Arturo Parisi Due anni al Ministero della Difesa Discorsi e indirizzi di saluto - Comunicazioni al Parlamento 2 008 al Ministero della Difesa Comunicazioni alParlamento Discorsi eindirizzidisaluto Arturo Parisi 006Due anni

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Due anni al Ministero della Difesa

Discorsi e indirizzi di saluto Comunicazioni al Parlamento

Maggio 2008

Sommario

Introduzione...... 11

Discorsi e indirizzi di saluto...... 13

Celebrazione del “Memorial Day” (29 maggio 2006)...... 15

Visita al Contingente militare italiano in Iraq (30 maggio 2006) ...... 18 192° anniversario di fondazione dell’Arma dei

Carabinieri (5 giugno 2006) ...... 21

Esercitazione “Mare Aperto” (11 giugno 2006) ...... 25 Visita al Contingente militare italiano in

Afghanistan (16 giugno 2006) ...... 28 Visita al Contingente militare italiano ISAF in

Afghanistan (17 giugno 2006) ...... 30 Cerimonia di chiusura dell’anno accademico del

CASD (20 giugno 2006)...... 32

Rientro in Patria dall’Iraq della Brigata “Sassari” (26 giugno 2006)...... 40 Avvicendamento del Comandante Generale dell’Arma dei

Carabinieri (6 luglio 2006) ...... 44

Visita al Contingente militare italiano in Bosnia (12 luglio 2006) ...... 48

Visita al Contingente militare italiano in Kosovo (13 luglio 2006)...... 51

Partenza del primo scaglione della missione UNIFIL (29 agosto 2006)...... 54

Avvicendamento del Comandante di KFOR (1 settembre 2006)...... 57

5 63° anniversario della difesa di Roma (8 settembre 2006)...... 59 Commemorazione dell’affondamento della corazzata “Roma” e

dei cacciatorpediniere “Da Noli” e “Vivaldi” (9 settembre 2006) ...... 61 Visita al Contingente militare italiano della missione

UNIFIL (12 settembre 2006)...... 64 Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore

dell’Aeronautica (19 settembre 2006) ...... 67 Passaggio della responsabilità della sicurezza alle

Autorità irachene (21 settembre 2006) ...... 70 “6° Regional Seapower Symposium for the Navies of the

Mediterranean and Black Sea Countries” (13 ottobre 2006) ...... 73

64° anniversario della battaglia di El Alamein (20 ottobre 2006)...... 77 Consegna delle decorazioni dell’Ordine Militare

d’Italia (4 novembre 2006) ...... 80 Inaugurazione dell'anno accademico 2006-2007 della

Scuola d’Applicazione (9 novembre 2006) ...... 82 Giuramento del 219° corso degli Allievi della Scuola Militare

“Nunziatella” (18 novembre 2006)...... 87 Ammainabandiera del Contingente militare

italiano in Iraq (1 dicembre 2006) ...... 91 Rientro del Contingente militare italiano

dall'Iraq (7 dicembre 2006) ...... 94 Incontro di fine anno con i rappresentanti della

stampa (21 dicembre 2006) ...... 100

Visita al Contingente militare italiano in Afghanistan (24 dicembre 2006) ...... 107 Apertura dell’anno accademico 2006-2007 della Scuola

Ufficiali Carabinieri (31 gennaio 2007) ...... 110 Chiusura della 59ª edizione dei Campionati Sciistici delle

Truppe Alpine (2 febbraio 2007)...... 115

Inaugurazione dell’anno giudiziario militare (7 febbraio 2007) ...... 118

rd 43 Munich Conference on Security Policy (10 febbraio 2007) ...... 121

Giuramento del 121° corso Allievi Carabinieri (17 febbraio 2007) ...... 123

6 Festa del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare e

secondo anniversario della morte di Nicola Calipari (5 marzo 2007) ...... 127 Giuramento degli Allievi Ufficiali dell’Accademia

Militare (16 marzo 2007) ...... 130

Festa dell'Aeronautica Militare (28 marzo 2007)...... 135 Giuramento degli Allievi dell'Accademia Aeronautica

(4 aprile 2007)...... 139

Inaugurazione del monumento ai Caduti (7 aprile 2007) ...... 142 Udienza al Quirinale delle Associazioni combattentistiche e

d’Arma (24 aprile 2007)...... 146

62° anniversario della Liberazione (25 aprile 2007) ...... 149 146° anniversario della costituzione

dell'Esercito Italiano (4 maggio 2007)...... 151

Visita agli stabilimenti Thales Alenia Space (16 maggio 2007)...... 155 Firma del protocollo d’intesa per la cessione della caserma

“Testafochi” (22 maggio 2007) ...... 157

Assemblea annuale dei soci dell’AIAD (4 giugno 2007)...... 159 193° anniversario di fondazione dell’Arma dei

Carabinieri (5 giugno 2007) ...... 163 Cerimonia di chiusura dell’anno accademico del

CASD (6 giugno 2007)...... 168 Festa della Marina e consegna dell’onorificenza dell’Ordine Militare

d’Italia alla Bandiera del reggimento “San Marco” (19 giugno 2007)...... 173

Visita al Contingente militare italiano in Libano (5 luglio 2007)...... 175

64° anniversario della battaglia di Porta San Paolo (8 settembre 2007) ...... 178 64° anniversario dell’affondamento della corazzata “Roma” e dei

cacciatorpediniere “Da Noli” e “Vivaldi” (9 settembre 2007)...... 180 Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore

dell’Esercito (13 settembre 2007) ...... 184 Firma del protocollo d’intesa tra il Ministero della Difesa e il

CONI (3 ottobre 2007)...... 188

III edizione del “Premio Bravo” (4 ottobre 2007)...... 190

7 90° anniversario della battaglia di Caporetto (20 ottobre 2007)...... 191

Varo di nave “Caio Duilio” (23 ottobre 2007)...... 194 Consegna delle onorificenze dell’Ordine Militare

d’Italia (4 novembre 2007)...... 198 Posa della prima pietra del monumento ai

Caduti di Nasiriyah (12 novembre 2007) ...... 201

Giornata in difesa dell’ambiente (15 novembre 2007)...... 203 Convegno sul tema “50 anni dopo il Trattato di Roma e

prospettive della Difesa Europea” (15 novembre 2007)...... 206 Convegno sul tema “Soft power e jihadismo

globale” (28 novembre 2007) ...... 209

Giuramento degli Allievi dell’Accademia Navale (1 dicembre 2007) ...... 215 Incontro di fine anno con i Vertici della Difesa e con le Associazioni

combattentistiche e d’Arma (19 dicembre 2007)...... 220

Visita al Contingente militare italiano in Kosovo (24 dicembre 2007) ...... 223 Visita alla MSU (Multinational Specialized Unit)

in Kosovo (24 dicembre 2007) ...... 225 Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore

dell'Aeronautica (30 gennaio 2008) ...... 227 Inaugurazione dell’anno accademico 2007-2008 della Scuola

Ufficiali Carabinieri (31 gennaio 2008) ...... 231

Inaugurazione dell’anno giudiziario militare (4 febbraio 2008)...... 235 Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore

della Difesa (12 febbraio 2008)...... 240 Consegna del sommergibile “Sciré” alla

Marina Militare (18 febbraio 2008) ...... 244 Saluto ai militari impegnati in

per l’emergenza rifiuti (5 marzo 2008)...... 247 Giuramento degli Allievi del 189° corso

dell’Accademia Militare (7 marzo 2008) ...... 250 Giuramento degli Allievi dell’Accademia

Aeronautica (20 marzo 2008) ...... 255

8 85° anniversario della costituzione

dell’Aeronautica Militare (31 marzo 2008)...... 259

Comunicazioni al Parlamento ...... 263

CAMERA DEI DEPUTATI

Partecipazione italiana alla missione in Libano (6 settembre 2006)...... 265 Attentato a un convoglio militare del Contingente italiano

in Afghanistan (26 settembre 2006) ...... 267

Legge di Bilancio e Finanziaria 2007 (10 ottobre 2006) ...... 268

Indagine conoscitiva sulle servitù militari (25 ottobre 2006)...... 274 Allargamento della base militare USA presso l’aeroporto

“Dal Molin” di Vicenza (30 gennaio 2007) ...... 281 Situazione in Libano a dieci mesi dall’avvio della

missione UNIFIL 2 (27 giugno 2007)...... 286

Indagine conoscitiva sulle servitù militari (17 luglio 2007) ...... 294 Partecipazione italiana a missioni umanitarie e

internazionali (12 settembre 2007) ...... 303 Sequestro e liberazione di due militari italiani

in Afghanistan (24 settembre 2007)...... 318

Legge Finanziaria 2008 (21 novembre 2007)...... 321

SENATO Attentato subìto da una pattuglia del Contingente militare

italiano in Iraq (7 giugno 2006) ...... 326

Le linee programmatiche del Dicastero (4 e 5 luglio 2006)...... 330 Sviluppi della situazione in Medio Oriente ed esiti della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 1701

dell’agosto 2006 (18 agosto 2006)...... 349

9 Intervento in Libano e rafforzamento del Contingente militare

italiano nella missione UNIFIL (4 ottobre 2006)...... 355 Dotazioni del Contingente militare italiano impegnato nella

missione ISAF (15 maggio 2007) ...... 364 Partecipazione italiana alle missioni militari

all’estero (26 luglio 2007)...... 373 Casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale militare

italiano impiegato nelle missioni internazionali (9 ottobre 2007) ...... 387

Legge Finanziaria 2008 (10 ottobre 2007) ...... 396

Legge Finanziaria 2008 (11 ottobre 2007) ...... 408 Casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale militare

italiano impiegato nelle missioni internazionali (6 dicembre 2007)...... 419

Curriculum vitae ...... 425

Ringraziamenti...... 427

10 Introduzione Arturo Parisi

Dalle tradizionali politiche della Difesa alle nuove politiche della sicurezza. Dal presidio dei confini nazionali agli impegni internazionali "fuori area". Dalla for- mazione all'addestramento allo sport. Dalle cerimonie militari agli incontri con la stampa. Dai raduni delle Associazioni d'Arma agli eventi culturali. Dalle visite in Italia e all'estero alle audizioni parlamentari. È questa, suppergiù, la griglia degli argomenti affrontati nei discorsi, indirizzi di saluto e comunicazioni al Parlamento che ho pronunciato nei due anni di perma- nenza a Palazzo Baracchini, alla guida del Ministero della Difesa. Il tema di fondo di ogni intervento ha riguardato significativamente, o co- munque ha toccato, il tema della sicurezza nazionale e internazionale, nonché le scelte politiche adottate, i soggetti istituzionali e gli orizzonti strategici di riferi- mento, alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti dopo l'11 settembre 2001. L'idea di raccogliere in questo volume la testimonianza di una attività multi- forme non nasce da ambizioni storiografiche. Il proposito è solo quello di docu- mentare, di certo non compiutamente, la cronaca di due anni particolarmente in- tensi del Dicastero. Nella variegata tipologia di interventi presentati nell’opera vengono analizzate le più emergenti questioni geopolitiche internazionali. Una realtà ricca di tensioni che si intreccia in una complessità inedita e che impone ai governi dell'Occidente di saper guardare al di là del reticolato, facendosi carico di interessi generali volti a difendere i valori della democrazia, della libertà e della pace. La storia del secolo scorso offre ampia conferma della necessità di costruire nuovi e migliori equilibri nel mondo e trovare una sintesi tra la risposta militare e l’approccio della politica e della diplomazia. La vittoria militare nella Grande Guerra non era stata seguita da una avveduta politica estera delle potenze vincitrici e da interventi economici di sostengo alle fragili democrazie dei Paesi nati dal disfacimento dell'impero austro-ungarico. Fu un fatale errore che non mancò di portare alcune nazioni a rifugiarsi nel totalita- rismo, seminando orrore e distruzione nell’intera Europa. I tempi sono cambiati, il contesto politico-strategico è profondamente mutato ma quella lezione è ancora valida. Terminata l’epoca delle barriere verso est, oggi

11 occorre governare la sicurezza con visione globale e confrontarsi con problemi che sono sì militari, ma anche economici e sociali. Ma c’è di più. Oggi siamo chiamati ad affrontare sfide formidabili che non con- sentono più il mantenimento della “rendita di posizione”, garantita per più di quarant’anni dall'Alleanza Atlantica, e si prospetta una situazione in cui la sicu- rezza, per essere garantita, dovrà consistere in un impegno diretto e autonomo di capacità militari adeguate. Se si vuole che l'Italia continui a stare sulla scena internazionale in modo autore- vole, non si possono non affrontare con coerenza alcuni temi di fondo che riguar- dano la modernizzazione delle Forze Armate, il rinnovamento dei mezzi e delle tecnologie di supporto e il perseguimento di elevati standard di efficienza delle Unità chiamate a compiti di intervento rapido. Come pure non si può non consi- derare, con responsabilità e lungimiranza, il complesso dei problemi di una stra- tegia della difesa europea, trovando un raccordo tra politica estera comune, poli- tiche militari e prospettive di una industria europea della difesa. Dall’analisi degli scritti contenuti in questo libro, io credo si possano trarre pre- ziosi spunti di riflessione, utili soprattutto per la presa di coscienza da parte del- l'opinione pubblica delle problematiche legate al ruolo internazionale dell'Italia. E credo anche che il lettore, passando da un argomento all'altro, potrà valutare da più prospettive i tanti temi di attualità che hanno segnato lo svolgersi di due anni difficili e impegnativi per la Difesa italiana. Un cammino che, tra l’altro, ha visto il rientro dei nostri militari dall'Iraq, l’attivazione della missione UNIFIL 2 e il proseguimento del nostro impegno nei Balcani, in Afghanistan e in tante altre aree del mondo. Tanti temi che configurano questioni politiche di rilievo e problemi militari ri- solti e da risolvere. Con un'idea di fondo: porre l’uso della forza al servizio della pace e offrire il contributo di efficienza e operatività delle nostre Forze Armate alla costruzione di un mondo migliore.

12 Discorsi e indirizzi di saluto

Discorsi e indirizzi di saluto

Celebrazione del “Memorial Day” Nettuno, 29 maggio 2006

Signor Ambasciatore, Autorità, Signore e Signori,

a nome del Governo della Repubblica italiana e delle Forze Armate rivolgo un commosso omaggio ai militari degli Stati Uniti d’America che riposano in questo ci- mitero. Lo stesso commosso pensiero rivolgo a tutti gli altri che riposano nella nostra terra, lungo tutta la penisola, sotto semplici lapidi bianche. L’Italia celebra quest’anno il 60° anniversario della Costituzione repubblicana, ri- cordando un evento che chiuse uno dei momenti più difficili e dolorosi della sua storia e consentì, a poco più di un anno dalla Liberazione, la nascita di un Paese nuovo, finalmente democratico, proteso verso una stagione di libertà, di progresso civile, di sviluppo sociale. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza le capacità militari e la determina- zione dei Paesi che hanno combattuto il nazifascismo e senza il contributo generoso di coraggio, di altruismo e di sangue dei combattenti americani e degli altri eserciti alleati. Il nostro pensiero va a quel turbinoso e drammatico momento della nostra storia, quando finalmente si dissolveva l’incubo della guerra, delle rappresaglie, dell’op- pressione, un momento che chiamava gli italiani a fare i conti con la dura eredità la- sciata dalla dittatura. L’immagine dei partigiani e dei tanti cittadini sorridenti, e finalmente liberi, si unisce, nella memoria, ai sorrisi di altri ragazzi, venuti da lontano, per riportare la democrazia e la libertà in Europa. Noi italiani, perciò, abbiamo il dovere di tenere sempre viva la memoria di quei soldati che, con il loro sacrificio, hanno consentito di sconfiggere un terribile totali- tarismo. Noi non possiamo e non vogliamo disgiungere il ricordo della Liberazione da quello degli eserciti alleati, accolti sempre con gioia e speranza dalle nostre popolazioni. E va ricordato come, proprio intorno ai soldati americani, si siano raccolti quel- l’alto senso di riconoscenza e quell’affetto sincero che sono caratteristiche riconosci- bili del popolo italiano.

15 Due anni al Ministero della Difesa

Gli Stati Uniti d’America, questo lontano mondo, meta di tanti nostri emigranti, attraversava la millenaria storia italiana portando un vento di novità, un vento che contribuì, da quel momento in poi, a modificare i nostri costumi e la nostra vita so- ciale e culturale. I ragazzi sbarcati in Sicilia, a Salerno, ad Anzio e Nettuno, entrati poi a Roma, a Firenze, vittoriosi sulla linea gotica fino allo sfondamento finale del fronte, erano te- stimoni di un mondo diverso. Sono questi, Signor Ambasciatore, i motivi profondi del nostro grazie, quel grazie che l’Italia rivolge agli Stati Uniti. Grazie per la restituita libertà, grazie per il contributo culturale, civile, politico, che avete dato alla nostra società, alla nostra vicenda nazionale. Il memore pensiero che oggi va ai militari americani caduti per la libertà non deve, però, farci dimenticare le vicende successive alla fine del secondo conflitto mon- diale. Il piano Marshall consentì la rinascita dell’economia europea, la presenza politica e militare degli Stati Uniti nel nostro Continente è stata essenziale sia per avviare, in un clima di fiducia, il processo di unificazione europea sia per difendere la demo- crazia dalle minacce del totalitarismo. È la storia stessa della nostra Repubblica, Signor Ambasciatore, ad intrecciarsi con l’amicizia e l’alleanza con gli Stati Uniti, nel solco di una scelta occidentale – eu- ropea ed atlantica – propugnata da uomini come De Gasperi, Sforza e Pacciardi. Ora l’Europa ha ritrovato una sua dimensione geografica, politica e culturale, av- viandosi verso una stagione di rinascita. Davanti alle lapidi che ricordano questi Caduti dobbiamo ricordare come siano state vinte sfide passate, di enormi dimensioni. Il nazifascismo è stato sconfitto, il totalitarismo è stato travolto per opera degli stessi popoli che opprimeva, il terro- rismo è braccato nel mondo, fortemente contrastato nella sua volontà di organiz- zarsi e colpire ancora.

Signor Ambasciatore, Autorità, Signore e Signori,

per l’Italia non esistono scenari da fantapolitica, con alleanze a geometria variabile o a corrente alternata. Europa e Stati Uniti sono il primo riferimento, a livello pla- netario, per la difesa di quella cultura umanistica ove è la persona, con le sue aspet- tative, le sue ansie, le sue speranze ad essere al centro della società e della politica; ove il diritto, la legalità e la solidarietà sono i fondamenti del vivere civile; ove l’uguaglianza è perseguita come fattore di libertà e responsabilità. Non esiste, per l’Italia, uno spazio di inutili astrazioni su un Atlantico “più largo”, con una ipotetica frattura strategica fra Europa e Stati Uniti. Così come non esistono pagelle da dare a questo o quel Paese del nostro Conti- nente in funzione dei suoi atteggiamenti internazionali.

16 Discorsi e indirizzi di saluto

Le nostre democrazie industrializzate possono vincere le sfide del ventunesimo se- colo solo rafforzando le ragioni della convivenza, solo trovando soluzioni comuni, inclusive e non esclusive, ai grandi problemi del pianeta: la sicurezza, le risorse ener- getiche, la fame, la povertà, l’ambiente. Insieme possiamo creare un futuro migliore, senza ritrovarci in balia degli eventi, come troppe volte è stato nella storia dell’umanità. Ecco, in questo luogo sacro alla libertà, rinnovo questo impegno e questo auspicio. Perché l’amicizia fra Italia e Stati Uniti, fra Europa e Stati Uniti, sia sempre più salda, più feconda, più ricca. Consentitemi di gridare con voi.

Viva la Libertà! Viva gli Stati Uniti d’America! Viva l’Italia!

17 Due anni al Ministero della Difesa

Visita al Contingente militare italiano in Iraq Nasiriyah, 30 maggio 2006

Signor Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Madeddu, uomini e donne del Contingente,

sono veramente lieto di essere qui con voi per portarvi il saluto del Governo, che è il saluto del Paese. Il Paese guarda a voi con profonda ammirazione per quanto fate, per quanto avete saputo realizzare. La qualità del vostro contributo è apprezzata nelle massime sedi internazionali ove gli italiani vengono considerati fra i migliori peace-keeper del mondo. Perché in tutte le situazioni hanno saputo coniugare mira- bilmente doti di fermezza, di disciplina e, al tempo stesso, di grande umanità. Il Paese, tuttavia, vi segue anche con ansia e trepidazione, ben sapendo dei rischi ai quali è esposto il personale che opera in una missione che – come nessuna altra – è già costata dolorose perdite umane. Penso che sia doveroso, in questa circostanza e in questo luogo, a nome del Go- verno e dell’intero Paese, rivolgere un riverente, commosso pensiero a tutti i Caduti di questa missione. Voglio richiamarli alla nostra memoria ed al nostro cuore per ri- cordarli come soldati e come uomini, uno per uno:

• Capitano Massimo Ficuciello; • Sottotenente Enzo Fregosi; • Sottotenente Giovanni Cavallaro; • Sottotenente Alfonso Trincone; • Sottotenente Filippo Merlino; • Maresciallo Aiutante Alfio Ragazzi; • Maresciallo Aiutante Massimiliano Bruno; • Maresciallo Capo Daniele Ghione; • Maresciallo Capo Silvio Olla; • Brigadiere Giuseppe Coletta; • Brigadiere Ivan Ghitti; • Vice Brigadiere Domenico Intravaia; • Appuntato Horacio Majorana;

18 Discorsi e indirizzi di saluto

• Appuntato Scelto Andrea Filippa; • Caporal Maggiore Capo Emanuele Ferraro; • 1°Caporal Maggiore Alessandro Carrisi; • Caporal Maggiore Pietro Petrucci; • Caporal Maggiore Matteo Vanzan; • 1° Caporal Maggiore Antonio Tarantino; • Maresciallo Capo Simone Cola; • Sergente Salvatore Marracino; • Tenente Colonnello Giuseppe Lima; • Capitano Marco Briganti; • Maresciallo Capo Massimiliano Biondini; • Maresciallo Ordinario Marco Cirillo; • Sergente Davide Casagrande; • Maggiore Nicola Ciardelli; • Maresciallo Aiutante Carlo De Trizio; • Maresciallo Aiutante Franco Lattanzio; • Sottotenente Enrico Frassanito. Al ricordo di questi Caduti dobbiamo associare anche i nomi di due civili: • Dott. Stefano Rolla; • Dott. Marco Beci, e i nostri compagni d’armi rumeni, ai quali è toccata la stessa sorte dei nostri militari. Così come non possiamo dimenticare il Dott. Nicola Calipari, anche lui caduto nell’adempimento del dovere. Allo stesso modo, sento il dovere di ricordare i tanti cittadini iracheni caduti, vit- time anch’essi di atti terroristici.

Uomini e donne della missione “Antica Babilonia”,

avete operato con grande professionalità, rinnovando giorno dopo giorno, con se- renità e coraggio, le gesta di quanti vi hanno preceduto sotto le stesse bandiere e sotto i nomi carichi di storia e di gloria dei reparti che vi inquadrano. Non esito a riconoscere che il primo nome che bussa al mio cuore di sardo e viene sulle mie labbra è quello della “Sassari”. Ho appena ascoltato l’inno dei “Dimonios” e sono ancora pervaso dall’emozione di quelle note, ma so anche che qui si è alter- nata la parte migliore delle forze italiane, dalla “Garibaldi” all’ “Ariete”, alla “Poz- zuolo del Friuli”, alla “Folgore”, alla “Friuli”. E tutti hanno meritato allo stesso modo, tutti meritano apprezzamento e gratitudine. Senza esitazioni, posso dirvi che è oggi che sento di iniziare il mio mandato di Mi- nistro della Difesa. Perché questa visita mi consente di guardarvi negli occhi, di par- larvi, di dividere con voi, anche se per poche ore, le tensioni e le fatiche che provate in questa terra segnata allo stesso tempo dal dolore e dalla speranza.

19 Due anni al Ministero della Difesa

Anche io, come voi, ho portato una divisa, negli anni della mia adolescenza. Un’esperienza lontana negli anni, ma non nel cuore, ove ha lasciato un segno pro- fondo, un affetto ed una attenzione del tutto particolari verso il mondo militare nonché la coscienza della grandezza del compito che svolgete per il Paese intero. La questione irachena è stata seguita da vicino da tutti noi, con passione e serietà. Ed io concordo nel sostenere come i primi eroi siano stati i cittadini iracheni, recatisi alle urne in grande maggioranza nonostante le grandi e gravi minacce di attentati. Sulla base del mandato che il Governo ha ricevuto dagli elettori, è in corso l’esame delle opzioni praticabili in merito ai tempi e alle condizioni per il rientro delle Forze Armate italiane dall’Iraq. Questo con un contestuale rafforzamento del nostro im- pegno civile a sostegno della ricostruzione del Paese e del consolidamento delle sue istituzioni democratiche, nell’ambito di un processo di consultazioni con il Go- verno iracheno e le altre parti interessate. Le decisioni del Governo sono guidate dall’intenzione di accelerare questo pas- saggio e di garantire una nostra presenza incisiva, a sostegno dell’amministrazione irachena e dei suoi sforzi di ricostruire le infrastrutture e l’organizzazione statuale. L’Italia è consapevole dei doveri di una grande democrazia industrializzata: doveri politici, diplomatici, militari, di sostegno e cooperazione economica, nel senso che la costruzione e la tutela della sicurezza vanno concepite in una logica ove siano uti- lizzati e dosati tutti gli strumenti a nostra disposizione. L’Italia non volterà le sue spalle all’Iraq. La conclusione della nostra presenza militare, con il rientro del Contingente, non rappresenta in alcun modo un disimpegno. Tutt’altro. L’impegno dell’Italia prose- guirà ulteriormente attraverso una rafforzata collaborazione politica, civile, umani- taria e di sostegno alle Istituzioni ed alla ricostruzione del Paese. Si tratterà di un programma molto qualificato che si propone di rafforzare l’impegno della Comu- nità internazionale a favore dell’Iraq. È un grande sforzo politico e diplomatico al quale l’Italia non farà mancare intelli- genza, entusiasmo, impegno, nei grandi fori internazionali, nel quadro delle Na- zioni Unite, dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica.

Signor Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Madeddu, donne e uomini del Contingente,

desidero rinnovare a tutti voi il più sincero saluto augurale, unitamente ad uno schietto “buona fortuna” e ai miei sentimenti di vivo apprezzamento, che rappresen- tano il sentire dell’intero Paese.

Viva le Forze Armate! Viva l’Italia! Forza Paris!

20 Discorsi e indirizzi di saluto

192° anniversario di fondazione dell’Arma dei Carabinieri Roma, 5 giugno 2006

Signor Presidente della Repubblica,

voglio innanzitutto porgere a Lei il saluto deferente del Governo, delle Forze Ar- mate e quello mio personale, ed esprimerLe la più profonda gratitudine per la Sua presenza, che onora la celebrazione del 192° anniversario di fondazione dell'Arma dei Carabinieri. Saluto e ringrazio altresì il Presidente del Senato, il Presidente del Consiglio, il Pre- sidente della Corte Costituzionale, il Vice Presidente della Camera dei Deputati, i colleghi Ministri e tutte le Autorità civili, militari e religiose presenti, che così ono- rano l'Arma ed attestano affetto e stima a tutti i Carabinieri d'Italia. Mi sia consentito rivolgere un saluto particolare al Ministro dell'Interno, Giuliano Amato, che condivide con me la responsabilità di vertice dell'Arma, patrimonio co- mune di due sfere organizzative, la difesa e la sicurezza, che trovano, sul piano del- l'azione concreta, sempre maggiori punti di congiunzione e di collaborazione. Oggi ho il privilegio, per la prima volta da Ministro della Difesa, di esprimere i sentimenti di stima e ammirazione verso gli uomini e le donne dell'Arma per il me- ritorio servizio reso, in Italia come all'estero, nella difesa della libertà e della legalità; un servizio basato su una alta professionalità e fondato sulla capacità dei Carabinieri di "stare tra la gente". Questa sera, in questa splendida cornice di Piazza di Siena, si rinnova la festa che unisce i Carabinieri ai cittadini, un evento nel quale storia, memoria, tradizioni, si coniugano con l'espressione della più moderna professionalità. Oggi, Signor Presidente, è anche il giorno in cui le Istituzioni, rinnovate negli uo- mini dopo le recenti elezioni si ritrovano, alla Sua alta presenza, intorno all'Arma Benemerita. Si uniscono, in questa piazza, la forza della tradizione e la forza della democrazia. Il coraggio, la dedizione e l'eroismo dei Carabinieri rappresentano una costante della storia nazionale e sono al servizio della nostra Repubblica, sognata dai Padri del Risorgimento e realizzata dalla volontà degli italiani dopo la stagione della Resi- stenza e della Liberazione.

21 Due anni al Ministero della Difesa

Noi tutti siamo servitori della Repubblica, Signor Presidente, e sono certo di inter- pretare in questo anche il Suo pensiero. Servitori. Non vi è in questa definizione alcuno svilimento. Al contrario, gli uomini e le donne che si succedono nelle responsabilità di rappresentanza e in quelle di Go- verno sono orgogliosi di porre il loro operato al servizio del bene comune e dell'inte- resse collettivo, al servizio della cosa pubblica, al servizio della Repubblica. La democrazia è forte non solo perché sa rinnovarsi, ma anche perché sa animare un circuito condiviso di valori, di dedizione personale, di riferimenti politici e cul- turali. L'avvicendarsi degli uomini non interrompe la continuità dell'Istituzione la quale – lo ricordiamo - è prima di tutto passione, amor di Patria, senso del dovere, capa- cità di interpretare e vivere concretamente i principi e lo spirito della Costituzione.

Signor Presidente,

cosa siano le Istituzioni, lo testimoniano bene i Carabinieri! Solo poche settimane orsono, l'Italia ha salutato con commozione e dolore il ri- torno in Patria di altri Caduti in Iraq. Nel mentre li ricordo, il mio pensiero non può non andare alle notizie che ci giun- gono, in questo momento, dalla lontana Nasiriyah che vede ancora una volta ba- gnata di sangue italiano quella terra arida e, tuttavia, piena di speranza. È appena una settimana che mi sono recato tra i soldati e, nel ricordare e nel con- dividere la trepidazione di tutti gli italiani per le notizie che ci giungono, il mio do- lore non può che farsi vivo e condiviso tra tutti noi. Questo sacrificio non ha prezzo. È per questo che il mio pensiero va ai Caduti nell'adempimento del dovere, a quelli di ieri e a quelli di oggi, ai Caduti che ricordiamo, insieme a quelli di ogni tempo, con orgoglio e gratitudine e rinnoviamo oggi la nostra commossa ed affettuosa soli- darietà alle loro famiglie, colpite da un dolore inestinguibile, alle quali ci stringiamo per far sentire loro più intensamente la vicinanza e il sostegno della Repubblica. Ecco, per questi ragazzi che hanno dato la vita per l'Italia, la Repubblica non è un concetto astratto, distante dalla vita di tutti i giorni. Per loro servire le Istituzioni significava impedire il successo della sopraffazione e della violenza; aiutare i deboli, i cittadini esposti all'offesa del crimine. Servire per loro significava esprimere la volontà di rendere visibile, fuori dai confini nazionali, la cultura di solidarietà del nostro Paese. Chi decide di indossare una divisa - e soprattutto la divisa dei Carabinieri, come quella delle altre Forze di Polizia e delle altre Forze Armate - è consapevole che la sorte può chiamarlo ad una prova estrema, ad atti ove - in un solo momento - si può mettere in gioco la propria vita.

22 Discorsi e indirizzi di saluto

Ecco, allora, il Carabiniere che non esita, il Soldato che non esita, che mette il do- vere e l'Italia davanti a tutto, innanzitutto davanti a se stesso. L'apprezzamento della Comunità internazionale per i reparti dei Carabinieri che operano in aree di crisi all'estero è grande. Quest'apprezzamento dà la misura della partecipazione sempre più attiva al sistema difesa, nel quale i Carabinieri forni- scono, in stretta cooperazione con le altre Forze Armate, uno strumento particolar- mente qualificato per agire a favore di altre popolazioni che cercano stabilità, demo- crazia e aiuto umanitario. È noto l'impegno profuso dai reggimenti Carabinieri MSU (le Unità Specializzate Multinazionali) e IPU (le Unità di Polizia Integrata), caratterizzati da elevata versati- lità e capacità di coniugare efficacemente le funzioni militari con quelle di polizia. Basti pensare all'impiego in Iraq, dove da una connotazione tipicamente militare si è passati ad una più marcatamente orientata alla formazione della polizia, e a quello in Bosnia e in Kosovo, dove l'Arma opera per il mantenimento dell'ordine pubblico e l'assistenza alle forze di sicurezza locali. La costituzione del COESPU, il Centro di Eccellenza di Unità di Polizia per la Stabilizzazione, che ha sede a Vicenza ed è affidato alla gestione dell'Arma, è la di- mostrazione tangibile del riconoscimento dell'esperienza maturata con la partecipa- zione ad operazioni di supporto alla pace, nonché dell'interesse di Stati ed organiz- zazioni internazionali, che guardano al nostro modello per realizzare forze con carat- teristiche simili. Gli italiani amano i Carabinieri perché conoscono il loro valore e la loro prepara- zione. Perché hanno fiducia in loro e ne apprezzano le capacità operative ed i tanti esempi di valore che ne scandiscono la lunga storia gloriosa. Perché vedono nel- l'Arma una presenza vicina e capillare e vi scorgono il volto amico dello Stato prima ancora che l'austero profilo dei tutori dell'ordine. I Carabinieri sono consapevoli dell'affetto degli italiani. Nel silenzio e nell'obbe- dienza, è proprio questa consapevolezza la loro forza interiore; questa la motivazione della loro fedeltà; questo il premio per una vita severa di rettitudine e coraggio. L'Arma, Signor Presidente, oggi La ringrazia per la concessione della Medaglia d'Oro al Valor Civile alla Bandiera e per gli altri riconoscimenti individuali conferiti a chi si è particolarmente distinto in servizio. Queste meritate onorificenze rafforzeranno l'Arma, confermando - nell'animo di ogni Carabiniere - la convinzione di essere nel cuore degli italiani ed al centro della vita della Repubblica. Se, dopo quasi due secoli di vita, l'Arma dimostra ancora questa grande vitalità, ciò si deve anche ad alcune qualità che i militari dimostrano quotidianamente "sul campo": senso dello Stato, di cui rappresentano i terminali più vicini al cittadino; affidabilità e terzietà; radicamento nelle realtà locali; disponibilità al cambiamento, attraverso un processo di costante "adeguamento tecnologico", obiettivo strategico prioritario per le moderne Istituzioni.

23 Due anni al Ministero della Difesa

L'Arma, allo scopo di assolvere alla propria missione istituzionale, ha continuato ad investire nel progetto di "comunicare sicurezza" ai cittadini, nell'intento di dif- fondere la cultura della legalità e della collaborazione partecipativa, producendo una informazione puntuale e avvalendosi dei più moderni strumenti della tecnologia.

Signor Presidente,

non mancheranno, in futuro, altri momenti per tracciare un bilancio delle attività dell'Arma dei Carabinieri e per indicare le linee-guida per il futuro. Ma oggi è il momento dell'affetto, è il momento solenne in cui l'Arma si presenta a noi per rinnovare la sua fedeltà alla Costituzione mentre noi rinnoviamo all'Arma il nostro grazie. Grazie, cari Carabinieri, per quello che fate tutti i giorni! Grazie! In questa occasione, il nostro ricordo va, ancora una volta, a quell'Eroe che ha scandito l'evoluzione morale dell'Arma, come componente fondante delle libere istituzioni in uno Stato moderno e democratico. È a Lui, al Vice Brigadiere Salvo d'Acquisto, che ho pensato nei momenti del do- lore, in occasione dei lutti recenti che hanno colpito i nostri militari e in particolare l'Arma. È la semplicità e la grandezza del suo gesto che voglio ora richiamare. Esso ci ricorda che si possono e si devono affrontare le sfide di tutti i giorni con coerenza, senza mai derogare dai principi essenziali di civiltà sui quali poggiano la cultura di una società e la forza di un Paese. A quell’esempio oggi noi guardiamo con riverente rispetto, come guida e monito per i nostri impegni futuri.

Viva l’Arma dei Carabinieri! Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

24 Discorsi e indirizzi di saluto

Esercitazione “Mare Aperto” Nave Garibaldi (Mar Tirreno), 11 giugno 2006

Ammiraglio Di Paola, Ammiraglio La Rosa, Ufficiali, Sottufficiali, Marinai,

innanzitutto, essendo appena tornato dalla Sardegna, dove mi sono recato per ren- dergli l’ultimo saluto, consentitemi di rivolgere, insieme con tutti voi, un pensiero commosso alla memoria del 1° Caporal Maggiore Alessandro PIBIRI, caduto in ser- vizio in Iraq, e rivolgere, allo stesso tempo, un augurio di pronta guarigione al per- sonale rimasto ferito nel corso dell’attentato, recentemente verificatosi in quella lon- tana terra. Sono lieto di essere qui con voi nel giorno che ricorda l’epica impresa di Premuda, scelto per celebrare la festa della Marina Militare. Questa occasione mi permette, a poche settimane della mia nomina a Ministro della Difesa, di conoscere diretta- mente la Forza Armata così da rivolgerle il saluto del Governo e quello mio perso- nale, e di esprimere il mio sincero apprezzamento a quanti hanno preso parte a tutte le fasi dell’esercitazione appena conclusa, che conferma l’alta preparazione della no- stra Marina. Gli impegni, in questo breve lasso di tempo trascorso a Palazzo Baracchini, non sono mancati. Impegni politici, ma anche incontri diretti con reparti sia in terri- torio nazionale sia all’estero. In tutte le occasioni ho apprezzato la professionalità dei militari, fondata su un impegno continuo, nell’addestramento e nelle attività opera- tive, e sullo sforzo sincero di essere sempre all’altezza degli esempi di valore che ca- ratterizzano le nobili tradizioni delle nostre Forze Armate. Sono pensieri che oggi rinnovo nei riguardi della Marina Militare, le cui origini e radici si iscrivono nelle pagine più antiche della nostra storia nazionale. Voglio ricordare la Marina sabauda e le altre forze navali degli Stati preunitari, eredi delle leggendarie Repubbliche marinare e poi fondamento della Forza Armata nello Stato unitario. Con gli antichi stemmi di Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi iscritti nella sua Ban- diera, la Marina Militare riassume veramente secoli di storia del nostro Paese e dà te- stimonianza encomiabile di una straordinaria continuità di dedizione al dovere e di amor di Patria. In ogni circostanza, la Forza Armata ha fatto onore al Tricolore in tutti i mari del

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mondo. E continua a farlo oggi, con particolare impegno, nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nell’Oceano Indiano e nel Golfo, per garantire sicurezza al Paese e per collaborare alle missioni di pace della Comunità internazionale. L’Italia è orgogliosa dei propri marinai. Ed è orgogliosa di avere una Marina versa- tile, capace di operare in tanti Teatri lontani, una Marina, capace di integrarsi – anche con ruoli di rilevante responsabilità – in gruppi aereonavali multinazionali. Il lungo lavoro svolto con le Marine militari dei Paesi dell’Alleanza Atlantica ed europei ha fatto migliorare e maturare la Forza Armata. La crescente integrazione militare europea è, anzi, l’unica seria prospettiva per le Marine del nostro Conti- nente, nel solco di una maggiore efficacia dell’allocazione delle risorse e dell’utilizzo operativo delle forze. Nell’era della globalizzazione e del consolidarsi di nuovi giganti mondiali – per ora soprattutto nel campo della demografia e dell’economia – l’Europa è infatti chia- mata a riprendere il cammino dell’integrazione politica, proprio ripartendo dal campo militare. So che non è un cammino facile, ma bisogna darsi delle tappe, anche iniziando dalla collaborazione in campo industriale. Abbiamo già fatto passi in avanti nel settore delle forze anfibie, come ben dimo- strato in questa esercitazione. Siamo soddisfatti della collaborazione con la Spagna e della consolidata dimen- sione interforze raggiunta dalle nostre Forze Armate, oggi in grado di contribuire, con rilevanti capacità di proiezione, alle forze di reazione rapida della NATO e del- l’Europa. L’esercitazione “MARE APERTO 2006” ha consentito, fra l’altro, di verificare i progressi compiuti nell’addestramento, con riferimento specifico alla capacità inter- forze di proiezione dal mare, che ha visto il coinvolgimento del reggimento Lagu- nari “Serenissima” dell’Esercito.

Ammiraglio Di Paola, Ammiraglio La Rosa, Ufficiali, Sottufficiali, Marinai,

all’inizio di questo mio intervento, ho voluto ricordare la coincidenza dell’esercita- zione di oggi con la ricorrenza dell’impresa di Premuda, condotta valorosamente dal Comandante Rizzo e dai suoi uomini; un’impresa che merita l’ammirazione e il ri- cordo indelebile in tutti gli italiani. Desidero concludere affermando che uguale rispetto e considerazione dobbiamo avere verso tutti i marinai che hanno operato in mare, in ogni occasione di pace e di guerra e ai tanti che sono caduti. Ricordiamo, perciò, e onoriamo, con uguale intensità di sentimenti, la memoria degli uomini che violarono la Baia di Suda, nella notte del 25 marzo 1941 come quella dell'Ammiraglio Carlo Bergamini, e di tutti gli Ufficiali, Sottufficiali e Ma- rinai caduti nell'affondamento della corazzata “Roma” e dei cacciatorpediniere “Da Noli” e “Vivaldi” il 9 settembre del 1943.

26 Discorsi e indirizzi di saluto

Agli uomini ed alle donne impegnati nell’esercitazione, confermo il mio personale apprezzamento per il lavoro svolto. Le Istituzioni della Repubblica e i cittadini italiani guardano alla Marina con orgo- glio e gratitudine per le tante prove di capacità e dedizione fornite sui mari del mondo. La Marina Militare ha già dato brillanti testimonianze nelle numerose missioni compiute. Il potenziale aereo, le attitudini anfibie, la versatilità dei mezzi navali, le capacità di pianificazione e comando costituiscono fattori di successo che conferi- scono alla Forza Armata affidabilità in ogni occasione. Rinnovo, dunque, il saluto alla Marina Militare che oggi conferma le proprie ele- vate capacità ed il proprio spirito di servizio alla Patria.

Viva la Marina Militare! Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

27 Due anni al Ministero della Difesa

Visita al Contingente militare italiano in Afghanistan Kabul, 16 giugno 2006

Ammiraglio Di Paola, Generale Gay, uomini e donne del Contingente italiano in Afghanistan,

a poco meno di un mese dal mio giuramento di fedeltà alla Repubblica, ho sentito forte il desiderio di essere qui con voi, in questa terra lontana dalla nostra Patria, in un’area fra le più martoriate del mondo. Vi porto il saluto del Governo, delle Forze Armate e dell’Italia intera, sempre at- tenta al vostro impegno, sempre vicina nel momento del dolore e del ricordo rico- noscente. Come Ministro della Difesa ho ritenuto doveroso recarmi personalmente a visitare i nostri Contingenti all’estero, per conoscere direttamente gli uomini e le donne che ne fanno parte, per guardare nei loro coi nostri occhi e condividere l’orgoglio di compiere un servizio utile alla difesa della stabilità internazionale e alla costruzione della pace. L’Italia sta facendo il suo dovere per portare pace e sicurezza in un Paese devastato ed abbiamo pagato un alto prezzo per la nostra coerenza e per la nostra determina- zione. Il mio primo pensiero va, perciò, ai militari caduti in questa terra. Come ho fatto a Nasiriyah, voglio ricordarli uno per uno, chiamandoli per nome per rammentarli alla nostra memoria e al nostro cuore:

• Capitano di Fregata Bruno Vianini; • Tenente Manuel Fiorito; • Maresciallo Luca Polsinelli; • Caporale maggiore Giovanni Bruno; • Caporale maggiore capo Michele Sanfilippo.

L’Italia non li dimentica. L’Italia li onora, ben consapevole del significato del loro sacrificio e dei risultati raggiunti dopo quattro anni di presenza internazionale. Stare qui, al centro di una grande operazione internazionale, grazie alla quale co-

28 Discorsi e indirizzi di saluto

minciano a delinearsi possibili soluzioni politiche, è certamente un fatto che motiva la presenza italiana e conferisce un significato alto – un significato di natura morale – al vostro impegno, ai vostri sforzi, alla vostra attenzione.

Ammiraglio Di Paola, Generale Gay, uomini e donne del Contingente italiano in Afghanistan,

l’Italia attribuisce grande importanza alla stabilizzazione politica dell’Asia centrale e dell’Afghanistan in particolare, dopo decenni di guerra e dopo la triste parentesi del regime talebano e dell’insediamento terroristico. In Afghanistan, dopo tanti sforzi, si è avviato un processo democratico del quale conosciamo e apprezziamo la fatica, qui, in una terra ove il tempo sembra essersi fer- mato e dove la violenza appare una consuetudine piuttosto che una eccezione. Ma passi avanti ne sono stati fatti e ne abbiamo fatti. Grazie all’impegno della NATO, che ha operato e opera in ottemperanza di un mandato delle Nazioni Unite. È la politica stessa che ha iniziato a riprendere il suo cammino, con la rina- scita di nuove e libere istituzioni e con il rafforzamento dell’autorità statuale. Non ci facciamo illusioni sul futuro dell’Afghanistan. Sappiamo che dobbiamo continuare a collaborare con le autorità del Paese, sostenendole con una presenza militare capace di garantire sicurezza in ogni angolo del territorio: qui nella Capitale come nelle diverse province. Né qui, né altrove nel mondo, il terrorismo deve trovare santuari per la propria or- ganizzazione criminale. L’Italia sente questo imperativo come un dovere, un dovere di civiltà e non farà mancare il suo contributo: politico, militare, diplomatico, eco- nomico e civile. Non mi resta perciò che rinnovare a ognuno di voi il saluto e l’augurio più sincero e cordiale del Governo e dell’intero Paese. Vi riconfermo la mia stima personale e vi auguro buon lavoro.

Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

29 Due anni al Ministero della Difesa

Visita al Contingente militare italiano ISAF in Afghanistan Herat, 17 giugno 2006

Ammiraglio Di Paola, Generale Errico, uomini e donne del Contingente italiano,

vi porto il saluto del Governo, delle Forze Armate e dell’Italia intera che vi segue con attenzione in un impegno particolare e straordinario, un vero e proprio “nation building” in una delle zone più difficili del pianeta. Come ho avuto modo di ricordare a Kabul, non è trascorso neppure un mese da quando ho giurato fedeltà alla Repubblica come Ministro della Difesa. Ma prima di ogni cosa ho sentito il bisogno di venirvi a trovare. Ho sentito il dovere di venire a visitare i nostri Contingenti all’estero, per conoscere direttamente gli uomini e le donne che ne fanno parte, per guardare negli occhi chi è qui a nome dell’Italia per difendere la stabilità internazionale e la costruzione della pace. Il nostro Paese attribuisce grande importanza alla stabilizzazione politica dell’Asia centrale e, in particolare, dell’Afghanistan, dopo decenni di guerra e dopo la triste parentesi del regime talebano e dell’insediamento terroristico. Dopo tanti sforzi, anche qui in Afghanistan la democrazia ha iniziato a cammi- nare, a fare i suoi primi passi, passi preziosi, anche se incerti, difficili e precari come tutti i primi passi. Ne abbiamo piena consapevolezza. Grazie al preciso mandato delle Nazioni Unite, grazie al deciso impegno della NATO, che sta sperimentando la propria capacità di operare con una visione globale in uno Scacchiere remoto, i primi, fondamentali obiettivi sono stati raggiunti, con la rinascita di nuove e libere istituzioni e con il rafforzamento dell’autorità dello Stato. Noi siamo parte di questo impegno e riproponiamo di continuare ad onorarlo nel migliore dei modi, grazie alla vostra maturità, alla vostra professionalità ed umanità. Ricordavo a Kabul che proprio la ricostruzione dello Stato è una novità per queste terre, ove vigono consuetudini millenarie e dove mancavano radicate tradizioni di uno Stato centrale. Ebbene, alla fondazione di questo Stato noi vogliamo dare il nostro contributo, grazie ad una presenza militare che garantisce sicurezza e che – al tempo stesso – si pone a supporto delle nuove amministrazioni locali e realizza interventi e servizi di primaria importanza so- ciale, con particolare riguardo ai settori delle opere pubbliche, dell’istruzione e della sanità.

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È ormai una realtà consolidata, di indiscussa utilità, il team di ricostruzione pro- vinciale, una esperienza avanzata che l’Italia svolge nel quadro dell’ISAF al servizio dell’intera Comunità internazionale. Non possiamo perdere la sfida. L’Afghanistan ha bisogno di aiuto per una rinascita politica e per avvicinarsi ad una dimensione nuova di sviluppo sociale ed economico, abbandonando millenarie abitudini oggi non più in grado di assicurare sostentamento, sicurezza, libertà. Non siamo nuovi colonizzatori. Siamo servitori di una radicata e consapevole idea di pace e lavoriamo con le autorità nazionali: tassello fondamentale per il futuro di questo Paese. Per questa nostra missione – una missione che è una missione di pace – abbiamo pagato un alto prezzo. A Kabul, come già avevo fatto a Nasiriyah, ho ricordato i no- stri Caduti qui in Afghanistan, chiamandoli per nome uno per uno, per riportarli alla nostra memoria e al nostro cuore. Voglio ripetere i loro nomi qui con voi:

• Capitano di Fregata Bruno Vianini; • Tenente Manuel Fiorito; • Maresciallo Luca Polsinelli; • Caporale maggiore Giovanni Bruno; • Caporale maggiore capo Michele Sanfilippo. Non li abbiamo dimenticati, non li dimenticheremo.

Così come non dimenticheremo il sacrificio di Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera, caduta nell’adempimento del proprio dovere.

Ammiraglio Di Paola, Generale Errico, uomini e donne del Contingente italiano,

stare qui, al centro di una grande operazione internazionale grazie alla quale co- minciano a delinearsi alcune soluzioni politiche, è certamente un fatto che motiva la presenza italiana e conferisce un significato alto – un significato di natura morale – al vostro impegno, ai vostri sforzi, alla vostra attenzione e vigilanza. Dobbiamo continuare su questa strada. Con una lotta coraggiosa contro ogni pos- sibile ripresa del terrorismo, con il massimo sforzo per creare una nuova stagione di speranza e benessere per l’Afghanistan. È questo il modo migliore per lavorare per la pace, per costruire un efficace si- stema di sicurezza collettiva. A vantaggio di tutti i popoli del mondo. Grazie per quello che avete fatto, per quanto fate e per quanto continuerete a fare, con l’intelligenza, il coraggio, l’umanità, la nostra umanità di sempre.

Viva l’ISAF! Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

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Cerimonia di chiusura dell’anno accademico del CASD Roma, 20 giugno 2006

Onorevoli Sottosegretari, Onorevoli Deputati, Signor Presidente della Commis- sione Difesa della Camera, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Ammiraglio Di Paola, Autorità civili, religiose e militari, Signori Ufficiali, Signore e Signori,

in occasione di questa tradizionale cerimonia che segna la chiusura dell’Anno Ac- cademico dell’Istituto Alti Studi per la Difesa e dell’Istituto Superiore di Stato Mag- giore Interforze rivolgo a tutti voi il saluto del Governo ed in particolare quello del Presidente Prodi, che è vicino alle Forze Armate e particolarmente attento alle loro dinamiche ed esigenze. Saluto e ringrazio il Generale Camporini – Presidente del Centro Alti Studi della Difesa - il Quadro permanente, il corpo insegnante ed il personale tutto dell’Istituto e mi compiaccio per l’alta qualità dei corsi ed il livello elevato delle attività culturali svolte che confermano il CASD quale Istituto di altissima esperienza, rispondente in pieno alle aspettative ed ai compiti che gli sono attribuiti. Saluto gli Ufficiali frequentatori, italiani e stranieri, ed esprimo loro un sincero ap- prezzamento per l’impegno, la serietà e la dedizione di questi mesi di studio. Come sapete sono Ministro da poco più di un mese ed ho iniziato il mio lavoro in un periodo in cui la Difesa e le tematiche della sicurezza sono sempre più al centro del dibattito politico nazionale. È un dibattito che mi ha immediatamente proiet- tato nel cuore di quei problemi che attengono alla precisa definizione dell’ uso dello strumento militare quale componente della politica estera dell’Italia. Ritengo in ogni caso certamente positivo - e questo è un punto che voglio premet- tere ad ogni successiva argomentazione - il fatto di veder finalmente riconosciuta alla politica militare l’importanza che essa merita, soprattutto in questa epoca che potrebbe esser definita “di transizione accelerata”. Il mondo è cambiato. Dagli scenari post coloniali e della guerra fredda le vicende attuali ci proiettano infatti verso equilibri planetari e complessi, segnati dal sorgere di nuove grandi potenze, regionali ed in prospettiva mondiali. Il momento è caratte- rizzato dall’apparire di problematiche che non sono più governabili dai singoli Stati

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e chiamano quindi necessariamente in causa la intera Comunità internazionale. Penso all’ambiente, alla povertà, alle risorse energetiche tradizionali ed innovative, all’accesso all’acqua, al controllo delle epidemie, alle situazioni conflittuali o in ge- nere di crisi. È infatti, in questo contesto, il settore della sicurezza quello in cui è divenuto mag- giormente evidente come ciascuno sia parte di un tutto unico e come la pace sia in realtà un bene comune che tutti noi dobbiamo contribuire a difendere. Nella attuale condizione noi sappiamo quale sia stato il nostro passato e cono- sciamo quello che è il nostro presente. È invece più che mai incerto il nostro futuro. Possiamo però operare tutti affinché esso corrisponda, almeno per la sua parte es- senziale, alle nostre aspirazioni ed alle nostre aspettative. Ora che l’umanità si sta avviando a tagliare il traguardo dei dieci miliardi di indi- vidui, ci si impone un mondo in cui le risorse si assottigliano sempre di più. Per altro verso, la scienza e la tecnologia moltiplicano le potenzialità del genere umano fino a porre in discussione lo stesso fenomeno bellico, che non può più ra- gionevolmente manifestarsi con una intensità pari alla capacità distruttiva degli ar- mamenti d’oggi. L’esito sarebbe la sconfitta dei vincitori assieme a quella dei vinti. È chiaro che il mondo del futuro non sarà quello ottocentesco delle “politiche di potenza”. Questo scenario non è soltanto reso impraticabile – come dicevo in prece- denza - dall’impossibilità del ricorso ad un conflitto globale come strumento di po- litica. Esso è anche in aperta opposizione con il sistema di valori che guida le demo- crazie, oggi per fortuna presenti ed attive in gran numero sulla scena mondiale. Consentitemi, quindi, una lettura dei travagli del nostro tempo che non sia gui- data soltanto dal pessimismo. Poco più di novanta anni fa, l’assassinio di Sarajevo scatenò una atroce catena di orrori motivata dal contrasto fra le varie “ragion di stato “ di quelli che erano prota- gonisti dell’epoca. Agli orrori della guerra si aggiunsero poi quelli della epidemia di “spagnola” che infierì sulle popolazioni debilitate dagli sforzi e dagli stenti del con- flitto. Completò il quadro la crisi di fiducia di Wall Street, del 1929, che avviò la cupa fase di depressione mondiale riportando a livello di guardia le tensioni post belliche. Ebbene oggi, a distanza di decenni, quasi un secolo, noi possiamo dire di essere in grado di governare le principali crisi del pianeta, siano esse politiche, diplomatiche, economiche o sanitarie. Lo facciamo grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione, spesso in un quadro complessivo in cui la sicurezza è una necessità prioritaria ed in cui acquistano quindi particolare rilievo la potenzialità e versatilità degli strumenti militari.

Autorità, Signori Ufficiali,

in questo Istituto, che possiamo considerare come un tempio del realismo, voglio

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subito rassicurare che, col mio arrivo a Palazzo Baracchini, il Palazzo non è diven- tato la casa dei sogni! Tutti sappiamo infatti da sempre che le notti possono ospitare sogni e non incubi solo se sono precedute da giorni sereni. Tutti sappiamo che la sicurezza, la pace, il benessere non sono garantiti automati- camente una volta raggiunti. Né la democrazia può avere lunghe prospettive, se la- sciata unicamente alle vaghezze della ideologia! Ogni epoca ha le sue sfide e le sue minacce ed anche in questo nuovo mondo l’Italia può e deve svolgere un ruolo internazionale che sia all’altezza della sua posi- zione economica, del suo status politico e delle aspirazioni coltivate per il futuro. Come il successo delle missioni di questi anni e di quelle ancora in corso ha con- fermato, la politica militare è una delle componenti fondanti dell’azione internazio- nale del nostro Paese. La nostra volontà di pace, la nostra ispirazione e determinazione che l’articolo 11 ha definitivamente scolpito nella nostra Costituzione, deve tuttavia ogni giorno fare i conti con la realtà di un mondo che pacifico non è. Sappiamo che sotto la cenere della globalizzazione covano – esaltate da una scala di- venuta anche essa globale – le tensioni di sempre, quelle nazionalistiche, quelle et- niche, quelle religiose e quelle economiche. Un ulteriore elemento di complicazione del sistema è costituito poi da una malavita transnazionale tanto articolata e complessa da imporsi a volte come il vero “convitato di pietra” delle grandi assise mondiali. La guardia va perciò mantenuta alta, onde evitare che le tante contraddizioni di questo nostro tempo diano vita ad una miscela esplosiva . Questa necessità del momento attuale, pur seguita e compresa, non è stata però forse assimilata appieno dalla nostra opinione pubblica. L’hanno sicuramente capita – e aggiungo e sottolineo “per nostra fortuna” – i giovani che ogni anno si arruolano nelle Forze Armate dando vita ed animo ad uno straordinario volontariato in armi saldamente ancorato ai grandi valori della Costituzione e della tradizione civile ed umanistica del nostro popolo. E questo costituisce quasi una novità, ma un punto fermo e preciso della nostra realtà. A loro, a questi “soldati cittadini della Repub- blica”, a questi “cittadini in divisa” che ho avuto di recente l’occasione ed il privi- legio di incontrare in Iraq ed in Afghanistan, vanno il mio pensiero ed il mio pro- fondo apprezzamento che desidero rinnovare qui, di fronte a voi. Che la guardia vada mantenuta alta lo devono però forse meglio comprendere co- loro che in ambito culturale e mediatico mostrano ancora difficoltà di riconoscere ed approfondire la realtà dell’attuale momento storico. A loro, a noi che ne facciamo parte, dobbiamo chiedere di non fermarsi alla super- ficie dei problemi ed alla approssimazione delle soluzioni, cercando invece di com- prendere come la ricerca della pace abbia bisogno di un costante ancoraggio alla re- altà sul piano della conoscenza prima ancora che su quello della azione. E voglio ripe- tere ciò in questo Istituto destinato alla valutazione, allo studio, all’approfondimento. Deve essere altresì superato lo schema secondo cui il confine fra oppressi ed op-

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pressori abbia la nitidezza che hanno i confini tracciati sulle carte geografiche. La costruzione della pace inizia infatti in ogni singolo Stato con il rafforzamento della democrazia interna, con adeguate politiche di redistribuzione del reddito e di cre- scita civile, col rifiuto di ogni richiamo alla violenza, alle minacce, al terrore. Le minacce alla pace – comunque la si voglia intendere – oggi vengono dalla man- canza di democrazia interna, vengono dalle dittature, vengono dai fanatismi, na- scono nella mancanza del senso dello Stato e nella assenza della legalità. Credo che per il mondo occidentale la stagione del dopo colonialismo, intesa come una “stagione della colpa” debba essere definitivamente superata. È venuta ora la “stagione della responsabilità” e di questo mi piacerebbe scoprire in tutti noi una maggiore consapevolezza. Per questo motivo credo che la parola guida della politica militare di questo Governo debba essere proprio “responsabilità”. Anzi, meglio, “corresponsabilità”, vale a dire una responsabilità condivisa equamente fra tutti i compagni di strada, fra tutti i Paesi che condividono gli oneri e gli onori di questo passaggio della storia. Ma come collegare questa idea alle situazioni che viviamo e che ci circondano? Questo è il problema. La lotta al terrorismo internazionale è certo la prima sfida che siamo tenuti a con- dividere, all’interno delle Nazioni Unite, all’interno dell’Alleanza Atlantica con tutti i nostri alleati, primi fra tutti con gli altri Paesi europei. Nella nostra visione non esiste e non può esistere alcuna frattura fra le due dimen- sioni, quella atlantica e quella europea, di una politica di sicurezza che è unica. Per noi è chiaro che, se si dovesse manifestare una frattura, questa potrebbe portare alla fine delle libere democrazie dell’Occidente come oggi le concepiamo e le viviamo. Penso comunque di essermi già espresso su questo punto con sufficiente chiarezza anche nelle poche, ma significative occasioni da me avute in questo mese di go- verno, rifiutando speculazioni astratte ed illazioni gratuite. Europa ed America devono marciare insieme. Non vi sono alternative. Né vi pos- sono essere esiti diversi per questa o per quella crisi anche se è doveroso riconoscere come in alcuni casi – quale ad esempio quello della guerra a Saddam Hussein – le divergenze possano essere state ed essere anche marcate. Il fatto che il Paese fosse sotto il controllo di una feroce dittatura non consente in- fatti tuttora di dimenticare come l’attacco venne portato in un contesto politico del tutto particolare e privo di una preventiva approvazione da parte delle Nazioni Unite. Non è comunque mia intenzione riepilogare le tappe della vicenda irachena. La nostra posizione è nota. Ricordo solo che la NATO è assente dall’Iraq salvo per i li- mitatissimi compiti, centrati sulla formazione di élite, che essa ha assunto a Ba- ghdad. Sottolineo poi come le deliberazioni dell’ONU abbiano solo seguito gli eventi, senza precederli né governarli. È allo stesso tempo evidente come la cornice internazionale che oggi legittima la missione strida con le modalità operative che,

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anche a seguito dell’intensificarsi delle azioni terroristiche, i Paesi presenti in Teatro con i Contingenti più rilevanti sono stati costretti ad assumere. Azioni terroristiche, lo voglio ripetere ad alta voce, che l’Italia condanna “senza se e senza ma”, rinno- vando lo sdegno per il criminale ed immotivato sacrificio di tanti innocenti cittadini iracheni. Ed altresì di tanti giovani soldati, tra i quali i nostri, ai quali ancora va un commosso omaggio. Il processo che l’Iraq deve compiere per superare questa tragica fase della sua storia è lungo e difficile. Credo però che gli iracheni stiano veramente iniziando a ”fare da soli” rendendo possibile il progressivo disimpegno delle forze straniere. La partenza di tutte le truppe straniere operanti nel Paese è del resto uno dei principali obiettivi che lo stesso nuovo Governo di Baghdad si è proposto sin dall’ inizio del suo mandato. Guardiamo così con compiacimento al progressivo rafforzarsi della autorità sta- tuale in quel martoriato paese, nonché allo sforzo espresso da tutte le sue compo- nenti religiose ed etniche per trovare un punto di accordo su cui investire l’azione del Governo. Le Forze Armate irachene stanno tra l’altro esprimendo livelli crescenti di capacità ed efficienza come dimostrato proprio in questi giorni da una serie di operazioni volte a riacquisire il controllo del territorio. È un cammino difficile, ma un cammino che procede. Il Governo ha di conseguenza deciso di portare a conclusione l’impegno militare in corso in Iraq. Nella Provincia di Dhi Qar nel quadro della missione denominata Antica Babilonia. Lo ha fatto nel rispetto del mandato ricevuto dagli elettori e sta ora valutando con le altre parti interessate e con il legittimo Governo iracheno quale possa essere il miglior calendario per il rientro dell’intero Contingente entro l’au- tunno. Un rientro che dovrà avvenire con dignità ed attenzione costante alla vita ed alla incolumità di tutti, nonché con modalità che consentano un trasferimento di responsabilità ordinato e che non determini quindi vuoti pericolosi di responsabilità e di potere. La conclusione della missione e il conseguente rientro non equivale tuttavia ad un disinteresse verso la situazione e la sorte di quel paese. Continueremo perciò ad es- sere presenti in Iraq con un ventaglio di attività che saranno prevalentemente civili, ma comprenderanno anche la partecipazione alla azione di formazione e addestra- mento dei Quadri militari e della Polizia. Anche per quanto riguarda l’Afghanistan, mi sono già espresso chiaramente in più occasioni. Voglio comunque sottolineare come, pur essendo pienamente consape- vole delle difficoltà che una simile decisione comporta, io ritenga opportuna ed im- portante questa nostra presenza militare che sostanzia la continuità di un impegno pienamente condiviso con tutti i nostri alleati. Come nei Balcani, in Afghanistan l’Italia è e si sente parte di uno sforzo che coin- volge l’intera Comunità internazionale, impegnando sul piano della sicurezza e su mandato delle Nazioni Unite Contingenti dell’Alleanza Atlantica in cui tra l’altro il peso della presenza europea è fortemente rilevante.

36 Discorsi e indirizzi di saluto

Nel Teatro afgano la NATO sta oltretutto mettendo alla prova la sua stessa identità e la sua capacità di operare su uno Scacchiere remoto e con una visione globale, po- nendo a disposizione strutture e forze per la costruzione di un disegno di ordine e di pace gestito dall’ONU. Il Governo perciò intende proporre al Parlamento di continuare nel nostro im- pegno, assicurando una presenza di Forze analoga per entità a quella dispiegata in passato e nella sua qualità e composizione ridefinita in modo da corrispondere agli impegni operativi che sono stati assunti dal nostro Contingente nel quadro del- l’ISAF. Sappiamo infatti bene come per l’Afghanistan non esistano a tutt’oggi alter- native, alternative reali e responsabili alla presenza internazionale. Sappiamo inoltre altrettanto bene, e lo teniamo ben presente, come anche in Af- ghanistan vi siano elementi di preoccupazione che ci chiamano ad una vigilanza sul piano politico e su quello operativo. Restiamo in ogni caso ben decisi a confrontarci con questi elementi di preoccupazione in un clima di confronto di idee e di totale condivisione, condivisione – ripeto – con i nostri alleati sia per quel che riguarda il piano della valutazione che delle determinazioni operative. Come ho già avuto occasione di dire per quel che riguarda l’Iraq, muovendo dalla considerazione che l’alternativa fosse un’alternativa secca tra permanenza e rientro, il Governo ha ritenuto di non poter prendere in considerazione l’ipotesi di un rientro a metà, lo stesso avanzato dal Governo che ci ha preceduto. Allo stesso modo in Afghanistan, dove a nostro parere il quadro dei riferimenti internazionali è pro- fondamente diverso, il Governo ha deciso di rimanere continuando ad assumersi la pienezza della responsabilità poiché non ritiene di poter prendere in considerazione una permanenza a metà quale sarebbe quella che deriverebbe da un depotenzia- mento degli impegni già assunti. Il nostro parere è: o si rientra o si rimane. Non rientreremo a metà dall’Iraq. Non rimarremo a metà in Afghanistan. Rientreremo da Nasiriyah in modo dignitoso, ripeto, responsabile, sicuro e con- cordato, ma rientreremo. Resteremo con la NATO nell’ISAF guidati da un atteggiamento vigilante e consa- pevole, ma resteremo. Ovunque gli alleati debbono sapere che potranno comunque far conto sulla nostra franchezza, sulla nostra lealtà e sulla nostra affidabilità.

Autorità, Signori Ufficiali,

le informazioni raccolte nei giorni passati anche con visite alle unità impegnate in missioni fuori dal territorio nazionale mi hanno confermato, certamente con ben più ricchi dettagli rispetto a quelli messi a mia disposizione dalla documentazione esistente, quanto già sapevo sulle nostre Forze Armate. Il lavoro svolto nelle passate Legislature è stato rilevante, dalla riforma dei Vertici

37 Due anni al Ministero della Difesa

al passaggio al servizio professionale, alla decisione di anticipare la fine del glorioso istituto della leva. Si è però nel contempo allargato il gap fra l’intensità degli impegni e le risorse di- sponibili, fra l’entusiasmo e la disponibilità al sacrificio di tutto il personale e le ef- fettive modeste disponibilità di fondi e di materiali. Dico subito, senza inutili premesse ed inutili promesse, che questa non è la sta- gione dei miracoli. L’Italia sta attraversando una congiuntura economica pesantissima ed occorre- ranno, quindi, ancora sforzi e tempo prima che si possa del tutto rovesciare una ten- denza e restaurare pienamente una situazione che, da questo punto di vista, non esito a definire catastrofica. Durano però, ormai da troppo, gli anni in cui da un lato si prometteva all’Alleanza Atlantica di elevare il bilancio della Difesa all’uno virgola cinque per cento del Prodotto Nazionale Lordo, mentre dall’altro si procedeva in ogni occasione ad indiscriminati e rovinosi tagli delle risorse poste a disposizione del settore. Bisogna che le parole ed i fatti si incontrino e riducano la loro distanza. Eppure sappiamo tutti che lo strumento militare è come un organismo umano e deve quindi essere in buona salute per poter continuare a funzionare bene. Deve cioè disporre di una alimentazione sana, vale a dire nel nostro caso di un bilancio in grado di erogare risorse adeguate, che assicurino quel minimo di sopravvivenza che pone la domanda del “perché”. In attesa di momenti migliori e di fronte ad un bilancio ristretto ciò che possiamo per il momento fare è cercare di affrontare il problema con una visione strategica e di lungo periodo, definendo priorità e cadenze normative che diano se non altro certezze alle Forze Armate ed all’industria per la Difesa, permettendoci altresì di assumere con i nostri alleati tutti gli impegni e soltanto quegli impegni che sappiamo di essere in grado di onorare. Nel frattempo, si opererà per cercare di razionalizzare l’impiego delle risorse presenti in bilancio, cercando di diminuire la esorbitante fetta delle spese dedi- cate al personale, senza però che ciò comporti, naturalmente, ulteriore sacrificio per i singoli. Si porrà parimenti particolare attenzione al settore dell’addestramento mentre si porrà in esame, di concerto con altri settori della compagine statale nonché con l’in- dustria per la difesa, il modo per rilanciare gli investimenti. La prossima manovra di bilancio, che si approssima sempre più, rappresenterà il primo momento di programmazione che affronterò, sotto la guida del Presidente del Consiglio ed in accordo con i Ministri dell’Economia e degli Esteri e con il coin- volgimento del Ministro dello Sviluppo Economico, in virtù degli aspetti industriali legati alle scelte da fare. Da parte del Parlamento e del Governo ci vorrà non solo responsabilità ma anche coraggio e lungimiranza. Intendiamo muoverci in forte sinergia con le indicazioni della Alleanza Atlantica e quelle dell’Unione Europea per lasciarci definitivamente alle nostre spalle l’epoca degli sciovinismi nazionali e delle inutili duplicazioni. Siamo ben consci infatti di come, per continuare ad essere utili al Paese, le Forze Ar-

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mate debbano poter continuare a progredire. Restando capaci di un output che possa inserirsi senza difficoltà nel sistema posto a disposizione da tutti quei paesi ai quali ci sentiamo vicini e che condividono con noi le responsabilità che insieme ci siamo assunti. Faremo quindi ogni possibile sforzo per essere presenti nei principali programmi di ricerca e di sviluppo, europei ed internazionali. Più tecnologia vuol dire più sicu- rezza per i militari e per i civili coinvolti in operazioni belliche, nonché per i Paesi dotati di eserciti moderni. Questo lo diciamo ricordando le responsabilità di un Paese che, senza sciovinismi, sa di essere un grande Paese. L’Italia è e resta un grande Paese. Il patrimonio di consenso accumulato negli anni passati per quanto fatto in am- bito internazionale a partire dal Libano, nei primi anni ottanta, va mantenuto e raf- forzato. Ad una classe politica e ad una opinione pubblica sempre più attente, ma non ade- guatamente attente alla politica militare, va spiegato come lo svolgimento del ruolo al quale l’Italia è chiamata in ambito internazionale per la costruzione di una sicu- rezza condivisa abbia anche costi non eludibili. Debbono altresì comprendere, dob- biamo tutti assieme comprendere, che il “pacchetto sicurezza” vada preso tutto in- tero, compiacendosi del plauso e dell’opera di pacificazione ma nel contempo ragio- nando anche sulle inevitabili spese. In futuro l’Italia farà il proprio dovere ove più serve ed ove è più capace di svol- gerlo, tenendo presente che la risposta più adeguata al terrorismo resta sempre quella multidimensionale, ove la severità militare si muove in stretta sintonia con l’azione della polizia e dell’intelligence e si inserisce nel tessuto della politica, del- l’economia, della diplomazia. La pluralità degli strumenti a nostra disposizione per sostenere la pace, difendere la sicurezza, promuovere lo sviluppo va esplorata in tutta la sua valenza e potenzialità per conferire più efficacia all’azione, anche quando essa è di natura militare. Vivremo i nostri doveri con responsabilità e sottolineeremo a tutti il concetto di responsabilità condivisa, di condivisione di responsabilità, per sfatare falsi miti, per rafforzare la democrazia, per non dare tregua alla lotta contro il terrore, il fanatismo, l’ingiustizia. È questo ciò che noi intendiamo per impegno di pace e sappiamo di poter contare in ogni momento, perché questo impegno sia onorato, sulla dedizione e sul coraggio di tutto il personale militare. Ve ne ringrazio e vi ringrazio altresì anche per la collaborazione e per l’aiuto che sono sicuro di ricevere da tutti voi in quel tratto di strada che siamo chiamati a fare insieme.

Autorità, Signori Ufficiali, ho terminato. Grazie per la vostra attenzione e per la vostra pazienza.

39 Due anni al Ministero della Difesa

Rientro in Patria dall’Iraq della Brigata “Sassari” Sassari, 26 giugno 2006

Autorità, Signori Sottosegretari, Signor Capo di Stato Maggiore della Difesa, Si- gnor Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Signor Sindaco, Generale Madeddu, Uf- ficiali, Sottufficiali, uomini e donne della Brigata "Sassari",

nel momento in cui fate ritorno nella nostra terra dopo il difficile impegno nella missione "Antica Babilonia" voglio salutarvi e accogliervi a nome del Governo, delle Forze Armate e di tutto il Paese. L'Italia vi ringrazia per quello che avete fatto in Iraq nell'adempimento di un man- dato della Repubblica e si stringe intorno a voi nel ricordo di chi in questo adempi- mento, per questo adempimento, ha dato la propria vita. Poche settimane fa, a Nasiriyah, ho evocato con voi, ho ricordato alla mente e al cuore i nomi di tutti i militari e dei civili italiani caduti a nome e per conto del- l'Italia in Iraq. A loro rinnovo oggi un commosso pensiero; alle loro famiglie un sen- timento genuino di cordoglio e di solidarietà. Con particolare vicinanza mi rivolgo alla famiglia del Caporale maggiore scelto Alessandro Pibiri, deceduto in seguito all'attentato dello scorso 5 giugno. Egli non può rispondere oggi al nostro appello, ma noi sappiamo che è qua presente in mezzo a noi. La stessa vicinanza voglio manifestare agli altri coraggiosi militari della Brigata “Sassari” che in quella occasione sono rimasti feriti. L'Italia non dimentica, come non dimentica nessuno dei Caduti nelle missioni di pace, che hanno dato la loro testimonianza, una testimonianza definitiva dello stra- ordinario e nobile impegno che il Paese svolge da più di venti anni. Uomini e donne della “Sassari”, voi tornate oggi alle vostre famiglie e ai vostri af- fetti. Sappiate tuttavia che ad accogliervi non sono solo i vostri cari ma è tutto il Paese. La Sardegna si stringe oggi intorno a voi, perché in voi riconosce gli interpreti di una lunga tradizione di orgoglio militare e di senso di appartenenza alla comunità che in questa terra è fortemente radicato. Di queste memorie, voi siete degni eredi e lo state provando in terre lontane, por- tando il messaggio di fratellanza dell'Italia, la volontà di pace del nostro popolo, la fer-

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mezza nella difesa del diritto che abbiamo scolpito nella nostra Carta Costituzionale. Nei vostri occhi avete ancora le immagini dell'Iraq. Non le dimenticherete, così come non le dimenticherò io, che pure sono stato a Nasiriyah solo poche ore, con- dividendo con voi una delle ultime giornate della vostra presenza operativa. Il nostro giudizio sulla vicenda irachena è noto. Ma oggi, grazie a voi e agli altri re- parti che hanno operato in Iraq, possiamo dire, l’Italia può dire, di aver fatto la no- stra parte, aiutando la nascita di una nuova democrazia, ancora fragile, eppure inne- stata su una società civile. Una società che ha radici antiche, che ha la cultura del- l'amministrazione statuale, cresciuta e maturata lungo le tormentate vicissitudini della sua storia, dalla fine dell'Impero ottomano fino ai nostri giorni. Voi non siete stati in quella terra come colonizzatori né a imporre la nostra civiltà, ma ad aiutare gli iracheni a ritrovare e difendere la loro. La ziqqurat di Nasiriyah è là a ricordarci assieme a quella a noi vicina di Monte d'Accoddi, qui vicino, quanto sia antica la civiltà del popolo iracheno. Fra enormi difficoltà, l'Iraq sta muovendo i primi passi con le proprie gambe, una premessa confortante verso un Paese finalmente libero, democratico e sovrano. La conclusione del nostro impegno militare, come presenza diretta di Contingenti in armi, va ad innestarsi ora su un percorso nuovo che si esprimerà attraverso un so- stegno politico, un sostegno diplomatico, economico e culturale al nuovo Iraq, che comprende anche il contributo alla formazione dei Quadri delle Forze Armate e della Polizia. Col vostro ritorno in Patria, inizia il rientro del nostro Contingente militare, quel rientro che è stato auspicato dai cittadini. Un rientro ordinato e sicuro, e perciò concordato nelle sue modalità con il governo iracheno e tutte le altre parti interes- sate. L'Italia non volterà tuttavia le sue spalle all'Iraq. La conclusione della nostra presenza militare non rappresenta in alcun modo un disimpegno. L'impegno del- l'Italia proseguirà attraverso una rafforzata collaborazione politica, civile, umanitaria e di sostegno alle Istituzioni ed alla ricostruzione del Paese. È un programma quali- ficato che si propone di rafforzare l'impegno della Comunità internazionale. L'Iraq resta un Paese amico e un Paese vicino. Per il suo futuro, per il futuro delle generazioni che verranno, l’Italia, noi, abbiamo pagato un alto prezzo.

Uomini e donne della Brigata "Sassari",

la vita militare, la vita che voi avete scelta come professione, conosce anche la sosta, ma come dovuto e necessario intervallo fra gli impegni operativi. Presto rico- mincerete a prepararvi, ad affinare la vostra professionalità, la vostra capacità di ri- spondere in ogni momento alle esigenze di sicurezza, con la consapevolezza che l'uso della forza militare, sempre calibrato e mirato, ha come suo solo fine la difesa della pace. La Brigata "Sassari", come le altre Unità delle nostre Forze Armate, sarà ancora

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chiamata in quei Teatri operativi ove l'Italia è già presente e sarà presente nel quadro delle missioni decise dalla Comunità internazionale. Noi siamo consapevoli della gravità di questi compiti, ma anche della necessità di una loro continuazione nel tempo, per consentire alla politica, alla cultura, ai mutamenti sociali ed economici di fare la loro parte. Sappiamo che la pace non è un moto dell'animo o uno slogan da sbandierare con facilità; ma è una realtà da costruire giorno per giorno, soprattutto dove i conflitti e le tensioni sono ancora aperti. In questo impegno vanno usati tutti gli strumenti e, spesso, un uso controllato della forza militare rappresenta ancora una condizione indispensabile per costruire, o ricostruire, scenari di vita migliori. L'uso controllato della forza legittima è all'interno del nostro Paese, di ogni Paese, come fuori di essi, una risposta necessaria contro la violenza ingiusta. L'esperienza di questi ultimi decenni ci indica la via. La saggezza ci convince ad essere attivi, fermi, coerenti usando allo stesso tempo, come voi avete dimostrato, fermezza, equilibrio e senso di umanità. L’Italia è una grande democrazia. Perciò, siamo e vogliamo restare attori di primo piano della grande famiglia delle democrazie.

Uomini e donne della Brigata "Sassari",

novantuno anni fa la Brigata "Sassari" cominciava a scrivere la propria leg- genda, con la conquista delle trincee "delle frasche" e "dei razzi", azioni valorose nelle quali la Brigata si batté con grande coraggio, contribuendo a far sì che le Bandiere dei suoi reggimenti, il 151° e il 152°, meritassero la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Di quei fanti voi siete i degni eredi e lo avete dimostrato con la vostra professio- nalità, il vostro coraggio, e ripeto, la vostra umanità. Il vostro coraggio è pari a quello dei vostri padri. Ma grazie ai loro sacrifici e al loro dolore, la nostra, la vostra consapevolezza è oggi cresciuta. Grazie ad essi voi sapete oggi pienamente di essere figli della Sardegna e cittadini della Repubblica. Voi sapete di essere cittadini soldati di una Repubblica che sa che esiste il Mondo e che nel governo di questo Mondo si sente corresponsabile della costruzione della sicurezza e della difesa della pace. La solidarietà tra i sardi che altri avevano in passato descritto, in modo irridente, come "pocos, locos y mal unidos" divenne sul Carso un patrimonio comune al quale ancora oggi si alimenta in Sardegna il cammino della democrazia. Nello stesso modo, vorrei che la vostra esperienza del mondo, quella che avete fatto as- sieme, la responsabilità della difesa della pace che avete attivamente condiviso in terre lontane, le conoscenze, i giudizi, i sentimenti che avete sperimentato diven- gano oggi un patrimonio da condividere con i nostri concittadini e da trasmettere ai nostri figli.

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Grazie di nuovo per quello che avete fatto; grazie a nome di tutti i cittadini e del Governo della Repubblica per il vostro generoso impegno, che onora le nostre mi- gliori tradizioni e lo spirito di pace e solidarietà del nostro popolo. Voglio gridare, ancora una volta, con voi:

Viva la Brigata "Sassari" e le Forze Armate! Viva l'Italia! Fortza Paris!

43 Due anni al Ministero della Difesa

Avvicendamento del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Roma, 6 luglio 2006

Signor Presidente del Consiglio,

sono veramente lieto di accoglierLa in questa sede e desidero esprimerLe la ricono- scenza dei Carabinieri e delle Forze Armate per aver voluto presenziare a questa im- portante cerimonia di avvicendamento al vertice dell’Arma. La sua partecipazione alla cerimonia offre una prova concreta dell’attenzione del Governo, e della Sua at- tenzione personale, verso i Carabinieri e verso tutto il mondo militare. Saluto e ringrazio tutte le Autorità intervenute, i rappresentanti del Parlamento e del Governo, in particolare il Ministro dell’Interno, che, con la loro presenza, rinno- vano la testimonianza di stima e di affetto verso i Carabinieri. Un saluto tutto particolare lo rivolgo, naturalmente, ai Generali Gottardo e Siazzu. Gli avvicendamenti in democrazia assumono particolare significato e sono funzio- nali alla vita delle Istituzioni, a quelle militari come a quelle civili, perché non solo rappresentano occasioni per tracciare consuntivi delle attività svolte e degli obiettivi raggiunti, ma costituiscono anche momenti di suggestiva e forte emozione che ci in- vitano a pensare il futuro. Nella cerimonia di oggi, inoltre, per la prima volta avviene il cambio al Comando dell’Arma dei Carabinieri fra due Generali provenienti dall’Arma stessa, frutto di un cambiamento importante avvenuto due anni orsono. Un cambiamento opportuno frutto di una scelta opportuna. Al Generale Gottardo, che oggi lascia la sede di Viale Romania e la guida del- l’Arma, va un grazie, un grazie sincero, sentito, profondo, per quanto ha fatto dal maggio 2004 ad oggi. Un periodo certamente non facile per chi ha ricoperto il deli- cato incarico di Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Sono stati anni intensi, nei quali sono maturati profondi cambiamenti avvenuti nella struttura della Forza Armata – avviati grazie alla riforma che ha dato ai Carabi- nieri la tanto attesa autonomia – poi consolidati grazie anche ai nostri impegni al- l’estero, dalla Bosnia all’Afghanistan, dall’ all’Iraq, al Kosovo.

44 Discorsi e indirizzi di saluto

I risultati raggiunti durante questo periodo mi consentono di esprimere, anzi di confermare un giudizio più che lusinghiero sulle attività dei Carabinieri, da sempre impegnati nella difesa della Repubblica, sotto il profilo della sicurezza interna e di quella internazionale, componenti inseparabili di un'unica grande sfida, quella oggi imposta dalle nuove minacce globali. L’Arma si è distinta particolarmente, in stretta cooperazione con le altre Forze Ar- mate, nelle operazioni multinazionali di sostegno della pace, affermando nel proprio settore un indiscusso primato di professionalità e di efficienza. I Carabinieri, in questi due anni, hanno fornito un qualificato concorso all’opera di stabilizzazione delle aree di crisi, svolgendo anche azione di “contrasto avanzato” al terrorismo e al crimine transnazionale, principali fonti di minacce per la sicurezza del Paese. La designazione di due Ufficiali Generali dell’Arma, l’ha appena ricordato il Capo di Stato Maggiore della Difesa, alla guida di missioni dell’Unione Europea, nella striscia di Gaza e in Bosnia, hanno rappresentato ulteriori riconoscimenti a livello internazionale delle capacità acquisite in questo settore. E proprio sotto il mandato del Generale Gottardo, voglio ripeterlo anch’io, si col- locano l’avvio del COESPU (Centro di Eccellenza per la Stability Police Units) e la costituzione della Forza di Gendarmeria Europea di Vicenza. Ricordo inoltre l’azione di contenimento e contrasto alla criminalità organizzata, che ha portato all’arresto di diversi elementi di spicco, tra i quali pericolosi latitanti, e alla disarticolazione di radicate consorterie criminali, soprattutto in regioni ove i fenomeni mafiosi sono particolarmente radicati. Sono stati anni segnati anche da eventi molto tristi, legati proprio alle missioni di pace che vedono il nostro personale impegnato in aree lontane, in Teatri operativi anche molto difficili. Né posso dimenticare la rinnovata emozione che ho provato in occasione della mia recente visita a Nasiriyah, per i Carabinieri che lì hanno perso la vita per un barbaro attentato terroristico. Nell’occasione ho voluto evocare il nome di tutti quei Caduti, per ricordare il loro sacrificio, un sacrificio che non dimenticheremo mai, che ci chiama a restare vicini al nuovo Iraq, anche se con modalità diverse da quelle finora impiegate. Caro Generale Gottardo, come dimenticare l’ultima celebrazione della Festa del- l’Arma in Piazza di Siena segnata e interrotta da una tristissima notizia che ancora una volta ci giungeva dalla terra irachena. Come in quella occasione desidero perciò, in questa particolare circostanza, rinnovare a tutti i Caduti delle missioni di pace, ci- vili e militari, dei Carabinieri, e di tutte le Forze Armate e delle Forze di Polizia, un pensiero commosso, unitamente ad un sentimento di vicinanza e di solidarietà alle loro famiglie. Voi tutti vedete quanto sia profondo il dibattito sul significato e sul valore delle nostre missioni all’estero. I diversi punti di vista – tutti legittimi e rispettabili, sia

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chiaro – sono sotto gli occhi di tutti, venendo rappresentati nel luogo primario della democrazia che è il Parlamento. Ma non possiamo non andare avanti. L’Europa, l’Italia, Ammiraglio Di Paola, Ge- nerale Gottardo, Generale Siazzu, conoscono il valore di quel bene prezioso che è la sicurezza, come principale fondamento della pace. La grande unità dell’Alleanza Atlantica – insieme all’essenziale impegno delle Na- zioni Unite – si conferma elemento fondamentale per disegnare una nuova architet- tura nell’Europa del dopo guerra fredda. I Balcani vanno stabilizzandosi anche se ri- tengo che sia ancora importante una presenza militare, sotto l’egida della Comunità internazionale, per far sì che la pace si consolidi ulteriormente e divenga un valore permanente nelle menti e nei cuori delle future generazioni. Una situazione analoga è delineata in Afghanistan, ove la nostra presenza è stata in questi giorni confermata da un atto formale del Governo in attesa del voto del Par- lamento. Continueremo ad impegnarci per quel Paese amico, che chiede il nostro sostegno, che necessita della presenza internazionale per uscire dal buio di una storia di terrorismo e di violenza.

Generale Siazzu,

è ora a Lei che voglio indirizzarmi direttamente. Per un saluto e per un augurio di “buon lavoro”. Con il Generale Gottardo, ed ora con Lei, si consolida il nuovo ordinamento dei Carabinieri, con l’espressione del massimo vertice dall’interno dell’Arma. Questo è un motivo in più per puntare ad obiettivi sempre più elevati di efficacia operativa e di efficienza dell’intera struttura. Qualche settimana fa, chiudendo i lavori della sessione del CASD, il Centro Alti Studi Difesa, ho ricordato che nelle assise internazionali siede un “convitato di pietra”. Questo convitato è la grande criminalità planetaria, capace di integrarsi e globalizzarsi con una velocità impressionante. La guardia deve perciò restare alta. Colpi mortali sono stati inferti alla criminalità organizzata in tutto il territorio nazionale. L’impegno deve continuare, moltipli- cando le capacità operative con una collaborazione sempre più intensa fra le diverse Forze di Polizia nazionali. Guidato dalla preoccupazione di un coordinamento sempre più stretto col collega Giuliano Amato, desidero qui sottolineare l’importanza di una continuità fra l’azione dei contingenti di polizia militare all’estero e la lotta al crimine dentro i confini nazio- nali. L’Arma assicura questa continuità, una continuità che va rafforzata, che va perfe- zionata, che va potenziata in sinergia con l’intelligence ogni qualvolta sarà necessario. Desidero anche aggiungere, Generale Siazzu, che il Ministero della Difesa è piena- mente convinto della necessità di un efficace e funzionale coordinamento dell’Arma dei Carabinieri con le altre Forze di Polizia.

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L’ampia disponibilità ad un approccio condiviso del coordinamento con il Ministero dell’Interno si è concretizzata proprio nei giorni scorsi in occasione della sua nomina a Comandante Generale, e allorché il Governo ha ritenuto opportuno fissare in tre anni la durata del mandato, per consentire lo sviluppo di una azione di comando finalizzata al conseguimento di risultati concreti di carattere funzionale ed operativo.

Signor Presidente del Consiglio,

questo “passaggio di consegne” ripropone, quasi in modo rituale, la prassi di ogni de- mocrazia ove i massimi incarichi istituzionali sono soggetti a quella costante rotazione che garantisce una equilibrata funzione di comando ed un continuo avvicendarsi di uomini, che si arricchisce ogni volta di rinnovato entusiasmo e di nuovi propositi per chi opera al servizio della sicurezza dello Stato e il bene della Comunità nazionale. Qui, nell’Arma, Generale Siazzu, la strada è per tanta parte tracciata dall’espe- rienza, dalla professionalità, dal coraggio, dalle tradizioni. Ma questo non toglie sa- pore alla “sfida”, anzi richiede passione, intelligenza, inventiva perché ogni epoca ha i suoi problemi e se il passato ci lascia luminosi esempi di valore, le soluzioni sono mutevoli e mai ci si deve accontentare dei risultati raggiunti. I Carabinieri si confermano quale parte integrante dello strumento militare e della difesa nazionale. L’Arma esalta le proprie specificità che completano al più alto li- vello quelle delle altre Forze Armate e integrano le capacità complessive dell’intero apparato militare. Nei nuovi scenari della sicurezza internazionale costituisce, in- fatti, un forte valore aggiunto l’integrazione fra le forze operative terrestri e le forze deputate al controllo del territorio ed alla tutela dell’ordine pubblico. Sono sicuro, Generale Siazzu, conoscendo le sue indiscusse doti professionali ed umane, che durante il suo Comando l’Arma saprà progredire ulteriormente lungo il cammino già tracciato e rafforzare quel patrimonio di valori, di ideali e di efficienza che da sempre hanno contrassegnato i passaggi fondamentali della sua storia e che hanno permesso le sue fortune per il bene della Repubblica. Sono sicuro che la sua azione di Comando contribuirà certamente a rafforzare la disciplina, la concordia, il coordina- mento tra le funzioni militari e di Polizia in un ottica di sempre più importanti successi. A questo punto, non mi resta che rinnovare a tutti il mio saluto più cordiale. Al Generale Gottardo – che oggi lascia l’incarico e il servizio attivo – rinnovo l’ap- prezzamento e il più sentito ringraziamento per quanto ha dato all’Arma dei Carabi- nieri e alla Repubblica in 46 anni di esemplare vita militare. Al Generale Siazzu, che assume la guida dell’Arma per il prossimo triennio, il più caloroso augurio. Un augurio forte di buon lavoro e di buona fortuna.

