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RICERCHE Donato D’URSO

Francesco Crispo Moncada, capo della polizia RICERCHE

Francesco Crispo Moncada fu capo della polizia dal giugno 1924 al settembre 1926 (il Direttore generale della P.S. era diventato Intendente generale di polizia col r.d. 11 novembre 1923, n. 2395 e poi Capo della polizia col r.d. 20 dicembre 1923, n. 2908). Dopo il delitto Matteotti, Mussolini - con abile mossa - lasciò al nazionalista la guida del Ministero dell'Interno e sacrificò alcuni stretti collaboratori: vennero “dimissionati” Aldo Finzi sottosegreta- rio all'Interno, 1 il generale capo della polizia, 2 Cesare Rossi capo ufficio stampa, 3 Cesare Bertini questore di Roma. Per rimpiaz- zare De Bono - militare ma anche "Quadrumviro della Rivoluzione" - si pensò ad un personaggio non politico e cioè ad un alto funzionario della carriera prefettizia, "un tecnico di polizia e di reggimento interno", che desse il senso della normalizzazione. Crispo Moncada era nato a Palermo nel 1867 da Pietro Crispo alto magistrato e da Elena Moncada appartenente ad una famiglia di alto lignaggio. Entrato nel 1891 nell'amministrazione dell'Interno, percorse una brillante carriera a Palermo, Roma, Ferrara, Messina, Ancona.

1 Aldo Finzi, nato nel 1891 e laureato in giurisprudenza, fu valoroso combattente nella Grande Guer- ra e partecipò con D'Annunzio al celebre volo su Vienna. Eletto deputato nel 1921, fu fra i protagonisti alla Camera dell'aggressione all'onorevole comunista Misiano che era stato disertore. Nell'agosto 1922, insieme con Cesare Rossi, guidò l'occupazione di palazzo Marino a Milano defenestrando gli amministra- tori socialisti. Di famiglia ebrea, si convertì al cattolicesimo per potere sposare la nipote del cardinale Van- nutelli. Dopo la marcia su Roma, Finzi scelse una posizione moderata, invisa ai fascisti più intransigenti. Come sottosegretario usò largamente fondi segreti per sovvenzionare la stampa "amica". Dopo il delitto Matteotti, sebbene si dicesse fiero di essersi sacrificato per fedeltà a Mussolini, scrisse un memoriale che lasciava intendere scabrose verità. Emarginato, anche per accuse di affarismo, visse a lungo nell'ombra e finí per essere espulso dal Partito a causa delle sue critiche alle leggi razziali. Arrestato dai tedeschi dopo l'8 settembre, fu ucciso il 24 marzo 1944 nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine. 2 Emilio De Bono, il più anziano dei quadrumviri della marcia su Roma, era nato a Cassano d'Adda nel 1866. Militare di carriera, aveva partecipato alle campagne d'Africa di fine Ottocento ed alla prima guerra mondiale. Scrisse le parole della canzone "Montegrappa tu sei la mia patria". Dopo il delitto Mat- teotti subì un procedimento d'accusa innanzi al Senato costituito in Alta Corte ma ne uscí indenne. Suc- cessivamente, ricoprì le cariche di governatore della e ministro delle Colonie. Il 25 luglio 1943 votò a favore dell'o.d.g. Grandi e per questo fu processato a , condannato a morte e fucilato nel gen- naio 1944. 3 Cesare Rossi, nato a Pescia nel 1887, redattore del "Popolo d'Italia", fu all'inizio uno degli esponen- ti più autorevoli dell'entourage di Mussolini alla Presidenza del Consiglio. Nel giugno 1924, ritenendo di essere stato ingiustamente "scaricato", scrisse un memoriale in cui accusò Mussolini di avere ispirato tutte le più gravi azioni squadristiche contro gli avversari politici. Lasciò l'Italia nel timore di rappresaglie, rifu- giandosi in Francia. Attirato con un tranello a Campione d'Italia, fu arrestato e condannato a 30 anni di carcere dal Tribunale speciale. Nel dopoguerra scrisse interessanti libri di memorie. È morto a Roma nel 1967.

