Dell'abate Luigi Lanzi Antiquario I. E. R. in Firenze

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Dell'abate Luigi Lanzi Antiquario I. E. R. in Firenze STORIA PITTORICA DELLA ITALIA DAL RISORGIMENTO DELLE BELLE ARTI FIN PRESSO AL FINE DEL XVIII SECOLO DELL’ABATE LUIGI LANZI ANTIQUARIO I. E. R. IN FIRENZE EDIZIONE TERZA CORRETTA ED ACCRESCIUTA DALL’AUTORE TOMO QUARTO OVE SI DESCRIVONO LE SCUOLE LOMBARDE DI MANTOVA, MODENA, PARMA, CREMONA E MILANO BASSANO PRESSO GIUSEPPE REMONDINI E FIGLI M. DCCC. IX [1] DELLA STORIA PITTORICA DELLA ITALIA SUPERIORE LIBRO SECONDO DELLE SCUOLE LOMBARDE Considerando io i princìpi e i progressi della pittura nella Lombardia, ho fermato meco medesimo che la sua storia pittorica dovesse distendersi con un metodo affatto diverso da tutte le altre. La scuola di Firenze, quelle di Roma, di Venezia e di Bologna, possono riguardarsi quasi come altrettanti drammi, ove si cangiano ed atti e scene, che tali sono l'epoche di ogni scuola; si cangiano anche attori, che tali sono i maestri di ogni nuovo periodo; ma la unità del luogo, ch'è una medesima città capitale, si conserva sempre; e i principali attori e quasi protagonisti sempre rimangono se non in azione, almeno in esempio. Ha, è vero, ogni capitale il suo Stato, e in esso deon ricordarsi le varie città e le vicende di ognuna; ma queste sono d'ordinario così connesse con quelle della metropoli che facilmente si riducono alla stessa categoria, o perché gli statisti hanno appresa l'arte nella [2] città primaria, o perché in essa l'hanno insegnata, come nella storia della veneta scuola si è potuto vedere, e i pochi ch'escon fuor d'ordine non alterano gran fatto la unità della scuola e la successione de' racconti. Diversamente interviene nella storia della Lombardia, che ne' miglior tempi della pittura divisa in molti domìni più che ora non è, in ogni Stato ebbe scuola diversa da tutte le altre, e contò epoche pur diverse; e se una scuola influì nello stile dell'altra, ciò non intervenne o sì universalmente, o in tempo così vicino che un'epoca istessa possa convenire a molte di loro. Quindi infino dal titolo di questo libro ho io rinunziato al comun modo di favellare, che nomina scuola lombarda, quasi ella fosse una sola; e potesse rassomigliarsi, per figura, alla veneta, che in ogni luogo tenne per sovrani maestri prima i Bellini, quindi Tiziano e i miglior contemporanei, di poi il Palma; e formò in oltre certi caratteri di disegno, di colorito, di composizione, di maneggio di pennello, che facilmente la distinguono da ogni altra scuola. Ma in quella che dicon lombarda la cosa è altramente. Troppo son diversi per ridurgli ad un gusto e ad un'epoca istessa que' fondatori: Leonardo, Giulio, i Campi, il Coreggio. So ch'essendo il Coreggio lombardo di nascita, e inventore di un nuovo stile che a moltissimi di questa parte d'Italia servì di esempio, si è dato nome di scuola lombarda a' seguaci delle sue massime; e per suoi caratteri si son fissati i contorni pieni, i volti alquanto ridenti, l'impasto de' colori lucido e forte, la frequenza degli scorti, lo studio specialmente del chiaroscuro. Ma limitata così la scuola, [3] ove riporremo noi i Mantovani, i Milanesi, i Cremonesi, i tanti altri che, nati pure in Lombardia e quivi fioriti, e oltre a ciò educatori di molta posterità, meritan pur luogo fra' Lombardi? Per queste considerazioni ho creduto meglio di trattar separatamente di ogni scuola, fermandomi dove più e dove men tempo, secondo che il numero de' professori e delle notizie loro consiglieranno. E di alcune di queste scuole sono state separatamente compilate già le notizie, avendo de' pittor cremonesi scritto lo Zaist e de' modenesi il cavalier Tiraboschi; benemerito perciò de' pittori come fu per più vasta opera benemeritissimo de' letterati, raro uomo, e della cui perdita portiamo ancora funesto l'animo. Nelle altre scuole il Vasari, il Lomazzo, le Guide delle città, alcuni autori da citarsi a convenevol tempo, le osservazioni che ho fatte e i ragguagli presi in ogni luogo mi forniranno i materiali; onde la storia pittorica di Lombardia, che fra quelle d'Italia è la meno cognita, acquisti per mio mezzo qualche maggiore schiarimento. [4] CAPITOLO I SCUOLA MANTOVANA EPOCA PRIMA IL MANTEGNA E I SUOI SUCCESSORI Ordisco da Mantova, da cui ebbon origine le due scuole quasi gemelle, la modenese e la parmigiana. Chi volesse risalire al monumento più antico che l'arte del colorire abbia in quello Stato, potria rammentare il celebre Evangeliario che si conserva a San Benedetto di Mantova; dono della contessa Matilde a quel monistero, ch'ella fondò e che lungamente n'ebbe le ossa, trasferite nel passato secolo al Vaticano. Sono in quel libro, che dal dotto e gentile padre abate Mari mi fu mostrato, certe picciole istorie della vita e morte di Nostra Donna, che non ostante la barbarie de' tempi mostrano tuttavia qualche gusto, né credo aver