dei progetti politici e, in primis, delle alleanze a livello del governo regionale. I tre segretari regionali che si avvicendano dal 2007 in poi, pur essendo legittimati da consultazioni aperte e ampia partecipazione, si ritrovano in una condizione di costante debolezza; lo spazio di manovra della loro direzione è ostacolato dal veto dei sotto-franchisees. Emerge allora un rapporto di indipendenza reciproca fra il centro e le reti di sotto-franchising all’interno di uno scambio che trascende il livello regionale: è al livello del potere locale che si raccoglie il consenso elettorale per il centro in cambio della non interferenza di quest’ultimo nella gestione delle risorse (simboliche e materiali) che alimentano il sistema locale e delle alleanze politiche così costituite.

Very early draft1

1 In attesa di integrazioni dati ufficiali regionali/sub-regionali sulle consultazioni elettorali del 2007, 2009 e 2014 (partecipazione e percentuali di voto a livello regionale e provinciale). 2

In Europa il nesso tra democrazia rappresentativa e partiti politici ha rappresentato per lungo tempo un dato di rilevanza cruciale, sia sul piano euristico, sia su quello normativo e valoriale. In particolare, dal secondo dopoguerra si diffonde l’immagine di democrazie rappresentative inevitabilmente gestite attraverso e da partiti politici (Sartori 1968) che consentono inclusione e partecipazione, contribuendo così alla stabilizzazione dei sistemi democratici (Schumpeter 1962, Dahl 1971; Ware 1987). Tuttavia, negli ultimi trent’anni questo “idilliaco rapporto” fra partiti e democrazia è stato progressivamente problematizzato e sottoposto a svariate critiche, accumulatesi parallelamente alla diffusione di un crescente malessere democratico. I molteplici sintomi rinviano alla diminuzione della partecipazione elettorale, al crescente ridimensionamento della membership di partito, al declino della fiducia nei partiti politici (ma anche nelle élite politiche, nei parlamenti e nei governi) e alla corrispondente diffusione di sentimenti anti-partito e, in particolare, dell’idea che i partiti tradizionali (e le loro élites) siano pressoché ‘tutti uguali’ (Ignazi 2014). Ciò contribuisce a spiegare la crescente diffusione di partiti e movimenti popolari/populisti di contestazione (Linz 2002; Tarchi 2003, Mastropaolo 2005). Secondo alcuni studiosi tali manifestazioni rinvierebbero ad una crisi della democrazia rappresentativa o comunque ad una sua profonda metamorfosi regressiva (Mouffe 2000; Crouch 2004; Mastropaolo 2011), altri invece le interpretano in modo più sfumato, collegandone per lo più i tratti con la scarsa performance delle istituzioni democratiche (Pharr & Putnam 2000, Dalton 2008). Ceteris paribus, i partiti non sembrano più essere quello che erano una volta (Schmitter 2001), ma che ciò equivalga a un adattamento, a una manifestazione di declino o addirittura a un’agonia rimane un elemento abbastanza controverso in letteratura (Dalton e Wattenberg 2000, p. 4), pur permanendo un generale accordo riguardo al fatto che, nonostante la crescente problematicità nei rapporti fra società e partiti, questi ultimi continuino de facto a esercitare un forte controllo sulla sfera politica (Scarrow & Webb 2013). In questo scenario, ciò che soprattutto emerge dall’analisi empirica è la tendenza dei partiti a reagire a queste sfide multiple, in primo luogo adottando forme organizzative più leggere e flessibili, e applicando norme di legittimazione democratica della leadership e della rappresentanza parlamentare. La de-oligarchizzazione dei metodi di selezione appare come un processo le cui ripercussioni non sembrano riguardare esclusivamente le funzioni che i partiti assicurano all’interno delle democrazie rappresentative, ma anche la struttura organizzativa. A livello sistemico, in Italia, questi cambiamenti sono avvenuti in un contesto nel quale l’approvazione della riforma elettorale del 2005 (legge 270), abolendo i collegi uninominali e non prevedendo le preferenze in un sistema esclusivamente proporzionale, ha favorito quella che Calise definisce “una spaccatura verticale tra centro e periferia dei partiti” (2010, p. 134), svincolando i candidati nazionali da forti legami di solidarietà verticale con i collettori di preferenze a livello locale (Minaldi 2011, p. 167-8). In questa cornice stratarchica sembra iscriversi anche la duplice tendenza alla macro-personalizzazione delle macrostrutture, in rapporti prevalentemente indiretti, e alla micro-personalizzazione delle microstrutture, in rapporti prevalentemente diretti (Calise 2010, p. 134). A livello individuale, i partiti cercano di rispondere al deficit d’immagine rafforzando il legame fra leadership ed elettorato (Calise 2005, Bordignon 2013). Ciò premesso, le elezioni primarie, quali forme di consultazione popolare volte alla selezione dei candidati (Valbruzzi 2007), in parallelo con le consultazioni popolari per la scelta dei leader - forme non assimilabili alla definizione classica delle primarie (Pasquino 2009) - sono divenute elementi ricorrenti nel sistema politico italiano e, in particolare, nel Partito democratico. Come ricorda Venturino (2010, p. 7), la nascita del PD è stata sancita dall’apertura della selezione degli organi di direzione, caratterizzata da un alto livello di inclusione e da una competitività fluttuante (De Luca e Venturino 2010, Pasquino e Venturino 2010, 2014). 3

In questo generale scenario il principale quesito di ricerca che questo studio si propone di esplorare riguarda l’impatto delle consultazioni aperte (agli elettori) per la designazione delle strutture di vertice sull’assetto organizzativo del Pd in una regione del Mezzogiorno, la Sicilia, in cui, dopo oltre un sessantennio di marginalità elettorale e politica dei partiti di sinistra e di centrosinistra (su cui ci si soffermerà più diffusamente nel prosieguo) il Pd è riuscito per la prima volta nel 2012 ad eleggere alla presidenza della Regione un proprio candidato, Rosario Crocetta, assumendo formalmente il controllo del governo regionale. I principali tratti del processo evolutivo che ha caratterizzato il Pd siciliano e i partiti che vi hanno dato vita, nonché i loro predecessori, saranno illustrati nel secondo paragrafo, qui basti rilevare come, al di là della retorica finalizzata ad enfatizzare il cambiamento e l’apertura del partito verso la sua membership e l’elettorato in generale, ad una prima osservazione sembrerebbe che l’apertura del processo di selezione delle cariche dirigenziali non abbia prodotto significativi cambiamenti, sia sul versante degli assetti organizzativi interni, sia su quello dei rapporti verticali tra livello regionale e livello nazionale. Da un lato, il sistema dei rapporti tra livello regionale e livello nazionale ha mantenuto una forte impronta stratarchica, caratterizzandosi, cioè, per una tendenza alla reciproca autonomia tra i diversi livelli, emblematicamente testimoniata dalla persistente marginalità dei rappresentanti politici siciliani nei governi nazionali di centrosinistra (Minaldi 2012), fino alla completa assenza nella compagine governativa guidata da Matteo Renzi2. Dall’altro, sin dalla sua fondazione il PD siciliano ha palesato dinamiche altamente frammentate, in un’articolazione organizzativa che sembra riflettere per lo più logiche competitive sub-regionali. In un siffatto scenario, adottando il modello interpretativo di partito come sistema stratarchico di franchising (Carty 2004), proveremo ad esplorare l’esistenza e le connotazioni di quello che può definirsi un sistema di “sponsorizzazione regionale” che agisce come una sorta di sotto-franchising di un leader dell’organizzazione centrale. Per definire le caratteristiche e le implicazioni di questo processo di sotto-franchising, si prenderanno in esame le diverse tornate di consultazioni per l’elezione del segretario regionale. Nella prima parte dell’articolo forniremo una premessa teorica generale incentrata sulle specificità del modello di franchising. Per inquadrare il profilo dell’organizzazione partitica nello specifico contesto regionale, procederemo con un’analisi dell’evoluzione delle performance elettorali nazionali e regionali del partito e dei suoi predecessori. Nella terza parte ci soffermeremo invece sulla ricostruzione analitica delle diverse fasi evolutive del Pd siciliano a partire dalle consultazioni nazionali e regionali (2007, 2009, 2013- 2014) per la scelta dei leader, con l’intento di mettere in evidenza i possibili nessi tra processi di legittimazione democratica della leadership e profili di integrazione/coordinamento nell’organizzazione stratarchica del partito. Elementi di supporto saranno forniti dalla ricostruzione cronologica dei principali passaggi emblematici della separazione/indipendenza tra fazioni/gruppi e cariche apicali regionali, sia pure spesso sostenute dalle stesse fazioni/gruppi in occasione delle consultazioni per la selezione dei segretari regionali. Nelle osservazioni conclusive, cercheremmo di inquadrare le conseguenze di queste dinamiche sull’assetto organizzativo del PD siciliano.

2 Se l’ultimo quindicennio della prima repubblica fu caratterizzato da un elevato tasso di meridionalizzazione dei governi (Minaldi 2012), con la seconda repubblica sono emersi alcuni importanti cambiamenti: da un lato, una minore rilevanza della carica parlamentare ai fini della chiamata al governo (Verzichelli 2009), dall’altro, una progressiva emarginazione del ceto politico meridionale, più accentuata nei governi di centro-sinistra rispetto a quelli di centro- destra. In particolare, Minaldi (2012) osserva come nei governi di centro-sinistra la posizione dell’élite siciliana sia ancor più periferica rispetto a quella di esponenti provenienti dalla Sardegna o dall’Abruzzo. 4