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Durante la prima guerra mondiale lavorò presso il Comando Supremo. Nel 1919 venne assegnato al Commissariato generale civile per la Venezia Giulia, con sede a Trieste, collaborando con Augusto Ciuffelli e Antonio Mosconi. Nell'aprile 1920, allorché ministro dell'Interno era Nitti, Crispo Moncada fu promosso prefetto ma, tranne una brevissima parentesi a Tre- viso nell'estate 1921, rimase a Trieste sino al giugno 1924 in quanto, dopo la soppressione del Commissariato generale civile, fu nominato prima pre- fetto per la Venezia Giulia e poi della provincia di Trieste. Erano anni non facili per le emergenze di ordine pubblico. Le ten- sioni etniche tra italiani e slavi in Venezia Giulia erano rese drammatiche dalle azioni di nazionalisti e fascisti. Il 13 luglio 1920 essi diedero assalto al "Narodni dom", sede triestina delle organizzazioni slave. Lo scontro si svol- se a colpi di fucile e bombe a mano e provocò due morti e numerosi feriti. L'edificio fu dato alle fiamme con gravissimi danni materiali. Sempre a Trieste, nel febbraio 1921, dopo l'uccisione di un carabi- niere, squadre fasciste attaccarono la sede del giornale Il Lavoratore e si lottò persino sui tetti, con un bilancio di numerosi feriti e la devastazione dell'e- dificio. I fatti di violenza politica si moltiplicarono: il dirigente cattolico Zustovich fu ucciso da una bomba, un sacerdote aggredito mentre predi- cava in sloveno. Nei giorni della marcia su Roma, anche a Trieste fu occupato il Palazzo del governo, senza che fosse opposta valida resistenza da parte delle forze dell'ordine, né peraltro fecero di più i militari quando le autorità civi- li trasmisero ad esse tutti i poteri. I capi fascisti Giunta e Giuriati avevano partecipato ad un banchetto in onore di Mosconi che stava per lasciare l'in- carico di Commissario generale civile e, con faccia tosta, brindarono alla salute del governo Facta! Allorché Giunta, alla testa dei suoi, si presentò in prefettura, pare che Crispo Moncada "con le lacrime agli occhi" si limitas- se ad esortarlo a pensare soprattutto all'Italia. Il comandante militare gene- rale Sanna minacciò: "Ora vi faccio fucilare tutti" e Giunta rispose: "Faccia pure, Eccellenza, ma non le basterà un plotone di esecuzione". E l'esercito

1213 RICERCHE rimase a guardare. 4 Una pubblicazione degli anni Trenta scrisse che Crispo Moncada a Trieste “aveva esplicato i mandati a lui affidati con prontezza e fede patriot- tica, agevolando il sorgere e l'affermarsi delle prime idee fasciste. Un impulso notevole diede a tutte le più sane istituzioni locali ed aiutò a pro- muovere importanti opere pubbliche”. La nomina a Capo della polizia nel giugno 1924 pare sorprendesse lo stesso prescelto. Di lui si parlò come di "un gentiluomo di vecchio stam- po, dal tratto assai signorile" e di "funzionario all'antica", fedele monar- chico e vicino alle posizioni del nuovo ministro Federzoni. L'obiettivo di entrambi era di emarginare l'estremismo squadrista, limitare l'influenza dei "ras" locali, accrescere l'autorità dei prefetti in periferia. Federzoni ha scrit- to in un libro di memorie: “I prefetti che erano stati difesi molte volte da me contro le sconsigliate ingerenze del Partito diedero prova quasi tutti di esemplare fedeltà e scrupoloso senso del dovere. Funzionari ed agenti erano pubblicamente lodati come "fascisti" o vituperati come "antifascisti" a seconda del loro atteggiamento ligio piuttosto al Partito che al Ministero o viceversa”. Mussolini, per evidenti ragioni tattiche, sostenne in quel momento le posizioni di Federzoni e il prefetto finì per essere consacrato come "la più alta autorità dello Stato nella provincia". Anche il Capo della Polizia ribadì in più occasioni che lo Stato non poteva delegare ad altri le sue prerogative in materia di ordine pubblico ed invitò i prefetti ad intervenire efficacemente in tal senso presso i dirigenti locali dei fasci. Ma non furono evitati fatti sanguinosi. Il 5 settembre 1924 Piero Gobetti fu vittima di una bastonatura in una strada di Torino. 5 Una settimana dopo, fu assassinato a Roma un deputato fascista moderato, Armando Casalini. Don Luigi Sturzo ebbe l'a- bitazione devastata e l'ultimo giorno dell'anno, a Firenze, gli squadristi