Viva i Carabinieri! Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

47 Due anni al Ministero della Difesa

Visita al Contingente militare italiano in Bosnia Sarajevo, 12 luglio 2006

Generale Chiarini, Ufficiali, Sottufficiali, uomini e donne del Contingente italiano,

sono qui con voi, dopo aver visitato i vostri colleghi impegnati nei Teatri iracheno ed afgano, per portarvi il saluto del Governo e del Paese e per rinnovarvi l’apprezza- mento per il vostro operato sempre lineare, coraggioso, altamente professionale. Con queste due giornate nei Balcani concludo la mia visita ai nostri principali Contingenti all’estero. Una visita che sento come dovere morale e che mi permette di avere un contatto personale con voi, di guardarvi negli occhi, di conoscervi perso- nalmente. La presenza italiana in Bosnia si avvia ormai a toccare i dodici anni. Ricordo i tor- menti, le discussioni, i travagli di allora, dopo la strage di Srebreniza che mise dram- maticamente in luce le difficoltà della Comunità internazionale. Difficoltà di una comunità non preparata politicamente, militarmente e forse anche culturalmente per affrontare una crisi di quelle dimensioni che si proponeva per la prima volta in Europa. Il Muro di Berlino era caduto da soli 6 anni. Sembrava quasi di essere tornati indietro di oltre 80 anni. Tememmo veramente di non riuscire a contenere le esplosive dinamiche balcaniche. Eppure le Nazioni Unite, la NATO, l’Europa hanno saputo affrontare questa nuova minaccia. A questo proposito è stata elaborata una nuova dottrina per le mis- sioni di pace, con gradazioni che vanno dal semplice mantenimento della pace fino alla sua imposizione, attraverso un articolato e vasto uso delle forze militari. La cronistoria dei fatti, con la inevitabile lettura critica, lasciamola ai cultori della politica, ai politologi ed agli storici. Qui, a Sarajevo, dove era maturata quella che fu definita “l’inutile strage” della prima grande guerra mondiale, mi preme ribadire la ferma volontà dell’Italia di par- tecipare attivamente all’azione di stabilizzazione dei Balcani. Nei difficili anni dal 1995 al 1999, i Governi e i Ministri che mi hanno preceduto hanno rappresentato bene la posizione dell’Italia, non sfuggendo a decisioni anche difficili pur di garantire appoggio all’azione internazionale. Resta da domandarsi cosa sarebbe successo nei Balcani senza le forze internazio-

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nali. Come sarebbe finito il conflitto civile e religioso qui in Bosnia? Quale sarebbe stato il futuro della fragile democrazia albanese? Quale quello del Kosovo e della Macedonia? Certo, nessuno può pensare di aver risolto in pochi anni problemi che hanno ra- dici millenarie. Crediamo, però, di aver segnato un punto fermo. In queste terre, si è infatti segnato, creato ormai uno spartiacque tra il passato ed il futuro, fra i Balcani dell’odio e della follia etnica e nazionalistica ed i Balcani che rinascono, che entrano in Europa, che vogliono, finalmente, essere una terra normale come tante altre nel nostro Continente. Molti sono quelli che hanno fatto la loro parte. Le Forze Armate hanno fatto la loro parte. La parte iniziale, certamente la parte più dura del lavoro. Tra esse l’Esercito Italiano, proprio all’inizio del processo di professionalizzazione, ha dimostrato una capacità di adattamento ed una flessibilità operativa straordi- narie, che hanno consentito l’invio in Teatro di reparti adeguatamente preparati. In particolare, è stato necessario calibrare l’addestramento tattico alle nuove e inusuali esigenze operative proprie delle Peace Support Operations ma, soprattutto, si è im- posta una preparazione del personale volta a conferire, da parte del combattente sin- golo, la piena capacità di gestione di situazioni critiche, nel rispetto delle regole di ingaggio. Il mio plauso, quindi, all’Esercito tutto ed in particolare ai reparti che da allora si sono avvicendati qui in Bosnia. È nata poi l’esigenza di disporre di unità di polizia ad ordinamento militare, adatte al mantenimento dell’ordine pubblico e della legalità, dopo il disarmo delle milizie e la fine delle ostilità aperte. Rinnovo, a tal proposito, il plauso all’Arma dei Carabinieri che, proprio qui, nei Balcani, ha dato prova di genialità e matura professionalità, avviando l’esperienza delle MSU, poi efficacemente replicata in tante altre parti del globo. Siamo diventati un punto di riferimento sicuro, al quale guarda tutto il mondo, per la condotta delle Peace Support Operations, essenziali per connettere la presenza militare al territorio così da incidere in modo più profondo e positivo sulla realtà degli scenari di crisi. Né va dimenticato, oltre al peso determinante dell’Esercito e dei Carabinieri, il la- voro della Marina e dell’Aeronautica. Direi che qui nei Balcani abbiamo anche “te- stato”, con esiti positivi, il processo di integrazione interforze e interalleato, messo a punto dopo decenni di discussioni in Parlamento. Dal Parlamento che è eletto da tutti i cittadini e rappresenta tutti i cittadini. E mi piace sottolineare questo fatto per affermare che è questa decisione del Parlamento a fare di voi militari una delle componenti fondamentali delle Istituzioni e una espressione qualificante della Re- pubblica. Voi appartenete e rappresentate senza distinzione di parte, ripeto senza di- stinzione di parte, l’Italia intera, a voi guardano tutti gli italiani, con attenzione, or- goglio, fiducia.

49 Due anni al Ministero della Difesa

Generale Chiarini, Ufficiali, Sottufficiali, uomini e donne del Contingente italiano,

come sapete, dal 2004 la missione in Bosnia ha assunto un connotato europeo. Dopo anni di incertezze, per l’Europa è giunta l’ora di ripartire, superando le diffi- coltà seguite alle crisi politiche ed economiche dopo l’11 settembre e dopo l’esito dei referendum olandese e francese. L’Italia vuole essere protagonista attiva nel rilancio dell’Europa, sapendo che il conseguimento di una dimensione militare integrata è uno dei pilastri dell’Unione, insieme con l’elaborazione di una politica estera coesa. L’Europa può fare molto per la pace e la stabilità nel mondo – quando necessario anche con un ricorso ponderato all’uso della forza militare – difendendo la legalità e i diritti dai rischi del terrorismo e da ogni minaccia, promuovendo lo sviluppo socio-economico e la cooperazione, partecipando alla lotta alla povertà, alla lotta alla fame e alle ingiustizie. Nel solco di queste riflessioni, l’Italia intende incardinare la propria presenza mili- tare, sapendo di poter contare su Forze Armate preparate e motivate, capaci di ono- rare, in ogni situazione, le nostre migliori tradizioni militari. Nel salutarvi con cordialità, con tutto il cuore, vi rinnovo anche a nome del Go- verno il mio più sincero apprezzamento e vi auguro di proseguire il vostro lavoro in questa terra, che è utilissimo e apprezzato, in questa Sarajevo che vogliamo diventi la “città della pace” per eccellenza, nell’Europa che andiamo a costruire. Consentitemi di gridare con voi:

Viva le Forze Armate! Viva l’Europa! Viva l’Italia!

50 Discorsi e indirizzi di saluto

Visita al Contingente militare italiano in Kosovo Dakovica, 13 luglio 2006

Generale Valotto, uomini e donne del Contingente italiano,

vi porto il saluto del Governo ed il mio personale apprezzamento per un lavoro che riscuote unanime consenso e diffuso apprezzamento e che si rivela essenziale per dare un futuro a questa terra martoriata del Kosovo. Ai Caduti qui in Kosovo va un pensiero, il nostro ricordo, che ce li riporta al no- stro cuore memore; alle loro famiglie ed ai loro cari rinnovo un sincero sentimento di cordoglio. Sono certo che tutti voi avete ben presenti le ragioni della presenza internazionale, in Kosovo e nei Balcani, e ricordate il filo di violenze e di orrori che siamo riusciti, siete riusciti, progressivamente, ad interrompere. Anche pagando un doloroso prezzo di vite umane. La dissoluzione della ex-Jugoslavia, all’inizio degli anni ’90, insieme al crollo della dittatura albanese, sembrò riportare in Europa i fantasmi di un passato che pensa- vamo sepolto per sempre. Nazionalismi feroci, odii etnici, fanatismo religioso, violenza diffusa contro le po- polazioni civili, dissoluzione dell’autorità statuale. Ecco, questo era stato lo scenario del decennio scorso, alimentato dalle scelte di un regime che sembrava ragionare ed agire con le logiche di una stagione politica che nel nostro Continente era ormai tra- montata. Ebbene, la terribile crisi balcanica è stata circoscritta grazie all’intervento coordi- nato delle Nazioni Unite, della NATO, dell’Europa. Come ricordavo ieri a Sarajevo ai vostri colleghi, nessuno può certo pensare di aver risolto problemi millenari nel giro di pochi anni. Però sappiamo di aver segnato un punto di svolta per queste terre, abbiamo piantato i semi della moderna cultura eu- ropea democratica, con il rifiuto della violenza e del fanatismo. Dopo l’intervento internazionale, i Balcani non saranno più quelli di prima. La Slovenia è nostro partner nell’Unione e nella NATO e la Croazia è incamminata sulla medesima strada, ritrovando nella sua storia le ragioni del “comune sentire” europeo.

51 Due anni al Ministero della Difesa

La democrazia serba guarda ora alle Istituzioni europee, segnando una netta di- scontinuità con il passato. Con il dialogo, con la cooperazione, con gli strumenti della diplomazia, possono essere ora risolti anche i nodi più difficili, per definire il quadro politico futuro di tutte queste terre dei Balcani. Agli Stati ed ai popoli balcanici possono essere date fi- nalmente reali prospettive di sviluppo, in un contesto di certezze che tiene aperte le porte dell’ingresso in Europa quale tappa conclusiva, quale orizzonte di un percorso di pacificazione e di definitivo superamento del passato.

Generale Valotto, uomini e donne del Contingente italiano,

questi importanti risultati sono anche frutto del vostro lavoro, del vostro impegno, del vostro coraggio. Senza l’impiego della forza – e qui mi riferisco a tutte le Forze Armate, ma segnata- mente all’Esercito, che per primo entrò in questa terra nel 1999, e all’Aeronautica – senza l’impiego della forza legittima nel momento opportuno e nelle forme oppor- tune, la violenza non sarebbe stata arrestata, la pacificazione balcanica non sarebbe stata avviata. Senza il coinvolgimento delle grandi Istituzioni internazionali, senza la politica, senza la diplomazia, senza la cooperazione, la pacificazione sarebbe solo un vuoto momento di sospensione delle ostilità, solo una tregua, una parentesi nel circuito dell’odio. Abbiamo, invece, saputo bilanciare, qui nei Balcani, tutti gli strumenti a nostra di- sposizione per avviare il cammino della pace. Certo, non è un percorso facile né un percorso breve, ma – proprio per questo – un percorso da impostare su salde fonda- menta. Alla prima fase della massima presenza militare, nella quale l’Esercito ha dato prova di alta professionalità ed abnegazione, è seguita quella della ricostruzione, del controllo dell’ordine pubblico, del sostegno al dialogo. Voglio qui ricordare, additandoli ad esempio per tutti noi, i soldati della “Gari- baldi” che, sotto la guida prudente ma coraggiosa dei Comandanti a tutti i livelli, sono entrati in questa terra martoriata per portare una speranza di pace. Ricordo an- cora le manifestazioni di condivisione e simpatia da parte delle donne e dei bambini che, finalmente col sorriso sulle labbra, lanciavano fiori verso i nostri militari. Tutta la Comunità internazionale ha dato prova di grande elasticità nel proprio agire, adeguando progressivamente alle mutate esigenze il profilo sia degli strumenti militari sia della politica e della diplomazia. Noi italiani dobbiamo perciò essere orgogliosi di quanto fatto, in Kosovo e nei Balcani più in generale. Abbiamo dato prova di concretezza, di coraggio, di senso di solidarietà. E, non possiamo dimenticarlo, abbiamo risposto anche ad un preciso interesse nazionale,

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avviando a ricomposizione una crisi internazionale dirompente, una crisi che era esplosa proprio alle porte di casa. Le Forze Armate sono state protagoniste di questo straordinario impegno. Qui a Dakovica rinnovo perciò il “grazie” dell’Italia intera, in primo luogo all’Ae- ronautica Militare che ha realizzato e gestito questa grande base, a servizio dell’in- tera missione. Un apprezzamento che estendo all’Esercito, alla Marina, ai Carabi- nieri, per quanto hanno fatto e per quanto stanno facendo in questa difficile terra di confine, questa terra di confine fra oriente ed occidente. Grazie Generale Valotto, grazie uomini e donne del Contingente italiano, a voi l’apprezzamento del Governo, il saluto di tutti gli italiani, il mio augurio personale. Buon lavoro. Buona fortuna.

Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

53 Due anni al Ministero della Difesa

Partenza del primo scaglione della missione UNIFIL Brindisi, 29 agosto 2006

Signor Presidente del Consiglio,

Onorevoli Sottosegretari di Stato alla Difesa, Onorevoli Presidenti delle Commis- sioni Difesa di Camera e Senato, Signor Capo di Stato Maggiore, Autorità, uomini e donne del Contingente italiano,

sono trascorsi 24 anni da quando, dalle banchine del porto di Brindisi, salpavano le navi della nostra Marina Militare, dirette a Beirut, con a bordo i Bersaglieri del battaglione "Govèrnolo", i Marò del battaglione "San Marco" e altri reparti delle nostre Forze Armate. Aveva inizio, così, il primo grande impegno operativo fuori dal territorio nazionale dopo la fine della seconda guerra mondiale. Una missione difficile, rischiosa che, grazie alla gestione sapiente degli Stati Mag- giori e alla condotta esemplare dei Comandanti e di tutto il Contingente nel Teatro di operazioni, seppe portare a termine il mandato ricevuto con ottimi risultati, me- ritando l'apprezzamento incondizionato in campo internazionale. Oggi salutiamo questo primo scaglione della nuova missione di peace-keeping, "forza d'ingresso" che dovrà porre le basi per consentire il dispiegamento completo del Contingente. Sono sicuro che ancora una volta gli uomini e le donne che sono ora in mare sulla via del Libano sapranno fare il loro dovere per cercare di riannodare il tenue filo della tregua, per irrobustirlo e trasformarlo in una pace stabile che restituisca in quella tormentata re- gione la speranza in un futuro di ricostruzione, di benessere, di progresso civile. La missione che vi accingete a compiere è senza dubbio tra le più delicate ed impe- gnative dalla fine della seconda guerra mondiale. Una missione che ho definito lunga, rischiosa, costosa, difficile, e tuttavia una missione doverosa. L'Italia è chiamata ad essa dalla storia che la lega da sempre alle vicende delle altre sponde del Mediterraneo e dalla geografia che fa del nostro Paese una frontiera avanzata dell'Europa.

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L'Italia è chiamata ad essa dal progetto di società che, nell'art. 11 del patto che è alla base della nostra Repubblica, ci chiede di rifiutare la guerra come mezzo di composizione delle controversie tra i popoli e contemporaneamente di spenderci in difesa della pace, promuovendo e partecipando alle organizzazioni internazionali che perseguono questo ideale. Non ci è consentito di restare indifferenti.

Uomini e donne del Contingente UNIFIL,

noi sappiamo che voi siete consapevoli delle difficoltà da superare e dei pericoli da sventare. Ma sappiamo pure che siete all'altezza del compito perchè avete già dato prova d'esserne capaci e perchè questo compito rientra in quell'alto concetto di servizio e fedeltà alla Repubblica espresso nel vostro giuramento. Raggiungerete presto la vostra zona di schieramento. In territorio libanese le condizioni sono complicate ed impegnative. La guerra ha portato morte, distruzioni immani, dolore. E tuttavia il semplice annuncio della missione, la chiamata dell'ONU all'inter- vento ha interrotto un fiume di sangue che seminava morti e dolore ormai da un mese. È per questo che il nostro Paese ha risposto sì, con prontezza, per difendere la tregua e rendere possibile una pace stabile. A due settimane dalla sospensione del fuoco e delle ostililità possiamo perciò ag- giungere che la missione comincia sotto il segno della speranza oltre che sotto il segno del dovere. Queste sono le ragioni della forte presenza italiana in questa missione e del ruolo rilevante scaturito dopo settimane di complessa tessitura diplomatica. Una missione condotta nel nome dell'Europa e dell'unità del campo occidentale, messa al servizio della pace.

Uomini e donne del Contingente UNIFIL,

in Libano entrerete in azione congiuntamente alle truppe di altri Paesi europei ed extraeuropei. Son sicuro che darete ancora una volta conferma della nostra capacità nelle opera- zioni di peace keeping, della capacità degli italiani di essere contemporaneamente soldati ed operatori di pace. Una capacità che è figlia della umanità che abbiamo respirato nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità. Una capacità che è coerente col nostro progetto di società che chiama la Repub- blica e ognuno di noi a riconoscere l'eguaglianza di tutti i cittadini "senza distin-

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zione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali". Non avete nulla da invidiare a nessuno. Conoscete il vostro dovere, siete stati addestrati tecnicamente, siete motivati e spi- ritualmente preparati per operare nel migliore dei modi. Sono perciò sicuro che vi comporterete con senso dell'onore, così come, nei rap- porti con la popolazione, saprete sempre agire con grande discernimento e profondo senso di umanità. Come sempre è stato.

Non mi resta che augurarvi buon lavoro e buona fortuna.

Viva l'Italia! Viva l'Europa! Viva l'ONU! Viva la Pace!

56 Discorsi e indirizzi di saluto

Avvicendamento del Comandante di KFOR Pristina, 1 settembre 2006

Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Rucker, Si- gnor Presidente Sejdiu, Primo Ministro Ceku, Signor Ministro Jung, Generale Jones, Autorità politiche e militari, Generale Valotto, Generale Kather, uomini e donne di KFOR,

desidero innanzi tutto rivolgere a tutti il caloroso saluto del Governo, delle Forze Armate italiane e quello mio personale. Un saluto particolare va poi ai militari ita- liani e di tutto il Contingente impegnati qui in Kosovo. Questo è il saluto della Repubblica, è la gratitudine di tutti gli italiani per un im- pegno coraggioso, sempre all’altezza delle circostanze. Un saluto che estendo a tutta la popolazione del Kosovo, che guarda con fiducia alla presenza militare, garanzia di sicurezza e protezione e di speranza per il futuro. Grazie, Ammiraglio Ulrich, per questa cerimonia nella quale l’avvicendamento an- nuale di Ufficiali di diverse nazionalità, al Comando di una missione NATO impor- tante come KFOR, rappresenta da sola la collaborazione politica e militare fra Paesi di ogni parte del mondo. Questa convergenza di volontà, d’impegno, di felice e fruttuosa collaborazione è un esempio che ci sprona. È un esempio che ci invita oggi a procedere con la stessa determinazione a porre in atto la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite e rendere operante la missione ONU in Libano. Una missione delicata ed importante con una larga partecipazione europea e che vede l’Italia in prima fila, per garantire la stabilità e la pace. A nostro avviso, il respiro europeo di questo impegno, questa partecipazione allar- gata a tanti Paesi dell’Europa, fa finalmente intravedere un embrione di politica estera e di difesa con una decisa impronta dell’Unione Europea, il cui rafforzamento costituisce un elemento importante per la solidità del rapporto tra le due sponde dell’Atlantico. È un segnale incoraggiante, l’indicazione che l’Europa della difesa cresce e si consolida. L’intervento in Libano sarà guidato dalla stessa ispirazione così come avvenne qui, in Kosovo.

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Per l’Italia i Balcani sono molto importanti, per ragioni di prossimità geografica, per ragioni di vicinanza storica e culturale. Alla stabilità nei Balcani è strettamente legata la sicurezza interna italiana. Per questo motivo abbiamo sempre dedicato un grande impegno alla sicurezza di questa area e continueremo a farlo nel futuro. Nel Kosovo il problema è ora quello di trovare una soluzione al nodo politico dello status che riesca a soddisfare le aspettative di entrambe le parti. Se il lavoro della politica e della diplomazia e, insieme, la volontà delle parti riusci- ranno a trovare intese accettabili, il nodo politico sarà sciolto e si porranno le pre- messe per consentire al Kosovo di guardare al futuro con una nuova prospettiva. Fintanto che quel nodo politico resta insoluto, fintanto che la sua soluzione non avrà iniziato a trovare stabile attuazione, la presenza di una forza della NATO sarà necessaria affinché sicurezza e diritti delle minoranze siano pienamente garantiti. Spetta perciò alla politica compiere passi importanti e decisivi verso la pacifica- zione ed il rispetto dei diritti civili. È indispensabile che anche nei Balcani venga innescato il processo virtuoso della crescita economica e sociale, della cultura della democrazia, in modo che tutti i Paesi dell’area possano domani integrarsi nel contesto euro-atlantico. Per queste finalità l’Italia è in Kosovo insieme a tanti Paesi alleati, per queste fina- lità l’Italia sarà attraverso le sue Forze Armate al servizio della pace e delle genti del Kosovo. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica restano i cardini della nostra politica estera. E il supporto alle missioni internazionali è uno dei più impor- tanti ed impegnativi compiti delle Forze Armate italiane.

Signor Ministro Jung, Autorità, Generale Valotto, Generale Kather, uomini e donne di KFOR,

voglio rivolgere al Generale Kather, che prende su di sé la responsabilità del co- mando, gli auguri di buon lavoro, da parte del Governo, delle Forze Armate e mio personale. Al Generale Valotto va il più caloroso ringraziamento del Governo e il massimo apprezzamento dell’Italia per l’alta testimonianza di capacità fornita nel periodo di comando. Sotto la sua guida ferma e lungimirante, KFOR ha potuto operare con grande effi- cienza e prontezza, rispondendo appieno al suo mandato, teso al bene del Kosovo. L’opera del Generale Valotto ha contribuito in misura significativa a dare lustro al nostro Paese onorando assieme ai suoi soldati le migliori tradizioni delle Forze Ar- mate italiane. Grazie.

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63° anniversario della difesa di Roma Porta San Paolo, 8 settembre 2006

Autorità, Signore e Signori,

il Presidente della Repubblica ha voluto sottolineare, con la sua presenza, il grande significato che ha assunto, per la nostra Nazione, la data dell'8 settembre, il giorno dell'armistizio e dell'inizio di una serie di eventi, drammatici e allo stesso tempo esaltanti, che avrebbero segnato il cammino dell'Italia verso la riconquista della li- bertà e l'avvento della democrazia. È per me un onore rappresentare il Governo in una cerimonia che, via via, ha as- sunto negli anni un significato del tutto particolare, per ricordare il risveglio della coscienza democratica e la sua maturazione dopo la tragedia della guerra e della dit- tatura. La difesa della Capitale fu un episodio doloroso, intenso, ma anche esaltante, così come lo fu l'affondamento della corazzata Roma – che domani rievocheremo a La Maddalena - come l'impresa eroica e sfortunata della resistenza a Cefalonia e nel- l'Egeo. Qualcuno continua a chiedersi cosa potessero fare le nostre Forze Armate nel set- tembre nel 1943, piegate dopo oltre tre anni di guerra e, di fatto, controllate dall'al- leato germanico, preoccupato e diffidente della tenuta dell'alleanza con l'Italia dopo la caduta del fascismo del 25 luglio. È difficile entrare nella mente e dei cuori dei nostri combattenti di allora. Difficile capire i loro pensieri sugli anni precedenti la guerra e sulla innaturale contrapposi- zione voluta dalla dittatura contro il mondo democratico, contro tanti Paesi che erano stati vicini all'Italia dal nostro Risorgimento fino al primo conflitto mondiale. I soldati, i marinai, gli avieri italiani fecero egualmente il loro dovere in tutti i Teatri di guerra, dalla Russia all'Africa, ai Balcani. Fecero il loro dovere in tutti i mari e sotto tutti i cieli interessati dal conflitto, alla ricerca di un successo del quale di giorno in giorno si indeboliva la possibilità e il senso. L'omaggio che tributiamo ai nostri militari caduti dal 1940 al 1943 è ancora più grande se pensiamo alla testimonianza fornita nell'ora più tragica, nell'ora nella quale agli occhi di molti tutto sembrava dissolversi. Non poteva esservi fortuna, in quelle ore; eppure in tanti provarono ad opporsi

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alla sorte. Il nostro schieramento militare era provato e mancava una direzione poli- tica capace di una prova estrema di coraggio. Nel contempo, cresceva l'odio nazista per una scelta politica inevitabile, denun- ciata come un tradimento mentre gli Alleati anglo-americani stentavano a concedere fiducia a chi, fino ad allora, si era battuto contro di loro. Gli episodi di Porta San Paolo sono, perciò, da considerare come una prova estrema di amor di Patria, una testimonianza "nata dal basso", la dimostrazione de- finitiva della spontanea avversione di popolo e Forze Armate nei confronti di un de- stino ingiusto. Purtroppo, il cammino verso la libertà che iniziò qui non sarebbe stato né breve né agevole. Migliaia di militari, fatti prigionieri, preferirono la durezza dei lager ad ogni forma di collaborazionismo. L'Italia fu attraversata e divisa dal fronte e deva- stata ancora dai bombardamenti. Migliaia di giovani sacrificarono la loro giovinezza bagnando col sangue il seme della nuova Italia.

Autorità, Signore e Signori,

torniamo ogni anno a Porta San Paolo per non dimenticare, per ritrovare il filo della nostra democrazia e della nostra libertà . Come un fiume carsico, questi valori sembravano occultati durante la stagione fascista, ma non erano né morti né assopiti e riemersero come era giusto e come gli italiani desideravano. Ben presto, a Montelungo, tornò a sventolare il Tricolore della nuova Italia, di nuovo in piedi per il proprio riscatto militare e civile. E nelle terre occupate dai na- zisti, la Resistenza - nella quale militarono migliaia di militari di ogni grado - colse importanti successi fino alla vittoriosa aurora del 25 aprile. Con immense difficoltà, l'Italia superò il trauma della guerra e scelse la via repub- blicana, rinnovando profondamente le proprie istituzioni e avviandosi lungo il per- corso di una radicale maturazione civile e sociale. Ai combattenti di allora, militari, partigiani, semplici cittadini in armi, rinno- viamo ora tutta la nostra gratitudine. Ai Caduti, ai feriti, ai mutilati, barbaramente uccisi fra le torture; ai martiri inermi e innocenti delle brutali rappresaglie, va il no- stro memore pensiero per una testimonianza di fede che ha salvato la nostra Patria e l'ha resa più moderna, più libera, più giusta.

Viva la Repubblica! Viva la libertà ! Viva l'Italia!

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Commemorazione dell’affondamento della corazzata “Roma” e dei cacciatorpediniere “Da Noli” e “Vivaldi” La Maddalena, 9 settembre 2006

Autorità, Signor Presidente della Regione, Signor Presidente della Provincia, Si- gnor Sindaco, Rappresentanze, Signore e Signori,

a distanza di sessantatré anni, siamo qua per ricordare il sacrificio dell’Ammiraglio Bergamini , il sacrificio degli equipaggi della corazzata Roma e dei cacciatorpedi- niere Da Noli e Vivaldi, affondati il 9 settembre del 43 nelle tragiche ore che segui- rono l’annuncio dell’armistizio. La guerra voluta dal regime fascista aveva portato l’Italia alla rovina, trascinando le Forze Armate e il Paese in un conflitto non sentito. L’armistizio colse la Marina di sorpresa, alla vigilia di un previsto, estremo con- fronto con la flotta alleata che si accingeva ad uno sbarco nell’Italia meridionale. Il cambio di riferimenti politici e strategici fu repentino e drammatico per Berga- mini, per i suoi Ufficiali e per tutti i marinai dell’equipaggio che – fedeli agli ordini – si stavano preparando al combattimento, anche insieme alle forze germaniche. Per questo motivo l’episodio della “Roma”, che qui ricordiamo, è un evento alta- mente drammatico: intanto perché si svolge in quel clima di incertezza che carat- terizzò le mosse delle Forze Armate italiane nei giorni dell’armistizio; in secondo luogo perché l’affondamento di quella che era in quel momento la più potente e armata corazzata italiana apparve come la metafora di un paese che andava a fondo con tutte le illusioni e le ambizioni di potenza del ventennio fascista; infine per la drammatica rapidità con cui la nave fu distrutta e insieme a lei perirono centinaia di valorosi marinai. Insieme con la sua nave scelse di morire l’Ammira- glio Bergamini. Eppure, nonostante tutto, dalla tragedia della Roma viene un esempio e un am- monimento: pure nelle ore dell’incertezza e della fuga dei capi, nella Marina italiana la catena di comando resistette e funzionò. La flotta seppe dirigersi compatta da La Spezia a La Maddalena, virò verso il largo nelle bocche di Bonifacio. Quando si seppe che la Maddalena era già occupata dai

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tedeschi, proseguì verso , la sua nuova destinazione, anche dopo la perdita della nave ammiraglia. Colpisce il fatto che i tedeschi non vennero colti di sorpresa dalla decisione italiana di portare la flotta in una base alleata, già considerata come possibile eventualità da impedire, o comunque da ostacolare. In queste acque, si consumò cosi l’epilogo che conosciamo, con l’affondamento della corazzata “Roma” colpita più volte dai micidiali ordigni antinave. Poche ore dopo, sempre in quel terribile 9 settembre, i due cacciatorpediniere. Da Noli e Vivaldi vennero mortalmente colpiti dalle batterie costiere mentre – in obbedienza agli ordini ricevuti – stavano combattendo contro il naviglio tedesco. Con Bergamini perirono milleeseicentottanta uomini, dei quali bisogna ricordare i trenta sardi. In quelle stesse ore le nostre Forze Armate attraversavano il momento più doloroso della loro storia, lasciate senza ordini precisi, strette fra la rabbia nazista e le diffidenze degli Alleati. Dalla Francia all’Egeo ai Balcani a Cefalonia, bisogna ricordare che il tributo pa- gato dai nostri militari fu elevato in termini di Caduti e di prigionieri. Il 13 settembre a La Maddalena contro l’occupazione tedesca insorsero Ufficiali di Marina, Soldati e Carabinieri. La ribellione si concluse in uno scontro a fuoco di ore, nel quale persero la vita 24 italiani, tra i quali molti sardi. Il Capitano di Vascello Carlo Avegno, già Comandante dell’Accademia Navale di – l’uomo che li aveva chiamati alla lotta – cadde alla testa dei suoi uomini meritando la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Anche a loro va il nostro pensiero; fu quello, certamente, uno dei primissimi epi- sodi della Resistenza. In questa occasione, voglio ricordare anche quella donna gentile e affettuosa che a Mahon, nelle isole Baleari, accolse i naufraghi della “Roma” e li confortò nei quasi dieci mesi del loro internamento da parte degli spagnoli. Originaria di Carloforte, quella nobile figura è rimasta nella memoria riconoscente dei sardi col nome di mammedda. Non tutto , perciò, andò perduto. Il Mediterraneo, dopo tante traversie dei decenni passati, è ora largamente un mare di pace ove non sono più necessarie quelle importanti presenze aeronavali che - vorrei che non fosse dimenticato - hanno garantito la nostra libertà negli anni della guerra fredda. In questo contesto, l’annunciato rilascio da parte della Marina degli Stati Uniti della base navale della Maddalena apre un futuro di pace e di rispetto della natura, che in fondo è il destino che gli uomini di oggi cercano di perseguire in tutto il mondo. Una vicenda aperta sotto il segno dell’alleanza si conclude sotto il segno dell’amicizia. Non dappertutto le condizioni sono tuttavia quelle ideali ma, come dicono le no- stre navi davanti a Dio, come dice la prontezza con la quale la Marina ha potuto ri- spondere ieri alla richiesta dell’ UNIFIL - che ci chiedeva di costituire e seguire un

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dispositivo navale in grado di consentire la fine del blocco navale imposto da Israele - la Marina Militare della Repubblica è al servizio di un progetto planetario ambi- zioso forse ma sicuramente degno del ruolo e del suo destino finale.

Autorità, Signore e Signori,

consentitemi ora di rivolgere un pensiero anche a tutti gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate impegnati in missioni di pace fuori dal territorio nazionale, ed in particolare a quelli destinati alla missione “Leonte”, nel Sud del Libano ove vi è il più grave focolaio di tensione e di guerra nel Mediterraneo. Agli uomini ed alle donne che partecipano a questa nuova e impegnativa missione, vanno, qui dalla Maddalena, il nostro saluto e la nostra gratitudine. L’Italia, grazie a loro, offre una visibile prova del suo desiderio di lavorare per la pace del Medio Oriente, per estendere anche in quei luoghi i valori di democrazia e di pace. Un pensiero particolare ed un augurio di pronta guarigione voglio rivolgere ai quattro incursori di marina del COMSUBIN che sono rimasti feriti, ieri, in un at- tentato a danno di una nostra pattuglia nell’area ovest dell’Afghanistan posta sotto la responsabilità italiana. A loro, un saluto e un augurio affettuoso. Un unico filo di valore, altruismo, obbedienza, lega l’impegno ed il lavoro dei no- stri militari italiani lungo tutto l’arco della vicenda nazionale. È con questa certezza che guardiamo ai nostri soldati in Libano, sapendo che il loro comportamento sarà sempre all’altezza delle più nobili tradizioni, le stesse che guidarono l’Ammiraglio Bergamini, gli equipaggi della corazzata “Roma” e delle altre navi della flotta italiana. Rivolgiamo perciò a loro l’ultimo commosso pensiero, poiché col sacrificio della loro vita ci permettono, oggi, di sentirci liberi, liberi nei nostri diritti. Consentitemi di gridare con voi

Viva la Marina! Viva la Sardegna! Viva l’Italia!

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Visita al Contingente militare italiano della missione UNIFIL Libano meridionale, 12 settembre 2006

Uomini e Donne del Contingente italiano della missione UNIFIL,

sono passate esattamente due settimane da quando, insieme con il Presidente del Consiglio, sul ponte di volo di Nave “Garibaldi”, ho rivolto il saluto alla prima ali- quota del Contingente che aveva iniziato a muoversi alla volta delle coste libanesi per dare inizio al dispiegamento e all’avvio dell’operazione “Leonte”. Avrei voluto accompagnarvi personalmente. Ho preferito seguirvi, passo passo, da lontano, nel vostro progredire per l’organiz- zazione e l’assunzione delle responsabilità. Avete lavorato bene. Vedervi oggi, già schierati nella zona di competenza, pronti a mettere le vostre ca- pacità, la vostra professionalità, la vostra serietà di intenti al servizio della pace è mo- tivo di soddisfazione e di orgoglio. Sono qui oggi, in mezzo a voi, per rinnovarvi, a nome del Governo e del popolo italiano, i sentimenti della più profonda vicinanza. E lo faccio nel momento in cui le vostre attività operative stanno passando sotto l’OPCON (Operational Control) di UNIFIL. Questo significa che risponderete direttamente del vostro operato sul campo al Comandante UNIFIL, e quindi all’ONU. Il tutto, però, nel pieno rispetto del mandato conferito al Contingente dal Go- verno e dal Parlamento della nostra Repubblica. L’Italia, nella persona del Capo di Stato Maggiore della Difesa, mantiene l’Opera- tional Command, vale a dire la competenza per quanto richieda decisioni che esu- lino dall’ambito dell’area di operazioni prefissata e del mandato. Il Paese, tutto il Paese, continuerà a seguirvi da vicino. Per ottimizzare il funzionamento della catena di comando, il Governo ha poi chiesto e ottenuto la costituzione a New York di una “cellula strategica” che fungerà da interfaccia tra il Comandante di UNIFIL in Teatro ed il responsabile del Diparti- mento per le operazioni di peace-keeping delle Nazioni Unite.

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Le dipendenze, la struttura e i compiti di tale cellula sono in via di definizione, proprio in queste ore, presso lo stesso Dipartimento. Nel mio saluto del 29 settembre, dissi che si trattava di una missione fra le più de- licate ed impegnative dalla fine della seconda guerra mondiale. Dissi che si trattava di una missione lunga, rischiosa, costosa, difficile, e tuttavia doverosa. Confermo oggi queste affermazioni anche se l’attività finora svolta rafforza in me ottimismo e fiducia. La visita di oggi mi consente di rilevare l’eccellente funzionamento della macchina interforze, con la realizzazione in tempi strettissimi dello schieramento e l’efficace coordinamento attivato con i nostri alleati e con le autorità locali. Nel frattempo, abbiamo anche assunto il comando della forza navale incaricata di assicurare, ad interim ed in coordinamento con UNIFIL, il monitoraggio e la sorve- glianza delle acque libanesi, in attesa della forza assegnata all’ONU. La richiesta di questa ulteriore responsabilità di Comando, inizialmente non pre- vista, è di per sé il riconoscimento della nostra capacità operativa e, allo stesso tempo, della nostra equidistanza. È stato possibile, con ciò, porre termine alle misure di embargo marittimo preesi- stenti. L’attuazione dell’operazione “Leonte” ci permette di affermare con soddisfazione che quelli che erano i traguardi del passato sono tappe consolidate del processo di crescita ed ammodernamento delle nostre Forze Armate. La forza anfibia si può considerare ormai una realtà operativa di grande efficienza; la capacità di inserirsi in schieramenti multinazionali – nonché di prenderne il co- mando – è ormai una caratteristica saliente dello strumento militare nazionale: ovunque riconosciuta ed apprezzata. Con giusto orgoglio guardiamo allora alle nostre capacità di operare concreta- mente per la difesa della pace e il rafforzamento della stabilità in diversi scenari del mondo. Con questo, non intendiamo nascondere le difficoltà con le quali siamo chiamati a confrontarci. Siamo qui, nella parte del Medioriente più prossima all’Europa, e quindi all’Italia, come i contadini che aiutano a spegnere l’incendio nel campo del vicino. La Risoluzione 1701 si pone obiettivi ambiziosi, puntando a consolidare la so- vranità dello Stato libanese, affinché possa esercitare il pieno controllo sul proprio territorio. Siano la politica, la diplomazia, la cooperazione a risolvere conflitti e tensioni. Non più le armi, o gli atti di terrorismo, con inaccettabili minacce ed altrettanto intollerabili conseguenze per le popolazioni civili. Fare del Libano uno Stato pacifico e sovrano significa creare solide fondamenta per una duratura pace in Medioriente.

65 Due anni al Ministero della Difesa

Uomini e Donne del Contingente italiano,

la pace è figlia della unità delle Nazioni del mondo. E la prova che la Nazioni Unite hanno dato di fronte alla crisi libanese è un augurio per una azione interna- zionale sempre più forte ed incisiva, perché sorretta da comuni valori di pace, soli- darietà e reciproca fiducia. Quei valori che voi state difendendo in questa terra, con il consenso e l’apprezza- mento della Repubblica. È per questo che l’Italia vi ha chiesto di mettervi al servizio di questa nobile causa. Da oggi siete a tutti gli effetti Soldati dell’ONU, Soldati del mondo, Soldati di pace. Son sicuro che ne siete orgogliosi e che ne sarete degni.

66 Discorsi e indirizzi di saluto

Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Roma, 19 settembre 2006

Autorità, Ammiraglio Di Paola, Generale Tricarico, Generale Camporini, Signore, Signori,

ho l'onore, oggi, di rappresentare il Governo della Repubblica in questa cerimonia che segna il passaggio delle consegne nell'alta e prestigiosa carica di Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica. Il Presidente del Consiglio, che si trova negli Stati Uniti per partecipare all'Assem- blea Generale delle Nazioni Unite, mi ha incaricato di rivolgere al Generale Trica- rico il più sincero ringraziamento per l'attività da lui sempre svolta con grande com- petenza professionale e militare e con profonda passione personale. Al Generale Camporini – aggiunge il Presidente Prodi nel suo messaggio – rivolgo ogni migliore augurio di buon lavoro. Si rinnova oggi dunque, con questa cerimonia, un momento particolare, sempre così ricco di emozioni, quello che scandisce l'avvicendamento al vertice delle Forze Armate. Si tratta di una tradizione consolidata, che racchiude in sé un profondo significato istituzionale e personale. L'avvicendamento nella guida di una Forza Armata rin- nova infatti vitalità e dinamismo alla massima espressione del comando. Occasioni come queste inducono al tempo stesso alla nostalgia e ai bilanci. Di nostalgia ne avrà certamente, lo abbiamo sentito, il Generale Tricarico, dopo una carriera brillante e ricca di successi. Il Paese, caro Generale, e non solo l'Aero- nautica e le Forze Armate, Le è grato per quanto ha fatto, nei lunghi anni della sua carriera, per la competenza, la serietà, la capacità di amministrare uomini e mezzi. Mi basta riandare con la memoria alla giornata azzurra di domenica scorsa a Pra- tica di Mare, al rendiconto orgoglioso sui progressi della nostra Aeronautica, all'en- tusiasmo giovanile col quale mi ha illustrato la vita e la capacità dei nostri reparti per ritrovare nel presente il filo e il senso di una intera vita. Basta scorrere, caro Generale, le Sue note biografiche per farsi un'idea di quanto Lei ha dato in oltre quarantacinque anni di vita militare; in ogni incarico ricoperto Lei ha dimostrato di possedere un'altissima dignità, una profondissima capacità di

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studio e di gestione, una tenace volontà per riuscire, per portare a compimento gli obiettivi fissati. E le cose non sono state facili per Lei, sia per i cambiamenti profondi che la Forza Armata sta subendo, sia per il continuo ampliamento delle missioni e delle respon- sabilità affidate all'Aeronautica Militare. La Sua è stata una carriera esemplare al servizio della Repubblica. Basti pensare al- l'ultimo incarico da Lei assolto prima della nomina a Capo di Stato Maggiore del- l'Aeronautica: Consigliere Militare a fianco degli ultimi tre Presidenti del Consiglio. Nel Suo lungo percorso professionale, iniziato tanti lustri orsono in Accademia, pochi come Lei hanno reso onore alla uniforme che indossa, in tutte le responsabi- lità che ha assunto sia in campo nazionale sia in quello internazionale. Voglio ricordare, tra tante, la Sua nomina alla carica di Comandante della Quinta Forza Aerea Tattica Alleata della NATO, poche settimane prima dell'inizio del con- flitto dei Balcani, durante il quale Le fu affidato l'incarico di Comandante operativo delle Forze Aeree Italiane partecipanti nonché quello di Vice Comandante di tutta la Forza Multinazionale impiegata nelle operazioni. Per non parlare della Sua attività di volo su aerei da caccia, delle Sue oltre tremila ore di volo e dei lunghi periodi di permanenza all'estero quale istruttore presso le Forze aeree di Paesi amici. Né, Generale Tricarico, possiamo dimenticare quanto l'Aeronautica ha fatto sotto il Suo comando. La realizzazione della base operativa di Herat, lo schieramento in tempi strettissimi e la compartecipazione, mediante l'osservazione aerea ed il trasporto tat- tico, all'attività operativa nelle varie missioni, la garanzia dei rifornimenti principal- mente ai Contingenti in Iraq ed in Afghanistan hanno rappresentato un successo im- portante, soprattutto se si considera la lontananza di questi luoghi dalla madrepatria. L'attività svolta è prova della capacità degli uomini e delle donne dell'Arma Az- zurra ma è anche dimostrazione di una elevata professionalità dei Comandanti, che hanno saputo ottimizzare le risorse – purtroppo limitate – nella direzione degli obiettivi operativi prioritari. In questo senso, è altamente positivo il proseguimento della ristrutturazione della Forza Armata, nel solco di quella non facile azione di semplificazione e snellimento ormai avviata da anni. Una prospettiva, che risponde all'evoluzione della minaccia dei nostri giorni, ove si affievoliscono le differenze - reali e concettuali - fra la difesa degli spazi nazionali, in senso stretto, e la tutela della sicurezza a livello regionale e globale. Mi rivolgo ora al Generale Camporini che assume oggi la guida dell'Aeronautica Militare. Dopo anni di lavoro ai massimi livelli della Difesa, sono certo che Lei ben conosca cosa l'attende. Le Istituzioni, i cittadini, si aspettano molto dall'Aeronautica: una Forza Armata associata all'innovazione, alla modernità, alla scienza e alla tecnologia.

68 Discorsi e indirizzi di saluto

L'Eurofighter sta entrando progressivamente in linea di volo, da noi come in Gran Bretagna, in Spagna, in Germania. È tutta la compagine europea che fa un gigan- tesco "passo in avanti" nel settore, rafforzando le capacità di controllo e di difesa degli spazi aerei. Si sta poi rafforzando tutto il trasporto aereo, con l'acquisizione del C-27J e del BOEING 767 conferendo alla Forza Armata un'importante capacità di trasporto strategico. È in questo contesto che lei, Generale Camporini, assume il comando, in un con- testo segnato dai risultati raggiunti, e dalle difficoltà nelle quali siamo chiamati a proseguire, in un contesto impoverito dalle difficoltà economiche che gli anni ap- pena trascorsi ci lasciano in eredità, e allo stesso tempo arricchito dal rinnovato slancio del Paese al servizio della Pace. In questo tempo di povertà e di ricchezza, in questo tempo di contraddizione, Lei è chiamato a raccogliere, a guidare, a condividere la sfida che abbiamo di fronte. Una sfida che coinvolge contemporaneamente gli impegni operativi; i mutamenti delle linee di comando; il rinnovo delle linee di volo e l'ammodernamento tecnologico. In questa sfida sappiamo di poter contare sulle doti di militare e di uomo del Ge- nerale Camporini, sulle sue conoscenze e sulle sue competenze, sulla sua capacità e sulla sua saggezza. È con questa certezza, allora, che, nel salutare e ringraziare ancora il Generale Tri- carico rivolgo al Generale Camporini il tradizionale augurio di "buon lavoro", un augurio che estendo a tutto il personale dell'Arma Azzurra. Consentitemi di gridare con voi, a conclusione di questa cerimonia:

Viva l'Aeronautica! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

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Passaggio della reponsabilità della sicurezza alle Autorità irachene Nasiriyah, 21 settembre 2006

Signor Primo Ministro, Signor Governatore, Autorità, Comandante della Divi- sione Multinazionale, militari di ogni grado del Contingente italiano,

dopo una prima visita compiuta alcuni mesi fa – all’atto dell’assunzione del mio incarico - torno ora qui in Iraq in occasione di questa cerimonia che celebra il pas- saggio in mani irachene della responsabilità della gestione della sicurezza nella Pro- vincia di Dhi Qar. Si tratta di un momento e di una occasione che giudico altamente simbolici per molte ragioni. La Provincia di Dhi Qar è infatti la seconda provincia irachena in cui avviene questo “transfer of authority”. Da oggi la sicurezza, questo bene fondamen- tale che è il principale bene di cui debbono poter fruire tutti i cittadini di uno Stato, non è infatti più nelle mani della coalizione, e per essa in quelle del Contingente ita- liano che ha operato sino ad oggi in questa provincia. Essa torna invece in mani irachene, nelle mani di uno Stato che è cresciuto e si è progressivamente rafforzato ed è oggi in grado di poter provvedere da solo alla crea- zione, alla gestione ed alla ulteriore crescita di quella cornice - la sicurezza - in as- senza della quale nessuna altra attività è possibile. Se questo oggi può avvenire, ciò è segno che abbiamo tutti lavorato bene. La coali- zione, noi italiani che la rappresentavamo in questa Provincia, ma soprattutto e prima di tutto gli iracheni. In questi tre anni di strada percorsa insieme abbiamo infatti avuto il privilegio di poter lavorare, di convivere, di esser utili, ad un popolo proiettato verso il proprio futuro. È una esperienza attraverso cui anche noi italiani siamo passati, anche se molti anni fa, allorché si concluse il secondo conflitto mondiale. Non è questa un’esperienza dimenticata e molti di noi della più anziana generazione serbano una precisa memoria di che cosa significhi per un Paese lo sforzo per risollevarsi dopo un lungo periodo di dittatura ed una traumatica esperienza bellica. Conosciamo l’asprezza della strada che occorre percorrere in questi casi e cia- scuna delle sue asperità. È questa una delle ragioni, Signor Primo Ministro, Si- gnor Governatore, Autorità irachene di ogni livello, per cui ci siamo sempre sen- titi vicini, molto vicini a voi.

70 Discorsi e indirizzi di saluto

È una ragione per cui ci sentiamo particolarmente orgogliosi di tutto il cammino che siamo riusciti a compiere insieme per giungere a questo giorno. Insieme ab- biamo lavorato, insieme abbiamo progredito, insieme abbiamo sofferto. Quanto ci è costato raggiungere un simile risultato è testimoniato oltre che dalla fatica che esso ha comportato, anche dal sacrificio che il suo conseguimento ha ri- chiesto. Non mi riferisco e non voglio riferirmi soltanto a sacrifici di ordine mate- riale e finanziario. Desidero invece sottolineare, proprio in questa grande ed unica occasione, come questa sicurezza sia un bene che è stato fecondato dal sangue dei nostri due Popoli. Per raggiungerla avete avuto dei Caduti. Per aiutarvi a conse- guirla abbiamo anche noi sofferto delle perdite. Perdite dolorosissime, cittadini e soldati italiani caduti qui a Nasiriyah nello svolgimento di questa missione ed il cui ricordo porteremo nel cuore, nel nostro cuore come negli onori delle nostre Bandiere. Italiani caduti con gli iracheni, tendendo a questo risultato che oggi è raggiunto. Ho sempre rifiutato, fin dall’inizio del mio mandato, di considerare l’idea di un “ritiro” delle truppe italiane dall’Iraq. L’Italia non è un paese che “si ritira”. L’Italia è un paese che mantiene i suoi impegni e completa le sue missioni. Quando l’Italia promette che resterà sino a quando le condizioni di sicurezza non saranno piena- mente ristabilite in una area, voi sapete e dovete sapere che potete contare sulla sua promessa qualsiasi siano le condizioni. Ho quindi sempre parlato di “rientro” e non di “ritiro” del Contingente italiano proprio ad indicare come noi non avremmo lasciato la provincia di Dhi Qar sino a quando la nostra missione non fosse stata pienamente compiuta, vale a dire fino a quando non avremmo potuto ritrovarci tutti insieme in una cerimonia come quella di oggi, centrata sul “transfer of authority” tra noi e voi. Ora il traguardo è tagliato, la missione è compiuta ed il Contingente completerà nel prossimo periodo tutte le operazioni che porteranno a concludere il rientro. Lasciamo la provincia di Dhi Qar con il Contingente militare ma non voltiamo le spalle all’Iraq, come non abbandoneremo l’Iraq sino al momento in cui esso non giudicherà di poter disporre di tutte le condizioni che gli consentano di essere pie- namente indipendente, sovrano, unito e pacifico. È questo l’atteggiamento che ci chiede a gran voce la nostra opinione pubblica che in questi ultimi anni, pur nell’alternanza delle vicende e delle parti politiche, ha continuato a seguire con sentita partecipazione quello che avviene in questa parte del mondo. Comunque, se fino ad oggi la presenza e l’azione del nostro Contin- gente hanno conferito alla nostra politica una caratterizzazione prevalentemente mi- litare, vi è da dire che nel futuro la presenza e la partecipazione italiane si esprime- ranno soprattutto in altre forme. Politica, innanzitutto, e qui vorrei sottolineare come il nostro interesse ad una pa- cificazione dell’intero Medio Oriente allargato si sia fatta di recente più evidente e più incisiva in tutta l’area in cui noi italiani siamo presenti. Un’area che va dal Li-

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bano all’Afghanistan. Poi, economicamente, ed in questo senso ci siamo espressi ed abbiamo assunto impegni due giorni fa a New York, nell’ambito dell’International Compact per l’Iraq. Poi, attraverso una presenza civile, che cercherà di coprire tutti i campi in cui pensiamo di potervi portare assistenza e nei campi dove questo possa essere utile. Infine attraverso la permanenza di una presenza militare della missione addestrativa della NATO ma che potrà, sempre in campi addestrativi, assumere anche altre forme, sempre che ci sia l’interesse di entrambi i Paesi. Si conclude, oggi, solo una fase. Certo non un rapporto che, proprio a causa di questa fase e del modo in cui essa è stata portata a compimento, esce rafforzato. È un risultato per cui vorrei ringraziare – me lo consentano le Autorità del Paese ospite – i militari del nostro Contingente. Tutti loro, dal Comandante al Soldato semplice, a quelli che una vecchia commedia qualificava come “gli oscuri, ed i senza grado”. Tutti coloro che oggi condividono con noi l’orgoglio di avere contribuito a qual- cosa di utile e di grande.

Signor Primo Ministro, il Contingente italiano rientra, la missione è compiuta, il transfer of authority è cosa fatta, la sicurezza della provincia di DHI QAR è nelle vostre mani. È un risultato splendido, ma ci auguriamo di condividerne tanti e tanti altri in tutti i campi nel futuro.

Arrivederci.

72 Discorsi e indirizzi di saluto

“6° Regional Seapower Symposium for the Navies of the Mediterranean and Black Sea Countries” Venezia, 13 ottobre 2006

Illustri ospiti, cari Amici, Signore e Signori,

innanzi tutto a voi tutti, il saluto più cordiale del Governo italiano, del Presidente Prodi che mi ha specificatamente delegato a farlo e mio personale. Il mio grazie per la perfetta organizzazione di questo Simposio e il mio apprezza- mento a tutti i relatori che col loro intervento hanno contribuito al successo di queste giornate. Un particolare saluto alla città di Venezia che, ancora una volta, si è confermata un luogo ideale, il luogo ideale per accogliere un’iniziativa a forte caratterizzazione ma- rittima, nel solco di una tradizione millenaria marinara che l’ha vista, in tempi lon- tani, al centro di rapporti straordinari fra Occidente ed Oriente, fra società lontane e civiltà fra loro diverse. Grazie infine per la bella serata di ieri che mi ha offerto il piacere di conoscervi personalmente. In questi cinque brevi ma intensi mesi di Governo ho avuto modo di conoscere gran parte dei Ministri della Difesa dei vostri Paesi. Con tutti loro ho sempre condiviso l’apprezzamento per quanto le nostre Forze Armate stanno facendo per garantire la pace, la sicurezza e la stabilità nel mondo. Con loro abbiamo sempre concordato che, fra le Forze Armate, le Marine rappre- sentano uno degli elementi trainanti dello sforzo collettivo per la rimozione degli ostacoli che via via si frappongono sul percorso della costruzione del futuro. Questo simposio ed il tema prescelto, ne sono la prova. Il cosiddetto Mediterraneo allargato, un “continuum” strategico, da Gibilterra al Golfo Arabico, è infatti sede delle principali e più aspre tensioni del nostro tempo. Proprio la crisi più recente, quella in Libano, offre spunti di riflessione pertinenti, in quanto ha interessato direttamente paesi che sono qui rappresentati, che sono da voi rappresentati. In quella situazione, la compattezza della Comunità internazionale si è dimostrata fattore vincente per il controllo della crisi ed ha consentito alle Nazioni Unite di

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riacquisire un ruolo centrale nel disegno di stabilizzazione e di sostegno della pace. L’Italia, con la propria Marina in prima linea, assieme alle Marine di molti altri Paesi, che sono qui rappresentate, ha voluto contribuire, coerentemente con le pro- prie capacità e possibilità, al dettato della Risoluzione 1701. Nei prossimi giorni, voglio qui ricordarlo e salutare gli amici tedeschi, la responsabilità del comando delle Forze Navali operanti in quel mare transiterà dall’Italia alla Germania, con l’intervento di unità di numerose altre nazioni europee, riaprendo le speranze per il futuro. La via marittima è stata determinante, rivelandosi rapida e soprattutto sicura per evacuare il personale non combattente, per far giungere tempestivamente aiuti uma- nitari, per trasportare le truppe, i mezzi ed i materiali di supporto alla missione UNIFIL. Inoltre, in ossequio al preciso indirizzo delle Nazioni Unite e in pieno accordo con il Governo libanese, le Marine intervenute hanno assunto il compito di monito- raggio dei traffici marittimi consentendo la rimozione del blocco navale ed il riavvio di tutte le attività economiche del mare. La ripresa del traffico mercantile e della pesca, cosa importantissima per la popola- zione locale, ha rappresentato il segno tangibile del ritorno alla normalità, del ri- torno alla vita di tutti i giorni. La vicenda del Libano ci manifesta, ancora una volta, la valenza strategica dei mari e di conseguenza l’importanza che si riflette sulle Marine, che sono chiamate a ga- rantirne la sicurezza e la libertà. Ma la vicenda libanese ci induce soprattutto ad intraprendere con determinazione tutte le necessarie azioni affinché eventi simili non accadano mai più. Ci chiama a prevenire per non dover intervenire. Prevenire significa soprattutto adoperarsi costantemente, giorno per giorno, per costruire un clima di crescente fiducia, significa collaborare, cooperare ma prima ancora di tutto dialogare. Dialogo che in questo incontro so essere stato molto franco e proficuo, chiave di volta per affrontare con successo le sfide del mondo in cui viviamo, uno strumento primo per scongiurare la necessità del ricorso alle armi. Dialogo a tutti i livelli, dialogo continuo in modo da ottenere risultati adeguati e soprattutto duraturi. Il mondo è interconnesso in una rete globale di flussi. Il mondo diventa più piccolo ed i suoi soggetti sempre più interdipendenti. Lo ri- petiamo in tutti i nostri incontri, lo ripetiamo tutti, ma tuttavia tardiamo a com- prenderlo. Per questo, nell’era della globalizzazione, il libero e pacifico utilizzo delle vie marit- time si impone come un’esigenza vitale per l’economia mondiale. Se questo è valido a livello planetario, a maggior ragione lo è in contesti più circo- scritti come il Mediterraneo e il Mar Nero, mari nei quali si concentra un’intensis-

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sima attività di traffico commerciale che deve essere protetta dalle organizzazioni criminali che in questo spazio marittimo trovano condizioni particolarmente favo- revoli per proliferare. Le conclusioni dell’Ammiraglio La Rosa mi hanno dato la conferma che anche in questa sede è stata espressa la convinzione che gli elementi di rischio non solo deb- bono ma possono essere contenuti in modo pacifico. Il dialogo è il presupposto della fiducia e questa è, a sua volta, alla base della solidarietà. È per questo che iniziative come questa del Simposio, collegate ad altre iniziative a livello politico mirate ad alimentare il dialogo e la fiducia ed a ricercare nuove si- nergie, sono la vera risposta alle sfide future e devono essere parte di una strategia integrata mirata a creare stabilità. Solo un sistema dinamico, fondato sul principio della sicurezza collettiva, può af- frontare la fluidità e l’asimmetria delle sfide dei nostri giorni. Serve una azione globale, multinazionale e multilaterale, capace di impiegare tutte le risorse disponibili nei campi della sicurezza, della diplomazia, della politica, della cooperazione economica e culturale. In questo contesto la dimensione militare resta determinante e, al suo interno, è determinante il ruolo della Marina, delle Marine. Anche nel futuro esse sono destinate ad essere elemento centrale, forza pilota di ri- ferimento perché le altre Forze possano esprimere le proprie, altrettanto importanti, specificità in un quadro a caratterizzazione sempre più joint e sempre più com- bined. In questo senso, l’apporto delle Marine è di grande rilevanza anche sotto gli aspetti scientifici, tecnici ed industriali, come è stato ricordato durante questo Simposio. Anche in questo caso, dobbiamo puntare sulla cooperazione, per innalzare gli standard dei mezzi e dei sistemi operativi impiegati nella tutela ambientale, nella ri- cerca scientifica, nella protezione civile, nel controllo dei traffici navali, consapevoli che la disponibilità di mezzi e sistemi più avanzati non potrà che giovare a tutte le attività di sorveglianza, spesso penalizzate dalle diverse procedure e modalità di co- municazione. Le Marine, grazie alla loro attitudine all'impiego globale, grazie alla loro capacità multidimensionale, alla loro mobilità, alla loro flessibilità, sono un fattore di con- nessione primario. Più in generale, lo spettro dei loro compiti si è ampliato, dalle opzioni operative vere e proprie, le quali, tanto per evitare equivoci, restano l’ovvio elemento caratteriz- zante e distintivo di ogni Forza Armata, agli aspetti umanitari rilevanti ai fini della stabilità. Pensiamo al problema preoccupante del traffico di esseri umani, potenzial- mente utilizzato anche dal terrorismo per l’infiltrazione di elementi pericolosi. Il controllo dei traffici marittimi illeciti inevitabilmente richiede la partecipazione delle Marine in operazioni che hanno più che altro il profilo di polizia marittima, a conferma, ancora una volta, del mutato profilo delle sfide della nostra epoca.

75 Due anni al Ministero della Difesa

Emerge qui l’importanza della sorveglianza a largo raggio degli spazi marittimi, vista come azione coordinata e concordata fra i Paesi interessati, quale strumento fondamentale per svolgere un’efficace azione di prevenzione e garantire la sicurezza sul mare, che a sua volta, dobbiamo ricordare, influenza ed è condizione della sicu- rezza sul territorio. Sicurezza vista come bene comune da dare e ricevere, come il presupposto per co- struire il benessere, eliminando la povertà e la disperazione, radici che alimentano il terrorismo e la criminalità. È fondamentale, come è accaduto in questo Simposio, che ogni singolo contributo sia sempre considerato di pari dignità, lo voglio ripetere, a prescindere dall’esten- sione territoriale o dall’incidenza economica del paese promotore. Ogni paese è importante quanto lo sono gli altri, come le ruote di un meccanismo complesso, nel quale anche l’arresto della ruota più piccola compromette il corretto funzionamento della macchina nella sua globalità. Nel contesto attuale internazionale le azioni unilaterali sono ormai foriere di ten- sioni, contrasti e conflittualità. Il consenso collettivo deve essere perciò ricercato sia per assicurare il successo e la durevolezza dei risultati che si desidera conseguire sia per la sicurezza degli uomini da impiegare nel Teatro operativo considerato. Guardando alle iniziative positive e costruttive come questo Simposio, sento di poter guardare al futuro con ottimismo ed auspico la realizzazione di quello che po- trei chiamare il “governo congiunto di un Mare comune”, i Mari che sentiamo co- muni, ove l’impegno politico, diplomatico, ambientale, economico e militare si fon- dono in un insieme sinergico, basato su relazioni sincere, quali sono quelle che sen- tiamo legarci, e solidali, ove le risorse dell’uno vengono connesse alle risorse del- l’altro, ove la sicurezza è un servizio che si offre e un servizio che si riceve. È un’utopia? Io credo di no. È certamente l’auspicio che mi sento di esprimere oggi qui a Venezia, pensando al futuro di tutti i popoli che si affacciano su questi nostri splendidi mari.

76 Discorsi e indirizzi di saluto

64° anniversario della battaglia di El Alamein El Alamein, 20 ottobre 2006

Permettetemi almeno per una volta di variare quella che di solito è l’immutabile li- turgia di queste cerimonie rivolgendomi, innanzitutto, ai reduci presenti. Mi rivolgo ai reduci poiché è proprio il loro sacrificio, è proprio la loro odissea, è proprio il loro “lanciare il cuore oltre l’ostacolo” che siamo qui a ricordare, oggi, im- mersi in questo scenario di deserto e di silenzio che con la sua desolazione e la sua maestà sottolinea particolarmente quella follia dell’uomo che fu la guerra. Il sacrario nel quale siamo oggi qui riuniti non è infatti soltanto un sacrario. Si tratta invece di un monito che ci induce a meditare, con forza ed efficacia, sulle migliaia di giovani vite che in questa stessa area si spesero e si spensero ormai più di sessanta anni fa: per inseguire sogni e aspirazioni che il deserto evidenzia come pol- vere e miraggi fugaci della storia. È stato detto che dal silenzio di questi cimiteri si leva il monito affinché l’umanità non conosca più guerre. Ebbene, noi torniamo qua ogni anno per ascoltare questo ammonimento. È stato detto che da questo sacrario che custodisce i resti dei nostri combattenti si leva l’esortazione a non dimenticare, perché una nazione che dimentica non ha di- ritto ad un avvenire. Noi torniamo qua ogni anno ad ascoltare questa esortazione. Centomila uomini consumarono nella lotta la loro giovinezza per la Patria. Centomila uomini di ogni Patria. Centomila volti. Centomila storie. Centomila progetti di vita. A richiamarli alla nostra memoria uno per uno, anche solo facendo l’appello, due giorni non sarebbero sufficienti. Due ininterrotte giornate. Pur ricordando, riportando al cuore e alla memoria, morti di molte lingue e cul- ture, lo ripeto da questo sacrario in italiano, grazie ad una architettura permeata dal nostro spirito nazionale. Da questo monumento che si offre al sole e si apre al mare come il nostro Paese.

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Un inno alla vita, quindi, non alla morte e nel medesimo tempo un ricordo della Patria e delle famiglie lontane. Lo dico anche per ricordare la visione e la pietà di un uomo - Paolo Caccia Domi- nioni – che fu grande due volte, entrambe su questo campo di battaglia. La prima nel 1941 e 1942 come Comandante di un battaglione di guastatori del genio nel corso del conflitto. La seconda negli anni successivi, allorché partendo da Tripoli e muovendo verso Est sulla linea un tempo seguita dalle truppe dell’Asse re- perì e ricompose le salme di tutti i nostri Caduti. Raccogliendoli poi, insieme ai loro compagni, quegli Ascari libici che avevano fe- delmente servito la stessa Bandiera ed ora qui riposano all’ombra di una piccola mo- schea, nell’abbraccio di questo complesso monumentale che egli concepì, eresse e per buona parte finanziò. In questi sacrari, che nelle loro diverse architetture continuano a trasmetterci pur con lingue diverse lo stesso ammonimento - ho voluto visitarli ieri sera, nella notte, per prepararmi a questo incontro - uomini inquadrati in schieramenti differenti e contrapposti, riuscirono ad essere eguali gli uni agli altri esprimendo il meglio di quanto si poteva e doveva esprimere in quelle terribili condizioni. Siamo qui a ricordarlo oggi, a portare il loro esempio come riferimento a tutti voi che assistete a questa cerimonia nel loro ricordo, a tutti i cittadini soldati che ancora oggi servono in armi i propri Paesi, a tutti gli uomini di buona volontà che esistono nel mondo. Ricordiamo con ammirazione come anche nell’abisso di una guerra che in altri momenti ed in altri luoghi giunse a toccare il fondo dell’abiezione essi seppero pre- servare i valori che fanno uomo l’Uomo. La fedeltà alla parola data, l’onore verso le istituzioni, la dedizione al bene co- mune, il rispetto dell’avversario, la solidarietà verso l’alleato. In questo, da qualsiasi parte combattessero, gli uomini di El Alamein furono tutti eguali, che si trattasse di soldati, di Ascari o di quei civili che condivisero con le truppe pericoli ed asprezze di una situazione terribile. Ad essi voglio associare anche, nella condivisione di valori simili se non eguali, gli operai italiani deceduti mentre contribuivano alla costruzione del sistema di dighe che regola il flusso del Nilo che l’Italia ha voluto onorare tumulandoli sotto il porticato di ingresso di questo monu- mentale complesso. Anni dopo la fine del conflitto, allorché iniziarono le celebrazioni, fu proprio questa identità di motivazione e di sentimenti che portò i veterani a riconoscersi di nuovo come eguali ed a commemorare insieme quella battaglia. Quegli uomini, quelle cerimonie sono da annoverare con rispetto ed ammirazione fra gli elementi di base che ci hanno in seguito permesso di individuare, di ritrovare la strada da percorrere per raggiungere una convivenza più alta. È sulla scia del loro esempio che abbiamo costruito e stiamo ancora costruendo quell’identità comune che essi ci permet- tevano di intravedere nella loro condivisione dei medesimi valori di riferimento.

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La comunanza di valori, la stessa comunanza di valori e di regole che allora go- vernò lo scontro, consentì poi l’incontro. Grazie quindi a tutti voi, uomini di El Alamein, ai quali “mancò la fortuna ma non il valore”, per quanto ci deste allora e per quanto continuate a darci e a dirci. Siamo qua a riconoscere il debito che abbiamo con voi: un debito immenso! Grazie alle autorità, alle delegazioni e alle persone tutte che sono oggi qui conve- nute, per la loro presenza e per il significato che tale presenza esprime. Grazie ad Onorcaduti per il modo in cui esso continua, nel medesimo spirito, l’opera che fu già di Caccia Dominioni. Grazie a Abdallah Faraq e ai suoi Beduini per l’attenzione, l’amore ed il rispetto con cui hanno per tanti anni custodito questi edifici. Grazie infine una volta di più, a nome del mio Paese, e del Governo, alla splendida terra d’Egitto che ci ospita in questo momento e che in questo luogo da decenni offre un sereno riposo ai nostri morti. A tutti ancora grazie e un arrivederci.

79 Due anni al Ministero della Difesa

Consegna delle decorazioni dell’Ordine Militare d’Italia Roma, 4 novembre 2006

Signor Presidente della Repubblica,

a nome del Governo, delle Forze Armate, dell’Arma dei Carabinieri e mio perso- nale, vorrei esprimere a Lei che è il Capo dell'Ordine Militare d'Italia, innanzitutto un sentimento di profonda gratitudine per la Sua attenzione costante e affettuosa verso chi dedica la propria vita al servizio della Patria. L'Ordine Militare d'Italia, che prosegue l'Ordine Militare, istituito da Vittorio Emanuele I nell'agosto del 1815, ha lo scopo di riconoscere il merito militare per le azioni distinte, compiute in guerra e in tempo di pace, dalle unità delle Forze Ar- mate e dell’Arma dei Carabinieri e dai singoli militari ad esse appartenenti, pre- miando la qualità personale, a riconoscimento di un percorso di vita che sia consi- derato professionalmente meritorio, sulla base delle prove di perizia dimostrate, del senso di responsabilità e del valore. Si tratta di un'alta onorificenza, che molto opportunamente torna ad essere attri- buita con la giusta frequenza, per distinguere chi ha mostrato eccellenti virtù profes- sionali e per ricompensare i meriti acquisiti nel grado, nella funzione o nel com- plesso della vita militare. L'Italia chiede a tutti gli uomini e le donne in uniforme di servire il proprio Paese, sul territorio nazionale così come in regioni lontane, dove la pace e la legalità inter- nazionale sono minacciate. È un impegno gravoso quello che caratterizza i compiti dei militari e qualifica la loro scelta di vita. La vita militare è contrassegnata da un tratto del tutto particolare. Ad un militare può essere infatti chiesto di sacrificare la propria vita per il bene dei concittadini, dei propri commilitoni, della Patria. Questo dovere viene accettato nell'intima consapevolezza di svolgere un compito fondamentale per la vita del Paese, per la sua sicurezza, per il suo benessere. Certo, a fianco di questi sentimenti vi sono anche le legittime aspettative profes- sionali; questo è umanamente comprensibile. Ma è nel servire, nella disponibilità a mettere a repentaglio la propria vita, fino al sacrificio definitivo, che il militare rico-

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nosce la specificità della propria vocazione, portando a compimento un percorso di cosciente, silenziosa adesione ai valori della cosa pubblica, ai valori della Repubblica, ove l'azione si coniuga con la missione, il dovere con l'ardimento. Un'altissima onorificenza come è questa, conferita dal Presidente della Repub- blica, che conferma al massimo grado il merito acquisito in un'intera vita professio- nale, è allora molto più di un alto riconoscimento o di un motivo di orgoglio. È il suggello più autorevole di un percorso iniziato negli anni della gioventù, con il giu- ramento di fedeltà alla Repubblica. Sono convinto che gli Ufficiali che oggi ricevono la Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia sentano risuonare le parole ascoltate in occasione della cerimonia del loro giuramento, quando esse ammonivano che la vita stava cambiando, anzi era già cambiata e nuove responsabilità mettevano fine alla spensieratezza degli anni giovanili. Ebbene, il suono di quelle parole continua a riecheggiare: tra le montagne dell'Af- ghanistan o nel sud del Libano, in Bosnia come nell'Oceano Indiano, nel Sinai, nel Kosovo, in Iraq così come nelle ore di addestramento qui nella madrepatria. Quelle parole continuano a risuonare per rinnovare l'impegno alla fedeltà alle isti- tuzioni come obiettivo di vita, alla preparazione e professionalità come habitus cul- turale, alla dedizione vissuta quotidianamente e testimoniata nell'azione. Porto ancora negli occhi e nel cuore i momenti di intensa commozione che nelle settimane scorse ho provato, ripercorrendo i momenti più drammatici della nostra storia nazionale: la battaglia di Porta S.Paolo, l'affondamento della “Roma”, l'eroismo di Cefalonia, e pochi giorni fa, in terra d'Egitto, la battaglia di El Ala- mein. Alla ricerca del filo che anche nell'abisso di una guerra, che in altri momenti ed in altri luoghi giunse a toccare il fondo dell'abiezione, consentì ai nostri combat- tenti di preservare i valori che fanno Uomo l'uomo, e all'Italia tutta di ritrovare e ri- prendere il cammino verso il futuro. É a questo filo che si sentono legati i cittadini che oggi servono in armi la Repubblica, in unità con tutti gli uomini di buona vo- lontà che nel mondo difendono la pace come condizione della speranza.

Signor Presidente della Repubblica,

il Governo è orgoglioso delle nostre Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri, delle virtù e del valore che esse stanno dimostrando in Italia e nel Mondo. Con queste onorificenze le Istituzioni intendono riconoscere queste virtù e questo valore.

Grazie di nuovo, Signor Presidente,

grazie a nome di tutta la famiglia della Difesa per l'attenzione che dimostra nei ri- guardi delle Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri, custodi della nostra Costitu- zione e prime testimoni della volontà di pace e solidarietà di tutti gli Italiani.

81 Due anni al Ministero della Difesa

Inaugurazione dell’anno accademico 2006-2007 della Scuola d’Applicazione Torino, 9 novembre 2006

Generale Cecchi, Generale Novelli, Professor Profumo, Autorità, Signore e Signori,

sono lieto di essere qui con voi oggi e di assistere all'inaugurazione dell'anno acca- demico di questa Scuola che so prestigiosa. Un Istituto fondamentale per la struttura formativa della Difesa e che è altresì riu- scito ad imporsi, come ha giustamente sottolineato il Generale Novelli, quale ele- mento di eccellenza della comunità scientifica locale. Alle sue parole si sono aggiunte quelle del professor Profumo che ha dedicato la sua prolusione agli elementi essenziali da porre alla base di un virtuoso processo di sviluppo locale. Il richiamo è stato importante, considerato come la Difesa debba mantenersi co- stantemente ricettiva ai segnali ed ai fattori di cambiamento provenienti dal- l'esterno, in particolare dalla più vasta comunità accademica, così come dalla Co- munità locale. Siamo infatti tutti pienamente consapevoli di quale sia stata la portata degli im- mani eventi che hanno contribuito a stravolgere nel corso degli ultimi anni l'intero quadro strategico di riferimento. Eventi che hanno inciso sul settore della Difesa, un settore particolarmente deli- cato e strettamente connesso all'evoluzione della politica e degli equilibri interna- zionali. Anziché identificarsi con "la fine della Storia", come alcuni avevano preannun- ciato, la fine della Guerra Fredda ha invece coinciso con un "ritorno alla Storia". Molti contrasti e contenziosi locali, congelati per decenni dalla contrapposizione Est - Ovest, sono tornati di bruciante attualità a partire dagli anni Novanta in un susseguirsi di eventi spesso conflittuali, quasi che si volesse recuperare il tempo per- duto nei decenni trascorsi. Esemplare, in senso negativo, è stato il caso dei Balcani, con le Repubbliche della ex-Jugoslavia intente, come è stato detto, a "produrre più storia di quanta non riu- scissero a consumarne".

82 Discorsi e indirizzi di saluto

La pace, come abbiamo purtroppo scoperto ben presto, non era più quel patri- monio disponibile, quel "dividendo da distribuire", come qualcuno con azzardo aveva sostenuto, ma veniva invece riscoperta come faticosa conquista quotidiana. Il cambiamento che una simile evoluzione ha imposto al mondo della Difesa è ri- sultato quanto mai radicale. Fino ai primi anni Novanta, infatti, il confronto fra i due blocchi congelava gli ap- parati militari contrapposti in strategie speculari, ove la deterrenza reciproca inci- deva con un peso ben maggiore delle vere e proprie ipotesi belliche. Ciò implicava una preparazione professionale specifica, capace di concretizzarsi poi in una puntigliosa capacità di pianificazione e di condotta delle operazioni mili- tari pienamente aderente ad uno schema conosciuto fin nei minimi dettagli. Sono tempi che molti di noi ricordano molto bene e non è un caso il fatto che in quell'epoca "Il deserto dei tartari" di Buzzati fosse considerato come il libro che me- glio coglieva l'essenza della vita militare. La Guerra del Golfo del 1991 ci cullò poi per un attimo nella errata impressione che semplici adattamenti di questa cultura militare di base sarebbero risultati suffi- cienti ad affrontare il futuro. Fu una illusione molto breve, rapidamente cancellata dall'esperienza della Somalia e delle altre crisi regionali che si succedettero poi, incalzandosi l'una dopo l'altra come grani di un rosario sgranato sempre più in fretta. Da questo tipo di esperienze e dai loro risvolti - a volte purtroppo anche tragici - traemmo in seguito quegli spunti di meditazione che integrati ai fermenti dottrinali del momento, ed in particolare alla teoria della "Rivoluzione degli Affari Militari" che proprio allora cominciava ad imporsi, ci avrebbero consentito di muovere i primi passi sulla via del cambiamento. La dura realtà dei Balcani ci confermò in seguito quanto fossero mutate le esigenze e quanto dovessimo ancora lavorare a trasformare i nostri apparati militari per far fronte alla nuova realtà. Era chiaramente divenuta indispensabile una trasformazione di fondo che inve- stisse, a monte delle strutture, lo stesso pensiero militare, vale a dire la cultura e la preparazione dell'ambiente. I tragici avvenimenti dell' "Undici Settembre", hanno poi ulteriormente contri- buito a rendere evidente tale bisogno, sottolineando l'estrema urgenza del cam- biamento. Dopo il crollo delle torri gemelle non abbiamo infatti più potuto godere del lusso di disporre di un tempo indefinito per adeguarci alla realtà. Anche per i paesi del- l'Occidente l'impiego dello strumento militare, che per anni era stato percepito come assolutamente eccezionale, si configurava come indispensabile. In pari misura si riduceva il nostro margine decisionale in merito alla scelta se in- tervenire o meno nelle crisi che di volta in volta si aprivano attorno alla nostra sfera di interessi primari.

83 Due anni al Ministero della Difesa

Per la prima volta dal 1945 alcuni aspetti dei nuovi tipi di conflitto - penso in par- ticolare al terrorismo internazionale che è difficile classificare nelle categorie del pas- sato - hanno coinvolto direttamente il nostro territorio nazionale con modalità ine- dite che ponevano addirittura in discussione divisioni di competenze tradizionali e consolidate, come quelle fra Interno e Difesa. Dal punto di vista pratico la nostra reazione si è tradotta in un rafforzamento delle difese e dell'opera di intelligence sul territorio. All'estero ci siamo invece proiettati ovunque ritenessimo indispensabile fronteg- giare, anche in regioni geograficamente lontane, situazioni capaci di generare col tempo rischi gravi per i nostri valori, la nostra sicurezza, i nostri interessi vitali. Si è trattato di una fase convulsa, ancora in atto, e nel corso della quale abbiamo dovuto certamente confrontarci con difficili scelte che - come del resto sempre avviene quando ci si cimenta in nuovi compiti - hanno comportato incertezze, ripensamenti ed errori. Da quegli errori però abbiamo anche saputo imparare molto. Siamo infatti molto più consapevoli oggi di quanto non fossimo ieri di come risulti vitale saper calibrare l'intervento militare per conseguire obiettivi quali la pace, la legalità e la giustizia, perché oggi più di ieri sappiamo che essi non possono essere misurati in termini di parametri quali il numero di obiettivi colpiti, la percentuale di avversari neutraliz- zata, il livello di minaccia militare residua. Abbiamo parimenti compreso appieno quanto sia difficile stabilizzare una realtà sociale e politica, allorché le forze destabilizzanti hanno la loro genesi proprio all'in- terno della società stessa che cerchiamo di stabilizzare. Abbiamo di conseguenza iniziato a sviluppare capacità e metodologie di inter- vento che permettano una maggiore coerenza fra l'azione militare e gli obiettivi po- litici da conseguire. I Reparti deputati alla pianificazione e all'impiego delle Forze hanno progressiva- mente aumentato l'attenzione dedicata alle "operazioni militari diverse dalla guerra", una espressione anglosassone che racchiude in un unico termine i concetti di peace-keeping, peace-enforcing, peace-making, la difesa delle infrastrutture cri- tiche, il supporto alle altre componenti dello Stato nella gestione delle emergenze umanitarie, nella lotta alla criminalità e all'immigrazione illegale. Mentre la trasformazione dello strumento militare rappresenta il futuro, il pre- sente si identifica invece con la condotta delle operazioni nonché la formazione del personale destinato ad operare in tale contesto. È per questo che percepiamo più che mai il bisogno di disporre di nuove leader- ship che sappiano capitalizzare l'esperienza acquisita sul campo negli ultimi anni, arricchendola poi di nuovi fermenti culturali. Oggi più che nel passato, ed in prospettiva sempre di più nel futuro, gli Ufficiali do- vranno essere in condizione di saper agire in un ambiente interforze e multinazionale. La loro cultura professionale, acquisita durante le varie fasi formative negli Istituti di Forza Armata e affinata dalle esperienze reali, dovrà potersi confrontare quotidia-

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namente con quella dei colleghi provenienti da altre Forze Armate, o da Forze Ar- mate straniere. Dovranno esistere consuetudine e capacità di lavorare fianco a fianco con il perso- nale delle altre Amministrazioni dello Stato, in Italia e nei Teatri più disparati. Si dovrà essere in condizione di dialogare e cooperare con tutti i diversi ed a volte complessi elementi di un "sistema Paese" estremamente articolato. Sarà necessario riuscire a convivere armoniosamente con Enti sino a ieri percepiti come partners impegnativi per la nostra cultura, come ad esempio quelle Organiz- zazioni non-governative che talvolta sono portatrici di un punto di vista e di culture professionali molto distanti dal mondo militare, ma che nondimeno si configurano come un'espressione importante e preziosa della nostra società. Se fino a pochi anni or sono la diffusione della cultura interforze e della cono- scenza delle lingue rappresentavano un traguardo ambizioso, oggi gli obiettivi che dobbiamo porci appaiono ben più ardui da conseguire. All'Ufficiale dell'Esercito si chiederà di interagire sempre più a fondo, sempre più spesso e con conoscenza progressivamente crescente con una realtà molto diversa da quella di provenienza, talvolta distante geograficamente e culturalmente dalle nostre radici nonché spesso degradata da gravi problemi economici e sociali. Voi Ufficiali frequentatori, Comandanti di domani, dovrete poter comprendere il quadro politico, etnico, religioso, economico e sociale dell'ambiente in cui i vostri reparti saranno chiamati ad operare. Dovrete saper prevedere in tutte le sue sfaccet- tature l'impatto della vostra azione e di quella dei vostri uomini su una realtà tanto complessa, valutando altresì quale potrà risultare l'effetto combinato delle azioni di tutti gli attori, militari e non, operanti nel medesimo contesto. Dovrete saper interpretare con intelligenza , sereno buon senso, gusto della re- sponsabilità e piena consapevolezza del rischio, ordini che necessariamente lasce- ranno largo spazio alla valutazione ed alla iniziativa personale. Ecco perché la sfida che si propone oggi agli Istituti di formazione militare risulta particolarmente impegnativa. Si tratta infatti di coniugare l'insegnamento delle materie tradizionali che costitui- scono la struttura portante della cultura militare con elementi sempre nuovi, tratti dal confronto con la dottrina e l'esperienza reale acquisita durante le operazioni e costantemente vivificati dal dibattito scientifico e culturale. I successivi cicli di formazione, che vi attendono, via via adeguati alle mutevoli ne- cessità che di volta in volta si evidenzieranno, finiranno così col configurarsi come un processo continuo, teso da un lato ad assicurare ai militari l'assoluta padronanza di culture nuove rispetto al passato, dall'altro a preservare tutti quegli elementi della cultura tradizionale che in quanto intrisi dei valori di fondo della professione risul- tino assolutamente insostituibili. Per conseguire un simile obiettivo dobbiamo saper mobilitare le migliori risorse di cui il Paese dispone. Il compito che abbiamo di fronte è infatti estremamente arduo.

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A questo proposito, voglio esprimere il mio apprezzamento per le iniziative adot- tate a tal fine da questa Scuola. Penso in particolare alla costituzione del "post conflict operation center", e più in generale alla stretta interazione della Scuola con Istituti paritetici di altre branche della Pubblica Amministrazione nonché con similari Istituzioni di altri Paesi e delle varie Agenzie delle Nazioni Unite; sono per me l'esempio più evidente della sua ca- pacità di adattarsi prontamente e efficacemente al mutare dei tempi e delle esigenze. Di questo mi congratulo con l'Esercito ed in particolare con Lei, Generale Novelli, che per la Forza Armata regge l'alta responsabilità di questo antico e prestigioso Isti- tuto. In chiusura vorrei di nuovo rivolgermi ai più giovani fra i frequentatori della Scuola, Ufficiali destinati ad acquisire nel corso della loro permanenza fra queste mura un bagaglio morale, culturale e professionale di primissimo ordine. Destinati, soprattutto, a trasformarsi da Ufficiali Allievi in Comandanti. Fra qualche anno voi, Signori, avrete la responsabilità di altri uomini e donne che dovrete guidare in azione, probabilmente in frangenti in cui la forza del vostro co- raggio, l'adeguatezza della vostra preparazione, la profondità dei vostri valori sa- ranno tutti contemporaneamente posti alla prova. Fate tesoro degli insegnamenti che qui ricevete. Fate tesoro delle nozioni tecniche e professionali che vi permetteranno di disimpe- gnare al meglio i vostri compiti. Fate però tesoro, sopra e prima di tutto, dei precetti morali che permeano l'inse- gnamento che qui ricevete. Sarà infatti la saldezza dei vostri valori a condurvi verso le scelte giuste nei mo- menti più difficili che dovrete superare. Continuate però nel contempo a guardare con serenità alla vita che vi attende. Vi trovate all'inizio di un percorso entusiasmante che vi porterà ad immergervi in re- altà distanti dal vostro ambiente di provenienza in una misura tale che ben pochi dei vostri coetanei potranno mai sperimentare e sognare. Prima e più di altri siete infatti chiamati a sperimentare quella “cittadinanza del mondo” della quale i più sono solo titolari inconsapevoli. Siate perciò capaci di comprendere tutte le innumerevoli diversità che il futuro porrà sulla via del nostro Paese e di dialogare con esse. Siate perciò, prima di tutto, servitori dello Stato, siate i primi artefici di quella volontà di pace e di giustizia che è scolpita nella nostra Costituzione. Il compito che avete davanti a voi è grande. Non meno grande è tuttavia il Paese che avete alle vostre spalle. Sono sicuro che ne sarete all'altezza. A tutti voi, ai docenti civili e militari, ai frequentatori, ai ricercatori ed ai dotto- randi, auguro un sereno e proficuo lavoro.

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Giuramento del 219° corso degli Allievi della Scuola Militare “Nunziatella” Napoli, 18 novembre 2006

Autorità, Ufficiali, Signore e Signori, Cittadini di Napoli, Allievi,

Allievi del passato e Allievi del presente, a voi tutti, che siete qui con me in questa magnifica, indimenticabile piazza raccolti attorno alla Nunziatella porto il saluto del Governo e di tutte le Forze Armate che, non senza emozioni, rappresento oggi come Ministro della Difesa. È un saluto particolare, segnato dai ricordi e dai sentimenti. Un saluto segnato dalla riconoscenza di un ex Allievo che, in quello che da sempre chiamiamo il Rosso Maniero, ha ricevuto la sua prima educazione di uomo e di cittadino, una educa- zione in divisa che ha guidato fin qui tutta la sua vita. Il medesimo saluto vorrei poi estenderlo, voglio estenderlo anche alla città di Na- poli, qui rappresentata dai suoi massimi esponenti istituzionali, Napoli e la Cam- pania che da sempre seguono gli Allievi della Nunziatella con un affetto ed una par- tecipazione che non esito a definire materni. Grazie infine al Comandante della Scuola, al corpo insegnante e al personale tutto, per il loro impegno costante, competente e generoso. Grazie ai vostri genitori che vi hanno accompagnato fin sulla soglia di Pizzofalcone. Oggi celebriamo, al medesimo tempo, un anniversario ed un giuramento. L’anniversario è l’ennesima tappa di un lungo cammino, la duecentodiciannove- sima, che si impone come un indice di quella continuità che è, ben a ragione!, il grande vanto della Scuola facendo di essa uno degli Istituti di formazione più antico dell’intera Europa. Questo cammino è guidato da un filo ininterrotto che collega Allievo ad Allievo, corso a corso, nel fluire di vicende storiche che chiamano la Nunziatella a confer- mare e allo stesso tempo a rinnovare la sua presenza. Da un lato la Nunziatella si impone con la visione che fu fondamento, quella vi- sione che spinse il Generale Parisi a delineare nel 1785, al ritorno dal viaggio in Eu- ropa, un sistema di formazione ben in anticipo sui suoi tempi e che ancora conserva intatta gran parte della sua vitalità.

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Dall’altra si propone con l’eccellenza della dottrina: e il pensiero non può che an- dare, per tutti, al De Sanctis, all’inizio professorino bistrattato poi voce resa autore- vole dalla forza del pensiero. E, a valle della visione e della dottrina, come frutto prezioso: l’azione di chi si è qui formato attraverso i secoli. Una azione sempre segnata dalla dedizione e dal sacri- ficio, spesso dall’eroismo e dal sangue. Un rosario interminabile di esempi che la memoria di ogni Allievo deve custodire più del sacrario della Scuola. Un rosario interminabile di nomi: da Pisacane e Pepe fino al Duca d’Aosta caduto sull’Amba Alagi. Una storia di valore che continua fino ai nostri giorni. L’abbiamo ricordato oggi, riconoscendoci nelle parole e nei gesti del Generale Aiosa. Penso a tutti gli Allievi che oggi, in Teatri diversi, rischiano la loro vita per difen- dere la pace in lontane regioni e mantenere alto l’onore ed il nome dell’Italia nel mondo. Penso ai tanti volti che ho incontrato nei mesi scorsi in tutti i Teatri di ope- razioni. Al distintivo triangolare metallico sul taschino sinistro della giubba della uni- forme, che indica l’orgoglio della provenienza da questa Scuola, e allo stesso tempo la consapevolezza dell’impegno di chi è chiamato ad essere all’altezza della eredità ri- cevuta: una eredità fatta innanzitutto di valori. Valori fondamentali. Valori accettati. Valori condivisi. E condivisi non soltanto in ambito militare. Se la Nunziatella si è sottratta al destino di altre Scuole simili che hanno attraver- sato come meteore lo scenario europeo e chiuso da tempo i loro battenti, è stata per la sua capacità di integrare in maniera armonica la dimensione civile e quella mili- tare nel destino dei propri Allievi, la sua fedeltà al progetto iniziale di Giuseppe Pa- risi, un progetto che la destina alla formazione del cittadino, alla formazione della persona nella sua completezza e complessità. Questo progetto deve essere ripreso, deve essere difeso, deve essere sviluppato ul- teriormente in un tempo e in un mondo che sappiamo mutato, profondamente mutato. Il rischio maggiore del nostro tempo, un rischio per il mondo militare e per la co- munità politica, è quello della separatezza fra i due mondi, un rischio che la scelta del modello professionale per più versi rafforza. Anche per questo deve essere ritro- vato e difeso il circuito della formazione militare e della formazione civile. La grande sfida delle Scuole e delle Accademie è, oggi, quella di costituire dei veri poli di eccellenza culturali, mantenendo al tempo stesso le loro distintive caratteri- stiche di militarità. La Nunziatella è un esempio vivissimo e vitale di tutto questo. Questa sua condizione di privilegio le consente e la chiama a riempire i suoi occhi di futuro. Il suo motto, quello che leggiamo all’entrata della Scuola, “Preparo alla vita e alle armi”, impone di dare agli Allievi un’istruzione ed un addestramento.