1. Partiti, membri, leader: un equilibrio in mutazione? Nel corso degli ultimi decenni, la letteratura politologica ha dedicato crescente attenzione alle trasformazioni dei partiti politici (a livello individuale o di sistema) (Harmel & Janda 1994). Oltre ai cambiamenti a livello strutturale (Duverger 1951, Kirchheimer 1966, Panebianco 1988, Katz & Mair 1995, etc.), varie altre dimensioni di cambiamento sono emerse in relazione ai generali fenomeni di spostamento del baricentro organizzativo dei partiti a favore del gruppo dei rappresentanti eletti (party in public office), di crescente ridimensionamento della membership (van Biezen et al. 2012), generalizzazione e incremento dei finanziamenti pubblici (van Biezen 2004) e, più in generale, diminuzione del consenso che i partiti riescono ad attrarre (Dalton & Wattenberg 2000). Premesso ciò, il ruolo dei partiti nell’assetto democratico viene sempre più interpretato in riferimento alle funzioni di governo, a scapito delle classiche funzioni di collegamento politico fra cittadini e Stato (Katz & Mair 1995; van Biezen 2004, Ignazi 2014). In un contesto di crescente distanza fra partiti e società, e tenuto conto della diffusa percezione di una perdita di rilevanza della rappresentatività delle membership (van Biezen et al. 2012, p. 39), i partiti reagiscono, non soltanto attraverso la diversificazione degli incentivi per attrare nuovi membri (Scarrow & Gezgor 2010), ma anche aprendo le procedure di selezione dei loro leader e dei candidati alle elezioni (Dalton & Weldon 2005), tanto che la democratizzazione della vita interna dei partiti sembra diventare una panacea per tutti i mali registrati a livello sistemico (Cross & Katz 2013, p. 1). In particolare, in riferimento al quadro concettuale della cartelizzazione dei partiti, Carty e Cross (2006, p. 95) evidenziano la sussistenza di un’altra opzione strategica: l’adozione di un assetto organizzativo stratarchico basato sul principio della divisione del lavoro “nel quale livelli diversi e mutualmente autonomi coesistono e nel quale permane un livello minimo di controllo autoritativo, sia dall’alto che dal basso” (Katz & Mair 2002, p. 129 citati da Carty & Cross 2006, p. 95). Emergono allora nuove sfide per le organizzazioni contemporanee dei partiti, sia per quanto attiene la divisione effettiva del lavoro (sfida organizzativa), sia per quel che concerne l’equilibrio dei poteri all’interno del partito (sfida della legittimazione democratica). In coerenza con la prima sfida – centrale per il nostro quesito di ricerca – Carty (2004) propone un’analisi diversa del rapporto tra frazionismo, membri e leadership all’interno dei partiti contemporanei. Il punto di partenza è fornito dall’intuizione dei teorici del cartel party, secondo cui la stratarchia può essere interpretata come une soluzione strategica per colmare l’assenza di potere del partito come organizzazione centrale (party in central office) e il debole radicamento nella società (Carty & Cross 2006, p. 95). Infatti, Katz e Mair (1995) identificavano nelle organizzazioni dei partiti contemporanei un rapporto stratarchico di stampo utilitaristico, fondato su un’autonomia reciprocamente conveniente per il partito nazionale e per le unità sub-nazionali.

[D]al punto di vista dei titolari locali di cariche avere le mani relativamente libere è sempre auspicabile, mentre per il centro è più probabile che un partito locale autonomo possa incoraggiare il coinvolgimento e la partecipazione e diventare più attraente per i membri e i supporter. Ciascun livello è interessato a incoraggiare la mano libera dell’altro. Il risultato è stratarchia (Katz & Mair 1995, p. 21).

Sulla scia dell’analisi di Eldersveld (1964), il quale contrapponeva il concetto di stratarchia all’immagine gerarchica di tipo burocratico e di stampo oligarchico, il modello organizzativo proposto da Carty (2002, 2004) è caratterizzato dall’equilibrio fra i rapporti di autonomia e di controllo riguardanti le unità territoriali di un partito. La struttura stratarchica può essere inserita all’interno di un sistema funzionale di tipo franchising. Alla base di questo modello si ritrova, infatti, un’analogia funzionalistica con la logica d’impresa (Schlesinger 1984, Hopkin e Paolucci 1999 – citati da Carty 2004, p. 9), così, implicitamente, per Carty l’organizzazione del partito è 5 guidata dalla logica di massimizzazione del profitto (Bolleyer 2012, p. 317). Inspiratosi al modello economico del franchising ovvero alle forme di collaborazione per la distribuzione di beni o servizi fra affilianti e affiliati, nei partiti contemporanei l’autorità organizzativa non rispecchierebbe più meramente i principi della burocrazia tradizionale gerarchica, ma sarebbe sempre più diffusa a livello geografico. Ciò implica la costruzione di un meccanismo simile a quello del franchising, all’interno del quale il partito centrale garantisce “la linea generale del prodotto”, mentre l’unità locale è responsabile della “diffusione del prodotto” nel territorio (Carty 2004, pp. 9-11). Ricordando che il franchising è orientato all’erogazione di un prodotto a un mercato specifico (Minaldi 2011), per Carty è importante sottolineare che le relazioni fra affiliato ed affiliante ovvero fra il centro e le unità locali, così come all’interno della struttura locale, possono variare da un caso all’altro (2004, p. 10). Mutatis mutandis, in un sistema funzionale di franchising innestato su una struttura organizzativa stratarchica, il rapporto fra affiliante e affiliato viene proposto per cogliere meglio la relazione fra il centro e le strutture locali del partito. Tipicamente, il partito centrale fornisce alle unità locali un posizionamento nello spettro politico che possa attirare le lealtà degli elettori. Attraverso un marchio affermato, l’organizzazione centrale stabilisce le norme di funzionamento e la divisione del lavoro, progetta e gestisce le strategie di comunicazione; fornisce supporto materiale/finanziario e occasioni di formazione/socializzazione in quanto, nella maggior parte dei casi, le modeste burocrazie locali hanno risorse e competenze per lo più limitate alla gestione, meno impegnativa, del partito fra le elezioni (Carty 2002, Carty & Cross 2006, Coletto et al. 2011, Minaldi 2011). Benché le principali responsabilità continuino a risiedere a livello centrale, le unità locali sono di norma incaricate della diffusione del prodotto a livello territoriale, mobilitando risorse per la campagna elettorale. In sintesi, per Carty (2002, 2004), in paragone con le organizzazioni monolitiche tradizionali, il vantaggio delle organizzazioni di franchising è collegato alla loro maggiore flessibilità e adattabilità attraverso la diffusione di una “produzione affidabile e identificabile” mediante strutture sub-nazionali maggiormente in sintonia con gli interessi di prossimità. Se nella teoria questo rapporto stratarchico fra l’organizzazione centrale e il livello locale è basato sulla negoziazione in vista della divisione interna dei doveri e delle responsabilità, nella pratica ciascun livello cerca continuamente di espandere la sua influenza (Carty 2002). Possono allora emergere diverse soluzioni organizzative in base al livello di coinvolgimento delle unità locali nei processi di selezione dei candidati/dirigenza o, più in generale, nei processi decisionali, in un’architettura dei poteri variabile, non soltanto in riferimento a ciascuna unità locale, ma anche nel tempo. Non meno importanti possono essere le variazioni nei rapporti in funzione del periodo di riferimento: elettorale o no. Altrettanto rilevanti sono anche le simmetrie o le asimmetrie fra le competizioni nazionali e sub-nazionali, in particolar modo in riferimento alle dinamiche inter-partitiche (Carty & Cross 2006). È importante, infine, sottolineare che nell’analisi di Carty la dimensione gerarchica non scompare completamente; infatti, con variazioni da un caso all’altro, le élite nazionali conservano le leve di eventuali sanzioni contro unità locali che violino principi e norme statutarie (Bolleyer 2012, p. 316). Non esiste dunque un modello standard di franchising, ma la sua struttura dipende dalle tradizioni, dal contesto istituzionale, dal rapporto intra e inter-partitico. Il modello franchising descritto da Carty può dunque essere centralizzato, decentralizzato o federalizzato, in funzione delle variazioni nell’assegnazione (formale ed informale) di poteri e responsabilità, di gerarchia, autonomia e interdipendenza fra le unità di riferimento. Una descrizione simile è proposta anche da Bolleyer (2012), a partire da variazioni (1) nell’allocazione di competenze e risorse (selezione dei candidati, risoluzione dei conflitti e finanze) e (2) nella valorizzazione degli interessi locali nella composizione degli organi centrali. Il partito franchising di Carty con la sua dimensione stratarchica si ritrova così a metà strada su un 6 continuum che vede a un’estremità il partito federale (alta dispersione del potere) e all’altra il partito burocratico gerarchico (alta concentrazione del potere). Si noti che per Bolleyer (2012, p. 319), ciascuno dei tre tipi cosi identificati è caratterizzato da un obiettivo prevalente. I partiti gerarchici tendono a garantire la concentrazione del potere nella leadership centrale, anche se sono concesse forme di autonomia a condizione di essere unilateralmente definite dal centro. Tuttavia la capacità di sanzione delle devianze rimane saldamente una facoltà esclusiva del centro che così controlla e domina i conflitti. I partiti federali, invece, mirano a garantire la natura composita della struttura. In entrambi i tipi esiste un livello organizzativo prevalente, il centro nel primo caso e il locale nel secondo. Per quanto riguarda il partito stratarchico, Bolleyer insiste sulla divisione dei compiti fra due livelli interdipendenti: ciascun livello ha delle competenze specifiche (il livello centrale definisce il nucleo programmatico al quale tutte le unità aderiscono, il livello locale prevale nelle procedure di stabilizzazione dei voti alla base). In sintesi, nel partito stratarchico non esiste un livello predominante; la risoluzione dei conflitti si basa sull’interdipendenza fra il coordinamento politico dal centro e la selezione dei candidati attraverso le unità locali, candidati da cui ci si aspetta che, una volta eletti, difendano le linee programmatiche definite al centro. L’apporto di Bolleyer al dibattito scientifico consta nell’interesse di andare oltre l’identificazione degli effetti e analizzare anche le cause, sebbene a partire da un campione limitato. La studiosa osserva che non esiste una forte convergenza verso un tipo specifico, ma, in coerenza con una logica istituzionalista, tende a collegare le variazioni nelle organizzazioni dei partiti agli input ambientali e, in particolare, all’assetto territoriale: i partiti federali tendono a prevalere in sistemi federali, i partiti stratarchici in strutture unitarie. Osservazioni simili emergono anche dall’analisi del partito a grappolo di Di Mascio (2012) il quale identifica, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, uno specifico equilibrio organizzativo fra centro e unità locali, con queste ultime spesso inquadrabili come sistemi di potere locale la cui esistenza dipende dall’accesso alle risorse delle società pubbliche locali. Come nel caso di Bolleyer, ritroviamo la dimensione euristica della variabile istituzionale. Le trasformazioni del sistema di governance dell’Italia hanno diminuito la dipendenza dei leader periferici dai leader nazionali, rafforzando allo stesso tempo la loro dipendenza dagli esecutivi sub-nazionali. Il modello proposto da Carty e successivamente rielaborato da altri studiosi, può essere riassuntivamente descritto come una risposta simultanea (1) agli imperativi di un sistema politico competitivo: la logica del business party volto alla massimizzazione simultanea dell’efficienza di scala e alla standardizzazione sfruttando i vantaggi della partecipazione locale alla gestione e alla diffusione del “prodotto” (Carty 2002) e (2) alle esigenze dettate dai cambiamenti nella governance del territorio con un obiettivo condiviso di mantenere un collegamento stabile fra partito ed elettori. Come osserva Minaldi (2011, pp. 169-170), i partiti contemporanei cercano così di

combinare l’efficienza di un’“azienda madre” e della standardizzazione di un marchio, con la necessità di adeguare quel marchio a specifici contesti altamente differenziati, il che rende possibile rapporti tra organizzazioni centrali e locali estremamente differenziati e, a seconda delle circostanze, caratterizzati da livelli estremamente variabili di indipendenza e strutturazione delle singole franchises.