4 Quando nel 1926 fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il generale Carlo Sanna ne fu il primo Presidente. 5 Dopo quel fatto Gobetti accusò disturbi cardiaci che lo portarono alla morte a Parigi nel febbraio 1926. Da poche settimane aveva lasciato l'Italia.

1214 Donato D’URSO assalirono la sede di un giornale, due logge massoniche e studi di profes- sionisti. Nel luglio 1925 toccò a subire una violenta aggressione. 6 Il mese successivo , sfuggendo alla sorve- glianza della polizia, riuscì a espatriare in Francia. 7 A Firenze, in ottobre, dopo l'uccisione del fascista Luporini, bande armate scorrazzarono per la città e assalirono abitazioni di antifascisti, uccidendo a freddo l’ex-deputa- to socialista Pilati e l'avvocato Consolo. 8 In dicembre, il funerale della compagna di Turati, Anna Kuliscioff, fu disturbato da provocatori. 9 Anche Sandro Pertini fu minacciato e più volte aggredito; dopo la bastonatura del 1° maggio 1926 gli venne mosso il rimprovero di essere uscito con la cravatta rossa e quando un commissario di polizia denunziò il responsabile di un'ulteriore aggressione, arrivò per il funzionario il trasferi- mento in Sardegna. Durante la gestione di Crispo Moncada mutò l'orientamento del- l'inizio degli anni Venti di ridurre gli organici e semplificare i servizi di polizia. Il 31 dicembre 1922, al tempo di De Bono, con un drastico e repentino provvedimento era stata abolita la Regia guardia per la pubblica

6 Amendola, che già nel dicembre 1923 era stato aggredito a Roma, il 20 luglio 1925 si trovava a Mon- tecatini per una cura termale. Lì fu assediato in albergo e minacciato di morte. Quando fu chiesto un rinfor- zo di agenti, la questura di Lucca fece sapere che li avrebbe potuti inviare solo il giorno dopo. Il fascista Carlo Scorza - che nel 1943 fu l'ultimo segretario del P.N.F. - convinse il deputato a partire in auto per Pistoia con al seguito un camion di carabinieri (dirà poi Amendola al figlio Giorgio che "la vergogna era durata abba- stanza e nell'albergo vi erano molte signore e stranieri ed egli non poteva accettare di essere motivo invo- lontario di tanto fastidio"). Fuori Montecatini l'automobile, guidata da un fedele di Scorza che aveva fatto salire sul mezzo due compari come "scorta", distaccò facilmente il lento mezzo militare e imboccò una stra- da secondaria, che era ostruita in un punto determinato. Sbucarono dal buio uomini armati che picchiaro- no selvaggiamente il deputato. Amendola, ferito gravemente, morì l'anno dopo in Francia. 7 Salvemini ricorda che, prima che decidesse di tentare l'espatrio, aveva quasi amichevolmente "con- vissuto" con gli agenti che lo sorvegliavano: “A Roma feci lo stesso contratto con i due nuovi angeli custo- di: io mi impegnavo a non squagliarmi, e loro si godessero la vita. Quando partii da Roma per Santa Mar- gherita Ligure due nuovi angeli custodi mi presero in consegna. Anche con questi feci amicizia, ai soliti patti”. 8 Era stata compilata una lista di dieci persone da sopprimere, ma il caso volle che otto di esse fossero irreperibili. Mentre Firenze era piena di turisti, fra cui un ministro inglese ed il sindaco di Parigi, gli squa- dristi percorsero le vie del centro facendo chiudere i locali pubblici e picchiando anche cittadini stranieri. Lo scandalo fu enorme. Prefetto e questore furono sostituiti ed un'inchiesta affidata a li accusò di essere rimasti passivi per timore degli esponenti fascisti locali. Una cinquantina di squadristi, parecchi con precedenti penali, furono espulsi dal partito. 9 Il 1925 fu anche, però, un Anno Santo, che si svolse senza inconvenienti sotto l'aspetto dell'ordine pubblico. I pellegrini arrivati a Roma furono circa 600.000.