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È l’unica scuola che, proprio per questa sua atipicità, può abbinare questi due mo- menti. Questa nostra Scuola è infatti parte di un disegno ampio, volto a tenere la forma- zione militare proiettata verso il futuro. Forte del passato e delle tradizioni, ma, ripeto, rivolta al futuro, perché il compito della Nunziatella, come delle altre Scuole ed Acca- demie, è anche quello di preparare chi dovrà tutelare la sicurezza della nostra Patria.

Cari Allievi,

vi confesso, l’ho già anticipato, di provare una grande emozione nel rivolgermi di- rettamente a voi. Come sapete, molti anni orsono, troppi anni, anche io sono stato uno di voi. Indossavo la vostra divisa, appartengo al corso che la indossò per la prima volta, mangiavo alla vostra mensa, dormivo nelle vostre camerate. I ricordi di quegli anni sono forti, ancora vivi e nitidi. Oggi, a distanza di tanti anni, sono più consapevole che mai del valore morale con- tenuto nelle parole del giuramento, nel giuramento che avete appena pronunciato. Un valore che prescinde dalle scelte individuali che ciascuno deciderà di compiere. Perché la fedeltà alla Patria ed alle leggi è un obbligo di ogni cittadino, anche se ri- badito in modo solenne solo nelle Forze Armate, ove l’obbligo stesso può chiamare ad esporre la propria persona a rischi gravi, a rischi anche mortali. Oggi è un giorno di Giuramento. Il Giuramento di un corso che sarà ricordato come il 2006-2009 e che come tale passerà alla storia della Scuola. Giorno di giura- mento anche per noi che abbiamo giurato o rinnovato il nostro giuramento negli anni passati. Penso a quello mio di sei mesi fa come Ministro della Repubblica. È per tale motivo che, rivolgendomi a voi del corso 2006-2009 e allo stesso tempo a tutti noi, vogliamo richiamare l’idea che nulla sia più nobile che dedicare le pro- prie vite al “servizio”, al “servire”. E ciò, nonostante il fatto che “servire” sia un verbo pesante, quasi sempre frainteso. Ma dobbiamo chiedercelo: cosa vi è di più nobile che servire la comunità, la casa comune, la res publica, la Repubblica in cui si vive? Ricordate la nostra canzone? “Ufficiali e dottori saremo – e la Patria col cuor servi- remo, ma se il cuor non basterà…”, il resto la cantate e la canterete dentro di voi. Bene, l’essenza della vostra vita futura, del vostro Giuramento, dei Valori che giorno dopo giorno l’educazione della Scuola Militare cesella dentro di voi è tutta lì. In quel verbo “servire”. Servire la Repubblica. Servire la Patria. Ed in tutta la gran- dezza e la nobiltà che sono legate a questo compito.

Cari Allievi,

so che gli anni della adolescenza e della prima gioventù sono difficili, tumultuosi.

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Il tempo che deve venire ci appare come una corsa ad ostacoli senza fine, con tra- guardi che sembrano irraggiungibili e lontani. Eppure quei traguardi arrivano. Ma si riesce a giungervi vittoriosamente solo se si è saldi nel carattere, pronti ad affrontare ogni prova con curiosità e fiducia e, ag- giungo, con allegria. “Non abbiate paura”. Consentitemi di ripetere le parole con le quali, pur evocando un altro orizzonte, Giovanni Paolo II ha saputo percorrere da protagonista il suo secolo. Anche il mio invito è un invito a guardare con fiducia al futuro, consapevoli delle vostre potenzialità, della ricchezza costituita dall’insegnamento della Scuola e della solidarietà che vi lega ai vostri compagni, con un legame che vi accompagnerà tutta la vita. Ed ora, proprio in nome di questo legame, permettetemi, per ultimo, di rivolgere un fraterno saluto ai miei colleghi di corso di tanti anni fa, ai miei anziani, ai miei cappelloni, ed a tutti i membri dell’Associazione ex Allievi della Nunziatella. Tutti restiamo legati ad un ricordo che ci porta ad amare Napoli e la Scuola dove siamo cresciuti. L’Associazione è un patrimonio intellettuale e culturale di grande si- gnificato, una rete di uomini liberi che restano vicini a questo Istituto e desiderano contribuire alla sua costruzione nel futuro, del suo futuro. Insieme ci ritroviamo da sempre, e ci ritroveremo ancora, per rinnovare i nostri sentimenti di affetto, nel solco di un ricordo ove la memoria si ravviva e l’amor di Patria diviene, è chiamato a divenire azione concreta. A tutti, ancora, grazie per l’impegno e grazie per esser qui. Agli Allievi che hanno appena giurato, un sincero “buona fortuna”.

Viva il 219° corso! Viva la Nunziatella! Viva le Forze Armate! e, tutti assieme, Viva l’Italia!

90 Discorsi e indirizzi di saluto

Ammainabandiera del Contingente militare italiano in Iraq Nasiriyah, 1 dicembre 2006

Oggi, dopo 1273 giorni da quando il 7 giugno del 2003 la Bandiera italiana fu is- sata per la prima volta a Nasiriyah, si chiude con l’ammainabandiera la missione “Antica Babilonia”. Nel momento del rientro in Patria della Bandiera del 1° reggimento bersaglieri della Brigata “Garibaldi”, siamo qua tutti assieme per salutare a nome dell’Italia la gente della Provincia di Dhi Qar e tutto il popolo iracheno col quale abbiamo con- diviso questi anni che vengono così affidati alla memoria. Della presenza dei militari italiani in questi luoghi, una cosa vorremmo che fosse ricordata: pur in un contesto profondamente segnato dalla guerra, il loro passo e la loro azione furono guidati sempre da sentimenti di pace. In nome di questi sentimenti, i soldati italiani hanno messo la loro umanità al ser- vizio della convivenza civile e delle sue Istituzioni, affinché i valori che danno ad esse vita avessero il tempo di crescere e di ritrovare le loro radici nella antica civiltà del suo popolo. In nome di questi sentimenti essi si sono spesi da italiani e da soldati perché la sicu- rezza, la stabilità e l’ordine tornassero pienamente nelle mani del popolo iracheno. Ora il nostro Contingente rientra in Patria. Rientra per ottemperare ad un esplicito mandato ricevuto dai cittadini italiani e suggellato, su proposta del Governo, dal Parlamento nella sua quasi totalità. Quando definimmo il nostro intendimento di concludere la missione, ci impe- gnammo affinché tale conclusione si svolgesse nell’ordine, nella dignità e nella sicu- rezza: nel rispetto delle esigenze di sicurezza del Paese che ci ospitava e degli Alleati, con i quali condividevamo le nostre responsabilità, sulla base di un accordo con tutte le parti interessate. Riteniamo che quello che ci siamo proposti, che quello che abbiamo annunciato e condiviso sia quello che abbiamo fatto. Il rientro del Contingente italiano non significa, però, la fine di una strada comune, la fine di una strada da percorrere insieme al popolo e alle Istituzioni irachene. L’Italia non volterà le sue spalle all’Iraq, dissi qua nello scorso maggio, all’indo- mani del mio insediamento come Ministro.

91 Due anni al Ministero della Difesa

Lo ripeto oggi in questo momento solenne a nome del Governo della Repubblica. A conclusione della nostra presenza militare, con il rientro del nostro Contin- gente, l’impegno dell’Italia proseguirà attraverso una rafforzata collaborazione poli- tica, civile, umanitaria di sostegno alle Istituzioni e alla ricostruzione del Paese. Anche se la Provincia di Dhi Qar, il territorio della cui sicurezza ci siamo trovati a condividere la responsabilità, dispone di un quadro di sicurezza adeguato, noi siamo consapevoli che le fiamme dell’incendio divampano ancora in molte parti dell’Iraq. Anche per questo, per la consapevolezza della qualità della convivenza in questo territorio, sentiamo il dovere di condividere i risultati del nostro operato con tutti coloro con i quali ci siamo trovati ad operare. A tutti loro va il nostro ringraziamento. Un ringraziamento particolare, come particolari e profondi sono i sentimenti che si provano nei riguardi di chi è stato un compagno d’armi per oltre tre anni, in una dura situazione operativa. I soldati italiani sanno di aver condiviso per tutto questo tempo con i loro colleghi iracheni, britannici, statunitensi, romeni, portoghesi e di tutti gli altri Contingenti della coalizione tutto ciò che forma la tragedia e la grandezza della vita. Ed ora, prima di muovere di nuovo i nostri passi sulla via del ritorno, prima che la Bandiera d’Italia sia definitivamente ammainata su questa terra, consentitemi di sa- lutare, ancora una volta, i nostri Caduti, di salutarli così come feci in occasione della mia prima visita in terra irachena. Oggi come allora, e come da allora abbiamo iniziato a fare, desidero chiamare, uno per uno, i loro nomi per ricordare assieme ad essi i loro volti, i loro ideali, i loro sogni. Desidero ricordarli, come Soldati e come Uomini, non per prendere commiato da loro, ma per riportarli ancora una volta al nostro cuore, in questa terra dove per la missione “Antica Babilonia” essi hanno sacrificato, in nome dell’Italia, la loro vita per la pace.

• Maresciallo Capo Massimiliano Biondini; • Maggiore Marco Briganti; • Maresciallo Aiutante Massimiliano Bruno; • 1° Caporal maggiore Alessandro Carrisi; • Sergente Davide Casagrande; • Sottotenente Giovanni Cavallaro; • Maggiore Nicola Ciardelli; • Maresciallo Ordinario Marco Cirillo; • Maresciallo Capo Simone Cola; • Brigadiere Giuseppe Coletta; • Maresciallo Aiutante Carlo De Trizio; • Caporal maggiore capo scelto Emanuele Ferraro; • Capitano Massimo Ficuciello;

92 Discorsi e indirizzi di saluto

• Appuntato scelto Andrea Filippa; • Sottotenente Enrico Frassanito; • Sottotenente Enzo Fregosi; • Maresciallo Capo Daniele Ghione; • Brigadiere Ivan Ghitti; • Vice Brigadiere Domenico Intravaia; • Maresciallo Aiutante Franco Lattanzio; • Colonnello Giuseppe Lima; • Appuntato Horacio Majorana; • Sergente Salvatore Marracino; • Sottotenente Filippo Merlino; • Maresciallo Capo Silvio Olla; • Caporal maggiore Pietro Petrucci; • Caporal maggiore scelto Alessandro Pibiri; • Maresciallo Aiutante Alfio Ragazzi; • Caporal maggiore scelto Antonio Tarantino; • Sottotenente Alfonso Trincone; • 1° Caporal maggiore Matteo Vanzan; • Caporal maggiore scelto Massimo Vitaliano.

Il nostro pensiero non può non andare, in questo momento, anche al dottor Marco Beci e al dottor Stefano Rolla, uomini che pur non avendo prestato giura- mento di fedeltà alla Patria, hanno condiviso coi militari un destino crudele. Ricordiamo infine il dottor Nicola Calipari, del Servizio Informazioni per la Sicu- rezza Militare, che ha sacrificato la propria vita affinché altri potessero vivere.

Il vostro sacrificio non è stato vano. Il vostro ricordo ci accompagnerà per sempre.

93 Due anni al Ministero della Difesa

Rientro del Contingente militare italiano dall’Iraq Caserta, 7 dicembre 2006

Signor Presidente della Repubblica,

mi consenta innanzitutto di rivolgerLe a nome del Governo il ringraziamento più sentito per la Sua presenza qui, a Caserta, per salutare col rientro dall'Iraq della Bri- gata Garibaldi la conclusione della missione "Antica Babilonia". Sono passati solo pochi giorni da quando a Nasiriyah abbiamo ammainato per l'ultima volta il Tricolore che lì ha sventolato per 1273 giorni. Chi ha partecipato con me a quella cerimonia ha ancora nel cuore le emozioni e l'intensità di quei mo- menti. Un'emozione condivisa da tutti i presenti: dai rappresentanti del popolo iracheno a quelli delle Forze alleate che con noi hanno vissuto tutte le fasi della missione. Emozione e sentimenti che desidero trasmettere a Lei, ai familiari dei Caduti, ai fe- riti, alle autorità, ai militari qui schierati, a tutti i cittadini presenti e a tutti gli italiani. Innanzitutto sentimenti di gratitudine verso i nostri Caduti che hanno bagnato col loro sangue quella terra lontana legandola per sempre al nostro cuore. Ad essi rivolgiamo ancora una volta il nostro pensiero più affettuoso. Nessuno dimenticherà il loro sacrificio e la loro testimonianza. Mai. È per questo, per aiutarci a ricordare, per onorare il loro sacrificio, che pensando a quei momenti ho ritenuto doveroso impartire disposizioni affinché, sulla base della legge che ha istituito la "Croce d'Onore", possano essere intitolati Caserme, Co- mandi ed Enti militari al nome di quei militari deceduti in servizio che sono stati insigniti di quella onorificenza. Assieme ai sentimenti di riconoscenza, a Lei e a tutti gli italiani voglio qua tra- smettere anche sentimenti di orgoglio: l'orgoglio per l'impegno portato a compi- mento a favore del popolo iracheno. Non riesco a questo proposito a trovare parole migliori di quelle rivoltemi di per- sona, mentre la cerimonia stava per iniziare, dal Maggior Generale britannico Shi- reff, Comandante della Divisione multinazionale Sud Est alla quale apparteneva il nostro Contingente.

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“Oggi è un giorno triste - mi ha detto - perchè la Divisione perde col rientro degli italiani un alleato valido e leale. Ma è anche un giorno bello, perché la provincia di Dhi Qar, e Nasiyriah, sono oggi sicure. In Dhi Qar i soldati italiani hanno vera- mente conquistato la pace, con il loro stile, il loro impegno e il loro coraggio. Il metodo adottato dagli Italiani è stato molto efficace e si è rivelato vincente anche quando adottato in altre province. È per questo che lo stiamo proponendo in tutta l'area di responsabilità della Divisione multinazionale. Speriamo di otte- nere un successo comparabile con quello conseguito in Dhi Qar dal Contingente italiano”. Un riconoscimento peraltro quasi identico a quello del Generale americano Chia- relli, Comandante del Corpo d'Armata multinazionale, che aveva avuto occasione di affermare "Noi non potremo ringraziarvi abbastanza per quello che voi italiani avete fatto in Iraq. Spero che riusciremo a fare in tutto il Paese tanto bene quanto quello che voi avete fatto in Dhi Qar". Un riconoscimento ma anche un memento in queste ore di tragici bilanci sulla vi- cenda irachena.

Signor Presidente della Repubblica,

oggi è il momento dell'unità non quello dei distinguo. Tutti ricordiamo tuttavia le posizioni assunte nel passato in merito al nostro intervento in terra irachena, e la di- versità di vedute e di valutazioni a questo proposito. Io, qui, rappresento un Governo che non è quello che decise l'avvio della "Antica Babilonia" e la sua prosecuzione per oltre tre anni e mezzo. Ricordo queste differenze e queste distinzioni non per rinnovare o approfondire divisioni ma, all'opposto, per affermare in un momento solenne che esiste un piano che supera le legittime diversità e ci chiama a sentirci tutti componenti di una grande comunità: un piano che chiama tutti e ognuno a riconoscersi nelle decisioni assunte dalla Repubblica attraverso le regole della democrazia. Per questo motivo, i nostri militari in Iraq, sono stati nostri, di ognuno e di tutti dal primo all'ultimo giorno della missione: soldati italiani che là si sono spesi in nome dell'Italia. Per questo motivo, quando ero all'opposizione, ho guardato ad essi con la stessa trepidazione che ho provato in questi lunghi 198 giorni nei quali, da responsabile della Difesa, ho condiviso direttamente il loro impegno e la responsabi- lità della loro vita. E sono sicuro anche che il Ministro della Difesa che mi ha preceduto, qui presente e che saluto, avrà condiviso gli stessi sentimenti. Dopo tre anni e mezzo di presenza in Iraq, segnata da un pesante bilancio di per- dite umane, mi sembra doveroso riflettere un momento sul significato pratico, im- mediato, di quella missione. A Nasiriyah lasciamo una buona eredità e abbiamo posto termine al nostro im-

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pegno nel rispetto degli obiettivi e dei tempi che ci eravamo prefissati: nella sicu- rezza, nell'ordine e con onore. Onore che deriva dalla certezza di aver operato con professionalità, con serietà e determinazione e, al tempo stesso, con grande senso di umanità. Così come è stato in tutte le missioni che hanno visto la partecipazione dei nostri soldati. Il nostro Contingente militare lascia la provincia di Dhi Qar, ma l'Italia non volta le spalle all'Iraq. Resta a Nasiriyah una presenza civile col compito di continuare a sostenere la ricostruzione di quel Paese, e a Baghdad nostri militari continueranno a partecipare al programma di formazione del personale. Il nostro Contingente lascia la provincia di Dhi Qar come la lascia un amico che è venuto ad aiutarci in un momento di difficoltà: in accordo con tutte le parti interes- sate, dopo aver portato a compimento gli impegni concordati. Il governo della provincia è passato alle autorità civili, sostenute ora da Forze di Polizia che noi abbiamo addestrato: oltre 12 mila poliziotti e 3500 uomini dell'eser- cito, completamente equipaggiati e preparati. Le infrastrutture essenziali sono state ripristinate anche grazie al nostro contributo. Se alziamo lo sguardo da Nasiriyah e lo rivolgiamo a tutto l'Iraq, ed alla regione mediorientale più in generale, questo soffio di ottimismo si scontra però con la cruda realtà della geopolitica. Lungo tutto l'arco di crisi che va dall'Asia centrale al Caucaso, ai Balcani, al Darfur ed ha il Medioriente come epicentro, le tensioni rimangono alte, intrecciate in una complessità che appare irrisolvibile. Eppure non dobbiamo perdere la speranza, la speranza di governare queste ten- sioni, con la politica e la diplomazia, con la cultura e la cooperazione economica, ma, se necessario, anche con l'uso legittimo e dosato della forza. Perché le ragioni del dialogo, senza fermezza, non divengano parole vuote e velleitarie. A pochi chilometri da qui, Signor Presidente, ben sessantatré anni orsono, le ri- nate Forze Armate italiane coglievano, a Montelungo, il primo successo della Guerra di Liberazione. Proprio domani saranno rievocate le gesta degli uomini del 1° raggruppamento mo- torizzato che lì combatterono per l'Italia. Essi riuscirono, a soli tre mesi dall'armistizio, a conquistare la fiducia degli alleati e a riscattare l'onore delle nostre Forze Armate. Lo spirito che animò le gesta di quei combattenti per la libertà è rimasto immu- tato, ed è oggi lo stesso che sostiene l'impegno dei nostri soldati. La crudezza della guerra fu allora necessaria per sconfiggere il nazifascismo, e quella memoria non è passata invano. Il ripudio della guerra come strumento di offesa o di risoluzione delle controversie, dettato dall'articolo 11 della nostra Costituzione, si accompagna al richiamo ad un impegno attivo per la difesa e la costruzione della pace e della giustizia fra le Na- zioni, da raggiungersi nel quadro delle organizzazioni che la Comunità internazio- nale si dà a questo fine.

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Nel solco di questo dettato morale, scaturito dalle tragedie del secondo conflitto mondiale, l'Italia ha partecipato e partecipa alle missioni all'estero, per impedire nuovi orrori, per prevenire la degenerazione delle crisi, per evitare che nelle relazioni internazionali si ripropongano la violenza, il fanatismo e il terrore. Sappiamo quanto questo sia difficile; quanti sacrifici comporti per i militari e per le loro famiglie. Lo possiamo fare, però, nella certezza che le Forze Armate italiane sanno rispondere alle attese del Paese e al mandato delle Istituzioni. Solo tre mesi orsono, abbiamo avuto prova di questa capacità d'azione in tempi brevissimi, con la perfetta esecuzione in Libano dell'Operazione "Leonte". Grazie a questa prontezza, alla consapevolezza delle nostre potenzialità, abbiamo potuto prendere l'iniziativa e sostenere l'azione di tutta la Comunità internazionale a favore della pace. Grazie alla prontezza di quella iniziativa, grazie al suo solo an- nuncio operativo, fu possibile la tregua e si interruppe la strage. E, pur in un quadro che continua a chiamarci alla massima vigilanza grazie all'im- pegno italiano, la tregua regge e consente alla politica ed alla diplomazia di sosti- tuirsi alle armi. Proprio a questo fine allora dissi che il primo scaglione del Contingente sarebbe partito mezz'ora dopo l'approvazione del decreto che disponeva la missione, e così fu. Allo stesso modo, il Governo mentre riaffida al Paese e a impegni rinnovati gli uomini della missione Antica Babilonia, dopo una missione da loro assolta con successo, sente di dover richiamare l'attenzione degli italiani sulla prontezza con la quale le Forze Ar- mate hanno corrisposto al mandato dei cittadini e al voto corale del Parlamento : una prontezza che ha consentito di portare a termine il mandato con ben 21 giorni di anti- cipo. La prontezza della partenza della operazione Leonte e della conclusione della ope- razione Ithaca dicono da sole delle nostre Forze Armate e dell'Italia più di mille discorsi. Di questo voglio dare pubblicamente atto allo Stato Maggiore, ai Comandanti e ai militari tutti che a questo impegno danno quotidianamente vita. A tutte le donne e agli uomini dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e del- l'Arma dei Carabinieri che in divisa e in armi servono l'Italia, il nostro grazie. La Repubblica, Signor Presidente, può far conto sulle sue Forze Armate, sul co- raggio degli uomini e delle donne che ne fanno parte, sulla loro professionalità, sulla loro umanità, sulla loro lealtà e dedizione alle Istituzioni. È questo un fatto che ci viene riconosciuto da tutti. Non un fatto episodico affi- dato alla eccezionalità di questo o quel reparto, di questo o quel Comandante, ma un fatto consolidato che accomuna tutte le missioni: da quella del Libano degli anni 80 all'ultima che abbiamo questa estate intrapreso al servizio della pace. Un fatto consolidato che viene riconosciuto a tutti i nostri reparti e Comandanti: dalla Brigata Garibaldi che salutiamo oggi al suo rientro che, sotto la guida sapiente del suo Comandante ha portato a compimento una operazione che resterà nella storia, ai reparti che l'anno preceduta: la "Sassari", l' "Ariete", la "Pozzuolo del Friuli”, la “Friuli”, la “Folgore”.

97 Due anni al Ministero della Difesa

È proprio per questo, pur con la consapevolezza della solennità di questo mo- mento, pur dando atto alla scelta che inverte la tendenza erosiva del bilancio della Difesa fatta propria dal Parlamento, mentre è ancora in corso l'approvazione della legge finanziaria, che sento da Ministro della Difesa il dovere di dare voce al grido di chi istituzionalmente non ha voce, per richiamare l'attenzione del Paese sulla neces- sità di corrispondere alle richieste rappresentate soprattutto per quello che riguarda le condizioni dell'esercizio, cioè a dire della sicurezza, dell'addestramento, della for- mazione, delle condizioni di vita. Se l'Italia è apprezzata e riconosciuta come un grande Paese e una grande Demo- crazia è anche grazie alla azione delle sue Forze Armate, al loro impegno al servizio della pace e del governo del mondo. Ma la loro azione è resa possibile dalla loro esi- stenza. E la loro esistenza coincide con la loro operatività, la operatività quotidiana.

Signor Presidente della Repubblica,

mentre salutiamo il compimento della missione Antica Babilonia e assieme rinno- viamo il senso di tutte le nostre missioni, mi consenta di rivolgere ancora una volta il nostro pensiero ai nostri Caduti.

A tutti i Caduti. A quelli della Coalizione, a quelli iracheni, a quelli italiani. E desidero associare ai nostri Caduti militari anche quelli che, presenti in Iraq per la missione Antica Babilonia, hanno sacrificato la loro vita. Li ricorderemo insieme, come Soldati e come Uomini, non per prendere com- miato da loro, ma per riportarli ancora una volta al nostro cuore, ora che essi ripo- sano in terra patria, caduti per compiere il loro dovere, sacrificandosi in nome del- l'Italia e della pace. Così come ho fatto sin dal giorno della mia prima visita in Iraq, all'indomani della mia nomina a Ministro della Difesa, desidero anche in questa occasione chiamare il nome di tutti i Caduti della missione, uno per uno, per richiamare il loro volto, i loro sogni, la loro umanità.

• Dottor Marco Beci; • Maresciallo Capo Massimiliano Biondini; • Maggiore Marco Briganti; • Maresciallo Aiutante Massimiliano Bruno; • Dottor Nicola Calipari, del Servizio Informazioni per la Sicurezza Militare; • 1° Caporal maggiore Alessandro Carrisi; • Sergente Davide Casagrande; • Sottotenente Giovanni Cavallaro; • Maggiore Nicola Ciardelli;

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• Maresciallo Ordinario Marco Cirillo; • Maresciallo Capo Simone Cola; • Brigadiere Giuseppe Coletta; • Maresciallo Aiutante Carlo De Trizio; • Caporal maggior capo scelto Emanuele Ferraro; • Capitano Massimo Ficuciello; • Appuntato scelto Andrea Filippa; • Sottotenente Enrico Frassanito; • Sottotenente Enzo Fregosi; • Maresciallo Capo Daniele Ghione; • Brigadiere Ivan Ghitti; • Vice Brigadiere Domenico Intravaia; • Maresciallo Aiutante Franco Lattanzio; • Colonnello Giuseppe Lima; • Appuntato Horacio Majorana; • Sergente Salvatore Marracino; • Sottotenente Filippo Merlino; • Maresciallo Capo Silvio Olla; • Caporal maggiore Pietro Petrucci; • Caporal maggiore scelto Alessandro Pibiri; • Maresciallo Aiutante Alfio Ragazzi; • Dottor Stefano Rolla; • Caporal maggiore scelto Antonio Tarantino; • Sottotenente Alfonso Trincone; • 1° Caporal maggiore Matteo Vanzan; • Caporal maggiore scelto Massimo Vitaliano.

Il vostro sacrificio non è stato vano. Il vostro ricordo ci accompagnerà tutta la vita. Ed è proprio nel ricordo del loro nome, Signor Presidente, che le consegnerò la Bandiera del Contingente che ha mantenuto alto il nome dell'Italia in Iraq, quale simbolo di tutti i militari italiani che si sono avvicendati in quella terra per la mis- sione "Antica Babilonia".

Grazie, Signor Presidente! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

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Incontro di fine anno con i rappresentanti della stampa Roma, 21 dicembre 2006

Signori giornalisti,

sono davvero lieto di porgervi il saluto del Governo, delle Forze Armate e mio per- sonale e di potervi esprimere un sincero apprezzamento per il vostro lavoro, ringra- ziandovi per la serietà e l’accuratezza con le quali informate l’opinione pubblica sui temi della Difesa. Per me che non sono nuovo della politica, il rapporto con voi, operatori di agenzie, giornali, periodici e radio-televisioni non è certo una novità. Devo dire, però, che da quando sono a Palazzo Baracchini ho potuto vedere ed apprezzare un circuito particolare di operatori ed operatrici, che è quello che voi rappresentate. Ho avuto già modo di conoscere molti di voi nelle visite compiute in vari Teatri operativi nei quali sono impegnati Contingenti nazionali. In ogni circostanza, ho apprezzato il vostro lavoro e la vostra competenza, spesso frutto di una vera e pro- pria “maturazione sul campo”, paragonabile per alcuni versi a quanto accade per i nostri militari. So che a questo incontro sono presenti anche alcuni giornalisti che hanno parteci- pato ai “corsi informativi per operatori dell’informazione destinati in aree di crisi” che la Difesa ha organizzato su richiesta della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Ritengo questa un’iniziativa molto lodevole, giunta quest’anno alla terza edizione, che giudico di indubbia utilità perché contribuisce anche a rafforzare la reciproca conoscenza e collaborazione fra Forze Armate e operatori dei mezzi di comunica- zione. È mia convinzione che la solidarietà di un Paese intorno alle proprie Forze Armate ed alle loro azioni è parte integrante delle politiche militari che si decide di perse- guire. Nel senso che, nel settore della difesa e della sicurezza, non possono esistere scelte impegnative prive del sostegno dell’opinione pubblica. Vorrei richiamare la vostra attenzione su un punto che ritengo fondamentale e che consiste in quella che vorrei definire la “cultura della difesa”. Ciò che noi facciamo, l’impegno quotidiano, la proiezione delle forze nel mondo, il rischio che è sempre

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dietro l’angolo, l’idea di operare nell’ambito di un sistema Paese, per il bene ed il consolidamento della pace, hanno valore soltanto se conosciuti e soprattutto condi- visi con tutta la popolazione. Soltanto così il “cittadino soldato” può sentirsi espressione della Repubblica e so- stenuto dai suoi concittadini. Io sono convinto che, grazie anche alla vostra collaborazione, sarà possibile diffon- dere nel Paese questi concetti e rafforzare l’unione fra popolo e Forze Armate. Le nostre missioni all’estero, nel rispetto dell’articolo 11, non possono che avere sempre finalità di pace, ma non per questo viene meno la loro natura militare e come compito qualificante la ricostituzione, la stabilizzazione e la difesa del quadro di sicurezza, che costituisce la base di ogni convivenza civile. Per questo motivo, ogni missione, tutte le missioni, per il solo fatto di essere chia- mate ad intervenire in situazioni dove la pace e la sicurezza sono in causa, sono per definizione esposte a rischio. Se così non fosse, non avrebbe senso impiegare le Forze Armate; e la soluzione dei problemi potrebbe rientrare nel novero di altre forme di cooperazione fra Stati. Ecco, allora, che il ruolo libero, assolutamente libero, degli operatori dei media di- venta determinante. Sia chiaro: una democrazia non costruisce il consenso con la gestione dell’informazione. Il consenso precede le scelte politiche, accompagna l’im- pegno militare, si conferma, talvolta anche in modo problematico, lungo tutto il corso delle missioni: di ciascuna missione. Il vostro non è certamente un lavoro facile. Fortunatamente, abbiamo lasciato alle spalle una vecchia cultura “scandalistica”. I tempi, cioè, nei quali l’impiego di forze militari era visto, di per sé, come una sorta di fatto negativo, censurabile a priori. Oggi, voi operatori dei media, specializzati nel settore della difesa, andate invece a verificare direttamente la sussistenza delle motivazioni delle nostre scelte di politica militare; andate a vedere, e a valutare, l’efficacia dell’operato delle nostre forze; an- date a valutare la loro efficienza operativa; andate a parlare, liberamente, senza filtri o barriere, con gli uomini e le donne schierati nei Teatri di impiego. Voi dite e dovete dire la verità. Perché della verità vivono le libere democrazie. Ecco, è in questa prospettiva che si colloca lo sforzo della Difesa di supportarvi in ogni modo, iniziando da una logistica spesso difficile, quando non rischiosa, se pra- ticata fuori del “guscio protettivo” dei nostri Contingenti. Né va dimenticato il continuo lavoro del personale militare della comunicazione, dal Servizio Pubblica Informazione del Gabinetto alle strutture omologhe degli Stati Maggiori e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, alle cellule di Forza Armata, ai responsabili locali nelle missioni all’estero. La Difesa ha creato un vero e proprio “network” di professionalità specializzate, per accompagnarvi, aiutarvi, for- nirvi chiavi di lettura per meglio comprendere le logiche che governano l’intera fi- liera di decisioni: dal livello politico fino a quello operativo, lì ove siamo schierati

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con le nostre forze. E, soprattutto, cerchiamo tutti di fornirvi un’informazione obiettiva, senza reticenze. Per questo, voglio confermare, a tutti voi, questa attenzione nei vostri riguardi, che desidero continui, migliori e si rafforzi proprio perché sono ben consapevole del- l’importanza di quanto fate con coscienza e professionalità. La fine di un anno, poi, è sempre un momento di verifiche e di bilanci, anche per chi non ha alle spalle l’intero arco zodiacale, avendo iniziato un cammino solo a pri- mavera inoltrata. Una riflessione politica, però, va subito fatta, nei giorni di chiusura della manovra finanziaria. In piena libertà di pensiero, vi invito a guardare a quanto siamo riusciti a fare con finanziaria e legge di bilancio e in presenza della pesante eredità ricevuta a causa dei tagli insostenibili, praticati nella precedente legislatura, tra gli allarmi to- talmente inascoltati di chi mi ha preceduto alla guida del Dicastero. È poco, lo so, ma è coerente con gli obiettivi della coalizione di Governo. È un’inversione di ten- denza lieve ma significativa, soprattutto se rapportata alla situazione generale. La percentuale di PIL dedicata alla funzione Difesa è passata dallo 0,84% del 2006 allo 0,96% per il 2007. Siamo stati in grado di trovare risorse per programmi essenziali, dalle fregate FREMM al nuovo caccia JSF (Joint Strike Fighter), ai mezzi per l’Esercito; abbiamo invertito quella incomprensibile, precedente tendenza che è riassumibile in poche parole: aumento degli impegni a fronte della diminuzione delle risorse. Questo è il primo, centrale punto della mia esposizione, che vi invito a considerare. Poi, certamente, vi sono le decisioni in merito alle missioni all’estero. Abbiamo completato il rientro dall’Iraq secondo quanto prestabilito nel pro- gramma di governo, con la quasi unanimità nella deliberazione del Parlamento e con una prontezza che ha consentito di portare a termine il mandato con ben ven- tuno giorni di anticipo. Il rientro si è svolto in modo ordinato, in sicurezza, con onore, in accordo pieno con le autorità irachene e con gli alleati. Pochi giorni orsono, a Caserta, abbiamo solennemente celebrato la conclusione della missione “Antica Babilonia” ricordando tutti i Caduti: Caduti dell’Italia e per l’Italia; Caduti di tutti. All’Iraq restiamo vicini, l’Italia resta vicina, politicamente, diplomaticamente, eco- nomicamente. Abbiamo contribuito a formare migliaia di uomini delle Forze di Po- lizia e delle Forze Armate: oltre 12 mila poliziotti e 3500 uomini dell'esercito, com- pletamente equipaggiati e addestrati; ci auguriamo che la legittima autorità politica di quel Paese sappia servirsene per cominciare a governare in questa terribile fase di transizione, segnata da un susseguirsi di orribili fatti di sangue. In Libano, l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nell’avvio della missione. L’abbiamo sollecitata in sede di Nazioni Unite e, coerentemente, abbiamo garantito adeguate forze per sostenerla. L’Italia, in piena sinergia fra Difesa, Ministero degli Esteri e Presidenza del Consi-

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glio, ha svolto un ruolo trainante ai fini della tempestività dell’intervento e della partecipazione di altri Paesi europei. La prontezza della partenza per il Libano – “l’operazione Leonte” – come la con- clusione della missione “Antica Babilonia” con l’operazione “Ithaca”, dicono da sole delle Forze Armate e dell’Italia molto più di mille discorsi. L’operazione “Leonte” è una operazione difficile, come tutto è difficile in Medio- riente, ove gli auspici per una stabilizzazione ed una pace duratura si scontrano con l’evidenza dei fatti ed il radicamento di odii, conflittualità, tensioni, non riconduci- bili ad una sola direttrice. Molti analisti hanno esaminato il profilo della missione. Ma agli elementi di pessi- mismo, legati alla sostanziale contiguità fisica con le milizie hezbollah, vorrei porre, quasi a contraltare, la effettiva interruzione dei lanci di razzi e missili dal territorio libanese verso Israele con conseguente cessazione delle rappresaglie. La lezione dei precedenti anni della missione UNIFIL credo sia stata appresa. Non siamo lì, sotto le bandiere dell’ONU, per costituire una nuova, più ampia e nume- rosa platea di spettatori di un conflitto. Siamo lì, fra l’altro in uno spazio assai limi- tato, per impedirlo questo conflitto, almeno nei suoi aspetti militari. Ci auguriamo che la presenza internazionale possa aiutare il Libano a ricercare, con buona volontà e lungimiranza, la via dell’equilibrio fra tutte le sue componenti. Non è una operazione facile, ma la ricerca, anche faticosa ed aspra, di una composi- zione istituzionale, attraverso le vie della politica e della diplomazia, è pur sempre preferibile alla guerra! Un primo dato è però certo e significativo. A fronte degli oltre 1.400 morti, di cui 650 solo nell’area a sud del fiume Litani, e degli oltre 2.000 feriti, senza dimenticare gli oltre 50 morti e centinaia di feriti israe- liani, rileva il fatto che, dall’avvio dell’operazione “Leonte”, la nostra area ha sofferto un solo morto. Un artificiere libanese in attività di sminamento. In Afghanistan, continueremo a condividere, all’interno dell’ISAF, la responsabi- lità per l’assistenza alla stabilizzazione del quadro di sicurezza, con la consapevolezza della necessità che a questa presenza si associ un crescente impegno per l’azione ci- vile a favore della ricostruzione e della crescita sociale ed istituzionale del Paese. I nostri cittadini sanno che le nostre Forze Armate sono guidate dal mandato di corrispondere, con fedeltà, alle Istituzioni della Repubblica. Ovunque, i nostri Alleati sanno che l’Italia onorerà, con lealtà, gli impegni assunti. A conclusione e a fattor comune per ogni nostro intervento, desidero sottolineare tre punti fondamentali che rappresentano una costante ed un comune denomina- tore: 1° il Paese è con le sue Forze Armate. Ne è testimone la fiducia ad esse accordata, oltre che con il diretto consenso popolare, anche e soprattutto con l’espressione più nobile della stessa volontà dei cittadini: il voto del Parlamento. Parlamento, che ha sempre sostenuto i propri uomini in armi laddove il loro in-

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tervento a favore della pace sia stato chiesto da parte della Comunità e degli Or- ganismi internazionali. 2° Le Forze Armate, dal canto loro, hanno sempre corrisposto con prontezza e im- mediatezza a tale volontà, conseguendo in modo esemplare gli obiettivi prefis- sati. Tali risultati ci sono stati riconosciuti dagli stessi Alleati con i quali abbiamo condiviso l’esperienza all’estero. 3° L’analisi della situazione, riferita ai Teatri operativi, dove sono state e sono tut- tora impiegate le nostre forze, consente di trarre un bilancio decisamente posi- tivo in termini di risultati raggiunti, con concretezza, a favore della popolazione locale. Inoltre, e non per ultimo, come già accennato per il Libano, basti pensare alla considerevole diminuzione di morti, dopo l’arrivo dei nostri Contingenti, in aree dove fino a quel momento la cronaca giornaliera ci aveva abituato ad un macabro rituale funebre. A questo proposito, ricordo che, nel 2006, nelle missioni all’estero, sono morti 11 militari, 8 dell’Esercito e 3 dell’Arma dei Carabinieri. 5 in Afghanistan e 6 in Iraq, di cui nessuno per scontro a fuoco, 1 per causa acci- dentale, 10 per atti terroristici. E non vorrei dimenticare anche i numerosi feriti. I nostri soldati non hanno procurato la morte di alcuno. Quanto all’attività sul territorio nazionale, sempre nel 2006, abbiamo avuto 19 perdite per servizio. 6 militari dell’Esercito, 1 della Marina e ben 12 dell’Arma dei Carabinieri che, vo- glio rammentare, è la componente della famiglia della Difesa che assolve anche al- l’importante attività di istituto tesa a garantire la sicurezza e la civile convivenza dei cittadini. Ricordo questi dati per ribadire la centralità che la difesa della vita ha per le Forze Armate. La vita dei nostri soldati e dei civili. E anche per questo, per aiutarci a ricordarli, per onorare il loro sacrificio, ho rite- nuto doveroso impartire disposizioni affinché, sulla base della legge che ha istituito la "Croce d'Onore", possano essere intitolati Caserme, Comandi ed Enti militari al nome di quei militari deceduti in servizio che sono stati insigniti di quella onorifi- cenza. Su queste cose si va oltre le politiche “bipartisan” ed entra in gioco il senso del- l’unità nazionale, della continuità istituzionale, dell’amor di Patria. E sono valori che, credetemi, sono sentiti e vissuti profondamente soprattutto da chi non li pro- clama. Ma sa quando e come testimoniarli. Questo XXI secolo, o terzo millennio, per chi conta gli anni a partire dalla nascita di Cristo, appare meno violento del recente passato, solo se pensiamo ai conflitti mondiali ed al nostro stesso Paese attraversato da una guerra terribile e lacerante. Ma la pace e la stabilità non sono né sicure né garantite. L’esplosione demografica, il degrado ambientale, le problematiche energetiche costituiscono drammatici ele-

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menti di tensione, potenzialmente dirompenti. Rispetto al passato, però, in tanta parte del mondo non vi sono più le parole violente ed intolleranti dei nazionalismi e delle ideologie totalitarie. Vi è maggiore consapevolezza di essere tutti passeggeri di un’unica nave ove non vi è spazio per i furbi, per i prepotenti, per i folli. Questa nave va governata, con un pizzico di utopia, certo, ma con saggia fermezza, senza impossibili e pericolose illu- sioni. La realtà, la terribile realtà del mondo, è quella che voi – giornalisti ed operatori dei media – vedete tutti i giorni, insieme ai nostri militari, nei tanti, troppi luoghi ove la violenza alligna, ove il diritto è sconosciuto, ove la libertà è consapevolmente e volutamente violata. Non ci facciamo illusioni. Ma, non perdiamo la speranza. Difendere la pace e la stabilità significa anche difendere la nostra sicurezza, nel pieno rispetto – formale e sostanziale – di quell’articolo 11 della nostra Costitu- zione, nella quale è solennemente sancito il ripudio della guerra, in una prospettiva di “pace e giustizia fra le Nazioni” quale meta da raggiungere, direi addirittura da creare, con il lume dell’intelligenza, la forza della tenacia, lo slancio di grandi e no- bili ideali. In questo spirito, continua il nostro impegno militare in tante parti del mondo. È per difendere la pace che abbiamo chiesto all’ONU, alla NATO, all’Unione Eu- ropea di definire strumenti e modalità efficaci di intervento nel quadro della legalità internazionale. È per difendere la pace che abbiamo dato la disponibilità del nostro Paese e siamo intervenuti nei maggiori Teatri di crisi, a cominciare dai campi a noi vicini raggiunti dall’incendio della guerra, dai Balcani al Medio Oriente. E sul filo della medesima solidarietà, la presenza internazionale ha interrotto guerre fratricide che minacciavano negative ripercussioni su tutto il nostro Conti- nente. Ancora una volta, in Albania, in Bosnia e in Kosovo, i nostri militari hanno dato prova di valore, di alte capacità operative, di spirito di solidarietà e umanità. Possiamo dire, senza retorica, che nei Balcani sono stati conseguiti dei risultati sto- rici, avviando un processo di rinnovamento politico e culturale che certamente non sarà breve, ma sicuramente è destinato a portare in Europa Paesi e popoli che hanno sofferto secolari occupazioni straniere, dittature, violenze. La pace è figlia dell’unità delle Nazioni del mondo. E la prova che le Nazioni Unite hanno dato di fronte alla crisi libanese è un augurio per una azione interna- zionale sempre più forte ed incisiva, perché sorretta da comuni valori di pace, soli- darietà e reciproca fiducia. Nel solco di queste riflessioni, l’Italia incardina la propria presenza militare in tanti scenari del mondo, anche lontani, sapendo di poter contare su Forze Armate prepa- rate e motivate, capaci di onorare gli impegni assunti.

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Signori giornalisti,

con questo ultimo pensiero termino la mia prolusione. Resto a vostra disposizione per le domande che mi vorrete rivolgere. Nell’occasione, come è tradizione in questo incontro annuale, desidero rivolgere un cordiale e sincero augurio per le prossime festività, a tutti voi, alle vostre fami- glie, alle testate che rappresentate.

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Visita al Contingente militare italiano in Afghanistan Herat, 24 dicembre 2006

Ammiraglio Di Paola, Generale Satta, uomini e donne del Contingente italiano,

in occasione del Natale e delle festività di fine anno, vi porto il saluto dell’Italia, del Governo, delle Istituzioni, di tutti i cittadini. Tutti vi sentono vicini in queste giornate, anche se siete a migliaia di chilometri dalla Patria per servire una nobile causa di difesa della pace e della stabilità. Ho desiderato particolarmente essere fra di voi in una occasione come questa. Ho sentito il dovere del Ministro della Difesa in carica di assicurare la sua presenza lì ove operano militari in una missione difficile, in luoghi ove sono in gioco forti fat- tori di instabilità e che sono al centro di nuovi equilibri globali della sicurezza. Luoghi, tuttavia, che hanno una storia millenaria e furono la culla della predica- zione di Zoroastro – da noi più noto come Zarathustra – fondatore di una delle grandi religione antiche. Ancora qui, si sono incrociate, o scontrate, le più importanti civiltà del pianeta: le culture nomadi della steppa, il mondo iranico, cinese, indiano, greco-macedone e, infine, islamico. Questa è la terra della mitica Bactriana, ove giunse Alessandro Magno che qui avrebbe addirittura sposato la figlia del re Dario. È certo che l’arrivo dei greci nel cuore dell’Asia avviò uno dei più fecondi incontri fra oriente ed occidente, rivitalizzato, secoli dopo, dalle carovane di mercanti che univano la Cina ai porti del Levante mediterraneo. Quell’insieme di piste fra deserti e montagne, poi noto come “via della seta”, fu percorso da Marco Polo i cui ricordi, riportati nel suo libro “il Milione”, ancora ci colpiscono e ci affascinano. Faccio queste riflessioni, uomini e donne del nostro Contingente, per ricordarvi la centralità di questi luoghi nella storia umana. Ed in questi medesimi giorni, uno dei più importanti eventi culturali mondiali è l’esposizione, a Parigi, dei cosiddetti “ori della Bactriana”: il tesoro ritrovato in tombe di nobili di circa duemila anni orsono. La storia recente di questo tesoro è avvolta nel mistero e forse la sua salvezza dalla cupidigia degli invasori o dalla furia degli iconoclasti, si deve al coraggio ed all’intui- zione di pochi archeologi. Credo che la vicenda di questo tesoro possa rappresentare il paradigma stesso del- l’Afghanistan, ove il passato e la stessa collocazione geografica sembrano quasi una

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maledizione; eppure, dopo il rischio della perdita, dello smarrimento, vi è il mo- mento della rinascita. Vorremmo che fosse così per l’intero Paese per tutte le sue popolazioni. Qui, pur- troppo, l’invasione russa ha determinato un’accelerazione degli eventi lungo un ter- ribile piano inclinato. Alla presenza straniera è seguito un periodo di feroci lotte intestine e tribali poi sfociato nel regime talebano e nella santuarizzazione di tutto l’Afghanistan come unica, grande base di Al Qaeda. La presenza internazionale è ora volta a sostenere la rinascita dell’autorità statuale attraverso una vera e propria missione di “nation building”. Tutto deve essere rico- struito: le scuole, le strutture sanitarie, le vie di comunicazione, le reti tecnologiche. L’amministrazione va rifondata su nuove, moderne basi. La società civile va aiutata a crescere e maturare. E mi piace qui ricordare che, pochi giorni orsono, si è svolta una importante ope- razione umanitaria nel distretto della Musahi a sud di Kabul, durata cinque giorni. L'operazione è stata condotta dagli alpini del Battle Group 3, e vi hanno preso parte anche 150 poliziotti afgani e circa 200 soldati dell'Afghanistan National Army. Il grande circuito del mondo contadino va capito, seguito, aiutato, con l’obiettivo di contenere le produzioni di oppio ed il circuito della droga. La sfida è immensa – lo sappiamo – e nulla, qui, è facile. Nulla é o può essere im- mediato. Qui la sfida ha la dimensione della storia e ne dobbiamo trarre le conseguenze. Non possiamo pensare a tempi brevi di permanenza. Il terrorismo è sconfitto ma non è estirpato e si ripresenta con nuclei combattenti in molte delle zone più im- pervie. Né mancano le difficoltà politiche e sociali, in un Paese che è chiamato a ri- pensare la sua articolazione interna su basi che non possono più essere quelle del tri- balismo. Vi sono buone ragioni per continuare questa presenza internazionale, per artico- larla in modo sempre più efficace sia sul piano militare sia su quello della collabora- zione civile, come è stato riaffermato al recente vertice NATO di Riga. In Afghanistan, poi, è l’Europa intera ad essere schierata, con una unità sostanziale di vedute e di intenti paragonabile a quanto accade nei Balcani. Dobbiamo aiutare gli afgani a camminare con le loro gambe: questo è il nostro comune desiderio, riba- dito negli incontri che ho avuto con le autorità nazionali. Ecco, allora, uomini e donne del Contingente italiano, che la vostra presenza ed il vostro impegno, assumono una valenza “morale” resa tale dai fini dell’operato, dalle modalità operative e dalle regole di ingaggio, dalla legalità della missione fondata sul diritto internazionale e sui principi sostanziali di umanità e solidarietà. Lo so che oggi, a Natale, sentite la lontananza da casa e dai vostri affetti. Spero che il peso della nostalgia possa essere attenuato dalla serena consapevolezza di parteci- pare ad una missione volta alla rinascita di un Paese e di un popolo.

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Dalla volontà di testimoniare con fatti concreti, giorno dopo giorno, i valori mi- gliori della nostra tradizione e della nostra civiltà. Il Governo, le Forze Armate, la Nazione sono solidali con voi, apprezzano la qua- lità del vostro impegno, la vostra dignità, la vostra umanità. Gli italiani sono giusta- mente orgogliosi di voi. Auguri sinceri a tutti voi. Buon lavoro e buona fortuna.

Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

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Apertura dell’anno accademico 2006-2007 della Scuola Ufficiali Carabinieri Roma, 31 gennaio 2007

Signor Presidente del Consiglio,

nell'accoglierLa in questa sede mi consenta di esprimerLe la riconoscenza dei Ca- rabinieri e delle Forze Armate per aver voluto presenziare all'inaugurazione del- l'anno accademico 2006-2007 della Scuola Ufficiali dei Carabinieri. La Sua pre- senza alla cerimonia è una prova concreta dell'attenzione del Governo, e Sua perso- nale, verso i Carabinieri e, in particolare, nei riguardi degli Ufficiali dell'Arma che iniziano oggi un importante passaggio formativo prima di accingersi al quotidiano, nobile impegno al servizio del Paese. Saluto e ringrazio i membri del Governo, del Parlamento, della Magistratura, il Capo della Polizia, il Comandante Generale della Guardia di Finanza e tutte le Au- torità intervenute che, con la loro presenza, rinnovano la testimonianza di stima ed affetto verso i Carabinieri. Porto a tutti il saluto affettuoso e particolare del Ministro dell'Interno, Onorevole Giuliano Amato, che condivide con me la responsabilità di vertice di questa Forza Armata, patrimonio comune di due sfere organizzative, difesa e sicurezza, che tro- vano, nell'azione concreta, sempre maggiori punti di congiunzione. Al Generale Siazzu esprimo la riconoscenza e la gratitudine delle Istituzioni per il visibile ed insostituibile contributo che i Carabinieri danno alla vita nazionale, alla tutela della legalità, alla difesa della nostra sicurezza. Infine, desidero, rivolgere un particolare, caloroso saluto non solo all'Arma ma anche a questo Istituto, al suo Comandante ed a tutto il personale, per la eccellente opera che assolvono nella preziosa funzione di formazione degli Ufficiali, per prepa- rarli ad essere buoni Comandanti e manager e a divenire, quindi, l'asse portante della Forza Armata. La formazione costituisce uno dei punti qualificanti dell'Arma dei Carabinieri, e la rende capace di utilizzare al meglio le risorse umane ad ogni livello di impiego. L'ef- ficacia stessa dell'Arma, la sua solidità morale, la sua versatilità sono da sole la prova provata della sua qualità.

110 Discorsi e indirizzi di saluto

Signor Presidente,

sento come un privilegio la possibilità di rinnovare oggi ancora una volta i senti- menti di stima e ammirazione verso gli uomini e le donne dell'Arma per il loro im- pegno silenzioso, convinto, concreto; per il meritorio servizio che rendono, in Italia come all'estero, nella difesa delle libertà e della legalità, grazie alla loro particolare professionalità e alla loro riconosciuta capacità di "stare tra la gente", anche quando la gente parla lingue diverse dalla nostra ed è portatrice di diverse culture. La condizione "militare" rappresenta la caratteristica irrinunciabile dell'Arma ed è un fattore di moltiplicazione dell'efficienza per una Istituzione che incarna un vero e proprio punto di riferimento per il rispetto della legge e per la difesa della libertà e della dignità dell'uomo. È quella militarità che lo stesso legislatore ha sottolineato con i provvedimenti di riordino, elevando l'Arma al rango di Forza Armata e disciplinandone i peculiari compiti militari, storicamente affiancati a quelli di tutela dell'ordine e della sicu- rezza pubblica. È a tutti noto che l'Arma è giustamente orgogliosa della tipica duplicità che la contraddistingue. Nel passato, a volte si è parlato di "splendida anomalia". Non mi piacciono gli aggettivi retorici e - in questo caso - nemmeno il sostantivo, perché trovo assolutamente naturale che l'Arma viva nel solco delle tradizioni militari scritte dall'eroismo e dal sacrificio dei Carabinieri. Tutti sappiamo che fuori da questo alveo, da questa memoria, da questo sentire, l'Arma non sarebbe più l'Istitu- zione che gli italiani riconoscono da sempre come un baluardo prezioso della loro li- bertà e della loro sicurezza. È proprio in questa duplicità che, al contrario, deve essere cercata l'"unicità" del- l'Arma, quale forza che unisce le competenze militari con quelle di indagine e di di- retto intervento nella vita civile del Paese, non solo per affermare l'autorità dello Stato e la legalità, ma anche per aiutare e soccorrere. L'originalità del modello organizzativo consente all'Arma dei Carabinieri di essere pienamente partecipe sia del sistema di "sicurezza" sia di quello di "difesa" del Paese. La varietà e la globalità delle minacce determinano sempre più la necessità di ri- sposte istituzionali articolate e coordinate, alle quali sia le Forze Armate sia le Forze di Polizia partecipano, ognuna con le proprie peculiarità ed esperienze. In tale con- testo l'Arma ha impostato le sue attività su criteri d'azione che sintetizzano in modo eccellente le due aree istituzionali. Tale particolare modello organizzativo ha dimostrato la sua straordinaria efficienza nei risultati, sia nelle missioni per la pace all'estero, sia in Patria, nelle attività di tu- tela della sicurezza pubblica. In campo internazionale, il riconoscimento delle capacità operative e di addestramento delle Forze di Polizia locali ha trovato un'ulteriore conferma nell'attribuzione all'Arma della direzione del Centro di Eccellenza per le Stability Police Units (COESPU).

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Sul territorio nazionale, nell'anno 2006, i Carabinieri hanno contribuito in modo determinante alle attività di tutela dell'ordine e della sicurezza, effettuando il 62% degli arresti in flagranza complessivamente eseguiti da tutte le Forze di Polizia e pro- cedendo nel 69% dei reati denunciati dai cittadini. Basterebbero queste cifre a dare da solo la misura di una presenza sul territorio forte ed efficace, alla quale sappiamo corrispondere una grande fiducia da parte dei cittadini. I risultati ottenuti rappresentano perciò il banco di prova più attendibile di quel modello di coordinamento delineato dalla Legge 1° aprile 1981 n. 121 e al quale l'Arma aderisce pienamente. Tale sistema, che si qualifica tra i più avanzati tra quelli utilizzati dai Paesi ove coe- sistono più Forze di Polizia, è basato sulla scelta della eguale valorizzazione delle due Forze di Polizia a competenza generale, sulla condivisione del processo decisionale e sulla reciprocità e circolarità informativa. Alla azione interna si aggiunge ora, ogni giorno di più, quella internazionale. Le Multinational Specialized Unit (MSU), la Gendarmeria europea, il Centro di Eccel- lenza per le Stability Police Units, sono strumenti indispensabili per la Comunità internazionale e rappresentano successi tangibili per il nostro Paese, assunto a leader nel settore della conduzione di operazioni di stabilizzazione e pacificazione. Grazie a queste esperienze i Carabinieri italiani sono divenuti il punto di riferi- mento di analoghe Forze di Polizia ad ordinamento militare di altri Paesi, aprendo la via ad un loro più organico e duttile utilizzo nei Teatri di crisi. Guardando al passato, agli anni dell'esplosione della sventurata tragedia balcanica, ci rendiamo conto del cammino compiuto e della maturazione concettuale avvenuta a livello politico e strategico in tutte le grandi democrazie impegnate a difendere la pace. In questi anni abbiamo imparato a dosare l'uso della forza in funzione dell'in- tero spettro delle possibili evenienze, evitando il coinvolgimento dei reparti più spic- catamente "combat" in situazioni più assimilabili al controllo dell'ordine pubblico. Le esperienze nostre e dei nostri alleati e partner oggi divengono patrimonio da condividere globalmente, per rafforzare ovunque le capacità anche militari delle grandi organizzazioni sovranazionali. La specializzazione dell'Arma e la sua presenza in tanti scenari di crisi consentono inoltre ai Carabinieri di creare efficaci sinergie nella lotta al terrorismo ed alla grande criminalità internazionale. Di fronte ad una minacciosa rete delinquenziale che non conosce confini, dob- biamo e possiamo rispondere con un'azione anch'essa senza confini, grazie all'ap- porto di chi difende la sicurezza sia nei territori metropolitani sia nelle aree calde del pianeta. Sulla vastità dell'operato dei Carabinieri in Italia, ha riferito il Comandante Gene- rale. E non voglio certo entrare nelle competenze dell'amico e collega Amato. Mi preme, però, sottolineare ancora la continuità dell'azione dell'Arma, non parcelliz-

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zata fra la sfera militare e quella di polizia. Si tratta di due facce della stessa meda- glia, non di due comparti divisi. Senza strutture territoriali, senza settori di specializzazione, senza i reparti speciali, non vi sarebbero nemmeno le eccellenze sul piano militare ed i brillanti risultati in campo internazionale. È questo che occorre sottolineare con forza e - se mi è con- sentito - porre all'attenzione dei giovani Ufficiali. Un altro settore di attività nel quale i Carabinieri esprimono il proprio peculiare contributo alla Difesa è la polizia militare, assicurata sia sul territorio nazionale sia all'estero e nel cui ambito il dispositivo territoriale dell'Arma e i reparti apposita- mente costituiti presso i Comandi dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica rappresentano un assetto di fondamentale importanza per prevenire e contrastare ogni forma di minaccia per le Forze Armate. La riorganizzazione in corso del settore mira ad esaltare il valore della polizia mili- tare quale componente specialistica dello strumento operativo a disposizione dei Comandanti di corpo di tutte le Forze Armate per garantire le condizioni generali di ordine e sicurezza all'interno dei reparti. Merita, infine, una parola di attenzione, il modello della rappresentanza militare, rivelatosi strumento valido ed efficiente, che sarà ulteriormente affinato con i prov- vedimenti all'esame del Parlamento. Il qualificato contributo fornito dai Consigli di rappresentanza alla formazione delle linee di condotta dei Comandanti su speci- fiche materie o problemi conferisce un valore aggiunto particolarmente utile per affrontare le questioni con il dovuto approfondimento nell'interesse della compa- gine militare.

Cari Ufficiali,

ora desidero rivolgermi direttamente a voi, a voi che siete negli anni cruciali della vostra formazione e che fra poco vi avvierete all'attività operativa. L'Italia si attende molto dal vostro futuro operato, nella certezza di una vostra con- vinta adesione ai valori dell'Arma, sempre alimentata e sostenuta da un'eccellente preparazione professionale. Io so che voi siete certamente consapevoli di queste aspettative e delle sfide che do- vrete affrontare: dure, impegnative, continue. La vita di un Carabiniere non è facile. Il contrasto al crimine esige un'attenzione incessante, una motivazione profonda e una convinta interiorizzazione del senso del dovere e dell'amor di Patria. La battuta che chi è Carabiniere poi resta tale per tutta la vita contiene una verità profonda, perché esprime la consapevolezza della gente - della gente comune - in merito all'habitus professionale e morale del Carabiniere. Per questo motivo è necessario che gli Ufficiali rafforzino la virtù della fortezza, di quella sicurezza interiore che vi mette in grado di ritrovare in tutte le situazioni le motivazioni ad agire e di trasmetterle agli uomini e alle donne dei quali avrete la re-

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sponsabilità di comando: in modo da ottenere da ognuno, in ogni momento, il massimo, con entusiasmo e competenza. Cari Ufficiali, di fronte a giovani come voi che hanno scelto la difficile carriera di Ufficiale dei Carabinieri, il mio sentimento è innanzitutto di rispetto e di gratitu- dine. Vero, profondo, sincero. Siate certi che identico è il sentimento di tutti gli uomini e di tutte le donne delle Istituzioni, come è profondo e radicato quello dei cittadini. Siate allora forti, in ogni occasione. E vi giovi la certezza di essere circondati da questo unanime senso di gratitudine e di affetto, che è, poi, la prima e più impor- tante arma di cui disponete. Fatene tesoro!

Signor Presidente del Consiglio,

certo di interpretare quelli che sono anche i Suoi sentimenti, rivolgo ai giovani Uf- ficiali dell'Arma il più cordiale augurio per la loro futura carriera e la loro vita perso- nale. Buona fortuna, cari Ufficiali, buona fortuna a tutti. Ed ora, con la Sua autorizzazione, Signor Presidente, dichiaro aperto l'anno acca- demico 2006-2007.

114 Discorsi e indirizzi di saluto

Chiusura della 59ª edizione dei Campionati Sciistici delle Truppe Alpine San Candido, 2 febbraio 2007

Autorità, Ufficiali, Sottufficiali, Alpini,

porto a voi il saluto del Governo, in occasione della conclusione di questa edizione dei Campionati Sciistici delle Truppe Alpine, ancora una volta caratterizzati dall'en- tusiasmo e da un agonismo costruttivo. L'Italia è orgogliosa di questo appuntamento sportivo, che onora ogni anno le no- stre grandi tradizioni alpinistiche e sportive, maturate nell'impegno secolare di mili- tari e civili accomunati dal fascino dalla montagna e dal suo unico e spettacolare ambiente. In questi luoghi, che furono un tempo teatro di aspri e dolorosi scontri armati, ci riuniamo oggi con spirito di sincera solidarietà e fratellanza, ponendo le comuni esperienze militari al servizio di ideali di civiltà e di pace. Le truppe alpine costituiscono ancora oggi una peculiarità, un tesoro prezioso per quei Paesi, come l'Italia, che – per la struttura propria del territorio e per gli eventi della storia – decisero in passato di creare unità speciali per difendere i propri confini. Con senso del dovere, con onestà e tenacia, con generosità, gli Alpini hanno ri- sposto agli appelli del Paese, in pace e in guerra, dimostrando sempre il loro valore, sui campi di battaglia come nelle zone devastate da calamità naturali. Questa è la tradizione degli Alpini, lo spirito degli Alpini: lo spirito di soldati che sanno ricono- scere il primato del dovere, che sanno che non esiste conquista senza sacrificio, che non c'è progresso senza fatica. L'Italia ama gli Alpini, perché è sicura che in qualunque circostanza, in qualunque emergenza, potrà sempre contare su di loro. Lo spirito e i valori delle popolazioni di montagna: la tenacia, l’onestà, la rettitu- dine, la perseveranza si rispecchiano nello spirito di questi reparti, fra i migliori di tutti gli eserciti. Questo spirito e questi valori si innestano ora nella disponibilità e nell'intelligenza di ragazzi e ragazze di tutte le regioni del nostro Paese. Penso ai giovani Ufficiali,

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Sottufficiali e Volontari, provenienti da regioni italiane diverse da quelle della tradi- zione, e protagonisti di una fase assolutamente nuova della lunga storia degli Alpini. Diversi sono gli orizzonti, le valli, i dialetti di questi ragazzi, uguali restano la dispo- nibilità al servizio e la determinazione al dovere. Oggi, nel cuore dell'Europa, si sono consolidate la pace, la democrazia, la libertà. Le montagne del nostro Continente non sono più baluardi da difendere o da attac- care, non segnano più linee di frattura fra gli opposti nazionalismi del tempo passato. Ora, in questi splendidi scenari, ci si allena per tenere alti i livelli di professionalità dei reparti specializzati, e per mantenere la capacità di operare in contesti similari qualora occorra proiettarsi lontano dall'Europa in missioni di pace a sostegno delle decisioni della Comunità internazionale. Dal Mozambico ai Balcani, gli Alpini italiani hanno fatto onore alla loro storia, rinnovando le prove di fedeltà alla Patria ed al dovere che sono scritte nella loro storia gloriosa. In modo particolare, si è confermata la flessibilità delle truppe di montagna, in grado di agire in una pluralità di Teatri proprio grazie all'invidiabile preparazione del personale ed alle motivazioni che lo sorreggono. È ancora vivo il ricordo dell'intervento delle "penne nere" in Mozambico che, pro- prio grazie alla missione internazionale, ha potuto superare una difficilissima fase di transizione. In Afghanistan, poi, la natura della posta in gioco sostiene l'impegno dei nostri Al- pini in un Teatro lontano e difficile, conferendo alla loro presenza un significato profondo. A Kabul, Kwost, Herat gli Alpini hanno saputo essere all'altezza della situazione e della loro fama, confermando quel "valore aggiunto" che solo la severità della mon- tagna assicura. In Afghanistan gli Alpini stanno operando su mandato della Comunità internazio- nale per garantire la stabilità, quale premessa alla pace, e per aiutare la ricostruzione. Basti citare, al riguardo, le molteplici attività formative ed addestrative sviluppate, anche in Italia, e proprio qui in Val Pusteria, a favore delle Forze Armate e di polizia afgane. Noi sappiamo di dover aiutare quel Paese a rinascere, e quel popolo a trovare la via della speranza e della crescita civile, sostenendo efficacemente tutte le forze locali nel loro sforzo di riorganizzazione e di rinascita.

Autorità, Ufficiali, Sottufficiali, Alpini,

lo sport è parte integrante della preparazione militare. La crescita psicofisica del- l'individuo è l'obiettivo primo della formazione militare, guidata come poche dal- l'antica saggezza che i latini affidarono al motto "mens sana in corpore sano". Ma l’agonismo non è fine a se stesso, è la molla fondamentale per formare il sol- dato e renderlo idoneo ad operare nelle più avverse condizioni ambientali.

116 Discorsi e indirizzi di saluto

Il soldato di oggi deve essere un individuo equilibrato, consapevole delle proprie possibilità e capacità. Superato il periodo storico dei grandi eserciti di massa, oggi servono complessi di forze di altissimo livello professionale, capaci di sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalla tecnologia. Ma non possiamo mai dimenticare che l'uomo resta sempre il fattore determinante. Per questo, l'addestramento e la formazione rivestono una importanza crescente scandendo la vita militare con continui periodi di attività sportiva e di studio che si susseguono, pur se con diverse modulazioni, fino ai gradi più elevati. Come ho avuto occasione recentemente di dire, solo un braccio sicuro può dare si- curezza, ma un braccio è reso sicuro solo dall'esercizio dell'addestramento e dalla forza d'animo. È questa una lezione valida per i soldati di ogni tempo, ma più che mai per i sol- dati di oggi. La presenza di tante delegazioni straniere onora l'Italia e conferma la comune condivisione dei metodi formativi per il personale militare e per le truppe alpine in modo specifico. Mentre rivolgo perciò ai vincitori delle diverse gare il mio rallegramento, vada co- munque a tutti i partecipanti, al di là dei risultati che hanno conseguito, il mio ap- prezzamento personale per l'impegno, la serietà nella preparazione atletica, la lealtà con la quale hanno affrontato le prove. Al Comando Truppe Alpine un caloroso ringraziamento per la capacità, ancora una volta confermata, di organizzare un evento di tale ampiezza e risonanza. Alle città di Dobbiaco, San Candido e Sesto Pusteria, alla Provincia Autonoma di Bolzano ed alle altre comunità locali interessate dai Ca.STA, va la gratitudine per l'ospitalità, in linea sempre con le nobili tradizioni civili di questa terra. Ai militari dei Paesi alleati ed amici: Argentina, Croazia, Germania, Repubblica ex jugoslava di Macedonia, Romania, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d’America, rinnovo il saluto del Governo italiano, che - per il loro tramite - desidero estendere agli eser- citi ed ai Paesi di appartenenza, nel solco dello spirito di amicizia dei Campionati Sciistici delle Truppe Alpine. Non mi resta, ora, che dichiarare chiusa la 59ª edizione dei Campionati Sciistici delle Truppe Alpine e rivolgere a tutti il più cordiale “arrivederci” per la prossima edizione di questa bellissima manifestazione.

117 Due anni al Ministero della Difesa

Inaugurazione dell’anno giudiziario militare Roma, 7 febbraio 2007

Signor Presidente della Corte militare di Appello, Signori componenti del Consi- glio della Magistratura militare, Signori rappresentanti dell'Avvocatura, Signor Capo di Stato Maggiore della Difesa, Autorità civili e militari, Signore e Signori,

desidero anzitutto dire che sono personalmente onorato di partecipare a questa so- lenne cerimonia e di prendere la parola anche in rappresentanza del Governo. Vorrei che consideraste questa mia presenza non come un atto di omaggio formale ma come segno della mia attenzione alle Istituzioni e alla realtà della Magistratura militare e del convincimento che essa rappresenta un fondamentale e imprescindi- bile riferimento della Difesa e delle Forze Armate. La mia attenzione trova il suo primo fondamento nella considerazione del disegno del Costituente, che, nel definire l'architettura dell'ordinamento giurisdizionale, volle fissare, all'art. 103 della nostra Carta fondamentale, il principio della necessità e della specialità della giurisdizione militare. Questa collocazione in sistema con le altre giurisdizioni è stata il riferimento di una evoluzione che ha condotto, con le leggi riformatrici del 1981 e del 1988, ad un assetto reale della Magistratura militare incentrata sulla specializzazione come suo tratto distintivo: una specializzazione alla quale ha affiancato, a garanzia del risultato di giustizia, le medesime caratteristiche di status, la stessa dignità e le stesse garanzie di autonomia e indipendenza della Magistratura ordinaria. In questo quadro, il ruolo del Ministro della Difesa è analogo a quello che spetta al Guardasigilli per la giustizia ordinaria e si incentra sulle responsabilità per l'organiz- zazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia militare. Desidero perciò dirvi, anzi rinnovarvi, il mio intendimento di dedicare tutta l'at- tenzione necessaria per affrontare nel modo più lungimirante le problematiche che abbiamo di fronte. Nei primi incontri che in questi primi mesi ho avuto col mondo della Magistra- tura militare ho già espresso la mia intenzione di assicurare il mio impegno per indi- viduare, con gli opportuni approfondimenti, le soluzioni, sia organizzative che fun- zionali, più adeguate e rispondenti alle esigenze odierne della domanda e della ri-

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sposta di giustizia militare. In questa occasione voglio rinnovare questo impegno formalmente.

Signor Presidente,

dopo aver ascoltato con la massima attenzione la sua relazione - della quale La rin- grazio - sono ancora più consapevole che i temi e le problematiche che maggior- mente richiedono attenzione e cura sono tutte connesse all'assetto ordinamentale e alla funzione stessa della giurisdizione di interesse militare. Questa è una tematica che per la sua complessità richiede da parte dell'Autorità politica una attenzione particolare e una accurata riflessione e che soprattutto do- manda soluzioni supportate da un meditato ed adeguato consenso: un consenso che è alimentato e che a sua volta alimenta quella "cultura della difesa" senza la quale i temi ordinamentali di lunga durata sono privi del loro quadro di riferimento. La complessità e soprattutto la delicatezza dei temi da affrontare impongono di te- nere in debito conto tutte le esigenze, anzitutto quelle delle Forze Armate alle quali questa giurisdizione è, per sua stessa natura, irrinunciabilmente funzionale. So bene che, in ordine ai modelli e alle ipotesi di riforma del sistema giudiziario sostanziale e ordinamentale, si manifestano, nell'ambito della stessa Magistratura militare, orientamenti diversi. Si va, infatti, da un concetto teso al perfezionamento e all'aggiornamento della formula organizzativa in atto, a visioni orientate ad una sua radicale trasformazione, fino a giungere ad ipotizzarne la così detta “ordinarizzazione”. Queste sono tutte tematiche che, con quel consenso e quella maturità che dicevo, dobbiamo affrontare, e scelte con le quali dobbiamo confrontarci. A chiedercelo sono i fatti. La trasformazione delle modalità di arruolamento dei militari e il rapido e progres- sivo mutare dello scenario internazionale e, al suo interno, del ruolo militare doman- dano di porre mano alla legislazione penale militare con un'ottica nuova: nuova anche rispetto alle riflessioni più recenti, ancora ispirate all'idea di fondo che la di- mensione addestrativa tutto sommato prevalesse sostanzialmente su quella operativa. In questa ottica, per ragioni di economia e di efficienza, una evidenza particolare acquista la questione di un equilibrato rapporto tra domanda e offerta di giustizia militare. Ma la realtà internazionale e quella delle nostre missioni ci impongono di ragio- nare in termini dinamici e di attento e consapevole realismo. Lo scenario è infatti del tutto nuovo, in continua trasformazione. Sempre più nuove sono le esigenze che questo mutevole scenario genera: esigenze di tutela penale militare sia per le Forze Armate sia per i soggetti deboli del "diritto umanitario". In sede di audizione presso le Commissioni Difesa di Camera e Senato riunite sulle "Linee programmatiche del Dicastero della Difesa", così come in occasione

119 Due anni al Ministero della Difesa

della mia partecipazione alla seduta del Consiglio della Magistratura militare dello scorso 17 ottobre, ho avuto già modo di dire che occorre riprendere la riflessione av- viata e interrotta nel corso della passata legislatura. Occorrerà, al riguardo, effettuare tutti i necessari approfondimenti in relazione alle problematiche già allora in buona parte emerse. In quella occasione si è ampiamente dibattuto e sono state formulate considera- zioni - e so di dirvi cose ben note - in ordine alla rimodulazione delle fattispecie di reato militare, alla definizione della nozione di guerra e di conflitto armato, alla sot- toposizione alla giurisdizione penale militare di "chiunque" commetta reato mili- tare, nonché, sul piano organizzativo, alla riconsiderazione del numero dei tribunali militari. Nel ribadire la mia determinazione a dedicare a questa rilevante tematica l'atten- zione che merita, oggi posso assicurarvi che il discorso è già ripreso. So che dovranno essere tenuti in debito conto gli apporti dei diversi interessi e delle diverse opinioni. E so anche che efficienza ed economicità dovranno essere a loro volta rapportate alla efficacia, che ha nelle conoscenze professionali del magi- strato militare un requisito essenziale. Il cammino delle riforme è sempre difficile e talvolta tortuoso. È per questo che deve essere affrontato con una competenza tecnica adeguata e con senso delle Istitu- zioni. Spesso, purtroppo, il cammino riformatore è anche lento, ma - consentitemelo - la lentezza è un difetto quando è l'esito della inerzia e della disattenzione, non quando è il frutto della maturazione, dell'esigenza, come in questo caso, che siano poste le basi perché la riforma possa avere la più ampia condivisibilità. Concludendo, vorrei perciò condividere con voi la consapevolezza che il percorso che ci attende potrebbe essere più lungo e impegnativo di quello che molti auspi- cherebbero, ma voglio assicurarvi: esso non sarà infinito e comunque ci impegne- remo perchè arrivi a conclusione. So che sarà un cammino che percorreremo insieme, nel rispetto reciproco dei ruoli e delle prerogative, e sempre in una posizione di leale cooperazione.

Ed ora a Lei, Signor Presidente, e a tutto il mondo della Magistratura militare, il mio più sentito ringraziamento per l'attenzione e un sincero augurio di buon lavoro.

120 Discorsi e indirizzi di saluto

43rd Munich Conference on Security Policy Monaco di Baviera, 10 febbraio 2007

Madame Chancellor, Mister Chairman, Colleagues, Excellencies, Ladies and Gen- tlemen,

Let me express my appreciation for this year's choice of the subject "global threats and global responsibilities" and applaud your introductory intervention, Madame Chancellor, which has brilliantly highlighted Germany's approach to security issues. shares the same concerns and is convinced that the threats we face to-day, being of a global nature, need to be addressed with a global approach, that is a poli- tical approach, in the broadest meaning of the word. In order to face them effectively our actions should combine and integrate poli- tical, diplomatic, social, economic and military tools. This is even more obvious in the security field which is a commodity that we share and cannot divide, and which we must all contribute to defend. This means that we all have a common responsibility in promoting a global ap- proach to security in a multilateral framework, involving all international actors. This is the most effective way to ensure that initiatives in the area of security have an adequate political support, which is the premise to guarantee solutions that can be sustained in the long term and receive the public opinion support. The very value of Peace today is at stake. We need to reaffirm it, actively and responsibly. An even greater risk would be omitting to exercise our responsibility. In a global world we cannot afford the luxury of being mere consumers of security. Our commitment therefore must be active and multidimensional, where the ne- cessary initial military engagement is only a part of a broader approach to security. Our actions must base their legitimacy on international organizations and first and foremost the U.N., the E.U. and NATO. Only in their mandates can we find justification for the use of legitimate force as an answer to unjust violence. We must reaffirm the centrality of the political dimension in stabilization pro- cesses. In order to restore peace and international order, we must help rebuild governing capacity and state institutions in those countries weakened by international con- flicts and by the presence of destabilizing "non state subjects", that have taken the

121 Due anni al Ministero della Difesa

place of the state in controlling territory and resources and are capable of exercising a monopoly of violence. We refuse indifference and any temptation of isolationism, because we think that it is our duty to take upon us the responsibilities which derive from our economic and political conditions. We share the obligation to be a security provider and to be part of an effort invol- ving the entire international community, in compliance with UN mandates. This is why our Armed Forces are so actively engaged abroad in the Balkans, in Af- ghanistan and in Lebanon. We have a number of tools to help us to expand global security. We must accept the principle that there is no exclusiveness in managing security. A nation by itself cannot solve security issues. International organizations have a fundamental role, to be more effective they must cooperate, combining their com- petences and strengths. Therefore sustaining the role of the UN in solving international crises is central to facing global threats. As a non permanent member of the Security council Italy is firmly committed to this objective. NATO and the EU are equally indispensable for the security of Europe and its member states. Both have different identities, therefore they should not compete, but should mu- tually complement each other. More should be done to revitalize their cooperation. A strong EU benefits the Alliance and a strong NATO guarantees Europe's secu- rity and in doing so best serves European Unity preserving and consolidating NATO and the EU. Their cohesion has become even more vital in the new global dimension of inter- national security. As a conclusive remark allow me to voice Italy's strong support for Germany's ap- proach to security issues and our commitment to contribute to the consolidation of European security and defense policy under Germany's Presidency of the European Union. A special attention in this respect should be given to our cooperation in Afghani- stan where we see a growing, significant role for the European Union in promoting the rule of law.

Thank you.

122 Discorsi e indirizzi di saluto

Giuramento del 121° corso Allievi Carabinieri Iglesias (CA), 17 febbraio 2007

Autorità, Allievi, Carabinieri in servizio e congedo, Cittadini,

la presenza del Ministro della Difesa al giuramento di un battaglione di Allievi del- l’Arma dei Carabinieri, è motivata dal profondo significato simbolico che ha una ce- rimonia come questa. Oggi hanno giurato gli Allievi del 121° corso formativo; e questo è un fatto di per sé ricco di significato. Decine di migliaia di Allievi, per l’esattezza più di 30mila, sono passati qua, in terra di Sardegna, ad Iglesias, nel corso dei 61 anni di vita di questo reparto. Decine di migliaia di giovani, che nell’Arma dei Carabinieri hanno poi messo la loro vita a servizio della sicurezza collettiva, a difesa della Repubblica. È un filo ininterrotto, che lega gli Allievi di ieri e di oggi con i Carabinieri di do- mani. Per questo un battaglione di istruzione è una realtà così importante. Pur non es- sendo direttamente coinvolto in quell’attività operativa che rappresenta la ragion d’essere di qualsiasi compagine militare, esso ne costituisce il presupposto indispen- sabile. Attraverso l’insegnamento e l’addestramento nei reparti d’istruzione si trasmet- tono infatti i principi e le competenze tecniche che rappresenteranno la guida co- stante di tutta la successiva vita militare. Ed anche per questo, per il valore insito in una Istituzione quale la Scuola Allievi Ca- rabinieri, che i corsi sono intitolati ad una Medaglia d’Oro al Valor Militare, perché la sua vita sia di esempio e di guida durante la nostra vita, durante la vostra vita. Antonio Lorusso, l’esempio che oggi vi viene proposto come guida della vostra vita, era e appariva un uomo normale. Anzi, per dirla con le parole di oggi, era ancora un ragazzo. Eppure, sottoposto dalla vita, a soli 32 anni, a quella che si manifestò poi come la prova definitiva, riuscì a dare tutta intera la misura della sua umanità. E questo fu reso possibile, certo, dal sistema di valori che ancora giovanissimo lo indusse ad arruolarsi, per quei tempi ancora minorenne, a soli venti anni nell’Arma.

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Ma anche grazie ai valori appresi e interiorizzati durante i dodici anni di servizio prestati da Carabiniere tra Carabinieri. La dinamica dell’episodio nel quale Antonio Lorusso diede prova del suo eroismo, perdendo la vita nel mare della sua Puglia, dopo aver lottato fino all’esaurimento delle sue forze, dà la prova della forza dei valori e della sua formazione. La vigilanza in difesa della legge e della sicurezza, la determinazione nella repres- sione del crimine, la lotta senza risparmio né riguardo per la propria vita: ecco in- contrarsi in un gesto le principali virtù del Carabiniere. Un gesto che ad altri può apparire d’altri tempi, ma che noi sappiamo appartenere ad una storia che non conosce il tempo, che si ripete nello slancio e nel coraggio dei tanti Carabinieri che ogni giorno rischiano la vita per difendere la legge, per proteg- gere la convivenza civile: in Patria come nelle missioni all’estero. Con la mia presenza, oggi, voglio ricordare qui anche un’altra data, un’altra ricorrenza. Sessanta anni orsono, nel febbraio del 1947, con un Decreto del Capo provvisorio dello Stato, il Ministero della Guerra, insieme a quelli della Marina e dell’Aeronau- tica, venivano riuniti sotto un nuovo Dicastero: il Ministro della Guerra diventava da allora per la prima volta il Ministro della Difesa. Fin da allora, prima ancora che i principi fondanti della Repubblica fossero defini- tivamente scolpiti nella nostra Costituzione, si intraprese il cammino che ha portato l’Italia a riconoscersi in una vocazione di pace, pace per sé e per gli altri popoli. Una vocazione che porta con sé il dovere, tuttavia, di promuovere attivamente questo principio, in tutti quei contesti internazionali nei quali l’Italia è inserita. Con quella scelta fondante si gettarono le premesse per il progressivo avvicina- mento fra il concetto e la realtà della difesa e della sicurezza; con quella scelta si co- minciava a delineare la complementarietà fra i valori della pace e quelli della giu- stizia. Con il passare degli anni, dopo rivolgimenti storici che sono stati senz’altro epo- cali, questi principi si sono ulteriormente rafforzati e pervadono il comune sentire degli italiani, ispirando l’ordinamento delle Forze Armate e la condotta delle nostre operazioni militari. Legalità e pace, dunque, sono da sessant’anni i valori che ci guidano, in Italia come nelle regioni del mondo dove sono presenti i nostri Contingenti militari. Sono valori che rappresentano il patrimonio comune di tutte le Forze Armate e che trovano nell’Arma dei Carabinieri un interprete risoluto. Tutto questo sembra quasi scontato in Patria, nell’esercizio di quella funzione di polizia che è attribuita permanentemente all’Arma e che viene condotta primaria- mente grazie alla attività delle 4.626 stazioni distribuite sul territorio nazionale. Ma questo è vero anche all’estero, dove i Carabinieri sono sempre più impegnati, alla pari delle altre Forze Armate. A fornire un’indicazione di questo crescente impegno basta un dato. Se nel periodo 82’ – 96’ circa 3.400 Carabinieri si erano avvicendati all’estero nelle

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missioni militari italiane, dal ‘96 ad oggi il totale dei Carabinieri che si sono avvi- cendati, nei vari Teatri e nei diversi turni, supera ampiamente le 19.000 unità. È un dato che dovrebbe far riflettere quanti mettono in dubbio il contributo che l’Arma fornisce alla Difesa, contributo che non si limita ovviamente alla sola parte- cipazione alle missioni all’estero, ma che si manifesta in primo luogo nella funzione di Polizia Militare svolta nell’ambito dei Comandi e delle Unità delle altre Forze Ar- mate, proprio quella funzione che svolgeva, 69 anni orsono, il Carabiniere, Meda- glia d’Oro al Valor Militare, Antonio Lorusso, che abbiamo appena ricordato. Questo fornisce un’indicazione di quanto rimangano importanti l’addestramento militare di base dei Carabinieri e il ruolo che gioca il reclutamento di volontari che hanno già svolto un periodo di servizio nelle altre Forze Armate. Ed è anche un’indicazione di quanta esperienza sia stata travasata, nel corso degli anni, grazie alla partecipazione alle missioni all’estero di migliaia di Carabinieri che sono poi tornati nei rispettivi reparti della “territoriale”. Anche questo significa, nei fatti, avvicinare i valori della difesa della pace e della tutela della legalità e della giustizia. Ed ora, consentitemi di rivolgermi direttamente a voi, cari Allievi, a voi che siete protagonisti, i veri protagonisti della cerimonia di oggi, di rivolgermi a voi sapendo di parlarvi anche in presenza delle vostre famiglie. Voi avete appena giurato, voglio ripetere la formula, avete giurato “di essere fedeli alla Repubblica Italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del vostro stato per la difesa della Patria e la salva- guardia delle libere Istituzioni”. È lo stesso giuramento che ancora quindicenne, avevo quindici anni, espressi da Allievo della Scuola Militare di Napoli ormai tanti anni fa. Lo stesso che da Mini- stro ho ripetuto esattamente nove mesi fa, il 17 maggio dello scorso anno. Ed è in nome di questo legame, di questo legame che attraversa la mia vita, di questo legame che lega tutti i servitori della Repubblica, servitori cioè di ognuno dei nostri concittadini, che mi rivolgo a voi. Voi avete scelto una strada quanto mai impegnativa, arruolandovi nelle Forze Ar- mate. Scegliendo l’Arma dei Carabinieri, non avete scelto soltanto una professione difficile, avete fatto soprattutto una scelta di vita, che vi accompagnerà per sempre e da cui deriveranno tutte la altre decisioni che vi troverete davanti. Lo avete fatto consciamente e razionalmente, come è opportuno che sia, valutando le condizioni che vi si prospettavano. Come in tutte le scelte di vita, sono entrate in questa scelta anche le vostre valuta- zioni materiali che riguardano il vostro futuro personale e quello delle vostre famiglie. Ma io so che lo avete fatto anche e soprattutto sulla base di considerazioni ideali, giacché l’onere di portare una divisa, l’impegno richiesto dal far parte di una Istitu- zione quale è l’Arma dei Carabinieri implicano uno slancio ed una condivisione profonda dei valori che l’Arma incarna.

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Sono sicuro che della dimensione ideale di questa scelta siete consapevoli e orgo- gliosi. Sappiate che di questo sono consapevoli e orgogliosi anche gli italiani. Con il giuramento di oggi, iniziate un percorso che già tanti, tantissimi, prima di voi, hanno seguito. Altri vi seguiranno, nel solco di una tradizione che sappiamo lunga e gloriosa. Questo percorso vi porterà ad affrontare sfide difficili, che metteranno alla prova il vostro carattere e la vostra preparazione. I militari italiani sono un esempio riconosciuto di capacità professionali e di doti umane. Questi elementi ci fanno eccellere nelle tante operazioni di stabilizzazione che svolgiamo insieme agli alleati, nelle diverse aree di crisi. La peculiare capacità dimostrata dagli italiani, la capacità cioè di interagire con umanità e rispetto e allo stesso tempo con efficacia con le popolazioni locali, è in ge- nere associata ai valori positivi che ciascuno di noi ha la fortuna di aver respirato nella propria comunità di origine e soprattutto nella nostra famiglia, e per i quali siamo grati ai nostri genitori, siete grati ai vostri genitori. È vero. Ma noi sappiamo anche che le capacità dei nostri militari sono non di meno il risultato dell’addestramento che essi hanno ricevuto. È nella fase della formazione che si impartiscono quegli elementi cardine che ac- compagneranno poi il militare nella vita, nel corso della sua professione. Nelle Scuole, negli Istituti di formazione, nelle strutture destinate all’addestra- mento si acquisisce la capacità di usare la forza con misura e professionalità, ma so- prattutto si sviluppa la virtù della fortezza. È questa virtù che, nei momenti difficili, fa la differenza. Voi, Allievi Carabinieri del 121° corso di formazione, state apprendendo durante questi mesi un insieme di nozioni tecniche e di valori etici che vi accompagnerà per il resto della vostra vita. Fate tesoro degli insegnamenti professionali, perché vi permetteranno di disimpe- gnare al meglio i vostri compiti. Fate però tesoro, sopra e prima di tutto, dei precetti morali che permeano l'insegnamento che qui ricevete. Sarà infatti la solidità dei vostri valori a condurvi verso le scelte giuste nei momenti più difficili che dovrete superare. E, spesso, superare da soli. Ed ora non mi resta che augurare a tutti voi, buon lavoro e buona fortuna! E ripe- tere con voi:

Viva l’Italia!