Sulla base di quest’inquadramento generale possiamo procedere a esplorare gli effetti dell’organizzazione e dello svolgimento di consultazioni per la selezione del leader (regionale e nazionale) sul PD siciliano, provando ad andare oltre la retorica della ricostituzione del canale di comunicazione fra (s)elettori e membri, da un lato, e partito, dall’altro. Si impone a questo punto un breve inquadramento storico che consenta di delineare le dinamiche elettorali dei partiti ascendenti (nella prima e nella seconda repubblica) e del Pd nel contesto siciliano. 7

2. Le dinamiche elettorali nel contesto siciliano: debolezze di lunga durata Per poter inquadrare meglio le dinamiche organizzative del PD siciliano, un sintetico quadro di orientamento circa l’evoluzione del radicamento territoriale dei principali ascendenti politici del Pd in Sicilia ci permetterà di identificare i tratti salienti delle due stagioni repubblicane, comunemente definite prima e seconda repubblica. Sulla base di questi elementi di sfondo, si potrà esaminare l’evoluzione del consenso elettorale del Pd siciliano, soffermandoci in particolar modo sulle dinamiche di attribuzione del voto di preferenza nell’ambito delle elezioni regionali. La Sicilia, come altre regioni del Mezzogiorno, durante la cosiddetta prima repubblica ha progressivamente consolidato un forte orientamento elettorale verso la Democrazia cristiana, nell’ambito di un vasto processo di integrazione individualistica e clientelare che ha contribuito allo sviluppo economico delle regioni settentrionali (trasformando ben presto il Mezzogiorno in un cruciale mercato di collocazione dei prodotti del Nord), oltre che a consolidare il consenso verso la classe politica di governo (Allum 1975, Trigilia 1992). Il complementare effetto di questo processo è consistito, soprattutto in Sicilia, nella debolezza del Pci. Se le prime elezioni regionali del 1947 diedero la maggioranza relativa al Blocco del popolo (Pci+Psi) contro una Dc in affanno, già un anno dopo, nel 1948, la situazione si ribaltò e la Dc ottenne sull’isola una supremazia che non verrà più sensibilmente intaccata fino alla scomparsa del partito cattolico. Il Pci siciliano non riuscì mai a seguire il trend nazionale. Dopo il picco del 1976, in cui il Pci siciliano, beneficiando del trend nazionale, conquista il 27,4%3, esso si avvia verso un inesorabile declino che non conosce tregua (alle politiche del 1979 piomba al 21% navigando poi intorno al 20% fino alle politiche del 1987). La Dc, al contrario, pur ridimensionandosi anch’essa, dopo l’exploit del 1979 (43,7%) mantiene le sue percentuali intorno al 38%. Se la Dc in Sicilia, e non solo, soprattutto dopo l’elezione di Fanfani a segretario nel 1954, tende a diventare un partito-stato colonizzando l’amministrazione pubblica e gestendo, così, un potere clientelare vastissimo, il Pci siciliano non riesce a proporsi come un agente del cambiamento (Riolo 1989). Le battaglie condotte sull’autonomia e sulla distribuzione delle terre lasciano presto spazio ai primi tentativi di dialogo con la Dc. Questo fa emergere, in alcuni casi, dinamiche spartitorie di fette di potere pubblico la cui gestione non sempre appare limpida. La politica della solidarietà nazionale, poi, esacerba queste tendenze. Se è vero che il Pci conquista la presidenza dell’Ars dal 1976 al 1981 (affidata prima a Pancrazio De Pasquale, poi a Michelangelo Russo), deve pure rilevarsi come il partito entri spesso a far parte di giunte municipali in coalizione con la Dc, anche laddove non sarebbe necessaria la sua presenza (Sanfilippo 2008). Il parlamentarismo compromissorio perseguito in modi sempre più pervicaci, fa progressivamente emergere comportamenti impensabili fino a pochi anni prima, accelerando una trasformazione interna che ne modifica in parte la stessa fisionomia. Cominciano così a verificarsi episodi in cui i diversi candidati nelle liste comuniste organizzano le proprie campagne elettorali singolarmente, anziché affidarsi al partito come stabilisce lo statuto. Banalmente, la politica di solidarietà nazionale non aveva fatto conto che se a livello nazionale l’interlocutore poteva essere una figura del prestigio di Aldo Moro, in Sicilia equivaleva a dialogare con personaggi come Salvo Lima, Giovanni Gioia o Vito Ciancimino4. Il tardivo cambio di strategia di Enrico Berlinguer che mette fine

3 Dato mantenuto anche nella tornata regionale con un leggero calo al 26,8% 4 Salvo Lima (1928-1992) nel 1956 diventa consigliere comunale di Palermo e aderisce alla corrente fanfaniana il cui massimo esponente in Sicilia era Giovanni Gioia. Nel 1958 diventa sindaco di Palermo, nel 1962 segretario provinciale della Dc e dal 1965 al 1966 nuovamente sindaco di Palermo. Nel 1968 viene eletto deputato e passa alla corrente di Andreotti diventando il referente politico in Sicilia. Viene ucciso dalla mafia nel 1992. Giovanni Gioia (1925-1981) nel 1954 è nominato segretario della Dc di Palermo diventando il referente politico di Fanfani nell’isola. Nel 1958 è eletto deputato venendo confermato per cinque legislature. I suoi due principali luogotenenti furono Salvo Lima e Vito Ciancimino. 8 alla collaborazione con la Dc non riesce ad invertire queste dinamiche che ormai caratterizzano la fisionomia del partito siciliano. Lo scioglimento del Pci e la nascita del Pds e del Prc non frenano il declino elettorale in Sicilia: nelle elezioni regionali del 1991 e nelle politiche del 1992 il Pds raggranella un deludente 10%, mentre il Prc, insieme ai Verdi e, soprattutto la Rete, movimento guidato da Leoluca Orlando5, conquista rispettivamente l’11,9 e il 13,4%6. La Dc, ancora soggetto politico unitario, registra il 42% alle regionali e il 41% alle politiche, segno dell’immutato radicamento nella società siciliana, nonostante l’uragano di tangentopoli. Il 1994, con l’ingresso nella scena politica di Silvio Berlusconi e la fine della Dc come soggetto unitario, rivoluziona in larga parte gli equilibri politici siciliani: il Pds ottiene il 16,4% (ma in questo caso il Prc non si presenta, mentre la Rete di Orlando si mantiene sullo stesso dato del 1992) mentre la galassia democristiana si disperde tra il Ppi e il Patto Segni (13,8%) e Forza Italia (33,6%). Nel 1996, anno della vittoria del centrosinistra guidato da , alle elezioni politiche il Pds conquista in Sicilia il 18,3% (rispetto al 21,1% ottenuto a livello nazionale), mentre il Ppi raggiunge il 10% (il 6,8% a livello nazionale). Ma alle regionali dello stesso anno il rapporto di supremazia si capovolge: il Ppi ottiene il 15%, mentre il Pds si ferma al 13. In Regione si forma un governo di centrodestra retto da Giuseppe Provenzano (Fi), ma nel 1998, a fronte di un cambiamento di schieramento dell’Udr7, si forma una maggioranza di centrosinistra che elegge per la prima volta alla guida del governo regionale un uomo proveniente dall’ex Pci: Angelo Capodicasa. Del governo fa parte, in qualità di assessore all’agricoltura, il futuro presidente Salvatore Cuffaro, ma è supportato da una maggioranza molto debole, tanto che non riuscirà a concludere la legislatura e sarà necessario un ultimo governo (guidato da Vincenzo Leanza) che traghetti verso le elezioni del 2001. È la prima e ultima esperienza (se si esclude l’attuale giunta Crocetta) di un governo di centrosinistra in Sicilia che tuttavia non nasce grazie a un risultato elettorale ma ad una migrazione di alcuni deputati del Ccd (tra cui lo stesso Cuffaro) dal centrodestra al centrosinistra. Nel 2001 muta il sistema elettorale e per la prima volta il Presidente della regione è direttamente eletto dai cittadini8. Si affrontano Salvatore Cuffaro, il sindaco uscente di Palermo, Leoluca Orlando, e Sergio D’Antoni, ex segretario nazionale della Cisl. Il primo sfiora il 60% dei voti. I Ds (formatisi nel 1998) si fermano al 10%, mentre la Margherita - nata dalle diverse anime del progressismo cattolico - ottiene il 12%. La sinistra radicale è al 7,7%. Nel 2005 viene riformata la legge elettorale regionale con un accordo