1215 RICERCHE sicurezza, voluta da Nitti nel 1919 e forte ormai di 40.000 uomini. Venne sciolto anche il Corpo degli agenti d'investigazione che contava 6.000 effet- tivi. L'Arma dei Carabinieri rimase così, temporaneamente, l'unica forza di polizia italiana, con un organico di 75.000 uomini. Conati di ribellione di guardie regie avvennero a Torino, Napoli, Genova e altrove. Passarono più di due anni ed il governo avvertí l'esigenza di avere a disposizione uno strumento di polizia più malleabile dei Carabinieri (dei quali disturbava sia la dipendenza dal ministero della Guerra sia la incon- dizionata fedeltà alla Corona) e nacque così, col r.d. 2 aprile 1925, il Corpo degli agenti di pubblica sicurezza, alle strette dipendenze del Ministero del- l'Interno, proprio come la disciolta Regia guardia. Vi confluirono i servizi di investigazione e di indagine tecnica già facenti parte dell'Arma dei Cara- binieri. Si consentì, per straordinarie esigenze di servizio, che fossero con- ferite le funzioni di Questore a persone estranee all'amministrazione di pubblica sicurezza e affidati a chiunque incarichi speciali per indagini riser- vate, secondo valutazioni discrezionali del Direttore generale della P.S., che fissava anche il compenso. Nel luglio 1924 furono emanate nuove disposizioni sulla stampa che attribuivano ai prefetti ampia facoltà di sequestro dei giornali e dopo il noto discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925 la polizia operò un giro di vite nei confronti delle opposizioni, soprattutto di sinistra: furono chiusi circoli, sciolte organizzazioni, sequestrati giornali. Dal 3 al 16 gennaio L'Unità fu sequestrata undici volte. Il 26 febbraio 1925 fu arrestato anche Palmiro Togliatti, accusato di organizzazione sovversiva "per far sorgere in armi gli abitanti del regno contro i poteri dello Stato”. 10 Una legge molto restrittiva disciplinò la vita delle associazioni, un'altra previde la dispensa dal servizio per gli impiegati dello Stato che si ponessero "in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politi-

10 Rimase a Regina Coeli sino al 29 luglio 1925 e fece da scrivano per i detenuti comuni. Uscì grazie ad un'amnistia per i venticinque anni di regno di Vittorio Emanuele III ma prima dovette sottoporsi all'ope- razione dello "specchietto": essere mostrato agli agenti della polizia politica affinché potessero fissare bene in mente i suoi connotati.