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Festa del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare e secondo anniversario della morte di Nicola Calipari Roma, 5 marzo 2007

Ammiraglio Branciforte, Signora Calipari, Signore e Signori,

oggi è il giorno che il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare ha voluto dedicare alla memoria: un giorno di riflessione sul senso del nostro servizio che trae occasione dalla testimonianza, dalla testimonianza definitiva di un servitore, un giorno per riappropriarci di ciò che fa del Servizio un servizio. Il 4 marzo è infatti la data nella quale commemoriamo quello che con parole an- tiche chiamiamo il martirio di un servitore dello Stato, il Dirigente Superiore Ni- cola Calipari, Medaglia d'Oro al Valor Militare, caduto due anni fa mentre condu- ceva all'estero una pericolosa missione al servizio della Repubblica. Commemorare significa rendere presente il passato, perché esso possa guidare il nostro futuro. Commemorare significa riportarlo assieme alla nostra mente e, ri- cordandolo, come lo stesso verbo ci dice, significa riportarlo allo stesso tempo al nostro cuore. Quante volte nel corso di questi lunghi mesi, ripercorrendo la vicenda irachena, abbiamo richiamato il nome di Nicola Calipari assieme a quello dei nostri militari che si sono sacrificati al servizio della pace. Assieme al suo nome oggi vogliamo richiamare la sua testimonianza perchè essa appunto ci aiuti a cercare il futuro. Non ho avuto il privilegio di conoscere personalmente Nicola Calipari. Debbo perciò ricercare e rinviare il ricordo alla testimonianza di quanti, nella Polizia di Stato e nel SISMi, hanno avuto la possibilità di condividere con lui l'impegno al ser- vizio della comunità e della cosa pubblica, in tutti i 26 anni che ad essa ha dedicato, esattamente la metà della sua breve vicenda terrena. La commozione e la partecipazione corale che da italiano ho avuto occasione di condividere personalmente quando appena due anni fa, a Santa Maria degli Angeli, abbiamo assieme preso commiato da lui, mi dicono della verità delle testimonianze che sulla sua vita ho avuto la possibilità di raccogliere successivamente. Mi limito a ripeterne alcune, per me e per quanti dei presenti non l'hanno cono-

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sciuto, a nome dei molti presenti che hanno condiviso con lui una parte importante del loro cammino. Tutte le testimonianze ci dicono della sua riconosciuta autorevolezza: di funzio- nario dello Stato, di investigatore, di maestro circondato dal rispetto di tutti e consi- derato un punto di riferimento per i più giovani. La sua carriera è tutta un susseguirsi ed un inseguirsi di grandi sfide, di grandi ri- schi, di grandi successi. A Cosenza da Dirigente della Squadra Mobile, contro la ‘ndrangheta della quale diventa obiettivo privilegiato; in Australia, dove la Sua opera fu determinante per scompaginare metastasi mafiose in quel Paese; a Roma e nel , dove si rese protagonista di operazioni straordinariamente complesse, come quella che portò alla liberazione di Soffiantini ed alla cattura dei suoi sequestratori, resisi tra l’altro responsabili dell’omicidio dell’Agente del NOCS Samuele Donatoni. Le chiavi di volta della sua leadership erano l’intelligenza, la cultura, la correttezza, la fedeltà alla parola data, il suo essere sempre d’esempio, primo a partire e ultimo a rientrare, ad operazione conclusa e “ad atti di polizia giudiziaria redatti”. Nicola Calipari aveva un innato senso di protezione nei confronti di quanti erano affidati alla sua responsabilità; li motivava con la sua calma decisione, con la sua pa- cata incisività, trasmettendo a chi lo circondava la serenità che gli derivavano dal- l’esperienza, dall’intuito, dalla capacità. Tutti descrivono Nicola Calipari come una persona profondamente civile nel rap- porto con gli altri, con un approccio sempre incline al dialogo ed alla ricerca di un punto di incontro, trovando sciocche, gratuite, superflue e pericolose impuntature le prese di posizione all'infuori di quelle che toccavano i principi fondamentali di un Servitore dello Stato. Un uomo mite ma non remissivo; aveva, semplicemente, la serenità degli uomini che sono forti “dentro”. In un mondo che annovera anche modelli di gratuita ag- gressività, si distingueva per il suo credere nel primato della forza delle idee su qual- siasi idea di forza. Un testimone concreto della virtù della temperanza, la mite determinazione del se- minatore evangelico che, dopo aver messo mano all'aratro, non si volge indietro finchè il lavoro non è portato a termine. La virtù che Giotto dipinge nella cappella degli Scrovegni a Padova, con la bocca cucita e la spada al fianco ma legata, come di chi conta fino a mille prima di prendere la parola e fino a diecimila prima di sfode- rare la spada dopo averla liberata dai lacci. È questa virtù della mite determinazione che gli consente di entrare in comunica- zione con ogni soggetto che egli ritiene utile al successo della missione, soprattutto quando questo coincide con la salvezza di vite umane. Ma, in Calipari, l’“uomo d'azione” si combinava con il “fine analista”. Anche per questo, è con l'entrata nel Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare che le qualità di Nicola Calipari manifestano tutta la loro forza e la sua pro- fessionalità raggiunge la sua piena maturità.

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Il SISMi consente infatti a Calipari di spaziare in un campo di attività ancora più vasto e complesso di quello, pur variegato, che aveva conosciuto in Polizia. La direzione della "Divisione Operazioni" ed il "Dipartimento Ricerca" consen- tono a Calipari di allargare il suo orizzonte operativo fino a coprire virtualmente tutto il globo. A sua volta, egli conferisce al Servizio un bagaglio di professionalità e di umanità davvero ragguardevole. Calipari infatti è giunto al SISMi in una delicata fase di transizione, che ha visto il Servizio evolvere rapidamente ed adeguarsi alle nuove sfide che si sono affacciate sulla scena internazionale di questi anni. In tale contesto, Calipari ha contribuito in maniera determinante a risolvere deli- catissime vicende che mettevano a rischio la vita di connazionali tenuti ostaggi in teatri di guerra. Dell'ultima, tragica missione a Baghdad, dell'ennesima operazione per la salvezza di una vita umana, voglio solo ricordare l'abbraccio, il moto del corpo che traduce un moto profondo dell'animo col quale Calipari fa scudo alla connazionale Giu- liana Sgrena a prezzo della vita. Una immagine che è affidata per sempre, a prova del suo eroismo, alla motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare che è stata conferita alla sua memoria. Una immagine che fotografa per sempre lo straordinario coraggio ed altruismo dell'uomo che oggi ricordiamo. Uomo, giacché Nicola Calipari non è stato ovviamente solo un Poliziotto esem- plare, un Dirigente del SISMi di straordinaria capacità e coraggio. Il padre premuroso, il marito affettuoso, l'amico fraterno sono dimensioni umane che prevalgono, giustamente, nel ricordo che di Calipari hanno i suoi congiunti, i suoi amici. Ma nessuna conoscenza indiretta, mediata attraverso il racconto degli altri, po- trebbe autorizzare ad affrontare un tema così intimo e profondo. Desidero fermarmi sulla soglia; desidero che quel ricordo sia custodito gelosa- mente da chi ha vissuto con Nicola Calipari e lo ha conosciuto personalmente e lo ha amato, a cominciare dalla sua famiglia che qua saluto a nome di tutti e abbraccio con affetto. Voglio invece additare il suo esempio, perché esso possa guidare l'azione degli ap- partenenti alle Istituzioni dello Stato, così come certamente guida i suoi figli. È stato detto che è fortunato quel Popolo che non ha bisogno di eroi. Ma io dico che senza la testimonianza degli eroi la fortuna dei popoli non può avere un futuro. È grazie a Nicola Calipari, agli eroi che lo hanno preceduto e a chi li assumerà ad esempio che il nostro popolo può avere un futuro.

Per questo lo ricorderemo per sempre.

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Giuramento degli Allievi Ufficiali dell’Accademia Militare Modena, 16 marzo 2007

Colleghi Parlamentari, Ammiraglio Di Paola, Generale Cecchi, Generale Siazzu, Autorità tutte, Signore, Signori,

abbiamo appena assistito al solenne rito del giuramento degli Allievi del 188° corso dell'Accademia Militare di Modena e nuovi giovani, con le loro aspirazioni e le loro speranze, sono entrati da oggi a pieno titolo nelle Forze Armate. Prima di rivolgermi agli Allievi, che sono i protagonisti di questa giornata, consen- titemi innanzitutto di rivolgere un caloroso saluto alle autorità presenti, ai rappre- sentanti delle Associazioni combattentistiche e d'Arma, ai cittadini di Modena. A tutti un sincero ringraziamento per la loro presenza, un ringraziamento per la te- stimonianza concreta di fiducia e d'affetto nei riguardi di questi giovani che oggi as- sumono un impegno così importante, un impegno carico di responsabilità verso la Repubblica. Entrando nel mondo militare, con il loro entusiasmo e la loro determinazione, essi contano sul sostegno e sulla simpatia di tutti gli italiani. Noi vogliamo che sappiano che possono contare su di noi. È anche per questo che voglio rivolgere un saluto e un ringraziamento tutto parti- colare al Sindaco di Modena e, attraverso di lui, a tutti i cittadini di questa città che è decorata di Medaglia d'Oro al Valor Militare e che l'Accademia sente da sempre vicina ed attenta alla sua vita. Un pensiero affettuoso e allo stesso tempo grato voglio rivolgere anch’io alle fami- glie degli Allievi che hanno guidato e accompagnato con i loro valori e la loro edu- cazione i loro ragazzi fino alla soglia di questo antico Istituto. Io comprendo i sentimenti che agitano i loro cuori in questo momento, nel vedere i loro ragazzi avviati lungo il cammino di una professione che noi sappiamo difficile, anche se per più versi entusiasmante. All'inevitabile consapevolezza del distacco, si unisce, oggi, la partecipazione alla loro gioia e alla loro speranza. È questo il ritmo che governa la vita.

130 Discorsi e indirizzi di saluto

Ed è bello condividerlo in un giorno come questo, in un passaggio nel quale si ma- nifesta una scelta destinata a segnare l'intera vita. Al Generale Tarricone, Comandante dell'Accademia, ai docenti, al Quadro perma- nente ed a tutto il personale, un grazie sincero per la loro opera competente e appas- sionata. Ognuno, nelle rispettive funzioni, contribuisce a fare dell'Accademia quel fonda- mento educativo per le nostre Forze Armate e un punto di riferimento per la forma- zione militare degli Ufficiali anche fuori dei confini del nostro Paese. Con il suo stile, con la sua storia, con il costante aggiornamento, l'Accademia di Modena è fra le massime Istituzioni di insegnamento e di cultura militare, insieme presidio della tradizione e avamposto della modernità. È, certamente, uno dei luoghi di formazione più prestigiosi in Italia e direi nel mondo.

Cari Allievi e care Allieve del 188° corso,

permettetemi, ora, di rivolgere il mio saluto, un saluto doveroso e allo stesso tempo affettuoso, al vostro Padrino, il Padrino del vostro corso: il Capitano Gian- franco Paglia, Medaglia d'Oro al Valor Militare, gravemente ferito nel corso della missione in Somalia nel 1993 da Comandante di plotone. Ho voluto unire il pensiero che a lui rivolgo, con rispetto e gratitudine per la sua presenza, a quello che rivolgo a voi che siete, futuri Comandanti di plotone, al- l'inizio di una carriera prestigiosa, ma anche impegnativa, complessa, come è quella di un Ufficiale. Vi è un discrimine, cari Allievi, fra le Accademie militari e gli altrettanto presti- giosi ed impegnativi Istituti universitari nei quali vanno formandosi i vostri coe- tanei. Esso risiede nella peculiarità della stessa professione in armi da voi scelta per il vo- stro futuro. Solo ai militari, agli appartenenti alle Forze Armate e alle Forze di Polizia, è infatti richiesta, come elemento fondante della loro preparazione professionale, una com- pletezza che coinvolge contemporaneamente nel suo massimo grado la dimensione psichica e quella fisica. Solo ai militari è chiesto non solo il possesso di nozioni e il controllo di abilità che siano frutto di un sapere organizzato nelle sue articolazioni, ma la capacità di appli- care questo sapere ed esercitare queste abilità in situazioni che noi sappiamo di peri- colo e segnate dal conflitto. Come per tutti i vostri coetanei, l'apprendimento culturale è la base della vostra formazione, l'alimento fondamentale della vostra professionalità. Ma, per un militare, la cultura deve essere continuamente accompagnata dal co- raggio.

131 Due anni al Ministero della Difesa

Il sapere, il vostro sapere, più che per ogni altro è chiamato infatti a diventare azione visibile e a guidare i vostri atti nel momento della sfida. Ebbene, il coraggio si rafforza acquisendo fiducia in se stessi e alimentando la fede nei valori che guidano nel suo profondo la nostra vita, la vostra vita. Prendete in questa ricerca a riferimento la figura di Gianfranco Paglia, esemplare nel momento drammatico del combattimento ed esemplare, ora, nella serena testi- monianza dei suoi valori in una condizione di difficoltà. Rivivete con lui la prova di quella drammatica mattina di Mogadiscio del 2 luglio del 1993, quando, a ventitré anni non ancora compiuti, da Comandante responsa- bile di altri uomini, fu chiamato a dar prova delle sue conoscenze, delle sue compe- tenze e soprattutto delle sue convinzioni. Ripercorrete, sul filo della motivazione che ci è stata appena letta, il cammino che sta alle spalle dei suoi atti, della sua linea di azione, "della intelligenza e perizia con cui si adopera con le forze alle sue dipendenze allo sganciamento dei carri rimasti in- trappolati nell'abitato", allo "sgombero dei militari feriti", al coordinamento del- l'azione dei suoi uomini mentre contrasta con l'armamento di bordo l'incessante fuoco dell'attacco nemico. Ripensate al coraggio col quale, per rafforzare l'efficacia della azione, si sporge fuori dal suo mezzo esponendosi al tiro dei cecchini e alla serenità con la quale reagisce alla notizia che le lesioni riportate gli avevano procurato menomazioni permanenti. Imparate, impariamo dal suo esempio: “dal suo altruismo, coraggio, dal suo senso del dovere e dalla saldezza del suo animo”, come abbiamo appena letto, ancora una volta, nella motivazione della Medaglia d'Oro al Valore Militare che a lui è stata conferita. Il suo coraggio ci ricorda che la stagione dell'eroismo non è una stagione passata, che gli eroi di oggi sono uguali a quelli di sempre: non semplici vittime, innocenti ma inconsapevoli, di eventi o di azioni altrui, ma uomini e donne che mettono con- sapevolmente a repentaglio la propria vita per gli altri, per un ideale, per dei valori. Valori che ispirano e guidano nello stesso modo la vita militare e quella civile: va- lori che trovano il loro fondamento nel dovere di servire la cosa pubblica, la Repub- blica, e accomunano perciò tutti i cittadini. Gli stessi valori che in quella calda mattina di Mogadiscio guidavano l'azione del Sottotenente Paglia e dei suoi uomini, al servizio della pace in nome dell'Italia, in una operazione voluta dalle Nazioni Unite, quegli stessi valori guidano oggi l'azione dei militari che in nome della Repubblica difendono da militari la pace in tante parti del mondo.

Cari Allievi, care Allieve,

sono sicuro che voi avete maturato il significato delle parole del giuramento che avete appena pronunciato e che siete consapevoli dell'impegno oggi assunto.

132 Discorsi e indirizzi di saluto

Voglio però che sappiate che non minore è l'impegno delle Istituzioni della Re- pubblica per corrispondere alla vostra scelta generosa di indossare una divisa e di de- dicare la vostra vita alla difesa della Patria e alla tutela attiva della pace in adempi- mento del dettato della nostra Costituzione. Molto viene fatto per la vostra preparazione e, più in generale, per la preparazione di tutto il personale militare, di ogni grado e livello. Nello specifico, voi complete- rete la vostra formazione iniziale nella Scuola di Applicazione di Torino, per l'Eser- cito, o nella Scuola di Applicazione di Roma, per i Carabinieri. Ma la formazione accompagnerà la vostra azione lungo tutta la vostra carriera. Essa sarà infatti scandita da momenti di studio, aggiornamento, riflessione, funzio- nali anche al passaggio ai gradi superiori, fino al Centro Alti Studi della Difesa - nel cui ambito sono inquadrati l'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze e l'Isti- tuto Alti Studi della Difesa - che rappresenta un sicuro e qualificato riferimento della cultura strategica e militare. I momenti di formazione che vi attendono si presenteranno progressivamente come un processo continuo, destinato sia ad assicurarvi l'assoluta padronanza di culture nuove rispetto al passato, sia a mantenere inalterati gli insostituibili valori di fondo della professione. Sarà la saldezza dei vostri propositi e dei valori che vi sostengono a condurvi tut- tavia verso le scelte giuste nei momenti più difficili che dovrete superare. Voi conoscete certamente i contesti più probabili con cui sarete chiamati a con- frontarvi. La difesa del territorio nazionale resta il nostro principale compito. Così come per i nostri alleati e partner europei e nordamericani, essa si accom- pagna alla proiezione di forze nelle aree ove occorre creare o difendere condizioni di stabilità, nell'interesse del nostro Paese e della pace del mondo. Siete anche consapevoli della natura multinazionale ed interforze di queste missioni, che avete sentito molto spesso nei miei interventi, caratterizzate da aspetti complessi, ove le problematiche prettamente militari si coniugano con quelle della ricostruzione civile, del ripristino delle Istituzioni se non di vera e propria amministrazione. Il successo delle missioni è infatti conseguente alla capacità di dosare gli aspetti più spiccatamente militari con quelli di controllo del territorio e di sostegno alla ripresa della vita civile. Ecco, cari Allievi, è in questi scenari, percorsi da luci e sappiamo anche da qualche ombra, che voi sarete chiamati ad operare, come Ufficiali di domani. Siate forti, decisi, leali, sicuri nel comando. Ma siate capaci anche di riflessione critica, per migliorare continuamente voi stessi e le vostre capacità professionali ed umane. Noi sappiamo di poter contare su di voi, sulla vostra capacità di rappresentare e sulla vostra ansia di costruire una Italia che testimoni nel mondo i suoi valori e il suo desiderio di pace nella sicurezza e nella legalità.

133 Due anni al Ministero della Difesa

Sono sicuro che saprete dimostrarvi sempre all'altezza della vostra speranza e degli obiettivi che vi siete posti, facendo onore alle tradizioni di valore ed all’amor di Pa- tria di coloro che vi hanno preceduto.

Cari Allievi, care Allieve,

è con un nuovo e ripetuto invito alla fiducia in voi stessi che desidero salutarvi. Il nome del vostro corso, "Fedeltà", vi incoraggi ad essere sempre fedeli al dovere, in linea con gli esempi delle nostre tradizioni militari, espressione della volontà di pace e di giustizia sancita nella nostra Costituzione. Ovunque voi sarete impegnati, l'Italia sarà sempre con voi, al vostro fianco.

Viva l’Italia! Viva le Forze Armate!

134 Discorsi e indirizzi di saluto

Festa dell'Aeronautica Militare Vigna di Valle (RM), 28 marzo 2007

Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Corte Costituzionale, Autorità civili e militari, Signore e Signori,

l'Aeronautica Militare festeggia oggi il proprio 84° anniversario in un luogo ove si racchiudono le memorie dei voli del XIX secolo prima con gli aerostati e poi con i dirigibili ed i velivoli a motore. La nostra "Arma Azzurra" – come d'altronde tutte le aviazioni del mondo – ha alle spalle una storia breve. Breve se paragonata a quella millenaria degli Eserciti e delle Marine, ma segnata da una evoluzione dei mezzi estremamente rapida e che bene te- stimonia le capacità dell'ingegno e dell'ardimento umani. È poco più di un secolo che il primo aeroplano staccò le ruote da terra. Ma l'Italia si gettò da subito nella sfida del progresso aeronautico, dando prova di invidiabili capacità progettuali ed industriali, affiancate dall'entusiasmo di tanti giovani piloti. Il settore militare, come spesso capita anche ai nostri giorni, fu trainante per i nuovi mezzi, con innovazioni e modalità d'impiego all'avanguardia nel mondo. La giovane Forza Armata, istituita dopo la Grande Guerra, conseguì invidiabili primati nel corso degli anni '30. La trasvolata atlantica resta ancora scolpita nella memoria nazionale ed in quella degli stessi Stati Uniti. Chicago ricorda tuttora quell'evento: un evento ricco di fe- condi presagi per il futuro delle relazioni commerciali, culturali e sociali fra le due sponde dell'Atlantico. Vennero poi gli anni, gli anni durissimi, della guerra. Anni tragici nei quali gli aviatori italiani seppero ancora una volta distinguersi per capacità ed abnegazione, ed eroismo. In questo museo, di cui l'Aeronautica è giustamente orgogliosa, sono conservati velivoli che trovarono impiego su tutti i fronti di quel conflitto immane. Le insegne di alcuni di quei reparti campeggiano tuttora sulle fusoliere dei nostri velivoli, come simbolo del legame profondo, del filo ininterrotto che lega gli aviatori di ieri con quelli di oggi. In questa storia breve ma intensa l'Aeronautica Militare italiana ha ben saldi i rife- rimenti della propria origine e del proprio passato, e al tempo stesso ha forte la con-

135 Due anni al Ministero della Difesa

sapevolezza della sua vocazione a "proiettarsi in avanti", attraverso la sperimenta- zione permanente di nuove tecnologie e la acquisizione di nuove capacità. Non meraviglia, quindi, se proprio qui a Vigna di Valle, dove coltiva la sua me- moria, l'Aeronautica ha collocato il "Centro di controllo dei sistemi satellitari", una delle componenti tecnologicamente più avanzate delle Forze Armate italiane. In questo senso, il motto dell'Aeronautica, già ricordato dal Generale Camporini, "con valore verso le stelle", sembra davvero racchiudere lo spirito che anima tutti gli appartenenti all'Arma Azzurra, lo slancio che informa la sua azione. Non è un impegno da poco. Siamo infatti tutti consapevoli di quanto sia com- plesso ed oneroso sostenere questo slancio di innovazione. Complesso, perché non è certo facile dominare i fattori di cambiamento che se- gnano lo scenario strategico e quello tecnologico. Oneroso, per l'entità del flusso ininterrotto di risorse che è necessario a sostenere questa innovazione. Siamo tuttavia tutti consapevoli di quanto sia importante dal punto di vista strate- gico assecondare questo slancio. L'Aeronautica è investita della responsabilità di difendere l'Italia dalle minacce che possano materializzarsi nella "terza dimensione". Noi sappiamo che questa responsabilità chiede all'Aeronautica di mantenere in in- cessante attività una parte consistente dei propri mezzi, ed in costante esercizio gli equipaggi destinati ad impiegarli. Dobbiamo condividere questa consapevolezza con i cittadini per spiegare i danni anche gravissimi che l'assenza di un adeguato so- stegno può comportare per la sicurezza del nostro Paese. Le onorificenze che oggi consegniamo alla Bandiera di Guerra del 41° Stormo di Sigonella e alla Bandiera d'Istituto del Poligono Interforze di Salto di Quirra vo- gliono essere oggi un segno di questa attenzione e allo stesso tempo l'espressione dell'apprezzamento delle Istituzioni verso tutta l'Aeronautica Militare. Entrambi i reparti sono il chiaro esempio di quali risultati si possano ottenere dal lavoro congiunto del personale di diverse Forze Armate e dalla capacità dell'Aero- nautica Militare di favorirne l'integrazione e la sinergia. L'attività del 41° Stormo, nell'alveo delle sue gloriose tradizioni, è quotidiana- mente rivolta a fare del Mediterraneo un mare sicuro, a difenderlo come collega- mento prezioso tra i popoli che vivono sulle sue sponde. La professionalità e lo spirito di sacrificio dei suoi equipaggi hanno reso possibile il salvataggio di innumerevoli profughi e naufraghi, contribuendo a rafforzare la fi- ducia nelle Istituzioni. Ed alla nostra sicurezza collettiva è finalizzata anche l'attività del Poligono Inter- forze di Salto di Quirra, ove vengono svolte importanti attività di studio e di specia- lizzazione tecnica di sistemi d’arma anche in collaborazione con l’Industria aerospa- ziale nazionale. Nei suoi cinquantuno anni di attività, il Comando del Poligono ha saputo affian-

136 Discorsi e indirizzi di saluto

care alla sua attività d'istituto un'encomiabile opera di soccorso alle persone in peri- colo e di spegnimento degli incendi, che troppo spesso devastano il territorio sardo.

Signor Presidente,

mentre salutiamo l'Aeronautica Militare, gli uomini e le donne che ne fanno parte ci inchiniamo oggi al ricordo dei Caduti della Forza Armata, ai Caduti in ogni occa- sione di pace e di guerra. Con particolare intensità ci volgiamo oggi ai nostri Caduti più recenti, a quelli pe- riti nelle missioni internazionali ed in attività addestrative, così come nelle opera- zioni di natura civile, fra le quali quelle di spegnimento degli incendi boschivi. Fra poco, consegneremo la Medaglia d'Oro al Merito Civile ai 4 membri dell'equi- paggio di "Lupo 84", caduto in Toscana venticinque anni fa, mentre manovrava per dare massima efficacia allo sgancio di liquido ritardante sopra un violento incendio. Vogliamo ricordarli uno per uno:

• il Tenente Colonnello Domenico Fanton; • il Capitano Maurizio Motroni; • il Maresciallo Furio Colaiacomo; • il Sergente Maggiore Alessandro Cosimi.

Noi non dimentichiamo questi uomini coraggiosi. Anche se il loro sacrifico non è forse associato alla stessa immagine epica di chi cade in combattimento, non per questo esso è meno ricco di consapevolezza e meno segnato dal dramma. Ai loro familiari voglio rivolgere a nome di tutti un abbraccio corale e sincero, un abbraccio che sa che gli anni trascorsi non sono sufficienti a lenire il dolore.

Signor Presidente,

l'Italia è orgogliosa della sua Aeronautica Militare. È orgogliosa del coraggio, del valore ma soprattutto della lealtà dei suoi uomini e delle sue donne. Per molti anni, troppi anni, la tragica dolorosa vicenda di Ustica e la doverosa ri- cerca della verità e delle responsabilità è stata per alcuni occasione per cercare di frapporre un velo di diffidenza fra l'Aeronautica Militare e l'opinione pubblica. Oggi, finalmente, la pronuncia definitiva della Magistratura ci consente di dire che ogni rischio è superato. Voglio ricordare che il Governo propose, nemmeno un anno fa, un ricorso in Cas- sazione avverso alla prima sentenza, pronunciata nell'aprile del 2006, e, essendo un ricordo recente, ricordo anche gli interrogativi e l'amarezza.

137 Due anni al Ministero della Difesa

Si intendeva in tal modo sollecitare, anche a garanzia degli stessi interessati, una piena e definitiva pronuncia della Corte in ordine all'assoluta estraneità dei soggetti coinvolti ai fatti loro addebitati, pronuncia che potesse anche dare completa e cor- retta interpretazione del nuovo testo delle norme penali poste a tutela dello Stato e delle sue Istituzioni. Una iniziativa, quindi, guidata dalla piena fiducia nelle Istituzioni: dalla fiducia nella Magistratura, dalla fiducia nella Aeronautica. Ebbene, la definitiva pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, proscio- gliendo da ogni accusa gli appartenenti all'Aeronautica Militare, riconferma oggi a voce alta difronte al Paese la piena lealtà dell'Istituzione e dei suoi uomini. In tutti questi anni, gli uomini dell'Aeronautica, pur sottoposti ad accuse gravis- sime ed ingiuste, hanno saputo mantenere una dignità ed un rispetto per le Istitu- zioni assolutamente esemplari. Questo non ci meraviglia, perché sappiamo che le virtù militari possono essere chiamate, talvolta, ad esprimere la loro militarità in circostanze molto differenti da quelle che siamo abituati a considerare connaturate al ruolo degli appartenenti alle Forze Armate. Come Socrate ci ha insegnato una volta per sempre, l’appartenenza alla Patria e la fedeltà alla Repubblica possono chiederci talvolta anche l'amarezza di un lungo pro- cesso, mantenendo la serenità e la fiducia nelle Istituzioni. Di questa fiducia, di questa serenità, di questa fedeltà io voglio rendere oggi pub- blico riconoscimento. Queste virtù permeano tutta l'Aeronautica Militare italiana. A 84 anni dalla sua istituzione, l'Aeronautica è più forte che mai, per le sue tradi- zioni, l'esempio di valore ed abnegazione, la lealtà cristallina con cui serve le Istitu- zioni e l'Italia tutta. E anche guidato da tali sentimenti desidero dichiarare con voi:

Viva l'Aeronautica Militare italiana! Viva l'Italia!

138 Discorsi e indirizzi di saluto

Giuramento degli Allievi dell'Accademia Aeronautica Pozzuoli (NA), 4 aprile 2007

Signor Presidente della Commissione Difesa del Senato, Ammiraglio Di Paola, Generale Camporini, Autorità, Signore e Signori,

assieme ad un saluto a tutti voi, consentitemi di rivolgere, a nome del Governo, un augurio e un ringraziamento. L'augurio, un augurio sincero e caloroso, va naturalmente innanzitutto a quelli che sono i protagonisti di questa giornata: a voi Allievi del corso "Grifo V" che pronun- ciando le solenni parole del giuramento entrate oggi a pieno titolo nelle Forze Armate. Il ringraziamento, mio e del Governo, va alle famiglie degli Allievi che sono qua presenti. Un ringraziamento affettuoso e riconoscente. Noi sappiamo che è la vostra educazione, il vostro esempio che ha saputo guidarli fino alla soglia di questo Istituto. Voi come noi sapete che i vostri ragazzi sono avviati lungo un percorso, irto di ostacoli, ma sapete anche che è un cammino entusiasmante che li conduce ad una professione non comune. Chi è genitore sa quanto possa essere inquieto il momento del distacco dai propri figli. Ma siamo altrettanto certi di quanto sia importante questo momento per il loro futuro. Saluto il Comandante dell'Accademia, Generale Marsiglia, il corpo insegnante ed il personale tutto che qui lavora: grazie al loro impegno, l'Accademia è conosciuta nel mondo intero per l'efficacia dei suoi corsi, per la sua capacità di formare Uffi- ciali di altissimo profilo. La mia presenza a questo giuramento è motivata dal profondo significato simbo- lico di una cerimonia come questa: oggi una nuova leva di cittadini ha scelto di de- dicare la propria vita al servizio della cosa pubblica, al servizio della Repubblica. Come Ministro della Difesa sono qua a testimoniare che il ministero, il servizio al quale io sono stato chiamato è lo stesso che oggi ha scelto ognuno dei 63 Allievi che sono a me difronte. E, mentre penso al vostro servizio che mi accomuna a voi nel ministero, sento il bisogno di rivolgere il mio pensiero a Beniamino Andreatta, mio amico carissimo,

139 Due anni al Ministero della Difesa

maestro e predecessore lungimirante, che proprio mentre siamo qua riuniti viene commemorato alla Camera nel ricordo di una vita spesa al servizio della Repubblica.

Cari Allievi, care Allieve,

come tutti i riti, il rito che oggi celebriamo è una casa che costruiamo per i nostri sentimenti, una casa dove poter tornare nel tempo con la memoria e col cuore. Il giuramento vuole significare la nostra determinazione a metterci al servizio della pace, non semplicemente a vivere in pace, a goderci la pace, ma a custodire la pace, a custodirla attivamente in armi, a fare in modo che gli altri possano vivere in pace mettendo la loro pace al riparo da ogni insidia che possa turbare la sicurezza comune. L'involo dell'orifiamma, che libra ora i vostri nomi in cielo, vuole segnare il campo nel quale il vostro servizio è chiamato a svolgersi. Intraprendendo la carriera nell'Aeronautica Militare, siete stati certamente mossi dalla passione per il volo, per la tecnologia, per l'innovazione. Ma in questi primi anni voi sarete messi alla prova, con severità, anche nella vostra attitudine allo studio e nell'esercizio di tutte le virtù che sono richieste ad un citta- dino in divisa: e già lo avete sperimentato in questi primi, irripetibili mesi di Acca- demia, il cui ricordo vi accompagnerà tutta la vita. Approfittate di questo tempo per mettere le basi di quel bagaglio di valori e di co- noscenze che vi permetterà di affrontare la vita futura di Ufficiali, Comandanti e Dirigenti, e di far fronte alle attese che l'Italia, gli Italiani e le Forze Armate ripon- gono in voi. Respirate la storia che è affidata a queste mura e a questa Istituzione. Una storia già lunga e prestigiosa che nei suoi continui mutamenti rappresenta allo stesso tempo la novità, la crescita e la continuità di tutta la Forza Armata. I primi anni a Livorno, quasi in contemporanea della costituzione dell'Aeronau- tica nel 1923. Il trasferimento a Caserta, nella Reggia borbonica del Vanvitelli, la culla degli avia- tori che presero parte al secondo conflitto mondiale. Poi, dopo i concitati anni di Forlì e di Brindisi, di nuovo come sfondo questo indi- menticabile mare, prima a Nisida e poi finalmente a Pozzuoli. Cinque trasferimenti e tuttavia, grazie alla continuità nell'azione di formazione, anche nei momenti più difficili della nostra storia, è un solo filo quello che lega in- dissolubilmente gli aviatori di tutte le epoche. Il testimone di questa storia, di questa interminabile staffetta passa oggi a voi Al- lievi del corso “Grifo V”, l'83° corso a partire da quel lontano novembre del 1923. Come tutti gli altri, anche questo corso è contraddistinto da un nome che richiama un uccello, oppure un simbolo mitologico, un vento o una costellazione. Il Grifo della mitologia unisce il coraggio e la forza del leone all'astuzia e alla vigi- lanza dell'aquila.

140 Discorsi e indirizzi di saluto

In natura, il Grifone, che si pensava in via di estinzione, segna invece i cieli delle nostre regioni più belle. Penso alla mia terra di Sardegna. Fate anche voi vostre queste virtù: il coraggio del leone, la vigilanza dell'aquila. Sorprendete chi vi dava, chi ci dava in via di estinzione. E apprendete innanzitutto la lezione di quanti, sotto il segno del Grifo, vi hanno preceduto. Gli Allievi del primo corso "Grifo", condotto fra il 1929 ed il 1933, che volarono sui primi velivoli della Breda. Quelli del Grifo II, che nel dopoguerra pilotarono le migliori macchine a pistoni mai realizzate, come i Macchi 205 ed i P-51 Mustang. Fra di loro, c'era il Generale Franco Pisano, che fu tra il 1986 e il 90 Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, che oggi è il Padrino del Grifo V, e c'era il Generale Siro Casagrande, che è qui oggi e che saluto. E poi gli Allievi del Grifo III che, ai comandi degli F-104, dei G-222, degli Her- cules e degli Atlantic, hanno difeso i cieli ed i mari dell'Italia durante i lunghi anni della guerra fredda, ed hanno portato il Tricolore negli angoli più remoti della Terra, in missioni di trasporto spesso condotte in estreme condizioni ambientali. E infine gli equipaggi di volo formatisi con il corso Grifo IV che, operando fra l'altro con i Tornado e gli AM-X, hanno preso parte a pericolose operazioni, resesi necessarie per ristabilire la pace e la legalità internazionali. Come vedete i tempi cambiano, cambia il contesto geopolitico, cambiano i mezzi. Ma la missione della Aeronautica resta la stessa. Difendere il territorio nazionale dalle minacce portate dalla terza dimensione e dare supporto alle Forze terrestri e navali, in ogni contesto d'impiego. Voi, Allieve ed Allievi del Grifo V, siete destinati a operare nell'Aeronautica del XXI secolo. Utilizzerete velivoli modernissimi, governerete sistemi satellitari ed apparecchi non abitati. Dovrete mettere a frutto le nozioni tecniche che qui avrete appreso, ma soprat- tutto dovrete fare affidamento sui principi etici che permeano l'insegnamento di questa Accademia. A condurvi verso le scelte giuste, nei momenti più difficili che dovrete superare, e ce ne saranno, sarà infatti soprattutto la solidità dei vostri valori. Io sono certo che saprete dimostrarvi sempre all'altezza delle aspettative degli ita- liani e del Paese e che farete onore alle tradizioni di valore e di amore di Patria di quanti vi hanno preceduto. A voi dico: buona fortuna! E con voi grido:

Viva l'Aeronautica Militare! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

141 Due anni al Ministero della Difesa

Inaugurazione del monumento ai Caduti Stintino (SS), 7 aprile 2007

Autorità, Cittadini di Stintino,

è con vivo piacere che ho accolto l'invito a partecipare alla cerimonia di oggi: alla cerimonia che Stintino ha voluto dedicare agli stintinesi caduti nell'adempimento del dovere: cittadini che per l'età in cui sono caduti dobbiamo considerare nostri figli e per l'anno in cui ci hanno lasciato possiamo considerare nostri padri. Nel lungo elenco di eventi ufficiali che richiedono la partecipazione del Ministro della Difesa, quella di oggi non è una "cerimonia minore". Essa è, al contrario, una celebrazione di alto valore simbolico, perché vuole signifi- care il legame profondo dei cittadini di oggi con i loro concittadini degli anni e dei decenni passati. È la prima volta nel corso del mio mandato, un mandato che si appresta a cele- brare il suo primo anniversario, che prendo parte ad una cerimonia come questa. Una cerimonia nella quale una comunità celebra i suoi morti. Come ha detto giustamente il Sindaco, Lorenzo Diana, i Caduti in armi sono parte importante della storia della comunità. I Caduti, i Caduti in armi, quelli che noi oggi ricordiamo, non sono infatti semplicemente i nostri morti. Essi non sono solo i morti, i nostri cari, ai quali ognuno di noi va continuamente con la memoria e col cuore nel corso delle giornate per riannodare il filo della iden- tità specifica di ognuno di noi, per riascoltare la voce che ha guidato i nostri passi di bambino e per rispondere alla domanda su chi ognuno sia. Ai nostri morti ritorniamo tutti assieme quando il 2 novembre ricordiamo con- temporaneamente chi su questa terra ci ha preceduto. I morti che oggi ricordiamo sono anch'essi morti come tutti gli altri che appartengono a questa o a quella fami- glia di questa comunità e immagino dai loro stessi cognomi che alcuni di voi li ri- cordino e li piangano ora come suoi. Ma i morti che oggi commemoriamo hanno una particolarità unica. Essi sono morti di tutti, morti di tutti perchè morti per tutti, morti in nome di tutti. Nella memoria di una comunità, i Caduti rappresentano una parte che quantitati- vamente possiamo considerare piccola, una parte che col tempo, grazie agli anni di

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pace che anche il loro sacrificio ci ha lasciato in eredità, è destinata a diventare sempre più piccola. Altre morti sono nella comunità associate nella memoria a vite altrettanto e spesso più ricche di quelle dei ragazzi che oggi riportiamo con l'aiuto di questa pietra al no- stro cuore. Ma solo per i Caduti o, almeno, soprattutto per i Caduti in guerra, possiamo dire che essi si sono sacrificati e sono stati sacrificati per il bene della comunità conside- rata nel suo insieme, per il bene della comunità come parte di una comunità più grande, per il bene della cosa pubblica che con un nome antico chiamiamo da ses- santa anni Repubblica. È perciò comprensibile, giusto e doveroso che la comunità di Stintino, che si ap- presta a celebrare il primo ventennale della sua costituzione in comune autonomo, cerchi nella loro memoria il suo fondamento e faccia propria la responsabilità della loro morte. Ricordandoli sulla pietra, Stintino dice: Questi morti sono morti per noi. Lo dice come un monito e come un memento. “Ricordati!” Essi sono morti per la Patria, morti per la Repubblica, indivisibile e allo stesso tempo articolata in comunità regionali e in comunità comunali tra loro distinte, come sono appunto la Sardegna e Stintino. Anche se morti in mari e terre lontane essi sono morti per Stintino ricordando con la loro morte che Stintino è parte di una storia più grande e allo stesso tempo affermando che quella storia più grande è grande solo se non dimentica che è storia di tutti, se è vis- suta come storia di ognuno. Così come può dirsi grande la storia di ognuno e di ogni comunità solo se sfugge alla tentazione di pensarsi come un'isola isolata e si fa invece guidare dalla consapevolezza della sua appartenenza alla storia di tutti. Lo dico pensando al passato e pensando anche al presente. Ai Caduti di ieri e ai militari che oggi partecipano alle missioni internazionali patrocinate in difesa della pace dall'Onu in tante parti del mondo, su mandato della Repubblica e in nome dell'Italia. E tra essi pensiamo oggi ai Sardi che a questo servizio si sono votati con l'Italia e la Sardegna nel cuore, e a loro inviamo alla vigilia di Pasqua il nostro riconoscente sa- luto e il nostro augurio. Come in altre circostanze, in cui abbiamo ricordato il sacrificio dei nostri militari caduti nelle più recenti missioni fuori area, consentitemi di richiamare alla memoria - uno per uno, con il proprio nome - i Caduti che oggi ricordiamo:

• Marò Cannoniere Agostino Zirulia, caduto il 25 settembre 1915, nel corso del 1° conflitto mondiale; • Fante Giacomo Valle, caduto in trincea il 20 gennaio 1916;

143 Due anni al Ministero della Difesa

• Fante Agostino Maddau, caduto il 24 maggio 1917; • Fante Silvestro Maddau, caduto il 12 giugno 1917; • Fante Pasquale Barbino, caduto il 17 novembre 1917; • Fante Nicolino Maddau, caduto il 10 ottobre 1918; • Fante Salvatore Angelo Scano, caduto il 24 ottobre 1918; • Fante Domenico Benenati, caduto il 30 dicembre 1918; • Sergente Pilota Natalino Clericetti, caduto con il proprio velivolo il 3 ottobre 1924; • Marò Giacomo Schiaffino, caduto il 25 febbraio 1941 a bordo della Nave Ar- mando Diaz; • Sottocapo Cannoniere Carlo Gianotti, caduto lo stesso giorno durante un com- battimento nel Mare Egeo; • Marò telegrafista marconista Aniello Bosco, caduto il 29 marzo 1941 nell'affonda- mento di Nave Zara; • Marò Antonio Denegri, caduto il 16 aprile 1941; • Marò Luigi Maddau, caduto il 22 agosto 1942; • Marò Vincenzo e Marò Isidoro Balzano, periti per incidente di guerra il 16 set- tembre 1942; • Marò Giuseppino Denegri, caduto in combattimento il 16 aprile 1943 su Nave Cassiopea; • Marò Mario Mura, caduto il 9 maggio 1944 a Pola, durante un'azione di smina- mento; • Fante Mario Denegri, deceduto il 10 maggio 1944; • Maresciallo Maggiore dei Carabinieri Giuseppe Diana, morto il 23 maggio 1944 durante un bombardamento; • Fante Gavino Zirulia, caduto il 3 gennaio 1946; • Fante Giovanni Marini, caduto il 13 gennaio 1946; • Fante Antonio Schiaffino, deceduto per pleurite mentre prestava servizio come Guardia sanitaria all'Asinara, il 30 novembre 1948.

Ed ancora i Fanti Pietro Diana, Gianuario Gadau, Gianuario Zirulia ed il Marò Grimaldo Mura, tutti caduti in un momento non precisato, nel corso del secondo conflitto mondiale. Infine, il Caduto in servizio più recente, l'Aviere Salvatore Pippia, che ha perduto la vita il 9 settembre del 1979. Bastano i loro nomi a riportarci alla mente la lunga storia della comunità d'Isthin- tinu, da quel lontano 1885 quando le 45 famiglie che l'hanno fondata si trasferi- rono dalla vicina Asinara. Bastano i loro cognomi a ricordarci l’appartenenza al popolo delle coste italiane nel quale liguri, sardi e italiani di molte provenienze hanno mescolato le loro storie all'interno della geografia antichissima del mare nostrum.

144 Discorsi e indirizzi di saluto

Fanti, Marinai, Aviatori, Carabinieri.

Anche in una piccola comunità si rispecchia la varietà delle vocazioni che fanno grandi le nostre Forze Armate. Ma soprattutto è alla quantità che è affidata la misura del contributo dato da Stin- tino alla Patria. 8 Caduti su 350 abitanti durante la prima guerra mondiale, 17 su 450 durante la seconda. Basta questo a dare l'idea del prezzo pagato da una comunità così piccola. Perdite che comparate alla Italia di oggi sarebbero misurate in milioni. 28 Uomini, 28 storie. Nomi ancora presenti nella memoria. Volti, forse, appannati dal tempo trascorso, che non ha potuto però cancellare il dolore di chi è rimasto. 28 persone. 28 vite spese per la comunità. Solo pochi giorni orsono ho avuto il privilegio di assistere in anteprima alla proie- zione di un documentario storico, relativo alla tragica vicenda della corazzata Roma. Di quella vicenda, dell'affondamento della più grande e più bella nave della nostra flotta, il 9 settembre 1943, alcuni fra i presenti sanno probabilmente molte cose. Tanti altri, soprattutto i più giovani, temo che non abbiano idea di cosa sia suc- cesso quel tragico giorno, proprio in questo mare, nel Golfo dell'Asinara. Ciò che più mi ha colpito, nel documentario, sono state le testimonianze dei so- pravvissuti. Uomini ormai più che ottantenni, ma che ricordano con assoluta lucidità quei momenti terribili, talvolta con il viso rigato dalle lacrime, tanto è viva la memoria. Anche quella è una serie di volti, di storie individuali, ciascuna narrata con un dia- letto particolare, per la varia provenienza dell'equipaggio di una nave militare. Ma pur narrata in tanti modi diversi, la storia è sempre la stessa, fatta di coraggio, di orgoglio, di senso del dovere, di paura per la propria sorte e di rabbia per non poter fare di più per i propri compagni. Sono le stesse emozioni che hanno vissuto i 28 Stintinesi che oggi ricordiamo. Anche loro, ciascuno in una circostanza differente, ciascuno con compagni diversi, anch'essi provenienti da tutte le regioni d'Italia, hanno servito la Patria con onore e nell'esercizio delle loro funzioni hanno perduto la vita. Oggi li ricordiamo. Oggi diciamo loro grazie, per come sono vissuti e per quello che hanno fatto per noi. Grazie.

145 Due anni al Ministero della Difesa

Udienza al Quirinale delle Associazioni combattentistiche e d’Arma Roma, 24 aprile 2007

Signor Presidente della Repubblica,

a nome del Governo, vorrei esprimere a Lei, rappresentante dell’unità nazionale, un sentimento di profonda gratitudine per la Sua attenzione, costante e affettuosa, verso chi ha dedicato la propria vita alla Patria. Saluto tutti i Presidenti delle Associazioni e, in particolare, il Generale Calamani ed il Senatore Agostini, rappresentanti di quella nobile famiglia dell’associazionismo militare, erede delle nostre più gloriose memorie e custode delle tradizioni che fanno la grandezza della vita militare. L’incontro di oggi ci permette di riflettere sul significato profondo e perciò simbo- lico delle Associazioni. Le Associazioni combattentistiche sono espressione della tradizione e custodi del patrimonio storico delle prove affrontate dalla nostra Nazione. Svolgono un’insostituibile funzione di testimonianza del passato. Tramandano alle future generazioni le esperienze, talvolta drammatiche, vissute dai singoli, quale rap- presentazione del più grande dramma sofferto dall’intera Nazione nel corso delle ul- time guerre. Le Associazioni combattentistiche e partigiane, anche al fine di poter disporre di un unico foro ove dibattere e programmare le proprie attività, hanno dato vita ad un'unica Confederazione. Le Associazioni d’Arma sono la consolidata espressione della continuità ideale tra i militari in servizio e quelli in congedo. Questo fenomeno associazionistico si è sviluppato essenzialmente dopo la Grande Guerra, epoca in cui assunse una vastissima dimensione proprio per la partecipa- zione corale di tutta la Nazione al conflitto. Anche dopo le drammatiche ed alterne vicende della seconda guerra mondiale, le Associazioni d’Arma hanno rappresentato un validissimo collegamento fra le Forze Armate e i cittadini. È un compito che esse svolgono egregiamente anche oggi. Mantengono vivo e vitale il rapporto tra cittadini in armi e coloro che non lo

146 Discorsi e indirizzi di saluto

sono, stimolando l’interesse per il mondo militare e svolgendo tra l’altro un’impor- tante funzione di informazione. Anche le Associazioni d’Arma hanno costituito un Organismo comune, il Consi- glio Nazionale Permanente delle Associazioni d’Arma, denominato ASSOARMA, per dare maggiore coesione e forma compiuta alle loro attività. ASSOARMA, come ricordato dal Generale Calamani, riunisce più di un milione di iscritti, anche fra coloro i quali risiedono all’estero.

Signor Presidente,

l’annuale udienza dei responsabili del mondo dell’associazionismo si tiene in oc- casione della ricorrenza del 25 aprile, quando l’insurrezione delle città dell’alta Italia segnò il definitivo tracollo del fascismo e dell’occupazione nazista. La democrazia, la libertà, la tolleranza, la partecipazione di massa alla vita poli- tica, la fine di ogni anacronistico privilegio. Questi i valori che poterono affermarsi dopo il 1945, e che oggi vogliamo ricor- dare, rinnovando la gratitudine dell’Italia intera a chi sopportò, soffrì, cadde in quei mesi di durissima lotta. Ricordiamo gli eventi di allora senza odio. Fermi, però, nel ricordo degli orrori, delle torture, delle rappresaglie, delle de- portazioni razziali; perché il perdono e la pietà non possono cancellare la me- moria. Le Forze Armate guardano con orgoglio alle gesta dei combattenti di allora. Domani, dopo la cerimonia all’Altare della Patria, andremo a Cefalonia, per ri- cordare i Caduti della Divisione “Acqui”: testimoni di quelli che furono i senti- menti dei nostri combattenti, decisi a riscattare l’abisso della sconfitta e della in- naturale intesa con il Reich nazista, ormai radicalmente inviso alla grande mag- gioranza del nostro popolo. A soli tre mesi dal fatidico 8 settembre, l’Italia si dimostrò tuttavia in grado di schierare, con successo, reparti combattenti a fianco degli Alleati. Montelungo fu, così, l’inizio di un percorso che giungerà fino alla liberazione di Ancona, Bologna, Cremona ad opera delle forze regolari. Un percorso che vide via via convergere nel solco della nuova Italia i gruppi par- tigiani delle aree liberate. Ed è doveroso ricordare l’ampiezza e l’efficacia operativa raggiunta dalle forze partigiane, in grado di imporre ai nazisti accordi di tregua per intere aree, come nel caso della Val d’Ossola, o addirittura la resa, come nella città di Genova. A distanza di oltre sessanta anni, penso sia maturo il momento di corrispondere alla domanda, proveniente da più parti ed oggi rappresentata dal Generale Cala- mani, di un riconoscimento formale a tutti coloro che hanno servito con onore la Patria, nel corso del secondo conflitto mondiale.

147 Due anni al Ministero della Difesa

Signor Presidente della Repubblica,

la data della Liberazione coincide con l’epilogo del secondo conflitto mondiale ed è, per l’Italia, non solo la tappa conclusiva del riscatto nazionale, ma il punto di par- tenza di un tempo nuovo. Il nostro Paese era devastato moralmente e materialmente, come è giusto ricordare in queste circostanze. La violenza del nazifascismo aveva chiesto l’uso di una risposta armata, con l’inevi- tabile teorema di lutti e ombre che la guerra porta sempre con sé. È qui, infatti, è in questa consapevolezza, Signor Presidente, che trova le sue radici morali l’articolo 11 della nostra Costituzione: una testimonianza di civiltà politica di un popolo che ac- cetta ma limita il ricorso alla forza legittima, conoscendo il prezzo che bisogna pa- gare anche quando le circostanze obbligano a combattere. Ad una “guerra giusta”, perché tali furono la Resistenza partigiana e il cammino della Liberazione a fianco degli Alleati, è seguita un’operosa e feconda pacificazione. Tutte le componenti politiche protagoniste della lotta antifascista si ritrovarono nella Repubblica e nella Costituzione, partecipando – anche con un sentire diverso – alla vita democratica di questo nostro Paese che veramente apriva un’epoca nuova.

Signor Presidente,

la vita politica acquisì, con la Liberazione, la sua sostanza di partecipazione attiva alla res publica, una partecipazione senza più distinzione alcuna. Questa Repubblica, la nostra Repubblica, si è rafforzata e consolidata fra le tante vicissitudini del secolo appena passato, costituendo un saldo tassello della nuova Eu- ropa nata dalle ceneri dell’ultimo totalitarismo. In questo contesto, segnato da cambiamenti così significativi, si collocano le Asso- ciazioni d’Arma, con il loro retaggio di tradizioni e memorie, con le loro articola- zioni nella società civile, con i loro proponimenti e le loro speranze. Sono convinto che l’Associazionismo militare abbia tutte le qualità per rappresen- tare, oltre che una forma di aggregazione forte, un solido anello di congiunzione fra la società civile ed il mondo militare. Le Associazioni posseggono motivazioni ed esperienze capaci di coinvolgere i gio- vani attraverso la testimonianza delle virtù militari. Le Istituzioni della Repubblica contano sulla loro partecipazione, e di questa le ringraziano.

148 Discorsi e indirizzi di saluto

62° anniversario della Liberazione Roma, 25 aprile 2007

Signor Presidente,

sessantadue anni orsono, giungeva vittoriosamente a termine la lotta contro il na- zifascismo. Una lotta iniziata nel settembre del ‘43, in uno dei momenti più tragici della no- stra storia. Gli effetti delle sconsiderate decisioni della dittatura fascista erano venuti al pet- tine. E impossibile era sfuggire al duro destino che incombeva sulla nostra Patria, ormai divenuta campo di battaglia del più grande conflitto della storia. Eppure, quando tutto sembrava perduto, le nostre tradizioni e perfino la nostra identità na- zionale, proprio allora, nel momento più buio della notte, iniziò il faticoso cam- mino del riscatto. A Cefalonia, fra poche ore, Signor Presidente, ricorderemo i Caduti della Divi- sione “Acqui”, testimoni dei sentimenti dei nostri combattenti nei tragici giorni di incertezza seguiti all’armistizio. Il giuramento di fedeltà alla Patria prevalse su ogni altra motivazione. L’adesione incondizionata all’etica della fedeltà alle Istituzioni rappresentò il cardine dell’iden- tità di soldato e dell’onore militare. Accanto ad essa, la scelta di resistere si alimentò di un altro sentimento: la difesa intransigente della propria dignità di Uomo. Nei campi di concentramento della Germania e della Polonia, dove il ricatto bru- tale della fame, delle violenze e delle minacce rendeva ancor più difficile e significa- tiva la scelta, in nome degli stessi sentimenti di onore di soldato e dignità di Uomo, centinaia di migliaia di Italiani preferirono la prigionia nazista all’adesione alla Re- pubblica Sociale e alla collaborazione col Terzo Reich. Fu sfida aperta alla coercizione. Il prigioniero, quegli che altri aveva pensato come uno “schiavo”, affermava la sua superiorità morale su chi si pretendeva suo padrone, reagendo all’umiliazione e all’espropriazione della propria dignità di Uomo. A Cefalonia, in un contesto persino più tragico, il medesimo impulso alimentò la resistenza e il rifiuto di obbedire al comando, troppo umiliante, della resa delle armi.

149 Due anni al Ministero della Difesa

In quegli stessi giorni, a Porta San Paolo, si concludeva la sfortunata resistenza di Forze Armate e popolo in difesa della Capitale d’Italia. Una sconfitta e allo stesso tempo una vittoria. Una testimonianza di amor di Pa- tria, come fu pure l’affondamento della corazzata Roma. Contro ogni aspettativa, le nostre Forze Armate, pur piegate dai lunghi anni di guerra, aprirono così il cammino del riscatto nazionale. Nello stesso tempo, le formazioni partigiane trovavano nei soldati che combatte- vano in nome dell’Italia il loro riferimento militare. Tutti uniti nella consapevolezza di un dovere da compiere, un dovere da compiere per la causa della Patria. Ci inchiniamo ora al ricordo dei combattenti di allora, dei Caduti, dei martiri e ri- percorriamo il cammino che, da allora, ci ha condotto fin qui, guidati dal comune impegno per la democrazia e dalla consapevolezza della necessità della libertà. È con questi sentimenti, signor Presidente, che le Forze Armate rinnovano il giura- mento di fedeltà alle nostre libere Istituzioni ed il proponimento di adempiere, con onore, ad ogni impegno che serva la pace. Perché anche altri popoli possano ritro- vare la via della concordia e della giustizia. Grazie, Signor Presidente.

150 Discorsi e indirizzi di saluto

146° anniversario della costituzione dell'Esercito Italiano Roma, 4 maggio 2007

Signor Presidente,

a Lei innanzitutto il saluto del Governo e il ringraziamento più vivo per l'atten- zione che dedica costantemente alle Forze Armate, e che oggi con la Sua presenza te- stimonia ancora una volta. L'Esercito Italiano celebra oggi il 146° anniversario della sua costituzione. Era infatti il 4 maggio del 1861, quando Manfredo Fanti, allora Ministro della Guerra, decretò lo scioglimento dell'Armata Sarda e la costituzione dell'Esercito Ita- liano, allora Regio Esercito. Con quell'atto, si chiudeva un’epoca eroica e si apriva una nuova pagina: una pa- gina scritta soprattutto dal valore, dall'eroismo dei milioni di Italiani che hanno ser- vito la Patria nelle file dell'Esercito. La Grande Guerra, quella che fu l’ultima Guerra d'Indipendenza, sancì in modo definitivo la straordinaria compenetrazione fra Esercito e popolo. Nell'immane tragedia di quel conflitto, gli Italiani appresero e sperimentarono la comune identità. Nel grigioverde, la divisa dell'Esercito, indossata da milioni di nostri connazionali, essi individuarono un emblema, il simbolo dei valori di unità ed indipendenza del nostro Paese. Lungo quel solco bagnato di sangue, la violenza del secondo conflitto mondiale, la durezza della Resistenza e della Guerra di Liberazione, rafforzarono poi attraverso prove drammatiche, che abbiamo celebrato appena qualche giorno fa, l'identità pro- fonda fra gli Italiani ed il loro Esercito. Così è stato, anche nei sei decenni che ci dividono ormai da quel 1946, dal giura- mento prestato alla Repubblica. In tutti questi anni l'Esercito Italiano è rimasto il più solido dei baluardi: un ba- luardo che ha protetto l'integrità nazionale, le nostre frontiere e allo stesso tempo l'indipendenza delle Istituzioni repubblicane. Nei lunghi anni della guerra fredda, l'Esercito ha adempiuto al più difficile degli impegni: preservare la pace, tenendosi pronto alla guerra.

151 Due anni al Ministero della Difesa

Oggi quel periodo è alle nostre spalle. Oggi iniziamo a perdere la memoria di cosa abbia comportato l'esercizio della deterrenza; a perdere memoria di quanto im- pegno e sacrificio abbia richiesto, alle generazioni di giovani Italiani che si sono av- vicendati nelle file dell'Esercito, il predisporsi fisicamente e culturalmente a difen- dere la nostra Repubblica, talvolta con una consapevolezza inadeguata. Anche quegli uomini dobbiamo ringraziare se la guerra fredda è infine terminata. Non sono finiti, però, gli impegni per l'Esercito. In adempimento del dettato costituzionale, alla vigilanza per la salvaguardia del territorio nazionale e delle libere Istituzioni, si è infatti da tempo associato l'im- pegno per il mantenimento della pace attraverso missioni internazionali, che ci hanno condotto a spenderci per la sicurezza di tutti, in Teatri prossimi e in Teatri re- moti. In Africa, in Medio Oriente, nei Balcani, in Estremo Oriente e fin nel cuore del Continente eurasiatico, gli uomini e le donne dell'Esercito hanno tenuto alta la Bandiera dell'Italia, tengono alta la Bandiera dell’Italia. Uomini e donne perché, dopo una lunga attesa, anche le donne italiane, che già avevano dato prova del loro valore e della loro passione per la libertà durante la Guerra di Liberazione, possono ora prestare servizio nelle Forze Armate. In questi ultimi anni, la trasformazione dello scenario strategico ed il conseguente ri-orientamento dell'Esercito ha coinciso poi con il cambiamento rappresentato dalla sospensione della leva obbligatoria. Da sempre l'Esercito si era basato su un flusso ininterrotto di coscritti che, sca- glione dopo scaglione, si erano passati il testimone, scrivendo una parte importante della nostra vicenda nazionale, alla quale è tempo che venga dedicata una riflessione adeguata. La sospensione della leva non significa, non deve in alcun modo comportare il venir meno dell'ideale unità fra popolo ed Esercito. Anche il reclutamento di volontari deve avere come obiettivo quello di rinnovare, ad ogni giuramento, il patto solenne che lega il popolo italiano alla Repubblica, pro- ponendosi di raggiungere e coinvolgere tutti i settori della società italiana. Ma oggi, Signor Presidente, celebrando i 146 anni dalla costituzione dell'Esercito, abbiamo anche il dovere di guardare al futuro, perché è nel futuro che vivranno ed opereranno i militari che oggi ci ascoltano. Sarà un futuro pieno di impegni, per tutti noi ma soprattutto per i nostri militari. Siamo serenamente consapevoli che la pace si difenda mediante un esercizio attivo della vigilanza ed un uso intelligente degli strumenti della politica. Sappiamo tuttavia anche quanto negli ultimi anni sia stato importante poter pro- iettare stabilità e sicurezza nelle aree più critiche del nostro mondo. In questo, l'Esercito si è dimostrato uno strumento straordinariamente duttile e reattivo, capace di adattarsi prontamente a scenari d'impiego quanto mai difficili e vari.

152 Discorsi e indirizzi di saluto

Uno strumento che ha saputo fornire prestazioni operative che hanno suscitato e suscitano il rispetto dei nostri alleati e la riconoscenza sincera delle popolazioni. Ma noi sappiamo che quello che nel linguaggio tecnico viene chiamato lo stru- mento militare è fatto innanzitutto di persone. Sono queste persone al centro della nostra preoccupazione. Sono queste persone, quelle alle quali dobbiamo innanzitutto riconoscenza. Sono questi cittadini in divisa che sono chiamati a rendere concreta la presenza della nostra Repubblica laddove la pace e la sicurezza sono a rischio. Sono questi italiani che, chiamati a testimoniare, hanno dato testimonianza in armi della capacità del nostro Paese di essere promotore di pace. Non è retorica, Signor Presidente, dire che il soldato italiano sia un soldato consa- pevole della finalità di pace delle missioni alle quali l'Italia partecipa in risposta ad un appello delle Nazioni Unite. Non è retorica dire che il soldato italiano sa associare al valore militare la dimen- sione umana ed il rispetto di valori universali che lo legano anche ai suoi stessi av- versari. Per evitare il rischio della retorica, dobbiamo tuttavia ricordare e ricordarci che le qualità, che ai nostri soldati vengono oggi riconosciute nelle missioni di peace kee- ping non sono certo un lascito del sangue e non derivano neppure solo dalla cultura che accomuna il nostro popolo. Noi sappiamo infatti che queste qualità sono il frutto della storia, di contingenze che non possiamo dare per scontate. No. Non può essere dato per scontato, come se fosse un dato di natura, la qualità del bacino di reclutamento, il livello di istruzione, la condizione di cittadino, le ca- ratteristiche socioeconomiche, le motivazioni personali. E neppure la qualità dei processi di selezione, di formazione, di addestramento possono essere considerati stabilmente acquisiti se le scelte, che sono alla loro ori- gine, non vengono rinnovate, qualificate, rafforzate. Se questo o quel fattore dovesse essere messo a rischio, a rischio sarebbe messa anche la qualità futura del personale, così come capita già negli eserciti di altri Paesi nei quali le condizioni, che in questo momento esistono nel nostro Paese, non sono, o non sono più presenti. Ma superando i limiti insiti nel modello professionale, quello che deve essere so- prattutto difeso è il legame tra Esercito e Paese. Quello che deve essere evitato è il ri- schio che i soldati possano essere sentiti, anche solo da una parte piccola della popo- lazione, come figli e fratelli di altri, e non più come figli e fratelli propri. Questa consapevolezza non deve essere tuttavia circoscritta solo a quanti sono di- rettamente responsabili delle scelte in materia di politica di difesa. L'Esercito, come tutte le Forze Armate, appartiene all'intera collettività. Tutti i re- sponsabili della “res publica”, ciascuno per il proprio ambito di responsabilità, de- vono avere una piena consapevolezza del valore straordinario rappresentato dalle no-

153 Due anni al Ministero della Difesa

stre Forze Armate e dal nostro Esercito, ma anche della delicatezza dei meccanismi che lo alimentano e assicurano il suo funzionamento.

Signor Presidente,

con la cerimonia di oggi, l'Esercito Italiano rinnova solennemente il giuramento di fedeltà alla Repubblica ed il suo irriducibile impegno per la difesa della Patria e delle sue libere Istituzioni. 146 anni di storia sono qui a dire che l'Italia può contare sugli uomini e sulle donne del suo Esercito.

Sempre.

154 Discorsi e indirizzi di saluto

Visita agli stabilimenti Thales Alenia Space Roma, 16 maggio 2007

Collega Mussi, ingegner Zappa, dottoressa Sourisse, ingegner Penazzi, professor Bignami, Signore e Signori,

è un vero piacere per me rappresentare, in questa visita, non solo il Governo - in- sieme al Ministro della Ricerca Scientifica - ma anche la Difesa e le Forze Armate, che costituiscono uno dei circuiti istituzionali maggiormente vincolati ad un con- tinuo aggiornamento del sapere scientifico e delle applicazioni tecnologiche. Oggi non può esservi, infatti, uno strumento militare efficace ed efficiente senza una costante partecipazione della Difesa alla ricerca e senza un continuo, spesso dif- ficile e costoso, utilizzo dei mezzi e sistemi che dalla ricerca derivano. Più in gene- rale, non possiamo pensare di consolidare ed estendere i contenuti della sicurezza senza marciare insieme alla scienza, in uno sforzo che da tempo travalica i confini nazionali. La lettura costante ed approfondita di cosa avviene in ogni scenario terrestre, ma- rittimo ed aerospaziale è garanzia per ogni operazione di difesa della pace e della si- curezza, di garanzia di legalità, di prevenzione di catastrofi e - nei casi estremi - di soccorso. La capacità duale del sistema COSMO-SkyMed rispecchia bene la effettiva situa- zione che si verifica ormai a livello planetario, ove è arduo sistematizzare i grandi fe- nomeni sociali e politici per porre dei confini fra ciò che può essere di competenza militare e quello che invece rientra nella sfera cosiddetta "civile". Le grandi problematiche ambientali ed ecologiche, che ogni giorno di più si im- pongono alla nostra consapevolezza, delineano scenari geopolitici che debbono es- sere affrontati con un ampio ventaglio di strumenti. E, parimenti, tante crisi militari innescano fenomeni negativi per le popolazioni ed il territorio. La conoscenza "in tempo reale" degli andamenti delle grandi dinamiche geografiche diviene perciò componente essenziale sia delle analisi sia della pianificazione operativa di chi è im- pegnato, nella quotidianità, a governare i conflitti, le calamità, le emergenze, le mi- nacce di ogni natura. A dispetto delle lamentazioni sul suo declino, l'Italia è all'avanguardia in molti set-

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tori tecnologici. Nell'aereospazio abbiamo punte di eccellenza con forti caratteri- stiche duali; e siamo orgogliosi del "know how" maturato nei nostri laboratori, nei nostri stabilimenti, nelle nostre industrie d'avanguardia, in stretta cooperazione con i partner europei. Si tratta di un patrimonio che condividiamo con i Paesi alleati e partner, in quella prospettiva di internazionalizzazione che è l'unica percorribile, se si pensa all'entità delle risorse ed alla pluralità delle competenze necessarie alle atti- vità di Ricerca e Sviluppo. A livello nazionale, i due Dicasteri, che qui il collega Mussi ed io rappresentiamo, hanno deciso di costituire l' “Osservatorio congiunto nel settore spaziale ed aerospa- ziale” proprio al fine di armonizzare le molteplici iniziative, così da mettere in si- nergia programmi e progetti ed ottimizzare l'impiego delle risorse. Desidero sottolineare questo punto, perché in una contingenza di difficoltà finan- ziarie non ci si possono permettere sovrapposizioni o duplicazioni di investimenti, in nessun campo. Nell'occasione, infine, desidero rivolgere un sincero apprezzamento a Thales Alenia Space, una delle punte più avanzate dell'industria europea delle telecomuni- cazioni spaziali e militari. Desidero anche esprimere il mio sincero apprezzamento alla dirigenza, ai tecnici e alle maestranze tutte per la produzione dei satelliti del programma COSMOS- SkyMed, che presto troveranno il loro utilizzo nelle orbite previste. Con identici sentimenti mi indirizzo ai partner industriali francesi, con i quali ab- biamo avviato accordi nel settore ottico e radaristico di portata europea. E di va- lenza europea, in termini operativi e di utilizzo, dovrà certamente essere questo pro- gramma. A tutti rinnovo il mio personale saluto e rivolgo un sincero, cordiale augurio di buon lavoro.

156 Discorsi e indirizzi di saluto

Firma del protocollo d’intesa per la cessione della caserma “Testafochi” Aosta, 22 maggio 2007

Presidente Caveri, Sindaco Grimod, Senatore Perrin e Onorevole Nicco, Onore- voli, Generale Novelli, Generale Petti, Autorità,

innanzitutto voglio esprimere la mia soddisfazione per il fatto che quest’impor- tante incontro avvenga in questa prestigiosa sede del Centro Addestramento Alpini di Aosta, che so essere fortemente legato alle tradizioni ed alla vita della valle. Rivolgo a tutti il saluto del Governo in occasione della cerimonia odierna, che vede la firma di un importante accordo fra la Difesa e la Regione Autonoma della Valle d’Aosta. Sono particolarmente lieto di poter contribuire all’avvio di un percorso fecondo di collaborazione fra le Istituzioni, nel solco della necessaria e non più rinviabile azione di razionalizzazione d’uso complessiva degli immobili della Difesa dislocati su tutto il territorio nazionale. Per me che sono sardo, la questione ha una valenza particolare, nel senso che la co- nosco bene come esperienza di “vita vissuta”, di conoscenza diretta in una Regione – anch’essa a statuto speciale – gravata da una significativa presenza militare in molte aree utilizzate per l’addestramento e le esercitazioni. Lo scorso anno, in Parlamento, ho ricordato che l’incidenza del demanio militare e delle aree gravate da servitù militari è esigua, se rapportata all’intero territorio nazio- nale, ma con punte di maggior consistenza in alcune zone a seguito di decisioni as- sunte nei decenni passati. Oltre alla mia regione d’origine, il Friuli, il Lazio e la Puglia sono i territori ove è più rilevante il peso della presenza militare, con oneri di vario tipo gravanti sulle co- munità locali. Il quadro di queste presenze non appare più giustificato dalle nuove dimensioni assunte dagli equilibri geostrategici euromediterranei e planetari. Non solo; la pre- senza di molti immobili in aree oggi urbanizzate, ne vanifica gran parte delle possi- bilità d’uso già compromesse, poi, dalla vetustà degli stessi e dagli elevati costi per eventuali ristrutturazioni ed adattamenti. Il possibile utilizzo alternativo di questi immobili permette incisivi ed innovativi

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interventi urbanistici nelle città, fornendo aree e cubature pregiate per servizi pub- blici e di interesse generale proprio lì dove ce ne è più bisogno. Pensate al caso ecla- tante di Roma, ove la lunga sequenza di caserme che, nei primi del ‘900, segnava la periferia del quartiere Prati, è stata in gran parte resa disponibile per gli uffici giudi- ziari, con significativi benefici di decongestionamento. Qui, in Val d’Aosta, con questo protocollo d’intesa, avviamo un percorso che por- terà risultati concreti in tempi brevi. La gloriosa e storica caserma alpina “Testa- fochi”, situata nel cuore della città di Aosta, troverà una nuova importantissima de- stinazione per la Comunità, quale sede di una prestigiosa Università, mentre le fun- zioni militari troveranno nuovi spazi maggiormente funzionali, grazie ai necessari interventi della Regione Autonoma, nelle aree militari delle Caserme “Battisti” e “Ramirez” e nell’eliporto di Pollein. Il potenziamento del polo universitario nella prestigiosa sede della Testafochi, in- nerverà la vita cittadina di nuove attività bene inseribili nel contesto urbano. Desidero, nell’occasione, rivolgere un sentito apprezzamento ed un ringrazia- mento a tutte le autorità ed a tutti i tecnici, della parte civile e di quella militare, che hanno lavorato per il raggiungimento di questo obiettivo. Mi auguro che questa cerimonia di Aosta possa presto essere seguita da altre ana- loghe, in altre parti del Paese ove si presentano problematiche simili. La Difesa conta molto su queste operazioni, a costo zero per i propri bilanci, ma di sicuro gua- dagno per le comunità locali e per le Forze Armate stesse, in termini di maggiore ef- ficacia ed efficienza addestrativa ed operativa. Un saluto ed un augurio particolare desidero infine rivolgere alle Autorità accade- miche, che presto potranno disporre di strutture migliori per esercitare la loro pre- ziosa attività di ricerca e di trasmissione del sapere. Un rinnovato grazie, infine, a Lei, Presidente Caveri, ed a Lei, Sindaco Grimod, nonchè agli Onorevoli Parlamentari espressi dalla Valle d’Aosta, per l’attenzione e la disponibilità sempre dimostrate, che oggi cominciano a dare i primi buoni frutti.

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Assemblea annuale dei soci dell’AIAD Roma, 4 giugno 2007

Signore e Signori,

ho accettato volentieri l’invito a partecipare a questa assemblea, che molto oppor- tunamente è ospitata presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Quello che sento innanzitutto il dovere di dire è che il Governo, come ha ripetuto ieri a Trento il Presidente Prodi, attribuisce la massima importanza allo sviluppo della base industriale nazionale. E ciò è ancor più vero per quei settori produttivi dove il tasso di innovazione sia particolarmente elevato, unica vera garanzia di successo in un mercato globale carat- terizzato da un’accesa concorrenza. L’Associazione delle Industrie per l’Aerospazio, i Sistemi e la Difesa costituisce, in tale contesto, una delle realtà più importanti del panorama nazionale. Noi sappiamo, e io in questo anno di governo l'ho appreso con una consapevolezza accresciuta, noi sappiamo che le oltre 100 aziende che fanno parte dell’Associazione generano infatti una parte considerevole della ricerca e dell’innovazione italiana. Ma tutti siamo allo stesso tempo coscienti che il volume di risorse dedicate a li- vello nazionale alla ricerca ed allo sviluppo è ancora insufficiente per tenere il passo con i Paesi più avanzati. Il settore dell’aerospazio e dei sistemi per la Difesa rappresenta, da questo punto di vista, una importante eccezione. Lo dimostrano i successi innegabili che la nostra industria sta ottenendo, anche in campo internazionale, prova evidente della vali- dità di una strategia industriale che dedichi molta attenzione all’innovazione. Natu- ralmente il mio ruolo istituzionale mi induce ad approfondire particolarmente il le- game fra l’Industria della Difesa e le Forze Armate. A questo proposito è pleonastico ricordare l’importanza di una solida base indu- striale, capace di fornire alle Forze Armate quanto ad esse necessita durante i nor- mali cicli di ammodernamento delle dotazioni e, ancor più, nei periodi di crisi e di conflitto. Alla capacità di produrre, presto e bene, ciò di cui si necessita si è, ormai da decenni, affiancata la necessità altrettanto strategica di dominare quelle tecnologie che sono allo stesso tempo presupposto e conseguenza degli sviluppi dottrinali ed operativi.

159 Due anni al Ministero della Difesa

Solo avendo piena comprensione delle potenzialità offerte dalle tecnologie più recenti si possono correttamente immaginare e definire i requisiti, le caratteristiche e le moda- lità di impiego dei sistemi d’arma che domineranno i campi di battaglia del futuro. In tal senso, il legame profondo fra esigenze delle Forze Armate e base industriale della Difesa emerge ancora più chiaramente. È per questo motivo che il dialogo con l'Industria deve essere franco e proficuo fin dalla fase di concezione dei nuovi sistemi, con l’emissione dei requisiti militari. È per questo motivo che le Forze Armate devono essere in grado di comunicare ef- ficacemente con l’Industria, indicando le aree di ricerca prioritarie e favorendo lo sviluppo delle tecnologie che si reputano più utili. Anche se so di sottolineare una esigenza a voi ben presente, credo sia importante ribadire che questi indirizzi programmatici devono avere un adeguato respiro tem- porale. I tempi necessari a passare dai tavoli degli ingegneri ai reparti operativi si mi- surano ormai in almeno dieci anni per la maggior parte dei sistemi più complessi. Ciò determina la necessità di una costanza nel tempo degli indirizzi di riferimento, che non possono essere variati con troppa frequenza, nonché una stretta coerenza fra i programmi di ammodernamento e le risorse effettivamente disponibili per l’acqui- sizione dei sistemi. Quest’ultimo elemento è notoriamente critico; la Difesa ha sof- ferto, anche negli ultimi anni, di una elevata instabilità nei flussi finanziari, cosa che ha imposto una ripartizione delle risorse fra le spese per il personale, per l’esercizio e per l’ammodernamento chiaramente non ottimale nonché, in molti casi, un’ab- norme lievitazione del rapporto costo/efficacia di diversi programmi. Fin dalla legge finanziaria per il 2007, la prima approvata durante il suo mandato, il Governo ha imposto una correzione importante al trend che vedeva fortemente penalizzato tutto il comparto della Difesa, ed ha indicato nella stessa finanziaria i valori che anche per i prossimi due anni dovranno necessariamente integrare le do- tazioni del bilancio ordinario, pena un gravissimo decadimento delle capacità opera- tive ed una forte penalizzazione delle attività dell’Industria per la Difesa. Queste previsioni dovranno essere mantenute. Anche il mondo industriale, però, deve fare la sua parte, soprattutto – come accen- navo all’inizio – nel settore della ricerca. Pur se gli incentivi ed il contributo gover- nativi sono importanti, è compito dell’Industria investire una percentuale adeguata del suo utile nell’attività di ricerca, perché solo l’innovazione può garantire il suc- cesso in un mercato tanto competitivo. Allo stesso tempo, la Difesa deve poter contare su una controparte industriale che sia all’altezza dei requisiti di efficienza che ormai si impongono in qualunque pro- gramma di acquisizione, nazionale e multinazionale. Anche se il rapporto tra Industria nazionale e Difesa nazionale è riassumibile nel motto "distinti ma non distanti", siamo tutti consapevoli di come l’Industria della Difesa italiana non possa e non debba più contare su un mercato interno “protetto” da barriere.

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Da un lato, infatti, la partecipazione a programmi multinazionali per lo sviluppo e l’acquisizione di nuovi sistemi richiede ai Paesi partecipanti di mettere in campo ri- sorse tecnologiche ed industriali competitive con quelle degli altri partner. Solo per tale via la partecipazione nazionale a tali programmi può essere premiata in termini di qualità delle responsabilità progettuali e produttive ad essa assegnante. Dall’altro lato, anche i programmi di acquisizione strettamente nazionali devono sempre più rispettare criteri di concorrenza, allargata quantomeno a tutti i produttori europei. Come è ben noto, i vincoli alla concorrenza in ambito europeo sono in via di pro- gressiva eliminazione, e ciò deve indurre l’Industria nazionale ad affinare le sue ca- pacità competitive. Una delle strade da percorrere è verosimilmente quella della razionalizzazione delle strutture produttive. Non intendo però addentrarmi su un terreno di strategia indu- striale, che non mi compete. D’altra parte, sono consapevole che la stessa Difesa ha, al suo interno, componenti scarsamente produttive, che necessitano senz’altro di una profonda razionalizza- zione. Infine, già oggi e sempre più per il futuro, sarà fondamentale per la Difesa poter disporre di una base industriale capace di sostenere logisticamente durante tutto il ciclo di vita i sistemi acquisiti. Anche in tale ambito, una razionalizzazione della struttura produttiva che porti all’abbassamento dei costi associati al manteni- mento dei sistemi appare una necessità non rinviabile. Vorrei chiudere questo mio intervento con un segno positivo, ricordando i molti successi che l’Industria italiana ed in particolare quella aerospaziale sta segnando negli ultimi anni. La “Giornata Azzurra” di Pratica di Mare ne ha dato chiara evidenza. Prodotti come l’EH-101, il C-27J, l’M-346, il convertiplano BA609, il Mangusta – solo per citarne alcuni – stanno ottenendo il successo che meritano, concorrendo nei mercati più difficili e ponendosi alla frontiera della tecnologia. Non è superfluo ricordare come molti di questi programmi siano il risultato di una stretta interazione fra Forze Armate italiane ed Industria, fin dalla fase della loro concezione e del loro sviluppo. Affinché tali successi possano ripetersi nel futuro, il Governo è impegnato a rivita- lizzare i meccanismi di coordinamento fra i Dicasteri che, a vario titolo, hanno la re- sponsabilità della difesa e della sicurezza, dello sviluppo economico ed industriale e del sostegno all’esportazione. Tutti abbiamo piena consapevolezza di quanto questi meccanismi siano determi- nanti. Per questo motivo credo si debba valutare approfonditamente, senza preclu- sione alcuna, la possibilità di creare nuove soluzioni, più aderenti alla realtà della concorrenza internazionale. L’obiettivo è quello di favorire l’ampliamento della base produttiva, elemento indi- spensabile per l’abbattimento dei costi e per garantire la continuità del supporto in- dustriale alla difesa del Paese ed alla sua opera di sostegno all’azione delle Nazioni Unite per la sicurezza e la salvaguardia della pace e della giustizia internazionale.

161 Due anni al Ministero della Difesa

Volendo allora tracciare delle semplici linee guida per il futuro prossimo, credo che la priorità vada assegnata al potenziamento di quegli organi della Difesa deputati a elaborare le linee di sviluppo degli equipaggiamenti militari nel lungo periodo. Tali organi dovranno essere in grado di fornire chiare indicazioni circa le priorità da assegnare alle diverse tecnologie per le quali si richiedono investimenti in ricerca e sviluppo. Il secondo elemento è rappresentato dalla stabilità nei flussi di finanziamento, sta- bilità per certi versi ancora più importante degli stessi volumi complessivi di risorse disponibili. Solo con una ragionevole prevedibilità delle risorse disponibili sarà possibile perse- guire quella strategia di sviluppo tecnologico di lungo periodo così essenziale sia per la Difesa che per l’Industria. Terzo, e non per importanza, il Governo dovrà affinare ulteriormente le sinergie esistenti fra i vari Dicasteri, al fine di promuovere efficacemente l’Industria nazio- nale della Difesa in tutti i mercati, definendo e valorizzando strutture e procedure che rafforzino questo coordinamento. Ferme restando le doverose differenziazioni in termini di responsabilità, “do- manda” e “offerta” – quindi Difesa e Industria – dovranno interagire sempre più strettamente, perché solo da questa cooperazione si potrà generare l’indispensabile valore aggiunto che potrà far progredire il nostro sistema-Paese, obiettivo cui siamo tutti rivolti e verso cui dobbiamo tutti sentirci impegnati. Ritengo che l’Assemblea di oggi sia stata certamente un passo nella giusta dire- zione. Grazie quindi all’AIAD per aver favorito questo incontro.

162 Discorsi e indirizzi di saluto

193° anniversario di fondazione dell’Arma dei Carabinieri Roma, 5 giugno 2007

Signor Presidente della Repubblica,

a Lei innanzitutto il saluto del Governo, delle Forze Armate e di tutti i Carabi- nieri: quelli che sono qui presenti e quelli che sono in attività sul territorio nazionale ed all’estero. Un saluto riconoscente per la Sua attenzione costante. Un saluto consapevole del significato che a questa cerimonia conferisce la presenza di chi rappresenta l'unità della Repubblica e del popolo italiano. Con eguale riconoscenza e calore saluto e ringrazio il Presidente del Senato, il Pre- sidente della Corte Costituzionale, il Vice Presidente della Camera dei Deputati, i colleghi del Governo qua presenti, le alte cariche istituzionali, tutte le Autorità reli- giose, civili e militari. Mi sia consentito rivolgere poi un saluto particolare al Ministro dell'Interno, Giu- liano Amato, che condivide con me la responsabilità di vertice dell'Arma, un patri- monio della Repubblica nel quale le nostre rispettive sfere di responsabilità, la difesa e la sicurezza, sono chiamate a trovare e, lo dico con soddisfazione, trovano la - sima sinergia e cooperazione. Un saluto caloroso rivolgo poi alla Rappresentanza militare, alle Associazioni d’Arma e a tutti i militari dell’Arma in questo momento impegnati nel servizio. Un pensiero riverente infine va ai tanti Carabinieri che, fedeli ai compiti loro affi- dati, in pace ed in guerra, hanno pagato con la vita il loro impegno in favore delle Istituzioni e della comunità. La nostra riconoscenza va, in particolare, ai militari che oggi verranno insigniti di onorificenze per l’esemplare comportamento in attività di servizio, e in modo parti- colare alle famiglie dei Caduti, ai feriti, ai mutilati. A quelli dell’Arma e a quelli di tutte le Forze Armate. Come dimenticare il dramma che qua, a Piazza di Siena, condividemmo in occa- sione dell’ultimo anniversario, quando ci raggiunse la notizia dell’attentato contro la nostra pattuglia in Iraq, l’ultimo contro la nostra missione in quel Paese, nel quale perse la vita Alessandro Pibiri, Caporal maggiore scelto della Brigata Sassari.

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Grazie. A nome del Governo e delle Istituzioni della Repubblica. Grazie agli umili, sconosciuti eroi di ogni giorno, silenziosi e benemeriti servitori dello Stato e tutori della legalità. Oggi in questa splendida cornice di Piazza di Siena si rinnova ancora una volta la celebrazione dell'anniversario della fondazione dell'Arma dei Carabinieri: il 193°. Il 193° passo di un lungo cammino di dedizione allo Stato ed alla comunità, che attraversa la storia dell’Arma, fin dal 1814, quando il Piemonte sabaudo, dopo l’epopea napoleonica, tornava ad una impossibile restaurazione. Il concetto di una polizia su base militare, lasciata dalla Gendarmeria francese, re- stava tuttavia come riferimento per il nuovo governo di Vittorio Emanuele I. Il mondo era cambiato, era ormai diverso dalle più quiete società del vecchio re- gime. Ed ai fermenti politici si univa un’insicurezza generale, lascito delle passate vi- cissitudini militari del Piemonte come dell’Europa intera. Con le “Patenti Regie” nasceva, allora, una figura nuova di soldato. Legato al Re, ma con una caratterizzazione forte di tutore dell’ordine e delle leggi in funzione di pubblica utilità e di sicurezza collettiva; un soldato del Re al servizio di un ideale di “buon governo”. Ma il seme era fecondo e la pianta allora nata ha sviluppato, e rafforzato nel tempo, radici salde, ben al di là delle migliori aspettative dei fondatori.

Signor Presidente,

a quasi due secoli dalla sua fondazione, l’Arma è una Istituzione vitale, che ha il consenso dei cittadini grazie alla capacità di rinnovarsi nell’ordinamento, nella pre- parazione professionale, nei mezzi e nelle strutture. Il suo patrimonio di valori resta fermo. Un patrimonio di valori rinnovati e raffor- zati in oltre mezzo secolo di storia repubblicana. Grazie ad essi l’Arma è oggi come ieri percepita come la rappresentazione più im- mediata dello Stato. Ma i Carabinieri, più che l’immagine dell’autorità dello Stato, ne rappresentano l’autorevolezza e la credibilità. Essi sono i difensori di un nuovo patto fra cittadini e libere Istituzioni. Di fronte ai tristi fatti che turbano ogni giorno il Paese, l’Arma, come le altre Forze di Polizia, rappresenta per gli italiani un punto fermo: nelle indagini, nel manteni- mento dell’ordine, nell’arresto dei colpevoli, nel ripristino della legalità. Questa è l’occasione per rinnovare il nostro compiacimento e la nostra ricono- scenza per i risultati ottenuti al Comandante Generale, sicuro di rappresentare anche il sentimento del Ministro Amato. So che questi risultati sono il frutto di un lavoro concorde di tutti gli uomini e di tutte le donne dell’Arma, e allo stesso tempo della disciplina che trova nel carattere di militarità un fattore qualificante.

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Una militarità associata tuttavia alla capacità di vedere nei cittadini i protagonisti della vita democratica, e, tra essi, i più deboli come concittadini da tutelare, aiutare, soccorrere. Qui, in questo sentire ormai maturo nella nostra Repubblica, è il dato che marca la netta differenza con il passato. Non più al servizio di un Re o di un concetto astratto di autorità, ma al servizio della gente, della gente comune; di quel popolo del quale, ogni Carabiniere è parte integrante, cittadino fra i cittadini. Questa, Signor Presidente, è l’Arma dei Carabinieri di oggi. Parte della società, specchio della società e, mi sia consentito dire, anche esempio per la società: in termini di rettitudine, coerenza, interiorizzazione del senso del do- vere e della responsabilità. Oggi, a centonovantatre anni dalla fondazione, l’Arma conferma di essere un corpo saldo ed efficace, in profonda, costante trasformazione, ove la crescita delle capacità operative si coniuga con il continuo rinnovarsi delle motivazioni morali e professionali. La legge di riordino, approvata nel 2000 con un’ampia convergenza parlamentare, ha configurato l’Arma dei Carabinieri come una “forza militare di polizia a compe- tenza generale e in servizio permanente di pubblica sicurezza”. Si è così confermata la duplice natura dell’Istituzione pienamente partecipe dei si- stemi di difesa e sicurezza del Paese, secondo un binomio inscindibile che sottolinea la continuità funzionale dei due ambiti di intervento. La Difesa si avvale oggi delle competenze che fanno parte, da sempre, del patri- monio professionale del Carabiniere, in quanto operatore di polizia, e gli consen- tono così di apportare, all’interno delle operazioni condotte in contesti altamente instabili e destrutturati, un contributo originale se non addirittura unico. Per altro verso, il sistema della sicurezza pubblica si avvantaggia della militarità dell’Istituzione, contribuendo a garantire la tenuta della capillare struttura presi- diaria. È per questo motivo che la peculiare formula organizzativa dell’Arma suscita l’in- teresse, un interesse crescente, delle Forze di Polizia straniere che ogni anno chie- dono di visitare i reparti dei nostri Carabinieri. Dalla Cina alla Turchia, dall’ all’Azerbaijan, dal Marocco alla Colombia. Incidendo direttamente sulla soglia dell’allarme sociale, l’azione dei Carabinieri è caratterizzata contemporaneamente da una connotazione presidiaria e da una con- notazione sociale. Nel panorama della Amministrazione statale il dispositivo territoriale dell’Arma dei Carabinieri rappresenta, infatti, una singolarità, offrendo al cittadino punti di ri- ferimento costanti, sicuri e facilmente accessibili. Il ruolo delle stazioni e dei suoi Comandanti va tuttavia ben oltre la loro capacità di intervento e si concretizza in un’attività di rassicurazione sociale che assorbe

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anche bisogni minuti, non sempre corrispondenti all’incidenza di fenomeni crimi- nali specifici. Esse realizzano un rapporto di conoscenza diretta e reciproca con il cittadino, da cui deriva l’esercizio di una vera e propria “funzione sociale” che integra la primaria attività di polizia, conferendole anche quei tratti di vicinanza ed assistenza che com- pletano l’offerta di sicurezza. Per questo, le Stazioni e le Tenenze sono avvertite dalla popolazione come un pa- trimonio di ciascuna comunità, in grado di incidere direttamente anche sulla perce- zione individuale della sicurezza. Le capacità di intervento dei reparti territoriali dell’Arma si arricchiscono poi delle competenze sviluppate nel tempo dai “Comandi Carabinieri specializzati”, preposti alla salvaguardia di beni ed interessi primari della collettività, il cui elevato rendi- mento è la risultante del binomio operativo che coniuga la specializzazione del perso- nale con il supporto offerto dal capillare dispositivo dell’organizzazione territoriale. L’Arma ha continuato a svolgere un’attività altamente qualificata e in grado di in- cidere direttamente sulla qualità della vita dei cittadini in particolari settori, quali la tutela del lavoro, della salute, dell’ambiente, dei beni culturali, delle politiche agri- cole e nel contrasto alla falsificazione monetaria, sulla base di una ripartizione dei compiti tra le Forze di Polizia da tempo definita e di recente perfezionata nel prov- vedimento di riordino dei comparti di specialità. Per quanto attiene alle funzioni di Polizia Militare, l’impegno nelle missioni inter- nazionali è andato crescendo. Questo ha richiesto, da un lato, un maggiore contributo di forze ed il conferi- mento di più elevate capacità operative in Teatro e, dall’altro, una spiccata specializ- zazione del personale dell’Arma al fine di assolvere con professionalità ai compiti af- fidati. In questo quadro, è imminente l’avvio sperimentale, nell’ambito dell’Esercito, del programma di ristrutturazione del servizio. La riorganizzazione della funzione di Polizia Militare prevede inoltre la costitu- zione di reparti Carabinieri alle dirette dipendenze dei Comandanti di Corpo, nonché del Capo di Stato Maggiore della Difesa, dei Capi di Stato Maggiore di Forza Armata e del Segretario Generale della Difesa. Con riferimento alle missioni nei Teatri operativi, i Carabinieri italiani, fra tutti i reparti di Forze militari di polizia dei Paesi alleati, sono in prima fila, sia in termini di contributo quantitativo sia in termini di responsabilità di comando. In Bosnia, l’Arma è presente fin dal 1998 con un reggimento MSU e schiera oggi sotto l’egida dell’Unione Europea l’Unità Integrata di Polizia, che comprende unità fornite da Turchia, Olanda, Ungheria e Romania. Nel Teatro kosovaro, l’Arma opera sotto l’egida della NATO, con un reggimento MSU. In Afghanistan, i Carabinieri sono presenti nell’ambito del Provincial Reconstruc-

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tion Team italiano di Herat, dove proseguono le attività di addestramento della po- lizia locale. Si tratta di una funzione, quella dell’addestramento a favore della polizia, che ha lungamente e duramente impegnato i Carabinieri in Iraq, fino allo scorso anno. Nel corso della loro presenza nella Provincia di Dhi Qar, i Carabinieri hanno for- mato circa 12.000 unità della polizia irachena. L’esperienza maturata nei Teatri operativi ha consentito di fornire un contributo importante anche alle più recenti iniziative sviluppate in ambito internazionale: la Gendarmeria Europea e il COESPU, Centro di Eccellenza per le Unità di Polizia di Stabilità. Al modello degli assetti dell’Arma all’estero – Multinational Specialized Unit (MSU) e Integrated Police Unit (IPU) - si è ispirata la costituzione, a Vicenza, del Quartier Generale della Gendarmeria Europea alla quale hanno aderito le Forze di Polizia ad ordinamento militare di Italia, Francia, Spagna, Portogallo ed Olanda. Il COESPU, a soli due anni dalla sua istituzione, a seguito degli accordi intercorsi durante il vertice del G8 di Sea Island, è diventato un prestigioso punto di riferi- mento internazionale per la formazione di militari impegnati in missioni di pace. Esso inoltre sviluppa, in collaborazione con i principali organismi internazionali, la dottrina e le procedure operative comuni per l’impiego delle costituende “Forze di Polizia di stabilità”. Come vede, Signor Presidente, la fiducia nei Carabinieri è ben riposta. Lo dimostrano i Carabinieri stessi, con quanto fanno, in Patria ed all’estero. Lo confermano gli italiani, oggi tutti idealmente presenti qui a Piazza di Siena. A loro, ancora, va il grazie degli italiani, il grazie della Repubblica.