Vito Ciancimino (1924-2002) nel 1959 diviene assessore ai lavori pubblici nella giunta guidata da Salvo Lima mantenendo la carica, anche con altre giunte, fino al 1964. Nel 1970 è sindaco di Palermo costretto a dimettersi per i forti sospetti di legami con la mafia. Nel 1976 passa anche lui alla corrente di Andreotti. I processi a suo carico hanno dimostrato i suoi rapporti con la criminalità organizzata. 5 Sindaco di Palermo dal 1985 al 1990, rieletto consigliere nella lista della Dc con oltre 70mila, non viene ricandidato a sindaco e nel 1991 abbandona la Dc, in aperta polemica con un gruppo dirigente ritenuto compromesso e inquinato dai legami con la criminalità organizzata. Nello stesso anno fonda la Rete e nel 1993 viene eletto sindaco con oltre il 70% delle preferenze. Sarà successivamente rieletto sindaco nel 1997 e alle ultime elezioni amministrative del 2012. 6 L’apporto della Rete di Orlando in questo dato è altissimo. Nella circoscrizione occidentale, infatti, conquista ben il 12,1% sul 13% totale. 7 L’Udr (Unione democratica per la Repubblica) è un partito centrista nato nel 1998 dal transito di una serie di parlamentari eletti nel centrodestra, per consentire a livello nazionale la nascita del primo governo D’Alema (1998- 1999), dopo il passaggio all’opposizione di Rifondazione comunista e la conseguente caduta del primo governo Prodi (1996-1998). 8 In Sicilia nel 2001 è applicata in via transitoria la legge 43 del 1995 (detta Tatarellum, dal nome del suo estensore Giuseppe Tatarella) di riforma del sistema elettorale per le regioni a statuto ordinario. La legge prevede l’elezione diretta del presidente della regione contestualmente al consiglio regionale mediante un sistema misto, per l’80% proporzionale con voto di preferenza unico in collegi provinciali, e per il restante 20% mediante un listino regionale bloccato collegato in un’unica scheda a una o più liste provinciali e il cui capolista è eletto presidente della regione se il listino ottiene la maggioranza relativa. 9 bipartisan che richiama in larga parte la legge prevista per le regioni a statuto ordinario9, prevedendo un sistema proporzionale con voto di preferenza unico in collegi provinciali e uno sbarramento al 5% per eleggere 80 deputati su 90. Dei restanti dieci, nove sono eletti mediante un listino regionale bloccato (collegato alle liste provinciali) il cui capolista è eletto presidente nel caso in cui il listino raggiunga la maggioranza relativa dei voti, mentre un seggio è riservato al capolista del listino giunto secondo. È con questo sistema elettorale che si vota nel maggio 2006. I Ds conquistano il 14% mentre la Margherita il 12%. Il 10% è conquistato dalle due liste che appoggiano Rita Borsellino (sebbene soltanto una, Uniti per la Sicilia, superi lo sbarramento del 5%)10. Salvatore Cuffaro è rieletto presidente, ma con una percentuale più bassa (53%) rispetto al 2001, mentre Rita Borsellino ottiene un apprezzabile 41%. Insieme, Ds e Margherita ottengono 24 seggi (12 ciascuno) e un risultato che supera lievemente il 25,2% ottenuto in Sicilia dalla lista unitaria dell’Ulivo alle elezioni politiche svoltesi nel mese precedente (9 e 10 aprile 2006). Nel gennaio 2008, la condanna in primo grado per i reati di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio determina le dimissioni del presidente Cuffaro e il conseguente ritorno alle urne nel successivo mese di giugno. Il centrosinistra candida alla presidenza la dirigente nazionale catanese del Pd (proveniente dai Ds), Anna Finocchiaro, che tuttavia ottiene un modesto 30,4% contro il candidato del centrodestra, Raffaele Lombardo, che ottiene il 65,4%11. Il Pd alla sua prima prova regionale ottiene appena il 18,8%, quasi sette punti percentuali in meno rispetto al dato fatto registrare dal partito lo stesso giorno in Sicilia nelle consultazioni politiche (25,5%)12. Nonostante il pessimo risultato, il Pd ottiene 28 seggi all’assemblea regionale, grazie al mancato superamento della soglia di sbarramento da parte delle altre liste della coalizione13. Infine, nell’autunno del 2012, in occasione dell’ultima tornata elettorale regionale, anticipata, ancora una volta, per le dimissioni del presidente a causa di un procedimento giudiziario14, il Pd sperimenta una nuova coalizione allargata all’Udc, candidando Rosario Crocetta ed escludendo la sinistra che candida Claudio Fava (poi ritiratosi per un vizio di forma nella candidatura)15. Il Pd ottiene appena il 13,4% mentre l’Udc, insieme alla lista il Megafono a sostegno del candidato Crocetta, conquista il 17%. Rosario Crocetta è eletto presidente con appena il 30,5% dei voti ed è privo di una maggioranza parlamentare. Il gruppo del Pd conta appena 19 deputati regionali.

9 Legge regionale 7 del 2005. 10 Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo, da anni impegnata sul fronte dell’antimafia e dell’impegno civile, raggiunge la candidatura superando in una consultazione degli elettori (“primarie” del 4/12/2005) lo sfidante, Ferdinando Latteri, ex rettore dell’Università di Catania, con il 66,9% dei voti. 11 Segretario regionale dell’Udc fino al 2005, europarlamentare e presidente della provincia di Catania (2003-2008), Raffaele Lombardo nel 2005 fonda il Movimento per le Autonomie. Alle elezioni comunali di Catania del 2005 le quattro liste che rientrano nell’orbita del MpA ottengono il 20% dei voti rivelandosi decisive per la rielezione a sindaco di Umberto Scapagnini (centrodestra). 12 Le elezioni politiche e quelle regionali si svolgono contestualmente il 13 e 14 aprile 2008. Il dato relativo alle elezioni politiche si riferisce alle circoscrizioni Sicilia I e Sicilia II (accorpate) della Camera dei deputati. 13 Complessivamente, soltanto quattro liste superano lo sbarramento nella tornata elettorale regionale. Oltre al Pd, l’Udc, l’MpA e il PdL. 14 Raffaele Lombardo si dimette il 31 luglio 2012 in seguito ad una imputazione coatta per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. 15 Rosario Crocetta, ex militante del Pci, transitato poi a Rifondazione comunista e ai Comunisti italiani, è stato sindaco di Gela dal 2003 al 2009 (riconfermato nel 2007 al primo turno con oltre il 60% dei voti), anno in cui è stato eletto europarlamentare nelle liste del Pd. Nell’estate del 2012 si autocandida alla presidenza della Regione e solo successivamente riceverà il sostegno dell’Udc prima e del Pd poi. 10

2.1. Le dinamiche di attribuzione del voto di preferenza nell’ambito delle elezioni regionali. Conclusa questa sintetica rassegna, passiamo ad osservare più nel dettaglio la struttura e la dinamica del consenso elettorale del Pd siciliano, prendendo in esame i dati concernenti le preferenze espresse nelle ultime tre tornate elettorali per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana (2006, 2008 e 2012). L’analisi delle dinamiche evolutive della espressione, distribuzione e concentrazione delle preferenze fornisce alcune fondamentali indicazioni, non soltanto rispetto alla tradizionale dicotomia tra voto d’opinione (rintracciabile prevalentemente nella consistenza del voto di lista senza preferenza) e mobilitazione individualistica del consenso (in parte, presumibilmente, fondata sullo scambio clientelare) (Pizzorno 1980), ma anche in relazione alle dinamiche competitive interne alle liste nei singoli collegi provinciali e, complessivamente, a livello regionale. Più specificamente, il livello di concentrazione complessiva delle preferenze all’interno della lista nei singoli collegi, calcolato attraverso il rapporto di concentrazione di Gini (R), fornisce una indicazione della competitività interna, talché al crescere della concentrazione delle preferenze diminuisce la competitività interna e aumenta il peso specifico dei singoli leader locali16. La concentrazione delle preferenze verso i leader locali, principali attori dei sistemi di sotto-franchising, può poi osservarsi con maggior dettaglio attraverso l’indicatore di leadership interna (L) (Fabrizio & Feltrin 2007), vale a dire il rapporto percentuale tra le preferenze attribuite al candidato più votato e il totale delle preferenze attribuite a tutti i candidati della lista nel collegio. Tale indicatore consente di rilevare la consistenza verticale della distribuzione del consenso e il peso del vertice della leadership locale. Osservando le dinamiche evolutive delle ultime tre tornate elettorali regionali (2006, 2008 e 2012), la prima delle quali consente di valutare le performance dei due principali attori partitici, i Ds e la Margherita, che hanno dato vita al Pd, ciò che risalta in primo luogo è l’andamento complessivo dei tassi di preferenza (il rapporto percentuale tra le preferenze espresse e il totale dei voti validi attribuiti alla lista). Nel 2006 il differenziale di oltre 15 punti percentuali fra Ds (71,7%) e Margherita (87%) indica la persistenza di significative differenze nei processi di strutturazione del consenso, con i Ds ancora in grado di attrarre una discreta quota di voto d’opinione e la Margherita saldamente ancorata al tradizionale modello democristiano di mobilitazione individualistica del consenso. Nel 2008, alla sua prima prova elettorale, il Pd siciliano, nonostante la scarsa performance complessiva, si presenta invece come un partito caratterizzato da un robusto consenso d’opinione, con un tasso di preferenze (il 60,3%) ben inferiore anche a quello fatto registrare dai Ds appena due anni prima e che parzialmente può inputarsi al consistente incremento della partecipazione elettorale (+7,5%). Cionondimeno, nel volgere di quattro anni, nel corso dei quali una parte significativa del gruppo parlamentare del Pd instaura un rapporto collaborativo col governo presieduto da Raffaele Lombardo (su cui si tornerà in seguito), il profilo elettorale del partito siciliano sembra mutare radicalmente, raggiungendo un tasso di preferenze che supera l’84% (con un incremento, rispetto al 2008, di oltre il 24%). E se il successo del M5S (che sfiora il 15%) e, anche in questo caso, il dato della partecipazione elettorale (precipitata di quasi venti punti percentuali) possono fornire indizi significativi circa le “direzioni di fuga” del voto d’opinione dal Pd, ciò non pare mutare la significatività del dato, né le sue implicazioni sul versante organizzativo e strategico. Passando all’esame della composizione e della distribuzione delle preferenze, la dinamica evolutiva dei due indici rivela un quadro di discontinuità assai meno nette, ma non meno rilevanti. Nel 2006 la concentrazione media delle preferenze nelle nove liste provinciali dei Ds e della Margherita-DL è piuttosto elevata e lievemente maggiore nella Margherita-DL, con punte dello

16 Il rapporto è compreso nell’intervallo tra 0 e 1, cioè tra equidistribuzione e massima concentrazione. 11

0,75 per i Ds nel collegio di Catania e dello 0,78 per la Margherita nel collegio di Palermo (Tab. 1). La leadership locale è quasi ovunque molto accentrata, fatta eccezione per i collegi di Palermo e Agrigento per i Ds, di Catania e di Palermo per la Margherita. Due anni dopo la concentrazione delle preferenze nelle liste provinciali del Pd risulta quasi ovunque assimilabile a quella fatta registrare nel 2006 dai due partiti fondatori, ma le leadership locali appaiono meno accentrate, probabilmente in ragione della sovrapposizione, nei singoli collegi, delle candidature dei leader provenienti dai due partiti. In particolare, la leadership risulta molto meno accentrata nei collegi di Trapani, Enna e Palermo, mentre la provincia di Catania fa registrare un dato quasi identico a quello della Margherita nel 2006 (poco più del 23%)17. Nel 2012, infine, se da un lato in tutti i collegi ad eccezione di Ragusa si registra una moderata flessione della competitività interna (crescendo la concentrazione), dall’altro, fatte eccezioni per i collegi di Palermo, Ragusa e Siracusa, si registra una forte crescita dell’accentramento, con una media complessiva che torna sui livelli fatti registrare sei anni prima da Ds e Margherita. Complessivamente, dunque, la fisionomia assunta dal Pd siciliano successivamente alle elezioni regionali del 2012 appare quella di un partito fortemente condizionato dal consenso mobilitato dalle candidature locali e, in particolar modo, dai suoi leader provinciali.

Tabella 1: Elezioni Regione Sicilia 2006, 2008, 2012: rapporti di concentrazione (0≤R≤1), indici di leadership interna (L) delle liste provinciali di Ds, Margherita e Pd (%); tassi di preferenza complessivi (liste Ds, Margherita e Pd) e affluenza alle urne.