veduta di quella età altra opera che l'eguagli. Al qual proposito non è inutile l'osservare che in secoli meno barbari e a noi più vicini l'arte del miniare ebbe in Mantova assaissimi coltivatori, tra' quali un Giovanni de Russi che, circa il 1455, miniò per Borso duca di Modena la Bibbia Estense in gran foglio, ch'è uno de' più rari pezzi di quella insigne raccolta. Ma in genere di pittura non mi è noto artefice che ivi fiorisse innanzi al Mantegna; e solo si può far [5] menzione di qualche opera anonima de' secoli XIV e XV vivuta fino a' dì nostri. Del primo di questi secoli vidi nel chiostro di San Francesco un sepolcro eretto nel 1303, e sopra esso una Madonna fra vari Angioli; figure rozze e sproporzionate, colorite però con sì forti e vivaci tinte che mi parve una maraviglia: né dubito di fondare in tal monumento una prova della pittura risorta in Lombardia per ingegno de' nazionali, dacché e la sua età è anteriore all'epoca de' giotteschi sparsi per l'Italia, e il suo stile è diverso. Del secolo XV vidi altra Madonna sopra un altare similmente di San Francesco: chiunque ne fosse l'autore, mostra che l'arte era a que' dì uscita già dalla infanzia, non però era giunta a quel grado a cui la condusse il celebre Andrea Mantegna; del quale altre due volte ci è caduto in acconcio di scrivere nel corso dell'opera, ed ora de' farsi di bel nuovo. Comunque la gloria di aver prodotto al mondo il Mantegna non possa più contrastarsi a Padova, come si è fatto in altri tempi, la sua scuola fu in Mantova, dove, sotto gli auspici del marchese Lodovico Gonzaga, si stabilì con la sua famiglia, non lasciando però di operare altrove, e segnatamente in Roma. Esiste, ancorché guasta dal tempo, la cappella che per Innocenzio VIII dipinse nel Vaticano; e si conosce che la imitazione dell'antico, sempre da lui tenuta, in quella città per la moltiplicità degli esemplari divenne migliore. Egli non cangiò mai la maniera che già descrissi quando lo considerai in Padova scolare dello Squarcione; andò sempre perfezionandola. Restano a Mantova alcune opere degli ultimi suoi [6] anni, e trionfa sopra tutti il quadro in tela della Vittoria. Nostra Signora nel mezzo di vari Santi, fra' quali San Michele Arcangelo e San Maurizio che le tengono il manto, accoglie sotto di esso Francesco Gonzaga ivi genuflesso, e distende sopra lui la mano in segno di protezione: alquanto indietro compariscono due protettori della città, Sant'Andrea e San Longino, e innanzi al trono San Giovanni fanciullo e Sant'Anna, come han creduto il Vasari e il Ridolfi, poco esatti nella descrizione di questa pittura; perciocché il rosario che ha in mano la fa ravvisare per la principessa moglie del marchese di Mantova, genuflessa ivi col marito. Mantova non ne ha forse altra che sia visitata ugualmente e ammirata da' forestieri. Fatta nel 1495, porta egregiamente i tre secoli che ha già compiuti. È una maraviglia a vedere carnagioni sì delicate, armature sì lucide, vesti sì ben cangianti, frutte aggiunte per ornamento freschissime e rugiadose. Ogni testa può servire di scuola per la vivacità e pel carattere, e alcune anco per la imitazione dell'antico; il disegno tutto sì nel nudo, sì nel vestito ha una pastosità che smentisce l'opinione più comune, che stil mantegnesco e stil secco siano una stessa cosa. Vi è poi un impasto di colore, una finezza di pennello e una grazia sua propria, che a me pare quasi l'ultimo passo dell'arte prima di giugnere alla perfezione che acquistò da Lionardo. La tela lavorata a opera fa ricordare di quello squisito gusto a cui lo abituò lo Squarcione, facendogli venir quadri in tela da vari luoghi; e tutto il resto della pittura lo scuopre un pittore che non risparmia né colore, né tempo [7] per far cosa che contenti prima il suo cuore, poi l'occhio altrui. Tuttavia il suo capo d'opera, secondo il giudizio del Vasari, fu il Trionfo di Cesare in vari quadri, che, predati dai Tedeschi nel sacco della città, sono iti a finire in Inghilterra. Erano in una gran sala del palazzo di San Sebastiano che «fu perfezionata - dice l'Equicola scrittore delle cose patrie - da Lorenzo Costa pittore eccellentissimo, aggiungendovi quella pompa che solea seguire il trionfante e gli spettatori che vi mancavano». Perite queste pitture di Andrea, restano altre considerabili sue reliquie in un salone del castello che il Ridolfi chiama la camera degli sposi. Vi si trovano copiose composizioni eseguite a fresco; ed in esse alcuni ritratti della famiglia Gonzaga tuttavia in buon essere, e alcuni Geni sopra una porta così gai, agili, festosi, che nulla più. Nelle quadrerie è più raro che non si crede; e i veri suoi quadri non si conoscono solamente dalla sveltezza, o dalle pieghe rettilinee, o dal paese gialliccio e sparso di certi sassolini minuti e tagliati, ma dalla perizia del disegno e dalla finezza del pennello.
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