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che del governo". Fu stabilita per i fuorusciti la perdita della cittadinanza e persino la confisca dei beni. Con circolare del 4 agosto 1925 venne chiesto ai prefetti, per un migliore controllo della vita sociale, di organizzare un servizio di informa- tori fiduciari, accuratamente selezionati, per seguire “gli atteggiamenti e i propositi dei partiti sovversivi”. Nello stesso tempo si pensò al potenziamento del Servizio speciale riservato per il controllo delle comunicazioni telefoniche. Al Viminale le apparecchiature di intercettazione furono provvisoriamente sistemate in locali al primo piano, fuori dalla vista di estranei. Diresse in quegli anni il servizio il Vice questore Michele Di Guglielmo, poi il pari grado Salvatore Introna.11 Erano controllati ex Presidenti del Consiglio, alti prelati vatica- ni, generali ed ammiragli, giornalisti, avvocati, letterati. Erano ascoltate e stenografate anche le telefonate di Mussolini. Mussolini riconobbe che la provata fede fascista non bastava a crea- re "un occhio magico che tenga sotto controllo tutti gli italiani". La sorve- glianza della polizia era rapportata all'importanza del soggetto e, come pre- cisò Crispo Moncada in una circolare, si poteva andare dalla semplice segnalazione di spostamenti e rapporti di lavoro, alla stretta sorveglianza di ogni attività anche dei familiari, fino ad arrivare al piantonamento fisso. Antonio Gramsci, quando fu processato dal Tribunale speciale, dichiarò: “Non ho svolto attività clandestina di sorta perché, ove avessi voluto, que- sto mi sarebbe stato impossibile. Già da anni ho sempre avuto vicino sei agenti, con il compito dichiarato di accompagnarmi fuori o di sostare in casa mia”. Crispo Moncada preferiva servirsi di persone che, durante la Gran- de Guerra, avevano fatto parte dei numerosi servizi di polizia militare e controspionaggio. Ai migliori spettava poi di sorvegliare anche i dirigenti fascisti meno affidabili. Il Capo della polizia avviò la riorganizzazione della

11 Salvatore Introna, nato a Bari nel 1878, dopo l'ampliamento del servizio di intercettazioni voluto da Bocchini fu promosso questore e poi prefetto. Nel 1933 fu destinato alla prefettura di Gorizia e due anni dopo a quella di Pesaro e Urbino.

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Direzione generale della Pubblica Sicurezza ed ebbe come vice Elfrido Ramaccini, "un pepatissimo toscano dallo spirito mordace", che ottenne successivamente la nomina a prefetto. Già negli anni della guerra aveva operato un servizio speciale di investigazione, affidato a Giovanni Gasti.12 Crispo Moncada in qualche modo lo riesumò servendosi dell'Ispettore generale Battioni, tecnico di vasta esperienza.13 In quegli anni, la Divisione affari generali e riservati del Ministero dell'Interno, affidata prima a Filippo Ravenna e poi a Giuseppe Marzano, era organizzata in tre sezioni: I Ufficio riservato speciale per il movimen- to sovversivo, la stampa sovversiva, le associazioni sovversive – II Ordine pubblico, stampa non sovversiva, associazioni in genere, viaggi dei sovra- ni ed alti personaggi, revisione cinematografica - III Stranieri, cittadinan- za, affari vari. Il Casellario politico centrale intensificò la sua attività: nel 1925 furono aperti 2.600 nuovi fascicoli, l'anno dopo 3.600. Non veni- vano controllati soltanto i politici, ma anche gli stranieri, gli allogeni, i parroci. Si cominciò ad operare anche all'estero, appoggiandosi alle amba- sciate e ai consolati. Il commissario Signori agiva a Berna, Sabbatini a Parigi, Spetia a Nizza, Caradossi a Marsiglia. Un funzionario, Francesco Lapolla, inviato a Parigi sotto falsa identità per infiltrarsi negli ambienti dei fuorusciti, fu scoperto dalla polizia francese e riuscì a cavarsela solo grazie ad un intervento diretto di Crispo Moncada sul capo della polizia parigina. C'era poi la Divisione personale di pubblica sicurezza diretta da Ric- cardo Motta e poi da Simone Cacciola. La Divisione polizia operava con tre sezioni: I Polizia giudiziaria - Il Polizia di frontiera ferroviaria e falsi valori - III Polizia amministrativa e sociale. Fu costituito anche un Ufficio centrale per la repressione della trat-

12 Su Gasti v. D. D'URSO, I direttori generali della Pubblica Sicurezza, Alessandria 1994. 13 organizzò in seguito gli "Ispettorati speciali", divenuti OVRA con scoop giornalisti- co dovuto a Mussolini stesso.0