Anno 2006 2008 2012 Liste (R-L ) DS (R) DS (L ) DL (R) DL (L ) PD (R) PD (L ) PD (R) PD (L ) PA 0,66 22,1 0,78 24,8 0,65 18,7 0,70 17,2 TP 0,53 52,0 0,59 47,0 0,50 29,2 0,66 44,4 AG 0,28 23,1 0,55 38,2 0,53 31,0 0,64 38,5 CL 0,44 47,6 0,50 42,6 0,38 40,3 0,40 40,4 EN 0,51 59,4 0,55 64,5 0,35 46,8 0,58 67,5 RG 0,47 45,7 0,52 36,5 0,64 50,4 0,45 37,2 SR 0,43 32,0 0,56 35,3 0,54 36,4 0,59 35,5

Collegi provinciali CT 0,75 36,2 0,71 23,3 0,69 23,1 0,75 26,4 ME 0,70 35,6 0,61 38,7 0,62 36,3 0,66 41,0

Media R 0,53 0,59 0,54 0,60 Media L 39,3 39,0 34,7 38,7

DS DL PD PD Tassi di preferenza 71,7% 87,0% 60,3% 84,6%

Affluenza 59,2% 66,7% 47,3%

Fonte: Nostra elaborazione dati Assessorato Regione Sicilia alle Autonomie Locali e alla Funzione Pubblica – Servizio Elettorale

Una volta delineato quanto sopra possiamo contestualizzare meglio il rapporto fra il centro e l’unità sub-nazionale – nella fattispecie il PD siciliano – tenuto conto del debole contributo “elettorale” che il PD siciliano riesce a garantire al centro.

3. Il PD siciliano e le scelte per la leadership Prima di procedere con l’analisi del contesto, dei partecipanti e degli esiti delle consultazioni per la selezione del segretario regionale del Pd, si rendono necessarie alcune osservazioni circa l’assetto

17 Nel collegio di Palermo si sovrappongono, ad esempio, le candidature di Gaspare Vitrano, proveniente dalla Margherita e già eletto nel 2006 con 11.591 preferenze, e quella di Antonello Cracolici, proveniente dai Ds ed eletto nella precedente tornata con 11.611 preferenze. Nel collegio di Trapani la candidatura di Camillo Oddo, proveniente dai Ds ed eletto nel 2006 con 8.570 preferenze deve affrontare la competizione interna di Baldo Gucciardi, proveniente dalla Margherita ed eletto nel 2006 con 11.948 preferenze. Ad Enna, Michele Galvagno, eletto nel 2006 con 11.634 preferenze nella Margherita, deve affrontare la competizione di Salvatore Termine, 10.699 preferenze nella lista dei Ds nel 2006. 12 organizzativo del partito. Questi elementi serviranno da fondo per ricostruire e analizzare gli effetti dei processi di legittimazione democratica della leadership regionale del PD sugli assetti stratarchici del partito. La rappresentanza istituzionale del partito alla Regione siciliana, la segreteria regionale e quella nazionale costituiranno in questo quadro i principali punti di riferimento analitici.

3.1. La dimensione stratarchica del PD: diposizioni statutarie Dal punto di vista delle disposizioni statutarie, il rapporto fra il centro e le rappresentanze regionali del PD rispecchia ampiamente la logica del modello stratarchico proposto dalla letteratura. Lo statuto del Partito Democratico, modificato dall'Assemblea Nazionale del 6 ottobre 2012, specifica infatti che:

ai competenti organi delle Unioni regionali e delle Unioni provinciali di Trento e Bolzano, nonché agli organi locali, è riconosciuta autonomia politica, programmatica, organizzativa e finanziaria in tutte le materie che il presente Statuto non riservi alla potestà degli organi nazionali, comprese le alleanze politiche ed elettorali a livello regionale, provinciale e comunale. Nel caso di decisioni che comportino una alleanza politica con partiti non coalizzati con il Partito Democratico in ambito nazionale, l’organo territoriale competente è tenuto ad informare preventivamente il Segretario nazionale e, se si tratti di organo sub-regionale, il Segretario regionale o il Segretario provinciale di Trento e Bolzano. In caso di rilievi o richiesta di riesame della decisione, gli organi che l’hanno adottata sono tenuti a rispondere motivandola in modo esaustivo (art. 12, comma 1 Statuto del Partito Democratico 2012).

L’ampia autonomia concessa alle unità locali in ambito politico, programmatico, organizzativo e finanziario è rafforzata dall’ampio spazio di manovra concesso nell’ambito delle alleanze politiche a livello sub-nazionale. Come nel modello descritto da Carty, emergono tuttavia alcuni ambiti nei quali viene riconosciuta al centro l’autorità gerarchica, considerando che nella stesura degli statuti delle unità sub-nazionali si richiede esplicitamente il rispetto dei principi fondamentali dello Statuto nazionale. L’art. 15 dello statuto regolamenta esplicitamente i principi inderogabili a cui devono attenersi gli statuti regionali, sia per quanto riguarda la composizione, le modalità di formazione e le competenze degli organismi dirigenti regionali e locali, sia per quanto attiene la coerenza con i principi etici e programmatici. Dal punto di vista strettamente organizzativo, ad ogni unità sub-nazionale è richiesto di prevedere un Segretario, una Assemblea ed una Commissione di garanzia. Viene inoltre regolamentata la durata del mandato del Segretario sub- nazionale e della relativa Assemblea a quattro anni. Oltre a questi principi regolatori di carattere generale, interventi gerarchici del centro sono giustificati soltanto nel caso della difesa dei valori fondamentali del partito definiti dal Manifesto e dal Codice etico. Come viene specificato, infatti, “in tali casi il Coordinamento nazionale può annullare le deliberazioni degli organismi delle Unioni regionali, delle Unioni provinciali di Trento e Bolzano o locali con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti entro 15 giorni dalla loro adozione” (art. 12, comma 2). Rispecchiando quest’architettura organizzativa che concede alle unità sub-nazionali un ampio spazio di manovra e, implicitamente, una ridotta capacità di controllo attribuita al centro, lo statuto del Partito Democratico siciliano si apre con un riferimento alla sua autonomia politica, programmatica, organizzativa e finanziaria (art. 1). Come nella logica del franchising descritta da Carty (2004), il PD nazionale definisce la linea generale del prodotto (l’unità sub-nazionale) sia per quanto riguarda la struttura organizzativa, sia in riferimento ai generali principi programmatici ed etici, mentre all’unità sub-nazionale viene attribuita la responsabilità della diffusione del prodotto “adattato” alle esigenze specifiche del territorio.

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3.2. La segreteria Genovese: un plebiscito poco incisivo Sulla scia del modello di selezione dei leader inaugurata dal PD già nel 2007, dalla fondazione del PD siciliano le tre segreterie regionali sono state legittimate da consultazioni aperte riguardanti candidature selezionate, in due casi su tre (2009 e 2014), tramite una preliminare consultazione degli iscritti (art. 15, comma 2, statuto Pd siciliano). Il primo segretario regionale del PD siciliano è Francantonio Genovese. Contestualmente all’elezione del primo segretario nazionale del PD, , Genovese è eletto alla carica il 14 ottobre 2007 con oltre l’85% delle preferenze, ma in un contesto di competitività assai ridotta, conseguenza diretta di un accordo tra i due partiti fondatori, Ds e Margherita, che sancisce l’attribuzione della direzione politica della regione a un esponente della Margherita. Più precisamente, in base a quest’accordo, il vice-presidente in carica della commissione nazionale antimafia, nonché dirigente dei Ds, Beppe Lumia, rinuncia alla propria candidatura (annunciata nel corso dell’estate 2007), in cambio della disponibilità delle altre componenti a supportarne l’eventuale candidatura alla presidenza dell’assemblea costituente regionale del partito18. Sulla base di questo accordo, la competizione si restringe al solo campo della Margherita, con due soli candidati: Genovese, che riceve il sostegno di Walter Veltroni e dello stesso Lumia, e il sindaco di Caltanissetta, Salvatore Messana, espressione della componente centrista che fa riferimento a . Già dirigente nazionale della Dc, deputato regionale dal 2001 al 2005 (eletto nella lista della Margherita nel collegio di Messina), sindaco di Messina dal 2005 al 2007, Genovese è un imprenditore che al momento della candidatura si colloca all’interno dell’area centrista degli ex- popolari i cui riferimenti sono: a livello nazionale Beppe Fioroni e a livello regionale l’ex ministro delle comunicazioni Salvatore Cardinale19. Pur facendo parte di un’area politica ben definita, rafforzata successivamente con la nascita della corrente regionale centrista Innovazioni (di cui faranno parte, oltre che Genovese e Cardinale, anche gli ex assessori regionali al lavoro Benedetto Adragna e Antonino Papania), Genovese non affronta significative contrapposizioni interne durante il biennio del suo incarico di segretario. La sua elezione alla segreteria è il risultato di una operazione verticistica di compromesso che gli garantisce un forte consenso al momento della nomina e anche un controllo relativamente efficace delle complesse dinamiche locali. Una certa tensione emerge alla fine del mandato in riferimento a dinamiche regionali e, in particolare, rispetto alla possibilità che una parte del gruppo parlamentare regionale possa sostenere dall’esterno un governo presieduto da Raffaele Lombardo (eletto presidente della Regione nel giugno 2008 con il sostegno di una coalizione di centrodestra). Chiudendo a ogni ipotesi di mediazione, Genovese dichiara che il Pd non può essere disponibile a fare “da stampella al governo Lombardo” e che “qualunque altra ipotesi che non rientri nell’ambito del contrasto al centrodestra non è presa in considerazione dagli organismi dirigenti del partito”20. Nondimeno, in vista delle nuove consultazioni per la nomina del successore di Genovese (e, a livello nazionale, di , già vicesegretario subentrato al dimissionario Walter Veltroni), la strategia da adottare nei confronti del governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo diviene il tema più rilevante della campagna elettorale.

