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RICERCHE Donato D’URSO Francesco Crispo Moncada, capo della polizia RICERCHE Francesco Crispo Moncada fu capo della polizia dal giugno 1924 al settembre 1926 (il Direttore generale della P.S. era diventato Intendente generale di polizia col r.d. 11 novembre 1923, n. 2395 e poi Capo della polizia col r.d. 20 dicembre 1923, n. 2908). Dopo il delitto Matteotti, Mussolini - con abile mossa - lasciò al nazionalista Luigi Federzoni la guida del Ministero dell'Interno e sacrificò alcuni stretti collaboratori: vennero “dimissionati” Aldo Finzi sottosegreta- rio all'Interno, 1 il generale Emilio De Bono capo della polizia, 2 Cesare Rossi capo ufficio stampa, 3 Cesare Bertini questore di Roma. Per rimpiaz- zare De Bono - militare ma anche "Quadrumviro della Rivoluzione" - si pensò ad un personaggio non politico e cioè ad un alto funzionario della carriera prefettizia, "un tecnico di polizia e di reggimento interno", che desse il senso della normalizzazione. Crispo Moncada era nato a Palermo nel 1867 da Pietro Crispo alto magistrato e da Elena Moncada appartenente ad una famiglia di alto lignaggio. Entrato nel 1891 nell'amministrazione dell'Interno, percorse una brillante carriera a Palermo, Roma, Ferrara, Messina, Ancona. 1 Aldo Finzi, nato nel 1891 e laureato in giurisprudenza, fu valoroso combattente nella Grande Guer- ra e partecipò con D'Annunzio al celebre volo su Vienna. Eletto deputato nel 1921, fu fra i protagonisti alla Camera dell'aggressione all'onorevole comunista Misiano che era stato disertore. Nell'agosto 1922, insieme con Cesare Rossi, guidò l'occupazione di palazzo Marino a Milano defenestrando gli amministra- tori socialisti. Di famiglia ebrea, si convertì al cattolicesimo per potere sposare la nipote del cardinale Van- nutelli. Dopo la marcia su Roma, Finzi scelse una posizione moderata, invisa ai fascisti più intransigenti. Come sottosegretario usò largamente fondi segreti per sovvenzionare la stampa "amica". Dopo il delitto Matteotti, sebbene si dicesse fiero di essersi sacrificato per fedeltà a Mussolini, scrisse un memoriale che lasciava intendere scabrose verità. Emarginato, anche per accuse di affarismo, visse a lungo nell'ombra e finí per essere espulso dal Partito a causa delle sue critiche alle leggi razziali. Arrestato dai tedeschi dopo l'8 settembre, fu ucciso il 24 marzo 1944 nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine. 2 Emilio De Bono, il più anziano dei quadrumviri della marcia su Roma, era nato a Cassano d'Adda nel 1866. Militare di carriera, aveva partecipato alle campagne d'Africa di fine Ottocento ed alla prima guerra mondiale. Scrisse le parole della canzone "Montegrappa tu sei la mia patria". Dopo il delitto Mat- teotti subì un procedimento d'accusa innanzi al Senato costituito in Alta Corte ma ne uscí indenne. Suc- cessivamente, ricoprì le cariche di governatore della Tripolitania e ministro delle Colonie. Il 25 luglio 1943 votò a favore dell'o.d.g. Grandi e per questo fu processato a Verona, condannato a morte e fucilato nel gen- naio 1944. 3 Cesare Rossi, nato a Pescia nel 1887, redattore del "Popolo d'Italia", fu all'inizio uno degli esponen- ti più autorevoli dell'entourage di Mussolini alla Presidenza del Consiglio. Nel giugno 1924, ritenendo di essere stato ingiustamente "scaricato", scrisse un memoriale in cui accusò Mussolini di avere ispirato tutte le più gravi azioni squadristiche contro gli avversari politici. Lasciò l'Italia nel timore di rappresaglie, rifu- giandosi in Francia. Attirato con un tranello a Campione d'Italia, fu arrestato e condannato a 30 anni di carcere dal Tribunale speciale. Nel dopoguerra scrisse interessanti libri di memorie. È morto a Roma nel 1967. 1212 Donato D’URSO Durante la prima guerra mondiale lavorò presso il Comando Supremo. Nel 1919 venne assegnato al Commissariato generale civile per la Venezia Giulia, con sede a Trieste, collaborando con Augusto Ciuffelli e Antonio Mosconi. Nell'aprile 1920, allorché ministro dell'Interno era Nitti, Crispo Moncada fu promosso prefetto ma, tranne una brevissima parentesi a Tre- viso nell'estate 1921, rimase a Trieste sino al giugno 1924 in quanto, dopo la soppressione del Commissariato generale civile, fu nominato prima pre- fetto per la Venezia Giulia e poi della provincia di Trieste. Erano anni non facili per le emergenze di ordine pubblico. Le ten- sioni etniche tra italiani e slavi in Venezia Giulia erano rese drammatiche dalle azioni di nazionalisti e fascisti. Il 13 luglio 1920 essi diedero assalto al "Narodni dom", sede triestina delle organizzazioni slave. Lo scontro si svol- se a colpi di fucile e bombe a mano e provocò due morti e numerosi feriti. L'edificio fu dato alle fiamme con gravissimi danni materiali. Sempre a Trieste, nel febbraio 1921, dopo l'uccisione di un carabi- niere, squadre fasciste attaccarono la sede del giornale Il Lavoratore e si lottò persino sui tetti, con un bilancio di numerosi feriti e la devastazione dell'e- dificio. I fatti di violenza politica si moltiplicarono: il dirigente