1218 Donato D’URSO ta delle donne e dei fanciulli. Diressero in quegli anni la divisione Celso Tassoni e Luigi Miranda. La Divisione gestione contratti e forniture era diretta da Mario Rizzo.14 Come ben si comprende, la Divisione affari generali e riservati era di gran lunga la più importante e lo divenne sempre di più. Le spese per la sicurezza pubblica che sino al 1926 si erano mantenute stabili, nei succes- sivi quattro anni passarono da 134 milioni a più di un miliardo di lire del tempo. Più che rapine ed omicidi, alla Direzione generale della P.S. desta- vano allarme e preoccupazione le offese al , le emigrazioni clandestine o una qualsiasi attività antifascista. In questi casi, arrivavano gratifiche e promozioni per i funzionari diligenti ovvero punizioni e trasferimenti per gli indolenti. Ma la polizia evitò sempre la fascistizzazione, come dimo- strarono poi gli avvenimenti del luglio 1943. Nonostante le attente misure adottate per la sicurezza di Mussolini, tre tentativi di ucciderlo furono attuati in meno di un anno.15 Il 4 novembre 1925 fu arrestato l'ex-deputato socialista Tito Zani- boni, tradito da un infiltrato prima che potesse mettere in atto il piano di sparare con un fucile a Mussolini, da una finestra dell'albergo Dragoni pro- spiciente palazzo Chigi, allora sede del Ministero degli Esteri. Mussolini doveva quel giorno assistere alla sfilata degli ex-combattenti, nell'anniver- sario della Vittoria. Zaniboni arrivò in albergo sotto falso nome, nella sua divisa di ufficiale degli alpini pluridecorato. Quando la polizia intervenne trovò in un armadio un fucile munito di cannocchiale. Partecipe del piano temerario, soprattutto sotto l'aspetto del finanziamento, era stato il gene- rale Luigi Capello, uno dei migliori comandanti nella Grande Guerra ed

14 Quando Bocchini, successore di Crispo Moncada, rivide l'organizzazione dei servizi di polizia nel gen- naio 1927, volle costituire la Segreteria del Capo della polizia (curava in particolare la corrispondenza par- ticolare, l'apertura e lo smistamento del corriere) e la Divisione polizia politica (si occupava di polizia segre- ta, servizio fiduciario, investigazione politica, spese di pubblica sicurezza e confidenziali). 15 Col tempo, fu sempre più rafforzato il servizio protettivo. Ha scritto Paolo Monelli: “Anche quando Mussolini credeva di trovarsi in mezzo al popolo o fra contadini o sportivi, una buona parte di quei frene- tici ammiratori erano poliziotti travestiti, secondo il bisogno, da minatori o da mietitori o da villani, e magari da ammalati negli ospedali”. Quegli agenti formavano la squadra "presidenziale".

1219 RICERCHE esponente della Massoneria di Palazzo Giustiniani. Il Ministero dell'Inter- no ordinò severissime misure nei confronti delle logge 16 e durante le per- quisizioni fu rinvenuto dalla polizia il registro generale di tutti gli affiliati. Il questore Adolfo Perilli si affrettò a recarlo a Crispo Moncada, il quale ritenne suo dovere consegnarlo al ministro Federzoni. Da allora del registro non si seppe più nulla e ci fu chi sostenne che qualcuno se ne servisse a scopi ricattatori. Il 7 aprile 1926 Violet Gibson, una matura signorina appartenente ad una aristocratica e ricca famiglia irlandese, sorella di lord Ashbourne e figlia di un cancelliere, ferì al naso con una pistolettata il Capo del gover- no che usciva dal Campidoglio.17 Fu senz'altro il più grave e il più impre- vedibile degli attentati. La donna aveva dato da giovane segni di squilibrio mentale dopo la morte del promesso sposo. Nei giorni dell'attentato a Mussolini alloggiava a Roma presso una comunità di suore e aveva inutil- mente chiesto in Vaticano un'udienza privata col Papa. Pare che quel 7 aprile fosse uscita armata con l'intenzione di attentare alla vita del Pontefi- ce e solo per curiosità si fosse avvicinata al Campidoglio. Sparò due colpi da distanza ravvicinata contro Mussolini che, avendo appena lasciato i par- tecipanti ad un congresso internazionale di chirurgia, ebbe la fortuna di essere assistito al meglio. Gli agenti, guidati dal questore Benedetto Bodi- ni responsabile della sicurezza personale di Mussolini, sottrassero a fatica l'attentatrice alla violenza della folla. Violet Gibson, dichiarata non sana di mente, fu rimandata al paese di origine e l'opinione pubblica inglese ne rimase molto soddisfatta.18 Ancora a Roma, l'11 settembre 1926 l'anarchico carrarese venti- seienne Gino Lucetti, già noto alla polizia ed emigrato in Francia per moti-