18 La Sicilia, 11/11/2007. 19 Nel 2001 F. Genovese è eletto deputato regionale ottenendo 13.832 voti di preferenza su 29.783 voti di lista. Nel 2005 è eletto sindaco di Messina vincendo il turno di ballottaggio col 54,6% dei voti. Nel 2007, tuttavia, decade dall’incarico insieme al consiglio comunale, in seguito all’accoglimento da parte del CGA di un ricorso presentato da un candidato escluso dalla competizione del 2005. 20 Livesicilia.com, 9/06/09: dichiarazione di Francantonio Genovese. 14

3.3. La segreteria Lupo: una gestione priva di consenso Il candidato prescelto dalla segreteria nazionale in carica è il cattolico Giuseppe Lupo, segretario generale della Cisl a Palermo dal 2001 al 2008, anno in cui è eletto deputato regionale, ottenendo nel collegio provinciale di Palermo quasi 11mila preferenze. La candidatura di Giuseppe Lupo alla carica di segretario regionale è promossa dall’ex segretario nazionale della Cisl, Sergio D’Antoni, e supportata da quasi tutta l’area cattolica dell’ex Margherita, compresa la corrente Innovazioni. Fa eccezione l’area cattolica vicina alla dirigente nazionale che, invece, si riconosce nella candidatura di Bernardo Mattarella, anch’egli cattolico e proveniente dalla Margherita. Mattarella è sostenuto anche dal candidato alla segreteria nazionale Pierluigi Bersani e, dunque, da una vasta area della componente Ds del partito. La terza candidatura significativa è, infine, quella di Beppe Lumia, l’ex vicepresidente della commissione nazionale antimafia eletto senatore nel 2008, che decide di candidarsi con l’obiettivo di rafforzare l’autonomia del partito siciliano dal centro, “per rompere il blocco di forze che sostengono il centrodestra attraverso la promozione degli interessi del Mezzogiorno e della Sicilia”21. Beppe Lumia rappresenta, infatti, la componente del partito - prevalente all’interno del gruppo parlamentare - orientata ad una interlocuzione con Raffaele Lombardo. Una posizione contrapposta a quella di Lupo, che nella sua proposta programmatica fa invece riferimento a un “partito plurale, aperto alla società civile, autonomo, attivo e ben organizzato sul territorio, ma che non avrà nulla a che fare con la politica proposta dal governo Lombardo”22. Anche Bernardo Mattarella, infine, esprime la sua netta contrarietà a qualsiasi accordo con Lombardo, asserendo che “al governo si entra dalla porta principale e non dal buco della serratura” e che sarà dunque necessario “archiviare la stagione degli accordi anomali”, condividendo appieno la posizione del candidato Pierluigi Bersani che, intervenuto in Sicilia a sostegno della sua candidatura, esprime la sua contrarietà a “qualsiasi sostegno al centrodestra che in Sicilia sembra vivere in una sorta di stato confusionale”23. Rispetto alla consultazione del 2007, l’esito della competizione è assai meno netto (nessuno dei candidati supera il 50% dei voti), rendendo necessario il coinvolgimento della nuova assemblea regionale a cui spetta il compito di eleggere il nuovo segretario in un turno di ballottaggio fra i due candidati più votati. Dalla preliminare consultazione degli iscritti nei circoli (che determina l’elezione dei delegati all’assemblea) Lupo risulta il più votato con il 45% delle preferenze. Segue Mattarella, con il 28% e Lumia al 24%. La Sicilia risulta dunque essere una delle tre regioni (insieme al Friuli e alla Val d’Aosta) in cui Franceschini prevale su Bersani nella consultazione degli iscritti (con il 52,6%, contro il 46,5%)24. L’esito della consultazione degli elettori (25 ottobre 2009) ridimensiona il vantaggio di Lupo, che ottiene il 40% dei voti, mentre Lumia, con il 31%, scavalca Mattarella che ottiene il 29%, determinandosi la necessità di ricorrere al ballottaggio tra Lupo e Lumia. In vista del voto dell’assemblea regionale del PD, Giuseppe Lupo e Bernardo Mattarella stipulano un accordo in base al quale Mattarella accetta di sostenere la candidatura del primo saldando così le due componenti contrarie ad ogni interlocuzione con il presidente Lombardo. Nel corso dell’assemblea regionale si palesa una frattura che appare difficilmente ricomponibile. Giuseppe Lupo è infatti eletto con i voti di 121 delegati su 122 presenti (i componenti sono 300), mentre Beppe Lumia, insieme a una sessantina di delegati decide di abbandonare l’assise poco dopo l’avvio dei lavori, giustificando il gesto con la presa d’atto dell’impossibilità di integrare i due

21 Livesicilia.com, 9/11/09: dichiarazione di Beppe Lumia. 22 Ibid., 01/08/09: dichiarazione di Giuseppe Lupo. 23 Ibid., 22/09/09: dichiarazioni di Bernardo Mattarella e Pierluigi Bersani. 24 Al contrario, nella consultazione aperta Bersani prevale con il 47,7% contro il 43,8% di Franceschini. 15 progetti, essendo in radicale dissenso con l’alleanza Lupo-Mattarella accusata di voler “ricomporre il centrodestra per tornare al cuffarismo”25. Dal canto suo, Giuseppe Lupo precisa che “il Pd non può essere il partito che sostituisce un pezzo di maggioranza tenendo in vita il governo Lombardo” e, forte del sostegno della componente mattarelliana, chiede esplicitamente al capogruppo all’assemblea regionale, Antonello Cracolici (sostenitore con Lumia dell'opportunità di una interlocuzione col governo regionale) di “mettere il suo mandato a disposizione del partito”26. Si apre così una lunga fase di contrapposizione fra la rappresentanza istituzionale (party in public office) e la segreteria regionale (party in central office), con una netta supremazia della prima sulla seconda. Appena qualche giorno dopo l’elezione del nuovo segretario, il capogruppo all’assemblea regionale Cracolici, ignorando la richiesta di remissione del proprio mandato, accoglie favorevolmente le dichiarazioni del presidente Lombardo che prospetta la possibilità di costituire una maggioranza alternativa a quella che ne ha sostenuto l’elezione. Il segretario, dal canto suo, mantiene una posizione di netta indisponibilità a qualsiasi accordo politico.27 Significativamente per i rapporti di forza all’interno del partito, alla fine di dicembre si insedia il terzo governo Lombardo, con la partecipazione di tre assessori ascrivibili all’area che fa capo a Beppe Lumia e Antonello Cracolici28. Nel nuovo scenario, la corrente centrista Innovazioni, che a livello nazionale fa riferimento alla stessa area del segretario regionale (Area-dem), si ricolloca verso una posizione più dialogante nei confronti della presidenza Lombardo, mentre la consistente area che fa capo a Bernardo Mattarella radicalizza la propria posizione chiedendo di sottoporre la linea politica del partito a referendum, ritenendo che gli indirizzi dell’assemblea e del segretario non siano in alcun modo rispettati dalla parte maggioritaria del gruppo parlamentare all’Ars.29 Nel mese di giugno del 2010, il segretario regionale smentisce l’ipotesi che si possa arrivare a una scissione nel partito siciliano e tenta una mediazione invitando a “un dibattito franco all'interno degli organismi del partito”.30 La debolezza della sua leadership emerge però ancor più netta all’indomani di questa presa di posizione. In un incontro pubblico organizzato dal capogruppo Cracolici e dal senatore Lumia, i due leader dissidenti rivendicano di aver contribuito a determinare l’agenda delle grandi riforme del governo regionale e criticano il segretario regionale, sia per la sua assenza, sia per la sua pervicacia nel voler collocare il partito all’opposizione. Sottolineano inoltre che una scissione non sia ipotizzabile in un contesto in cui la linea del dialogo e della collaborazione col governo in carica risulta largamente maggioritaria all’interno del gruppo parlamentare. Significativamente, all’incontro partecipano molti deputati regionali, nonché gli esponenti della corrente Innovazioni. Nel successivo mese di settembre, sotto la forte pressione del gruppo parlamentare, in concomitanza con l’insediamento del quarto governo Lombardo (sostenuto anche dall’Udc), la linea politica del segretario regionale muta radicalmente e la direzione regionale approva un documento che esprime apprezzamento per il nuovo “governo tecnico che determina le premesse per una possibile futura alleanza elettorale con i centristi”31. Si scompone, dunque, l’alleanza che aveva consentito meno di un anno prima l’elezione del segretario. L’area che fa capo a Mattarella

25 In riferimento a Salvatore Cuffaro (centrodestra), presidente della Regione dal 2001 al 2008. 26 Ibid.: dichiarazione di Giuseppe Lupo. 27 Livesicilia.com, 15/11/09. 28 Si tratta del professore Mario Centorrino, del magistrato Caterina Chinnici e dell’esponente di Confindustria Sicilia Marco Venturi. 29 Ibid., 14/10/10. Il referendum interno è uno “strumento di coinvolgimento degli iscritti” previsto dallo statuto siciliano del partito “su argomenti e scelte politiche di essenziale importanza per l’azione del partito” (art. 36, comma 1). 30 Ibid., 24/06/10. 31 Ibid., 27/09/10. 16

(che comprende anche l’ex sindaco di Catania ed ex ministro degli Interni Enzo Bianco, nonché la componente ex Ds che fa capo al senatore ennese Mirello Crisafulli) assume una posizione fortemente critica nei confronti del segretario e della sua scelta strategica di perseguire un’alleanza con l’Udc e con l’MpA. Dal canto suo, Lupo difende la svolta, prospettando il possibile allontanamento di Raffaele Lombardo dalla maggioranza che sostiene il governo nazionale guidato da Silvio Berlusconi. Sarà tuttavia smentito appena qualche giorno più tardi, quando la delegazione parlamentare nazionale del MpA decide di rinnovare il proprio voto di fiducia al governo32. Nei mesi che seguono la posizione del partito diviene sempre più confusa, ambigua e attraversata da molteplici divisioni. Nonostante la direzione regionale del partito a novembre rinnovi l’indirizzo di sostegno al governo, respingendo la proposta di una consultazione della base, consultazioni referendarie degli elettori si svolgono a Enna (il 10/12/2010), Caltagirone (il 9/01/2011) e Gela (il 24/01/2011), dando tutte un esito sfavorevole alla scelta di sostegno al governo, con percentuali che superano l’80%, a fronte di tassi di partecipazione molto elevati33. Il capogruppo all’ARS, Cracolici, stigmatizza l’iniziativa come “un modo per continuare a giocare”34. Emergono inoltre significative divisioni anche all’interno dello schieramento che sostiene il governo: la corrente Innovazioni critica l’eccessiva autonomia del capogruppo nella gestione dell’iter e dei contenuti dei disegni di legge35. Si accentua, dunque, la tensione interna, mettendo ancor più in rilievo la debolezza del segretario. Nella primavera del 2011, l’avviso di chiusura di una indagine giudiziaria nei confronti del presidente Lombardo e il profilarsi di un suo rinvio a giudizio per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa riacuisce le divisioni fra il gruppo parlamentare e la segreteria, coinvolgendo anche la segreteria nazionale che auspica una netta presa di distanza del partito. Il passaggio più significativo di questa fase è certamente rappresentato dalla riunione della direzione regionale del 19 settembre 2011, alla quale partecipa anche il coordinatore della segreteria nazionale, Maurizio Migliavacca. In quest’occasione emerge in modo emblematico, non soltanto la declinazione del profilo stratarchico del partito, ma anche l’assenza di coordinamento e integrazione. Nel documento presentato alla direzione e concordato con il rappresentante della segreteria nazionale, Giuseppe Lupo propone di escludere una alleanza politica con Raffaele Lombardo e di ritirare il sostegno al governo regionale, votando i provvedimenti sulla base di specifiche valutazioni di merito. Ma di fronte alla dura presa di posizione contraria del capogruppo Cracolici che giudica la proposta inaccettabile dichiarando che “votare atto per atto equivarrebbe a non governare”36, prende avvio una difficile mediazione che porta a integrare il documento con una formula - proposta dall’esponente della corrente Innovazioni, Nino Papania – che ribalta il contenuto iniziale, indicando la necessità di “dare vita a un'alleanza politica in grado di dare forza al progetto di governo e consentire un salto di qualità”37. Dall’altra parte, infine, continua a manifestare aspro dissenso l’asse di minoranza di Mattarella, Bianco e Crisafulli che, dopo avere condiviso la prima versione della relazione del segretario, tornano a chiedere il ritiro del sostegno al governo e l’indizione di un referendum38. L’ostruzionismo dell’intero gruppo parlamentare (che all’inizio di gennaio chiede di indire una riunione della direzione regionale per rimetterne in