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Cerimonia di chiusura dell’anno accademico del CASD Roma, 6 giugno 2007

Signori Presidenti delle Commissioni Difesa, Signori Sottosegretari, Signor Presi- dente del Consiglio di Stato, Ammiraglio Di Paola, Autorità, Signore e Signori,

innanzitutto porto il saluto del Governo e quello mio personale, un saluto ed un apprezzamento caloroso al Centro, che è per la Difesa un vero e valido serbatoio di pensiero. Al corpo insegnante, al Quadro permanente ed a tutto il personale, desidero espri- mere un sentito apprezzamento per le loro capacità professionali. È grazie alla vostra professionalità, una professionalità che nel tempo si va affinando e rafforzando, che il Centro mantiene grandi le sue tradizioni di alta scuola di forma- zione dei Quadri delle Forze Armate, ma anche punto di riferimento nel circuito di quanti, civili e militari, sono interessati ai temi della sicurezza e della difesa. Un apprezzamento al Generale Valotto, che ha saputo interpretare il suo ruolo di Presidente e di Comandante, raggiungendo anche alla guida del CASD risultati lu- singhieri. Un saluto infine ai frequentatori, giunti al termine del ciclo di studi, dopo mesi di impegno intenso, che possiamo e dobbiamo riconoscere. Un saluto ed allo stesso tempo un augurio. Sono, infatti, sicuro che la formazione che voi avete ricevuto qui al CASD, una formazione senza dubbio di primo livello, sarà da voi messa a frutto. Il CASD sta dimostrando coi fatti quanto sia giusta la scelta di perseguire una for- mazione superiore a livello interforze. Lungi dal far perdere la peculiare cultura professionale, che è tradizionalmente cu- stodita nelle singole Forze Armate, la formazione interforze ha permesso invece di esaltare ulteriormente il bagaglio culturale con cui ciascuno di voi si è presentato al- l’avvio di questo periodo di studi. Ma il CASD è naturalmente e deve essere molto più di un Centro di formazione interforze. In primo luogo perché, insieme agli appartenenti alle Forze Armate, ormai da anni studiano e interagiscono qui anche gli appartenenti ad altri Dicasteri. E penso innanzitutto, ovviamente, agli Ufficiali della Guardia di Finanza, che per

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tradizione condividono da sempre con gli Ufficiali delle Forze Armate molti tratti della loro professione e direi moltissimo della loro cultura. Non è certo un caso se la Guardia di Finanza abbia saputo rapidamente integrarsi al- l’interno del dispositivo militare italiano schierato in un contesto che è oggettivamente difficile, quale è quello afgano, un contesto che pure potrebbe apparire lontano – lon- tano geograficamente e concettualmente – da quella che è la funzione del Corpo. Le missioni assegnate alle Forze Armate ed ai Corpi armati dello Stato tendono in- fatti sempre più a fondersi grazie alla consapevolezza crescente del continuum che lega la tradizionale difesa della sovranità e dell’indipendenza dello Stato con la sicu- rezza all’interno di esso. I nostri militari che operano all’estero ben sanno quanto sia importante saper ope- rare contemporaneamente in un ampio spettro di funzioni, per riuscire a perseguire la stabilizzazione, la ricostruzione e lo sviluppo della statualità, che costituisce l’obiettivo unificante delle nostre missioni nelle aree di intervento. Lo sanno, e lo dico senza polemica, ben da prima che la dottrina delle “Operazioni Basate sugli Effetti” venisse formulata in altri contesti, evidentemente non adusi alla stretta interazione fra soldati e tutori della legalità. Il CASD si caratterizza, poi, per l’ampia partecipazione di frequentatori civili, pro- venienti oltre che dalla Difesa, da altre Amministrazioni e dalle migliori Università. Questa partecipazione, lo dico riconoscendo il presente, ma pensando al passato e guardando il futuro, arricchisce grandemente il valore complessivo del periodo for- mativo presso il Centro, poiché implica una maggiore apertura dello spettro forma- tivo ed offre l'opportunità di un’intensa osmosi fra i militari e la società civile. Anche in questo caso, l’esperienza offerta dalle operazioni militari all’estero ha reso evidente quanto ampia debba essere la capacità dei nostri militari di operare in Teatri che, pur presentando innumerevoli insidie di carattere squisitamente militare, non possono tuttavia essere equiparati ai tradizionali “campi di battaglia”. L’Ammiraglio di Paola ha già efficacemente e approfonditamente descritto quanto complessa sia la condotta delle moderne operazioni, in cui si identificano fasi dedi- cate al ripristino della sicurezza, alla stabilizzazione e alla ricostruzione. In questo contesto voglio sottolineare con particolare forza il ruolo sempre più im- portante rappresentato dalla dimensione informativa, intesa come dimensione cul- turale all’interno della quale giocano un ruolo preponderante le diverse sensibilità degli individui e dei gruppi, tanto da generare percezioni degli eventi talvolta op- poste. Abbiamo fatto esperienza assieme, in questo anno, rispetto a varie situazioni La ricerca empirica dimostra ogni giorno più chiaramente quanto le situazioni di intervento dipendano dalla loro definizione e quanto queste siano a loro volta, contemporaneamente, l’esito da una parte di preesistenti orientamenti e quadri di riferimento culturali, schemi di osservazione ed apprendimento della realtà da un lato e, dall’altra, dei flussi di informazione generati dalle diverse agenzie che governano l’opinione collettiva.

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Come efficacemente descritto nella teoria della cosiddetta “Three-Blocks War”, emendata più di recente come “Four-Blocks War” proprio per includere la sfera in- formativa, i combattenti di oggi e di domani dovranno saper operare in contesti in cui le operazioni ad alta intensità, le operazioni di stabilizzazione contrastata, le ope- razioni di pacificazione e di ricostruzione e infine il quarto “settore”, costituito ap- punto dalle operazioni “informative”, avvengono in contemporanea, e non già in fasi temporalmente sequenziali, come si era, con una qualche semplificazione, im- maginato di poter svolgere. Ciò rende esplicita l’eccezionale complessità della professione del soldato moderno e a maggior ragione di quella dei Comandanti. Infine, ma non certo per importanza, tornando al CASD, il CASD vanta una nu- trita partecipazione di frequentatori non italiani. Anche questo è un elemento di grandissima rilevanza, che arricchisce la qualità formativa dei corsi. Tale partecipazione – lo dico rivolgendomi agli ospiti che oggi assistono a questa cerimonia – non deve intendersi come la tradizionale forma di interscambio fra Uf- ficiali italiani e stranieri, nelle rispettive Scuole ed Istituti di formazione militari. Al CASD, gli italiani e i rappresentanti dei Paesi alleati ed amici studiano insieme, in nome di un comune obiettivo. Questo obiettivo si chiama, lo dobbiamo ripetere per il suo significato rituale, tu- tela della pace e difesa della legalità internazionale, un obiettivo fondato sulla consa- pevolezza crescente della indivisibilità della sicurezza. L’Italia, che è chiamata a questa missione dalla propria Carta costituzionale, è fer- mamente intenzionata a fare la propria parte a continuare a fare la propria parte, nell’ambito delle Organizzazioni internazionali, affinché tali valori siano affermati ed attivamente difesi, ed anche l’apertura internazionale dei corsi formativi del CASD ne è e vuole essere una prova concreta. Il quadro consuntivo che si può tracciare in occasioni come queste è dunque larga- mente positivo. Ne voglio dare atto a chi ne porta il merito. Eppure, sarebbe un fatale errore fermarsi qui, arrestare il processo di continuo cambiamento ed adeguamento degli strumenti a nostra disposizione. Se le capacità operative delle Forze Armate devono seguire l’evoluzione della tec- nologia e delle dottrine d’impiego, le componenti formative devono essere, se possi- bile, ancora più dinamiche e reattive al cambiamento, dovendo prevedere con largo anticipo le esigenze future. Oggi nell’intervento dell’Amm. Di Paola era richiamata l’attenzione alle programmazioni future. Se la programmazione relativa alle trasformazioni dello strumento operativo ri- chiede almeno un respiro di quindici anni, la formazione degli uomini deve essere evidentemente pensata su un tempo molto più lungo. Pur nella consapevolezza che i processi formativi sono processi continui, la forma- zione deve essere guidata da una logica unificante che affonda le sue radici sin nei primi passi, nei passi iniziali.

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Lo sforzo di continua trasformazione si impone per questioni sia di efficacia sia di efficienza. Si deve aumentare l’efficacia della formazione, perché – come è stato detto – la di- mensione e l’intensità delle sfide che ci troviamo di fronte non ci permettono di ri- posare sui successi sinora conseguiti. Si deve incrementare l’efficienza perché le risorse rimangono limitate e non pos- siamo prevedere un cambiamento significativo a breve, e dobbiamo riuscire ad im- piegarle al meglio. Sono perfettamente consapevole della criticità di quest’ultimo aspetto, cioè della scarsezza delle risorse disponibili per la Difesa, insufficienza che ormai si prolunga da molti anni. Non è questa una consapevolezza recente, perché anche i miei predecessori hanno ripetutamente fatto sentire la loro voce al riguardo. Come noto, con l’ultima finanziaria siamo riusciti ad arrestare ed invertire la ten- denza alla riduzione degli stanziamenti, passando per così dire da una politica “pre- dicata” a una “praticata”. Tuttavia, lo debbo riconoscere, siamo ancora ben lungi dai livelli ottimali, per cui l’esigenza di impiegare al meglio quanto si ha è di vitale importanza. Anche in questo senso, oltre che al fine di migliorare l’efficacia della formazione, ogni ipotesi di evoluzione interforze dell’intero processo formativo deve essere at- tentamente studiata e rapidamente messa in atto per gli aspetti che si ritengono van- taggiosi. Detto questo, desidero spingermi ancora oltre, per immaginare un ruolo persino più ampio e strategicamente rilevante per il CASD di domani. Già oggi il Centro è fucina di pensiero in materia di Difesa, come più in generale su tutte le questioni che attengono agli interessi vitali della Repubblica. Perchè solo all’interno di una riflessione generale della Repubblica può essere inquadrata la ri- flessione del CASD. Ce lo ha ricordato il Generale Valotto, elencando la serie di attività – in Italia ed all’estero – portate avanti dalle tre componenti del CASD. Ebbene, nel nostro Paese, come sono solito ripetere, una delle carenze più gravi ed evidenti è certamente quella relativa ad una diffusa cultura della Difesa. Ognuno ha le sue “fissazioni”. Mi riferisco, in particolare, alla condivisione – presso tutti gli schieramenti politici e la pubblica opinione – di quei principi che sono alla base di qualunque architet- tura difensiva, in qualunque Stato democratico. Quello che a noi manca è appunto un consapevole, diffuso e durevole consenso at- torno alle scelte fondamentali di politica di difesa. A distanza di sessanta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma anche a di- stanza ormai di diciotto anni dalla caduta del Muro di Berlino, è ormai doveroso af- frontare senza più preclusioni ideologiche “il perché” ed “il come” della Difesa in Italia.

171 Due anni al Ministero della Difesa

Il ritardo di una risposta comune alle domande sul “perché”, il “come” e, se mi consentite, sul “con chi” garantire la Difesa del nostro Paese comincia ad essere ec- cessivo. Le risposte a tali domande non possono provenire dal solo mondo della Difesa. Se così fosse, il rischio sarebbe l’autoreferenzialità e la separatezza. Lo dico con la consapevolezza di chi chiama in causa evidentemente la propria responsabilità e sot- tolinea i ritardi della politica. Naturalmente siamo consapevoli che queste risposte non possono che nascere dal confronto, da un libero confronto senza censure. Ed il confronto sulle grandi que- stioni di interesse nazionale va sviluppato con logiche adeguate ai temi in questione, non con la miope visione della contesa elettorale. Chi mi segue, sa che ho avuto modo di lamentarmi del sostegno dell’opposizione e dell’opposizione della coalizione che mi doveva sostenere. Intanto mettiamo in co- mune le domande, orientiamo lo sforzo verso lo stesso obiettivo. Ma per affrontare risolutamente questi temi, dobbiamo coinvolgere in questa ri- flessione una parte consistente della élite culturale italiana, e far sì che il grande pub- blico non rimanga ai margini di questo dibattito. Per un simile progetto, che non può che svilupparsi attraverso molteplici iniziative a carattere culturale, attraverso tutte le iniziative di cui disponiamo, ritengo che il CASD possa dare un contributo essenziale, e forse rappresentarne il fulcro. Il Centro Alti Studi per la Difesa – così come efficacemente sintetizzato nel suo stesso nome – deve poter sviluppare ulteriormente la sua funzione, preservando e potenziando il suo ruolo centrale nella formazione interforze ed avviando al tempo stesso anche iniziative aperte a tutte le componenti del Paese, al fine di definire e svi- luppare la cultura della Difesa in tutta la società. Si tratta di un impegno ambizioso, ne sono consapevole, così come sono consape- vole della necessità di fornire adeguate risorse per affrontare una sfida di questo livello. Ma osservando quanto si è fatto qui sinora, apprezzando la qualità del lavoro svolto e le professionalità disponibili, credo che sia un progetto perseguibile e da perseguire. La giornata di oggi, quindi, rappresenta la chiusura di un impegnativo anno acca- demico, ma al tempo stesso deve fornire lo spunto per l’avvio di una riflessione a cui invito tutti i presenti. Abbiamo bisogno di idee, di proposte concrete per dar vita ad un vero laboratorio per lo sviluppo e la diffusione della cultura della Difesa in Italia, dobbiamo svolgere, sviluppare, argomentare, meditare. Nei prossimi mesi, queste proposte dovranno essere opportunamente vagliate, e la loro attuazione avviata in tempi brevi, direi fin dal prossimo anno. Per questo, in maniera evidentemente un po’ irrituale per una cerimonia come quella di oggi, desidero augurare ai presenti, al Quadro dirigente, ai docenti, ai fre- quentatori, “buon lavoro!”, ma soprattutto arrivederci a settembre.

172 Discorsi e indirizzi di saluto

Festa della Marina e consegna dell’onorificenza dell’Ordine Militare d’Italia alla Bandiera del reggimento “San Marco” , 19 giugno 2007

Signor Presidente,

oggi celebriamo la festa della Marina Militare ed al tempo stesso consegniamo un'alta onorificenza al reggimento “San Marco”, che della Marina è una delle espressioni più vitali. Il 10 giugno ricordiamo il giorno in cui gli equipaggi dei MAS 15 e 21 del Co- mandante Rizzo portarono a compimento la storica impresa di Premuda. Un’im- presa che da allora è il riferimento ideale della nostra Marina. L'ardimento, la tenacia, la meticolosa preparazione tecnica e l'altissimo senso del dovere che animarono quegli equipaggi 89 anni fa sono gelosamente custoditi dalla Forza Armata. Questi valori costituiscono il patrimonio più importante di cui la Marina dispone. Un patrimonio che si tramanda, di generazione in generazione, fra gli equipaggi delle nostre navi. Ma il nostro popolo, la nostra stessa civiltà, si è sempre caratterizzata per una stretta simbiosi con il mare, il mare che circonda la nostra penisola così come i mari lontani, che ci legano agli altri Continenti. La Marina è sempre stata veicolo di cultura e di civiltà, garantendoci la libertà dei nostri commerci e la diffusione delle nostre relazioni coi popoli lontani. Ogni volta che la nostra Marina, una nave della nostra Marina tocca una terra lon- tana, sono l'Italia e la sua cultura che raggiungono quel popolo. Oggi, in un contesto internazionale purtroppo rabbuiato da tanti fattori di preoc- cupazione, la Marina continua a svolgere le missioni che ad essa la Repubblica af- fida, a svolgerle con successo. Essa rappresenta una garanzia di sicurezza per tutte le attività che mettono a frutto le risorse naturali esistenti nei mari a noi vicini. Essa assicura allo stesso tempo il libero esercizio dei traffici marittimi. Svolge un'efficace azione di prevenzione, contribuendo alle operazioni internazionali tese alla sorveglianza delle rotte marittime per il contrasto al terrorismo internazionale.

173 Due anni al Ministero della Difesa

Si mantiene pronta, pronta ad intervenire con brevissimo preavviso, per proiettare là dove servono quelle capacità di controllo del mare e di stabilizzazione dei territori che sono preda di conflitti di varia natura. Proprio muovendo da questo mare, poco meno di un anno fa, la Marina ha dato una prova brillante di queste sue capacità, prima attivandosi rapidamente per por- tare soccorso alla popolazione di Beirut e per evacuare i cittadini inermi rimasti in- trappolati in una zona di conflitto, e successivamente per dare immediata attuazione alle disposizioni contenute nella Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, su mandato del Parlamento. È stato grazie alla capacità della Marina di implementare adeguate misure di con- trollo del mare che Israele ha rapidamente messo fine al blocco navale che stava arre- cando gravi sofferenze all'economia libanese, e quindi alla sua popolazione. È stato grazie alle capacità anfibie della nostra Marina che si è potuto mettere a terra, in tempi brevissimi, un Contingente militare terrestre pienamente autosuffi- ciente e capace di entrare immediatamente in azione. Fianco a fianco con i reparti del nostro Esercito, anche in quell'occasione il reggi- mento “San Marco” ha dimostrato le sue capacità, rinnovando la sua indiscussa fama di unità militare di assoluta eccellenza. Con quell'operazione, l'Italia ha dato prova, di fronte alla Comunità internazio- nale, di pronta capacità decisionale, di forte volontà politica e di coerente capacità operativa. Per il successo, e direi ancor prima per lo svolgimento di questo intervento, la di- sponibilità di uno strumento militare reattivo ed affidabile è risultato certamente un fattore di fondamentale importanza. Tutto ciò non è frutto del caso, o di fortunose circostanze. Tutto ciò è il prodotto ultimo di una lunga pianificazione del nostro strumento navale, di una eccellente formazione del personale e di un adeguato livello di addestramento. Di questo dobbiamo essere tutti consapevoli, affinché la nostra Repubblica possa con- tinuare a disporre di uno strumento militare equilibrato, di cui una parte essenziale è rappresentata da quel patrimonio così prezioso e delicato che è la Marina Militare. Un patrimonio, Signor Presidente, fatto di tradizioni, di tecnologie, ma soprat- tutto di uomini e di donne, ai quali rivolgo il più caloroso saluto e l’augurio più af- fettuoso di navigare con il vento in poppa ed in mari sempre calmi.

Viva la Marina Militare! Viva l’Italia!

174 Discorsi e indirizzi di saluto

Visita al Contingente militare italiano in Libano Libano, 5 luglio 2007

Ammiraglio Di Paola, Generale Graziano, Generale Fioravanti, uomini e donne del Contingente italiano,

vi porto il saluto del Governo ed un mio personale sentimento di apprezzamento per quanto state facendo qui in Libano, nel difficile compito di prevenire le ostilità in questa terra martoriata. L’Italia è orgogliosa di voi e del vostro impegno sulle rive di un mare che racchiude la genesi della storia dell’Europa e le stesse origini mitologiche del nome del nostro Continente. Il Governo ed i cittadini sono ben consapevoli delle difficoltà che state affron- tando in un Teatro operativo così ristretto ma così complesso, multiforme, impreve- dibile. Luoghi ove le vicende storiche sembrano essersi sovrapposte, mantenendo pur- troppo vivi gli odii secolari, le antiche contrapposizioni, i fanatismi che si rivelano più forti del tempo e delle dinamiche di civilizzazione. Eppure non dobbiamo rassegnarci e, come ho più volte dichiarato, non potevamo restare indifferenti. Il futuro va costruito con coerenza politica ed etica e con conti- nuità di presenza e d’impegno, senza interrompere gli sforzi volti a spezzare le bar- riere dell’incomprensione. Si avverte ancora viva, qui, l’emozione per il recente vile attentato, ed io desidero oggi rinnovare il cordoglio delle Forze Armate e di tutto il popolo italiano all’amica Nazione spagnola. Quei giovani ragazzi hanno dato la loro vita per nobili ideali posti al servizio di una causa giusta. Li ricordiamo come nostri figli ed anche nel loro nome rafforziamo le motivazioni del nostro lavoro comune.

Ammiraglio Di Paola, Generale Graziano, Generale Fioravanti, uomini e donne del Contingente italiano,

le ragioni che hanno determinato l’avvio di una fase nuova della missione UNIFIL non devono certamente essere riepilogate. Un anno fa, le tensioni innescate dagli at-

175 Due anni al Ministero della Difesa

tentati alle forze israeliane avevano determinato un quadro che appariva incontrolla- bile senza il ricorso alla Comunità Internazionale. Le vittime civili stavano diven- tando sempre più numerose e si stava innescando il terribile meccanismo dell’am- pliamento progressivo del conflitto. Certo, è difficile usare la parola “pace” in Medioriente. Eppure, nell’estate 2006, la pace andava disperatamente ricercata; o era auspicabile almeno una tregua che im- pedisse il precipitare degli eventi. La politica e la diplomazia hanno saputo giocare le loro carte, giungendo alla Risoluzione n. 1701 dell'11 agosto 2006 con la quale si sanciva la cessazione delle ostilità a partire dal 14 agosto 2006. In una regione dagli equilibri così fragili, occorreva l’immediato e conseguente spiegamento di una presenza militare internazionale per consolidare i risultati rag- giunti. Nel caso specifico, si trattava di dare nuovo profilo e nuova consistenza al- l’UNIFIL, troppe volte considerato dagli attori del conflitto come un sottile velo da attraversare impunentemente. E, al tempo stesso, era indispensabile garantire capa- cità di controllo del territorio per prevenire e reprimere ogni possibile attività di raf- forzamento delle posizioni delle milizie. Si tratta di attività non impossibili, se consideriamo i progressivi successi nei Teatri balcanici; ma in Medioriente diventa tutto più difficile. Poi vi era la necessità di una migliore e più intensa collaborazione con l’esercito li- banese, il cui ruolo è stato giudicato fin dall’inizio di particolare rilievo. È devoluto alle forze regolari, infatti, il compito di interventi diretti di prevenzione e repres- sione di azioni terroristiche, in una prospettiva di rafforzamento dell’Autorità sta- tuale libanese in ogni parte del territorio nazionale. Certo, è difficile essere ottimisti in queste terre. Eppure, senza enfasi fuori luogo, dobbiamo dire che i risultati previsti sono stati conseguiti. Il Libano meridionale, da un anno, non è più luogo di violenze; la vita delle comunità locali è ripresa sui bi- nari di una rinnovata fiducia, sorretta anche dal sostegno dato dalla missione inter- nazionale alle attività amministrative ed alla ricostruzione delle infrastrutture. Quest’ultimo è un punto che mi sta molto a cuore, perché l'esperienza offerta dalle operazioni militari all'estero ha reso evidente quanto ampia debba essere la capacità dei nostri militari di operare in Teatri che, pur presentando innumere- voli insidie di carattere squisitamente militare, non possono tuttavia essere equi- parati ai classici "campi di battaglia" delle dottrine e dei manuali. Ogni missione ha una sua cornice culturale, da studiare e capire con il concorso dell’intelli- gence. La collaborazione allo sviluppo – nella più ampia accezione – diviene, al- lora, parte integrante delle missioni, ne rafforza le motivazioni, ne amplia la platea di consenso. Porre in contrapposizione i diversi aspetti di una missione internazionale è uno sterile esercizio retorico. Ed esaltarne oltremisura questo o quell’aspetto, quasi a di- scapito degli altri è, al tempo stesso, un “warning” su un possibile pregiudizio ideo- logico nei confronti della componente militare. Su questo punto mi trovo in ac-

176 Discorsi e indirizzi di saluto

cordo con il Segretario De Hoop Scheffer e – più in generale – con la tradizionale linea politica italiana di realismo e solidarietà. Ammiraglio Di Paola, Generale Graziano, Generale Fioravanti, uomini e donne del Contingente italiano,

sin dall’inizio della missione non ho mai avuto dubbi che, ancora una volta, gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate avrebbero saputo fare il loro dovere per cercare di riannodare il tenue filo della tregua, per irrobustirlo e trasformarlo in una pace stabile che restituisca in questa regione la speranza in un futuro di ricostru- zione, di benessere, di progresso civile. La missione, come era nelle previsioni, si conferma tra le più delicate ed impegna- tive dalla fine della seconda guerra mondiale. Io stesso l’avevo definita lunga, rischiosa, costosa, difficile, e tuttavia una missione doverosa. L'Italia è impegnata a parteciparvi dalla storia che la lega da sempre alle vicende delle altre sponde del Mediterraneo e dalla geografia che fa del nostro Paese una frontiera avanzata dell'Europa. Siamo certi, tutto il Paese è certo, che voi siete consapevoli delle difficoltà da supe- rare e dei pericoli da sventare. Ma sappiamo pure che siete all'altezza del compito, perchè avete già dato prova d'esserne capaci e perchè questo compito rientra in quell'alto concetto di servizio e fedeltà alla Repubblica espresso nel vostro giuramento. Con queste ultime riflessioni desidero chiudere la parte formale del nostro in- contro ed avere la possibilità di un diretto colloquio con voi. La familiarità del Mi- nistro con i militari impiegati nelle missioni all’estero è una consuetudine che mi è cara e che, al tempo stesso, mi fornisce spunti di riflessione e diretti elementi di co- noscenza della realtà operativa. Vi rinnovo, quindi, il saluto del Governo e di tutte le Forze Armate ed il plauso per il coraggio, la professionalità e l’indispensabile senso di umanità sempre dimo- strati dai nostri soldati in ogni occasione. Continuate a svolgere il vostro servizio con serenità e con la certezza di svolgere un compito di grande importanza per tutta l’umanità. Buon lavoro e buona fortuna a tutti.

Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!

177 Due anni al Ministero della Difesa

64° anniversario della battaglia di Porta San Paolo Roma, 8 settembre 2007

Autorità, Reduci, Cittadini, Associazioni combattentistiche e d’Arma, Decorati,

a voi tutti il saluto del Governo in un giorno e in luogo che da 64 anni è per gli italiani il primo nome del riscatto nazionale, Porta San Paolo. Il Presidente della Repubblica, con la sua presenza, ha sottolineato il grande signi- ficato che ha per la Nazione la data dell'8 settembre nel cammino dell'Italia verso la riconquista della libertà e l'avvento della democrazia. Qui, a Porta San Paolo, nel settembre del 1943, lo ricordiamo come in una pre- ghiera, le forze regolari italiane, sostenute e incoraggiate dai cittadini romani, tenta- rono di difendere la Capitale dai nazisti, in giornate nelle quali la speranza sembrava inestricabilmente mescolata alla disperazione. Si avvertiva in quei momenti l’impressione di una dissoluzione dell’Italia; un senti- mento ormai diffuso nel sentire del nostro popolo, soprattutto qui a Roma, ove gli eventi militari si sommavano a quelli politici e più percepibile che altrove era il col- lasso dell’autorità dello Stato. A quello che sembrava un destino ormai compiuto si opposero strenuamente fanti, granatieri, cavalleggeri, artiglieri, contrastando le forze tedesche lungo una im- provvisata linea difensiva a sud di Roma. La migliore organizzazione germanica, tut- tavia, prevalse sulle nostre forze, che scontarono la mancanza di un efficace coordi- namento, reso di fatto impossibile dall’incalzare delle vicende politiche. Al ricordo dei Caduti di allora oggi ci inchiniamo. Ci inchiniamo ai primi prota- gonisti della resistenza al nazismo, che la dittatura fascista aveva reso nostro alleato in contrasto con i sentimenti profondi del nostro popolo. È doveroso, perciò, ricordare non solo la valenza patriottica dei fatti d’arme che avvennero nei giorni immediatamente successivi all’armistizio, ma anche la consa- pevolezza politica e la valenza morale di quegli episodi, che furono poi seguiti dalla Resistenza e dalla Guerra di Liberazione, nei campi di battaglia e nei campi di ster- minio, fino al vittorioso epilogo del 25 aprile 1945. L’Italia del 1943, piegata dai tre precedenti anni di guerra, mostrava i sentimenti della grande maggioranza dei cittadini e dei militari nei confronti del Reich nazista,

178 Discorsi e indirizzi di saluto

ormai percepito come un invasore, come un oppressore. Parimenti, appariva chiaro il netto distacco dai vuoti slogan di potenza della dittatura fascista che stavano, drammaticamente, rivelando tutto il potenziale distruttivo delle loro suggestioni. Fra tante incertezze, era difficile, in quelle giornate, individuare la scelta giusta, fare la scelta giusta. Mentre tutto sembrava crollare, mentre – anche se per disposizione del legittimo Governo – cambiavano i riferimenti delle alleanze, non fu facile per tutti trovare la via dell’onore: è per questo che la nostra gratitudine va a coloro che preferirono per- dere piuttosto che perdersi. Chi si preparava a difendere la Capitale dagli Alleati, si trovò improvvisamente a doverla difendere dai tedeschi; ma fece lo stesso il suo dovere, anche se la fortuna fu avversa. Così è stato qui a Porta San Paolo, così nelle acque della Sardegna con l’Ammiraglio Bergamini che restò vittima del suo senso del dovere; domani, a Porto Torres, lo ricorderemo insieme a tutti gli altri marinai caduti in quelle circostanze. Ben presto, dopo Porta San Paolo, dopo l’affondamento del “Roma”, dopo Cefa- lonia, la lotta per il riscatto nazionale riprese con più vigore, animando la Libera- zione e la Resistenza come battaglie sorrette da una rinnovata percezione dei valori civili. È questo il motivo perché ci troviamo qui, nel parco della Resistenza di Porta San Paolo, per ricordare quegli episodi che hanno segnato una frattura irreversibile nella nostra storia e allo stesso tempo l’inizio di una storia nuova. Ai combattenti di allora, militari, partigiani, cittadini e cittadine in armi, rinno- viamo oggi tutta la nostra gratitudine. Ai Caduti, ai feriti, ai mutilati, barbaramente torturati e uccisi, ai martiri inermi e innocenti delle brutali rappresaglie va il nostro pensiero riconoscente, per la testimonianza di fede che ha salvato la nostra Patria e nel segno della giustizia e della libertà ha riannodato il filo della nostra storia.

Viva la Repubblica! Viva la libertà ! Viva l'Italia!

179 Due anni al Ministero della Difesa

64° anniversario dell’affondamento della corazzata “Roma” e dei cacciatorpediniere “Da Noli” e “Vivaldi” Porto Torres, 9 settembre 2007

Autorità, Reduci, Cittadini,

nella memoria dei cittadini più anziani di Porto Torres, così nell'eco dei loro rac- conti è ancora vivo il ricordo della altissima colonna di fumo nero apparsa a levante dell'Asinara, quel pomeriggio di 64 anni fa: angoscioso segnale del dramma che tra- volgeva allo stesso tempo la nostra Marina e l'Italia tutta. Nel pomeriggio del 9 settembre 1943, ad est dell'Asinara, la flotta veniva attaccata da bombardieri tedeschi che impiegavano per la prima volta un nuovo tipo di bomba radioguidata. Due ordigni colpirono la “Roma”, la più moderna delle nostre navi da battaglia, nave ammiraglia della Flotta, provocando una serie di incendi ed esplosioni. In pochi minuti la grande nave si capovolse, si spezzò in due tronconi e colò a picco. Dei quasi duemila uomini dell'equipaggio se ne salvano solo seicento. Fra le 1350 vittime complessive di quell'infausto giorno, il Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia, l'Ammiraglio Carlo Bergamini, il Capitano di Vascello Adone Del Cima, Comandante della corazzata “Roma”.

Fra i Caduti, anche venticinque marinai sardi.

A distanza di 64 anni, torniamo oggi qui a ricordare, nel mare dove caddero e dove ancora riposano, il sacrificio di quegli uomini: dei loro Comandanti, dei marinai. Quelli della corazzata "Roma" e quelli dei cacciatorpediniere "Da Noli" e "Vivaldi", anch'essi affondati durante la breve ma cruenta battaglia. Torniamo qui per ricordare assieme alla loro presenza quei tragici giorni del set- tembre 1943, quando l'Italia visse sicuramente i momenti più difficili e tormentati della sua storia unitaria, con la guerra ormai giunta sul territorio nazionale ed una crisi politica e morale senza precedenti. Il fascismo era già caduto nel luglio precedente e si avvicinava il momento in cui

180 Discorsi e indirizzi di saluto

occorreva guardare in faccia l'amara realtà del conflitto e della triste condizione del- l'Italia, divenuta il campo di battaglia fra gli Alleati e le forze tedesche. Gli eventi dei giorni fra l'8 ed il 10 settembre sono stati minuziosamente analizzati dagli storici, anche se restano aperti interrogativi su una diversa, possibile condu- zione dell'armistizio. È comunque un fatto innegabile che le Forze Armate, già segnate da tre anni di guerra, si trovarono strette fra la rabbia del precedente alleato e la diffidenza dei nuovi. Fra tante incertezze fu molto difficile, in quelle circostanze, individuare le scelte giuste. Immedesimiamoci per un momento nell'Ammiraglio Bergamini e nei suoi uo- mini, alla vigilia di una battaglia contro gli anglo americani, in quelle ore sbarcati a Salerno. Una battaglia che si prospettava come un confronto estremo. Quella era la situazione del momento, quelli erano gli ordini. L'armistizio colse la Marina di sorpresa. Il cambio di riferimenti politici e strategici fu repentino e drammatico per Berga- mini, per i suoi Ufficiali e per tutti gli equipaggi delle unità che operavano ai suoi ordini. Improvvisamente, in poche ore, cambiò tutto. L'ordine era ora quello di dirigere verso l'Algeria per consegnare la flotta a quello che fino al giorno prima era il nemico. Possiamo solo immaginare cosa provò Bergamini, stretto fra il dovere dell'obbe- dienza ed il senso dell'onore; e a distanza di anni, siamo qui per dire che egli fece la scelta giusta. Questa non è certo l'occasione per ripercorrere le tappe di una storia che, più volte, è stata già ricordata. Oggi è il giorno del ricordo, il giorno per riportare al no- stro cuore quegli uomini: l'angoscioso travaglio al quale fu sottoposto il Coman- dante, e con lui tutti gli Ufficiali e marinai della flotta, il coraggio mostrato nella de- cisione che presero in quella drammatica giornata, l'ultima della loro vita, la deci- sione di ubbidire ad un ordine amaro, un ordine difficile da eseguire. Riportare al nostro cuore il loro travaglio e la loro scelta per rendere onore al loro merito, per esprimere la nostra riconoscenza per l'eredità del loro sacrificio. L'Italia doveva essere liberata dalla innaturale alleanza con il Reich nazista: questa era la via indicata dal sentire morale che, di lì a poco, avrebbe animato la Resistenza e la Guerra di Liberazione. Ma in quel momento Bergamini obbedì innanzitutto per il suo altissimo senso del dovere, perchè riconobbe nella voce che lo impartiva la voce dell'Italia. Il pensiero di quel dramma interiore, di quella difficilissima decisione, accresce se pos- sibile ancor di più la nostra commozione nel rievocare la memoria di tutti gli uomini della "Roma", del "Da Noli", del "Vivaldi" che caddero e riposano in questo mare. Uomini il cui comportamento fu esemplare, sin dal momento dell'uscita in mare della Flotta, poche ore prima.

181 Due anni al Ministero della Difesa

Uomini che seppero agire con straordinario coraggio e senso del dovere nel mo- mento estremo del combattimento. Altrettanto valorosi furono i sopravvissuti, che reagirono con abnegazione alla loro terribile sventura, tentando in ogni modo di aiutare quanti più compagni feriti ed ustionati potessero essere tratti in salvo. Molti persero la vita pur di dare soccorso a quelli che erano intrappolati in zone delle navi colpite e dalle quali non avrebbero potuto trovare scampo. Encomiabile fu l'opera degli Ufficiali e dei Sottufficiali, che con la loro sicurezza seppero mantenere l'ordine e salvarono così centinaia di vite. Ed encomiabile fu pure il comportamento degli equipaggi, una volta giunti a Malta, destinazione finale della Flotta. Come ordinato dall'Ammiraglio Romeo Oliva, che subentrò in comando a Berga- mini dopo la morte di questo, gli equipaggi delle nostre navi avrebbero dovuto ese- guire lealmente le clausole dell'armistizio. La leale esecuzione degli ordini da parte della Marina avrebbe infatti reso al Paese un grandissimo servizio. E così fu, così come fu eseguita la disposizione di mantenere un contegno dignitoso e riservato, pur nell'immane sventura. L'obbedienza all'ordine legittimo, è bene ricordarlo, ha un valore che travalica il pur importantissimo fondamento dell'etica militare. Con esso si manifesta il riconoscimento della legittimità delle Istituzioni in essere. Obbedendo a quell'ordine, i nostri militari assicurarono la continuità nell'esistenza dello Stato e delle sue legittime Istituzioni. Se le Istituzioni debbono la loro sopravvivenza al loro riconoscimento, dobbiamo dire che è grazie al riconoscimento, costi quel che costi, da parte della nostra Marina che esse sono sopravvissute. Che è grazie al senso del dovere della nostra Marina che esse sono sopravvissute. È grazie al consapevole sacrificio di tante vite che oggi possiamo qua ritrovare la continuità della nostra storia. È guidati da questi pensieri e da questi sentimenti che ci inchiniamo oggi al ri- cordo di tutti i Caduti della corazzata "Roma" e dei cacciatorpediniere "Da Noli" e "Vivaldi", estendendo il nostro pensiero a tutti coloro, militari e civili, che persero la vita nei primi tentativi di lotta contro i nazisti e che già ieri abbiamo ricordato a Porta San Paolo, a Roma, luogo divenuto emblema stesso del riscatto nazionale. Al collasso del sistema statuale, in quel lontano settembre, rispose la volontà dei tanti che intendevano risollevare le sorti della Patria, pur nella consapevolezza di dover sopportare nuove prove ed altri anni di traversie e sacrifici. E questa, non di- mentichiamolo, fu la scelta di tanti nostri militari, sia in Italia sia all'estero: sui campi di battaglia e nei campi di prigionia e di internamento. Presto iniziò la lotta per la libertà, una lotta che, nell'Italia del centro-nord occu- pata dal nazifascismo, vide proprio i militari fra i fondatori delle prime formazioni partigiane.

182 Discorsi e indirizzi di saluto

L'Italia rinata oggi ricorda i suoi eroi, ricorda l'esempio anticipatore di chi, fa- cendo scelte nette nei confronti del passato fascista e dell'alleanza con le forze na- ziste, diede prova di coscienza morale e di amor di Patria. Dal loro sacrificio e dal loro coraggio è nata l'Italia nuova fondata su valori di civiltà, capace e determinata nel sostenere questi valori quale patrimonio per l'umanità intera. Questo unico filo di valore, altruismo, obbedienza, lega l'impegno ed il lavoro dei nostri militari italiani lungo tutto l'arco della vicenda nazionale. Con questa convinzione guardiamo ai nostri soldati in Libano, in Afghanistan, in Kosovo e in tante altre aree del mondo, sapendo che il loro comportamento sarà sempre all'altezza delle più nobili tradizioni, le stesse che guidarono l'Ammiraglio Bergamini, gli equipaggi della corazzata "Roma" e delle altre navi della flotta ita- liana. Rivolgiamo perciò a loro l'ultimo commosso pensiero, poiché è grazie al sacrificio della loro vita che l'Italia continua il suo cammino nella giustizia e nella libertà. Qua, dove essi continuano a vegliare per noi, di questo li ringraziamo dal pro- fondo del cuore.

183 Due anni al Ministero della Difesa

Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Roma, 13 settembre 2007

Ammiraglio Di Paola, Generale Cecchi, Generale Castagnetti, Signore e Signori,

ho l'onore e il piacere, oggi, di rappresentare il Governo della Repubblica in questa cerimonia che segna il passaggio delle consegne nella carica alta e prestigiosa di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Ancora una volta tutti assieme siamo qua per celebrare, in un passaggio inesorabil- mente segnato dalla emozione, il cambiamento e allo stesso tempo la continuità di una storia: la nobile storia delle Forze Armate e dell’Esercito dentro la grande storia della nostra Patria. Per me, Ministro della Difesa dalla primavera del 2006, è la prima occasione di questo genere per quel che riguarda l'Esercito. E pensando a questi quasi cinque- cento giorni, giorni intensi e indimenticabili che abbiamo condiviso al servizio della Repubblica, non posso che esordire ringraziandola, caro Generale Cecchi, per quel che mi ha aiutato a capire, per quel che Lei e i suoi colleghi, sotto la guida dell'Am- miraglio Di Paola, mi avete trasmesso per sostenere la mia responsabilità di governo al vertice politico della Difesa. Non posso infatti dimenticare, caro Generale, i primi giorni a Palazzo Baracchini, fin dal mio primo passaggio di consegne col Ministro Martino, mio predecessore nella guida del Ministero, nè i primi briefing di illustrazione delle capacità della Forza Armata, specialmente per quel che riguarda la delicata e gravosa presenza nelle missioni all'estero. Delle sue parole ricordo la chiarezza immediata, la professiona- lità solida e consapevole che le guidava, ma soprattutto la profonda partecipazione emotiva con la quale esercitava la sua responsabilità di comando e la passione che metteva nel servizio al Paese, alle Forze Armate, alla Forza Armata. Di queste prime sensazioni ho avuto via via conferma nei successivi contatti e nei momenti che abbiamo passato insieme, sia nelle occasioni pubbliche sia - e, direi, soprattutto - nelle visite ai nostri Contingenti all'estero, quando per intere giornate mi è parso di rivivere l'informalità cameratesca dei nostri anni verdi. Lei, Generale Cecchi, ha gestito passaggi importanti della nostra storia militare re- cente. Penso al compimento della missione "Antica Babilonia", all'avvio di quella in

184 Discorsi e indirizzi di saluto

Libano, alle missioni in Afghanistan e nei Balcani. Sotto la sua guida l'Esercito ha dimostrato capacità di programmazione, tempestività organizzativa e logistica, so- lida motivazione professionale in ogni sua componente. Di questa capacità e sicurezza di guida il suo "cursus honorum" era d'altra parte una garanzia, con le esperienze di comando dell'Ufficio Operazioni dello Stato Maggiore dell'Esercito, poi di Vice Comandante di KFOR in Kosovo, quindi di Comandante del COI. Se consideriamo anche il suo incarico di Addetto per la Di- fesa presso l'Ambasciata d'Italia in Israele, in un momento in cui il nostro Paese si è trovato ad avviare una nuova missione in Medioriente, con un ruolo di altissima va- lenza non solo militare ma anche politica e diplomatica, possiamo veramente dire che Lei è stato la "persona giusta al posto giusto". È anche grazie a questo, come è a tutti evidente, che la posizione italiana nei con- fronti delle parti in conflitto è stata ed è di grande equilibrio e concretezza. È anche grazie alla sua guida che in Libano stiamo dando nuova prova di perizia nella gestione di missioni per fini di pacificazione, coniugando le capacità militari - per noi prioritarie - con quelle di sostegno alla vita civile ed alla rinascita delle am- ministrazioni locali e statali. In questo tipo di attività, le Forze Armate italiane e l'Esercito hanno ormai sviluppato una capacità e accumulato una esperienza grande se non addirittura unica che ci viene riconosciuta nel mondo intero; di essa siamo orgogliosi, orgogliosi di metterla a disposizione della Comunità internazionale al servizio della pace. Dello sviluppo di questa capacità Lei, Generale Cecchi, è stato uno degli artefici. Noi sappiamo infatti che essa è il frutto del coraggio e della umanità dei nostri uo- mini e delle nostre donne, e sappiamo che il coraggio e l'umanità vengono da lon- tano. Ma senza il grande lavoro di squadra, senza la professionalità e la lungimiranza delle scelte operate dagli Stati Maggiori, senza il corretto e flessibile "mix" di armi, mezzi, materiali e tecnologie messo a loro disposizione, questo patrimonio reste- rebbe sprecato. E in questo quadro non va poi dimenticato il grande sforzo di elaborazione con- cettuale che Ufficiali come Lei hanno sviluppato per assicurare nel corso degli anni '90 quella trasformazione epocale che ha aperto alle nostre Forze Armate la nuova prospettiva interforze, multinazionale e professionale. La sfida che tutti i Paesi usciti dalla guerra fredda hanno dovuto affrontare in un mondo privo della minaccia del- l'olocausto nucleare, ma reso più insicuro dal terrorismo e dalle tante crisi regionali. Nel corso di poco più di un decennio è cambiato nel nostro Paese il profilo delle Forze Armate, ma passi giganteschi sono stati fatti soprattutto verso la creazione di un nuovo rapporto con la società civile. Dopo la stagione della separatezza, aspra ma per alcuni versi semplice, si è passati alla stagione della maturità, segnata da un esame più attento dell'operato dello strumento militare, in termini di costi ed obiettivi. Le Forze Armate hanno conquistato nuova attenzione e rinnovato prestigio. Pro- prio per questo sono divenute una “casa di vetro”, soprattutto per quanto riguarda

185 Due anni al Ministero della Difesa

l'organizzazione interna. Con orgoglio motivato possiamo dire che, nel panorama del settore pubblico, lo strumento militare è oggi all'avanguardia, grazie all'adozione di "buone prassi" di governo.

Generale Cecchi,

oggi, è giunto il momento del congedo; la mia prima formazione militare è certa- mente assai modesta rispetto alla sua. L'ispirazione che l'ha guidata sul piano dei va- lori è tuttavia sufficiente a fornirmi le categorie per leggere i sentimenti che lei prova in questa particolare circostanza. L'aspettativa del legittimo riposo è sovrastata dal turbinio dei ricordi, dai richiami alle tante cose fatte, ai successi ottenuti, magari da qualche rimpianto per le umane imperfezioni od errori che il tempo e l'esperienza rendono più chiari. La preoccupazione è concentrata sulla perfezione del passaggio del testimone a chi ci segue nella staffetta della vita. Noi sentiamo tuttavia che a parlare è la nostra pas- sata testimonianza: a parlare con la forza dell'esempio, ai colleghi, ai collaboratori, ai successori. Così è accaduto anche a lei nelle tante esperienze di comando fino a questa al vertice dell'Esercito, che oggi si conclude; così è capitato a me nell'univer- sità, e a tanti altri nel lavoro, nelle aziende, nelle professioni. È con questa riflessione conclusiva, serena e allo stesso tempo commossa, che desi- dero ora salutare il Generale Castagnetti, che, dopo anni di carriera brillante e ricca di grandi esperienze, le subentra come Capo di Stato Maggiore. Lei, Generale Castagnetti, assume il comando in un contesto segnato dai risultati finora raggiunti e dalle nuove sfide che si annunciano, in un quadro di situazione provato dalle difficoltà economiche che gli anni trascorsi ci lasciano in eredità, ma, allo stesso tempo, arricchito dallo slancio rinnovato del Paese al servizio della sicu- rezza e della pace. Un quadro difficile da governare e da portare a sintesi. È questa la fatica che ci at- tende. È questa la fatica di questi giorni. Una fatica che ci chiama ad una ricerca senza pregiudizi. Un pregiudizio voglio tuttavia dichiararlo. Lo stesso che ho ripro- posto da quando sono alla guida del Ministero e che appena ieri ho rinnovato di fronte alle Commissioni Difesa ed Esteri della Camera dei Deputati. Un pregiu- dizio, che è un giudizio pre-esistente, un giudizio che ci viene dalla esperienza. Un pregiudizio che coincide con la preoccupazione che in questo anno il Generale Cecchi mi ha costantemente rappresentato e che stasera ha rinnovato. Questo pregiudizio è che sarebbe errato pensare di poter affrontare il problema del- l'inadeguato volume di finanziamenti andando ad incidere sulla qualità del perso- nale, che rappresenta invece la prima e più strategica delle risorse di cui disponiamo. Dobbiamo invece seguire la strada, certamente difficile, che è stata a suo tempo impostata per portare a regime e far funzionare appieno il modello fondato sul pro- fessionale.

186 Discorsi e indirizzi di saluto

Questo è un punto sul quale va rafforzandosi la convergenza all'interno del Go- verno. Appena ieri il Ministro Amato, con una dichiarazione alla stampa, ha confer- mato la necessità e l'urgenza di riaprire il turn-over del Personale delle Forze di Po- lizia, attraverso il pieno funzionamento del meccanismo di arruolamento dei Volon- tari delle Forze Armate. È una sfida, Generale Castagnetti, una sfida che affronterò con Lei, certo di poter contare sulle sue doti di militare e di uomo, sulle sue conoscenze e sulle sue espe- rienze, sulla sua capacità e sulla sua saggezza. Una sfida che affronteremo assieme, da servitori dello Stato e della Repubblica, raccogliendo e arricchendo l'impegno di chi ci ha preceduto. Con umiltà e con co- raggio. A Lei, Generale Cecchi, di nuovo un "grazie", un grazie per i giorni passati. A Lei, Generale Castagnetti, un sincero "in bocca al lupo" per i giorni futuri. A tutti e con tutti ancora una volta:

Viva l'Esercito! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

187 Due anni al Ministero della Difesa

Firma del protocollo d’intesa tra il Ministero della Difesa e il CONI Roma, 3 ottobre 2007

Presidente Petrucci, Sottosegretario Verzaschi, Autorità Militari, Signore e Signori,

con il protocollo d’intesa firmato, si rinnova la collaborazione quinquennale fra il CONI ed il Ministero della Difesa, aggiornando la convenzione in vigore, siglata nel 2002 dal Ministro pro tempore. Nell’occasione, ringrazio Lei, Presidente Petrucci, il Sottosegretario Verzaschi, tutti i dirigenti e tecnici del Comitato Olimpico e del Dicastero, che hanno lavorato per definire la nuova cornice dell’accordo. Ringrazio lo Stato Maggiore della Difesa, gli Stati Maggiori di Forza Armata e i Comandi Generali dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, che hanno esaminato preventivamente e poi approvato questo documento. Grazie al lavoro di tutti è stato possibile individuare e recepire tutte le necessarie formali richieste per aggiornare l’intesa anche alla luce dei mutati assetti organizza- tivi della Difesa e del CONI rispetto a 5 anni fa. È doveroso sottolineare che non è casuale l’uso della qualificazione “Protocollo d'intesa" anziché "Convenzione". Infatti, le parti si impegnano a tenere una linea di condotta ispirata da valori condivisi e rivolta a comuni obiettivi settoriali; vengono superate, pertanto, alcune rigidità legate ad un documento più formale, con ob- blighi scanditi in modo netto. Si conferma, come ho appena detto, il “comune sentire” fra CONI e mondo della Difesa sui valori dello sport e dell’agonismo. Un connubio che ritengo storico: in- fatti, in tutti i Paesi del mondo, le discipline sportive vengono da sempre coltivate con impegno ed assiduità nell’ambito degli organismi militari e sono considerate elemento basilare per la preparazione psico-fisica delle risorse umane, nella prospet- tiva del loro particolare e specifico addestramento ed impiego. Lo sport educa al rispetto del prossimo, al controllo di se stessi, alla fiducia nelle proprie capacità oltre, ovviamente, a fornire la base per la dovuta preparazione atle- tica e per il benessere del corpo: fattori essenziali per le attività professionali di chi, come i militari, deve avere la capacità di utilizzare la forza in modo legittimo e con- trollato.

188 Discorsi e indirizzi di saluto

Né possiamo dimenticare che lo sport militare, che fa capo al Consiglio Interna- zionale dello Sport Militare, il CISM, è una realtà di primo piano nel panorama in- ternazionale perché, proprio al suo interno, spesso si formano e si allenano i cam- pioni di tante specialità olimpiche. Nell’occasione, pertanto, rivolgo un plauso ad atleti, preparatori, tecnici e dirigenti, capaci di ottenere eccellenti risultati e di con- sentire all’Italia affermazioni prestigiose nel panorama delle competizioni agoni- stiche a livello internazionale. Con l’accordo di oggi, Presidente Petrucci, le Forze Armate confermano l’impegno a gestire i propri Centri sportivi agonistici per gli sport di interesse, con particolare riferimento a quelli olimpici. E rafforzano l’interesse a svolgere un ruolo attivo e propositivo nell’organizzazione e nello svolgimento di manifestazioni sportive pro- mosse dal CONI e dalle Federazioni sportive nazionali. Operando così, si stabilisce un equilibrio con le concomitanti attività gestite dal CISM. Dobbiamo, infatti, ottenere che lo sport militare concentri le proprie risorse sulle eccellenze, garantendo – con le attività d’istituito – il mantenimento di una sorta di “cultura sportiva di massa”, praticata e non annunciata, all’interno degli Enti e dei reparti. Il contenimento della spesa pubblica passa anche attraverso operazioni come queste; ed occorrono, allora, intelligenza, fiducia e professionalità per consolidare i risultati ottenuti pur in cornice organizzativa parzialmente mutata. Ma anche a questo compito sapremo fare fronte. Ringrazio ancora il CONI per la volontà, sempre dimostrata, di rinnovare l’im- pegno nell’affiliazione dei Gruppi sportivi militari alle Federazioni sportive nazio- nali riconosciute, per la conferma del concorso finanziario alla realizzazione di im- pianti sportivi per le Forze Armate ed all'attuazione di programmi nelle discipline sportive presenti nel panorama olimpico e in quelli delle manifestazioni di grande rilievo. Non mi resta, a questo punto, che prendere atto, con compiacimento, del lavoro compiuto ed augurare un cordiale “in bocca al lupo” agli atleti ed alle atlete che rap- presenteranno l’Italia nelle competizioni future.

189 Due anni al Ministero della Difesa

III edizione del “Premio Bravo” Roma, 4 ottobre 2007

Signore, Signori,

solo pochissime parole, da parte mia, per dare un pubblico riconoscimento al- l’azione meritoria svolta dal Centro Studi Difesa e Sicurezza, che anche attraverso iniziative come quella odierna contribuisce a rinsaldare ulteriormente il già forte le- game fra Forze Armate e dell’Ordine e società civile. Oggi si premiano 14 cittadini italiani, alcuni dei quali appartenenti alle Istitu- zioni, altri ad importanti realtà del volontariato e dell’associazionismo, tutti acco- munati dal loro agire, coraggioso e solidale a favore degli altri. Oggi, per tristissima coincidenza, si è spento un servitore dello Stato, un valoroso funzionario dei nostri Servizi di Informazione e Sicurezza, rimasto gravemente fe- rito in Afghanistan. La festa di questa sera non deve però affatto essere oscurata dal gravissimo lutto che stiamo vivendo. Gli uomini e le donne che oggi vengono premiati hanno, a loro volta, messo in pe- ricolo la loro vita, o si sono adoperati con straordinaria perizia, anche al di là del loro dovere, per salvaguardare la vita altrui. Essi sono i primi testimoni di quello spirito che ha animato, durante tutta la sua carriera, il valoroso operatore del SISMi. Attribuendo loro un giusto riconosci- mento pubblico, oggi ribadiamo con forza quanto sia importante, per tutti noi, il concreto agire a favore della libertà, della giustizia e della salvaguardia della vita umana. Fortunato è il popolo che non ha bisogno di eroi. Noi non siamo così fortunati, perché di eroi abbiamo ancora bisogno, e per questo li ringraziamo solennemente, e custodiamo nel nostro cuore il ricordo di quelli che ci hanno lasciato.

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90° anniversario della battaglia di Caporetto Kobarid (Slovenia), 20 ottobre 2007

Signor Ministro, Signor Sindaco, illustri Autorità, amici sloveni e italiani, Citta- dini di Kobarid,

a voi il mio saluto, un saluto che nasce dalla consapevolezza che i nostri Paesi con- dividono una comune prospettiva di collaborazione e di fiducia nel futuro. I luoghi, le parole, i nomi hanno una loro vita, una loro condizione mutevole. La loro vita dipende dalle circostanze storiche. Ma la vita dei luoghi e dei nomi deve di- pendere anche da noi, dalla vigilanza e dall'esercizio della nostra coscienza. Caporetto è per noi un luogo ridente nel quale si è rinnovata nel tempo la vitalità dell'uomo. Anche a distanza di 90 anni dall'avvenimento che oggi commemoriamo, Caporetto resta tuttavia un luogo e un nome di dolore, di sacrificio, di lutti, per noi e per molte migliaia di persone, a qualunque reparto o nazione essi appartennero. Nonostante sia stato detto che mai l'alba è più vicina che quando la notte è più buia, non posso infatti dimenticare che per il mio Paese Caporetto è associata al buio della notte. Ancor oggi il suo nome assurge infatti nella memoria a simbolo della sconfitta, simbolo della sconfitta militare storicamente avvenuta, e allo stesso tempo simbolo di ogni sconfitta, sino a farsi - nella mia lingua - sinonimo, parola per dire la sconfitta stessa, ogni clamorosa, radicale sconfitta. Da dove richiamare quindi, se non da qui, per noi stessi, al presente, e per le future generazioni, la necessità della vigilanza della coscienza storica? E da dove richiamare alla memoria, se non da qui, da Caporetto, la necessità di un diverso giudizio storico sul nostro passato, non tanto per non ripetere esperienze militari di questo tipo, quanto per non ripetere le parole, le idee e le loro degenera- zioni, che condussero a tutto questo e che condussero in seguito, attraverso nuove, conseguenti, degenerazioni ad altri lutti, ad altri sacrifici, ad altro dolore. Noi rendiamo onore ai morti, ai Caduti, solo se, a partire dalla nostra consapevo- lezza attuale, sappiamo dare un futuro diverso, un significato nuovo al loro sacrificio. Dobbiamo saper cogliere il presente e il futuro di ciò che è passato, dobbiamo sa- perlo trasformare in testimonianza positiva, in insegnamento, in ammonimento. E l'ammonimento oggi, oggi più che mai, dice: guardiamoci dal «nazionalismo»,

191 Due anni al Ministero della Difesa

dalle parole di qualunque conio esse siano, e ancor più dalle cose, e dai sentimenti che stanno dietro di loro. Oggi non possiamo mettere più sotto lo stesso comune denominatore l'amore della nazione e della patria, con la divinizzazione della nazione; l'amore per la giu- stizia sociale e l'uguaglianza con l'annullamento di ogni personalità, di ogni libertà individuale e sociale, con l’oppressione delle minoranze. Oggi, dopo i drammi del nazionalismo, dei fascismi e del comunismo, dobbiamo anzitutto vigilare sulle parole, perché esse custodiscono i nostri sentimenti, le nostre convinzioni, le nostre idee, i nostri valori. Riconoscere e apprezzare le differenze di razza, di cultura, di nazione, va oggi affer- mandosi nella nostra civiltà come un valore comune. Ma queste differenze costituiscono un valore e un arricchimento solo se il loro ri- conoscimento è allo stesso tempo guidato e temperato da altri valori: se sulla divi- sione prevale la solidarietà, se sulle differenze prevale la fraternità. Quel che vale nella vita interna di una nazione, deve valere anche nelle relazioni tra Nazioni e tra popoli. Per guarire le reciproche ferite del passato, per riconciliare le nostre storie oggi la Storia ci offre una grande opportunità: questa opportunità si chiama Europa. L'Unione Europea è infatti certo per noi una formidabile opportunità economica, senza la quale le nostre Nazioni, i nostri popoli conoscerebbero nuovamente insicu- rezza economica e sociale, precarietà e miseria. Ma l'Unione Europea non può essere solo questo. Essa deve diventare infatti pienamente, e al più presto, la casa comune nella quale fare convivere le nostre diverse identità, trasformandole in un arricchi- mento reciproco. Ma questo è possibile solo se impariamo a "fare memoria". Ed è per questo che siamo oggi qui. Fare memoria non è un generico, astratto ricordare. La memoria è infatti legata con il fare, con l'agire. Attraverso il dialogo e la ricerca della reciprocità, si può purificare la propria me- moria, liberarla dal risentimento. Ciascuno può ricordare e riconoscere legittima- mente il proprio dolore, per riconoscere anche il dolore dell'altro, e così facendo guardare con un sentimento nuovo al suo stesso dolore. La memoria spinge ciascuno a rientrare in se stesso. Ma questo deve aiutare il no- stro presente a diventare padrone del nostro passato, non invece a far sì che sia il no- stro passato a diventare padrone del presente. Noi vogliamo ricordare, noi siamo qua per ricordare, ma ricordare per uno scopo, per un progetto comune. E quel progetto comune deve essere grande, ambizioso, buono. Così grande e po- sitivo da poter superare i vincoli del passato e fare percepire ai nostri popoli la bontà e la bellezza di un destino comune. A partire da un progetto di futuro comune noi possiamo attribuire agli atti storici

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del passato una qualità diversa che comporti una nuova e diversa incidenza sul pre- sente, in vista della riconciliazione comune e della convivenza fraterna. C'è una memoria del futuro che dobbiamo costruire a partire da una rilettura della nostra storia alla luce di un progetto comune. C'è una memoria del futuro che noi dobbiamo costruire attraverso la riconcilia- zione tra i nostri popoli, dando alla riconciliazione una opportunità di vita e di svi- luppo, una opportunità di incontro culturale e spirituale. Solo la memoria del futuro ci potrà consentire di salvaguardare la parte migliore delle nostre identità, di affermare concretamente il contributo personale e collettivo dei nostri popoli allo sviluppo della civiltà umana. Dopo novant’anni da Caporetto noi vogliamo rinnovare la determinazione dei no- stri due popoli a costruire quella memoria del futuro che chiamiamo Europa.

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Varo di nave “Caio Duilio” Riva Trigoso (GE), 23 ottobre 2007

Saluto innanzitutto i Rappresentanti del Governo e del Parlamento, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Capo di Stato Maggiore della Marina, le Autorità ci- vili, militari e religiose, in particolare i rappresentanti delle Autorità locali, il Sin- daco di Sestri Levante ed il Presidente della Provincia di Genova. Un affettuoso saluto ai decorati di Medaglia d’Oro, ai reduci, alle Associazioni com- battentistiche e d’Arma, alle rappresentanze della Marina Militare ed a tutti i presenti. Un saluto particolare al Presidente ed all’Amministratore Delegato di Fincantieri, azienda che è espressione esemplare del livello di avanguardia raggiunto dalla cantie- ristica militare e civile nazionale, grazie all’impegno ed alla professionalità di diri- genti, tecnici e di tutte le maestranze. A tutti loro esprimo l’apprezzamento e la gratitudine del Paese per aver reso possi- bile la realizzazione di questo gioiello della cantieristica nazionale che rappresenta una risposta, ancora una risposta efficace e coerente al bisogno di sicurezza. Il varo di una nave, il primo al quale io assisto, rappresenta sempre un momento particolarmente emozionante. Nel caso della cerimonia odierna l’emozione è per- sino più grande, per lo straordinario significato insito nel varo di un’unità battezzata “Caio Duilio”. Nomen Numen; nel nome sta la forza! La potenza! Lo sapevano i nostri Padri, e lo dicevano per significare che ogni nome evoca, an- nuncia la forza che lo anima. Il motto della nave che oggi variamo sta anzitutto a ricordarci appunto il nome di Caio Duilio, l’artefice della costruzione della prima grande flotta di cui si dotò Roma e, grazie alle sue innovazioni, si affermò come principale potenza marittima del nostro mare. Negli anni, nel corso di più di un secolo, la nostra Marina ha battezzato altre tre volte unità con questo nome evocativo. In tutti e tre i casi, si trattò di unità innova- tive e potenti, capaci di suscitare l’ammirazione degli altri Paesi. Ed in tutti e tre i casi, “Nave Duilio” servì a lungo nelle fila della Marina, in pace e durante i duris- simi conflitti del secolo scorso. Il “Duilio” che variamo oggi, così come il suo gemello “Andrea Doria”, che lo ha preceduto di due anni, rappresenta anch’esso un’unità straordinariamente innovativa.

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È frutto di una collaborazione tecnologica e politica fra l’Italia, la Francia ed il Regno Unito, una collaborazione che non ha eguali nella storia di questi Paesi. Ed è l’espressione più forte della nostra comune volontà di garantire la nostra sicu- rezza mediante strumenti che siano, al tempo stesso, sofisticati ma anche caratteriz- zati dal giusto rapporto fra costi e prestazioni. È un programma, quello delle unità tipo “Orizzonte”, che affonda le sue radici nello scorso decennio. Era infatti il 1999 quando prese concretamente avvio, dopo una lunga fase di elaborazione concettuale. Questi sono i tempi necessari per realizzare le moderne unità navali; altri Governi ed altri Ministri della Difesa, prima di me, hanno approvato e sostenuto questo sforzo. Anche io sono qui, oggi, consapevole di quanto sia indispensabile proseguire con costanza i piani di progressivo rinnovamento delle dotazioni a disposizione delle Forze armate. Così come i nostri Padri piantavano alberi sapendo che non sarebbero stati loro a coglierne i frutti, e costruivano case sapendo che non sarebbero stati loro ad abitarle, così anche nella Difesa le scelte che contano sono le scelte di lunga durata. Sono scelte che chiedono di essere mantenute nel tempo. Scelte che per essere mantenute nel tempo chiedono una profonda cultura condivisa che regga al mutare dei Governi e all’alternarsi delle maggioranze politiche. L’Italia è chiamata ad un ruolo importante, all’altezza delle aspirazioni di un Paese moderno ed attivo nello Scacchiere internazionale, che da quest’anno siede nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e persegue il rafforzamento della Politica Europea di Sicurezza e Difesa, nella fedeltà agli impegni dell’Alleanza Atlantica. Il filo conduttore di questo impegno è rappresentato dalla volontà nazionale di contribuire concretamente alla pace nel mondo. Un obbiettivo che può essere raggiunto solo attraverso un processo di ampiezza in- ternazionale, mirato a creare stabilità, sviluppo e progresso, eliminando i fattori che alimentano la povertà, i conflitti e le cosiddette minacce asimmetriche. Di questo processo la sicurezza è presupposto imprescindibile, condivisibile ma non divisibile, bene primario di cui i Paesi sono al contempo “produttori” e “fruitori”. Tutti i Paesi devono essere contemporaneamente “produttori” e “fruitori”. Nei mondo globalizzato il mare è la via preferenziale per i traffici, ma anche per la criminalità, il terrorismo e per molteplici attività illecite. La dimensione marittima della sicurezza assume dunque una valenza sempre maggiore, soprattutto per un Paese come l’Italia, a prevalente vocazione marittima, proteso al centro del Mediter- raneo, bacino esposto a tensioni demografiche, sociali, religiose, economiche ed et- niche. Di qui l’importanza del ruolo della Marina Militare all’interno di quello della Di- fesa, le cui attività sono ampie ed articolate e si estendono fin dove si spingono i prioritari interessi ed impegni nazionali.

195 Due anni al Ministero della Difesa

Il quadro complessivo è condizionato dalla limitata disponibilità di risorse e carat- terizzato da una forte domanda di innovazione, di tecnologia, di integrazione e di interoperabilità. Sono richieste politiche lungimiranti, in un’ottica di massima ra- zionalizzazione, che coinvolge tutti i settori fra cui quelli del personale, delle infra- strutture, della logistica e dei nuovi mezzi. In questo contesto la Difesa persegue un programma di rinnovamento della flotta, che vede la Fincantieri svolgere un ruolo da protagonista, insieme a Finmeccanica ed alle altre realtà industriali della Difesa. Nave Cavour, il programma Orizzonte ed i sommergibili U212 sono già tangibili realtà. Il programma FREMM, come evidenziato dall’Ammiraglio La Rosa, è stato appena avviato ed è di assoluta priorità, perché vitale per la sostituzione della linea delle fregate, che operano mediamente da più di 25 anni, per non creare soluzioni di continuità nelle varie linee operative, quelle d’altura e quelle minori, è necessario ga- rantire nel tempo certezza e stabilità di finanziamento. Specie per i programmi pluriennali che necessitano di un’alimentazione costante per la loro stessa sopravvivenza, in particolare se inseriti nel quadro della coopera- zione internazionale, ove i flussi finanziari sono strettamente collegati a lavorazioni sincronizzate ed influiscono sul peso e la credibilità nei confronti dei partner. D’altra parte, la continuità della produzione nel comparto militare, in cui la tec- nologia ha grande rilevanza, significa progredire nella qualità e quindi mantenere la competitività del Paese a livello internazionale, con favorevoli ritorni anche sul piano occupazionale. Né ci sfugge come l’industria della Difesa, nel contesto internazionale, sia specchio delle capacità produttive nazionali in senso lato, con benefiche ricadute anche in settori non necessariamente collegati ad essa. Affermazione ancora più valida se riferita alle unità navali che, per loro natura e ruolo, consentono al Paese di avere grande visibilità anche fuori dai confini nazionali. Nave Duilio consentirà alla Marina di conservare le proprie qualificate capacità operative nella linea delle unità di difesa aerea che, insieme alle altre componenti, as- sicura un complesso bilanciato, idoneo a svolgere tutti i ruoli assegnati alla Marina. Nave Duilio, come è stato ricordato, è un felice condensato di tecnologia di avan- guardia, innovazione e vaste capacità operative, con un equipaggio estremamente ri- dotto rispetto ad unità analoghe della precedente generazione. Una nave dalla grande versatilità e flessibilità di impiego, idonea per operazioni non solo pretta- mente militari, pronta ad affrontare le sfide del domani ed a mostrare al mondo il meglio delle capacità produttive del Paese e della professionalità degli equipaggi. Una unità che testimonia la giustezza e la lungimiranza delle scelte adottate per il rinnovamento della flotta. Queste si sono dimostrate le scelte della Marina negli anni, sempre in linea con i tempi, talvolta anche precorrendoli. Scelte che hanno ot- tenuto apprezzamenti anche in campo internazionale dove, pure, la forte competi- zione li rende rari.

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Scelte che si sono confermate soprattutto nel corso delle operazioni internazionali. Nave Duilio testimonia anche il successo dei programmi di cooperazione interna- zionale, ove vengono messi a sistema i settori di eccellenza dei paesi partecipanti, in un’ottica di massima razionalizzazione delle risorse, una cooperazione riuscita pro- prio con quel partner privilegiato che è per noi la Francia, con la quale stiamo por- tando avanti altri importanti programmi navali. Consentitemi ora di concludere, nel senso della continuità della nostra vita repub- blicana, prendendo a prestito le parole di Giulio Andreotti, Ministro della Difesa, che nel 1962 presenziò al varo dell’allora Incrociatore lanciamissili “Caio Duilio”. Auguriamoci tutti che questa nuova, bella nave della nostra Marina possa avere una vita gloriosa e possa svolgere i propri compiti sempre in periodi di pace. E consentitemi di aggiungere, oggi così come 45 anni or sono, auguriamoci che quando sarà la volta della futura Duilio, la quinta nel nome, avremo un’industria cantieristica, una Marina e delle Forze Armate ancora più forti, più forti perché se- renamente consapevoli delle proprie capacità e del sostegno costante di tutto il Paese, nel servizio a salvaguardia della pace. A Nave Duilio ora l’auspicio di buona fortuna e lunga vita al servizio della Repub- blica. Al Comandante designato ed al suo equipaggio l’augurio di ogni successo nel solco delle migliori tradizioni della Marina.

Viva Nave Duilio! Viva la Marina Militare! Viva l’Italia!

197 Due anni al Ministero della Difesa

Consegna delle onorificenze dell’Ordine Militare d’Italia Roma, 4 novembre 2007

Signor Presidente della Repubblica,

voglio innanzitutto rinnovare a Lei, che è il Capo Supremo delle Forze Armate e dell'Ordine Militare d'Italia, un saluto riconoscente per l'attenzione costante verso quanti servono la Repubblica in armi. È un saluto che Le rivolgo a nome del Go- verno, di tutta la famiglia delle Forze Armate e mio personale. Un saluto caloroso ai membri del Parlamento, del Governo, alle Autorità e a tutti i presenti. Un pensiero speciale ai parenti dei decorandi che sicuramente conserve- ranno per tutta la vita, nei loro cuori, le immagini e i simboli di questa giornata. È significativo il fatto che ancora una volta la cerimonia di oggi si svolga, con la so- lennità che merita, in questo Palazzo del Quirinale che custodisce e rappresenta l'unità del Paese, l'unità coronata dopo troppe sofferenze dalla vittoria del 1918. Pensando al novantesimo anniversario del 4 novembre che ormai si avvicina, vo- glio ora rivolgere un pensiero commosso e riconoscente alle centinaia di migliaia di Caduti, ai feriti, ai mutilati, che soffrirono e si sacrificarono in quell'immane con- flitto. Noi non li abbiamo dimenticati. Noi non dimentichiamo il loro sacrificio, le prove alle quali furono sottoposti, la testimonianza di amor di Patria che ci hanno lasciato in eredità. Noi siamo qua per ricordare ancora una volta ogni italiano che lungo la nostra vicenda nazionale, dalle guerre del Risorgimento fino alle missioni di pace dei nostri giorni, ha servito in armi la Patria spesso pagando con la vita la propria dedizione al dovere. Ho ancora negli occhi e nel cuore, Signor Presidente, l'emozione e la commozione intensa che solo pochi giorni fa ho provato, a Caporetto, nell'onorare i Caduti di quel tragico ottobre del 1917. Ricordo ancora le immagini di quella tragedia custo- dite nel museo di quella comunità con rispetto e affetto. Risento il coro degli alpini nel sacrario che sulle falde del Monte Nero custodisce il nostro dolore assieme alle spoglie mortali di migliaia dei nostri soldati: la voce sempre fresca e struggente dei ragazzi di allora che sulle indimenticabili note di “Stelutis alpinis” rinnova il senti- mento della attesa dell'alba nel momento più buio della notte. Noi rendiamo onore

198 Discorsi e indirizzi di saluto

- voglio ripeterlo - ai morti, ai Caduti, solo se, a partire dalla nostra consapevolezza attuale, sappiamo dare un futuro diverso, un significato nuovo al loro sacrificio. Dobbiamo saper cogliere il presente e il futuro di ciò che è passato, dobbiamo sa- perlo trasformare in testimonianza positiva, in insegnamento, in ammonimento. Credo che con questo richiamo vada vissuta la cerimonia di oggi. Chi oggi riceve un giusto riconoscimento per il contributo professionale fornito nel corso di recenti missioni militari, si colloca infatti nel solco di una grande storia ove i comporta- menti esemplari del passato sono modelli pensati come guida del futuro. L'Ordine Militare d'Italia, che prosegue l'Ordine Militare, istituito da Vittorio Emanuele I nell'agosto del 1815, ha lo scopo di riconoscere il merito militare per le azioni distinte, compiute in guerra e in tempo di pace, dalle unità delle Forze Ar- mate e dell’Arma dei Carabinieri e dai singoli militari ad esse appartenenti, pre- miando la qualità personale, a riconoscimento di un percorso di vita che sia consi- derato professionalmente meritorio, sulla base delle prove di perizia dimostrate, del senso di responsabilità e del valore. Le motivazioni che accompagnano queste onorificenze inquadrano bene, nel loro peculiare linguaggio, la specificità degli anni che stiamo vivendo e che vedono l'Italia impegnata a contribuire, con responsabilità crescenti, alla difesa della sicu- rezza internazionale, della legalità e della pace. Sono motivazioni che descrivono come le nostre Forze Armate siano riuscite ad in- tervenire con efficacia anche in Teatri operativi lontani, con una professionalità ri- conosciuta a livello internazionale. Dal Libano ai Balcani, dall’Iraq all'Afghanistan, il nostro strumento militare ha di- mostrato elevate caratteristiche di capacità e flessibilità nelle operazioni di ripristino dell'ordine e di salvaguardia della pace. Né può essere dimenticata l'azione svolta nel campo del supporto agli aiuti umanitari, con interventi volti a garantire il soccorso sanitario e la salvezza di vite umane. Se si considera nell'insieme l'azione svolta dalle nostre Forze Armate in questi ul- timi due decenni, emerge un affresco straordinario di impegno, di intelligenza, di umanità e di capacità che segna in modo determinante la storia dell'Italia di oggi. Se, dopo gli angusti anni della guerra fredda il nostro Paese è diventato un mo- derno Paese europeo, questo è stato anche grazie a quanto le nostre Forze Armate hanno fatto all'estero al servizio della pace e della sicurezza del mondo. Intorno alle missioni internazionali è maturato infatti nella pubblica opinione un sentire nuovo, che ha consentito il superamento di vecchi steccati e di anacronistici tabù, e ha accresciuto l'attenzione e il consenso verso l'azione dello strumento mili- tare, così come avviene da tempo per le Forze Armate dei principali Paesi alleati.

Signor Presidente,

la vita militare è contrassegnata da un tratto del tutto particolare. Ad un militare

199 Due anni al Ministero della Difesa

può essere infatti chiesto di sacrificare la propria vita per il bene dei concittadini, dei propri commilitoni, della Repubblica. L'Ordine Militare d'Italia si ispira a valori che noi consideriamo perenni: l'im- pegno, lo spirito di sacrificio e di servizio, il coraggio morale, la capacità di prendere decisioni anche in situazioni difficili, continuano ad essere riferimenti stabili per l'azione e per la vita. Sono questi valori che hanno guidato gli uomini che oggi sono qui davanti a Lei, Signor Presidente. È con queste considerazioni che ora mi rivolgo a chi oggi riceve il giusto riconosci- mento per il proprio operato. A loro esprimo sincero apprezzamento per quanto fatto e confermo l'ammirazione di tutte le Forze Armate per il loro comportamento, oggi proposto ad esempio per tutti gli uomini e le donne in uniforme. La libertà, la democrazia, l'ordine e la sicurezza della Repubblica sono beni pre- ziosi, beni irrinunciabili. Di questi beni, oggi come ieri, le Forze Armate sono poste a difesa e salvaguardia. Di questo esse hanno piena consapevolezza. Grazie alla consapevolezza del mandato ad esse affidato dalla Costituzione e alla professionalità dei loro uomini e delle loro donne, grazie alla loro piena condivi- sione dei fini e alla loro capacità di padroneggiare i mezzi, da Ministro della Difesa posso affermare che su di esse la Repubblica può fare pieno affidamento.

200 Discorsi e indirizzi di saluto

Posa della prima pietra del monumento ai Caduti di Nasiriyah Roma, 12 novembre 2007

Autorità, familiari dei Caduti, Cittadini,

quattro anni fa, qua nella Basilica di San Paolo, l'Italia intera si strinse intorno alle salme dei militari dell'Esercito, dei Carabinieri e dei civili vittime dell'attentato ter- roristico di Nasiriyah. Lo ricordiamo tutti come se fosse ieri. Fu un abbraccio affettuoso, uno slancio di affetto, uno spontaneo moto di popolo. Ricordiamo il silenzio commosso dei cittadini che parteciparono al corteo funebre dopo aver affollato, per giorni, la camera ardente al Vittoriano, dove, pochi minuti fa, ci siamo ancora una volta ritrovati per ricordare i Caduti in Iraq e tutti i militari che hanno servito la Patria. Dopo quattro anni ci ritroviamo negli stessi luoghi, per onorare le vittime di quel tragico evento e per porre la prima pietra del monumento alla loro memoria. Una decisione fortemente voluta dal Ministro Francesco Rutelli e sostenuta da tutte le Amministrazioni locali, con una determinazione pari a quella manifestata dall'Esercito e dell'Arma dei Carabinieri. Sento perciò il dovere, innanzi tutto, di ringraziare l'amico e collega di Governo, il Comune di Roma, la Provincia e la Regione Lazio, per il contributo morale e mate- riale alla realizzazione dell'opera. Roma rinnova così il suo legame con le Forze Armate, presenti in modo consi- stente in questo territorio. I militari e le loro famiglie sono una realtà rilevante e dinamica della vita della Ca- pitale. Ed è questa una delle ragioni della vicinanza che la città ha dimostrato nei momenti tristi del lutto e del dolore. Ed è perciò che, a nome di tutta la grande famiglia militare, ringrazio il Presidente della Repubblica per il caloroso messaggio inviato in occasione del 4 novembre, Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, e per le parole di vici- nanza e di affetto che ha espresso in questa occasione. Ma oggi il nostro pensiero si rivolge, con particolare calore e intensità, ai parenti dei Caduti, a voi parenti dei Caduti, dei Caduti del 12 novembre 2003, che sono qui presenti così numerosi.

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Il monumento che sorgerà in questo luogo ricorderà tutti i loro cari, e assieme e attraverso essi sarà una occasione per ricordare gli altri Caduti in Iraq e nelle altre missioni svolte dalle nostre Forze Armate fuori dei confini nazionali, al servizio della pace e della sicurezza del mondo. Oggi è certo il momento del ricordo e del dolore per i nostri Caduti. Ma oggi è anche il momento dell'orgoglio per l'impegno delle Forze Armate e di tutto il Paese a sostegno degli ideali di libertà, giustizia, democrazia, pace. Noi siamo qui per dire ai nostri Caduti che non li abbiamo dimenticati, ma anche che non abbiamo dimenticato l'ispirazione che guidò i loro passi al servizio della missione che la Repubblica aveva a loro affidato. Nell'articolo 11 della nostra Costituzione i nostri Padri ci hanno lasciato in eredità come mandato il ripudio della guerra, ma anche il rifiuto dell’indifferenza e l'im- pegno attivo al servizio della pace. È in nome di questo mandato che noi siamo oggi nei vicini Balcani, per difendere i diritti delle minoranze e contrastare il ritorno della lunga stagione di violenza che ha segnato il passato. È in nome di questo mandato che noi difendiamo la pace e la sicurezza in tanti paesi martoriati, ancora martoriati, dal Libano all'Afghanistan, per offrire una possibilità allo sviluppo sociale e al diritto. Per dire "no" alla rassegnazione. No alla resa alle ragioni del terrore, del fanatismo, della violenza. Ed è questo il messaggio morale dei nostri Caduti di Nasiriyah. Il secolo appena passato ha visto troppi orrori dovuti alla cecità della ragione, al- l'irrisione delle tradizioni religiose e civili, alla fanatica fiducia in nuove utopie. Non vogliamo ripercorrere vie costellate di ricordi raccapriccianti o di compromessi vili. Restiamo saldi, aperti al divenire del mondo, forti nei nostri valori di rispetto della vita, della giustizia, della libertà. Per questo ci inchiniamo davanti a chi questi valori li ha difesi anche nelle situa- zioni più estreme e difficili. È passato quasi un anno da quando, a Nasiriyah, abbiamo ammainato per l'ultima volta il Tricolore che lì ha sventolato per 1273 giorni. Ho ancora nel cuore le emo- zioni provate in quei momenti. Un'emozione condivisa da molti: dai rappresentanti del popolo iracheno a quelli delle Forze alleate che con noi hanno vissuto tutte le fasi della missione. Emozione e sentimenti che oggi, qui, desidero trasmettere ancora una volta ai fa- miliari dei Caduti, ai feriti, alle Autorità, ai militari, a tutti i cittadini presenti e a tutti gli italiani. Sono sentimenti forti e sinceri di gratitudine verso i nostri soldati che hanno bagnato col loro sangue quelle terre lontane e le hanno, così, legate per sempre al nostro cuore e alla nostra memoria. A tutti loro, ai cittadini italiani e a quelli iracheni che ne hanno condiviso la triste sorte, rivolgiamo ancora una volta il nostro pensiero più affettuoso. Nessuno di- menticherà il loro sacrificio e la loro testimonianza. Mai.

202 Discorsi e indirizzi di saluto

Giornata in difesa dell’ambiente Roma, 15 novembre 2007

Colleghi di Governo, Autorità, Dirigenti e personale della Difesa,

il tema ambientale è oggi un elemento centrale nelle dinamiche globali che coin- volgono le società civili come le grandi Istituzioni, a fondamento di quella che noi chiamiamo “Comunità internazionale”. Il premio Nobel per la pace conferito ex aequo ad Al Gore e al Comitato intergo- vernativo per i mutamenti climatici dell'ONU ne è una testimonianza inequivoca- bile. Si va finalmente affermando una diffusa e profonda sensibilità ambientale anche negli ambiti culturali dove tale tematiche erano sinora rimaste ai margini. Esiste ormai la diffusa convinzione che non vi è sviluppo vero senza tutela delle risorse del pianeta e che, al tempo stesso, non è attraverso il saccheggio delle risorse naturali che i Paesi in via di sviluppo possono raggiungere stabili livelli di benessere. In questo contesto di crescente consapevolezza della centralità della difesa dell’am- biente presso un crescente numero di Istituzioni pubbliche e private, posso affer- mare con serenità che la Difesa si trova perfettamente a proprio agio, avendo già da molti anni avviato lo studio di tale problema ed avendo praticamente messo in atto concrete misure di salvaguardia ambientale. Il pensiero immediato va alla cura con cui la Difesa ha saputo tutelare significativi tratti del territorio nazionale, impiegati per le attività addestrative delle Forze Ar- mate. Ebbene, queste aree rappresentano molto spesso un “polmone verde” per le regioni che le ospitano, grazie all’interdizione totale alla costruzione di quella edi- lizia speculativa che ha invece devastato tante zone pregiate del nostro territorio, so- prattutto in prossimità delle coste. La Difesa è poi, da sempre, all’avanguardia nella ricerca di soluzioni tecniche per ridurre al minimo i consumi di energia e di acqua. Si tratta di una necessità deri- vante dal dover operare in contesti dove gli approvvigionamenti sono quanto mai difficili, se non impossibili. Ecco allora la cura verso il risparmio energetico, o l’estrema attenzione posta per il recupero delle acque. Questa sensibilità della Difesa è d’altra parte anche il frutto delle esperienze con- crete che i nostri militari vivono quotidianamente nelle tante missioni fuori area.

203 Due anni al Ministero della Difesa

Le esperienze di questi ultimi decenni ci insegnano infatti che esiste una correla- zione diretta fra il collasso delle entità statuali e la presenza di conflittualità, da un lato, ed il degrado dell’habitat umano e degli ecosistemi, dall’altro. Ogni Teatro operativo fuori dei confini nazionali, dai Balcani al Medioriente, al- l’Africa, all’Asia, ove operano o abbiano operato i nostri soldati, è caratterizzato anche da problematiche ambientali – nella più ampia accezione del termine – come ulteriori fattori di complicazione dello scenario politico e militare. Ma sarebbe un vero e proprio controsenso, per la Difesa, ignorare in Patria quei ri- ferimenti, quei valori, che si rispettano e si vanno a tutelare all’estero. Ecco perché ci sentiamo fortemente impegnati a replicare, ovunque possibile, le misure di risparmio delle risorse naturali e di riduzione dell’impatto delle nostre at- tività sull’ambiente. Non si tratta, dobbiamo riconoscerlo, di un impegno facile. Il patrimonio edilizio militare, nonostante gli sforzi compiuti, risulta in gran parte obsoleto e poco adatto a garantire il giusto livello di qualità della vita, né diversa- mente può essere per una Istituzione secolare come quella delle Forze Armate. Ma questo non autorizza certo una resa allo spreco, all’inefficienza, al brutto. Stante la scarsità delle fonti di energia ed il loro costo, la ricerca di un’edilizia tecni- camente avanzata è una necessità economica, non solo un dovere morale. Ecco perché dobbiamo intensificare il nostro impegno nella ricerca e nell’attua- zione di quelle soluzioni tecniche che permettano di ottimizzare l’impiego di risorse energetiche nelle infrastrutture esistenti Da questo punto di vista, reputo estremamente interessante il progetto per la produ- zione di energia fotovoltaica in alcune caserme nel complesso della Cecchignola; un esperimento innovativo di sicuro valore per razionalizzare il fabbisogno energetico. Con città congestionate, è poi necessario anche ripensare la presenza militare, per evitare di aggravare i problemi complessivi della mobilità e – al tempo stesso – di compromettere le esigenze operative dei reparti. Per questo, dobbiamo continuare ad ottimizzare l’impiego delle infrastrutture sul territorio, ricorrendo anche alla permuta delle aree e degli edifici posti in aree troppo congestionate, a favore di una rilocalizzazione in zone dove sia possibile rea- lizzare infrastrutture concepite e realizzate secondo i più moderni standard. Questo ci permetterà anche di ridurre l’impatto delle nostre attività istituzionali sui sistemi di mobilità dei grandi centri urbani, sistemi oggettivamente in difficoltà a soddisfare le attuali esigenze della cittadinanza. Desidero anche porre l’accento sul contributo indiretto che la Difesa fornisce alla tutela dell’ambiente, grazie alle ricadute nel settore civile delle più avanzate tecno- logie sviluppate con i fondi della Difesa, perché destinate a soddisfare i severi requi- siti militari. Uno degli esempi più immediati è certamente quello delle celle a combustibile, già impiegate operativamente sui nuovi sottomarini della nostra Marina Militare.

204 Discorsi e indirizzi di saluto

Anche grazie alla realizzazione di tale innovativo sistema di alimentazione per i mo- tori elettrici dei sottomarini, e alla severa sperimentazione che deriverà dall’impiego dei nuovi battelli, sarà in futuro più facile realizzare autovetture a zero emissioni, ali- mentate appunto da celle a combustibile e spinte da motori elettrici.

Colleghi di Governo, Autorità, Dirigenti e personale della Difesa,

il seminario di oggi, la realizzazione dell’impianto fotovoltaico sulla caserma “Baz- zani” sono certo piccole cose se confrontate con la grandezza del problema ambien- tale. Eppure, credo che l’organizzazione di questo seminario sia una testimonianza diretta dell’importanza, anche per la Difesa, di tutti i temi riguardanti la tutela del- l’ambiente, una vera priorità da seguire con attenzione e determinazione ad ogni li- vello di responsabilità. Ringrazio il Segretario Generale della Difesa, il Direttore Generale dei Lavori e del Demanio e quanti hanno lavorato per organizzare l’evento odierno. Ringrazio i rap- presentanti delle Associazioni ambientalistiche, per l’attenzione che hanno inteso ri- volgere a questa nostra iniziativa, attenzione testimoniata dalla loro presenza. Rivolgo un ringraziamento caloroso agli illustri professori, Vincenzo Naso e Mauro Spagnolo, per il prezioso contributo della loro esperienza e capacità. Ad ognuno dei partecipanti rivolgo un cordiale augurio di “buon lavoro”, certo della comune consapevolezza dell’importanza epocale dei temi trattati.