cattolico Zustovich fu ucciso da una bomba, un sacerdote aggredito mentre predi- cava in sloveno. Nei giorni della marcia su Roma, anche a Trieste fu occupato il Palazzo del governo, senza che fosse opposta valida resistenza da parte delle forze dell'ordine, né peraltro fecero di più i militari quando le autorità civi- li trasmisero ad esse tutti i poteri. I capi fascisti Giunta e Giuriati avevano partecipato ad un banchetto in onore di Mosconi che stava per lasciare l'in- carico di Commissario generale civile e, con faccia tosta, brindarono alla salute del governo Facta! Allorché Giunta, alla testa dei suoi, si presentò in prefettura, pare che Crispo Moncada "con le lacrime agli occhi" si limitas- se ad esortarlo a pensare soprattutto all'Italia. Il comandante militare gene- rale Sanna minacciò: "Ora vi faccio fucilare tutti" e Giunta rispose: "Faccia pure, Eccellenza, ma non le basterà un plotone di esecuzione". E l'esercito 1213 RICERCHE rimase a guardare. 4 Una pubblicazione degli anni Trenta scrisse che Crispo Moncada a Trieste “aveva esplicato i mandati a lui affidati con prontezza e fede patriot- tica, agevolando il sorgere e l'affermarsi delle prime idee fasciste. Un impulso notevole diede a tutte le più sane istituzioni locali ed aiutò a pro- muovere importanti opere pubbliche”. La nomina a Capo della polizia nel giugno 1924 pare sorprendesse lo stesso prescelto. Di lui si parlò come di "un gentiluomo di vecchio stam- po, dal tratto assai signorile" e di "funzionario all'antica", fedele monar- chico e vicino alle posizioni del nuovo ministro Federzoni. L'obiettivo di entrambi era di emarginare l'estremismo squadrista, limitare l'influenza dei "ras" locali, accrescere l'autorità dei prefetti in periferia. Federzoni ha scrit- to in un libro di memorie: “I prefetti che erano stati difesi molte volte da me contro le sconsigliate ingerenze del Partito diedero prova quasi tutti di esemplare fedeltà e scrupoloso senso del dovere. Funzionari ed agenti erano pubblicamente lodati come "fascisti" o vituperati come "antifascisti" a seconda del loro atteggiamento ligio piuttosto al Partito che al Ministero o viceversa”. Mussolini, per evidenti ragioni tattiche, sostenne in quel momento le posizioni di Federzoni e il prefetto finì per essere consacrato come "la più alta autorità dello Stato nella provincia". Anche il Capo della Polizia ribadì in più occasioni che lo Stato non poteva delegare ad altri le sue prerogative in materia di ordine pubblico ed invitò i prefetti ad intervenire efficacemente in tal senso presso i dirigenti locali dei fasci. Ma non furono evitati fatti sanguinosi. Il 5 settembre 1924 Piero Gobetti fu vittima di una bastonatura in una strada di Torino. 5 Una settimana dopo, fu assassinato a Roma un deputato fascista moderato, Armando Casalini. Don Luigi Sturzo ebbe l'a- bitazione devastata e l'ultimo giorno dell'anno, a Firenze, gli squadristi 4 Quando nel 1926 fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il generale Carlo Sanna ne fu il primo Presidente. 5 Dopo quel fatto Gobetti accusò disturbi cardiaci che lo portarono alla morte a Parigi nel febbraio 1926. Da poche settimane aveva lasciato l'Italia. 1214 Donato D’URSO assalirono la sede di un giornale, due logge massoniche e studi di profes- sionisti. Nel luglio 1925 toccò a Giovanni Amendola subire una violenta aggressione. 6 Il mese successivo Gaetano Salvemini, sfuggendo alla sorve- glianza della polizia, riuscì a espatriare in Francia. 7 A Firenze, in ottobre, dopo l'uccisione del fascista Luporini, bande armate scorrazzarono per la città e assalirono abitazioni di antifascisti, uccidendo a freddo l’ex-deputa- to socialista Pilati e l'avvocato Consolo. 8 In dicembre, il funerale della compagna di Turati, Anna Kuliscioff, fu disturbato da provocatori. 9 Anche Sandro Pertini fu minacciato e più volte aggredito; dopo la bastonatura del 1° maggio 1926 gli venne mosso il rimprovero di essere uscito con la cravatta rossa e quando un commissario di polizia denunziò il responsabile di un'ulteriore aggressione, arrivò per il funzionario il trasferi- mento in Sardegna. Durante la gestione di Crispo Moncada mutò l'orientamento del- l'inizio degli anni Venti di ridurre gli organici e semplificare i servizi di polizia. Il 31 dicembre 1922, al tempo di De Bono, con un drastico e repentino provvedimento era stata abolita la Regia guardia per la pubblica 6 Amendola, che già nel dicembre 1923 era stato aggredito a Roma, il 20 luglio 1925 si trovava a Mon- tecatini per una cura termale. Lì fu assediato in albergo e minacciato di morte. Quando fu chiesto un rinfor- zo di agenti, la questura di Lucca fece sapere che li avrebbe potuti inviare solo il giorno dopo. Il fascista Carlo Scorza - che nel 1943 fu l'ultimo segretario del P.N.F. - convinse il deputato a partire in auto per Pistoia con al seguito un camion di carabinieri (dirà poi Amendola al figlio Giorgio che "la vergogna era durata abba- stanza e nell'albergo vi erano molte signore e stranieri ed egli non poteva accettare di essere motivo invo- lontario di tanto fastidio").