32 Ibid., 30/09/10. 33 Nel caso di Caltagirone, ad esempio, l’affluenza per il referendum supera quella fatta registrare in occasione delle ultime consultazioni per designare il segretario regionale. 34 Livesicilia.com, 24/01/2011: dichiarazione di Antonello Cracolici. 35 Ibid., 27/02/11. 36 Ibid., 19/09/11: dichiarazione di Antonello Cracolici. 37 Ibid.: documento approvato dalla direzione regionale del Pd. 38 Un referendum sul quale, alla fine del successivo mese di novembre, giunge il parere favorevole della commissione di garanzia presieduta da Luigi Cocilovo, un dirigente molto vicino allo stesso segretario Lupo. 17 discussione l’opportunità) e il successivo precipitare degli eventi rispetto al procedimento giudiziario nei confronti del presidente della Regione, ne impediranno lo svolgimento. Appresa la notizia dell’imputazione coatta di Raffaele Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa, all’inizio dell’aprile 2012 Giuseppe Lupo indice una riunione della direzione regionale nella quale si decide, di concerto con la segreteria nazionale, di ritirare il sostegno al governo regionale39. Significativamente, alla riunione partecipa meno della metà dei componenti (47 su 111, in larga parte oppositori del governo) e, sfruttando la debolezza dei numeri, il capogruppo Cracolici non ne riconosce la validità40. Le dimissioni di Lombardo e la successiva tornata elettorale regionale hanno lo scontato effetto di ridimensionare la contrapposizione sul tema del sostegno al governo regionale, innescando tuttavia nuove e più complesse fratture interne. La vittoria elettorale del candidato del Pd, Rosario Crocetta, è complicata dal mancato raggiungimento della maggioranza da parte della coalizione di centrosinistra all’interno dell’Assemblea regionale siciliana, a causa anche del debole risultato elettorale del Pd (che passa da 28 deputati a 18), non compensato dal buon risultato della lista a sostegno di Crocetta (6,2% e 5 eletti), il Megafono, a cui aderisce anche il senatore Beppe Lumia. Questo nuovo assetto favorisce la nascita di due formazioni politiche satellite del Pd: lo stesso Megafono e i Democratici e riformisti per la Sicilia, entrambe orientate a federarsi col Pd. L’assetto stratarchico appare ancora più complesso, così come gli intrecci fra centro, livello regionale e sub-regionale. Il Megafono sembra anzitutto perseguire il disegno strategico, già prospettato da Beppe Lumia in occasione delle precedenti consultazioni per la nomina del segretario regionale, di rafforzare l’autonomia del partito siciliano “facendo valere maggiormente le proprie istanze e quelle relative agli interessi siciliani a livello nazionale”41, ma rappresenta anche uno strumento per rafforzare l’autonomia del nuovo presidente rispetto al Pd siciliano. I Democratici e riformisti per la Sicilia sono invece una formazione di tipo parlamentare fondata da Salvatore Cardinale, l’ex leader della ormai disciolta corrente Innovazioni, con l’obiettivo di accogliere nella coalizione a sostegno di Crocetta deputati provenienti da partiti di centrodestra “non disposti ad entrare nel Pd”42. Rispetto ai due gruppi la segreteria regionale e molti dirigenti del Pd esprimono posizioni ambivalenti e contraddittorie, a seconda delle opportunità di contesto. In vista delle elezioni politiche nazionali del febbraio 2013, il segretario Lupo chiede ed ottiene una deroga per consentire a Beppe Lumia di partecipare alle elezioni primarie parlamentari del 28 dicembre 2012, ma Lumia rifiuta e decide di candidarsi come capolista del Megafono al Senato, in coalizione con il Pd. E, nonostante le numerose critiche del segretario e di molti dirigenti del partito che stigmatizzano la candidatura di un esponente del Pd in un’altra lista, la segreteria nazionale accetta l’anomalia, sperando così di ottenere il premio di maggioranza in una regione chiave come la Sicilia. Nel giugno 2013, dopo l’insediamento del governo Letta e le dimissioni di Pierluigi Bersani dalla carica di segretario nazionale, il dirigente più influente dell’area renziana in Sicilia, Davide Faraone, definisce i due gruppi “anomalie da chiudersi quanto prima”43. Ma poco più di un anno dopo, lo stesso Faraone partecipa alla presentazione del Patto dei democratici per le riforme, nuova denominazione del gruppo che fa capo all'ex ministro Salvatore Cardinale, segnalando come la segreteria nazionale presieduta da avalli l’iniziativa a sostegno del governo Crocetta44. Su tutt’altre posizioni, invece, la componente cuperliana del

39 Ibid., 2/04/12. 40 In proposito dichiara: “la maggioranza dei componenti è assente, sono solo quattro amici che discutono” (Livesicilia.com, 2/04/12). 41 Livesicilia.com, 13/06/13: dichiarazione di Beppe Lumia. 42 Ibid., 12/06/13: dichiarazione di Salvatore Cardinale. 43 Ibid., 16/06/13: dichiarazione di Davide Faraone. 44 Repubblica Palermo, 21/07/2014. 18 partito che, come illustreremo tra breve, essendo rimasta esclusa dalla rappresentanza all’interno della compagine governativa presieduta da Rosario Crocetta, non può apprezzare iniziative che ne rafforzano (relativamente alla stessa componente) l’autonomia. La nascita e lo sviluppo dei due gruppi satellite sembra segnalare in modo emblematico il raggiungimento di una declinazione molto avanzata del modello di franchise party decritto da Carty. Seguendo la metafora descrittiva, infatti, i due gruppi possono definirsi come sotto-marchi regionali che, nell’ambito di un processo di sotto-franchising si presentano come entità relativamente autonome e funzionali, a seconda delle circostanze, ad accrescere la competitività di frazioni all’interno del brand principale. Ciò detto, l’altro tratto problematico che si palesa con l’insediamento del presidente Crocetta e che parzialmente persiste dopo l’elezione del nuovo segretario regionale, Fausto Raciti (il 16 febbraio 2014), riguarda i rapporti tra il partito e il governo regionale sotto il profilo della rappresentanza all’interno dell’esecutivo e, dunque, nell’ambito della cruciale funzione di office seeking (Strom 1990). Anzitutto, sin dal suo insediamento il presidente Crocetta opta per una sorta di “incompatibilità di fatto” fra cariche assessorili e rappresentanza parlamentare, non nominando deputati nella sua giunta. E sin dal mese di maggio 2013 la segreteria regionale e il gruppo parlamentare cominciano a mettere in rilievo lo scarso coordinamento dell’azione di governo col partito, le cui istanze non sarebbero tenute nella dovuta considerazione45. Appena un mese più tardi il partito, questa volta in modo pressoché unitario, chiede esplicitamente un rimpasto di governo, ma a settembre giunge una prima sferzante risposta di Crocetta che esplicitamente attribuisce l’insistenza del Pd per un rimpasto al solo obiettivo di “ottenere posti in giunta da attribuire alle correnti”46. Cionondimeno, nel corso della successiva riunione della direzione regionale (12 settembre 2013) Giuseppe Lupo fa ampi riferimenti a un rimpasto che appare imminente e che dovrebbe prevedere l’ingresso in giunta di personalità “tra le massime espressioni del partito”47. Ma Crocetta, smentendo ancora, seccamente, la circostanza, innesca una contrapposizione frontale col partito che, riunita nuovamente la direzione regionale, decide di ritirare il sostegno al governo, di votare i provvedimenti valutandoli caso per caso e di chiedere agli assessori d’area presenti in giunta di rassegnare le proprie dimissioni (23/09/13). Ciò che era stato ritenuto inaccettabile tre anni prima nei confronti del governo Lombardo, viene dunque unitariamente approvato nei confronti di un presidente di centrosinistra. Il segretario chiede inoltre l’intervento della commissione regionale di garanzia in merito ai casi di doppia militanza nel Pd e nel Megafono, facendo esplicito riferimento al caso di Rosario Crocetta, tanto che all’inizio di ottobre lo stesso Crocetta annuncia la propria iscrizione al gruppo del Pd.