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Convegno sul tema “50 anni dopo il Trattato di Roma e prospettive della Difesa Europea” Roma, 15 novembre 2007

Il convegno che si è svolto oggi, in questo nostro storico palazzo che sempre più si dimostra il cuore pulsante della formazione del pensiero strategico in Italia, ha con- tribuito certamente ad una efficace riflessione comune sul tema della Difesa europea. Quest’anno si celebrano i cinquanta anni dalla firma dei Trattati di Roma. Si tratta di una ricorrenza estremamente significativa, che ci induce a riflettere sulla strada percorsa fino ad oggi, e soprattutto sulla strada che ci attende di fronte a noi. Cinquanta anni sono un periodo di tempo importante. Poche unioni sopravvivono per cinquanta anni. Quelle che ci riescono sono in ge- nere i matrimoni più solidi, quelli in cui la volontà comune di condividere le gioie e le difficoltà della vita pian piano cementano sempre più la coppia. Quando ad associarsi ed a integrare in forma via via più profonda i propri sistemi politici, economici e sociali sono gli Stati, si è certamente di fronte a dei percorsi storici di straordinaria importanza ed intensità. L’Europa, l’attuale Unione Europea, lo sappiamo tutti, nacque con obiettivi ambi- ziosi, tanto più ove si consideri la terribile frattura fra le genti d’Europa creata dagli innumerevoli conflitti che nei secoli avevano sconvolto il Vecchio Continente. Nacque in un momento storico in cui la stessa Europa era divisa in due da una contrapposizione apparentemente immutabile ed irreversibile. Conosciamo quali e quanti mutamenti l’Europa ha vissuto in questi decenni. De- cenni di pace, finalmente, ma certo non decenni di tranquillità, per i tanti cambia- menti – alcuni anche segnati dalla violenza – che le nostre società hanno vissuto, nel loro progredire verso forme di democrazia sempre più mature. La forza straordinaria insita nel pensiero per molti versi visionario dei Padri fonda- tori dell’Europa – Schuman, Adenauer, De Gasperi, Spinelli, Monnet, solo per ci- tarne alcuni – ha fatto sì che quell’idea potesse sopravivere, ed anzi rafforzarsi, tanto da coinvolgere sempre più profondamente, nell’animo come nella ragione, le centi- naia di milioni di cittadini dei nostri Paesi. Negli ultimi anni il processo di integrazione europea ha, se possibile, persino ac- celerato il suo cammino, procedendo sia nel senso di una ulteriore espansione geo-

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grafica dell’Unione, sia con un approfondimento dei legami che ci vincolano l’uno all’altro. Sappiamo che l’allargamento dell’Unione non è un processo concluso. Altri Paesi si uniranno a noi, ampliando ancora di più la famiglia europea che, fra non molto, coinciderà quasi totalmente con l’intero Continente. Ma al tempo stesso non possiamo trascurare l’altro “allargamento”, quello delle competenze, delle funzioni che l’Unione assume progressivamente su di sé. Anche in tale ambito abbiamo compiuto un lungo tratto del nostro cammino; l’integrazione dei sistemi economici, la moneta unica, la libera circolazione sono tutti traguardi che parevano irraggiungibili e che invece sono stati conseguiti, tal- volta con difficoltà, talvolta grazie al formidabile slancio che l’adesione ai valori eu- ropei ci ha assicurato. La Politica Estera e di Sicurezza Comune è un’altra realtà importante, un’altra fon- damentale componente dell’edificio europeo che tutti noi, durante questi decenni, continuiamo a costruire. Sappiamo bene che senza la dimensione della sicurezza, l’edificio europeo rimarrà incompleto. Siamo consapevoli del fatto che senza una comune visione, e una comune ed effi- cace azione per la tutela dei nostri interessi collettivi, noi Europei vivremo crescenti difficoltà per affermare e difendere i nostri valori. Molti passi avanti sono già stati compiuti. Gli illustri relatori oggi intervenuti a questo seminario hanno saputo illustrare effi- cacemente i progressi conseguiti. D’altra parte, è giusto anche segnalare che il processo di integrazione fra le compo- nenti militari dei Paesi dell’Unione non sta procedendo con la velocità che tutti noi vorremmo. Ciò è dovuto essenzialmente a due fattori. In primo luogo, sul piano istituzionale non si è ancora materializzato quel “salto di qualità” che possa consentire di snellire il processo decisionale, garantendo la for- mulazione efficace della Politica Estera e di Sicurezza Comune, nonché una catena di comando integrata a livello europeo. In secondo luogo, l’integrazione fra le componenti militari dei Paesi europei è un processo particolarmente complesso e reso ancora più difficile dai tantissimi im- pegni che tutti i Membri dell’Unione stanno affrontando, nelle molteplici missioni fuori area. Questa incessante attività riduce ovviamente le risorse disponibili per quel pro- cesso di ammodernamento di lungo periodo che potrà nel tempo far convergere le Forze armate dei Paesi europei verso standard comuni. Ma dobbiamo anche riconoscere che la carenza di risorse – la maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea investe meno del 2% del Prodotto Interno Lordo nella Difesa – rende tale processo di convergenza molto difficile da realizzare.

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Esistono ferree regole di convergenza economica che impongono ai Governi na- zionali delle scelte a volte dolorose in tema di spesa pubblica. Ciò è certamente posi- tivo, e dimostra la capacità dell’Europa di indurre comportamenti virtuosi presso tutte la Capitali. Tuttavia, anche la Politica Estera e di Sicurezza Comune rappresenta un vitale obiettivo per l’Europa, ed in tal senso credo che sarebbe giusto riconoscere agli inve- stimenti finalizzati a tale obiettivo una maggiore priorità, sia a livello nazionale che a livello comunitario. Fondamentale è poi il contributo che la base industriale della Difesa fornisce alla nostra sicurezza, così come alla competitività dell’Europa sul piano globale. Oggi l’industria europea compete ad armi pari, in molti settori, con l’industria della difesa statunitense, pur avendo a disposizione un mercato, per così dire “in- terno”, di gran lunga più piccolo. Questo lo si è potuto ottenere grazie alla capacità di razionalizzare ed integrare a li- vello internazionale la produzione e gli investimenti più impegnativi, ad una velo- cità probabilmente superiore a quanto fatto a livello istituzionale. Infine, desidero ricordare l’importanza di mantenere saldamente collegate la di- mensione europea della difesa e la dimensione atlantica. Il rapporto con gli Stati Uniti rimane vitale, per i singoli Paesi europei e per l’Unione Europea nel suo complesso. Deve essere un rapporto leale, come si conviene fra veri alleati. Non devono esi- stere ombre capaci di oscurare anche solo in parte lo straordinario successo di un Al- leanza, quella atlantica, che ha permesso di mantenere il nostro Continente in pace negli ultimi sei decenni. Ma se vogliamo evitare che gli spettri dell’isolazionismo tornino ad animare i di- battiti politici, in Nord America come in Europa, noi Europei abbiamo il dovere di fare di più, sia in termini di assunzione di responsabilità, sia in termini di risorse as- segnate alla nostra politica estera e di difesa. Un maggiore sforzo di tutti i Membri dell’Unione è quindi indispensabile sia per far realmente e definitivamente convergere le nostre politiche di difesa nazionali in un alveo realmente integrato a livello europeo, sia per assicurare all’Europa il giusto peso nei rapporti transatlantici e nelle dinamiche globali. Con questo auspicio, che è anche un esplicito proponimento per ciò che attiene alle mie responsabilità di Ministro della Difesa italiano, desidero concludere questo mio saluto. Vi ringrazio per aver saputo animare questo seminario e per aver portato nuovi ar- gomenti su cui riflettere, nell’arduo ma irreversibile cammino che ci porterà ad una comune difesa europea.

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Convegno sul tema “Soft power e jihadismo globale” Roma, 28 novembre 2007

Illustri Professori, colleghi, signore e signori,

consentitemi innanzitutto di rivolgere un saluto, che è anche un esplicito ringra- ziamento, agli organizzatori di questo convegno odierno. Penso che il tema, quello del cosiddetto “soft power” come strumento di contrasto al jihadismo globale, è estremamente interessante, si presta infatti ad una elabora- zione teorica, o prettamente accademica, lo dico da accademico, ma anche ad una analisi operativa, strettamente legata alle scelte che le autorità responsabili, siano esse politiche o tecniche, sono chiamate ad affrontare nell’esercizio delle funzioni di Governo e di amministrazione, a tutti i livelli. In virtù del contesto scientifico e culturale in cui ci troviamo oggi, desidero pro- porre alcuni spunti di riflessione che possano favorire in qualche modo i lavori di questo convegno. Vi prego quindi di non meravigliarvi se, durante questo mio intervento, troverete più domande che risposte, più motivi di dubbio che certezze. Non voglio abdicare alle mie responsabilità di Governo, ma in questa sede, ed in questa circostanza, credo che sia necessario anzitutto favorire la circolazione e l’avanzamento della conoscenza. Verrà poi il momento della sintesi, quando avremo la possibilità di leggere gli atti di questi tre giorni di lavoro. Sarà allora che potremo apprezzare compiutamente il beneficio che iniziative come queste possono arrecare a tutti noi. Iniziamo dunque con una prima riflessione, che investe direttamente il titolo scelto per il convegno. Comprendo appieno la centralità del problema rappresentato dal “jihadismo glo- bale”, ma credo che sarebbe quanto mai pericoloso non esplicitare i limiti concet- tuali che una definizione troppo specifica può generare. Nella accezione più diffusa la “jihad” è legata strettamente al proselitismo e soprat- tutto all’affermazione violenta del proprio credo religioso da parte dei fondamenta- listi islamici. In questi termini, essa rappresenta innanzitutto una chiara minaccia sia per i re-

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gimi moderati dei Paesi a maggioranza islamica, sia per le stesse società civili di quei Paesi, sottoposte a tensioni che possono certamente ostacolare o bloccare le dina- miche sociali e culturali. Ma la jihad – sempre intesa nel senso appena descritto – costituisce ovviamente anche una minaccia per le nostre società, dove risiede ormai un numero consistente di cittadini di fede islamica e dove esistono quindi delle importanti comunità che possono divenire l’obiettivo dei fondamentalisti. Tuttavia, la minaccia rappresentata dal jihadismo di matrice fondamentalista non può essere analizzata al di fuori del contesto complessivo dell’evoluzione degli Stati moderni e dei rapporti fra Istituzioni e componenti sociali. Abbiamo chiaro in mente cosa siano gli “Stati moderni”. Abbiamo chiaro cosa si intenda per “Stato westfaliano” e siamo consapevoli di quanto abbia inciso sull’evo- luzione delle nostre società e dei nostri sistemi politici quello specifico modello di Stato. In alcune epoche lo Stato moderno ha avuto caratteri certamente autoritari. Nel secolo appena trascorso abbiamo avuto molti esempi di ideologie politiche assolu- tiste che hanno prodotto ogni genere di violenza sulle stesse società alle quali erano sovrapposte. Per lungo tempo gli Stati hanno mantenuto un controllo particolarmente rigido sui sistemi economici, sulle dinamiche politiche, sulla stessa evoluzione culturale. Indipendentemente dalla presenza di caratteri autoritari e dirigistici, lo Stato mo- derno è associato, pressoché unanimemente, al principio del monopolio nell’uso della forza legittima. Ma la realtà in cui siamo immersi oggi non coincide più con questo modello, al- meno non totalmente. Da anni, forse da qualche decennio, stiamo vivendo un processo di erosione delle prerogative tipicamente attribuite agli Stati. I sistemi economici sembrano spinti da un indomabile impulso alle liberalizza- zioni, ovverosia all’abbandono dei vincoli differenti da quelli generati dagli stessi meccanismi del libero mercato. Il riconoscimento dell’autorità dello Stato trova sempre maggiore resistenza da parte delle élites culturali, sia quelle interne agli stessi Stati, sia quelle internazionali o trans-nazionali, sicché molti dei regimi autoritari del secolo passato hanno lasciato il posto a sistemi democratici. In quei Paesi dove la democrazia era stata conquistata già da lungo tempo stiamo assistendo sempre più spesso alla decentralizzazione dei processi politici, che ali- mentano quel fenomeno di particolarismo territoriale definito come “nimbismo” – not in my back yard – un fenomeno che si propone, nella sua estremizzazione, come un sistema di anti-governo e di anti-politica, piuttosto che come rivendicazione de- centrata della cosa pubblica. In questo contesto, le dinamiche sociali sembrano talvolta non più controllabili

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con i tradizionali strumenti della politica, prima fra tutte la mediazione fra interessi divergenti, a favore di una sintesi superiore che soddisfi gli interessi della collettività. I protagonisti, gli “astri nascenti” di questa nuova fase storica, talvolta chiamata “post-moderna”, sono delle entità sociali non istituzionali e non istituzionalizzate. Queste entità non assumono infatti una forma prestabilita e automaticamente ri- conoscibile, né sono in genere riconosciute come entità formali, cioè struttural- mente inserite nell’architettura politica ed istituzionale. Ebbene, in un contesto in cui le Autorità formali, a cominciare dalle organizzazioni statuali tradizionali, vedono ridotte, erose progressivamente le proprie capacità di go- vernare le società, si aprono spazi sempre più ampi per le entità non istituzionali, che sanno immediatamente sfruttare ogni opportunità per accrescere il loro peso. In parte questo fenomeno è positivo; nel mondo di oggi la circolazione delle idee, della cultura in generale è più rapida, più efficace, più profonda. Questa è una delle modalità con cui si svolge il fenomeno della cosiddetta globalizzazione, una moda- lità che, per quanto possa essere paradossale, talvolta assume proprio la globalizza- zione a bersaglio qualificante. Ma esistono evidentemente anche molti aspetti preoccupanti, a cominciare dal venir meno dei principi che regolano la sicurezza in un sistema di relazioni interna- zionali di tipo tradizionale, o “westfaliano”. Purtroppo, le minori capacità degli Stati di controllare le dinamiche politiche e so- ciali si traducono anche in minori capacità di controllare i conflitti. E tali conflitti, nati all’interno di un determinato contesto storico e sociale, possono facilmente espandersi verso i contesti limitrofi, raggiungendo altre collettività e magari altri Stati. La divisione dei compiti fra le Autorità dei diversi Stati nel mantenimento della si- curezza e dell’ordine diviene allora sempre più difficile. Il principio “cuius regio, eius religio” sancito nel Trattato conseguente alla Pace di Augusta del 1555 e poi confermato dalla Pace di Westfalia del 1648, era certamente un principio illiberale. Esso tuttavia servì quantomeno a ridurre le guerre di religione in Europa e ha rap- presentato uno dei cardini concettuali nella definizione delle prerogative degli Stati moderni. Dobbiamo riconoscere che da molti anni esso ha di fatto perduto ogni ef- fettività. Consideriamo poi l’impatto di quella che è la più grande rivoluzione dei nostri giorni, ovverosia la rivoluzione tecnologica, che ha reso quanto mai rapide, sicure e soprattutto economiche le telecomunicazioni. Riflettiamo sulla portata straordinaria delle trasmissioni delle voci e delle immagini, via internet o anche via etere, in tempo praticamente reale in ogni angolo del globo. Ciascuno di noi è ovviamente un utente – qualcuno un accanito utilizzatore – di questi strumenti, che fatico a definire “nuovi” o “rivoluzionari”, essendo ormai en- trati stabilmente nel nostro mondo, nel nostro modo di vivere e di lavorare.

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Ebbene, forse inconsapevolmente ciascuno di noi è diventato anche un “attore glo- bale”, perché con questi strumenti è in grado di farsi ascoltare potenzialmente in ogni parte del mondo. Quella che per molti di noi è una potenzialità inconsapevole, per altri è invece una realtà perfettamente conosciuta e sapientemente sfruttata. Chi riesce ad inserire nella rete globale dei messaggi capaci di suscitare attenzione, curiosità – magari morbosa – oppure un genuino interesse, può realmente definirsi un “attore globale”. Pensiamo, ad esempio, a quanta diffusione può avere un filmato di una strage o anche dell’uccisione di un singolo essere umano. E pensiamo a quanto possa essere efficace un simile messaggio, giacché può essere recepito ed utilizzato in forme differenti, senza dover essere di volta in volta adattato alla comunità di destinazione. Un video nel quale si vede uccidere un uomo, magari con il taglio della gola, pro- duce effetti immediati sulle pubbliche opinioni in tutto il mondo. Ma ciascuna di esse elabora il messaggio in forma differente, sulla base del proprio specifico con- testo culturale. Nessuna azione diplomatica, o anche militare, di tipo tradizionale potrebbe avere un effetto tanto immediato e tanto profondo sulle coscienze delle popolazioni, se non in tempi molto più lunghi, e dopo l’impiego di risorse molto più grandi. In sostanza, la rivoluzione tecnologica ha semplificato enormemente la comunica- zione. Questa rivoluzione è avvenuta in una fase in cui i modelli tradizionali di Stato e di società – modelli gerarchici e ordinati – sono stati progressivamente erosi e soppiantati da modelli non-gerarchici e a loro modo caotici, ed ha fornito un po- tenziale realmente straordinario di influenza sulle dinamiche globali; un potenziale disponibile per tutti gli attori non istituzionali che sanno saputo cogliere e sfruttare questa novità. Quello che più conta è inoltre che questi nuovi attori sono attori globali: attori globali nel potenziale di influenza, ma non globali nel grado di influenzabilità. Per esercitare la propria influenza, non è necessario essere riconosciuti come una componente del mondo politico, economico o culturale per poter immettere nella rete i propri messaggi. Non è necessario “istituzionalizzarsi”, quindi accettare com- promessi, pagare dei costi. Si può agire su un piano globale, si può raggiungere il cuore e la mente di comu- nità vastissime, o magari di singoli individui posti nell’altro emisfero, senza dover necessariamente sottostare a regole comuni e condivise, e senza dover necessaria- mente ascoltare e esporsi all’influenza dei messaggi dei nostri interlocutori. Stando così le cose, si sarebbe quasi portati a ritenere che si sia per alcuni versi sulla soglia dello scioglimento degli Stati e delle organizzazioni politiche ed istituzionali di tipo tradizionale. Ma questo, evidentemente, non possiamo proprio permettercelo.

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Senza gli Stati, come noi ancora li concepiamo, non avremmo un mondo più li- bero, più dinamico, più efficiente, ma rischieremmo di trovarci in una situazione opposta a quella che i profeti della dissoluzione degli Stati sembrano auspicare. Senza gli Stati e senza i principi regolatori, che solo la mediazione degli interessi mediante l’esercizio della politica può assicurare, ci troveremmo in un mondo non già post-moderno, bensì pre-moderno. Torneremmo ad una realtà hobbesiana, ad uno stato di guerra permanente di tutti contro tutti, in cui i più violenti – e non certo i più meritevoli – affermerebbero i loro principi. Dobbiamo quindi reagire, per arrestare il declino degli Stati moderni, adeguan- done gli strumenti alla nuova realtà che si è ormai affermata. Per questo motivo dobbiamo saperci adattare con più rapidità ai cambiamenti, e dobbiamo saper operare in un contesto in cui le prerogative delle istituzioni formali non sono più un dato certo ed incontestato. È una necessità che riguarda evidentemente tutti gli ambiti in cui lo Stato opera, tutte le componenti di cui esso è composto. Ad esempio, sappiamo bene quanto gli strumenti politici di governo dell’economia si siano adattati, negli ultimi anni, ad una realtà progressivamente sempre più diversa. In questo contesto, anche la Difesa e le Forze Armate devono adeguare il loro modo di essere e di agire, al fine di non perdere la loro centralità quali attori unici nell’esercizio dell’uso della forza legittima. In primo luogo, è necessario sviluppare le nostre capacità di comprensione della realtà, sia della realtà internazionale, sia della realtà interna ai contesti in cui siamo destinati ad inviare le nostre forze militari. Dobbiamo accrescere il nostro sforzo di comprensione, potenziare ed affinare i no- stri strumenti analitici e trasmettere questa maggiore conoscenza a tutti coloro che operano concretamente sul terreno. L’idea che le operazioni militari possano svolgersi secondo canoni standard, dettati essenzialmente dalle tecnologie disponibili e dalle dottrine di impiego dei sistemi d’arma, è profondamente errata. A questo proposito, è facile individuare casi anche recentissimi di impiego dello strumento militare secondo questi principi apparentemente scientifici e infallibili, ma che alla prova dei fatti, al contatto con la realtà rappresentata da contesti am- bientali e sociali differenti da quelli teorizzati, si sono dimostrati tutt’altro che scien- tifici e meno che mai infallibili. Dobbiamo quindi studiare, studiare la realtà che ci circonda in tutti i suoi aspetti, e per questo sentiamo la necessità di disporre di militari che sappiano comprendere la complessità del mondo reale. Solo una comprensione appropriata ci consentirà di operare in modo adeguato per modellare opportunamente le dimensioni fisiche e culturali entro cui si svolgono le nostre operazioni militari.

213 Due anni al Ministero della Difesa

L’uso della forza tradizionale, la “forza cinetica” per mutuare una terminologia an- glosassone, rimane ovviamente indispensabile in molte operazioni militari. Nondi- meno, i criteri con cui tale forza viene applicata devono essere a loro volta raccordati ad obiettivi strategici, di più ampio respiro, che non hanno generalmente un carat- tere esclusivamente militare. In altri termini, la forza fine a se stessa non ha più ragione di essere, neppure in un contesto di confronto militare tradizionale. Questo è un principio ormai affermato nella cultura militare occidentale, un prin- cipio che va sotto il nome di effect-based operations, cioè a dire operazioni conce- pite e condotte sulla base degli effetti complessivi che esse determinano sull’intero sistema sociopolitico, economico e culturale entro cui si sta operando. Ma per modellare il contesto del conflitto, cioè le caratteristiche fisiche ma anche culturali dell’ambiente entro cui operiamo in forma militare, sono indispensabili anche le operazioni informative. Mi riferisco alle operazioni psicologiche condotte a livello tattico ed operativo, che rappresentano una fase essenziale in tutti gli interventi militari compiuti in contesti in cui i valori di riferimento possono essere anche molto distanti dai nostri. Solo pochi giorni orsono ho potuto visitare proprio il reparto dell’Esercito, il 28° reggimento “Pavia” di Pesaro, costituito apposta per questo genere di esigenze. In questo settore, quindi, abbiamo ancora della strada da fare, ma fortunatamente siamo partiti bene. Ma esiste anche l’esigenza di condurre operazioni informative capaci di incidere a livello strategico, capaci cioè di contribuire a modellare la percezione stessa del con- flitto, e non solo di supportare l’operato dei nostri militari sul terreno. Questo, a quanto mi risulta, è un terreno ancora inesplorato. Lo è certamente in ambito Difesa, dove esiste la consapevolezza dell’importanza di questo genere di operazioni, ma dove attualmente non sono stati elaborati criteri di condotta né sono stati approntati assetti a ciò dedicati. Anche per questo, credo che il convegno che ho avuto l’onore di avviare con questo mio breve intervento potrà fornire un contributo di idee e di informazioni di straordinaria utilità. Vi ringrazio anticipatamente e vi auguro buon lavoro.

214 Discorsi e indirizzi di saluto

Giuramento degli Allievi dell’Accademia Navale Livorno, 1 dicembre 2007

Cittadini, Autorità, Ammiraglio Di Paola, Ammiraglio La Rosa, Allievi,

consentitemi innanzitutto di rivolgere a tutti i presenti il più caloroso saluto, a nome del Governo, delle Forze Armate e mio personale. Un saluto agli esponenti di Governo e del Parlamento qua presenti. Grazie al Sindaco di Livorno, al Prefetto, al Presidente della Provincia, a tutte le autorità presenti per la loro partecipazione. Un saluto affettuoso ai familiari degli Allievi, e un ringraziamento per il patri- monio di valori di conoscenze e di sentimenti che attraverso i loro ragazzi essi ci af- fidano perché siano messi al servizio della Repubblica. Un saluto particolare, desidero inoltre rivolgerlo ai 22 Allievi Ufficiali, provenienti da 12 diversi Paesi del mondo, anche molto lontani, che oggi sono qui con noi. La loro presenza è una ulteriore testimonianza di quanto questo nostro antico Istituto di formazione militare sia conosciuto e apprezzato nel mondo. Un saluto e un caloroso ringraziamento vada poi all'Ammiraglio Comandante, Cristiano Bettini, al corpo insegnante, al Quadro permanente e al personale tutto dell'Accademia. Un ringraziamento, sincero e sentito, per quanto fanno qui nel- l'Istituto, tenendo alto il profilo formativo e professionale dei corsi, con una carica umana e una determinazione che rendono manifesta la passione, la convinzione, e la motivazione con cui svolgono il loro delicato impegno di educatori. Rivolgo infine un doveroso omaggio al primo Tricolore d'Italia, che nacque nella forma che conosciamo oggi nel 1797, e che è qui presente, scortato dai rappresen- tanti dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia di Reggio Emilia, per rendere onore ed esaltare questa cerimonia di giuramento.

Cari Allievi,

voglio ora manifestare la mia emozione per essere qui con voi, per la prima volta, in un'occasione così solenne, quale quella del giuramento, che segna un passaggio fondamentale della vita di questo Istituto, come della vita di ciascuno di voi, di cia- scuno di noi.

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Avrei voluto essere qua con voi già lo scorso anno. Ma un anno fa ero proprio in questi giorni a Nasiriyah per vivere le ultime ore, gli ultimi minuti della missione del nostro Contingente in quella terra lontana, a noi definitivamente legata dal sangue dei nostri Caduti. Le cerimonie di giuramento solenne rappresentano un momento importante nella vita di cittadini che hanno scelto di servire in armi il Paese. L'uso esclusivo della forza legittima è da sempre riconosciuto uno dei tratti costi- tutivi se non addirittura il tratto costitutivo di uno Stato. Un uso svolto al servizio delle Istituzioni sotto il dominio della legge, in adempi- mento dei valori scolpiti nella Costituzione. Un uso guidato dalla preoccupazione per la sicurezza interna, per la difesa dalle minacce esterne, per la promozione della legalità e della sicurezza nel mondo. L'uso legittimo della forza richiede tuttavia che essa sia esercitata da uomini e donne preparati e consapevoli dei loro compiti, uomini e donne capaci di governare e commisurare la forza e ancor prima di controllare e governare sé stessi. La capacità, la professionalità, la consapevolezza che ad essi sono chieste, non pos- sono che essere il frutto di un apprendimento e di un esercizio severo. È un apprendimento che qui trova il suo inizio, non certo il suo completamento. I primi passi di questo cammino sono tuttavia destinati a lasciare traccia per tutta la vita. Nessuno di noi può dire di quali e quanti passi sarà fatto il suo cammino. Ma quella che non può mai essere smarrita è la rotta. Vi sia di riferimento, in questo, l'esempio di chi vi ha preceduto in questo Istituto, nella professione, nella vita di Ufficiale di Marina. Nei suoi 126 anni di vita, dal lontano 6 novembre 1881, l'Accademia Navale ha formato circa 40.000 Ufficiali. Ne ha forgiato il carattere, ne ha sviluppato i valori, ha scolpito nei loro cuori e nelle loro menti le parole “Patria e Onore” che sono iscritte nel marmo di questo Pa- lazzo prestigioso e che il vostro Comandante vi ha appena ricordato. Il loro esempio sia di riferimento per tutti voi, l'esempio di Ufficiali che, giorno dopo giorno, con la loro attività di servizio rendono merito agli insegnamenti rice- vuti in questo Istituto e onore al nostro Paese. Tra essi voglio oggi ricordare, per proporvelo a modello, un Ufficiale, un Coman- dante che è a tutti noi molto caro. Mi riferisco all'Ammiraglio Giampaolo Di Paola, Capo di Stato Maggiore della Difesa, che in questi anni ho avuto la fortuna di avere al mio fianco alla guida della Difesa. In questo piazzale egli vi ha preceduto, tra queste mura ha vissuto e sognato. Gli anni sono passati, eppure la freschezza dell'entusiasmo che contraddistingue ancora oggi il suo impegno quotidiano mi dice che egli ha lasciato queste mura solo ieri. L'Ammiraglio Di Paola si accinge ora a ricoprire il prestigioso incarico di Presi- dente del Comitato Militare al vertice dell'Alleanza Atlantica, coronando un per- corso professionale di assoluta qualità, che viene così messo al servizio di un im-

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pegno più grande, grazie al riconoscimento delle sue competenze di Comandante militare da parte del collegio dei suoi pari. Nel rinnovare qui, in quella che ritengo la sede più pertinente, all'Ammiraglio Di Paola le mie personali congratulazioni e l'augurio più affettuoso, nel portarvelo ad esempio, consentitemi di rivolgere ad ognuno di voi lo stesso augurio. La gioia, il successo, la speranza sono tuttavia per ogni militare indissolubilmente legate al rischio, al pericolo, al sacrificio, anche a quello estremo. Col giuramento di oggi la vostra vita è infatti messa al servizio della sicurezza degli altri cittadini, fino a porre il vostro corpo a scudo della vita degli altri. In questo momento il nostro pensiero non può perciò non andare a quanti nello svolgimento di questa missione si sono immolati, e innanzitutto tra gli Ufficiali della Marina passati fra queste storiche mura, ai 1400 che hanno donato la propria vita nell'adempimento del dovere. Consentitemi a questo proposito di rivolgere per un momento il nostro pensiero a chi lungo questo cammino ci ha lasciato per ultimo. Appena una settimana fa, era come oggi di sabato e più o meno a quest'ora, una mano guidata da un disegno di morte spegneva in Afghanistan la vita di un nostro concittadino in armi, la giovane vita di Daniele Paladini, del Maresciallo Capo Da- niele Paladini. Daniele Paladini non era un marinaio, seppure anche lui era chiamato a governare i flutti, come ci ha ricordato la stessa preghiera del Pontiere che qualche giorno fa abbiamo recitato nel momento dell'addio. Di Daniele Paladini possiamo dire che era un soldato, un soldato che costruiva ponti. E abbiamo detto tutto. La causa per la quale è morto è quella per la quale è vissuto. La mano che ha spento la vita di Daniele assieme a quella di 3 bambini afgani e di altri 5 uomini, compresa quella dell'attentatore suicida, era invece purtroppo guidata da una cul- tura di morte, dalla idea che il nemico è la vita e non invece la morte. Daniele era invece in Afghanistan al servizio della vita, là dove la Repubblica lo aveva inviato, là dove con consapevolezza aveva accettato di andare, là dove per anni si era preparato ad andare. Daniele era da Pontiere là in mezzo alla gente afgana per aiutare la vita a riprendere il suo corso, per aiutare gli afgani a superare le loro divisioni costruendo ponti nuovi e riattando gli antichi. Daniele era là da soldato per rafforzare il quadro di sicurezza, senza il quale nessun ponte può essere pensato, nessun ponte può essere attraversato. Daniele era orgoglioso della missione che gli era stata affidata. Noi dobbiamo es- sere all'altezza del suo orgoglio. Così come dobbiamo essere all'altezza del sacrificio di un altro caduto apparte- nente alla Marina, che voglio oggi ricordare perché caduto in quello stesso Teatro di Operazioni. Il Capitano di Vascello Bruno Vianini.

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Un Ufficiale che ha frequentato questa Accademia a partire dal 1983 e che nei suoi 22 anni di servizio ha ricoperto incarichi prestigiosi svolgendo operazioni impor- tanti e pericolose. Vianini, come Paladini, operava in Afghanistan sotto la nostra Bandiera, parte di una alleanza che comprende 39 Paesi. Con loro e con le altre migliaia dei nostri militari schierati in quel Teatro, l'Italia contribuisce fattivamente ad una missione difficilissima e pericolosa, ma tuttavia preziosa. Siamo in Afghanistan ormai da 6 anni, da quando la Comunità internazionale, con un consenso mai sperimentato prima di allora, decise di impegnarsi concreta- mente per fare uscire quello sfortunato Paese dall'abisso in cui era precipitato dopo due decenni di guerre ininterrotte. Così come fra le montagne del Continente euroasiatico, anche nei mari di tutto il mondo l'Italia è presente e svolge il suo ruolo di tutela della sicurezza e della stabilità collettive. Lo fa essendo inserita in quei contesti di alleanza che sono la concreta risposta ai dettami della nostra Costituzione. Alleanze di Paesi liberi che operano insieme per favorire un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia. A questo proposito voglio ricordare che proprio ieri il Presidente Prodi ha annun- ciato a Nizza, nel vertice italo francese, la disponibilità del nostro Paese ad assumere nei prossimi mesi la guida della Forza Navale di EUROMARFOR per assicurare la componente marittima della UNIFIL, nel Mediterraneo Orientale, per rafforzare la difesa della Pace e della stabilità in quella area di crisi. Cari Allievi, Allievi della prima classe dei corsi normali e del settimo corso dei pi- loti di complemento, essere Ufficiali di Marina non è cosa facile. Occorre essere tec- nici, progettisti, Comandanti. Occorre conoscere le situazioni in cui si va a operare, in tutte le loro sfaccettature. Ed occorre essere buoni e coraggiosi marinai. Siate forti. Sempre. Le parole del giuramento indicano la via di tutti i giorni, non solo atti di sacrificio in momenti estremi. È lo sforzo nella quotidianità che vi rende vincenti, nello studio e nella preparazione militare non meno che nelle relazioni professionali e umane. Siate ottimisti. Sempre. Abbiate fiducia nelle capacità vostre e in quelle degli altri. Il vostro buon esempio non cadrà mai nel vuoto, anche se in quel momento sembra non incontrare la stima ed il consenso che merita. Siate coraggiosi. Sempre. È dovere di un militare applicarsi alla costruzione del ca- rattere, per muoversi lungo il sottile confine che divide la prudenza dalla paura, l'au- dacia dalla temerarietà. Voi rappresentate il futuro della Marina Militare, siete chiamati a diventare i Co- mandanti di domani. In questo glorioso Istituto riceverete gli insegnamenti fondamentali per divenire

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capaci e autorevoli guide degli uomini e delle donne che vi verranno affidati, per di- venire attori consapevoli e partecipi dell'evoluzione della Marina Militare e delle Forze Armate. Fate tesoro di questa fondamentale esperienza formativa, mettendo a frutto ogni occasione per crescere e migliorare. Noi tutti, rappresentanti delle Istituzioni, genitori, Comandanti, istruttori saremo al vostro fianco. Buona fortuna.

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Incontro di fine anno con i Vertici della Difesa e con le Associazioni combattentistiche e d’Arma Roma, 19 dicembre 2007

Onorevoli Sottosegretari, Signori Capi di Stato Maggiore, Segretario Generale, Diret- tori Generali, Presidenti delle Associazioni, Dirigenti e Ufficiali,

è giunto il momento di questo tradizionale incontro di auguri, al termine di un anno ricco di eventi e di impegni per il Dicastero, per i responsabili ai vertici delle Forze Ar- mate e per tutti gli uomini e le donne che servono la Repubblica in uniforme. Come in tutte le famiglie attorno alla tavola del Natale, il nostro pensiero non può non andare innanzitutto a quelli che non ci sono, a quanti in questo anno ci hanno lasciati ed oggi non sono più con noi, e perciò non possono condividere questi momenti di gioia. A quanti sono caduti in missione lontano dalla Patria, a quanti hanno perso la vita per causa di servizio, a quanti ci hanno lasciati mentre erano in servizio. A tutti, desidero rivolgere, in quest'occasione che ci ricorda gli affetti familiari e tocca i sentimenti più intimi, un pensiero affettuoso e un silenzioso, vero, senti- mento di gratitudine. Alle loro famiglie rinnovo il sentimento di solidarietà della Difesa e l'impegno a non far mancare mai il doveroso sostegno. Egualmente il nostro pensiero affettuoso va a quanti nel corso di quest'anno sono stati coinvolti in episodi nei quali hanno riportato ferite o contratto invalidità. Anche a nome vostro, interpretando i vostri sentimenti di affetto e riconoscenza, ho voluto nei giorni scorsi inviare ad essi il nostro saluto perché sappiano della nostra vicinanza.

Desidero anche rivolgere un pensiero egualmente affettuoso a tutti gli uomini e le donne oggi impegnati nelle missioni fuori dei confini nazionali. Li ho incontrati più volte, ho visitato i Teatri operativi, le basi, gli accampamenti, le navi, gli aeroporti; e non mancherò, nei prossimi giorni di festa, di rinnovare direttamente l'apprezza- mento delle Istituzioni e l'affetto degli italiani. La Difesa è una grande famiglia, come ho detto, ma è anche una grande organizza- zione, a servizio della Repubblica, articolata in una componente tecnico-operativa supportata dalle strutture dell'area tecnico-amministrativa e dell'area tecnico-indu-

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striale. Le riforme attuate nel corso degli ultimi anni hanno privilegiato la compo- nente operativa, snellendo le componenti di supporto in una prospettiva di sempli- ficazione del lavoro e di ricerca di una sempre maggiore efficienza. Si è proceduto con serietà e decisione. E, considerate le condizioni nelle quali ab- biamo operato, posso dire che sono stati ottenuti risultati importanti. Altro cammino, molto cammino, c'è tuttavia da fare sia per corrispondere alle domande del personale sia per quel che riguarda le risorse da destinare agli investimenti. La strada da percorrere si chiama qualità e riqualificazione della spesa. Non credo che ormai vi siano più "tesori o tesoretti nascosti". La situazione del bilancio è a tutti nota ed ogni euro ri- sparmiato è una conquista. In questo contesto è importante proseguire nella dismissione del patrimonio immobiliare, così da liberare la Difesa da inutili pesi e velocizzare le proce- dure per rendere efficienti le strutture ritenute utili e per la realizzazione di nuove. Non è questo il momento delle analisi. Erano solo due battute iniziali per ricordare quelle che ritengo siano le principali priorità della Difesa di oggi: la valorizzazione delle risorse umane, militari e civili; la ricerca di sempre maggiori efficienza ed efficacia in ogni settore. Credo d'altra parte che nessuno abbia ascoltato con sorpresa queste indicazioni. Pur in un contesto politico variabile, esse si collocano dentro una linea di cambia- mento nella continuità che in questi anni si è sviluppata col sostegno pieno e leale dello Stato Maggiore, sotto la guida sapiente dell'Ammiraglio Di Paola, che voglio ancora una volta ringraziare. In questa stagione della storia, internazionale e nazionale, sembra che non occor- rano più quei mutamenti radicali delle forze militari e delle dottrine d'impiego, come invece è stato necessario al termine della guerra fredda e, negli anni passati, di fronte alla sfida del terrorismo. Oggi dobbiamo soprattutto dare sostanza alle scelte fatte, in termini di professionaliz- zazione, di elasticità operativa, di mobilità, di capacità di integrazione, interforze e mul- tinazionale. Ma dico "soprattutto", perché revisioni dei modelli di riferimento non sono certo escluse, per rendere compatibili obiettivi e risorse e per adeguare il profilo della forza a quello della minaccia. Non credo che esistano stagioni del dire contrapposte a stagioni del fare. Penso tut- tavia che la stagione che si apre sia chiamata soprattutto a verificare nel fare il dire della stagione precedente. Può essere che alla fine dovremo tornare su alcuni concetti, ma ci torneremo a partire dalla riflessione sulle esperienze fatte, dalle lezioni apprese. Anche per quel che concerne i rapporti con i nostri alleati e partner, possiamo dire di aver raggiunto un equilibrio adeguato fra dissuasione, tutela degli spazi nazionali, capa- cità di proiezione. Questo equilibrio va mantenuto per garantire la continuità della pre- senza italiana nella costruzione della sicurezza internazionale, sempre con riferimento a quello che è da più di mezzo secolo il quadro della nostra politica: le Nazioni Unite, l'Unione Europea, l'Alleanza Atlantica. Dobbiamo mantenere il prestigio conquistato dal nostro Paese; dobbiamo mostrarci sempre all'altezza del nostro ruolo di grande democrazia industriale.

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Nei giorni scorsi, traendo spunto da un articolo comparso sul New York Times, la scuola di pensiero che descriverebbe il nostro Paese coinvolto in un inarrestabile "declino" ha fatto sentire la sua voce con tono ancora più alto del passato. Voglio riascoltare questo allarme come una espressione di amore. In effetti non possiamo non riconoscere le nostre difficoltà che non sono poche. Tuttavia, non solo a causa di questa occasione, dobbiamo dire con forza che non siamo lo "splendido cada- vere", come veniva definita la Serenissima Repubblica di Venezia nel XVIII secolo, nella parte conclusiva della sua gloriosa parabola. L'Italia è un Paese vitale, con pro- blemi grandi e complessi, ma ricco di risorse umane che ci chiedono di essere messe pienamente a frutto. E la ricerca di vie migliori per le nostre Istituzioni, e il dibattito spesso aspro e confuso su come assicurare anche al nostro Paese una guida stabile e forte con una capacità di decisione che ci consenta di confrontarci alla pari con i principali Paesi del mondo deve essere letto come prova della diffusa volontà di guardare al futuro e di essere protagonisti di questo futuro, come prova del rifiuto di sedersi sugli allori della nostra storia millenaria e delle nostre memorie. Nei Balcani, in Medioriente, in Afghanistan, l'Italia sta dimostrando di avere un'idea "forte" delle relazioni internazionali, un’idea fondata sul diritto e sulla stabi- lizzazione degli scenari di sicurezza attraverso il rafforzamento delle entità statuali al cui fianco la comunità internazionale si è schierata. Le Forze Armate sono testimoni orgogliose di questa positiva interpretazione degli scenari globali, rappresentanti ri- conosciute dell'Italia che cresce, espressione non solo della grandezza del passato ma della speranza nel futuro. Anche se, talvolta, non tutti riescono a darne conto con piena consapevolezza, noi sappiamo che tutti gli italiani ne sono convinti nell’intimo. Dobbiamo trovare il modo che tale convinzione sia corale.

Onorevoli Sottosegretari, Signori Capi di Stato Maggiore, Segretario Generale, Direttori Generali, Presidenti delle Associazioni, Dirigenti e Ufficiali,

qualche settimana fa il Consiglio dei Ministri ha deliberato il passaggio del testi- mone al vertice delle Forze Armate tra l'Ammiraglio Di Paola, che assumerà il pre- stigioso incarico di Presidente del Comitato Militare della NATO, e il Generale Camporini. Verrà il momento nel quale secondo le forme militari manifesteremo compiutamente ad essi ancora una volta la nostra riconoscenza per il lavoro fatto e formuleremo ad ognuno i nostri auguri per le responsabilità che li attendono. Consentitemi ora di approfittare della loro contemporanea presenza per rinnovare loro la mia personale stima e il mio sincero affetto e formulare, anche a loro nome, a tutti un augurio per le prossime festività, perché siano un momento sereno, un mo- mento di gioia, nell'intimità delle famiglie e degli affetti.

Buon Natale e Buon Anno a voi e ad ognuno dei vostri cari.

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Visita al Contingente militare italiano in Kosovo Pec, 24 dicembre 2007

Uomini e donne del Contingente italiano,

ho sentito il dovere di venire qui da voi, nella vigilia del Santo Natale, per portarvi personalmente il saluto di tutto il Governo, sapendo di interpretare quello di tutte le Istituzioni, il saluto della famiglia della Difesa, e farvi sentire la mia vicinanza per- sonale. Voglio semplicemente dirvi che tutta l'Italia oggi vi è vicina, così com'è vicina ai vostri colleghi che sono impegnati in Libano, in Afghanistan e negli altri Teatri bal- canici non lontani da qui. I nostri connazionali guardano con attenzione al vostro lavoro difficile e impegna- tivo, vi stimano e hanno fiducia in voi perchè conoscono la vostra professionalità e l' entusiasmo che mettete nel vostro lavoro. Natale è un tempo di solidarietà, di ricordi, di speranze. La solidarietà è qui testimoniata dalla vostra stessa presenza. Nel 1999 la presenza dei soldati italiani contribuì in modo determinante a inter- rompere la spirale di violenza che stava devastando queste terre. Molto è stato fatto per il popolo kosovaro, consentendo la ripresa della vita civile e politica secondo regole nuove di democrazia, pluralismo e libertà; anche se noi sap- piamo che, dopo una lunga storia di odii e di contrapposizioni, far maturare valori come la tolleranza e la fratellanza purtroppo non è facile. Le sfide che questa terra deve ancora affrontare e risolvere sono perciò tante. Ep- pure occorre essere ottimisti e fare il confronto con quelle che erano le prospettive dei Balcani di 10 - 15 anni orsono; la conflittualità dilagava, i massacri e le battaglie - vere e proprie battaglie campali - erano all'ordine del giorno. Oggi la realtà e diversa. La violenza è ridotta a livelli fisiologici, ponendosi più come problema di ordine pubblico che di contenimento dell'azione di formazioni militari o paramilitari. Il “vacuum” balcanico, come alcuni illustri autori di geopoli- tica chiamano il “buco nero” della ex-Jugoslavia, si va ormai riducendo nei confini e riempiendo di contenuti. La Slovenia è entrata ormai anche nell’area dell’euro. Solo pochi giorni fa le bar-

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riere di confine che erano arrivate a dividere la stessa città di Gorizia sono cadute, è entrata nell'area di Schengen, e si appresta a guidare l'Unione Europea nel primo turno di Presidenza di un Paese dell'Europa dell'Est. Per la Croazia sono in corso i negoziati di adesione all'Unione. La Macedonia e la Bosnia hanno raggiunto livelli di stabilità accettabili e con la Serbia si è avviata una stagione nuova di dialogo e di fiducia. L'Unione Europa dimostra di saper fare la sua parte, insieme ai Paesi dell'Alleanza Atlantica, a cominciare dagli Stati Uniti. Insomma, dopo secoli di fratture e tensioni, il complesso mosaico balcanico sembra finalmente sulla soglia di una ricomposizione. I tempi di questo processo storico sono certamente brevi se paragonati alla durata delle dominazioni del passato, con il loro carico di contraddizioni; appaiono troppo lunghi se valutati secondo i criteri propri delle nostre democrazie, abituate a realiz- zare, o a desiderare, cambiamenti istituzionali, politici, socioeconomici in intervalli temporali contenuti. Come sapete, l’Italia lavora per un esito positivo degli sforzi internazionali, qui in Kosovo. Occorre che tutti convergano su piattaforme comuni e condivise. Confidiamo che, anche grazie alla nostra iniziativa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella sua saggezza, non farà mancare ogni possibile supporto per il buon esito della lunga controversia kosovara. In queste settimane, è perciò importante, direi decisivo, rinnovare impegno, intel- ligenza e professionalità così da garantire qui, sul terreno, la migliore situazione pos- sibile, che faccia da sfondo al lavorio intenso della comunità internazionale. Noi sappiamo che voi siete consapevoli della importanza della vostra missione. Voi sapete che siamo al vostro fianco. Noi sappiamo che siete orgogliosi della delicatezza del compito che è stato a voi af- fidato, nell'interesse della pace internazionale, della sicurezza del nostro stesso Paese e della convivenza delle donne e degli uomini che vivono qua, a cominciare da quelli tra essi che sono i più deboli. Voi sapete che noi siamo orgogliosi del vostro orgoglio. Ecco, uomini e donne del Contingente italiano, è questo il modo in cui l'Italia fa il suo augurio al popolo del Kosovo, a tutti i kosovari di qualunque etnia o religione. Perché il periodo a venire sia segnato da anni di pace e da sincera volontà di rico- struire una comunità civile pacifica e tollerante, capace di fare delle proprie diversità un momento positivo di arricchimento culturale e non di sterile ed anacronistica contrapposizione. E a voi tutti, ad ognuno di voi e alle vostre famiglie rinnovo un augurio affettuoso di Buon Natale e di Buon Anno.

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Visita alla MSU (Multinational Specialized Unit) in Kosovo Pristina, 24 dicembre 2007

Cari Carabinieri della MSU,

sono in Kosovo per portarvi personalmente il saluto e gli auguri della famiglia della Difesa e quello di tutto il Governo. È desiderio mio e di tutte le Istituzioni che gli uo- mini e le donne in divisa, che operano fuori dai confini nazionali, possano sentire, in questi giorni di festa, l'affetto del Paese intero e la stima di tutti gli italiani. Come ho avuto modo di dire ai vostri colleghi a Pec, è importante che ognuno di voi sia convinto della vicinanza dell'Italia ai suoi militari impegnati in operazioni difficili e delicate, assolutamente centrali nella vita della comunità internazionale. Qui nei Balcani si sta giocando una partita importante e i grandi attori che sono l'Europa, l'Alleanza Atlantica, le Nazioni Unite vogliono dare il loro contributo de- terminante perchè sia finalmente raggiunto il risultato storico di pacificare una terra piegata da una secolare storia di violenza e di odii fratricidi. Credo, cari Carabinieri della MSU, che nessuno meglio di voi conosca il groviglio della società kosovara con il suo carico di memorie e di speranze. Non in tutti i Paesi purtroppo è stato possibile percorrere il cammino che in questo dopoguerra ha segnato i Paesi dell'Europa occidentale, con il rifiuto della guerra e della violenza come metodo politico, sia all'interno degli Stati sia nelle rela- zioni fra Stati. Le belle e gloriose tradizioni nazionali sono state rilette in chiave moderna, impo- standole sui binari del nuovo sentire maturato dopo le stragi delle guerre mondiali e della Shoah. Le differenze diventano così punti di arricchimento di un più ampio patrimonio sovranazionale di valori comuni e cessano di essere elemento di orgo- gliosa distinzione quando non di devastante contrapposizione. Purtroppo, i rancori secolari che covavano nella ex-Jugoslavia della dittatura co- munista hanno tenuto questa regione balcanica lontana dalle più avanzate conquiste della cultura democratica. Oggi occorre recuperare il tempo perduto, lavorando con impegno e continuità, ma sapendo che i fossati fra le comunità richiedono almeno una generazione per essere colmati, necessitano di tempo che rigeneri contatti, fi- ducia, scambi sociali ed economici, dialogo civile.

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Vengo da voi dopo essere stato al Monastero di Decani, presidiato da forze mili- tari. A nemmeno un’ora di volo da Roma, abbiamo la triste situazione di un luogo sacro che deve essere protetto manu militari dai rischi della sopraffazione; e, si badi bene, lo stesso ragionamento vale per le moschee, molte delle quali sono state, in passato, oggetto di pari devastazioni, in alcuni casi ancora visibili. Ebbene, la violazione dei luoghi di culto non può essere accettata in Europa. La discriminazione in base alla fede o all'etnia non può essere accettata. Né può essere accettata la predicazione della violenza, perché noi sappiamo che la violenza predi- cata è spesso anticamera della violenza praticata. Il nostro obiettivo, la nostra speranza è quella di coinvolgere anche queste terre nell'Europa che stiamo costruendo. Per questo motivo le soluzioni istituzionali che saranno scelte non possono prescindere, in ogni caso, dalla garanzia delle libertà in- dividuali anche a cominciare dalla libertà di fede e di pratica religiosa. Lo dico alla vigilia del Natale, in un giorno caro alle nostre famiglie e alla quasi to- talità degli Italiani, lo dico con rispetto e con la consapevolezza che non tutti condi- vidono la memoria che questo giorno rinnova e i valori che esso proclama. Come sapete l'Italia lavora per un esito positivo degli sforzi internazionali qui in Kosovo. Occorre che tutti convergano su piattaforme comuni e condivise. Confidiamo che, anche grazie alla nostra iniziativa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella sua saggezza, non farà mancare ogni possibile supporto per il buon esito della lunga controversia kosovara. Come ho detto a Pec in queste settimane, è perciò importante, direi decisivo, rin- novare impegno, intelligenza e professionalità così da garantire qui, sul terreno, la migliore situazione possibile, che faccia da sfondo al lavorio intenso della comunità internazionale. Noi sappiamo che voi siete consapevoli della importanza della vostra missione. Voi sapete che noi siamo al vostro fianco. Noi sappiamo che siete orgogliosi della delicatezza del compito che è stato a voi af- fidato, nell'interesse della pace internazionale, della sicurezza del nostro stesso Paese e della convivenza delle donne e degli uomini che vivono qua, a cominciare da quelli tra essi che sono i più deboli. Voi sapete che noi siamo orgogliosi del vostro orgoglio. Ecco, cari Carabinieri della MSU, è questo il modo in cui l'Italia fa il suo augurio al popolo del Kosovo, a tutti i kosovari di qualunque etnia o religione. Perché il periodo a venire sia segnato da anni di pace e da sincera volontà di rico- struire una comunità civile pacifica e tollerante, capace di fare delle proprie diversità un momento positivo di arricchimento culturale e non di sterile ed anacronistica contrapposizione. E a voi tutti grazie, e allo stesso tempo ad ognuno di voi e alle vostre famiglie un augurio affettuoso di Buon Natale e di Buon Anno.

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Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Pratica di Mare, 30 gennaio 2008

Cittadini, Autorità, Ammiraglio Di Paola, Generale Camporini, Generale Tei,

il passaggio di consegne al vertice dell'Arma Azzurra, così come di qualunque Forza Armata, è un evento naturale, un evento nel quale il rito è chiamato ancora una volta a dimostrare la coincidenza tra la forma e il contenuto. Esso rappresenta al tempo stesso un momento di continuità e di rinnovamento, un momento nel quale il mutare delle persone è allo stesso tempo segno e stru- mento della stabilità delle Istituzioni. E questo tanto più quando il passaggio del te- stimone avviene fra uomini che hanno collaborato per decenni, tra uomini che si può dire si conoscono da sempre, tra uomini come il Generale Camporini e il Ge- nerale Tei che condividono da oltre quarant’anni lo stesso cammino, fin da quando appena ragazzi giurarono assieme a Pozzuoli fedeltà alla Repubblica. La cerimonia di oggi è tuttavia un pò diversa dalle altre alle quali ho partecipato in questi anni del mio ministero. Essa vede infatti intrecciarsi in modo singolare i per- corsi di vita dei tre protagonisti, il Generale Camporini, il Generale Tei, e l'Ammira- glio di Paola, che vedono nello stesso tempo realizzarsi traguardi ambiti, conquistati attraverso lunghi anni di impegno, di responsabilità e di sacrificio. Tre percorsi indi- viduali segnati certo dalla eccellenza, ma che noi sappiamo essere espressione di mo- delli comuni e ordinari, modelli professionali e di vita che costituiscono il riferi- mento costante per tutto il personale delle nostre Forze Armate. Anche in una occasione nella quale la dimensione umana è assolutamente preva- lente non possiamo tuttavia dimenticare che passarsi le consegne significa innanzi- tutto trasferire dei compiti e delle responsabilità ma allo stesso tempo dar conto di quanto è stato fatto e prospettare quello che ci attende. Siamo tutti consapevoli che il momento che stiamo oggi vivendo è sul piano degli equilibri internazionali un momento fortemente critico, con nuove forze sociali e politiche che generano spinte non facilmente indirizzabili verso soluzioni organiche e stabili, con Paesi esposti a forti rischi di totale incontrollabilità e con il conse- guente insorgere di pericolose crisi regionali. La fase aperta dalla caduta del muro di Berlino ed il collasso dell'Unione Sovietica

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non ha ancora portato ad una stabile ridefinizione del quadro geostrategico. La forte crescita di potenze come la Cina e l'India è ancora lontana dall'essere assorbita. Lo scenario di sicurezza per il futuro prossimo resta quindi segnato più che mai dalla incertezza. Abbiamo, pertanto, l'assoluta necessità di mantenere saldi i punti di riferimento, e di valorizzare le nicchie di eccellenza di cui disponiamo. Tra queste vanno iscritte, lo dico senza esitazione, le Forze Armate. Esse costituiscono un riferimento stabile e sicuro, forniscono un'immagine del- l'Italia apprezzata all'estero e sempre più amata dagli italiani. Dobbiamo poter continuare a disporre di Forze Armate adeguate alle sfide che un futuro incerto può presentarci. Dobbiamo poterne disporre nell'interesse della difesa del Paese e nell'interesse della pace e della sicurezza del mondo. Dobbiamo consolidare la ridefinizione delle modalità operative della Alleanza Atlantica, l'avvio della politica europea di difesa e di sicurezza e, di conseguenza, dei profili degli strumenti militari in una cornice di standardizzazione fra Paesi alleati e partner e secondo logiche sempre più serrate di operatività interforze. Le esperienze passate hanno gettato le basi per le Forze Armate del nuovo mil- lennio. A noi spetta il compito di gestire la fase di attuazione, mantenendo alta la guardia nel campo dell'innovazione e della programmazione, secondo quei criteri di lungimiranza che non sono un merito, ma un obbligo professionale degli strateghi militari. Nella Difesa nulla s'improvvisa in poco tempo. I mezzi e i sistemi d'arma richie- dono sforzi enormi, con partnership internazionali di grande rilevanza politica, scientifica e finanziaria. E così è per le infrastrutture. Il tutto, incasellato in un'ana- lisi delle possibili forme di minaccia che potremmo trovarci ad affrontare a breve- medio termine. È anche per questi motivi che sto seguendo con particolare attenzione la vicenda dei velivoli AMX, che priva la difesa del Paese di una sua componente significativa, per dotarsi della quale il Paese cioè i cittadini contribuenti hanno sostenuto spese ingentissime. Sono sicuro che sapremo applicarci tutti con il massimo impegno ed un forte senso di responsabilità, coniugando in modo rigoroso le esigenze di sicurezza, di giustizia e di difesa, per restituire in tempi brevi i velivoli ai loro piloti, perché man- tengano quell'addestramento senza il quale verrebbe pregiudicata per lungo tempo una capacità operativa essenziale. Tutto possiamo permetterci all'infuori che incrinare l'efficienza e la saldezza dimo- strata dai reparti delle nostre Forze Armate. Dobbiamo poter continuare a garantire loro l'appoggio corale del Paese e le risorse necessarie al mantenimento della loro efficienza. Oggi siamo qui per riaffermare l'importanza di questo impegno, in occasione del-

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l'avvicendamento al vertice dell'Aeronautica Militare, una delle componenti essen- ziali del nostro sistema di sicurezza. L'Aeronautica ha, negli anni, concorso con grande efficacia alla difesa del Paese ed all'attuazione delle sue politiche di sicurezza. Al tempo della guerra fredda è stata elemento di rilievo della strategia difensiva dell'Alleanza Atlantica e della difesa del nostro territorio. Suoi sono stati i nostri primi militari caduti in missioni internazionali, sotto la bandiera delle Nazioni Unite. Le crisi nei Balcani hanno visto ancora l'Aeronautica impegnata a dare attuazione alle direttive del Governo della Repubblica, partecipando alle operazioni che la co- munità internazionale aveva deciso di attuare per fermare le atrocità che vi si sta- vano commettendo, proteggere le minoranze ed adoperarsi per ridare stabilità ad un'area che è a noi molto vicina, geograficamente e storicamente. Oggi l'Aeronautica Militare è elemento essenziale sia per il sostegno delle operazioni all'estero, sia per la protezione del territorio, degli spazi e degli interessi nazionali, nel bacino del Mediterraneo in cui l'Italia è immersa ed ovunque il Paese lo richieda. I suoi uomini e le sue donne svolgono giorno e notte un'opera spesso non evi- dente, lontana dalla vista dei più e soprattutto lontana anni luce dall'immagine del Top Gun cinematografico: in silenzio, coniugando mirabilmente professionalità, ge- nerosità ed umanità. Ad essi, a voi, va il mio apprezzamento per quanto avete fatto, sotto la guida at- tenta, partecipe ed illuminata del Gen. Camporini, che oggi vi lascia. Perdete di sicuro un buon Comandante. È proprio per questo che lo perdete. La sua designazione quale prossimo Capo di Stato Maggiore della Difesa ne è chiara in- dicazione. I suoi meriti, l'opera da lui svolta al vostro comando, la sua preparazione e la sua moderna visione delle tematiche della sicurezza e della difesa hanno guidato, direi addirittura imposto, la sua scelta. Egli saprà far bene anche nel suo prossimo incarico anche grazie alla sua umanità, che proprio nei giorni scorsi abbiamo visto confermata in una prova durissima. Son sicuro che costituirà un prezioso punto di riferimento per tutti i componenti delle Forze Armate ed in particolare per gli uomini e le donne dell'Arma Azzurra che oggi salutano con me il loro nuovo Comandante, il Generale Tei. Al Generale Tei spetta ora l'onere, la responsabilità e l'onore di continuare le tradi- zioni di spirito di servizio, di senso del dovere e dello Stato, di lealtà istituzionale, di coraggio e di generosità che sono state il patrimonio su cui l'Aeronautica Militare ha sviluppato la sua storia ed a cui ha ispirato la sua opera. A lui è affidato il compito di garantire che le capacità della componente aerea dello strumento militare nazionale siano mantenute ai livelli che il ruolo dell'Italia nel quadro delle Alleanze impone, a tutela della stabilità internazionale ed a protezione degli interessi nazionali, per scongiurare i rischi potenziali generati dalla attuale fase di transizione e di instabilità degli scenari politico-strategici internazionali.

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Il nostro compito è accrescere la consapevolezza del Paese del ruolo che Forze Ar- mate efficienti rivestono in un moderno stato democratico per la difesa nazionale e la condivisione della responsabilità della sicurezza e della pace internazionale. Al Generale Tei è affidata la responsabilità di mantenere alta la preparazione, la motivazione dei suoi uomini e donne e la loro consapevolezza del ruolo che rive- stono nel quadro di Forze Armate sempre più integrate, capaci di realizzare le si- nergie necessarie ad ottimizzare l'efficacia delle risorse disponibili e pronte a fornire la loro opera, quale che sia ciò che il Paese loro richiede. Al Generale Camporini, per quanto ha dato all'Aeronautica ed al Paese, va il mio sentito ringraziamento, a nome di tutto il Governo. A Lei, Generale Tei, vanno i miei più sinceri auguri di buon lavoro, con la certezza che le Sue ben note capacità professionali, la Sua serenità, la Sua pacata ma ferma azione di comando sapranno ben convogliare le eccellenti risorse che il Suo perso- nale le offrirà, con generosità e fiducia totali. Salutando con rispetto le vostre, le nostre, Bandiere, trovo in esse la certezza che saprete essere degni del vostro passato e solida garanzia per il nostro futuro.

Viva l'Aeronautica Militare! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

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Inaugurazione dell’anno accademico 2007-2008 della Scuola Ufficiali Carabinieri Roma, 31 gennaio 2008

Innanzi tutto desidero portare a tutti il saluto del Presidente del Consiglio.

Ed anch’io mi associo, nel rivolgere il mio saluto personale, in particolare al Presi- dente Emerito della Repubblica, Sen. Cossiga, ai rappresentanti del Parlamento, ai membri del Governo, ai rappresentanti della Magistratura, al mio predecessore nel- l’incarico di Ministro della Difesa On. Martino, la cui presenza testimonia il senso della continuità delle Istituzioni, all’Ammiraglio Di Paola, al Generale Siazzu, a tutti gli altri illustri ospiti, Signore e Signori. Oggi è un giorno importante, perché l’inaugurazione dell’anno accademico di una Scuola prestigiosa, quale è questa, ci impone di riflettere su quanto è stato fatto fi- nora, e su quanto resta ancora da fare. Ed è un giorno importante perché ci permette di parlare, di fronte agli Ufficiali Al- lievi, ai Comandanti di domani dell’Arma dei Carabinieri, di una Istituzione che tutti noi amiamo e rispettiamo, per il suo passato, per il suo presente, per la sua storia. L’Arma, lo sappiamo bene, è una realtà per molti aspetti unica, in Italia e nel resto del mondo. Lo sappiamo bene noi italiani, e sempre meglio lo sanno i nostri alleati ed i nostri amici nel resto del mondo. Poche settimane orsono, a Baghdad, il Generale americano Petraeus, parlando in una occasione per alcuni versi simile a quella odierna, di fronte agli Allievi della Po- lizia irachena appena qualificati dal corso di formazione lì condotto dai nostri Cara- binieri, ha definito l’Arma “the best of the best police”. Come Petraeus, e prima di Petraeus, tanti leader internazionali che negli anni hanno potuto conoscere questa nostra preziosa realtà ne sono rimasti impressionati ed affascinati. Oggi l’Arma è una realtà che si tenta di replicare in altri Paesi del Mondo, e l’atti- vità del Centre Of Eccelence for Stability Police Units (COESPU) di Vicenza – lo ha ricordato anche Lei, Generale Siazzu – ha formato oltre mille appartenenti alle forze di Polizia di altri Paesi. Ma sappiamo bene – e soprattutto lo sanno bene i Carabinieri – che il primo, più

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tangibile e più importante segno di apprezzamento per quanto fanno e per come sono i Carabinieri viene dalla popolazione civile, viene dalle nostre comunità. Sono ormai tantissimi i Carabinieri che hanno prestato servizio nelle missioni ita- liane all’estero, in Teatri difficili, a volte pericolosissimi. Tutti loro hanno portato con sé, al ritorno in Patria, il ricordo indelebile delle po- polazioni locali, con le quali hanno interagito durante i lunghi mesi del proprio turno di servizio, e per le quali hanno lavorato e rischiato la vita. È un patrimonio di ricordi e di esperienze che certamente rimarrà nei cuori di ognuno di essi, ma che costituisce anche un formidabile arricchimento del patri- monio culturale – e quindi professionale – di tutta l’Arma. Grazie a queste dure, difficili esperienze, l’Arma di oggi si presenta sempre più come l’indispensabile ed insostituibile interfaccia fra lo strumento militare tradizio- nale – che rimane ovviamente essenziale anche negli scenari correnti – ed il contesto sociale e antropologico delle zone di intervento. Grazie alla presenza dell’Arma, l’intervento militare italiano ed alleato – perché, dobbiamo ricordarlo, spesso il Contingente dell’Arma dei Carabinieri è considerato tanto prezioso da essere inserito fra gli assetti alle dirette dipendenze del Coman- dante dell’intera Forza internazionale – amplia la propria capacità di penetrare nella dimensione culturale del conflitto. Sbaglia l’osservatore poco attento, o troppo superficiale, che intravede nei Carabi- nieri italiani, affiancati dai Contingenti analoghi forniti dai nostri Alleati, strumenti idonei a migliorare il controllo del territorio, o magari a fare ordine pubblico lad- dove il ricorso ai reparti convenzionali delle forze di terra appare troppo dispendioso o poco efficiente. Certo, i Carabinieri fanno anche quello, controllano il territorio e garantiscono l’ordine pubblico, ma la loro attività nei Teatri d’impiego è inserita in una matrice che prevede al tempo stesso la raccolta e l’analisi delle informazioni, l’attività inve- stigativa, l’addestramento, il monitoraggio e l’assistenza alle locali Forze di Polizia. È perciò un insieme multidimensionale di attività, che incide sulle dimensioni fi- siche e su quelle culturali dei contesti in cui si interviene. Oggi si sente sempre più spesso parlare di conflitti post-moderni, di guerre di quarta generazione. Molti cer- cano di adeguarsi a questa nuova realtà, trasformando in parte le proprie Forze Ar- mate, oppure le proprie Forze di Polizia. Il nostro Paese ha l’Arma dei Carabinieri fin dal 1814, e da allora può contare su di essa, in pace come in guerra, sul territorio nazionale così come all’estero, do- vunque il Paese ne richieda l’intervento. Ma non possiamo solo per questo riposare sugli allori. Guai a restare fermi, in un mondo che cambia con sempre maggiore velocità. Anche i Carabinieri devono cambiare, per prepararsi alle sfide nuove, e lo stanno facendo. Stanno cambiando, senza però modificare la loro natura, le loro radici sto- riche e culturali.

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Il primo, fondamentale carattere di distinzione dei Carabinieri, va ribadito ancora una volta, è costituito dalla loro militarità. È un valore irrinunciabile – desidero dirlo a chiare lettere – che trova quotidiana conferma nelle sfide che si pongono di fronte alla nostra collettività e che si frap- pongono al nostro desiderio di sicurezza. L’essere militari garantisce la migliore tenuta di un’organizzazione, la cui capillare articolazione sul territorio nazionale rappresenta la prima e più preziosa risorsa del sistema di sicurezza pubblica. Al tempo stesso, la militarità permette all’Arma dei Carabinieri di offrire un con- tributo insostituibile sia alla dimensione della sicurezza sia a quella della difesa, di- mensioni rese sempre più strettamente interdipendenti dalla globalità e dalla varietà delle minacce. Fenomeni aberranti, come il terrorismo stragista, il cosiddetto macro-terrorismo, la grande criminalità trans-nazionale, impongono a tutti noi di interpretare le tradizionali categorie della sicurezza interna e della difesa da minacce esterne in senso più ampio. Esiste un continuum nelle forme di minaccia, che possono nascere fuori dal terri- torio nazionale, magari in contesti degradati da prolungate situazioni di conflitto, e poi infiltrarsi all’interno del nostro territorio e delle nostre società, magari sfrut- tando proprio quelle forme di tutela della libertà individuale e della privacy che connotano le società più aperte ed avanzate, le società democratiche. A fronte di un continuum nella minaccia, dobbiamo poter disporre di un conti- nuum anche nelle capacità di difesa, nelle capacità di risposta. E all’interno di questo continuum l’Arma dei Carabinieri si colloca in modo armonioso e funzio- nale, per la sua organizzazione e per il suo modus operandi. Al tempo stesso, è vitale mantenere al centro dell’attenzione quanto avviene all’in- terno della nostra comunità, nei tanti, innumerevoli centri urbani che caratterizzano il nostro Paese. L’attività di polizia condotta dall’Arma è stata ben illustrata dal Generale Siazzu. I numeri sono lì a testimoniare, a misurare l’impegno dei Carabinieri in questo cru- ciale ambito della vita collettiva, ambito in cui il Ministro della Difesa condivide ov- viamente le responsabilità con il Ministro dell’Interno. Tra le cifre citate vorrei però sottolineare in particolare uno specifico dato, fra quelli che meglio descrivono la realtà dell’Arma. In 3.700 Comuni d’Italia, i Carabi- nieri sono l’unica Forza di Polizia presente. Questo è il frutto del radicamento dell’Arma sul territorio. Un radicamento la cui ef- ficacia è resa tuttavia possibile della peculiare organizzazione militare dei Carabinieri. Ma il mantenimento di un così elevato numero di Stazioni, ed anzi il loro poten- ziamento organico, non è l’esito di un’inerzia organizzativa. Esso è l’esito di una scelta, è la risposta alle necessità emergenti, a cominciare dallo spostamento cre- scente di popolazione dai centri urbani maggiori verso quelli minori. Dietro non c’è un passato che continua in maniera inerziale. C’è una scelta ben precisa.

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Per quanto possa sembrare paradossale, la risposta alle nuove domande muove quindi dalla valorizzazione di caratteristiche antiche. Va anche sottolineata la capacità dei Carabinieri e delle altre Forze di Polizia di in- teragire e di coordinarsi reciprocamente, con sempre maggiore efficacia. Anche questa è una opportuna, direi doverosa risposta alle sfide emergenti. L’impiego razionale delle risorse è un’esigenza ineludibile, imposta dall’attuale quadro finanziario ma soprattutto dalla sempre maggiore sensibilità dell’opinione pubblica verso tale obiettivo. E anche da questo punto di vista, l’Arma dei Carabinieri sta operando in maniera efficace, per razionalizzare la sua organizzazione, recuperare risorse preziose ed au- mentare ulteriormente le sue capacità operative. Ma la prima risorsa, anche in questo concordo su quanto affermato dal Coman- dante Generale, è e resterà sempre l’elemento umano. Avendo chiaro in mente questo, in conclusione del mio intervento ritengo doveroso rivolgermi direttamente a coloro i quali sono i protagonisti della cerimonia di oggi. Voi, Ufficiali Allievi, sapete che in questa Scuola state acquisendo un bagaglio cul- turale di primissimo ordine. Ma ciò che più conta, sapete che questa Scuola è destinata a trasformarvi in Co- mandanti di altri uomini e di altre donne, che dovrete guidare nel corso di opera- zioni che potranno mettere alla prova la forza del vostro coraggio. Fate tesoro degli insegnamenti che qui riceverete. Fate tesoro degli insegnamenti ac- cademici, che vi permetteranno di disimpegnare al meglio i vostri compiti. Ma fate tesoro soprattutto dei precetti morali che qui acquisite, che qui rafforzerete all’in- terno di un percorso guidato dai vostri valori. Sarà la saldezza dei vostri valori a con- durvi verso le scelte giuste, nei momenti più difficili che certamente dovrete superare. Come sancito nelle Regie Patenti del 1814, voi siete un “Corpo di militari, distinti per buona condotta e saggezza”. Non sarà facile, ma dovrete tener fede alle tradi- zioni e all’operato di quanti vi hanno preceduto. Siate però anche sereni per la vita che vi attende. Sarà un percorso entusiasmante, che vi porterà a conoscere realtà distanti dal vostro ambiente di provenienza, in una misura che ben pochi dei vostri coetanei potranno mai sperimentare. Sarete cittadini del mondo, perché dovrete saper comprendere e dialogare con le innumerevoli realtà sociali e politiche che il futuro ci riserverà. Sarete però, prima di tutto, servitori della Repubblica. Sarete i primi artefici di quella volontà di pace e di giustizia che è scolpita nella nostra Costituzione. Avete un compito grande, un compito molto grande, davanti a voi. Avete un Paese altrettanto grande dietro di voi.

Generale Siazzu, dichiaro aperto l’Anno Accademico 2007-2008 della Scuola Uffi- ciali Carabinieri.

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Inaugurazione dell’anno giudiziario militare Roma, 4 febbraio 2008

Signor Presidente della Corte militare di Appello, Signor Procuratore Generale militare presso la Corte militare di Appello, Signor Presidente del Consiglio della Magistratura militare, Signori rappresentanti dell'Avvocatura, Signor Capo di Stato Maggiore della Difesa, Autorità civili e militari, Signore e Signori,

desidero anzitutto manifestare la mia soddisfazione nel trovarmi a partecipare an- cora una volta - quale rappresentante del Governo, oltre che come "Ministro della Giustizia militare" - a questa importante e significativa cerimonia. Essendo questa una occasione di bilanci e rendiconti, sento il dovere di cominciare in primo luogo da quello che riguarda l'attuazione dei compiti costituzionalmente spettanti al Ministro della Difesa, che sono connessi con l'organizzazione e il funzio- namento dei servizi relativi alla Giustizia militare. Pur all'interno di un quadro di competenze e di responsabilità più ampio, fin dal mio primo insediamento a Palazzo Baracchini, mi sono prefissato l'obiettivo di se- guire con particolare attenzione, tutta l’attenzione che meritavano e che meritano, le problematiche di tipo amministrativo legate alla funzionalità della Giustizia militare. Per quel che mi riguarda personalmente posso solo dire che il mio impegno in pro- posito è stato costante. Sul piano organizzativo, tutte le strutture del dicastero sono state sensibilizzate ad una soluzione rapida e partecipata delle richieste provenienti dagli uffici giudiziari. A consuntivo dell'anno trascorso, sento il dovere di dare pubblica testimonianza della sollecitudine dell'impegno e della competenza con le quali ogni problematica emersa è stata affrontata e risolta. Quanto alle iniziative politico istituzionali da me assunte come Ministro della Di- fesa, credo si possa riconoscere che l'anno appena concluso sia destinato ad essere ri- cordato come un passaggio, un passaggio parziale, tuttavia decisivo per la Giustizia militare, segnato dalla recente entrata in vigore della riforma legislativa recata dal- l'art. 1, commi da 603 a 611, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, cioè della legge finanziaria per il 2008, che rimodella la distribuzione nel territorio degli uffici giu- diziari militari, vi adatta le dotazioni organiche giudiziarie e amministrative, stabi-

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lisce, con le opportune garanzie, il transito di un contingente di magistrati e di per- sonale amministrativo al bisognevole settore della giustizia ordinaria. Si è avviato così, nel precipuo intento di equilibrare organizzativamente il mutato rapporto tra domanda e offerta di giustizia militare, e al tempo stesso di salvaguar- dare il principio costituzionale di necessità e specialità della giustizia militare, un in- cisivo processo di ridefinizione dell'assetto di questo settore, che io ritengo così im- portante sia per la Difesa che per la Giustizia. Come ricorderete, l'anno passato in questa stessa occasione avevo manifestato il mio intendimento di dedicare la massima attenzione a questi problemi ed avevo as- sicurato il mio impegno per individuare le soluzioni, sia organizzative che funzio- nali, più adeguate e corrispondenti alle esigenze di domanda e di risposta di giustizia militare. Credo si possa affermare che questa iniziativa legislativa, tradotta in legge in tempi eccezionalmente brevi, segna il primo passo di un intervento di riforma organica che deve essere completata con altri interventi normativi. Era un impegno che ho assunto davanti a voi consapevole della sua delicatezza e complessità. Un impegno assunto con piena avvertenza del comprensibile scetticismo che proprio in occasione della inaugurazione dell'anno giudiziario appena trascorso fu autorevolmente rap- presentato con la forza che veniva dall’esperienza del passato. Le difficoltà non sono mancate, ma sono state affrontate consapevolmente, ri- tengo con attenzione e scrupolo, tenendo sempre presente l'esigenza di coniugare la funzionalità del nuovo assetto con quello della valorizzazione delle preziose risorse umane destinatarie della nuova normativa. Il risultato legislativo dunque è ora rag- giunto. Non resta che darvi seguito operativo, proseguendo in quell'intento di leale collaborazione e muovendo dalla determinazione di assicurare ogni possibile ga- ranzia alla previsione di questa non facile riduzione umana e di mezzi. Signor Presidente, questa riforma è dovuta alla consapevolezza che i temi e le pro- blematiche che richiedevano e richiedono maggiore attenzione e cura fossero quelle connesse all'assetto ordinamentale e alla funzione stessa della giurisdizione militare. Occorreva necessariamente riequilibrare, nel rispetto della Costituzione, l'assetto della magistratura militare a fronte di una domanda, è stato ribadito da tutti, di giu- stizia ridottasi sensibilmente. La sospensione della leva obbligatoria, il nuovo assetto delle Forze armate e il ra- pido e progressivo mutamento dello scenario internazionale e del ruolo militare, in- fatti, imponevano di riformare l'ordinamento giudiziario militare. Si trattava di un'esigenza prioritaria prospettata dagli stessi vertici della magistra- tura militare, che ne avevano fatto espresso auspicio in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario militare dello scorso 2007. Proprio in quella circostanza avevo preannunciato il mio intendimento di dare un nuovo impulso al processo riformatore, tenendo anche conto delle posizioni emerse durante il dibattito parlamentare nel corso della legislatura precedente.

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Si trattava di un intervento davvero non più rinviabile. Su questo eravamo e credo continuiamo ad essere tutti d’accordo. E tuttavia si trattava di un intervento da cali- brare in modo efficace e aderente alle mutate esigenze di giustizia militare, di orga- nizzazione delle Forze Armate e di razionalizzazione della spesa pubblica. Occorreva, quindi, una riflessione accurata per individuare le soluzioni che risul- tassero più coerenti con tali finalità. Innanzitutto, doveva essere tenuta nella massima considerazione la circostanza che l'art. 103 della Costituzione marca, nell'ambito giurisdizionale, la specialità della giurisdizione militare; ancor di più occorreva tenere conto del possesso da parte dei magistrati militari di una preziosa specializzazione, che doveva e deve essere salva- guardata, in quanto elemento caratterizzante che costituisce la stessa ragione di es- sere di questo apparato giudiziario. Eravamo perfettamente consapevoli che il percorso che ci attendeva sarebbe stato complesso, ma eravamo fiduciosi di poter contare sulla fattiva collaborazione del- l'organo di autogoverno e delle Associazioni dei magistrati militari. E così è stato. Il processo rinnovatore è stato avviato immediatamente. Nel corso del Consiglio dei Ministri del 7 marzo 2007 veniva approvato il disegno di legge di riforma del- l'ordinamento giudiziario che recepiva l'intervento sull'assetto della magistratura militare predisposto dal Ministero della Difesa. Quel disegno di legge conteneva, tra le altre, una serie di norme dirette a confer- mare da un lato la piena equiparazione dei magistrati militari a quelli ordinari quanto a stato giuridico, trattamento economico, progressioni di carriera e garanzie di indipendenza e, dall'altro, una specifica delega per procedere ad una riforma or- dinamentale. Purtroppo, gli indifferibili limiti temporali per approvare le nuove norme sull'as- sunzione e sullo stato giuridico dei magistrati ordinari indussero il Parlamento a stralciare, insieme ad altre, le disposizioni concernenti la riforma della giustizia mili- tare. A quello che si sarebbe potuto trasformare in una interruzione del cammino rifor- matore si è però rimediato immediatamente provvedendo ad inserire pressoché le medesime norme nel disegno di legge "finanziaria 2008", nell'ambito delle misure dirette alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica. La normativa così definitivamente approvata, ed entrata in vigore il 1° gennaio 2008, tiene conto di importanti contribuiti forniti dal Consiglio della magistratura militare, dalle Associazioni dei magistrati militari, nonché di ulteriori approfondi- menti effettuati con il Ministero della Giustizia. Come è noto la normativa prevede una rimodulazione degli uffici giudiziari mili- tari, che passano dagli attuali nove a tre, la soppressione delle sezioni distaccate della Corte militare d'appello ed una correlata riduzione degli organici dei magistrati mi- litari e del personale degli uffici giudiziari, con contestuale transito di un'aliquota di

237 Due anni al Ministero della Difesa

magistrati militari e di personale amministrativo in servizio negli uffici giudiziari militari, rispettivamente alla magistratura ordinaria e negli omologhi ruoli del Mini- stero della Giustizia. È una riforma forte, incisiva, carica di significato, che apre sicuramente dei pro- blemi sui quali applicarsi, ma pone sul tappeto anche quelli già esistenti. Tra le motivazioni che sono alla sua origine voglio qua sottolineare quelle che hanno indotto e in un certo senso "imposto" il mantenimento della "Giustizia mili- tare" nella sua attuale connotazione di specialità. A questo proposito si deve ricordare che le riforme recate dalle Leggi 180 dell'81 e 561 dell'88 hanno dato ai magistrati militari il tratto distintivo della "specializza- zione", riconoscendo loro, a tutela dell'imparzialità di giudizio, le medesime ga- ranzie di indipendenza e di autonomia proprie della magistratura ordinaria. Ciò nondimeno, doveva essere mantenuta la loro "specialità", la loro "specializza- zione" intesa come massima conoscenza della "militarità". Richiamo ancora una volta al riguardo la volontà della Costituzione. A ciò si aggiunga una imprescindibile valutazione di opportunità. È infatti proprio la necessità di conservare e mantenere questo prezioso patri- monio di conoscenze "dedicate" che ha fondato la scelta legislativa. Alle considerazioni esposte occorre anche aggiungere che questa opzione era "ne- cessitata"; l'osservanza dell'art. 103 della Costituzione, che rende infatti la giurisdi- zione militare una giurisdizione necessaria, imponeva la sua persistenza come istitu- zione distinta. Doveva essere, poi, salvaguardata l'esigenza di garantire una giustizia veloce ed effi- cace, per la stessa funzionalità delle Forze Armate, soprattutto in ragione dei molte- plici riflessi che le pronunce giurisdizionali assumono per gli effetti disciplinari, di status e di impiego del personale militare. È proprio in questo, infatti, che si identifica il tratto distintivo del ruolo e del- l'azione della magistratura militare, funzionale all'assetto disciplinare e all'integrità dell'organizzazione militare; un ruolo e un'azione importantissimi, che si estrinse- cano nel perseguimento delle violazioni individuali e collettive della legge penale militare. Un ruolo e una azione che proprio perseguendo le violazioni della legge contribuiscono a salvaguardare, consentitemi di dirlo, l'onore delle Forze Armate e a preservare gli appartenenti considerati nel loro complesso da ingenerose denigra- zioni. Denigrazioni fondate su gratuite generalizzazioni, così come ci è capitato di leg- gere anche recentemente su alcuni organi di stampa, che manifestano pregiudizi contro il mondo militare che sento il dovere di denunciare come ingiustificati e inaccettabili. Ebbene, finalmente, consentitemi di dirlo, finalmente siamo arrivati a dare una prima concreta e, crediamo, soddisfacente risposta a quella richiesta di intervento da tempo auspicata da più parti e voluta dalla stessa magistratura militare.

238 Discorsi e indirizzi di saluto

Come ho già ricordato, lo scorso anno, pur con la consapevolezza della esistenza di preferenze diverse, tutti ed io personalmente ci eravamo impegnati affinché il cam- mino che da troppo tempo avevamo intrapreso arrivasse a conclusione. Possiamo dire di essere riusciti nell'intento che ci eravamo prefissati. Una parte della strada, certamente difficile e impegnativa, è stata percorsa e ora non ci resta che dare attuazione al provvedimento, auspicando che vengano quanto prima approvate dal Parlamento in questa, se ne avrà tempo, o nella prossima legi- slatura, le disposizioni concernenti la revisione della legge penale sostanziale e le di- sposizioni sullo stato dei magistrati militari originariamente contenute nel disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario e poi stralciate. Quanto al primo aspetto, il Ministero della Difesa ha espresso piena condivisione del disegno di legge a.C. 2098, nel quale è prevista, tra le altre cose, una novità che ritengo di particolare importanza: l'introduzione, nel Codice penale militare di pace, di un'apposita normativa penale applicabile al personale impiegato nelle mis- sioni internazionali. Si tratta di una scelta importante per assicurare il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario e per superare incertezze e lacune normative più volte prospettate da esponenti della magistratura militare. Anche relativamente al secondo profilo, non posso che condividere il contenuto del disegno di legge a.S. 1447-quinquies, con particolare riguardo ai correttivi da apportare per adeguare le norme in tema di stato giuridico, funzioni e trattamento economico dei magistrati militari alle modifiche introdotte dalla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario contenute nella legge n. 111 del 2007, nonché per procedere al riassetto delle disposizioni in materia di ordinamento giudiziario mili- tare in un unico codice. Nel rinnovare il mio apprezzamento alla Magistratura militare ed al ruolo che essa svolge, vorrei concludere il mio intervento con l'auspicio che lo spirito di collabora- zione che ci ha sempre contraddistinto, possa anche per il futuro improntare la no- stra reciproca azione. Nel ringraziare per l'attenzione che avete voluto dedicare a queste mie parole, ri- volgo a Lei, Signor Presidente, all'Organo di autogoverno, alle Associazioni e a tutto il mondo della magistratura militare il più sincero augurio di buon lavoro.

239 Due anni al Ministero della Difesa

Avvicendamento del Capo di Stato Maggiore della Difesa Roma, 12 febbraio 2008

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Ammiraglio Di Paola, Generale Camporini, Militari di ogni ordine e grado, Concittadini tutti,

la cerimonia, il rito del quale oggi siamo attori e testimoni è per la Difesa e il Paese tutto un evento di grandissimo significato. Il passaggio di consegne al vertice delle Forze Armate assicura al Paese la continuità nell'esercizio di una funzione e di una responsabilità che noi sappiamo essenziali per la vita della Repubblica. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa rappresenta, nella catena della nostra sicu- rezza, un anello insostituibile e determinante. Collocato dall'ordinamento alle dirette dipendenze del Ministro della Difesa, il Capo di Stato Maggiore della Difesa costituisce il raccordo tra l'autorità politica e la struttura militare. Avendo a sua volta alle proprie dipendenze i Capi di Stato Maggiore delle singole Forze Armate, egli è il responsabile della pianificazione, della predisposizione e del- l'impiego delle Forze Armate nel loro complesso nella esecuzione delle direttive a lui impartite. La sua è quindi una funzione di grandissima importanza, sia nella organizzazione istituzionale della Repubblica, sia nella catena di comando militare. È in considerazione della delicatezza di questa funzione che il Paese deve per questo ruolo contare su un Ufficiale che più di ogni altro associ nella sua persona competenza ed esperienza, umanità e professionalità, su un Ufficiale che sia la guida e il riferimento di quanti hanno messo al servizio della Repubblica la loro intera vita fino al sacrificio estremo. È appunto un Ufficiale di questa statura quello che oggi qua salutiamo, l'Ammira- glio Giampaolo Di Paola. Un Ufficiale che per quarantacinque anni ha servito il proprio Paese, percorrendo uno per uno in modo esemplare tutti i gradini della carriera militare. È appunto un Ufficiale di questa statura quello al quale oggi ci affidiamo come nuovo Capo di Stato Maggiore della Difesa il Generale Vincenzo Camporini, un Uffi-

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ciale dalla carriera altrettanto brillante, che raccoglie degnamente il testimone per gui- dare gli uomini e le donne con le stellette verso le difficili sfide che ci attendono. Si fa in fretta a dire quattro anni, Ammiraglio Di Paola, quando pensiamo alla du- rata del suo mandato. Solo chi li ha vissuti con Lei, e penso oltre che a me al Ministro Martino, conosce infatti la loro reale durata, la fatica, l'ansia e l'entusiasmo di ognuno dei giorni che li hanno composti. In questi anni Lei ha dovuto gestire quella che probabilmente si è rivelata come la congiuntura più critica per le Forze Armate italiane del dopoguerra. Basti pensare alla concomitanza della crescita degli impegni internazionali, della contrazione delle risorse disponibili, e della sospensione dell'obbligo della leva, con il passaggio ad un reclutamento totalmente basato sui volontari. È inevitabile che dei suoi quattro anni di comando oggi il mio pensiero vada in primo luogo ai passaggi più impegnativi dei 637 giorni che abbiamo condiviso in questi ultimi due anni, ai momenti e alle scelte difficili che ci siamo trovati a condi- videre. Ai momenti drammatici nei quali la morte ha bussato alla nostra porta. L'impegno nelle missioni fuori area è probabilmente il più noto di questi, quello che più ha raccolto l'attenzione dei media, che maggiormente ha determinato prese di po- sizione - a volte anche di forte contrapposizione - all'interno del mondo politico. È in esso che ho sentito più che mai il sostegno della sua professionalità e la com- pagnia della sua umanità. Questo è il momento per darle atto, Ammiraglio, che senza di Lei non saremmo riusciti a "governare la nave", senza la sua mano, la sua capacità di decisioni anche impopolari, difficilmente saremmo riusciti ad evitare pericolosi scogli o banchi di sabbia sommersi. Così come aveva saputo esercitare le sue attribuzioni di Capo di Stato Maggiore della Difesa, ovvero di vertice militare dell'operazione Antica Babilonia, devo darle atto di aver condiviso e condotto in maniera impeccabile, impeccabile per l'onore militare ed il prestigio dell'Italia, l'operazione di rientro del Contingente dall'Iraq. In presenza di un mutamento delle direttive politiche, conseguenti alla volontà di rispettare gli impegni assunti davanti ai cittadini, Lei, Ammiraglio, ha saputo con- frontarsi con puntualità e professionalità con le nuove scelte del Governo della Re- pubblica, guidato da un senso di lealtà istituzionale della cui esemplarità voglio qua dare pubblica testimonianza. Il suo concreto agire ha garantito l'assoluta coincidenza fra le direttive politiche e l'esecuzione degli ordini impartiti. È grazie ad esso che siamo riusciti a preservare ed anzi valorizzare quel bene supe- riore che è rappresentato dalla continuità delle Istituzioni, in presenza di un cambia- mento delle scelte della politica. Di questo il Paese Le è grato, così come i nostri alleati sono stati grati all'Italia. Ho ancora fresco nella memoria un incontro dello scorso mese di novembre, con

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una rappresentanza della Commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti, di ri- torno dall'Iraq. Pur muovendo da posizioni tra loro divergenti circa la decisione dell'intervento del loro Paese in Iraq, di una cosa i senatori americani avevano sentito il dovere di rin- graziarci, del modo nel quale i nostri soldati avevano svolto la loro missione, e ancor più del modo col quale erano riusciti a portarla a compimento rientrando in Patria in un quadro di scelte condivise con gli alleati e con gli stessi iracheni. Un modo che tutti ritengono esemplare fino a farne oggetto specifico di riflessione e di studio. Una conferma ulteriore della bontà dell'operato delle nostre Forze Armate. Un operato reso certo possibile dalla professionalità e dalla umanità dei nostri militari, ma un operato arrivato a compimento solo grazie alla mano che ha guidato l'esecu- zione delle direttive. E come dimenticare lo straordinario successo tecnico militare e politico diploma- tico ottenuto con l'operazione Leonte, in Libano? Come dimenticare la prontezza con la quale il nostro Paese è riuscito a mettere la sua iniziativa al servizio della pace? L'interruzione del fiume di sangue che improv- viso aveva iniziato a scorrere? Come dimenticare i riconoscimenti all'Italia di attore imparziale ed al tempo stesso autorevole? Anche in questa circostanza il fattore cruciale del successo è stato rappresentato dall'avere a disposizione una organizzazione militare efficiente, efficace, ma soprat- tutto profondamente leale, capace cioè di dare esecuzione, con prontezza ed esat- tezza, a quanto la Repubblica le chiedeva. In questo, ancora una volta desidero riconoscere i suoi meriti, Ammiraglio Di Paola, la sua capacità di gestione delle risorse disponibili, la preoccupazione di ga- rantire l'efficacia del nostro impegno nei diversi Teatri di crisi, ma al tempo stesso di preservare le basi di uno strumento militare che deve mantenere la sua capacità di assicurare nel tempo ed in ogni condizione, la difesa del nostro Paese. Durante questi 45 anni di carriera militare, Lei ha sviluppato una straordinaria co- noscenza e competenza, che hanno avuto modo di manifestarsi sin dalle sue prime responsabilità di comando. Sono qualità delle quali continueremo ad avvalerci. Con la cerimonia di oggi, infatti, salutiamo il suo congedo da Capo di Stato Maggiore della Difesa, ma anche il suo nuovo, prestigiosissimo incarico nell'Alleanza Atlantica. Lei è stato scelto quale nuovo Presidente del Comitato militare della NATO; sarà il "senior" fra tutti i Capi militari dei Paesi dell'Alleanza, il principale consulente del Segretario Generale nonché il promotore di quelle decisioni per consenso che il Co- mitato dei 26 Capi di Stato Maggiore dovrà di volta in volta adottare. È una elezione che Le fa onore, perché rappresenta un esplicito riconoscimento delle sue straordinarie capacità umane e professionali, un riconoscimento che prove- nendole dai suoi pari, da solo dà misura della sua professionalità.