16 Il processo, svoltosi nel 1927, si concluse con la condanna a 30 anni di carcere dei due imputati prin- cipali. Tito Zaniboni rimase in carcere e al confino sino al 1943. L'anno dopo fu nominato Alto Com- missario per l'epurazione. Finita la guerra tornò alla vita politica, tra i socialdemocratici. È morto nel 1960. Il generale Capello, dopo essere stato scarcerato per motivi di salute, morì nel 1941. 17 Una legge del dicembre 1925 aveva sostituito il titolo di "Presidente del Consiglio" con quello di "Capo del Governo" attribuendo all'interessato una serie di importanti prerogative. 18 Il fratello dell'attentatrice s'era affrettato a spedire questo telegramma a Mussolini: “La famiglia di Violet Gibson è addolorata dell'incidente ed esprime i sensi della propria simpatia”.

1220 Donato D’URSO vi politici, lanciò una bomba a frammentazione contro l'automobile di Mussolini che transitava a Porta Pia. L'ordigno rimbalzò sulla carrozzeria ed esplose a distanza ferendo otto passanti. Lucetti per più giorni s'era appostato lungo il percorso che la Lancia presidenziale compiva da villa Torlonia a palazzo Chigi, dove Mussolini aveva il suo ufficio. L'attentatore lanciò anche una seconda bomba, che non esplose, contro chi lo inseguiva ma non usò la pistola che aveva con sé. La polizia, che cercò invano le prove di un complotto, arrestò la madre, il fratello e la sorella di Lucetti, vecchi amici carraresi e anche chi aveva alloggiato con lui in albergo. 19 Dopo questa serie di attentati la posizione di Federzoni e di Crispo Moncada divenne insostenibile. Mussolini si riprese il ministero dell'Inter- no e come nuovo Capo della polizia arrivò il prefetto di Genova Arturo Bocchini, uomo pratico ed astuto, "tecnico" per eccellenza, apprezzato anche da Augusto Turati, all'epoca segretario del P.N.F., per l'opera presta- ta alla prefettura di Brescia. 20 Crispo Moncada, che nel 1925 aveva ricevuto la nomina a Consi- gliere di Stato, uscì bruscamente di scena. Ottenne nel 1928 il laticlavio ma negli anni successivi, secondo rapporti riservati di polizia (anche lui non era esente da controlli), manifestò un atteggiamento critico verso la guerra d'Etiopia e l'operato delle autorità in Venezia Giulia. In Senato non fu assi- duo e si estraniò sempre di più dalla vita pubblica. Morì a Roma nel luglio 1952, a 85 anni.

19 Lucetti fu condannato dal Tribunale speciale a 30 anni di reclusione. Liberato dalle truppe alleate nel 1943, morì di lì a poco vittima di un bombardamento. 20 Cfr. D. D'URSO, Il prefetto nell'emergenza della sicurezza e dell'ordine pubblico, Alessandria 1989, cap. "Il Viceduce". A chi gli aveva chiesto se fosse fascista, Bocchini rispose: "Sono fascista fin dalle fasce".

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