3.4. La svolta incompiuta: la segreteria Raciti Nei tre mesi successivi questo assetto si stabilizza nell’attesa dello svolgimento delle consultazioni per l’elezione del nuovo segretario regionale dopo l’elezione, l’8 dicembre 2013, del segretario nazionale Matteo Renzi. Dopo una prima fase in cui la componente renziana manifesta l’intenzione di presentare una propria candidatura48, quest’ultima decide di convergere sul candidato della componente cuperliana, Fausto Raciti, ex coordinatore nazionale dei giovani democratici e deputato eletto nel 2013 nella lista del Pd su indicazione dell’ex segretario Pierluigi

45 Livesicilia.com, 21/05/13. 46 Ibid., 9/09/13: dichiarazione di Rosario Crocetta. 47 Ibid., 12/09/13: dichiarazione di Giuseppe Lupo. 48 Il 5 settembre 2013 il leader dei in Sicilia, Davide Faraone dichiara: “se ci saranno le primarie ci sarà un nostro candidato. Altrimenti si tengano il bidone di partito che c'è” (Livesicilia.com). 19

Bersani. L’esito della consultazione dei circoli lo vede prevalere con il 66,7% delle preferenze, mentre Giuseppe Lupo, ricandidatosi con il sostegno della sola componente di Area-dem, ottiene il 22,5% e Antonella Monastra, candidata dall’area civatiana, si ferma al 5,6%. Le successive consultazioni fra gli elettori confermano questi risultati, ma l’affluenza si ridimensiona a circa 70mila votanti (meno della metà rispetto ai 150mila che hanno partecipato alle ultime consultazioni per l’elezione del segretario nazionale). Fausto Raciti ottiene il 61% dei voti, Giuseppe Lupo il 33%, mentre Antonella Monastra conferma il 5%. Il nuovo segretario manifesta subito l’esigenza di formare un nuovo governo regionale che sancisca “un nuovo patto fra Crocetta e il Pd, nonché, in generale, un nuovo equilibrio garantito dai partiti”49. E in effetti, all’inizio di aprile il presidente modifica la composizione della giunta, ma in una direzione che determina una nuova spaccatura fra la componente renziana e quella cuperliana di cui è espressione il nuovo segretario. Nella nuova giunta sono infatti nominati due assessori riconducibili all’area renziana ed uno all’Area-dem che ha sostenuto la candidatura di Giuseppe Lupo50, mentre la componente cuperliana rimane priva di rappresentanza. La reazione di Fausto Raciti è durissima, giudicando il nuovo assetto della giunta "un atto di rottura unilaterale nei confronti del segretario regionale e del partito siciliano. Un gesto improvvisato e irresponsabile che, spaccando i partiti della maggioranza, rischia di far sprofondare la Sicilia in un pantano politico il cui responsabile ha un nome e un cognome: Rosario Crocetta"51. E, a stretto giro, giunge anche la presa di posizione del referente siciliano dell’area renziana, Davide Faraone, che invita il nuovo segretario regionale a “smetterla di fare il capocorrente e a pensare al partito”, minacciando di chiedere la convocazione dell'assemblea regionale per stabilire una nuova linea politica da seguire52. Come avvenuto per un lungo tratto della presidenza Lombardo, dunque, il Pd siciliano si divide platealmente sul sostegno al governo regionale e la sua leadership democraticamente legittimata appare inadeguata a contenere le spinte centrifughe innescate dall’azione congiunta delle frazioni e del presidente della Regione. Cionondimeno, rispetto alla precedente legislatura regionale l’ultima fase di contrapposizione sembra mostrare un ulteriore avanzamento del processo di frammentazione nell’ambito della dinamica di sotto-franchising stratarchico, sia per l’emergere dei gruppi satellite, sia perché anche il gruppo parlamentare si presenta adesso fortemente diviso fra cuperliani, renziani e Area-dem53.

4. Conclusioni Anche in Italia i partiti non sembrano più essere quello che erano una volta e tuttavia alcune logiche territoriali sembrano riemergere costantemente, malgrado i cambiamenti di nome, di volti o di riferimenti programmatici. Se il cambiamento può essere collegato all’adeguamento progressivo dei partiti alle sfide socio-economiche e all’adozione di forme organizzative più leggere e flessibili con un’ampia diffusone di norme di legittimazione democratica della leadership e della rappresentanza parlamentare, i più salienti elementi di persistenza possono collocarsi nel più ampio riprodursi della frattura centro-periferia e di un endemico clientelismo politico (Piattoni 2005). Ritornando al quesito di ricerca dal quale questo studio ha preso le mosse, la nostra analisi converge verso il palesarsi di un effetto sui generis dell’adozione di metodi democratici per la selezione del leader regionale sugli assetti organizzativi interni, sia per quanto riguarda i rapporti

49 Dichiarazione di Fausto Raciti all’assemblea regionale del Pd (Livesicilia.com, 23/03/2014). 50 Si tratta di Giuseppe Bruno e Mariarita Sgarlata per i renziani, e di Roberto Agnello per l’Area-dem. 51 Livesicilia.com, 8/04/14: dichiarazione di Fausto Raciti. 52 Ibid., 14/04/14: dichiarazione di Davide Faraone. 53 All’inizio di aprile i cuperliani contano 9 deputati, 4 ciascuno l’Area-dem e i renziani. 20 verticali tra livello regionale e livello nazionale, sia per quanto riguarda il delinearsi di un rapporto a tre livelli, con un incremento dell’autonomia delle unità sub-regionali non accomunate da una logica territoriale ben definita, ma che sembrano rispecchiare prevalentemente lealtà personali a geometria variabile. Di fatto, il PD nazionale si prefigura come una struttura organizzativa di tipo stratarchico che concede statutariamente un’ampia autonomia alle unità locali e un potenziale di controllo assai remoto e pressoché residuale. Dal punto di vista teorico tale struttura rispecchia le dinamiche di una “politica di scala” che valorizza sempre più una rete di franchisees sub-nazionali e che consente al PD nazionale di competere a un costo certamente inferiore rispetto a quello di un partito gerarchico. Tuttavia, nel caso siciliano questa struttura è innestata su alcune specifiche caratteristiche locali. Infatti, oltre ai franchisees sub-nazionali (il livello regionale) emergono vari challenger sub-regionali in un rapporto di “quasi indipendenza” dal centro. Malgrado l’uso dello stesso marchio nazionale, i sub-affiliati regionali fanno spesso ricorso al loro proprio know-how e ad alleanze politiche e risorse finanziarie alternative per costruire progetti politici autonomi e mobilitare il consenso. Attraverso le lenti del Pd siciliano, il Pd italiano appare, allora, come un partito stratarchico a tre livelli, caratterizzato da una politica centrale distaccata dalla politica regionale, controllata a sua volta da una rete di sotto-franchisees che competono per costruire rapporti privilegiati nel territorio e per rafforzare la loro posizione in office a livello regionale. Sotto questo profilo, il Pd siciliano appare come un'entità composita che concede ampie opportunità di veto ai sotto-franchisees, in un contesto in cui l’autonomia regionale nella gestione delle risorse economiche e finanziarie agisce come catalizzatore di una vasta gamma di interessi locali, a totale discapito della coerenza con le linee guida nazionali in campo politico e programmatico. Alcuni elementi esterni sembrano accentuare questo rapporto stratarchico sbilanciato in favore delle unità sub-nazionali, di tipo quasi-federale, per riprendere la distinzione di Bolleyer (2012), nel quale il centro possiede poche e, per lo più simboliche risorse di controllo e le unità sub-nazionali e sub-regionali godono di un’ampia autonomia. Bisogna tuttavia mettere in evidenza una differenza fondamentale che riguarda l’origine di questo rapporto sbilanciato fra autonomia e controllo. Se nel modello descritto da Bolleyer abbiamo a che fare con unità sub-nazionali apertamente orientate a contenere l’accentramento e il relativo dominio gerarchico, nel nostro caso si ha piuttosto a che fare con un effetto adattativo particolare che non implica un incremento della voice (o del potenziale di veto) che le unità sub-regionali possono esercitare nei confronti del livello centrale. Ritornando alla pertinenza degli stimoli esterni nello spiegare questi effetti particolari, possiamo far riferimento alla genesi del partito (Panebianco 1988) e, in particolare, alla nascita del PD per associazione e non per scissione, coinvolgendo i due maggiori partiti del centro-sinistra – i DS e la Margherita - motivati dall’interesse strategico condiviso di competere con il centro-destra (De Luca & Venturino 2010, p. 7). Mutatis mutandis, dinamiche simili si ritrovano anche a livello siciliano. Il PD regionale appare infatti come il risultato dell’associazione di strutture regionali preesistenti, con storie, radicamenti territoriali, lealtà e ambizioni diversi, ma anche divergenti. Altre spiegazioni fanno riferimento ad alcune evoluzioni sistemiche. Infatti, negli ultimi decenni, si è assistito allo spostamento del nucleo di erogazione delle risorse finanziarie dal centro verso i livelli subnazionali (Di Mascio 2012). In parallelo, si rintraccia una riduzione delle risorse disponibili in un contesto di persistente crisi del debito pubblico con ricadute immediate in termini di ampiezza dell’intervento pubblico e delle politiche distributive. A livello meridionale ciò si somma alla sotto-rappresentanza delle élites siciliane nel governo nazionale (Minaldi 2012). In queste condizioni, il dialogo fra livello sub-nazionale (nella fattispecie, il Pd siciliano) e nazionale diventa più complesso e l’ampia autonomia concessa statutariamente potrebbe essere interpretata come una concessione dovuta in quanto oltre alle risorse simboliche garantite dall’utilizzo del marchio o dall’accesso al patrimonio di conoscenze pratiche, il valore “pragmatico/utilitaristico” 21 dell’affiliazione al PD nazionale diminuisce in parallelo con la riduzione dei flussi finanziari attribuiti dal centro e l’azzeramento dell’accesso privilegiato delle élite siciliane alle formule di governo del centro-sinistra. Per riprendere un linguaggio strettamente economico “le royalties” richieste dal centro al franchisee sono per lo più collegate alla funzione di mobilitazione elettorale in un contesto di ampia autonomia politica, programmatica, organizzativa e finanziaria. L’effetto diretto riguarda l’ampliamento dello spazio di manovra delle unità locali a logiche, interessi, reti e opportunità del territorio. Ciascuna sub-unità può allora usare (ed anche abusare) dell’autonomia garantita dal controllo del territorio, dall’accesso privilegiato a risorse e dalla capacità di mobilitare consenso, con ricadute non indifferenti sul “marchio” nazionale del partito. In queste condizioni, la dimensione gerarchica del PD si sgretola in quanto la capacità di sanzione a disposizione delle élite nazionali è circoscritta a violazioni dei principi programmatici. In sintesi, la struttura sub-nazionale siciliana si prefigura come un insieme altamente eterogeneo con regole flessibili e caratteristiche mutevoli. Attraverso il processo di sotto- franchising, emerge infatti l’esistenza di un accordo informale di collaborazione fra il marchio consolidato del PD (il franchisor centrale) e i leader locali (i sotto-franchisees), i quali controllano de facto lo spazio di manovra dell’unità regionale, sia per quanto riguarda la mobilitazione del consenso elettorale, sia per la definizione dei progetti politici e, in primis, delle alleanze nell’istituzione regionale. I tre segretari regionali , pur essendo legittimati da consultazioni aperte e ampia partecipazione, si ritrovano in un rapporto di costante debolezza; lo spazio di manovra della loro direzione è ostacolato dal veto dei leader delle varie sotto-franchises. Possiamo allora identificare un rapporto di indipendenza reciproca fra il centro e le reti personalizzate di sotto- franchising all’interno di uno scambio che trascende il livello regionale: è al livello del potere locale che si raccoglie il consenso elettorale per il centro in cambio della non interferenza di quest’ultimo nella gestione delle risorse (simboliche e materiali) che alimentano il sistema locale e delle alleanze politiche così costituite.

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