242 Discorsi e indirizzi di saluto

È una elezione che fa onore all'Italia, che in Lei viene riconosciuta come un alleato autorevole e affidabile. Nel suo nuovo incarico Lei non rappresenterà più l'Italia, ma l'Alleanza nel suo complesso. Non per questo il Paese che Lei ha saputo servire per così tanti anni la sentirà meno vicino, o si sentirà meno orgoglioso del suo operato. Generale Camporini, Lei è da oggi il nostro nuovo Capo di Stato Maggiore della Difesa. Lei conosce le nostre Forze Armate, perché serve al loro interno la Repubblica ormai da 43 anni. Lei ha ricoperto incarichi nella sua Forza Armata, fino a diventarne sedici mesi fa il Comandante. Ed ha avuto prestigiosi incarichi nell'organizzazione interforze, quale Capo del 3° Reparto dello Stato Maggiore della Difesa, Sottocapo di Stato Maggiore della Di- fesa, poi Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa. In ognuno di questi incarichi Lei ha messo in evidenza i tratti essenziali delle sua professionalità, del suo stile di comando, della sua umanità. Sono tratti che le vengono riconosciuti fin dalle fasi iniziali della sua carriera. Dei piloti da ricognizione si soleva dire che volavano da soli, disarmati e impavidi. Da oggi Lei si trova al vertice dell'intera organizzazione delle Forze Armate. Sono sicuro che la sua straordinaria determinazione nel raggiungere gli obiettivi e nel mettere a disposizione degli altri le sue conoscenze e le sue conquiste costituirà la dote più preziosa per affrontare le sue nuove responsabilità. Di fronte a sé Lei ha un tratto di strada irto di ostacoli, ma so che questo non la spaventa affatto. Sa di essere alla guida di Forze Armate coese, fatte di uomini e donne che credono fortemente nella loro professione, ansiosi di dimostrare le loro capacità. In Lei avranno un Comandante capace di valorizzare al meglio il lavoro di squadra e di prendere anche le decisioni più difficili. Mi consenta di concludere questo messaggio di saluto prendendo a prestito le pa- role di chi mi ha preceduto in questo incarico. Quattro anni fa, il 9 marzo del 2004, all'atto del passaggio di consegne fra il Gene- rale Mosca Moschini e l'Ammiraglio Di Paola, il Ministro Antonio Martino diceva: "ho trovato un magnifico Capo di Stato Maggiore della Difesa, sono certo che il mio successore dirà altrettanto". E così è stato. Sono sicuro che sarà così anche per chi avrà l'onore di assumere l'in- carico di Ministro della Difesa nella prossima Legislatura. E in nome di questa sicurezza e di questa speranza voglio perciò gridare con voi ancora una volta.

Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

243 Due anni al Ministero della Difesa

Consegna del sommergibile “Sciré” alla Marina Militare Livorno, 18 febbraio 2008

Generale Camporini, Ammiraglio La Rosa, Signor Sindaco, colleghi di Governo, Cittadini,

la cerimonia di oggi segna un passaggio importante nella crescita della nostra Marina. Al tempo stesso, questa cerimonia ci riporta al passato per ricordare l'eroismo di chi non esitò a donare la vita, per servire la Patria e onorare la nostra bandiera. Il nome "Sciré" è un nome che parla da solo. Le parole dell'Ammiraglio Pagnot- tella, Presidente dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia, che saluto e ringrazio per la attività meritoria dell'Associazione, ce lo hanno ricordato. La storia del primo Scirè, le eccezionali imprese del battello e del suo equipaggio sono dei capisaldi della nostra storia contemporanea: la storia della nostra Marina, parte essenziale della storia d'Italia. Una storia gloriosa fatta di coraggio e di abnega- zione, di onore e di disciplina. La stessa storia che ogni anno all'inizio di settembre riconosciamo nella dramma- tica scelta dell'Ammiraglio Bergamini che nel 1943 si inabissò nel golfo dell'Asinara con migliaia di marinai per dare esecuzione agli amari ordini del governo legittimo nel quale riconobbe la voce della Patria. Una storia che affidiamo ai nostri figli come motivo di ispirazione e allo stesso tempo di meditazione, nella sua interezza, così come in ognuno dei gloriosi episodi che la compongono. Episodi che hanno certamente lasciato traccia nella memoria dei nemici di allora, episodi che ingenerano rispetto ed ammirazione fra gli alleati di oggi. Bene ha fatto, dunque, la Marina Militare a battezzare questo suo nuovo battello col nome "Scirè". È la prima volta, da molti anni, che la Marina battezza un suo sommergibile con lo stesso nome di un battello che operò durante l'ultimo conflitto mondiale. È giusto che questo onore sia toccato allo Sciré. Perché è ad esso che associamo il più importante successo ottenuto dalla nostra Marina in quel conflitto, un esempio di coesione, di tenacia, di coraggio.

244 Discorsi e indirizzi di saluto

Non è certo un caso se lo Scirè sia l'unico sommergibile il cui stendardo sia deco- rato con la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Fra pochi minuti, la Bandiera di combattimento salirà a riva, sulla sua sagola d'ac- ciaio. Con questo atto, lo Scirè entrerà definitivamente nella flotta. La saluteranno le 21 salve di cannone, tante quante quelle che, da sempre, rendono onore alla più alta ca- rica dello Stato. Con questo atto, avrà inizio la vita operativa di questo nuovo battello. Sarà una vita certamente intensa, densa di eventi addestrativi e di attività reali. Le nostre Forze Armate sono infatti - ormai da molti anni - impegnate senza solu- zione di continuità nella delicata gestione di situazioni conflittuali, che minacciano la sicurezza nostra e della comunità di cui siamo parte. Ormai abbiamo piena consapevolezza di quanto questo impegno sia oneroso. Oneroso e tuttavia doveroso. Lo dico sentendo ancora forte l'emozione di chi appena l'altro ieri ad Oderzo ha accompagnato all'ultima dimora un soldato come il Maresciallo Giovanni Pezzulo che per adempiere a quel dovere è morto in una terra lontana, molto lontana da quella nella quale era nato. Lo dico sentendo tuttavia ancora forte l'emozione di chi ha sentito sulla bocca di sua figlia testimoniato l'orgoglio di chi è vissuto per un ideale servendo la propria bandiera. In unità con tutte le altre Forze Armate la Marina Militare contribuisce grande- mente a questo sforzo collettivo. Impiega incessantemente il proprio personale e il proprio naviglio in missioni di sorveglianza, di controllo dei traffici, di protezione del naviglio mercantile e da pesca, di interdizione dei traffici illeciti. Opera per mantenere libere e sicure le vie di comunicazioni marittime, e per ga- rantire il sostegno e la protezione dei Contingenti terrestri che operano in prossi- mità della costa. Tutti i giorni dell'anno, con ogni condizione di tempo, la Marina si adopera per rendere sicuro il territorio nazionale, le risorse del mare e quei flussi strategici di ma- terie prime senza i quali ognuno di noi, e tutto il nostro Paese, non potrebbe vivere. In queste missioni, il nuovo Scirè potrà dare un contributo eccezionale. Lo Scirè è infatti un battello capace di rimanere in immersione per lunghi periodi, di operare con assoluta discrezione anche nei tratti di mare più critici, di raccogliere informazioni, di fare da avanguardia dei dispositivi navali ed interforze, anche in contesti combinati, raggiungendo precocemente le aree di crisi. Questa, fra le tante caratteristiche che possiamo citare, è forse quella di maggiore valenza strategica. I battelli della Classe U-212A, veri e propri sottomarini, ci permettono di raggiun- gere le aree di crisi in maniera assolutamente discreta, e di operare per periodi pro- lungati, al fine di preservare il libero e pacifico uso del mare.

245 Due anni al Ministero della Difesa

Queste missioni sono rese possibili dalla tecnologia avanzata che caratterizza questi battelli. E nell'acquisire queste capacità, bene ha fatto l'Italia ad associarsi alla Germania, Paese amico ed alleato, che oggi onora questa cerimonia con una delegazione della propria Marina militare, che saluto cordialmente. Il programma costruttivo degli U-212A deve ora proseguire con una seconda coppia di battelli, per i quali il Governo ha previsto i necessari stanziamenti di bi- lancio nella Legge Finanziaria. Molti, crescenti e gravosi sono i compiti che il Paese affida alle sue Forze Armate. È quindi doveroso garantire loro il necessario rinnovamento degli equipaggia- menti e il massimo adeguamento agli standard tecnologici più avanzati. Ma la tecnologia, anche la tecnologia di eccellenza, poco potrebbe senza un equi- paggio e senza dei Comandanti altrettanto eccellenti. A voi, uomini dello Scirè, sarà chiesto moltissimo. Perché dovrete saper operare con questo nuovo battello sfruttandone al meglio le caratteristiche di avanguardia. E per questo dovrete sottoporvi ad un addestramento intenso, prolungato e severo, e sarete impegnati in missioni che vi terranno lontani da casa, dalle vostre famiglie, per lunghi periodi. Ma noi siamo sicuri che sarete, siete all'altezza del compito che vi viene affidato. perché siete stati attentamente selezionati e perché siete consci di quale sia l'onore, e quale l'onere di far parte dell'equipaggio di un sommergibile chiamato Scirè. Con voi opereranno spesso gli uomini delle Forze Speciali, gli Incursori. Come in passato, anche oggi e nel futuro la simbiosi fra Sommergibilisti ed Incur- sori metterà a frutto il meglio della professionalità, del coraggio, dell'inventiva di ciascuno. Non vi attendono riconoscimenti effimeri. Questo lo sapete bene. Affinate perciò sempre più il vostro addestramento, per portare a termine le vostre missioni nella più assoluta discrezione. Anche per questo l'Italia vi è e vi sarà grata. Ci sono nomi che sono scritti nelle cronache. Il nome dello Scirè è scritto nella Storia. Sono sicuro che di questa Storia voi sarete all'altezza.

Viva lo Scirè! Viva la Marina! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

246 Discorsi e indirizzi di saluto

Saluto ai militari impegnati in Campania per l’emergenza rifiuti Caserta, 5 marzo 2008

Uomini e donne dell'Esercito,

come sapete sarei dovuto essere con voi ben prima di oggi. Fin da quando è stata costituita la vostra Task Force ho infatti sentito il dovere di incontrarvi per portarvi il saluto delle Istituzioni e manifestarvi, direttamente, la gratitudine del Paese per il contributo che avete dato fino ad oggi e per quanto con- tinuerete a fare per questa emergenza straordinaria. È un bisogno, quello di rappresentarvi la riconoscenza delle Istituzioni, che in questi giorni va ulteriormente rafforzandosi. Il dibattito, che secondo le regole della democrazia dentro la campagna elettorale va aprendosi sulle cause e sulle soluzioni per i nostri problemi, sul passato e sul fu- turo della nostra comunità, rischia infatti di oscurare chi nel presente al servizio della comunità continua a lavorare, in silenzio. Per questo io sono qua: per riconoscere il contributo decisivo che voi avete dato e state dando per il superamento della fase più acuta di una crisi ambientale, sanitaria e amministrativa potenzialmente dirompente, una crisi grave e dannosa per la so- cietà campana, l'immagine della Regione, del Paese. L'emergenza che voi vi trovate ad affrontare non è certo un’emergenza di natura militare. Eppure quando essa si è manifestata, così come tante volte in passato per emergenze che, pur con diverse caratteristiche, si sono manifestate sul territorio na- zionale: la richiesta di tutti è stata "intervenga l'Esercito". Noi sappiamo cosa sta dietro questa richiesta. Chiedere che intervenga l'Esercito, che nel linguaggio comune rappresenta e sinte- tizza tutte le Forze Armate e gli apparati di sicurezza, è il modo più semplice per chiedere l'intervento dello Stato. L'Esercito rappresenta infatti per eccellenza quel patrimonio di competenze, mezzi, e organizzazione che la collettività destina alla di- fesa dal pericolo estremo quello che alla sua sopravvivenza viene dall'attacco esterno. "Intervenga l'Esercito" è perciò un grido di disperazione, e allo stesso tempo di speranza. Il riconoscimento che da soli non ce la facciamo e allo stesso l'appello alla solidarietà collettiva perché metta in gioco la risorsa più preziosa di cui dispone.

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È nella consapevolezza di questo ruolo che la legge prevede tra i compiti delle Forze Armate quei compiti di concorso nei "casi di straordinaria necessità ed ur- genza". Compiti che vanno assolti con la stessa prontezza, la stessa dedizione e uma- nità, delle emergenze di natura militare. È nella consapevolezza del significato di questa domanda che il Governo ha deciso di sostenere l'azione del Commissario straordinario con l'intervento dell'Esercito. Voi siete qui la risposta a questa domanda. Io sono qui per sostenere e riconoscere la vostra risposta. Grazie, quindi, per il la- voro che state svolgendo in silenzio, in situazioni sociali che sappiamo difficili. Questa fascia di territorio campano - che tutti gli italiani associano da sempre alla bellezza - sembra vivere in una situazione di emergenze ricorrenti, dalla grande epi- demia di colera del 1884, fra le ultime del suo genere in Europa, fino all'altra epi- demia del '73; poi il terremoto e la criminalità organizzata in un contesto territoriale ove la risposta collettiva programmata sembra difficile come in pochi altri posti. Eppure Napoli vanta nel suo passato esperienze, realizzazioni e primati che non sono solo doni della natura ma il risultato della mano dell'uomo. La storia e le tradi- zioni civili qui sono nobili e antiche come e più che altrove. Noi siamo perciò sicuri che i napoletani siano capaci di governare il loro destino. Tuttavia ci sono momenti nei quali anche se per motivi diversi le comunità come le persone si trovano di fronte a problemi che per la loro natura e le loro dimensioni sono difficili da affron- tare senza l'aiuto di una mano e di una autorità che viene dall'esterno. Questo è ap- punto uno di questi. È per questo che sono qui a riconoscere e incoraggiare l'aiuto che voi state dando alla soluzione di questa emergenza. Voi siete questa mano che viene dall'esterno. La risposta tempestiva ed efficiente ad una domanda. L'Europa ci parla del "principio della sussidiarietà", ovvero della capacità che ogni comunità locale deve avere per quanto riguarda la gestione di problemi ordinari, inerenti la vita di tutti i giorni. Quando questa capacità manca - come qui è venuta a mancare - occorre allora riflettere sulla gravità dei fatti e definire adeguate stra- tegie, non solo per il superamento dell'emergenza. Napoli è stata in passato la più grande città d'Italia e la seconda città d'Europa. Come e con le grandi capitali del passato si trovò a condividere drammi sociali e sa- nitari che all'epoca avevano la dimensione della tragedia. Penso al panorama umano della Londra descritta da Charles Dickens nel suo "Oliver Twist"; ed anche lì, sul Tamigi, il colera imperversò nel XIX secolo. Né dobbiamo dimenticarci del dramma ambientale dello "smog", che uccideva centinaia di londinesi fino agli anni '60. Eppure, oggi, parlare di queste cose, a Londra, ha il sapore della preistoria. Una città di due milioni e mezzo di abitanti che pareva scoppiare 150 anni orsono, senza fogne, oggi ospita otto milioni di persone e conferma il suo ruolo di capitale mon- diale con un livello dei servizi e un'attenzione ai temi ambientali di livello notevol- mente superiore e adeguato alla cultura e al grado di civiltà del nostro tempo.

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Torno a dire, dobbiamo interrogarci sul perché due grandi città europee, simili un secolo e mezzo fa, oggi manifestino un "gap" apparentemente incolmabile. La du- rezza delle analisi che siamo chiamati a fare, però, non deve farci perdere la speranza. Deve, invece, stimolarci a ricercare ed attuare soluzioni rapide ed efficaci. Quello che si è saputo fare oltre la Manica, e in tanti altri Paesi moderni e avanzati, è possibile pure qui, ai piedi del Vesuvio. Basta volerlo, basta credere fortemente, con volontà, con passione. La scienza e la tecnica ci hanno reso padroni di potenzialità immense. Le risorse umane vi sono. Ecco, cari soldati, è con questo auspicio che oggi mi rivolgo a voi. Grazie ancora per quanto state facendo per restituire speranza a Napoli e alla Campania.

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Giuramento degli Allievi del 189° corso dell’Accademia Militare Modena, 7 marzo 2008

Generale Camporini, Generale Castagnetti, Generale Siazzu, Autorità, Cittadini,

a tutti vada innanzitutto il saluto del Governo e delle Forze Armate in occasione di questo giuramento solenne che ci vede riuniti, in tanti, per testimoniare la nostra simpatia e il nostro affetto ai giovani Allievi. Un saluto e un ringraziamento particolare voglio rivolgerlo al Sindaco di Modena e a tutti i cittadini di questa città, decorata di Medaglia d'Oro al Valor Militare e da sempre vicina e attenta alla vita dell'Accademia. Ai familiari dei ragazzi e delle ragazze un caloroso e cordiale abbraccio e un invito a essere orgogliosi dei propri figli che hanno scelto di dedicare la loro vita al servizio della Repubblica e della comunità nazionale, a tutela della sicurezza e del benessere di tutti. Noi sappiamo il valore del patrimonio che voi ci affidate, le ansie e le speranze con le quali avete accompagnato i vostri ragazzi sulla soglia di questo Istituto, ma sap- piamo soprattutto che senza l'ispirazione ideale trasmessa nelle vostre famiglie essi non sarebbero mai arrivati fin qui. L'Italia può essere fiera di questi giovani Allievi, perché la loro scelta è una testi- monianza di fiducia nel futuro del Paese. Essa ci dimostra che anche nelle genera- zioni più giovani restano vivi valori che sono più importanti del possesso della ric- chezza o del successo effimero fondato sul trionfo della apparenza. Un saluto particolare, desidero inoltre rivolgerlo ai 17 Allievi Ufficiali, provenienti da 8 diversi Paesi del mondo, anche molto lontani, che oggi sono qui con noi. La loro presenza è una testimonianza ulteriore di quanto questo nostro antico Istituto di formazione militare sia conosciuto e apprezzato anche all'estero. L'Accademia Militare accoglie gli entusiasmi, le energie, le intelligenze di questi giovani che accettano consapevolmente di affrontare un severo ciclo formativo per prepararsi ad assolvere i loro compiti di Ufficiali. Sento perciò il dovere di ringraziare il Comandante, Generale Tarricone, il corpo

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insegnante e il Quadro permanente, per il costante impegno professionale che fa dell'Accademia un Istituto prestigioso, all'altezza delle aspettative degli Allievi e delle necessità del Paese. Un ringraziamento, sincero e sentito, per quanto fanno qui nell'Istituto, tenendo alto il profilo formativo e professionale dei corsi, con una carica umana e una deter- minazione, che rendono manifesta la passione, la convinzione e la motivazione con le quali svolgono il loro delicato impegno di educatori. Un plauso che desidero estendere a tutto il personale che qui opera con convin- zione e devozione per il miglior funzionamento di tutte le attività dell'Accademia.

Ed ora a voi cari Allievi,

a voi che siete i protagonisti di questa giornata voglio manifestare la mia profonda emozione per essere qui ancora una volta in un'occasione così solenne, quale quella del giuramento, un’occasione che segna un passaggio fondamentale della vita di questo Istituto, come della vita di ciascuno di voi, di ciascuno di noi. Oggi è per voi una giornata di festa, una giornata che ricorderete per tutta la vita. È per questo che sento come un privilegio la possibilità di esservi vicino e trasmet- tervi il mio apprezzamento e di manifestarvi il mio sostegno. Le parole del giuramento vi hanno ricordato la particolarità dei compiti di un mi- litare, del Comandante che ognuno di voi è chiamato a diventare. Perché la fedeltà alla Patria e alle leggi è obbligo di tutti i cittadini, ma lo è, in modo solenne, nelle Forze Armate, ove lo stesso obbligo può chiamare ad esporre la propria persona a ri- schi gravi, fino all'estremo sacrificio della vita. La Medaglia d'Oro al Valor Militare Rosario Aiosa - che saluto e ringrazio con ca- lore - è il padrino del vostro corso. La sua presenza oggi ci onora e ci ammonisce sui rischi che sono necessariamente connessi alla vita delle armi e che ogni Ufficiale deve saper affrontare con coraggio e fermezza, come lui ha saputo fare nella lotta contro la criminalità nel maggio del 1977. In un'operazione che sembrava avere caratteristiche minime di rischio, Egli ha dato prova di come si deve comportare un militare. Egli ci ricorda che la regola fondamentale - che è poi per tutti una regola fonda- mentale di vita - è quella di non farsi mai trovare impreparati davanti all'imprevedi- bilità degli eventi. D'altronde, cari Allievi, se ci pensate bene, l'Istituzione militare, la professione delle armi è spesso assunta come una metafora della esistenza perchè è da sempre una componente delle civiltà umane, caricata come è del compito di ri- condurre la forza sotto il potere della autorità, di sottoporre i conflitti alla legge e alla ragione, di fronteggiare le evenienze estreme e innanzitutto fronteggiare quella minaccia funesta che chiamiamo guerra. Siate preparati. “Estote parati”. L'ammonimento evangelico che evoca quella che è la prova suprema, la prova inevitabile che attende ognuno di noi, è un invito che

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guida tutti i passi della nostra vita. Un invito che guida, tra i passi, i passaggi più ri- schiosi. Oggi le cose appaiono e sono per più versi mutate. In quella realtà complicata e terribile che chiamiamo Mondo, in quel flusso inin- terrotto di speranze e tragedie che chiamiamo Storia resta tuttavia attuale, più che mai, la necessità di difendere la pace dalla minaccia esterna e la pacifica convivenza dai conflitti interni, e allo stesso tempo di concorrere alla sicurezza internazionale ovunque essa sia minacciata. Lo spettro delle sfide che sarete chiamati ad affrontare è assai vasto in un conti- nuum ininterrotto che lega la sicurezza interna a quella esterna. Lo dico sapendo che nelle vostre file vi sono i futuri Ufficiali sia dell'Esercito sia dei Carabinieri, con la consapevolezza della sicura distinzione tra i rispettivi ambiti operativi, ma anche della profonda compenetrazione tra le due componenti delle nostre Forze Armate. Lo dico con la coscienza che i cambiamenti imposti dagli eventi mettono conti- nuamente alla prova distinzioni e categorie pur indispensabili per il pensiero e per la operatività. Chi vi ha preceduto, si era magari formato secondo gli stilemi classici di un possi- bile confronto Est-Ovest, e ha dovuto invece comandare, o coordinare, missioni di stabilizzazione e pacificazione in Teatri operativi lontani. E così è per l'Arma, con tanti Ufficiali che negli anni passati si sono trovati di fronte la sfida del terrorismo interno, da capire innanzitutto in chiave politica e so- ciopsicologica; e che oggi affrontano la grande criminalità organizzata ricercando le tracce del delinquere nei complicati intrecci del riciclaggio finanziario, del traffico, vile e turpe, di essere umani. “Estote parati”, Siate preparati, ripeto, al cambiamento e alle sfide, agli appunta- menti previsti ma soprattutto a quelli imprevisti. L'allora Tenente Aiosa sapeva che non sarebbe andato a svolgere un compito facile ed esente da rischi, ma non poteva pensare di trovarsi di fronte a sei delinquenti pronti a far fuoco su Carabinieri in divisa, a freddo. Eppure, a quella prova era pre- parato. Grazie all'addestramento e ancor prima alla formazione interiore quella prova lo ha trovato preparato, anche se era una prova capace di mettere in gioco la sua vita. Perché questa, cari Allievi, è appunto la grandezza della vostra scelta che con il giu- ramento di oggi avete confermato: il fatto che gli eventi imprevedibili che da oggi sono entrati nel vostro orizzonte hanno la drammatica peculiarità di chiedervi di mettere a rischio la vostra vita in nome dell'interesse collettivo. La nobiltà della carriera delle armi è oggi qui, in questo semplice assunto, testimo- niato nei fatti dal giovane Tenente Aiosa in un'anonima notte che non sembrava né migliore né peggiore delle altre. In situazioni analoghe si sono trovati e si trovano tanti altri nostri militari, in Li-

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bano, Somalia, Iraq, Afghanistan, nei Balcani e all'interno di tutte le nostre Forze Armate nelle strade, sui mari e nei cieli. E in ogni situazione gli italiani sanno di poter far conto sul loro valore, sul loro equilibrio, sulla loro fermezza, e sulla loro determinazione, e possono far conto su di loro perché ai loro compiti sono stati pre- parati e continuano a prepararsi per tutta la loro vita. È pensando alla necessità di questa preparazione che vi invito, perciò, cari Allievi del 189° corso, ad affrontare con serenità questi anni nell'Accademia. Son sicuro che li vivrete con intensità al servizio di una formazione che vi accompagnerà per tutta la vita. Sono certo che l'esempio di valore del Generale Aiosa vi esorterà a impegnarvi con tutte le vostre forze per maturare il vostro carattere e affinare le vostre capacità pro- fessionali: pensando alle prove che vi attendono, e sapendo che la funzione di co- mando che siete chiamati ad esercitare è affidata non all'autorità del grado, ma alla forza e all'autorevolezza dell'esempio. Nell'Accademia troverete un ambiente capace di formarvi per ogni prova, valoriz- zando al meglio il vostro entusiasmo e le vostre doti. La severità degli studi, insieme alla disciplina, è la garanzia per il vostro futuro e servirà a darvi fiducia nelle vostre capacità e piena padronanza di voi stessi. Ed ora nel giorno nel quale mi viene conferito il titolo di "Cadetto ad honorem" consentitemi di rivolgermi a voi come un compagno di corso. Perché anche questo è un imprevisto al quale bisogna essere preparati, all'impre- visto di diventare Cadetto dopo aver servito la Repubblica come Ministro della Di- fesa e per di più con cinquantanni di ritardo da quel lontano 1958 quando, pur am- messo all'Accademia, scelsi con il pianto nel cuore di separarmi dai tanti compagni che entravano a Modena dopo aver condiviso con me alla Nunziatella tre anni fon- damentali della mia vita, i tre anni fondamentali della mia vita. Lo dico con la consapevolezza che il mio mandato di Ministro volge al termine. Lo dico con la nostalgia delle mie prime stellette pensando a quel Rosso Maniero di Napoli nel quali io, come più tardi il Generale Aiosa, che oggi vi fa da padrino, giurammo per la prima volta fedeltà alla Patria, ripetendo le stesse parole che voi avete oggi pronunciato anche per me, Cadetto d’onore. Ora che, con la fine della legislatura, il mio mandato di Ministro volge al termine consentitemi di confermare il sentimento di profonda gratitudine a tutto il mondo militare nel quale in questi due anni mi sono trovato nuovamente immerso, due anni che per la loro intensità mi hanno fatto sentire tutta la vita adulta quasi come una parentesi, come se in quello scorcio d'estate del 58, invece di intraprendere la via dell'Accademia universitaria avessi risposto sì alla chiamata dell'Accademia di Modena. Se questo sentimento ha guidato e sorretto questi due anni è perché fin dal primo giorno ho ritrovato nelle persone che mi hanno circondato lo stesso spirito di lealtà e dedizione al dovere, gli stessi sentimenti che hanno segnato la mia adolescenza.

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È un filo di fiducia che non si interrompe e che ci consente di guardare con fon- data fiducia al nostro futuro. A voi, perciò, cari Allievi, parlando a nome del mio passato e del mio presente, dico: guardate con orgoglio alla scelta che avete compiuto, sappiate che essa ha un forte consenso nel Paese, che vede ed apprezza nella professione militare una dimen- sione in cui tuttora vivono i valori della lealtà e dell'onore. Andate avanti con decisione e dignità sulla via che vi attende. Con "orgoglio", come dice il nome del vostro corso. Vostro dovere è essere sempre all'altezza di chi vi ha preceduto e fare della condizione militare un sicuro e solido punto di riferimento per tutto il Paese. Il passato deve essere di stimolo per il presente, per operare giorno dopo giorno, a favore dell'Italia con il nostro impegno, il nostro coraggio, la nostra fede. Affrontate con serenità ogni prova futura. A tutti e ad ognuno il mio più sincero buona fortuna.

Viva l'Accademia Militare! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

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Giuramento degli Allievi dell'Accademia Aeronautica Pozzuoli, 20 marzo 2008

Cittadini, Autorità, Generale Camporini, Generale Tei,

a voi tutti il saluto del Governo in questa giornata solenne del giuramento degli Allievi del corso "Ibis V". Il saluto e il ringraziamento più caldo per la vostra presenza che sento come un segno della vostra vicinanza alla vita della nostra Arma Azzurra e dei giovani che oggi sanciscono col loro giuramento il suo rinnovamento e con la loro scelta la sua vitalità. Un saluto particolare ai familiari degli Allievi, che condividono con i loro ragazzi l'emozione di una giornata destinata a segnare la loro vita, e a rappresentare nella loro memoria un passaggio indimenticabile. A voi madri e padri il ringraziamento più caldo, quello mio personale e quello della Repubblica. Noi sappiamo che non si arriva a questa Accademia se non si è guidati da un sogno. Ma sappiamo che questo sogno è stato alimentato dai valori che i vostri figli hanno respirato nelle vostre famiglie. Noi conosciamo il valore del patrimonio che ci avete affidato nel momento nel quale avete accompagnato i vostri figli sulla soglia di questa Accademia. Da genitori conosciamo anche noi il costo di questo distacco. Ci rassicura tuttavia la fiducia e la stima che tutti noi nutriamo verso l'Accademia, il suo Comandante, Generale Marsiglia, il corpo insegnante, il Quadro permanente e tutto il personale, per la capacità, dimostrata in ogni occasione, di formare Uffi- ciali preparati sul piano professionale e maturi nel carattere, in condizione di affron- tare i compiti che saranno loro affidati. L'Accademia Aeronautica, come tutto il sistema militare, persegue infatti con de- terminazione obiettivi qualitativi sempre più alti e io so che questi obiettivi sono non solo perseguiti ma conseguiti. Se la ricerca e lo sviluppo di sistemi d'arma più avanzati, se l'utilizzo di mezzi sempre più sofisticati non è accompagnato da uno sforzo ancora più elevato nell' adeguare il li-

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vello professionale del personale militare non andremo tuttavia lontano. È nell'uomo, infatti, il fulcro di questa "rivoluzione qualitativa" che stiamo vivendo. Il successo dei nostri progetti dipenderà perciò dalla capacità formativa delle Acca- demie e delle Scuole, dalla loro capacità di trasmettere competenze, conoscenze e valori, dalla loro capacità di corrispondere all'entusiasmo dei giovani. Quelle competenze, conoscenze e valori di cui gli uomini e le donne della nostra Aereonautica danno prova ogni giorno nella loro attività ordinaria così come in quella straordinaria, sui nostri cieli e sui cieli di tutto il mondo. Consentitemi a questo proposito di cogliere l'occasione di questa solenne ceri- monia per rivolgere pubblicamente un apprezzamento all'Aeronautica Militare per il recente ponte aereo con Tirana. Una operazione che ha consentito il rapido rico- vero in nostri ospedali dei feriti più gravi a seguito dell'esplosione di un deposito di armi e munizioni. Una operazione appunto che ha dato una ulteriore prova della competenza degli uomini e delle donne dell'Aeronautica Militare ma anche dei legami di solidarietà che condividiamo con il vicino popolo albanese. Ed ora voglio rivolgermi direttamente a voi, cari Allievi e care Allieve del Corso "Ibis V", che di questa cerimonia siete i protagonisti. Pronunciando la formula del giuramento, voi avete assunto un impegno - con i vostri concittadini, con le Istituzioni e con la vostra coscienza - un impegno che lega la vostra vita al servizio della Repubblica. Poche parole. Ma grazie ad esse, rispetto al vostro passato, qualcosa è cambiato. È cambiato irreversibilmente. Il campo delle vostre responsabilità ha ora un contorno più definito. La scelta che volontariamente avete fatto chiama ora anche voi, come ognuno di noi, a doveri da cui sappiamo di non poter derogare. Questa scelta vi chiama ad un nuovo sentire morale destinato a ridefinire la vostra personalità. Poche parole, quelle del giuramento. Ma parole chiamate a resistere al tempo, parole che resisteranno alle prove del tempo, parole che non sbiadiranno nei meandri della memoria o delle contingenze della vita professionale. Ve lo dico anch'io a partire dall'esperienza nel ricordo di un giuramento di troppi anni fa. Come sapete, cari Allievi, molte professioni prevedono un giuramento; e ogni di- pendente pubblico è legato alla Repubblica da particolari responsabilità. La scelta militare, tuttavia, è la sola che estende la portata del giuramento fino alle evenienze estreme, proprio perché è nella natura della professione delle armi prepa- rarsi ad affrontarle, a difesa della Patria, a salvaguardia delle libere Istituzioni, a tu- tela del diritto e della sicurezza internazionale all'interno delle organizzazioni che a questo sono preposte. Nella vita militare vi è un'alea di rischio che ci prepariamo ad evitare, ma che sap-

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piamo inevitabile. Un rischio da conoscere, da affrontare freddamente, con professio- nalità, con coraggio, con la forza morale di chi sa di operare per il bene e per il giusto. L'Accademia e il processo formativo che vi impegnerà per tutta la vita, che conti- nuerà a impegnarvi per tutta la vita, vi preparano a questo. Ad essere buoni piloti, buoni ingegneri, buoni manager, buoni Comandanti. Ad operare anche nelle condizioni più difficili che segnano talvolta le contingenze della storia. A prepararvi al combattimento, che nella vita di un militare è una ipotesi sempre possibile. Voi entrate oggi a pieno titolo nell'Arma Azzurra. Siate all'altezza dei suoi compiti e all'altezza dei suoi meriti. L'Aeronautica difende i nostri spazi nazionali, quelli aerei ed aeronavali; supporta le missioni internazionali all'estero; svolge opere di soccorso che senza il mezzo aereo sarebbero impossibili. In pochi anni, l'Aeronautica è cambiata, portando a termine essenziali processi di modernizzazione, che la pongono al passo dei tempi. I mezzi che voi andrete a governare sono moderni, il panorama delle linee di volo, pur se in una cornice di ridotte dimensioni quantitative, è ora delineato completamente. L'Arma Azzurra ha tutte le potenzialità tecnologiche per partecipare con posizioni di primo piano a quella grande, unica rete che ormai è costituita dalle aviazioni militari eu- ropee e alleate, dove la dimensione nazionale si compone in un più alto profilo operativo. Pur con grandi sforzi, l'Italia è presente nei grandi progetti di ricerca e sviluppo ae- rospaziali, nella convinzione che, senza la sicurezza e il pieno controllo dello spazio aereo, la difesa della democrazia e della libertà non può essere garantita. Da questa dimensione, le nostre democrazie non possono permettersi di accettare minacce, ricatti o condizionamenti di sorta.

Cari Allievi e care Allieve del Corso "Ibis V",

voi siete il nuovo anello di una lunga catena di Ufficiali che hanno servito con onore la Patria lungo tutta la nostra storia, una lunga catena di Ufficiali qua rappre- sentata per tutti dal Generale Nardini - Capocorso del Corso "Ibis II" - che saluto con affetto, Ufficiali che sempre hanno difeso con lealtà le nostre Istituzioni custo- dendo nel silenzio i loro sentimenti e rafforzando i propri valori, nei giorni lieti come nei giorni amari. A voi sta ora il compito di mantenere forte il filo delle nostre tradizioni militari, servendo l'Italia con coraggio, intelligenza e capacità professionale.

Cari Allievi dell'Ibis V,

due sono le caratteristiche che da sempre vengono associate all'uccello che dà il nome al vostro corso.

257 Due anni al Ministero della Difesa

Il suo essere un divoratore di serpenti. Il fatto che beveva solo acqua limpida. È per questo che i sacerdoti dell'antico Egitto, preferivano per i loro riti l'acqua nella quale si era dissetato un Ibis. Io sono sicuro che dell'Ibis sarete all'altezza. Son sicuro che nessun serpente della vita sfuggirà al vostro sguardo e al vostro artiglio. Ma ancora più sicuro sono della limpidezza dell'acqua alla quale vi abbevererete. Qua ne troverete in abbondanza. Noi ne berremo con voi. "Ibis, victor, redibis"

Viva l'Aeronautica Militare! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

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85° anniversario della costituzione dell’Aeronautica Militare Firenze, 31 marzo 2008

Signor Presidente della Repubblica,

l'Aeronautica Militare per celebrare l'85° anniversario della propria fondazione ha scelto giustamente Firenze, perché è nel cuore di questa terra toscana che nella lumi- nosa stagione della Rinascenza, Leonardo da Vinci, si applicò a tradurre in progetti l'antico sogno dell'uomo di volare. La Sua presenza, Signor Presidente, onora l'Arma Azzurra e dà il senso della sua personale attenzione e dell’attenzione di tutte le Istituzioni verso la Forza Armata, verso la sua vita e le sue tradizioni, verso il suo personale, verso la sua passione per la scienza e la tecnologia come parte qualificante del suo impegno e parte integran- te del suo patrimonio culturale. Un saluto caloroso vada anche da parte del Governo alla città di Firenze, alle Autorità, ai cittadini che accolgono questa solenne celebrazione in una cornice stu- penda e ricca di fascino. Il legame che unisce Firenze e l'Aeronautica Militare è un legame forte e antico. Da settant'anni, infatti, come è stato appena ricordato, l'Arma Azzurra è presente in questa città, che ora ospita anche i giovanissimi Allievi della Scuola Douhet. A questi ragazzi, in questa solenne occasione, rivolgo un caloroso saluto e, riandan- do col ricordo alla mia adolescenza di Allievo della Scuola che della Douhet possia- mo considerare la sorella maggiore, un affettuoso incoraggiamento per il loro futu- ro. Noi conosciamo e ci riconosciamo nel sogno che li ha portati sulla soglia della Scuola. Lo conosciamo, perché l'aspirazione al volo fa parte della nostra cultura da sempre. Non è un caso che l'Italia fu tra i primi Paesi al mondo a raccogliere la sfida aperta poco più di un secolo fà dai fratelli Wright, sviluppando una sua industria aeronautica e aprendo le prime scuole di volo per i piloti, i temerari piloti delle mac- chine volanti. Di lì a poco la Grande Guerra ritrovò nelle loro gesta lo stesso valore degli antichi cavalieri.

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L'immagine del cavallino rampante di Francesco Baracca è un simbolo che parla ancora al cuore degli italiani; un patrimonio comune capace di evocare memorie militari, successi sportivi, conquiste tecnologiche e industriali. Gli eventi della guerra fecero compiere un balzo in avanti al settore aeronautico militare, svincolandolo da una visione restrittiva di semplice appoggio alle operazio- ni terrestri ed aeree. Nacquero, così, in tutti i Paesi, nel medesimo periodo, forze aeree autonome, dotate di uno spettro sempre più ampio di mezzi finalizzati a mis- sioni diverse anche non direttamente connesse con il supporto ai combattimenti ter- restri e navali. La giovane Aeronautica italiana conquistò il rispetto del mondo, conquistando record e successi prestigiosi; basti ricordare, fra tanti, le trasvolate atlantiche, che aprirono definitivamente la strada ai collegamenti aerei intercontinentali, e gli stra- ordinari primati mondiali di velocità di Francesco Agello, tuttora imbattuti. Le vicende del secondo conflitto mondiale videro l'Arma Azzurra e i suoi aviatori sacrificarsi in troppi e in troppi cieli. Agli aviatori caduti nei cinque anni di guerra rinnoviamo il nostro memore pensiero.

Signor Presidente,

in questo dopoguerra, l'Aeronautica ha iniziato una nuova stagione, caratterizzata dall'inserimento nella compagine multinazionale dell'Alleanza Atlantica con tutte le positive conseguenze in termini di modernità dei mezzi, di dottrine d'impiego, di formazione dei piloti e del personale tecnico. Né può essere dimenticato l'avvio - sempre in questo dopoguerra - di una collabo- razione industriale nel settore aeronautico, sia interna all'Europa sia fra Europa e Stati Uniti. Oggi, questa collaborazione è l'unica realtà praticabile, in scenari dove nessun Paese è più in grado di gestire per proprio contro programmi avanzati di ricerca e sviluppo in campo aerospaziale. Fedele alle sue tradizioni di generosità e ardimento, integrata nelle strutture allea- te ed europee, l'Aeronautica Militare ha servito la Repubblica con coraggio e dedi- zione, garantendo alta professionalità, salda coesione, efficacia ed efficienza in ogni occasione. La Forza Armata ha infatti fornito, e continua a fornire, un contributo essenziale a favore della difesa nazionale e si è mostrata capace di integrarsi rapidamente ed in modo ottimale con le forze aeree alleate per contribuire alla tutela della sicurezza nazionale ed all'affermazione, fuori dei nostri confini, dei principi del diritto e della legalità. Non c'è giorno in cui i velivoli dell'Aeronautica non siano presenti nei cieli d'Italia e del Mediterraneo a garanzia dei suoi cittadini, attraverso la sorveglianza, il control- lo e il soccorso aereo, fornendo protezione anche a Paesi amici, vicini, nel quadro dell'Alleanza Atlantica, fondendo - in una simbiosi perfetta - tecnologia, disciplina, coraggio e passione.

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L'Aeronautica, Signor Presidente, ha portato a termine missioni impegnative, con pieno successo. Innanzitutto attraverso l'impegno, silenzioso e prezioso, di difesa dello spazio aereo nazionale, attraverso la partecipazione alle operazioni per il mantenimento della supremazia aerea nei Teatri operativi, attraverso il sostegno logistico ai Contingenti di terra, attraverso l'efficacia e l'efficienza delle nostre basi quando messe a disposi- zione di missioni internazionali. È allora questa l'occasione per ringraziare tutti gli uomini e le donne dell'Aeronautica per l'impegno e la professionalità, senza mai dimenticare l'altro set- tore d'impiego dell'Arma Azzurra che è quello del sostegno a operazioni non mili- tari, ma a volte molto rischiose, come per lo spegnimento degli incendi boschivi.

Signor Presidente,

l'Italia può veramente essere orgogliosa della propria Aeronautica Militare e desi- dero trasmetterLe, qui, in questa straordinaria città, questo sentimento che è mio, è del Governo e sicuramente è della grande maggioranza dei cittadini. Oggi, a 85 anni dalla sua costituzione, l'Aeronautica Militare italiana è più forte che mai. È forte per il retaggio delle sue tradizioni di capacità e di valore, è forte per la passione, la professionalità e l'umanità dei suoi uomini e delle sue donne, è forte per il coraggio, la lealtà e l'abnegazione con i quali serve le Istituzioni e la Nazione. Di tutto ciò, sono concreta testimonianza le decorazioni che Lei, Signor Presidente, con grande sensibilità, ha deciso di attribuire alle Bandiere di Guerra della 46^ Brigata Aerea, del 15° Stormo e del Reparto Mobile di Supporto.

Ai piloti, ai tecnici, ai militari tutti dell'Arma Azzurra vada in questo giorno di festa il più sincero augurio del Governo. Su di essi la Repubblica può fare pieno affidamento: sul loro impegno, sulla loro professionalità, sulla loro intelligenza, sulla loro lealtà alle Istituzioni. Grazie ad essi, i nostri cieli continueranno ad essere al sicuro da ogni minaccia e più forti saranno la pace e la sicurezza nel mondo.

Viva l'Aeronautica Militare! Viva le Forze Armate! Viva l'Italia!

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Comunicazioni al Parlamento

Comunicazioni al Parlamento

CAMERA DEI DEPUTATI Partecipazione italiana alla missione in Libano Camera dei Deputati, 6 settembre 2006

Il ministro Arturo Mario Luigi PARISI ricorda innanzitutto che lo scorso 18 agosto le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e del Senato hanno ap- provato con voto unanime due distinte risoluzioni di uguale contenuto che impe- gnano il Governo ad adottare ogni iniziativa per assicurare il sostegno umanitario alle popolazioni civili del Libano e per garantire che l’Italia abbia un ruolo attivo per la piena attuazione della risoluzione n. 1701, compresa la partecipazione di un Con- tingente militare italiano alla forza UNIFIL. Il Governo, nell’assumere il citato im- pegno, aveva per altro segnalato l’esigenza di approfondire in sede ONU alcuni aspetti della missione militare concernenti il concetto operativo delle Nazioni Unite, le regole d’ingaggio e la catena di comando. Dal momento dell’approvazione delle risoluzioni parlamentari fino all’emanazione del decreto-legge in esame, il Go- verno ha attivato una fitta serie di incontri a livello internazionale volti all’approfon- dimento dei citati profili. Al tempo stesso, il Governo ha avuto cura di predisporre l’approntamento di una forza in grado di schierarsi non appena fossero stati chiariti in sede internazionale tutti i diversi profili in precedenza menzionati. In particolare, per quanto riguarda il concetto operativo della missione, sottolinea che uno dei primi adempimenti dell’ONU è stato quello di delineare la cornice operativa della missione. L’organo preposto a tale funzione, il Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace, in stretto coordinamento con i rappresentanti politici e militari presso l’ONU ha elaborato un testo affinandolo in vari incontri successivi, ai quali ha partecipato un Ufficiale del COI (Comando Operativo di vertice Inter- forze), portatore dei punti di vista nazionali. Per quanto concerne le regole d’in- gaggio, ritiene che esse siano state adeguatamente definite, anche sulla base delle esperienze maturate nel corso di precedenti missioni svolte sotto la diretta responsa- bilità dell’ONU, e che risultino idonee ad alleggerire il livello di rischio. Al fine di salvaguardare l’incolumità del Contingente militare e della popolazione civile, la re- gola fondamentale è quella di utilizzare la forza in modo proporzionato all’offesa. Nel segnalare l’esigenza di mantenere sul dettaglio delle regole di ingaggio la neces-

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saria riservatezza, per ragioni connesse alla sicurezza del personale che prende parte alla missione, assicura comunque che tali regole appaiono « robuste », in quanto l’UNIFIL potrà agire con i mezzi a sua disposizione per impedire che qualsiasi atti- vità ostile venga effettuata nell’area di propria competenza. Quanto al disarmo delle milizie hezbollah e di qualsiasi altra milizia armata presente sul territorio libanese, ricorda che uno degli obiettivi della missione è quello di contribuire all’affermazione della sovranità dello Stato libanese. In questa prospettiva, quindi, l’UNIFIL potrà fornire il proprio sostegno allo Stato libanese, ma non sostituirsi a quest’ultimo nel disarmo delle milizie. Peraltro, il Capo di Stato Maggiore libanese, Generale Sleiman, ha recentemente ribadito l’impegno dell’esercito libanese a requisire sul territorio ogni tipo di armamento non autorizzato dal Governo. Quanto alla catena di comando, ricorda che il citato Comando della missione UNIFIL, attualmente esercitato dalla Francia, sarà affidato all’Italia a partire dal prossimo mese di feb- braio, anche in considerazione del livello di partecipazione alla missione da parte del nostro Paese. Ciò premesso, fa presente che presso il Dipartimento per le Opera- zioni di peacekeeping dell’ONU, su decisione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, a seguito dell’iniziativa italiana e francese, sarà istituita una Cellula di Dire- zione Strategica della Missione UNIFIL che fungerà da interfaccia tra il Coman- dante di UNIFIL in Teatro ed il responsabile del Dipartimento. In sostanza, è stato istituito un ulteriore livello di comando, collocato all’interno del citato Diparti- mento, che rappresenterà l’interfaccia del comando sul terreno. In questo modo, il Comandante in Teatro, nel colloquiare con il citato Dipartimento, si relazionerà con un interlocutore che è in grado di utilizzare lo stesso linguaggio e di assumere decisioni in tempi rapidi. In definitiva sottolinea come la sicurezza della missione non sia affidata esclusivamente alle regole di ingaggio, ma anche alle modalità di conduzione della missione stessa, che punteranno principalmente sulla prevenzione dei conflitti, anche sulla base dell’esperienza maturata dall’Italia in ambito interna- zionale. In conclusione, sottolinea come il Governo, ritenendo congruo il modo in cui i predetti profili sono stati delineati in sede internazionale, ha dato avvio alla missione in Libano con l’emanazione del presente decreto-legge.

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Attentato a un convoglio militare del Contingente italiano in Afghanistan Camera dei Deputati (Aula), 26 settembre 2006

Signor Presidente, Onorevoli Colleghi,

sono qui a riferire, purtroppo, su un nuovo grave lutto che ha colpito il nostro Contingente in Afghanistan. Passo subito all'esposizione dei fatti così come sono stati ricostruiti sulla base delle prime informazioni sinora pervenute. All'alba di oggi, circa alle 05.30 in Italia, le 8.00 a Kabul, una bomba è esplosa al passaggio di un convoglio militare dell'ISAF a circa dieci chilometri a sud della capi- tale afgana. A causa dell'esplosione un nostro militare è deceduto mentre altri cinque nostri militari sono rimasti coinvolti, riportando varie ferite. Si contano vittime anche tra i civili afgani: infatti, l'esplosione coinvolgeva anche una vettura civile, in transito, provocando il decesso di un bambino ed il ferimento di altri due occupanti. L'attacco è avvenuto nei confronti di una normale attività di pattuglia condotta dal Contingente italiano nell'area di competenza, nella zona del distretto di CHASÀR ASYÀB, a bordo di tre veicoli blindati leggeri. L'esplosione, riconducibile ad un ordigno controllato a distanza, ha investito il terzo mezzo, sul quale viaggia- vano i sei militari coinvolti, tutti appartenenti al 2° reggimento alpini di Saluzzo. Il Caporal maggiore capo Giorgio Langella ha perso la vita a seguito delle ferite ri- portate; il Caporal maggiore Vincenzo Cardella è al momento in sala operatoria presso l'ospedale militare francese; il Maresciallo Francesco Cirmi presenta fratture gravi al bacino ed agli arti inferiori. Altri tre militari, il Caporal maggiore scelto Sal- vatore Coppola, il Caporale Sebastiano Belfiore e il Caporale Pamèla Rendina hanno riportato lievi ferite e le loro condizioni non destano preoccupazioni. Sul posto è stata immediatamente messa in opera ogni attività di soccorso e recupero, via terra e con elicottero, per il trasporto dei feriti presso il ROLE 2 (ospedale mili- tare di primo intervento) del Contingente francese. I familiari sono stati tempestivamente informati. I 3 feriti meno gravi hanno per- sonalmente avuto modo di parlare con le proprie famiglie. Sono in corso i rilievi e gli accertamenti da parte degli organi di polizia militare per individuare l'esatta dinamica e la causa del tragico evento.

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Legge di Bilancio e Finanziaria 2007 Camera dei Deputati (Aula), 10 ottobre 2006

Signor Presidente, Colleghi Deputati,

nel definire le scelte programmatiche del settore Difesa, che oggi sono chiamato ad esporre, credo che non si possa prescindere dall’inquadrare, ancorché brevemente, le scelte oggi in esame nel quadro dello scenario internazionale che è stato caratteriz- zato, in questi ultimi anni, da un cambiamento veloce, continuo, inarrestabile. A fronte di questa realtà, le sfide e le minacce del XXI secolo, il terrorismo in primis, non possono vedere l’Italia defilata in una posizione di secondo piano. Siamo chiamati, per la nostra posizione economica, per il nostro status politico e per il livello di ambizione che coltiviamo, a svolgere un ruolo di rilievo nello scenario internazionale. In tale contesto, siamo tenuti a condividere le nuove sfide all’interno delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica. Di fronte a queste sfide, le Istituzioni internazionali si affermano quali vere e proprie “comunità di valori”, punti di riferimento per tutti i paesi ed i popoli che pongono la democrazia come si- stema politico, la libertà, il diritto, la crescita dell’individuo al centro delle proprie dinamiche sociali, culturali ed economiche. La partecipazione agli organismi internazionali, sancita dall’articolo 11 della Co- stituzione, è una fondamentale dimensione strutturale della politica estera italiana. Multilateralismo non equivale, tuttavia, all’annullamento delle responsabilità nazio- nali. Un multilateralismo efficace comporta invece un impegno continuativo dei singoli Paesi e gli organismi internazionali funzionano solo a questa precondizione. In tale quadro la sicurezza è il primo e il più importante di quei beni fondamentali che risultano “condivisibili ma non divisibili” dei quali tutti dobbiamo poter fruire e ai quali tutti dobbiamo quindi contribuire. Produrre sicurezza significa però impe- gnare risorse economiche, umane e di intelligenza considerevoli da parte di tutta la comunità internazionale. L’Italia ha piena coscienza del proprio peso e del proprio ruolo nel contesto inter- nazionale. E al riguardo stiamo facendo molto. Circa 10 mila militari sono, oggi, schierati fuori dal territorio nazionale in operazioni. Un impegno, questo, che l’at- tuale scenario internazionale non consente di prevedere in diminuzione nel pros-

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simo futuro; impegno realmente gravoso per il nostro strumento militare tenuto conto che per garantirne la sostenibilità nel tempo è necessario un impiego rotazio- nale di circa 40 mila militari limitandoci al personale immediatamente impegnato sul campo. Fermo restando quindi il convincimento politico del Paese di compartecipare ade- guatamente a garantire la sicurezza, alla Difesa spetta il non facile compito di assicu- rare la disponibilità di uno strumento idoneo sotto il profilo qualitativo e quantita- tivo. Di uno strumento efficace, reattivo, in grado di operare congiuntamente, ed alla pari, con le Forze Armate degli altri Paesi. In relazione ai prevedibili scenari, lo strumento deve, e dovrà anche in futuro, es- sere configurato per assolvere un’ampia gamma di missioni a diversa intensità, che richiedono un continuo adeguamento delle capacità e delle tecnologie. È necessaria, quindi, una trasformazione costante che assicuri l’efficacia e l’impie- gabilità dello strumento militare, ai fini della sicurezza nazionale e quale contributo dell’Italia alle Organizzazioni internazionali per la pace, la sicurezza e la stabilità. In quest’ottica, le Forze Armate stanno producendo uno sforzo consistente, da un lato per contribuire a sostenere efficacemente le missioni decise dal Parlamento e, dall’altro, per completare il processo di modernizzazione e trasformazione dello strumento militare in senso interamente professionale. Questo rappresenta certamente un obiettivo prioritario, in particolare per le Forze Armate di paesi che, come l’Italia, ricoprono un ruolo di primaria responsabilità. A questo fine, nel quadro di una convergenza nel campo della stabilità e sicurezza in campo europeo, nonché di mantenimento degli impegni internazionali assunti dall’Italia, è comunque auspicabile che gli stanziamenti siano commisurati per assi- curare alle Forze Armate gli standard di personale, di mezzi e sistemi qualitativa- mente analoghi a quelli dei Paesi alleati. È questo un obiettivo irrinunciabile che ri- chiede una pianificazione finanziaria di medio-lungo termine, idonea a produrre un costante adeguamento della qualità e capacità dello strumento militare al fine di renderlo compatibile con gli impegni assunti, non trascurando il bene essenziale della sicurezza del personale, segnatamente di quello impegnato nelle missioni inter- nazionali di pace. È indubbio che il livello delle risorse finanziarie, in particolar modo se definito al- l’interno di un quadro di certezza programmatica di medio periodo, costituisce l’elemento essenziale di tale processo. In realtà, è proprio nel medio periodo che deve essere misurata l’efficacia dell’intervento programmatico, in un settore in cui le scelte comportano lunghi tempi di definizione, articolati impegni negoziali, in am- bito nazionale ed internazionale, sviluppati nell’arco di più esercizi finanziari. È proprio muovendo da questi principi che il Governo, con questa finanziaria, ha inteso sostenere la Difesa. A questo fine ha assicurato al Bilancio un incremento contenuto, ma tuttavia si- gnificativo, che inverte la tendenza negativa registrata a partire dal 2004. Una scelta,

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questa, che assume particolare rilievo se rapportata al difficile momento economico che il Paese sta attraversando. Purtroppo la gravità della situazione ereditata e la necessità di operare una stabiliz- zazione e il risanamento dei conti pubblici non ha permesso al Governo, ne siamo consapevoli, di sostenere adeguatamente obiettivi strutturali della Difesa né tanto meno di riallineare il livello di spesa per la “Funzione Difesa” a quello dei partners europei. Problematiche, queste, di primaria importanza con cui dovremmo immediata- mente confrontarci non appena le condizioni finanziarie del Paese saranno miglio- rate. L’inaccettabile situazione di Bilancio, che ha visto precipitare nell’ultimo triennio le risorse assegnate alla funzione Difesa, ha causato uno stridente contrasto tra il li- vello di responsabilità dell’Italia e le capacità operative concretamente raggiungibili e sostenibili. Ricordo come si sia verificata una coincidenza tra tale diminuzione di risorse e l’implementazione del modello professionale che ha necessariamente aumentato le spese dedicate al personale. Il risultato finale è stata una diminuzione effettiva nel settore degli “investimenti” e in quello del “mantenimento” dello strumento mili- tare che nel 2006 ha raggiunto circa il 40%, rispetto al livello di minima sufficienza che si era consolidato fino al 2004. Ciò ha causato una allarmante situazione di in- solvenza nella contrattualistica in corso per quanto riguarda i programmi di investi- mento e un gravissimo pregiudizio al mantenimento dei mezzi e dei livelli addestra- tivi del personale. Ciò sulla base di ripetute scelte che riteniamo tanto più gravi perché in contrasto con l’allarme manifestato da chi mi ha preceduto alla guida del Dicastero. Quindi una vera e propria potenziale compromissione sia del futuro che del pre- sente delle Forze Armate, a cui si è ovviato nell’anno in corso con tutti gli accorgi- menti gestionali possibili, ma che, senza le opportune correzioni, avrebbe come esito un definitivo e irreversibile degrado delle capacità operative della Difesa. Ciò che abbiamo chiesto come Dicastero è stato un chiaro segnale di cambio di tendenza che consentisse l’avvio delle azioni correttive e soprattutto desse un mi- nimo di respiro per la verifica delle responsabilità realmente sostenibili dal Paese. Le difficilissime condizioni generali hanno reso non completamente percorribile una strada di risanamento, così che se devo giudicare i risultati raggiunti in termini relativi al contesto, posso dichiararmi cautamente soddisfatto e affermare che il cambio di tendenza c’è, e permette di affrontare una parte delle problematiche. Se devo però ragionare in termini assoluti, in rapporto ai gravi danni che si stanno già verificando, devo ancora manifestare tutta la mia preoccupazione e tentare di indi- viduare ogni azione ulteriormente migliorativa. Vediamo quindi in dettaglio la situazione. A legislazione vigente il bilancio assegna al Dicastero 18.134,5 M€ di cui 12.437,3 M€ per la funzione Difesa. Di questa

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cifra ben 8.940 M€ sono dedicati al personale con le residue risorse suddivise tra investimenti (1.557 M€) e esercizio (1.940 M€). Se ci fossimo fermati a queste cifre, derivate da una continuità tecnica con il bi- lancio 2006, ci saremmo trovati ad affrontare, in modo non più sostenibile, tutte quelle problematiche di insolvenza e decadimento dello strumento che ho citato. Per questo sono stati introdotti dei correttivi che si possono ritrovare innanzitutto nell’art. 113 riguardo l’investimento, e nell’articolo 187 riguardante l’esercizio. Con il 113 vengono assegnati alla difesa 1.700 M€ dedicati all’integrazione di programmi per i quali si prospettavano situazioni di insolvenza in coerenza con la più generale linea conduttrice della manovra di finanza pubblica, tale percorso ha inteso salvaguardare, prioritariamente gli investimenti in un settore industriale di alta valenza tecnologica, qual è quello di interesse della Difesa. Infatti, l’articolo 113 intende autorizzare la copertura di posizioni debitorie già esistenti e assolutamente vincolanti, connesse a programmi di ammodernamento derivanti prevalentemente da accordi europei ed internazionali, già avviati. Sono programmi che, comunque, hanno una rilevante ricaduta sul settore industriale nazionale, che ha una valenza strategica in un quadro di ferma determinazione al rilancio dell’economia italiana. Questo intervento, quindi, non è volto solo e soltanto all’acquisizione di mezzi e sistemi indispensabili al buon funzionamento dello Strumento militare, ma è fina- lizzato anche, e per certi versi soprattutto, alla salvaguardia di assetti industriali e produttivi estremamente rilevanti in termini occupazionali, prima ancora che nel contesto della competitività internazionale. Questa azione riallinea le risorse con gli impegni, ma non fornisce alcuno spazio per quei nuovi programmi di sviluppo che sarebbero necessari per continuare la tra- sformazione dello strumento militare verso le future esigenze, ad esempio nel settore “della sorveglianza aerea, marittima e terrestre”, elemento chiave per l’efficacia nei tipi di operazioni in cui l’Italia è e sarà prevedibilmente impegnata. Sarà indispensabile pertanto vigilare attentamente sul futuro per individuare eventuali spazi e possibilità per ulteriori correttivi ed assegnazioni. Tuttavia il provvedimento dell’articolo 113 permette di uscire dall’emergenza che avrebbe compromesso in modo catastrofico il futuro e, pertanto, lo sostengo fortemente come irrinunciabile per le Forze Armate, ma anche per il sistema Paese in ragione delle sue implicazioni nel settore strategico dell’alta tecnologia, fattore di potenza industriale. La previsione recata dall’art. 187 affronta invece la situazione del presente, estre- mamente critica per la condizione dei mezzi e per il livello di addestramento del personale. I mezzi hanno notoriamente subito un drastico deterioramento, in di- pendenza del continuo e prolungato impiego soprattutto nelle operazioni fuori area. In questo campo devo ricordare come la mancata manutenzione non si traduca in semplici fermi di macchine che possono essere ripristinati non appena vi sia pos- sibilità. I fermi di macchine ad alta tecnologia comportano danni tecnici irreversi-

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bili e situazioni di insicurezza che impongono costosissime revisioni all’atto della reimmissione in uso. La mancanza di risorse, ove protratte nel tempo, può addirit- tura portare alla necessità di radiazione dei mezzi costosi, ma soprattutto essenziali per l’operatività dello strumento e per la sicurezza dei militari. Similmente la discontinuità nell’addestramento di un militare porta a situazioni di grave insicurezza nelle operazioni. Manutenzione e addestramento rimangono elementi estremamente critici di cui continuiamo a essere seriamente preoccupati. La dotazione riconosciuta dall’articolo 187, pari a 400 M€, rappresenta un par- ziale avvio di un oculato ed indispensabile intervento di conservazione dell’esistente e consistente patrimonio di beni mobili del Dicastero che è in pericolo, ma pur- troppo insufficiente. Infatti, ciò che sarebbe necessario per superare definitivamente il gap registrato negli ultimi anni, richiederebbe, perlomeno, la disponibilità di ulteriori 1.000 M€. Devo doverosamente aggiungere che su queste risorse insufficienti sono anche at- testate tutte quelle attività di servizi esterni, che le Forze Armate avevano avviato come conseguenza del passaggio al professionale. Essi costituiscono una preziosa fonte di occupazione per categorie di lavoratori civili e, insieme, garantiscono nel quotidiano un giusto livello di qualità di vita e di efficienza per il personale militare. Nel 2006 sono state visibili le negative conseguenze occupazionali su queste cate- gorie non sempre tutelate da adeguati ammortizzatori sociali. Confermo pertanto la mia preoccupazione per la permanente criticità del settore “mantenimento dello strumento”. Come Dicastero vorrei vedere almeno le risorse dell’esercizio preservate da ogni taglio o aggiustamento in negativo, considerata la loro essenza vitale. Va comunque sottolineato che gli stanziamenti aggiuntivi previsti, pari a 2.120 M€ (1.700 per investimenti, 400 per l’esercizio, 20 per l’avvio di un programma per la realizzazione di alloggi di servizio) portano il bilancio della Difesa a 20.254 M€; fatti salvi gli effetti – in via di quantificazione a cura della Ragioneria Generale – dell’accantonamento previsto all’articolo 53. Lo stanziamento complessivo che ne risulta fa registrare un significativo incre- mento del rapporto funzione difesa/PIL, precipitato lo scorso anno allo 0,825%. Se fino ad ora ho parlato del “chiedere”, devo anche sottolineare che la Difesa, conscia delle difficoltà a contorno, ha pensato anche al “dare”, contribuendo a creare un articolato (il 17.) che mette a disposizione, nel modo più efficace possi- bile, parte del consistente patrimonio immobiliare. Ciò può diventare un importan- tissimo e rilevante contributo al miglioramento dei Conti pubblici. In questo senso il Dicastero si impegnerà a coordinare le proprie attività tese ad individuare ulteriori possibili rilasci di beni immobili, anche in un’ottica di miglior distribuzione sul ter- ritorio nazionale e di ordinata e graduale riduzione dei gravami imposti sul terri- torio. In particolare, l’articolo 17 prevede l’impegno ad individuare beni immobili

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da consegnare al Ministero dell’Economia e Finanze, per la successiva valorizza- zione, per un valore complessivo di ben 4 miliardi di euro in due anni. Altre norme, concernenti il personale e l’organizzazione dei Servizi e delle Strut- ture di supporto, i cui effetti sono in fase di approfondimento, potrebbero richie- dere alcuni aggiustamenti nel corso dell’iter parlamentare. Parallelamente, sarebbe auspicabile uno stanziamento specifico finalizzato a favo- rire l’esodo di personale militare anziano dai ruoli che presentano rilevanti ecce- denze rispetto alle dotazioni previste dal modello professionale delle Forze Armate. In sintesi per quanto concerne gli aspetti di pertinenza del dicastero si riscontra una piena coerenza del bilancio della Difesa con la manovra complessiva del Go- verno. Il bilancio 2007, come ho evidenziato, segna un’inversione di tendenza rispetto al pesante quadro di situazione ereditato. In particolare, sono significativamente salvaguardati gli investimenti, anche in un’ottica strategica di mantenimento delle capacità di alta tecnologia del sistema in- dustriale. Sono invece ancora insufficienti le risorse per il mantenimento e l’addestramento, e nell’anno sarà necessario individuare ulteriori accorgimenti di sostegno. La Difesa, per rispondere al sostegno avuto, si è impegnata a dismettere in modo efficace tutta la parte del patrimonio immobiliare non più indispensabile alle pro- prie funzioni, e ad effettuare ogni ulteriore sforzo di razionalizzazione. So che il Governo avrebbe voluto fare di più per la Difesa ma, tenuto conto della primaria esigenza del risanamento economico del Paese, ritengo che i risultati otte- nuti rappresentino il segno di un impegno, una prima importante risposta. Con questa convinzione, chiedo a voi il più ampio sostegno al percorso parlamen- tare del disegno di legge di Bilancio e della Finanziaria 2007.

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Indagine conoscitiva sulle servitù militari Camera dei Deputati, 25 ottobre 2006

Signor Presidente, colleghi,

vorrei anzitutto dire che il Governo, che in questa sede rappresento, condivide in pieno l’interesse per la valutazione del sistema delle servitù militari, il cui riordino, come è noto, costituisce uno dei punti del programma sottoposto agli elettori, in sede di campagna elettorale, e al Parlamento, in occasione dell’esposizione delle linee programmatiche del Governo. Sono perciò sicuro che questa indagine conosci- tiva, attraverso la più seria analisi possibile della materia, potrà recare un contributo determinante all’adozione delle misure correttive che appariranno necessarie. Per in- quadrare il problema, mi sia consentito muovere da alcune premesse che ritengo fondamentali. La prima è di carattere costituzionale: la difesa è attività di primario interesse della Repubblica e la nostra Carta costituzionale la prevede come sacro do- vere al quale ogni cittadino deve contribuire. Si tratta di una proposizione generale, introduttiva cui mi richiamo per specificare che questo concetto, solitamente asso- ciato solo all’obbligo della leva, è da intendersi, in verità , in modo più estensivo. La difesa della Repubblica, la difesa della patria richiedono infatti, talvolta anche fre- quentemente, l’obbligo di sopportare individualmente, o come comunità , gli oneri necessari al mantenimento in efficienza dello strumento militare. Questi oneri pos- sono derivare sia dalla presenza sul territorio di installazioni che ospitano reparti delle Forze Armate, sistemi di sorveglianza e di comunicazione militare sia dall’esi- stenza di aree in cui il personale militare deve potersi addestrare. L’addestramento, infatti, è parte essenziale dell’efficienza e dell’efficacia dello strumento militare ed è altresì indispensabile per la sicurezza del personale. Naturalmente, questi principi, che considero cogenti e che sono sanciti dalla Costituzione, non devono portare ad abusi né ad inefficienze organizzative, sottraendo beni o porzioni di territorio al- l’utilizzo da parte delle comunità locali e delle attività civili senza un’adeguata giusti- ficazione. Sono inoltre da evitare inefficienze che potrebbero derivare dal ritardato adeguamento della struttura militare al mutare del quadro strategico complessivo. È , perciò , ferma intenzione del Ministero confrontarsi con le esigenze locali e cercare la massima armonizzazione con esse, da una parte raccogliendo ogni osservazione ed istanza, dall’altra fornendo la massima trasparenza. Credo fermamente che questa

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sia anche la via per avvicinare il più possibile il mondo della difesa al cittadino. Per- tanto, non è mia intenzione mettere in discussione i principi che sono alla base della presenza militare e dell’imposizione delle servitù , ma intendo sicuramente recepire ogni osservazione critica e proposta sull’applicazione di tali principi. È indispensa- bile, nella trattazione di questa tematica, fare anche completa chiarezza sulla termi- nologia adottata; il termine « servitù militari » ha, infatti, un preciso significato tec- nico-giuridico mentre nella comune accezione esso viene impiegato in modo molto più esteso. Ritengo che sia a questa interpretazione più estesa che noi vogliamo rife- rirci; parleremo pertanto di presenza militare sul territorio e dei vari gravami da questa derivati, gravami dei quali la servitù militare propriamente detta rappresenta solo una delle possibili forme. La presenza militare conosce, essenzialmente, quattro modalità : la prima consiste di stabili e di superfici appartenenti all’amministrazione della Difesa; la seconda è la servitù militare vera e propria, cioè quella serie di limita- zioni imposte ad aree non appartenenti al demanio militare ma ad esso in genere adiacenti. Queste limitazioni, in realtà , vengono applicate solo in alcuni determi- nati casi, e sempre in una chiave di salvaguardia e sicurezza per i cittadini. Malgrado ciò , esse limitano in vario modo la libera fruizione della proprietà pubblica e pri- vata. Le servitù militari sono fondamentalmente riconducibili a tre casi: possono in- fatti insistere nelle zone adiacenti a depositi, munizioni e carburanti; nelle aree sog- gette ad emissione elettromagnetica, per presenza di radar o trasmittenti per le co- municazioni ovvero per gli impianti di assistenza al volo; in aree adiacenti a poligoni di tiro, che possono essere interdette durante le attività. La terza forma, dopo quelle della pertinenza demaniale e della servitù , si concretizza nelle zone di sgombero sul mare. Anche in tale caso, abbiamo una limitazione nell’uso di un bene – il mare – che solitamente è di libera fruizione; una limitazione imposta da ragioni di sicurezza dei cittadini. Esiste poi una quarta forma di limitazione alla libera fruizione dello spazio da parte della collettività : mi riferisco alla questione dei cosiddetti spazi aerei militari. Cito questo elemento solo per doverosa completezza di trattazione, senza l’intenzione di sviluppare l’argomento, che non ha un diretto impatto sulle comu- nità locali avendo un effetto di natura diversa, che ha trovato già diverse soluzioni adottate diffusamente in Italia e all’estero (soluzioni, peraltro, in continuo perfezio- namento). Mi riferisco al concetto di « permeabilità degli spazi aerei militari », cioè all’utilizzazione variabile degli spazi militari, per cui essi vengono aperti al traffico commerciale con precise procedure concordate, quando non sono utilizzati dalla Difesa. Dopo questa precisazione concettuale, vorrei fare una digressione storica che giova ad inquadrare il problema; come ho poc’anzi ricordato, infatti, l’espressione « servitù militare » fu introdotta in Italia nel periodo napoleonico, fu accolta nelle norme dello Statuto albertino ed è stata conservata fino ad oggi nelle leggi via via emanate al fine di regolamentare i divieti e le limitazioni che l’autorità militare può imporre su aree del territorio nazionale, primariamente, come ho riferito, per garan- tire la sicurezza della popolazione. La legge n. 898 del 24 dicembre 1976, intitolata

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«Nuova regolamentazione delle servitù militari», resta oggi il riferimento normativo principale. Prima di questa, sono da citare, perché mantengono parzialmente i loro effetti, la legge n. 886 del 1931, sul regime della proprietà nelle zone militarmente importanti; la legge n. 1849 del 1932, sulla riforma generale della servitù ; la legge n. 180 del 1968, che ha introdotto innovazioni rilevanti, quali la corresponsione di un indennizzo ai proprietari di beni vincolati. La legge n. 898 del 1976 fu approvata dopo un difficile iter parlamentare caratterizzatosi per la ricerca del miglior compro- messo fra esigenze della Difesa ed esigenze del territorio. Tra i numerosi aspetti in- novativi previsti da quella legge va ricordata la costituzione di organismi permanenti di consultazione fra civili e militari a livello di regione amministrativa, denominati Comitati misti paritetici. Essi hanno proprio il compito di esaminare i problemi connessi all’armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo econo- mico-sociale della regione e i programmi relativi alle installazioni militari. Inoltre, ciascun Comitato esamina il programma di attività militari (gli eventi addestrativi, le esercitazioni e le altre attività interessate) che possono avere un impatto sulla vita locale. Con questa legge, è stata decentrata ai Comandi militari territoriali la com- petenza in materia di imposizione, revisione, conferma, modifica o revoca delle ser- vitù militari, ferma restando la decisione finale del Ministro della Difesa in caso di mancato accordo fra Autorità civili e militari nell’ambito dei comitati misti parite- tici. Sono state altresì semplificate le procedure per il pagamento degli indennizzi e per la notifica dei vincoli; si è inoltre introdotto un contributo anche per i comuni, riconoscendo nelle servitù un possibile ostacolo allo sviluppo e alla vita delle comu- nità. Proprio in questa legge sono fissati i vincoli alla proprietà privata, posti da opere ed installazioni permanenti e semipermanenti di difesa, di segnalazione e di riconoscimento costiero; da basi navali, aeroporti, impianti, installazioni radio e radar; da stabilimenti nei quali vengono fabbricati, manipolati o depositati materiali bellici o sostanze pericolose; dai poligoni di tiro e di sperimentazione. Per ciascuna opera viene individuata una serie di vincoli, determinata da apposite norme tec- niche che fissano anche i criteri relativi alle limitazioni della proprietà privata. A ti- tolo esemplificativo, si evidenzia che i gravami possono riguardare divieti sulla co- struzione di strade, sulla costruzione di depositi di gas o di liquidi infiammabili, sulla realizzazione di piantagioni, tutte opere connesse al tipo di attività che viene svolta. Queste norme tecniche sono approvate con decreto del Ministro della Di- fesa, di concerto con il Ministro dell’Interno; in tal senso, le ultime norme varate ri- salgono al 23 aprile 1996. Possiamo affermare che i meccanismi di questa legge – che ha portato a livello territoriale il dialogo con il Ministero della Difesa e ha perfe- zionato il concetto di compensazione per la presenza militare – hanno consentito una convivenza accettabile tra i diversi e reciproci interessi. Inoltre, in base alla legge, ogni servitù ha una durata quinquennale e deve essere attivamente rinnovata con il consenso del comitato misto paritetico ad ogni scadenza. Questa revisione quinquennale consente un aggiornamento automatico dello stato delle servitù sul

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territorio. Un discorso a parte deve essere fatto per le infrastrutture e le basi date in uso alle forze di paesi stranieri; al riguardo, il caso più citato è quello degli Stati Uniti. Questa presenza trova fondamento nell’articolo 3 del Trattato del Nord Atlantico, che prevede la reciproca assistenza fra gli Stati membri allo scopo di con- seguire con maggiore efficacia gli obiettivi dell’Alleanza. Sulla base di questo fonda- mento, gli Stati Uniti d’America richiedono la possibilità di utilizzare basi sul terri- torio europeo per rendere più efficace la loro partecipazione all’Alleanza, in conside- razione della distanza del loro territorio nazionale dalle aree nelle quali si presume possano insorgere crisi o episodi di tensione. Gli accordi bilaterali che regolano la presenza nei vari paesi stabiliscono in modo inequivocabile l’impegno del paese ospitato – nel caso di specie, gli Stati Uniti – ad utilizzare le basi esclusivamente per l’adempimento e il conseguimento degli scopi dell’Alleanza, e stabiliscono altresì la non extraterritorialità dei siti che rimangono sotto comando italiano. Un Coman- dante italiano è, perciò , sempre e costantemente presente nei siti dati in conces- sione. Gli stessi principi valgono evidentemente per le infrastrutture utilizzate dagli altri paesi alleati dell’Italia che hanno forze sul nostro territorio in base ad accordi nell’ambito della NATO o dell’Unione Europea. Similmente, debbo rammentare che anche l’Italia disloca permanentemente alcuni suoi reparti sul territorio dei paesi alleati, come ad esempio in Canada e negli Stati Uniti, zone nelle quali conduciamo intense attività di volo addestrativo; mi sono fatto mandare le localizzazioni relative agli Stati Uniti e al Canada, che identificano queste basi a Sheppard, in Texas (per l’addestramento di base al volo per l’aeronautica) e a Goose Bay, in Canada, base usata da Aeronautica e Marina egualmente per fini di addestramento. In base a queste regole, in Italia, il demanio militare dato in uso e le eventuali servitù attinenti non hanno alcuna particolarità rispetto alle altre zone e vengono considerate aree dedicate alla difesa nazionale. Si tratta, infatti, di una parte data in concessione. Va rilevato che, qualche anno dopo la promulgazione della legge n. 898 del 1976, pre- cisamente il 5 e 6 maggio del 1981, si tenne una Conferenza sulle servitù militari, con la partecipazione di tutte le amministrazioni regionali, di membri delle Com- missioni Difesa di Camera e Senato, del Presidente dell’Unione dei comuni ed enti montani e dei Vertici militari. In essa fu sottoposto a verifica il funzionamento della nuova normativa e si individuarono talune linee per migliorarlo, senza che fosse avanzata alcuna proposta o si considerasse la necessità di adottare nuove norme. In quell’occasione, si manifestò con evidenza la necessità che gli Enti militari e civili sul territorio avviassero un colloquio proficuo, assegnando ai comitati paritetici membri con rappresentatività decisionale per dirimere le controversie ed indivi- duare soluzioni. Fu altresì ritenuto indispensabile migliorare la possibilità di effet- tuare permute e ridislocazioni di infrastrutture demaniali, per ovviare ad inconve- nienti, considerato che questo strumento era reso impraticabile dalla normativa al- lora vigente mentre se ne sentiva la necessità. Queste furono le conclusioni più im- portanti della suddetta Conferenza. Obiettivamente, essa ebbe il positivo esito di

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determinare un più efficace utilizzo degli strumenti di legge, e anche grazie ai suoi esiti i comitati paritetici hanno svolto e stanno svolgendo regolarmente la loro fun- zione. In questi ultimi anni, tuttavia, sono emerse alcune difficoltà insieme con un maggiore ricorso al Ministro della Difesa per la risoluzione delle situazioni di disac- cordo. Le ragioni che hanno portato a questo crescente disaccordo sono verosimil- mente da ricercarsi nel mutato quadro strategico e nell’evoluzione avvenuta nell’or- ganizzazione delle Forze Armate, che ha portato ad un consistente ridimensiona- mento dello strumento militare, sceso dai 330 mila effettivi del 2000, per fare riferi- mento ad un anno prossimo, ai 190 mila di oggi. Questo ridimensionamento ha de- terminato un’oggettiva sotto utilizzazione di diverse strutture e, quindi, la sensa- zione che la consistenza della presenza militare non giustificasse più , in relazione alla diversa dimensione dello strumento, le penalizzazioni fino a quel momento ac- cettate. Purtroppo, gli stessi meccanismi di decentramento che hanno favorito un miglior dialogo con il territorio non hanno però consentito nel tempo che il centro mantenesse una piena consapevolezza – o, comunque, una consapevolezza tempe- stiva – delle varie situazioni venutesi a creare in periferia in conseguenza delle tra- sformazioni in atto. Pertanto, esiste oggi una molteplicità di istanze e richieste che, venendo dalle autorità locali, sono relative a situazioni che non possono essere ri- solte se non dopo un’adeguata pianificazione relativa alla futura distribuzione delle forze sul territorio. È maturato quindi il momento per una generale revisione dello strumento militare; uno dei fattori fondamentali che potranno contribuire in una tale direzione sarà proprio l’analisi sulle servitù che in qualche modo si avvia con l’odierna audizione. In questa prospettiva, il ministero ha già avviato un censimento delle strutture e del loro attuale utilizzo, per riportare a livello centrale la piena co- noscenza delle situazioni di periferia. Ciò costituirà il punto di partenza per un’ade- guata redistribuzione delle forze, che dovrà sposare la rispondenza dell’attuale sce- nario strategico con la situazione territoriale. Questo censimento offrirà gli elementi per correggere i casi in cui il peso delle attività militari sia eccessivamente concen- trato su alcuni territori. Mi limito ai primi dati del censimento in atto che, appunto, ho accelerato in vista di questa audizione. Dal punto di vista della superficie com- plessiva, è stato anzitutto calcolato che la prima forma nella quale si esprime la pre- senza militare, il demanio militare, occupa lo 0,261 per cento del territorio nazio- nale, pari a 783 chilometri quadrati, su un totale di 300.492. Per quanto riguarda le singole regioni, emerge che il Friuli-Venezia Giulia, con l’1,3 per cento del rispet- tivo territorio, e la Sardegna, con lo 0,958 per cento di spazio del territorio di pro- prietà demaniale, sono le regioni maggiormente interessate dalla presenza militare. Seguono, ad una certa distanza, Lazio e Puglia, mentre tutte le altre regioni appa- iono interessate attorno o anche molto al di sotto – vi è dunque una forte variabilità – della media nazionale. Ho portato con me una tabella che riassume tutti questi dati; tralascio di leggerla, ma la deposito agli atti della Commissione. Mi sono limi- tato a citarvi i casi e gli elementi principali. Per quanto riguarda le servitù – quindi

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territori estranei al demanio militare, ma gravati da limitazioni alla libera fruizione –, esse occupano in media lo 0,15 per cento del territorio. In questo caso, la Sar- degna è gravata molto più della media, con uno 0,65 per cento di territorio interes- sato, seguita a distanza dal Friuli-Venezia Giulia con lo 0,365 per cento, rispetto ad una media nazionale appunto dello 0,15 per cento. Le ragioni storiche di questo dato di fatto sono comprensibili: per il Friuli-Venezia Giulia, pesa ancora il mas- siccio schieramento a nord-est del periodo della guerra fredda e della prima guerra mondiale, mentre, per la Sardegna, pesa la vastità delle aree addestrative in zone poco abitate. Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, si può affermare che il processo di riequilibrio sia già iniziato, per il mutato quadro strategico ed il progres- sivo abbandono di molte strutture, già inserite negli elenchi di dismissione. Per la Sardegna, l’oggettiva situazione di disagio è stata pubblicamente riconosciuta dal Governo ed è oggetto di confronto operativo sulla base di una piattaforma concor- data con la regione sarda. In tale quadro, è stato già definito il rilascio della base della Maddalena da parte della Marina statunitense ed è stato già individuato un primo elenco di beni da trasferire alla regione, in ordine al quale è tuttora in corso un’istruttoria di approfondimento congiunto, seguita dal Sottosegretario Casula. A fronte di una realtà quale quella appena descritta, il Governo intende agire secondo le seguenti linee. In primo luogo, intendiamo completare il censimento di tutte le infrastrutture in uso alla Difesa, nonché delle servitù ad esse associate; è infatti in atto una ricognizione puntuale che deve essere perfezionata. In secondo luogo, sulla base di tale elenco, individueremo le installazioni necessarie agli attuali compiti isti- tuzionali ed il loro grado di utilizzo, perché le diverse strutture hanno un grado di- versificato di riutilizzo. In terzo luogo, laddove esistano strutture in uso, necessarie, ma relativamente poco funzionali alle attuali esigenze e fortemente desiderate per la loro collocazione e per la loro qualità dalle comunità locali, ferma restando l’attuale normativa sulle permute, esamineremo la possibilita di addivenire ad accordi di pro- gramma che consentano riallocazioni di funzioni, senza oneri per la Difesa, che nel presente momento non è assolutamente in grado di finanziare trasferimenti. Ri- tengo che il metodo dell’accordo di programma, finalizzato alla permuta, sia un va- lidissimo strumento per venire incontro ad esigenze locali, favorendo nel contempo la ristrutturazione degli enti della Difesa. Ogni ristrutturazione infatti, a fronte di vantaggi a medio termine, richiede immediati investimenti, che oggi sono impossi- bili. In quarto luogo, per quanto riguarda le servitù , intendiamo eliminare quelle che non risulteranno più necessarie. Vogliamo anche verificare con attenzione i cri- teri di compensazione previsti dalla legge per un eventuale aggiornamento degli in- dennizzi ai privati e dei contributi agli enti locali, compresi gli aspetti procedurali, che appaiono ancora complessi. In quinto luogo, intendiamo rilasciare le strutture non più utili, trasferendole all’Agenzia del demanio – che provvederà alla loro valo- rizzazione secondo procedure di legge che la prossima legge finanziaria potrebbe anche modificare – oppure devolvendole, sempre tramite l’Agenzia del demanio,

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alle regioni a statuto speciale, a favore delle quali il trasferimento consegue alla di- smissione dall’uso statuale. In questa trasformazione verrà ricercato anche un riequi- librio a vantaggio delle regioni maggiormente interessate dalla presenza militare; evidentemente, infatti, dovremo tener conto anche di questo dato. Un’analisi parti- colarmente approfondita sarà dedicata ai poligoni d’addestramento. Come ho affer- mato in premessa, essi sono un’assoluta necessità per le Forze Armate. Il compito principale di ogni reparto operativo non impegnato in operazioni è quello di mante- nersi pronto per un eventuale intervento reale. L’addestramento non riguarda solo l’efficacia nell’azione, ma anche la sicurezza del personale, che, utilizzando stru- menti molto complessi in ambienti difficili, può sicuramente essere soggetto a peri- colosi errori, qualora non avesse mantenuto o mantenesse il dovuto grado di confi- denza con i mezzi a disposizione. Oltre ad un costante addestramento di base presso il proprio reparto, al militare è sicuramente necessario, almeno una volta l’anno, operare in un ambiente quanto mai realistico, riproducendo le situazioni più impe- gnative possibili. Per questo motivo, si utilizzano i poligoni di tiro, per l’addestra- mento di piloti di velivoli, di equipaggi di navi e di personale addetto ai vari tipi di armi da fuoco. I poligoni richiedono spazi attrezzati e vaste aree di contorno. La si- tuazione storica ha fatto sì che tali poligoni siano oggi in piena attività solo in Sar- degna, con ciò contribuendo a quell’ampio sbilanciamento nell’impiego del territorio sopra illustrato. Stiamo, perciò , operando per la ricerca di soluzioni operative su tre fronti: il ricorso a forme di addestramento simulato, quando ciò è materialmente possibile; l’affitto di installazioni all’estero per quelle forme addestrative reali che ri- chiedono gli spazi più elevati; la riduzione delle aree e dei tempi di utilizzo al minimo indispensabile, mantenendo ferme le esigenze di sicurezza. In ogni caso, quello dei poligoni rimane un problema molto complesso da risolvere perché, come ho riferito, l’addestramento è parte indispensabile nel mantenimento in efficienza delle Forze Armate. D’altra parte, concentrare troppi oneri su poche aree appare ingiusto, tanto che abbiamo avviato una prima serie di misure correttive, di cui prima davo conto con riferimento al capitolo sardo. In questo breve excursus, ho voluto inquadrare il problema e fornire le direttrici sulle quali il dicastero intende muoversi. Come ho po- tuto illustrare, esiste una reale ed urgente necessità di revisione della presenza militare sul territorio e delle servitù , revisione che si deve accompagnare ad una generale ri- strutturazione dello strumento militare, secondo gli scenari attuali e le nuove neces- sità. Per concludere, ritengo che sia giunto anche il tempo di riconvocare una confe- renza nazionale a similitudine della citata conferenza del 1981, per una migliore comprensione reciproca e un’ottimizzazione delle attività. Naturalmente, tale confe- renza non potrà non coinvolgere, oltre che l’Amministrazione della Difesa, anche l’Agenzia del demanio, le regioni e gli enti locali, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa che salvaguardi, nel contempo, gli interessi della difesa nazionale e quelli altrettanto legittimi delle popolazioni locali. Vi ringrazio per l’attenzione e spero che la mia relazione sia utile alla vostra riflessione in vista delle decisioni che assumerete.

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Allargamento della base militare USA presso l’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza Camera dei Deputati (Aula), 30 gennaio 2007

Signor Presidente, colleghi deputati,

a proposito della vicenda relativa all’ampliamento della base militare di Vicenza, in concessione d’uso all’Esercito degli Stati Uniti, nel quadro degli accordi bilaterali con l’Italia all’interno della NATO, il Governo è intervenuto in Parlamento nume- rose volte. Già a pochi giorni dall’insediamento dell’Esecutivo, il 31 maggio dello scorso anno, il Vicepresidente del Consiglio Rutelli, in sede di question time, aveva avuto occasione di dare conto della problematica. A questo primo intervento segui- rono poi, nell’ordine, le informazioni rese il 6 luglio dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, Chiti, il 13 luglio dal Sottosegretario alla Difesa Verzaschi, il 26 lu- glio dallo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, il 27 settembre, in risposta a tre interrogazioni distinte, da parte di chi vi parla e infine, lo scorso 24 gennaio, dal Ministro per l’attuazione del programma di Governo Santagata. In ognuno di questi interventi, svolti tutti in aula, il Governo ha illustrato sempre una e una sola linea di orientamento, ripetendo quasi alla lettera la stessa esposizione, affidata agli atti par- lamentari, che non posso perciò che riproporre negli stessi termini. La linea muove dal riconoscimento dell’esistenza, da parte del Governo americano, di aspettative consolidate, fondate sulla disponibilità manifestata dal precedente Governo, di cor- rispondere favorevolmente alla richiesta avanzata al riguardo dagli Stati Uniti, questo pur in assenza di impegni compiutamente formalizzati. La formalizzazione di tali impegni era infatti condizionata alla disponibilità di un progetto dettagliato e un piano preciso di transizione sulla tempistica, le azioni da compiere e i relativi costi. Questa era appunto la formula presente nella prima risposta resa in quest’aula del Vicepresidente del Consiglio Rutelli. Tuttavia, ritenendo non irrilevanti le obie- zioni avanzate da parti significative della comunità locale e giudicando di rilievo l’impatto che il nuovo insediamento avrebbe avuto sulla città dal punto di vista ur- banistico, sociale e ambientale, il Governo, mentre confermava la compatibilità del progetto con le linee di politica estera e di difesa del paese, ha ritenuto di procedere alla decisione finale solo sulla base di un pronunciamento esplicito della comunità locale. Questo perché il progetto, pur non modificando la qualità militare dell’inse-

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diamento americano, ne modificava certamente la quantità, con conseguenze so- ciali, territoriali e ambientali, che riteneva concretamente valutabili solo con il coin- volgimento della comunità locale. Pur nella consapevolezza che la responsabilità ul- tima della decisione rientrasse nella competenza primaria del Governo, in conside- razione della sua attinenza alla politica estera e di difesa, nell’attesa della pronuncia della comunità locale, veniva sospesa la decisione conclusiva; si procedeva, quindi, a coinvolgere e sollecitare gli organi di rappresentanza locale perché esprimessero un giudizio di fattibilità sul progetto di ampliamento stesso per gli aspetti di loro com- petenza. Tale posizione è stata poi rinnovata in tutte le dichiarazioni ufficiali rila- sciate a margine degli incontri che il sottoscritto ha tenuto in questi mesi con le di- verse parti coinvolte per illustrare la posizione del Governo; gli incontri con il sin- daco di Vicenza Hullweck, con il sindaco di Caldogno, Vezzaro, con una delega- zione di cittadini di Vicenza e con esponenti di gruppi parlamentari che avevano chiesto al riguardo delucidazioni. La reiterazione degli argomenti svolti in questi mesi potrebbe quindi esimere il Governo da ulteriori petizioni di posizioni già illu- strate e affidate agli atti; il rispetto verso il Parlamento ed il dovere di massima tra- sparenza verso i cittadini, ed in particolare verso quelli di Vicenza, ci impongono, tuttavia, di ripercorrere le diverse fasi dell’iter relativo alla vicenda. La prima ri- chiesta orientativa da parte degli Stati Uniti perviene al Governo italiano nell’ot- tobre del 2004; in essa si richiede un’autorizzazione di massima ad utilizzare le infra- strutture e le aree dell’aeroporto Dal Molin, in via di rilascio dall’Aeronautica Mili- tare italiana. La richiesta non fa riferimento a progetti di insediamento di nuovi re- parti, ma solo all’utilizzo delle stesse da parte delle forze già presenti in quel terri- torio. Il Ministro della Difesa, Onorevole Martino, informato della richiesta dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Di Paola, manifesta il proprio orientamento favorevole, ferma restando, naturalmente, la necessità di svolgere tutti gli approfondimenti relativi. Nel corso del 2005, gli Stati Uniti, dopo aver indivi- duato con maggiore precisione le aree potenzialmente disponibili, perfezionano la richiesta, annunciando, per la prima volta il 22 agosto, l’intenzione di incrementare la loro presenza militare unificando in Vicenza l’intera 173a Brigata aviotrasportata e trasferendo, quindi, nella stessa base la parte dislocata in Germania. Vengono in seguito avviati contatti di natura esclusivamente tecnico-istruttoria tra le autorità militari americane e la Direzione Generale del Ministero della Difesa responsabile del demanio militare e degli aspetti tecnici infrastrutturali. Alla fine del 2005, la Di- rezione Generale del Ministero della Difesa conferma la fattibilità tecnica generale del progetto, ferma restando la necessità di giudicare la progettazione di dettaglio, che avrebbe dovuto ricevere anche il vaglio delle autorità civili regionali in sede di comitato misto paritetico Difesa-regione. Nel dicembre 2005, il Capo di Stato Maggiore della Difesa comunica il parere tecnico favorevole di Geniodife al Mini- stro della Difesa, che dichiara perciò una disponibilità di massima all’ampliamento della base. Conseguentemente, l’Ammiraglio Di Paola, il Capo di Stato Maggiore

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della Difesa, comunica tale disponibilità al Comandante militare statunitense in Eu- ropa, con lettera datata 12 dicembre 2005. Nella stessa, si afferma – ne dò la tradu- zione in italiano –: « Sono lieto di comunicarle la fattibilità della cosa e la disponibi- lità delle autorità politiche della Difesa italiana a soddisfare la richiesta degli Stati Uniti ». La lettera conclude poi: «È superfluo dire che, per la cessione d’uso della ci- tata zona, è necessario prendere in considerazione tutti i dettagli del piano di ces- sione e formalizzarli nel quadro dell’accordo tecnico che regola l’uso delle infrastrut- ture nell’area di Vicenza ». È sulla base di questa lettera, di questo documento, che il Governo americano consolida la propria aspettativa sulla possibilità di realizzare il progetto e procede allo studio di fattibilità dello stesso del costo di 10 milioni di dollari. Su questa stessa base si fonda lo stanziamento di oltre 300 milioni di dollari per finanziare la prima fase dei progetti nel bilancio difesa per l’anno fiscale 2007, secondo le informazioni rese dall’Ambasciatore Spogli, con lettera del 24 novembre scorso. A valle della dichiarazione di disponibilità di massima del Governo, di cui alla precedente lettera, nel giugno 2006 il Comitato misto paritetico della regione Veneto esprime, con un solo astenuto, il proprio parere favorevole sul progetto sta- tunitense. Alla riunione partecipa, in qualità di osservatore, anche il Sindaco di Vi- cenza. A questo punto, il Governo, riconoscendo la fondatezza delle preoccupazioni manifestate all’interno della comunità locale in ordine alle problematiche relative al- l’impatto urbanistico, sociale e ambientale indotte dalla realizzazione del progetto, ritiene di dover coinvolgere più direttamente la comunità locale, rappresentata dai suoi organi istituzionali, con l’obiettivo di acquisire un giudizio di fattibilità fino ad allora mai espresso formalmente in nessuna sede. A tal fine, chi vi parla, nel set- tembre 2006 scrive una lettera al Sindaco di Vicenza, sollecitando un parere formale da parte dell’Amministrazione comunale di Vicenza, richiesta peraltro confermata anche nell’incontro intercorso con lo stesso sindaco, il 16 ottobre scorso. Il 26 ot- tobre, il Consiglio comunale di Vicenza approva un ordine del giorno in cui esprime un parere favorevole all’accoglimento, nel territorio comunale di Vicenza, della 173a Brigata aviotrasportata degli Stati Uniti. L’ordine del giorno approvato pone cinque condizioni, che riferisco testualmente, per opportuna conoscenza: as- senza di voli militari connessi con l’attività operativa del reparto USA; esonero del- l’amministrazione comunale vicentina da ogni onere economico connesso alla rea- lizzazione tanto degli insediamenti, quanto delle strutture viabilistiche e delle op- portune infrastrutture, compresa la realizzazione di opere esterne all’aeroporto Dal Molin e necessarie alla eliminazione di ogni impatto negativo sul piano viabilistico e ambientale, ritenute irrinunciabili ad avviso degli enti locali territoriali competenti; assenza di impatti negativi sull’attività dell’aeroporto civile Dal Molin, con totale mantenimento delle sue potenzialità di utilizzo turistico-commerciale; salvaguardia o realizzazione in altro sito, con oneri di spesa a carico dell’amministrazione degli Stati Uniti, di ogni realtà sportiva oggi esistente all’interno dell’area del Dal Molin e soggetta a trasferimento; impegno da parte dell’amministrazione degli Stati Uniti ad

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autorizzare prioritariamente e preferibilmente risorse professionali locali nella realiz- zazione delle strutture previste per l’insediamento. Sempre al fine di coinvolgere le comunità locali interessate, il 14 novembre chi vi parla riceve il Sindaco di Cal- dogno, comune confinante con Vicenza e coinvolto dal progetto di ampliamento della base americana. Riferendosi alla delibera del suo consiglio comunale del 10 agosto scorso, il Sindaco manifesta la sua preoccupazione in ordine all’inquina- mento acustico e ambientale, alla sicurezza, alla mobilità, alle infrastrutture e ai ser- vizi. Il Sindaco chiede, infine, che, qualora l’insediamento militare abbia luogo, il comune sia coinvolto attivamente nella fase di definizione del progetto stesso. In data 15 novembre, in una seduta straordinaria del consiglio comunale di Caldogno, aperta ai cittadini, queste preoccupazioni e richieste sono confermate in una ulte- riore delibera. Il 17 novembre scorso, a seguito di notizie apparse sul Giornale di Vi- cenza – e successivamente confermata dalla stessa autorità statunitense – in riferi- mento ad una presolicitation notice predisposta da organi tecnico-militari ameri- cani, tesa ad avviare il progetto di realizzazione delle strutture idonee ad accogliere la 173a Brigata USA, il Ministero della Difesa dichiara, in una nota di agenzia, che tale procedura era priva del presupposto essenziale: l’assenso da parte del Governo italiano. Questo in coerenza con la scelta di sospendere la decisione conclusiva fino al completamento della istruttoria in sede locale, scelta che ha guidato la condotta del Governo, anche in considerazione di notizie relative alla possibile attivazione di una iniziativa referendaria secondo la normativa prevista dall’ordinamento comu- nale. Il 14 dicembre l’Ambasciatore statunitense Spogli, da me ricevuto, fa tuttavia presente che la ristrettezza dei tempi parlamentari interni all’ordinamento statuni- tense rende la risposta da parte del Governo italiano non ulteriormente procrastina- bile. A gennaio, infatti, il Congresso avrebbe dovuto deliberare definitivamente lo stanziamento dei fondi per l’ampliamento della base nell’ambito del piano di ridi- slocazione delle forze statunitensi in Europa. Allo stesso modo, l’Ambasciatore Spogli, il 10 gennaio scorso, rinnova la richiesta al Presidente del Consiglio, confer- mando l’urgenza e, quindi, l’indilazionabilità di tale decisione. Il Presidente del Consiglio, dando riscontro alle ragioni dell’urgenza, assicura una risposta tempe- stiva una volta sentiti i ministri competenti. Il 16 gennaio, il Presidente Prodi rico- nosce che i rapporti di amicizia e di cooperazione con gli Stati Uniti impongono una risposta e perciò quella decisione conclusiva era stata fino a quel momento so- spesa. Muovendo pertanto dal giudizio di coerenza del progetto di ampliamento con la linea di politica estera e di difesa del nostro paese – giudizio che ha sempre guidato la linea di condotta del Governo – e considerati altresì i deliberati degli or- gani di rappresentanza locale, il Presidente del Consiglio ha ritenuto di dover con- fermare la disponibilità a corrispondere alla richiesta avanzata dagli Stati Uniti. A partire da questa decisione, si procederà pertanto alla formalizzazione della cessione d’uso delle aree necessarie alla realizzazione del progetto, dopo aver considerato i dettagli del piano di transizione, nell’ambito degli accordi che regolano la conces-

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sione in uso di infrastrutture agli Stati Uniti nel nostro paese. In questo quadro, il Governo ritiene suo dovere vigilare affinché le opere che verranno realizzate siano ri- spettose delle esigenze prospettate dalle comunità locali, con particolare riferimento all’impatto sul tessuto sociale, sulla viabilità e sulle reti dei sottoservizi. Sarà ugual- mente dovere del Governo assicurare la massima vigilanza circa il rispetto degli ac- cordi bilaterali in materia di utilizzo della base stessa per quel che riguarda gli im- pieghi operativi. Della realizzazione delle opere, così come del loro utilizzo, il Go- verno terrà informato il Parlamento.

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Situazione in Libano a dieci mesi dall’avvio della missione UNIFIL 2 Camera dei Deputati (Aula), 27 giugno 2007

Colleghi Presidenti e Deputati,

l’intento di questa comunicazione è quello di informare il Parlamento circa gli svi- luppi della situazione in Libano – come mi era stato richiesto – con particolare rife- rimento alla missione della forza delle Nazioni unite lì dispiegata, all’interno della quale opera il Contingente italiano, e all’evento terroristico che la scorsa domenica ha provocato la morte di sei caschi blu appartenenti al Contingente spagnolo. Il mio intervento si limita, intenzionalmente, alle competenze del Ministro della Difesa. Per ciò che attiene alla situazione più generale della regione, ricordo che solo pochi giorni or sono il Governo, per voce dell’Onorevole Intini, ha riferito alle Camere. Rinvio pertanto a tale comunicazione per ogni aspetto che attenga alla politica estera. Per offrire un quadro della situazione il più possibile completo, tale da per- mettere una più approfondita riflessione sui possibili sviluppi futuri, intendo in primo luogo ripercorrere brevemente l’azione fin qui svolta dalle Nazioni Unite e, nel suo contesto, dal nostro Paese. Come è ben noto, il breve ma violento conflitto occorso durante la scorsa estate – non è passato ancora un anno – determinò ingenti perdite umane fra la popolazione civile libanese ed israeliana, consistenti perdite fra le file dei combattenti di ambo i Paesi e gravissimi danneggiamenti alle infrastrut- ture. Dopo trentaquattro giorni di combattimenti, grazie ad un’intensa azione di- plomatica, si giunse infine ad un « cessate il fuoco ». Con la risoluzione del Consi- glio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701 dell’11 agosto 2006, si sanciva la cessa- zione delle ostilità , il ritiro delle forze terrestri israeliane dai territori libanesi e il contestuale ritorno dell’esercito nazionale libanese nella regione a sud del fiume Li- tani, dalla quale – lo ricordo – mancava da trentacinque anni. Tale ritorno si propo- neva di affermare progressivamente la sovranità di Beirut sul suddetto territorio. In quella fase, le forze dell’ONU inquadrate nell’UNIFIL, lì operanti fin dal marzo del 1978, agirono come cuscinetto fra i militari israeliani in ripiegamento e quelli liba- nesi. Le Nazioni Unite, inoltre, nella stessa risoluzione n. 1701, sollecitavano i Paesi membri ad inviare ulteriori contingenti di caschi blu nella regione, al fine di poten- ziare adeguatamente l’UNIFIL che sarebbe dovuta passare dai 2.000 elementi del-

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l’agosto 2006 a 10-15.000 unità , individuate quale obiettivo finale. Tale potenzia- mento infatti doveva permettere di sorvegliare l’effettiva interruzione delle ostilità fra Israele e il Libano, assistere le Forze Armate libanesi nella loro dislocazione nella zona meridionale del Paese fino al confine con Israele e, al tempo stesso, agire da cu- scinetto con le forze israeliane che andavano ritirandosi dal territorio libanese; stabi- lire, infine, le condizioni necessarie per un accordo permanente di «cessate il fuoco» e per la sua implementazione. L’Italia, come è noto, aderì prontamente alle richieste del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed inviò con tempestività una forza militare che raggiunse l’area di intervento mediante lo sbarco anfibio condotto di- rettamente nelle aree di impiego. Anche grazie alla determinazione politica e alla prontezza dell’intervento da parte del nostro Paese, si sono gradualmente aggiunti all’iniziale apporto dei primi Paesi altri Contingenti. La costituzione della forza, au- spicata dalla risoluzione n. 1701, si è andata quindi rafforzando grazie all’afflusso di nuovi Contingenti nazionali che, progressivamente, hanno raggiunto il Libano. Tale afflusso sta portando la consistenza dell’UNIFIL al raggiungimento di quel tetto previsto come massimo, ovvero 15.000 unità. L’UNIFIL ha attualmente raggiunto una forza totale di circa 13.100 uomini, fra unità terrestri (11.100) e navali (2.000). Questa forza è composta da un totale di trenta Contingenti, la cui partecipazione militare alla missione varia sensibilmente dai circa 2.500 uomini del Contingente italiano al singolo ufficiale della Macedonia (il Contingente più ridotto). I Paesi che apportano il maggiore contributo sono, oltre all’Italia che schiera il Contingente più numeroso, la Francia con circa 1.600 unità , la Spagna con 1.100, la Turchia con 930 unità (di cui 668 imbarcati a bordo di unità navali), il Ghana, l’India, l’Indo- nesia, il Nepal con circa 850 unità ciascuno e la Germania con 800 unità (quasi to- talmente a bordo della flotta). Per quanto concerne l’area di operazioni terrestri, corrispondente al sud Libano, ovvero dal fiume Litani fino alla Blue line, confine internazionale con Israele, alle dipendenze del Comando UNIFIL operano due Co- mandi di settore, uno a ovest e uno a est, la cui guida è assegnata rispettivamente al- l’Italia e alla Spagna, nonché una forza di reazione rapida a guida francese. Il settore ovest è articolato in quattro aree di responsabilità assegnate ad altrettanti batta- glioni: due italiani, uno francese e uno ghanese. Il settore est, anch’esso articolato in quattro aree di responsabilità , ha alle dipendenze un battaglione spagnolo, uno in- donesiano, uno nepalese e uno indiano. Per quanto riguarda le unità di manovra, sono presenti una forza di pronto intervento dotata di carri armati, artiglieria e radar nonché un piccolo battaglione malese schierato ad est. Inoltre, è di prossima immissione in Teatro, nell’area di Tiro, una forza equivalente ad un battaglione di fanteria della Repubblica di Corea. Elemento essenziale di UNIFIL è ITALAIR, il distaccamento dell’Aviazione dell’Esercito Italiano che con i suoi sei elicotteri garan- tisce le missioni di pattugliamento, collegamento, trasporto, osservazione e soccorso sanitario. La forza infine è completata da una serie di reparti minori che forniscono capacità specifiche in ambito sia operativo che logistico. In particolare UNIFIL di-

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spone di diverse unità: unità per la bonifica di ordigni esplosivi e per lo smina- mento; unità genio per i lavori, apertura di strade e costruzione di infrastrutture; unità logistiche per l’attività di trasporto, rifornimento, manutenzione e ripara- zione; unità delle trasmissioni per i collegamenti e le comunicazioni. In merito al- l’area delle operazioni navali, corrispondente all’intera lunghezza del confine marit- timo libanese – non quindi limitata al sud del Libano –, la flotta è composta di circa 2.000 unità di personale su un totale di quindici unità navali. La flotta a guida te- desca consta di cinque fregate, otto corvette, una nave rifornitrice, una nave ap- poggio, nonché sei elicotteri. Le unità navali sono fornite da Germania, Turchia, Olanda, Grecia, Danimarca e Svezia. La descrizione della composizione della forza internazionale è sufficiente, a mio avviso, a rendere l’idea del sostegno diffuso e con- vinto che la comunità internazionale – sia quanto alla provenienza geografica, che alla composizione culturale, politica ed etnica – assegna alla forza dei caschi blu in Libano. Relativamente alle attività svolte, i Contingenti inseriti in UNIFIL condu- cono operazioni terrestri, aeree e navali. L’attività terrestre è finalizzata innanzitutto a ottenere una presenza continua e capillare per conseguire il controllo dell’area, reso difficile dalla naturale conformazione del terreno (colline molto scoscese e roc- ciose) e dai danni provocati dalla guerra che hanno danneggiato la rete viaria. Grazie alla modalità operativa di UNIFIL è stato possibile attivare una fitta rete di con- trollo costituita da pattuglie e da check point operanti per tutta la giornata, sia in tempo diurno che notturno. Le pattuglie si muovono inoltre sia a bordo dei mezzi – sulle rotabili principali e secondarie – sia a piedi, così da controllare anche le aree meno accessibili. Tali operazioni, svolte senza soluzione di continuità, sono sempre state condotte unitamente alle Forze Armate libanesi che hanno costantemente ga- rantito una leale collaborazione sia in termini di cooperazione che di informazione. Attualmente UNIFIL attua il controllo dell’area grazie a 147 punti permanenti, tra Blue line e territorio libanese a nord del Litani, e numerosissimi punti di osserva- zione mobili. L’attività aerea di UNIFIL è condotta da un reparto di volo italiano dotato di sei elicotteri, quattro AB205 e due AB412, che ha operato giornalmente per garantire il controllo della Blue line, del confine siriano e del limite del Teatro di operazioni individuato dal fiume Litani. Relativamente alle attività navali, la task force multinazionale ha assicurato il controllo delle acque territoriali libanesi in stretta coordinazione e cooperazione con le forze navali libanesi. Tale attività im- plica pattugliamenti della costa anche mediante l’utilizzo degli elicotteri imbarcati. Sono state controllate dall’inizio dell’operazione 6.889 imbarcazioni. Riguardo allo specifico compito di sorveglianza dei confini, UNIFIL svolge giornalmente, attra- verso un pattugliamento mobile, prestazioni fisse e servizi coordinati ad ampio raggio, in concorso con le Forze Armate libanesi, una costante attività di controllo della linea di ripiegamento delle forze israeliane – la Blue line – che coincide con il confine internazionale. Per quanto attiene al controllo del confine marittimo deli- neato dalle acque territoriali libanesi, la task force navale di UNIFIL può essere

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chiamata a svolgere questo compito solamente su specifica richiesta delle autorità li- banesi. La forza navale di UNIFIL, dal canto suo, svolge costantemente un compito di controllo dell’area marittima fuori dalle acque territoriali, al fine di prevenire e contrastare il traffico illegale di armi e munizioni. Il controllo dei confini con la Siria è un’attività svolta dalle Forze Armate e dalla polizia di frontiera libanesi. Una speciale commissione nominata dalle Nazioni Unite sta verificando le capacità e le criticità nel controllo di tale confine da parte delle autorità locali. Sulla base degli accordi vigenti UNIFIL potrebbe agire anche fuori dalla propria area di operazione al fine di controllare la linea di confine con lo Stato siriano, se ciò fosse esplicita- mente richiesto dalle autorità governative libanesi. L’insieme di queste attività non sarebbe ovviamente possibile senza una fitta rete di proficue relazioni con gli attori locali. I rapporti tra il Comandante di UNIFIL e le varie parti in causa sono costan- temente tenuti attraverso contatti diretti ai massimi livelli con i responsabili istitu- zionali del Governo libanese e delle sue Forze Armate. Il Comandante di UNIFIL intrattiene rapporti anche con le massime Autorità istituzionali locali presenti nel- l’area delle operazioni. I rapporti con Israele sono tenuti con le Autorità centrali e periferiche delle Forze Armate e sono improntati alla massima collaborazione. La ri- levanza politico-diplomatica, non solo eminentemente tecnica, della rete di rela- zioni facenti capo a UNIFIL emerge chiaramente dal fatto che, al momento, il solo luogo di incontro tra la parte libanese e israeliana è costituito dal meeting trilaterale composto da esponenti delle Forze Armate libanesi, israeliane e di UNIFIL, con la presenza del Force in posizione di neutralità e di mediazione. A con- clusione di quanto illustrato finora, per la valutazione dell’esito della missione è ine- vitabile riandare a quello che è, a mio parere, l’indicatore decisivo e allo stesso modo più indicato per sintetizzare l’obiettivo di pace perseguito dalla missione: il sangue. In tal senso devo ricordare che a fronte dei 1.187 morti e 4.092 feriti libanesi, dei 43 civili e 117 militari israeliani morti e dei circa 100 civili feriti durante il mese del conflitto, dal momento della tregua non si sono più registrate perdite dovute ad azioni di combattimento. La guerra tuttavia ha lasciato molte insidie che conti- nuano a minacciare la sicurezza della popolazione, a causa innanzitutto della pre- senza di ordigni inesplosi di varia natura. Dal termine della guerra fino ad oggi si sono registrati 32 morti per un totale di 242 persone coinvolte in esplosioni acci- dentali. L’attività di sminamento ha costituito, pertanto, uno degli impegni princi- pali e dal carattere particolarmente rischioso. Il prezzo pagato è testimoniato dalla morte di otto militari libanesi e dal ferimento di altri diciotto. Quanto al numero di incidenti, relativamente all’andamento temporale, lo sforzo congiunto tra UNIFIL, lo United Nation Mine Action Coordination Centre e le Forze Armate libanesi ha contribuito a una diminuzione del numero mensile medio di persone coinvolte in episodi di esplosione accidentale di mine: si è passati, con andamento decrescente, da 59 persone coinvolte nel mese di agosto del 2006 immediatamente dopo il «ces- sate il fuoco» ai due casi dello scorso mese di maggio. Il successo della missione di

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UNIFIL non deve però far dimenticare i numerosi e gravi elementi di rischio rela- tivi sia alla sicurezza dei Contingenti militari internazionali, sia alla stabilità della si- tuazione politica complessiva. In primo luogo, devono essere ricordate le diverse violazioni alle disposizioni contenute nella risoluzione n. 1701. Dopo il termine del conflitto della scorsa estate, le violazioni da parte israeliana alla risoluzione n. 1701 si sono concretizzate essenzialmente con sorvoli di aerei e mezzi di sorveglianza dello spazio aereo UAV (velivoli aerei senza pilota). Aggiungo però che le violazioni dello spazio aereo libanese hanno anch’esse avuto un andamento decrescente, man mano che la forza di UNIFIL si è schierata nell’area di operazione del sud del Libano. Tali violazioni, in pratica missioni di ricognizione, aumentano di frequenza in coinci- denza di particolari avvenimenti, come è accaduto durante gli scontri nel campo pa- lestinese di Nahr Al-Bared di Tripoli o nei casi di sospetto di traffici illeciti di armi sul confine siriano. Anche le violazioni sul terreno, sempre da parte israeliana, sono andate progressivamente decrescendo a partire dallo scorso settembre: 93 ad agosto, 91 a settembre, 23 a ottobre, 4 a novembre, nessuna a dicembre e gennaio. A feb- braio invece, nella notte tra il 7 e l’8, si è registrato uno sconfinamento da parte di un mezzo del genio israeliano nel corso di un’attività di bonifica di un campo mi- nato posto tra la linea di difesa israeliana, la cosiddetta Technical fence e la Blue line. Il suddetto sconfinamento, che ha dato luogo ad un breve scontro a fuoco tra le parti, è stato risolto in brevissimo tempo grazie alla mediazione di UNIFIL e al- l’immediata dislocazione sul campo di caschi blu capaci di interporsi tra i conten- denti e di prevenire ulteriori frizioni. Zona particolarmente sensibile per violazioni terrestri è l’area contesa delle Shebaa farms, dove la marcatura della Blue line è quasi inesistente anche perché contestata. Da parte libanese le violazioni più comuni in tale zona sono talvolta dovute alla presenza di personale intento a cacciare, conside- rato da parte israeliana una possibile minaccia nell’area di operazioni. L’attività ve- natoria è vietata e perseguita dall’autorità giudiziaria libanese. Si registrano inoltre limitati episodi di violazione e sconfinamento di qualche decina di metri, quasi sempre involontari, da parte di locali libanesi che sono soliti condurre al pascolo il loro bestiame. Da parte israeliana alcuni incidenti molto circoscritti di violazione della Blue line sono stati dovuti essenzialmente alla non visibile marcatura della linea di ripiegamento. UNIFIL, oltre a perseguire con convinzione l’obiettivo di de- limitazione del confine in modo più visibile per l’intera Blue line così da evitare in- cidenti e possibili scontri – è infatti in corso di approvazione un documento tecnico, che verrà siglato tra le parti, che stabilisce le modalità pratiche di marcatura sul ter- reno della Blue line – sta comunque procedendo a segnare, per proprie necessità operative, in modo provvisorio ma ben visibile alla popolazione locale, la linea im- maginaria di arretramento che taglia l’area contesa nelle Shebaa farms. La presenza di UNIFIL lungo la Blue line costituisce al momento uno strumento indispensabile al fine di prevenire eventuali scontri e frizioni tra le parti. Accade spesso, infatti, che le opposte pattuglie che si incrociano lungo la linea Blue assumano atteggiamenti di

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sfida e provocazione che vengono immediatamente temperati dal pronto intervento sul posto della forza di reazione rapida UNIFIL. Di natura sostanzialmente diffe- rente è invece la violazione rappresentata dal lancio di razzi – di tipo non ancora identificato e provenienti dall’interno dell’area di responsabilità di UNIFIL, precisa- mente dal settore orientale – contro il territorio israeliano il giorno 17 giugno. L’epi- sodio non è stato rivendicato ed ex post potremmo ora identificarlo come il primo sintomo dell’attività di forze destabilizzanti infiltratesi nel sud del Libano. Grazie alla mediazione di UNIFIL, l’episodio non ha tuttavia provocato una reazione a ca- tena da parte dei contendenti. Altro fattore di forte preoccupazione è costituito dal processo di riarmo del movimento di Hezbollah, così come di altri gruppi paramili- tari esistenti in Libano. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il 14 marzo e poi nuovamente il 7 maggio ha diramato alcuni rapporti sullo stato della risoluzione n. 1701, sottolineando tra l’altro le ricorrenti accuse israeliane relative al riarmo di Hezbollah nonché il rischio che armi prodotte al di fuori della regione af- fluiscano clandestinamente in Libano. Lo stesso Segretario Generale ha ricordato inoltre l’assenza di riscontri obiettivi da parte di UNIFIL circa il processo di riarmo di Hezbollah. Tuttavia, l’elemento di più grave preoccupazione è oggi rappresentato dal rischio di attentati, e con ciò giungo al tema di più scottante attualità visto il tra- gico episodio che ha coinvolto, lo scorso 24 giugno, i caschi blu del Contingente spagnolo. Alle 17.45 ora locale, come sapete, un convoglio di due mezzi blindati di UNIFIL era in movimento su una rotabile secondaria nel settore est dell’area di re- sponsabilità della forza ONU, quando il secondo veicolo della colonna di due è stato investito da una violentissima esplosione prodotta da una vettura carica di di- verse decine di chilogrammi di esplosivo ad alta potenza. A causa della detonazione il veicolo blindato subiva danni molto consistenti con la conseguente morte di sei caschi blu che, insieme ad altri due rimasti feriti, si trovavano a bordo. Sul luogo dell’attentato sono intervenuti reparti specializzati del genio che hanno provveduto a raccogliere molti elementi informativi relativi al tipo di esplosivo e alla tecnica uti- lizzata per far detonare l’autobomba. In termini eminentemente tecnici, quindi, ab- biamo a disposizione molte e dettagliate informazioni circa la tipologia dell’atten- tato. Ben più arduo, ovviamente, sarà riuscire ad attribuire una paternità certa agli esecutori materiali e soprattutto ai mandanti. Come ampiamente riportato dai mezzi di informazione, i leader del movimento Hezbollah hanno pubblicamente condannato l’attentato, definendolo vile e contrario agli interessi della popolazione del Libano. La loro posizione, quindi, è stata molto più che una semplice dissocia- zione da quanto accaduto. Questo tuttavia non ci consente di dimenticare che, pro- prio nelle scorse settimane, il Contingente spagnolo era stato accusato di condurre azioni di sorveglianza ai danni di Hezbollah, azioni che, secondo i leader del partito di Dio, esulavano dai compiti previsti dal mandato di UNIFIL. In tal senso l’attacco agli spagnoli potrebbe essere interpretato sia come l’azione di una frangia estremista dello stesso movimento Hezbollah, che si muoverebbe in contrasto con la leadership

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ufficiale, sia come un attentato promosso da un gruppo terroristico rivale di Hez- bollah. In quest’ultimo caso l’azione sarebbe riconducibile a gruppi di ispirazione salafita, a loro volta collegati con Al-Qaeda, che avrebbero operato in tal modo pro- prio per far ricadere la responsabilità sul partito di Dio. Non vanno escluse inoltre ulteriori e ancora più articolate possibilità , come alleanze temporanee fra fazioni ri- vali destinate, nel caso, a trasformarsi in nuovi scontri in brevissimo tempo. La storia del Libano purtroppo ci ha abituati a una tipologia di conflittualità quanto mai complessa e caotica, fenomeno di cui dobbiamo essere pienamente consapevoli per poter mantenere, da un lato un atteggiamento quanto mai responsabile, dal- l’altro una guardia quanto mai alta. Quanto al primo punto, è vitale ricordare che le Nazioni Unite, quindi il Contingente di caschi blu che operano nell’UNIFIL, de- vono sempre essere e apparire sempre come rigorosamente super partes. Anche a li- vello nazionale è pertanto doveroso mantenersi equidistanti da tutte le parti in con- flitto al fine di garantire le maggiori opportunità di successo alla missione e le mag- giori garanzie di sicurezza ai contingenti militari internazionali. Quanto al secondo punto, ovvero circa il comportamento, è nostro fermo intendimento continuare ad assicurare al Contingente nazionale il massimo del supporto informativo al fine di prevenire il più possibile le minacce. L’attenzione della nostra intelligence è e ri- marrà orientata a 360 gradi. In termini di protezione materiale del Contingente, ov- vero di tipologia e numero di mezzi ed altri sistemi di difesa attiva e passiva, lo Stato Maggiore della Difesa segue con estrema attenzione ogni sviluppo sul terreno e con- tinua ad adeguare costantemente le dotazioni. Da questo punto di vista, posso assi- curare, pur con la riservatezza necessaria, che i nostri reparti dispongono di mezzi adeguati a fronteggiare la minaccia attuale. Peraltro, come è facile comprendere, la natura terroristica della minaccia manifestatasi impone di mantenere il più stretto riserbo sulle misure di sicurezza adottate. In chiusura di questa mia comunicazione, ritengo doveroso esprimere una valutazione di massima circa il grado di successo complessivo che l’azione della comunità internazionale sta avendo in Libano. La presenza di UNIFIL, nella sua nuova e attuale configurazione, ha senza dubbio for- nito un contributo essenziale all’integrazione dei diversi gruppi culturali e religiosi libanesi. La pace seguita all’ultimo conflitto ha rafforzato nei cittadini libanesi, nel contesto dato, l’identità nazionale rendendo finalmente possibile pensare ad uno Stato sovrano in cui essi possono liberamente decidere dei propri destini. In partico- lare, al sud del Litani, la forte presenza di UNIFIL e la sua integrazione con le Forze Armate libanesi hanno condotto ad una progressiva normalizzazione nella vita degli abitanti, i quali hanno dato e manifestato chiari ed inediti segni di fiducia. La pre- senza di Forze Armate libanesi a sud del Litani, vista inizialmente con scetticismo, è cresciuta progressivamente in consistenza e qualità . Attualmente quattro Brigate (tre meccanizzate e una corazzata) sono schierate nell’area e coordinate dal Co- mando del sud Libano, posto nella città di Tiro. Il loro contributo, estendendosi da normali compiti di sicurezza e controllo del territorio a quelli più tipici di una Forza

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di Polizia (ovvero fermo, identificazione ed eventuale arresto), è essenziale ai fini dell’adempimento del mandato; la loro capacità operativa, e in particolare i tempi di intervento, sono progressivamente migliorati ed hanno consentito una sempre mag- giore integrazione con UNIFIL. Relativamente al ripristino di normali condizioni di vita e di sviluppo, appare evidente lo sforzo attuato per riportare le infrastrutture ad un livello di funzionamento analogo, se non superiore, a quello antecedente il conflitto dello scorso anno. Quanto alle scuole, nell’ultimo periodo si sono ag- giunte, a quelle già funzionanti, nuove strutture, quasi tutte finanziate da donatori esteri, molto sensibili al problema dell’istruzione delle giovani generazioni. Molto si sta facendo anche nell’ambito del sistema viario da parte del Governo centrale con il supporto di varie organizzazioni non governative. Lo scopo, oltre a quello di miglio- rare le condizioni di vita generali, è certamente quello di potenziare le capacità di trasporto a favore del libero commercio che da sempre rappresenta la fonte primaria dell’economia locale. In questo senso, si rileva che anche l’agricoltura ha ripreso l’at- tività, seppur limitata ad alcune aree a causa di problemi legati allo sminamento. L’intervento internazionale ha recato un deciso vantaggio anche alla sicurezza di Israele, le cui regioni settentrionali nel periodo in questione non sono state oggetto di attacchi o di incursioni provenienti dal Libano, con l’unica eccezione del già ci- tato episodio del 17 giugno. In breve, grazie al deciso potenziamento di UNIFIL, la tregua si è consolidata, tramutandosi in un «cessate il fuoco» duraturo. Sono ormai avviate concrete misure di costruzione della confidenza reciproca. Il quadro della si- curezza complessiva del Libano è migliorato quantomeno nell’area di operazione di UNIFIL. Restano invece grandi e gravi incognite circa la stabilità complessiva del Paese e della regione nel suo insieme, che generano rischi concreti e si trasformano talvolta in minacce dirette ai Contingenti multinazionali. A parere del Governo, la strada sinora intrapresa delle Nazioni Unite, a cui l’Italia ha dato il massimo so- stegno, si è rivelata giusta e i militari spagnoli che operano nell’UNIFIL, come in tante missioni, fianco a fianco con i nostri Contingenti, sono morti mentre adempi- vano ad una missione di pace che è tale non solo negli obiettivi perseguiti, ma anche nei risultati conseguiti. È anche grazie al loro sacrificio e al rischio che corrono tutti i giorni i caschi blu della missione UNIFIL che questi risultati sono stati possibili. Sento perciò il dovere di rinnovare davanti al Parlamento, sicuro di interpretare anche i vostri sentimenti, il dolore più profondo per il lutto sofferto dai nostri fra- telli spagnoli. In conclusione, anche ricordando il voto corale che sostenne il varo della missione in Libano, ritengo di dover manifestare al Parlamento l’intendimento del Governo di continuare a sostenere attivamente e in maniera convinta la linea di condotta finora seguita, adottando naturalmente le misure che di volta in volta si renderanno necessarie. Grazie.

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Indagine conoscitiva sulle servitù militari Camera dei Deputati (Aula),17 luglio 2007

Signor Presidente, colleghi Deputati,

nella precedente audizione, che nove mesi or sono ebbi occasione di svolgere presso questa Commissione, affrontai la problematica delle servitù in una veste an- cora programmatica, indicando gli obiettivi del dicastero e il percorso che intende- vamo seguire per raggiungerli. Oggi ho la possibilità di parlare con un certo patri- monio di esperienza e sulla base di un approfondimento più preciso dei termini del problema. Tale approfondimento ha messo in luce le difficoltà di un processo di re- visione intimamente connesso con la necessità di ristrutturazione delle Forze Ar- mate e la conseguente revisione della presenza militare sul territorio. In questi mesi, mentre si procedeva alla ricognizione del problema, non si è voluto tuttavia atten- dere che lo studio fosse completato. Nell’affrontare la problematica delle servitù si è preferito, intanto, mettere concretamente mano ad alcune situazioni più urgenti. Questo ci ha portato fatalmente a dedicare più attenzione a certe regioni o a singole situazioni sul territorio, piuttosto che ad altre, ma in compenso abbiamo potuto raggiungere dei risultati, seppur parziali, e soprattutto abbiamo sviluppato quel- l’esperienza e quella metodologia di lavoro che riteniamo possano aiutarci a risolvere ancora più rapidamente le questioni restanti. Prima di entrare nel vivo della rela- zione, vorrei effettuare un richiamo alla natura della problematica che stiamo af- frontando per ricondurla nell’ambito proprio delle responsabilità e competenze del Ministero della Difesa. Il problema delle servitù è prevalentemente tecnico. So che nelle audizioni dei rappresentanti delle aree tecnico-operative e tecnico-amministra- tive del dicastero questi aspetti sono stati ampiamente trattati. Tuttavia, molte dia- lettiche che si sono sviluppate sull’argomento investono temi ben più ampi che ri- guardano scelte politiche, talvolta di natura internazionale, che superano i limiti di competenza della Difesa. Rimanendo, pertanto, nell’ambito delle responsabilità del dicastero, credo sia utile premettere i princìpi sui quali si è sviluppata l’azione, prin- cìpi noti e già sottolineati nella mia precedente audizione, che ritengo importante avere sempre presenti. Per quanto possa apparire scontato e rituale, il primo fonda- mento al riguardo è il riconoscimento della difesa come attività di primario interesse della Repubblica. La nostra stessa Costituzione definisce la difesa della Patria come

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un dovere sacro, l’unico dovere definito sacro al quale ogni cittadino deve contri- buire. Da ciò deriva l’obbligo di sopportare individualmente, o come comunità , gli oneri necessari al mantenimento in efficienza dello strumento militare. Tali oneri possono consistere nella presenza sul territorio di istallazioni che ospitano i reparti delle Forze Armate, o i sistemi di sorveglianza e di comunicazione militare, ma anche nella disponibilità di aree in cui il personale militare possa addestrarsi. L’adde- stramento e la preparazione dei militari sono, infatti, parti essenziali per l’efficienza e l’efficacia dello strumento militare, nonché un presupposto indispensabile per la stessa sicurezza del personale. Sulla base di queste premesse, che ho sentito il dovere di richiamare, il compito del dicastero è quello di far sì che gli oneri sul territorio siano, tuttavia, contenuti al minimo indispensabile e pienamente coerenti con le esi- genze della Difesa. A questo punto va immediatamente aggiunto che, poiché l’evo- luzione storica, politica e tecnologica, riguardante i fini e i mezzi, potrebbe determi- nare nelle esigenze di difesa cambiamenti anche rilevanti, la verifica di queste neces- sità e coerenze si propone come un processo continuo. Ciò dà luogo ad un’attività complessa che coinvolge una certa mole di procedure tecnico-amministrative. È ne- cessario, quindi, ammettere con franchezza che molte situazioni richiedono una forte volontà per essere verificate e risolte. Ebbene, muovendo da questa consapevo- lezza ho disposto la massima attenzione e priorità ad ogni richiesta proveniente dal territorio riguardante le ricadute, positive o negative, della presenza militare. Per- tanto, come avevo preannunciato lo scorso ottobre, vi è stato il fermo impegno della Difesa di confrontarsi con le esigenze locali allo scopo di ricercare con esse la mas- sima collaborazione e sinergia, raccogliendo, da una parte ogni osservazione ed istanza, e fornendo dall’altra la massima trasparenza. Ritengo che questa sia la via da percorrere per poter aiutare i cittadini a condividere una maggiore consapevolezza delle esigenze di difesa della Repubblica. Nonostante questa Commissione disponga certamente di una buona conoscenza dell’argomento, ritengo utile rammentare an- cora una volta il vero significato del termine « servitù militare » che viene comune- mente intesa come la totalità degli oneri che la presenza militare offre. Invece, nel- l’ambito di questa locuzione vanno ben distinte, da una parte la presenza militare, data dalle aree demaniali, dalle infrastrutture occupate dal personale della Difesa e dai suoi mezzi, dall’altra le servitù vere e proprie, che sono vincoli imposti a pro- prietà altrui, esterne al demanio della Difesa. Per le servitù vere e proprie il legisla- tore è già intervenuto, sia imponendo un confronto con il territorio attraverso i Co- mitati misti paritetici Difesa-Regione, che devono esprimersi su di esse, sia preve- dendo revisioni a scadenza temporale di cadenza quinquennale. In questo modo vi è garanzia che le problematiche vengano sottoposte a continua verifica e ad eventuale revisione. Per la presenza militare, che si avvale di un patrimonio demaniale e infra- strutturale di enormi proporzioni, il processo di revisione è invece più che mai con- dizionato dalle attività di ristrutturazione e riorganizzazione derivanti dall’evolu- zione della situazione strategica. Questo processo è, a sua volta, condizionato dai

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costi che comporta ogni trasformazione e trasferimento di unità. L’esperienza degli ultimi mesi ci ha confermato, in modo inesorabile, lo stretto legame dei due temi che, spesso, sono stati trattati disgiuntamente: il tema della revisione della presenza militare, sia come onere che richiede il confronto con le esigenze del territorio, sia come necessità di aggiornamento alla situazione strategica attuale. Tecnicamente, oggi abbiamo una situazione in cui molto del patrimonio infrastrutturale della Di- fesa è sottoimpiegato e in condizioni di mantenimento precario. Non esistono, tut- tavia, le risorse né per trasferire le unità , e liberare le infrastrutture che sono usate solo parzialmente, né per ristrutturare e porre in buone condizioni di utilizzo i beni che si intendono mantenere. Il problema deriva dal fatto che molte di queste infra- strutture in uso parziale sono richieste dal territorio, ma la mancanza di risorse per i trasferimenti impedisce di rilasciarle. Mi soffermo su questo tema in quanto rappre- senta la chiave per comprendere la difficoltà di raggiungere gli obiettivi di armoniz- zazione con il territorio, che tutti vorremmo ottenere per venire incontro alle ri- chieste delle comunità locali. A questo problema si potrebbe porre rimedio: la spinta delle comunità locali, correttamente indirizzata da adeguati strumenti legisla- tivi, potrebbe aiutare la Difesa a ristrutturarsi. Tuttavia, in questa prospettiva va rile- vato che purtroppo non vi è una perfetta conoscenza della situazione infrastruttu- rale della Difesa. Spesso la percezione è che il dicastero voglia continuare a trattenere il suo patrimonio a tutti i costi, senza curarsi dello stato di abbandono di alcuni edi- fici o dell’ostacolo allo sviluppo che certe occupazioni causano alla comunità locale. La verità è che, invece, il dicastero è il primo ad avere interesse ad abbandonare il patrimonio non in uso, ma potrà farlo solo – come già detto – dopo aver pianificato bene la sua configurazione finale e aver trovato le risorse per i trasferimenti di re- parti e per la ristrutturazione degli edifici in cattive condizioni da mantenere in vita. Nel corso di questi anni non si è mai individuato uno strumento normativo ade- guato e ciò ha determinato un blocco, erroneamente percepito come volontà con- traria alle cessioni. La finanziaria 2007 ha affrontato l’argomento in forma più inci- siva, consentendo alla Difesa almeno di liberarsi con una formula pragmatica ed ef- ficace di tutti i beni ormai non più utilizzati e di non riconosciuto interesse per il di- castero. Esaurita la prima fase, in cui è stato trasferito all’Agenzia del demanio il primo pacchetto di beni per 1 miliardo di euro, anche questa formula si è dimo- strata non sufficiente. Difatti, ora ci si trova a gestire una massa di beni sottoutiliz- zati, molti dei quali non rispondenti neppure ai requisiti minimi di abitabilità pre- visti dalla legge, ma che non si ha la possibilità economica di abbandonare. Ebbene, per affrontare compiutamente il problema della revisione della presenza militare, ce- dendo con rapidità i beni possibili, ho dato disposizione di concordare con il Mini- stero dell’Economia e delle Finanze un perfezionamento della normativa che con- senta permute sistematiche con le realtà locali, da introdurre nella prossima finan- ziaria. In questo tipo di permute la Difesa non intende far cassa e stravolgere così lo spirito della normativa attuale – la quale chiede che i proventi delle dismissioni mi-

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litari siano gestiti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – ma ricavare dalle operazioni quella parte di risorse destinate alle riallocazioni delle funzioni dei beni che si vogliono abbandonare. Gli studi effettuati dimostrano come operazioni di questo tipo lasceranno ampi margini di valorizzazione degli immobili, proprio perché in molti casi si tratterà di riallocare funzioni di beni solo parzialmente utiliz- zati. Esaurito questo tema, che in ultima analisi vuole individuare una formula per consentire di risolvere il problema nella sua globalità , intendo passare a dar conto di quanto è stato fatto nelle condizioni vigenti. Ricordo che avevo preannunciato i passi che intendevamo compiere per giungere a una revisione della presenza mili- tare. In primo luogo, completare il censimento di tutte le infrastrutture in uso alla Difesa, nonché delle servitù associate; in secondo luogo, individuare le installazioni necessarie agli attuali compiti istituzionali e il loro tipo di utilizzo; in terzo luogo, laddove esistano strutture in uso necessarie, ma relativamente poco funzionali alle attuali esigenze, e tuttavia fortemente desiderate dalle comunità locali, ferma re- stando l’attuale normativa sulle permute, esaminare la possibilità di addivenire ad accordi di programma per le riallocazioni di funzioni senza oneri per la Difesa, che al momento non è in grado di finanziare trasferimenti. Inoltre, per quanto riguarda le servitù vere e proprie, intendiamo eliminare quelle non più necessarie e verificare con attenzione i criteri di compensazione previsti dalla legge per un eventuale ag- giornamento degli indennizzi ai privati, dei contributi agli enti locali e degli aspetti procedurali che appaiono ancora complessi. Infine, è nostra intenzione rilasciare le strutture non più utili trasferendole all’Agenzia del demanio al fine della loro valo- rizzazione secondo le procedure di legge. Ho preferito avviare da subito, anche se parzialmente, le azioni per sperimentare questa metodologia ed eventualmente cor- reggerla. Tra le regioni, ho ritenuto dovesse essere affrontato innanzitutto il caso della Sardegna, muovendo dal riconoscimento che questa regione è storicamente gravata – come avevo già illustrato nella precedente audizione – dalla presenza di in- stallazioni militari e di servitù, in misura ampiamente superiore alla media nazio- nale. Questo anche per corrispondere ad una forte richiesta del territorio per la veri- fica della effettiva necessità delle diverse presenze militari e per una profonda insod- disfazione per come l’isola è stata trattata finora. Pertanto, è stato effettuato un completo censimento dei beni impegnati dalla Difesa nella regione e per ognuno si è proceduto ad una attenta analisi dell’utilizzo. In corso d’opera sono stati firmati due protocolli di intesa in cui sono stati consolidati i risultati via via raggiunti. Ci troviamo, a questo punto, nella fase finale di trasferimento all’Agenzia del demanio dei beni che, considerato il particolare status di autonomia della Sardegna, saranno contestualmente trasferiti alla regione. L’esperienza, fondata su un confronto molto approfondito con il territorio, ci ha fornito i seguenti insegnamenti: la possibilità , con un censimento congiunto, di individuare immediatamente soluzioni per beni non più utili; la possibilità di individuare soluzioni anche su situazioni di beni con- siderati ancora utili, ma che potevano essere liberati con accorgimenti organizzativi

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concordati. Vi riporto l’esempio del Monte Urpinu a Cagliari, zona particolarmente pregiata, sede di un deposito carburanti, rispetto al quale la Difesa ha individuato un modo per rilasciarlo senza penalizzare le proprie necessità di rifornimento, in particolare aumentando la capacità di stoccaggio della base di Decimomannu. Un ulteriore insegnamento riguarda la possibilità di liberare beni in uso attraverso quel tipo di accordi per la riallocazione delle funzioni, senza oneri per la Difesa, che si di- mostra essere la metodologia più valida per un rapido rilascio delle infrastrutture de- siderate localmente. Questo è il caso che riguarda La Maddalena, dove due caserme, l’ospedale militare e altri beni in uso parziale saranno rilasciati attraverso la concen- trazione delle funzioni nelle rimanenti infrastrutture dell’area della Scuola Sottuffi- ciali, che verranno ristrutturate a questo scopo dalla regione. Grazie a questa attività abbiamo, quindi, ridotto in questo primo anno la presenza militare del territorio con il previsto rilascio di 77 beni – mi sto riferendo sempre alla Sardegna – con una più significativa riduzione nelle aree che ci sono state segnalate come critiche, in quanto la presenza del demanio militare avrebbe potuto incominciare a costituire ostacolo ai progetti di sviluppo del territorio. Per fare un esempio, alla fine del pro- cesso, con il rilascio di 34 beni, a Cagliari la presenza militare sarà ridotta del 40 per cento. A La Maddalena, con le azioni fin qui effettuate – ossia, il rilascio di 17 beni – si passerà ad una riduzione del 36 per cento. Con l’annunciato rilascio della zona USA e con altre ulteriori dismissioni allo studio si potrà arrivare a una riduzione di oltre il 50 per cento della presenza militare, così come configurata. Devo, tuttavia, annoverare anche le divergenze che si sono avute con la regione, anch’esse fonte di esperienza e considerazioni. La completa apertura del dicastero alle esigenze locali e la volontà di dialogo hanno sempre come limite gli interessi superiori dell’efficienza dello strumento militare, nostro preciso dovere verso il Paese. Non possiamo illu- derci di liberarci delle eredità del passato, in questo caso secolari, rimediando ad esse in un’unica soluzione con provvedimenti che penalizzino l’efficienza delle Forze Ar- mate, quindi la sicurezza e la difesa della Repubblica. Per questo motivo, si sono manifestati disagi per la presenza dei poligoni di tiro in varie località e, nello stesso senso, per la presenza a La Maddalena del deposito munizioni della Marina Militare di Guardia del Moro. Tali problematiche, che non hanno trovato una soluzione a li- vello tecnico, sono state portate alla mia diretta attenzione, ma le mie decisioni, pur ponendo la massima attenzione alle voci e alle ragioni del territorio, non hanno po- tuto che assumere come riferimento le verificate esigenze della difesa della Repub- blica. Ciò vale, in particolare, per i poligoni per i quali ho piena consapevolezza della sensibilità che essi suscitano per la vasta occupazione del territorio. Purtut- tavia, essi sono strutture indispensabili per l’addestramento delle Forze Armate che devono avere la possibilità di esercitarsi in situazioni realistiche, al fine di maturare quella padronanza nella gestione dei mezzi che è elemento essenziale per la loro ope- ratività e per la sicurezza del personale. A questo proposito, sento il dovere di affer- mare che tutto possiamo permetterci tranne mantenere Forze Armate di facciata,

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per onore di bandiera, da esibire in parate. I nostri uomini – ne sono convinto – vengono chiamati ad operare in zone particolarmente pericolose, dove proprio i compiti militari che noi chiediamo loro di effettuare al servizio della pace li chiama ad essere sicuri e determinati, dotati di quell’autocontrollo che è patrimonio solo di soldati competenti, perché addestrati. Prima ancora di andare fieri del fatto che i nostri soldati molto raramente causino – nell’anno in corso neanche una – durante le operazioni vittime innocenti, dobbiamo essere certi di aver conferito loro il mas- simo livello di preparazione e addestramento. Non vi sarebbe nessuna pregiudiziale da parte della Difesa nel trovare soluzioni diverse dai poligoni sardi. Per questa ra- gione, ho fatto svolgere degli studi sull’argomento, sottoponendone l’esito alla Presi- denza del Consiglio. Le situazioni isolate come ipotesi di lavoro, basate sulla ricerca di sedi estere, richiederebbero tuttavia consistenti risorse economiche che presente- rebbero seri problemi di affidabilità e continuità sul piano delle relazioni e delle alle- anze internazionali, e non garantirebbero gli stessi risultati. Ritengo, quindi, che in questo momento di grave difficoltà relative all’addestramento per le nostre Forze Armate, dovute alla scarsità di fondi, segnatamente per quello che riguarda l’eser- cizio, non sia possibile individuare una soluzione alternativa, o almeno a breve. Si- milmente, nel caso del deposito della Marina di Guardia del Moro ci troviamo di fronte ad una installazione creata negli anni con notevoli investimenti, unica nel suo genere, che risponde efficacemente alla necessità di conservazione e movimenta- zione del materiale critico della Marina. So che questa Commissione ha modo di vi- sitarlo e di rendersi personalmente conto delle caratteristiche della struttura. L’at- tuale impossibilità di dismetterla impone scelte impopolari, ma necessarie, che il di- castero deve assumere. Su questo argomento ho anche avuto il conforto di un pro- nunciamento nello stesso senso da parte del Consiglio dei Ministri, in occasione della legittima e comprensibile opposizione del Presidente della Regione Sardegna. Queste situazioni di incomprensioni, dove il contrasto tra i desiderata locali e le esi- genze della Difesa non hanno trovato una composizione e dove l’interesse della Re- pubblica ha necessariamente prevalso, mi hanno portato, tuttavia, a concepire un sesto possibile passo da aggiungere alla linea d’azione sopradescritta. Difatti, ritengo che il dicastero si debba fare carico, nei casi come questo, di ricercare comunque ogni soluzione di minimo impatto, rivedendo confini demaniali e servitù associate e, successivamente, cercando qualche forma di compensazione, non solo di natura economica e risarcitoria, ma anche di opportunità di sviluppo del territorio. Inoltre, ritengo che debbano essere trovate forme di cogestione di porzione del territorio che a ciò si prestino. In tal senso, ci stiamo concentrando sulla valorizzazione del poli- gono di Salto di Quirra attraverso la creazione di infrastrutture, tra cui una pista di volo, che favoriscano lo sviluppo di attività anche di natura civile e che possano por- tare una maggiore occupazione. Nel caso di Teulada, esiste un progetto di sviluppo e di installazione ad alto contenuto tecnologico per sviluppare attività di simulazione che diminuiscano la necessità di attività a fuoco e consentano, anche in questo caso,

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opportunità di impiego per la popolazione. Sempre in relazione a Teulada, il libero utilizzo di porzioni di spiaggia, finora interdette, costituisce un atto in linea con quanto sopra dichiarato che potrà avere ulteriori sviluppi. Inoltre, sono in atto le at- tività di bonifica delle zone di mare di Teulada che verranno liberalizzate alla pesca. A Guardia del Moro, adiacente alla base di Santo Stefano concessa agli Stati Uniti d’America, alla partenza di questi ultimi, concordata per l’inizio del prossimo anno, verrà completamente rilasciato alla regione il demanio ora occupato dalla Marina degli Stati Uniti e verranno eliminate tutte le servitù . Si tratta di un risultato con- creto di grande valore simbolico che, pur movendo da disponibilità dichiarate in precedenza, ha richiesto un grandissimo impegno da parte del Ministero della Di- fesa. Con ciò la Difesa vuol rendere manifesta tutta la sua attenzione e sensibilità alle problematiche del territorio, pur nella ineludibilità delle sue esigenze. L’espe- rienza sarda è stata poi avviata in altre Regioni, come ad esempio in Liguria, dove abbiamo trovato una rapida soluzione per la Caserma Gavoglio, che la città di Ge- nova desiderava da più anni, e dove stiamo maturando un protocollo generale con la regione. Come esempio da perseguire, allo stesso tempo di un risultato raggiunto, voglio citare il caso della Valle d’Aosta dove con una trattativa conclusiva, dopo un decennio di tentativi, è stato possibile trovare un’armonica soluzione tra la raziona- lizzazione della presenza delle unità alpine e il forte desiderio della città di Aosta di disporre dell’imponente struttura della Caserma Testafochi per la propria università. La soluzione individuata è proprio nella linea che si intende far diventare sistematica con il rafforzamento delle normative esistenti. La regione si fa carico di ristrutturare o realizzare altri edifici e installazioni per consentire al personale della Difesa di rila- sciare la caserma. Il vantaggio è reciproco e di piena soddisfazione da entrambe le parti, poiché la riallocazione sarà commisurata alle forze presenti e consentirà loro di operare con massima efficienza. Allo stesso tempo, la città acquisirà un bene di ine- stimabile valore per la propria edilizia universitaria. Cito anche le trentasei caserme rilasciate alla regione Friuli Venezia Giulia e la conclusione dell’accordo di pro- gramma con la Provincia autonoma di Trento che coinvolge anche altri ministeri e che consentirà la riallocazione di diverse funzioni di amministrazione dello Stato, grazie al rilascio di caserme in centro città . Analoga iniziativa si sta avviando con la Provincia autonoma di Bolzano dove verrà similmente razionalizzata la presenza mi- litare liberando il centro della città. Il protocollo d’intesa è già stato concordato e la Giunta ha dato l’assenso proprio ieri a questo documento. Cito anche il recentis- simo accordo di programma con il Comune di Pisa del 14 luglio, con il quale il Co- mune entrerà in possesso di tre importanti edifici nel centro della città, costruendo un unico insediamento in area periferica. Naturalmente, l’operazione più massiccia effettuata in questo periodo è la citata formazione del primo elenco di beni, secondo la finanziaria 2007 e in accordo con l’Agenzia del demanio. È un’opera che ha ri- chiesto una notevole mole di lavoro e che è stata realizzata nei tempi richiesti, senza neppure un giorno di dilazione. Essa ha comportato la dismissione di 201 beni,

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transitati all’Agenzia del demanio, tra i quali è stato dato risalto mediatico al succes- sivo rilascio alla comunità delle 6 caserme di Bologna comprese nell’elenco. È in for- mazione il secondo elenco dei beni che comprenderà altri 200 insediamenti. Potrei citare altre iniziative e attività in corso, purtuttavia ritengo che il rendiconto finora svolto e i casi citati siano sufficienti a dimostrare come la Difesa abbia intrapreso, con tutta l’energia e la volontà possibile, la dismissione di ciò che non è più utile ai suoi fini, nonché un’associata opera di revisione dei beni e delle utilità in uso, per ri- cercare la più adeguata formula al loro rilascio o alla loro liberalizzazione. Spero che l’enunciazione di questi primi risultati abbia fugato ogni dubbio su una presunta politica di mantenimento cieco del possesso dei beni o di ingiustificate posizioni di privilegio. Tuttavia, voglio citare ancora nel campo dei beni immobili, per quello che riguarda questi primi mesi, il passaggio al Ministero per i beni e le attività cultu- rali dei locali occupati da quasi 70 anni nel palazzo Barberini in Roma da parte del Circolo Ufficiali delle Forze Armate, consentendo il concreto avvio delle opere di profonda ristrutturazione ed ampliamento della Galleria nazionale e del relativo percorso museale che consentirà , finalmente, la piena valorizzazione e fruizione delle sue collezioni pittoriche. Un ulteriore esempio della nuova politica di apertura nel campo delle utilità è testimoniato dal rilascio di cospicue bande di frequenza, già in uso alla Difesa, d’intesa con il Ministro delle Comunicazioni, onde consentire l’avvio della diffusione sul territorio nazionale della tecnologia Wi- Max e contri- buire a colmare il digital divide che ancora affligge il nostro Paese nei confronti dei partner europei, in tema di connettività e accesso dei cittadini ai servizi digitali. Tale attività , lungi da rendite di posizione, spesso imputate dai media alla Difesa, ha portato ad una profonda revisione concettuale degli assetti trasmissivi e degli appa- rati di difesa aerea e di connessione radiomobile, anche delle Forze di Polizia, con una politica di piano che assicuri la piena attività – nel transitorio, area per area – del sistema unificato di difesa, pur in assenza di una chiara ed univoca posizione circa gli impegni finanziari richiesti al Ministero dell’Economia e delle Finanze. In- fine, vi riporto l’ulteriore esempio riguardante gli aeroporti militari: con un’accorta visione del futuro ed una chiara volontà di minimizzare l’impatto sul territorio delle basi operative dell’Aeronautica, si è deciso di transitare allo status definitivo di aero- porti civili, per consentire il massimo di trasparenza alle autorità proposte alla piani- ficazione dello sviluppo della modalità del trasporto aereo. Questi aeroporti sono stati individuati in 14 unità. Tra di essi vi sono importanti scali, quali Roma Ciam- pino, Napoli Capodichino, Verona Villafranca, Catania Fontanarossa, Cagliari Elmas, nonché scali minori, ma di fondamentale importanza per le comunità locali, come Brescia Montichiari, Rimini Miramare, Treviso Sant’Angelo, Comiso e via di- cendo. Molto resta ancora da fare, e può essere affrontato solo con l’avvio di regole perfezionate dell’opera di revisione della dislocazione delle forze sul territorio. A tal proposto, voglio citare anche il caso opposto – più volte manifestato nei nostri con- tatti con le autorità locali – di situazioni in cui la presenza militare è, invece, forte-

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mente desiderata. Pertanto, vi è un’avversione a ogni notizia di chiusura di Enti, a prescindere dalla possibilità di disporre delle infrastrutture. Purtroppo, alcune chiu- sure sono inevitabili. Cito come esempio soltanto le Scuole di addestramento per il personale di truppa dell’Esercito che, con la sospensione della leva, devono ridursi da 9 a 3, pur essendo molte di esse fortemente radicate e gradite nel proprio terri- torio. Ritengo che il parametro di gradimento sia qualcosa di cui tenere sicuramente conto. Il contatto positivo con il territorio è qualcosa che giova sicuramente alle Forze Armate, specie se professionali, e alle comunità locali. Per questo motivo, nelle attività di studio in corso intendo impartire indirizzi che, pur nella salva- guardia delle esigenze prioritarie operative e delle soluzioni ottimali, funzionali e tecniche, possano in una certa misura tenere anche conto di queste richieste dei cit- tadini. Concludendo, consentitemi di riassumere brevemente i principali risultati conseguiti attraverso la menzione di semplici numeri: 36 caserme rilasciate alla re- gione Friuli Venezia Giulia; 77 beni in corso di trasferimento alla regione Sardegna; 3 importanti siti ceduti alla città di Pisa, con una completa razionalizzazione della presenza militare in quella città ; il rilascio della centrale caserma Testafochi alla re- gione Valle d’Aosta per la realizzazione della sede universitaria; il protocollo siglato con la provincia di Trento, che ha consentito la cessione di tre importanti strutture centrali per la razionalizzazione delle attività periferiche dei vari ministeri; l’accordo con la città di Genova; 201 beni immobili di tipologia diversa transitati all’Agenzia del demanio; la cessione alla regione Sardegna della parte dell’isola di Santo Stefano data in uso alla Marina statunitense, entro il primo trimestre 2008; la consegna al Ministero per i Beni e le Attività Culturali dei locali prima occupati dal Circolo Uf- ficiali. Oltre a tutto questo, sono in corso le individuazioni entro il mese, nelle tem- pistiche dettate dalla finanziaria, di altri 200 beni da transitare all’Agenzia del de- manio. In questo secondo pacchetto vi sarà la completa razionalizzazione dell’area di Torino. Altre importanti iniziative in corso di perfezionamento riguardano accordi di programma con la provincia di Bolzano. Cito anche l’attenzione che verrà dedi- cata all’Arsenale di Venezia per il suo particolare pregio storico. In questa sede, le at- tività della Marina verranno razionalizzate e concentrate per rendere disponibile alla comunità una vasta porzione dell’area. In conclusione, entro l’anno la Difesa avrà ri- lasciato ben oltre 500 beni, un risultato che ritengo di tutto rilievo, ma soprattutto l’espressione di una volontà determinata e la sperimentazione di una metodologia adeguata. Il dicastero continuerà a percorrere la strada intrapresa. Sulla base del la- voro realizzato, ritengo che la conferenza sulle servitù militari, obiettivo del pro- gramma di governo, che qui riconfermo con la prospettiva di poterla svolgere nel primo semestre 2008, potrà così essere un utile strumento per raccogliere i risultati dei primi due anni circa di attività, con la prospettiva di avere di fronte più di metà legislatura per eventuali ed ulteriori iniziative di settore.

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Partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali Camera dei Deputati, 12 settembre 2007

Colleghi Presidenti e colleghi Deputati,

il mio intervento odierno si svolge in ottemperanza a quanto previsto dalla legge n. 38 del 26 marzo 2007, che all’articolo 3, comma 17-bis, prevede che il Governo ri- ferisca periodicamente sull’andamento delle missioni che vedono le nostre Forze Ar- mate impegnate in Teatri operativi esteri nei vari contesti di intervento multilaterali e bilaterali. Come noto, il Governo ha già riferito in più occasioni sull’evoluzione della nostra presenza militare all’estero. Per l’esattezza, nei mesi di maggio e giugno avevo già avuto modo di informare il Parlamento circa l’andamento delle missioni più impegnative: più specificamente quella in Afghanistan con il mio intervento di fronte alle Commissioni Esteri e Difesa, di Camera e Senato, e quella in Libano di fronte alle Commissione Esteri e Difesa della Camera. Nella giornata del 24 luglio, il Senato ha potuto ascoltare la relazione del Ministro degli Affari Esteri relativa- mente al quadro complessivo della nostra politica estera, relazione in cui è stato de- scritto il contesto politico entro il quale si svolgono le nostre operazioni militari. Nella sede odierna, quindi, fornirò le ulteriori informazioni necessarie a completare il quadro informativo di cui il Parlamento deve ovviamente poter disporre sempre. Considerando la situazione nel suo insieme, va innanzitutto detto che negli ultimi otto mesi non si sono verificati cambiamenti di rilievo nell’entità delle forze che l’Italia dispiega all’estero, come pure nella loro dislocazione e nella loro funzione. Il numero complessivo dei nostri militari schierati all’estero nell’ambito delle missioni internazionali continua, infatti, ad attestarsi su un livello di circa 8 mila unità, ana- logo a quello dell’inizio dell’anno. In termini di presenza numerica, tre missioni – quella in Libano con circa 2.450 unità, quella in Afghanistan con circa 2.300 unità e quella in Kosovo con circa 2.300 unità – impegnano nell’insieme oltre l’85 per cento delle forze dispiegate all’estero. Sotto l’aspetto della distribuzione geografica, quindi, la presenza militare italiana all’estero corrisponde alla nostra volontà di par- tecipare all’azione di sostegno alla pace e alla stabilità mondiale, concentrando le ri- sorse più importanti nelle aree di crisi che possono influire direttamente sulla nostra sicurezza. Al tempo stesso, continuiamo a dedicare significative risorse alla stabiliz-

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zazione di quei contesti che, pur apparentemente remoti in termini puramente geo- grafici, sono purtroppo divenuti per tutti noi tristemente familiari, proprio a causa della portata globale dei fenomeni destabilizzanti che in tali ambiti trovano la loro origine. Non va, inoltre, sottovalutato lo sforzo in atto per la nostra partecipazione in molte altre operazioni militari diverse da quelle già ricordate, partecipazione che talvolta consiste in un nucleo molto ridotto di personale, ma che si svolge nondi- meno in Teatri significativi. A tal proposito, desidero sottolineare come la partecipa- zione italiana ad un numero significativo di missioni – nel seguito del mio inter- vento darò una breve descrizione di ciascuna di esse – pur essendo senz’altro one- rosa, è caratterizzata, tuttavia, da una concentrazione razionale delle risorse. L’Italia, assieme agli altri Paesi della Comunità internazionale che per tradizione storica, di- mensione politica ed economica ed anche per cultura plurisecolare si sentono chia- mati ad una attiva corresponsabilità nelle vicende internazionali, non può essere in- differente ai conflitti che minacciano la pace, omettendo di dare un contributo per la pacificazione e il ristabilimento della legalità internazionale. È un dovere politico solennemente sancito dalla nostra Carta costituzionale. Non intendo in questa sede entrare nel merito della congruità del livello di impegno militare dell’Italia all’estero. La natura del mio intervento odierno, infatti, mi induce a privilegiare la compo- nente descrittiva per fornire al Parlamento un quadro preciso ed aggiornato di cosa sta accadendo. Ritengo, tuttavia, indispensabile riportare anche l’attenzione del Par- lamento su alcuni elementi chiave della politica di difesa nazionale e in particolare sullo stretto legame esistente tra il ruolo internazionale dell’Italia e la sua partecipa- zione alle missioni militari di pacificazione, nonché sul legame tra entità e tipologia di missioni all’estero e organizzazione complessiva delle Forze Armate. Come ho detto, l’Italia sta mantenendo mediamente all’estero circa 8 mila uomini e donne in un gran numero di missioni che coprono quasi tutti i Continenti. In tre di queste missioni la presenza italiana è decisamente rilevante, tanto da determinare l’attribu- zione al nostro Paese di responsabilità di comando, a rotazione con gli altri princi- pali partner. Da questi dati si evince abbastanza fedelmente quale sia lo sforzo ope- rativo che le nostre Forze Armate stanno sostenendo continuativamente. Proprio il riferimento alla condotta simultanea di tre operazioni distinte, con un contributo per il nostro Paese di dimensioni pari ad una Brigata – o l’equivalente sul piano in- terforze – in ciascuna di esse costituisce uno degli elementi utilizzati per definire ciò che in gergo si chiama « livello di ambizione » di un Paese, ma che preferirei definire « livello di responsabilità internazionale ». Questa definizione è correlata con la con- sistenza delle capacità operative che si vuole poter mettere in campo in caso di ne- cessità, sulla base delle decisioni delle autorità politiche nazionali e internazionali. La consistenza attuale della presenza militare all’estero non rappresenta il limite teo- rico che le nostre Forze Armate sarebbero in grado di esprimere. Rappresenta, però , un impegno importante che satura circa due terzi delle capacità oggi esprimibili. Si deve, infatti, considerare che per mantenere 8 mila unità in operazioni all’estero un

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numero almeno triplo si trova nelle varie fasi di approntamento o di recupero e di riorganizzazione al ritorno dallo schieramento. Alle spalle di questa componente operativa si trova poi la macchina logistica, scolastico-addestrativa e amministrativa, che rende materialmente possibile sia la condotta delle operazioni, sia la prepara- zione delle forze destinate a proseguirle nel tempo. Da tutto ciò deriva l’estrema complessità e delicatezza dell’intero meccanismo di generazione delle nostre capa- cità militari. Il già ricordato « livello di ambizione », ovvero la consistenza delle ca- pacità operative esprimibili dalle Forze Armate, può essere mantenuto solo a condi- zione che questo meccanismo di generazione delle capacità sia adeguatamente ali- mentato, sia in termini di reclutamento di nuove leve di militari in età giovanile, sia in termini di risorse economiche necessarie a garantire l’addestramento, la manu- tenzione e il progressivo rinnovo degli equipaggiamenti. Quando il Parlamento deli- bera le spese per la partecipazione delle Forze Armate alle missioni all’estero, mate- rialmente consente di finanziare i costi vivi e diretti – ripeto, quelli vivi e diretti – di tale partecipazione, ma non deve essere dimenticato che l’approntamento delle ca- pacità, quindi il raggiungimento e il mantenimento del «livello di ambizione», ri- cade sul bilancio ordinario della Difesa. Il termine «livello di ambizione», inoltre, pur essendo assolutamente corretto se espresso nel contesto tecnico-militare, deve essere attentamente interpretato se usato nell’ambito di una riflessione politica più ampia. È per questo che il «livello di ambizione» deve essere letto anche come il «li- vello di responsabilità» che l’Italia si assume nel contesto internazionale, ovvero come porzione di costi e di rischi politici, economici e militari che l’Italia assume su di sé nell’ambito dell’azione internazionale volta al perseguimento e al manteni- mento dell’ordine e della pace. Ancora, potremmo interpretare il concetto anche se- condo il termine di «livello di affidabilità», giacché l’azione internazionale si caratte- rizza invariabilmente per i tempi lunghi che travalicano ampiamente l’orizzonte temporale delle scelte contingenti legate alle dinamiche politiche interne ai singoli Stati. Quando un Paese assume una decisione, quando formalizza un impegno, la capacità di portare a termine tale impegno nel corso del tempo rappresenta una con- dizione essenziale perché tale Paese possa essere considerato affidabile e, quindi, fat- tore di stabilità nelle relazioni internazionali. Questo insieme di valutazioni ci in- duce a riconsiderare con occhi diversi quel livello di ambizione che sembrava avere una specificità solamente tecnico-militare. Al contrario, definendo i limiti del no- stro impegno nelle missioni all’estero, definiamo anche il nostro grado di responsa- bilità nella divisione del lavoro per la tutela della pace internazionale. Approntando ed alimentando adeguatamente le Forze Armate, poniamo le basi per un’azione con- tinuata nel tempo che possa, cioè, essere sostenuta adeguatamente, senza far deca- dere le capacità operative esprimibili dai contingenti nazionali, che devono poter contare su un flusso costante di nuove risorse umane ed economiche. Tutto ciò ha diretto impatto sulla capacità di proseguire nel tempo gli impegni presi di fronte alla Comunità internazionale, quindi sull’affidabilità complessiva dell’Italia come

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membro di alleanze o Paese di primo piano nel contesto delle Nazioni Unite. Tutto ciò ha diretto impatto sul buon nome dell’Italia, sulla sua capacità di mantenere la parola data e sulla determinazione a dare solo la parola che si potrà mantenere, nel presente e nel futuro. Desidero ora tracciare un quadro analitico dei nostri impegni all’estero raggruppando le nostre missioni in gruppi omogenei in termini di con- testo istituzionale di riferimento, distinguendo quindi le missioni a guida ONU, quelle a guida Unione Europea, quelle a guida NATO e quelle svolte, infine, in am- bito multilaterale e bilaterale. Cominciando con le operazioni a guida ONU, con- tinua il consistente impegno di forze assicurato alle missioni a guida ONU incen- trato sul contributo a UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), schie- rata nel sud del Libano per la sorveglianza della fascia compresa tra il fiume Litani e la linea blu di frontiera con Israele. La Brigata Folgore, che dal 23 aprile 2007 ha so- stituito la Brigata Pozzuolo del Friuli, ha la responsabilità dell’ovest, all’interno del quale gestisce anche i Contingenti forniti da Francia, Ghana, Slovenia e Qatar (que- st’ultimo alle dipendenze dell’unità francese) e quello fornito dalla Repubblica di Corea, operativo da fine agosto. UNIFIL, la cui consistenza ha raggiunto il livello di circa 13.600 militari di trenta nazioni, continua a svolgere attività di monitoraggio e di prevenzione della ripresa delle ostilità . Dal 2 febbraio scorso, l’Italia fornisce il Force Commander, il Generale di Divisione Claudio Graziano, e contribuisce allo staff multinazionale del quartier generale di UNIFIL a Naqoura con 56 unità , di cui 18 dedicate allo special staff del Force Commander, alla strategic military cell del Dipartimento delle operazioni di pace dell’ONU a New York, con il vicediret- tore (in questo momento il Contrammiraglio Raffaele Caruso), cinque Ufficiali e due Sottufficiali. In questa sede voglio ricordare che la cellula militare strategica è una componente nuova, costituita appositamente, anche su sollecitazione – lo ricor- derete – del nostro Paese in occasione del rafforzamento della missione UNIFIL la scorsa estate. La sua funzione è quella di garantire una maggiore capacità decisionale al Dipartimento delle operazioni di pace dell’ONU, svolgendo una vitale azione di collegamento tra questo e la forza schierata sul terreno. La situazione nell’area ope- rativa di UNIFIL è caratterizzata da una relativa stabilità. L’episodio del lancio di razzi dalla zona sotto il controllo ONU contro il territorio di Israele, occorso il 17 giugno, è rimasto isolato e non ha avuto per fortuna conseguenze, grazie anche al- l’azione di sensibilizzazione verso le due parti posta in essere dal force commander di UNIFIL. Al momento, l’instabilità della situazione politica libanese, i recenti scontri verificatisi nei campi profughi palestinesi a nord del Paese, con l’intervento dell’Esercito libanese, e gli avvenimenti occorsi recentemente nella striscia di Gaza hanno avuto solo riflessi indiretti, non significativi, sulla sicurezza dei Contingenti di UNIFIL. I rischi di possibili attentati terroristici hanno, però, avuto conferma nell’attacco di domenica 24 giugno, del quale ho già avuto occasione di darvi conto, attacco la cui chiave di lettura si deve necessariamente analizzare e valutare nel quadro del variegato scenario di riferimento mediorientale, ma che, comunque, in-

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troduce elementi di accentuata preoccupazione per il futuro. Un secondo episodio, peraltro senza conseguenze per il personale, si è verificato il 16 luglio ultimo scorso sulla riva nord del fiume Litani contro un convoglio della polizia militare tanza- niana. Infine, è occorso l’episodio del 25 luglio in cui ha perso la vita un militare del contingente francese impegnato nella pericolosa ma indispensabile azione di smina- mento. Le difficoltà del processo di ricomposizione del complesso quadro politico libanese e il perdurare dell’infiltrazione di armi attraverso la frontiera con la Siria continuano a rappresentare gli elementi più pericolosi sia per la stabilità interna, sia per i rapporti tra Libano e Israele. È di tutta evidenza che un eventuale e ulteriore deterioramento della situazione politica in Libano comporterebbe ripercussioni ne- gative per la sicurezza delle forze ONU. In sostanza, l’impegno sul terreno continua a prospettarsi non scevro da rischi, anche seri, per il futuro. Tuttavia, i risultati fi- nora conseguiti confermano la vitale importanza dell’opera dell’UNIFIL. Per quanto riguarda gli sviluppi della componente navale di UNIFIL, si ritiene che l’at- tuale disponibilità a fornire unità navali possa contrarsi anche al 50 per cento a se- guito del termine del ciclo di impiego delle unità inviate da alcuni Paesi parteci- panti. Pertanto, sarà possibile una richiesta di integrazione da parte dell’ONU. In questo quadro il Dipartimento delle operazioni di pace dell’ONU (DPKO) ha uffi- cialmente interessato la Germania per sondarne la disponibilità a prolungare di ulte- riori sei mesi, sino al febbraio 2008, il proprio impegno per la leadership della Mari- time task force. Tale soluzione, che Germania ha accettato, fa decadere l’ipotesi di impiego del gruppo navale di EUROMARFOR (European Maritime Force) a guida italiana nel 2007. L’opzione si ripresenterà, tuttavia, dal febbraio-marzo 2008 e al momento raccoglie un favorevole orientamento tecnico-operativo da parte dei membri di EUROMARFOR che, oltre all’Italia, sono Francia, Portogallo e Spagna. Sempre in ambito ONU prosegue la partecipazione, ancorché con Contingenti quantitativamente più ridotti, ma con personale altamente qualificato, alle seguenti cinque missioni che hanno, comunque, un’elevata valenza e significato sul piano politico e diplomatico nonché diretti riflessi sul ruolo dell’Italia all’interno del Con- siglio di Sicurezza. Ne do conto in ordine di costituzione. La prima è la UNTSO (United Nations Truce Supervision Organization) in Israele. Si tratta di una mis- sione attiva fin dal 1948 – inizio da quelle più lontane – che opera in quattro dei cinque Paesi storicamente interessati al conflitto mediorientale (Israele, Egitto, Siria e Libano) ma i suoi contatti coinvolgono anche il quinto Paese, la Giordania. Grazie agli accordi di pace fra Israele ed Egitto prima (1979) e Giordania poi (1994), nonché all’attuale situazione di stallo militare in Libano e Siria, l’UNTSO è una missione numericamente contenuta. Al momento, è composta di circa 150 Ufficiali osservatori appartenenti a 23 Paesi. L’Italia vi contribuisce con 8 unità. La seconda di queste cinque missioni è la UNMOGIP (United Nations Military Observer Group in India and Pakistan). Il gruppo degli osservatori militari appartenenti alla missione è stato costituito nel gennaio del 1949 – anche questa arretra nel tempo –

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in seguito all’approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 39 del gennaio 1948, che creava la United Nations Commission for India and Pakistan (UNCIP) per supervisionare il cessate il fuoco tra Pakistan e India nello Stato di Jammu e Kashmir. A seguito dell’accordo del 1972 tra India e Paki- stan, che definì una linea di controllo nel Kashmir, l’India dichiarò che il mandato della missione era decaduto. Siccome il Pakistan non concordò con questa posi- zione, il Segretario Generale delle Nazioni Unite dichiarò che la cessazione del man- dato sarebbe stata decisa soltanto mediante una risoluzione del Consiglio di Sicu- rezza. A causa della mancanza di tale decisione, il mandato della missione è stato mantenuto con le medesime funzioni a tempo indeterminato. L’Italia contribuisce con 7 unità. La terza missione è la UNFICYP (United Nations Force in Cyprus), istituita nel marzo del 1964 per ristabilire la pace sull’isola di Cipro dopo i violenti scontri tra le due comunità residenti dei turchi e dei greci. Ad oggi, la missione è composta da 918 unità , appartenenti a 13 nazioni. L’Italia contribuisce con 4 unità. La quarta missione è la MINURSO (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara). È stata istituita con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 690 del 29 aprile 1991, a seguito delle proposte di accordo accettate nell’agosto del 1988 dal Marocco e dal fronte POLISARIO (Frente Popular para la Liberacion de Saguia el-Hamra y de Rio de Oro). Per attuare il piano di pace approvato dal Consi- glio di Sicurezza, il Segretario Generale si avvale di un proprio rappresentante spe- ciale (attualmente il diplomatico olandese Peter Van Walsum), pienamente respon- sabile di tutti gli aspetti riguardanti il referendum che consentirebbe alla popola- zione del Sahara occidentale di scegliere tra l’indipendenza e l’integrazione con il Marocco. L’Italia contribuisce con 5 unità. La quinta missione è la UNMIK (United Nations Mission in Kosovo). A seguito del conflitto in Kosovo, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la risoluzione n. 1244 con la quale si autorizzava l’UNMIK a iniziare il lungo processo di costruzione della pace, della democrazia, della stabilità e dell’autogoverno nella travagliata provincia del Kosovo. Per conseguire questo obiettivo l’UNMIK opera quale amministrazione di transizione per la regione del Kosovo. La sede della missione è a Pristina. L’Italia contribuisce con 2 unità. Con riferimento alle operazioni svolte sotto la guida del- l’Unione Europea – questo è il secondo blocco – nel contesto dell’operazione per il controllo dell’applicazione degli accordi di Dayton in Bosnia, l’Unione Europea ha avviato, dal 28 febbraio 2007, un percorso di progressiva contrazione del Contin- gente multinazionale EUFOR (European Union Force), che porterà al completo ri- tiro e al definitivo passaggio della responsabilità alle Autorità federali bosniache. L’attuale forza di EUFOR, in cui il Generale Sebastiano Giangravè assolve all’inca- rico di Vice Comandante, si va riconfigurando sui previsti livelli di circa 2.600 unità , con un contributo da parte italiana sceso alle attuali 380 unità circa. A tale livello si è giunti dopo la recente riduzione del Contingente internazionale. Fino al mese di giugno la presenza italiana assommava circa 550 unità. Sempre in Bosnia continua

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l’impegno per l’addestramento della polizia da parte dell’Arma dei Carabinieri nel- l’ambito dell’EUPM (European Union Police Mission), attualmente al comando del Generale Vincenzo Coppola. Inoltre, prosegue il contributo – queste sono le altre missioni dell’Unione Europea – alla missione EUBAM (EU Border Assistance Mis- sion), che dal 2005 ha il compito di monitorare e assistere le attività confinarie al valico israelo-palestinese di Rafah, con il comando del Generale di Corpo d’Armata Pietro Pistolese e con personale addetto, suddiviso in 16 unità . Dopo i recenti avve- nimenti nella striscia di Gaza, il valico resta chiuso. Non si sono, tuttavia, verificati né incidenti né danneggiamenti alle infrastrutture e alle predisposizioni del posto di controllo. Il nostro personale, acquartierato nel territorio di Israele, non ha corso e non corre al momento rischi. In relazione al perdurare della situazione in atto, l’Unione Europea ha deciso una riduzione temporanea del dispositivo a partire dall’1° agosto di circa il 30 per cento, con conseguente contrazione del contributo nazionale da 16 a 11 unità , riservandosi di rivalutare gli sviluppi di situazione e i conseguenti provvedimenti per il proseguimento della missione all’inizio di no- vembre. L’altra missione europea è quella che viene denominata EUPOL (EU Police Mission) Repubblica democratica del Congo, subentrata alla missione EUPOL Kinshasa di assistenza e di addestramento della polizia congolese, con il compito di consulenza, di assistenza e di controllo per la riforma del settore della sicurezza, con un nucleo di tre carabinieri. L’ultima di queste missioni minori dell’Unione Europea è la EUSEC (EU Security Reform) di assistenza alle Forze Armate congolesi, con un Ufficiale dell’Aeronautica in qualità di advisor per le operazioni aeree. Si tratta, dunque, di missioni minori. Passiamo ora alle operazioni condotte in ambito NATO, la più importante delle quali è certamente quella svolta in Afghanistan, con il dispiegamento dell’ISAF (International Security Assistance Force). Complessiva- mente, l’attuale impegno italiano in Afghanistan, a seguito dei rinforzi effettuati nell’ultimo mese e di quello già dato conto in Parlamento, è dell’ordine di 2.300 militari, ripartiti nell’area di Kabul, nell’ambito del Regional Command Capital con comando a rotazione tra Francia, Turchia e Italia, e nella regione ovest a co- mando italiano, presso il Provincial Reconstruction Team di Herat, l’organo pivot dello sforzo di ricostruzione, e presso la correlata Forward Support Base, dove ope- riamo unitamente agli spagnoli. Ad Herat sono ormai pienamente operative anche quelle componenti inviate in rinforzo negli ultimi sei mesi. Il C130-J basato in questo aeroporto ha compiuto oltre 490 sortite a partire dall’11 febbraio 2007, data della sua immissione. I cinque elicotteri A-129 hanno iniziato ad operare il 25 giugno e da allora hanno volato oltre 250 ore, mentre l’aliquota di UAV, diventata operativa dal 5 giugno, ha già volato oltre 500 ore (mi riferisco all’aereo senza pi- lota). La scelta di inviare questi assetti operativi si sta dimostrando giusta. Lo scorso 10 agosto, nella provincia di Baghdis – parte della regione ovest sotto la responsabi- lità italiana – un convoglio di mezzi dell’Esercito afgano e di unità militari spagnole addette alla ricostruzione è stato attaccato da un gruppo di uomini armati, attacco

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che ha provocato il ferimento di due militari afgani. Sul luogo è stato, pertanto, in- viato immediatamente un velivolo da sorveglianza senza pilota – il Predator di cui prima –, due elicotteri per evacuare i feriti e due elicotteri armati Mangusta in fun- zione di scorta. In questa circostanza, il Predator ha fornito in tempo reale agli equi- paggi degli elicotteri un preciso quadro della situazione sul terreno. Con l’arrivo degli elicotteri, il gruppo di armati si è immediatamente allontanato. I feriti afgani sono stati soccorsi e i veicoli del convoglio sono stati recuperati. Anche i veicoli pro- tetti Dardo e Lince sono pienamente operativi e contribuiscono, come previsto, alla protezione attiva e passiva del Contingente. Per le attività di supporto alla ricostru- zione dell’Esercito afgano operano nella regione ovest tre OMLT (Operational and Mentoring and Liaison Team) cui si aggiunge l’impegno della Guardia di Finanza (14 unità dal dicembre 2006) per l’addestramento della polizia di frontiera. Al mo- mento, si sta considerando la fattibilità di fornire un ulteriore team OMLT di sup- porto. Desidero sottolineare l’importanza dell’attività svolta dagli OMLT, composti da squadre di ridotta consistenza che operano costantemente con l’unità dell’Eser- cito afgano che hanno il compito di assistere. Attraverso gli OMLT i Paesi della NATO in pratica « adottano » una specifica unità dell’esercito afgano e ne seguono la crescita delle capacità , finché tale unità non potrà dirsi completamente preparata ed in grado di procedere autonomamente. Da parte sua, il Contingente della Guardia di Finanza sta operando per la formazione del personale afgano destinato ai settori delle entrate doganali e dei controlli di frontiera. Ad oggi sono stati a tal fine effettuati già nove corsi per la formazione dell’Afghan Border Police e quattro corsi per la formazione del personale adibito ai controlli in ambito aeroportuale. Coeren- temente con l’obiettivo di sviluppare un approccio interdisciplinare ad ampio spettro, vòlto alla ricostruzione dell’Afghanistan, è ora in corso la missione del- l’Unione Europea per la ricostruzione della polizia locale attraverso attività di super- visione, guida, consiglio e addestramento. Questa missione sta assorbendo progres- sivamente il personale e le funzioni a suo tempo svolte dal German Police Project Office (GPPO) ed avrà una durata al momento prevista di tre anni. La struttura or- ganizzativa è basata sull’attivazione di un centro di gestione a Kabul e di nuclei presso i Comandi Regionali e i PRT. Per superare le difficoltà emerse per un accordo generale bilaterale tra NATO e Unione Europea è stata adottata una soluzione che prevede di regolare le attività mediante la stipula di accordi bilaterali tra la missione Unione Europea di polizia e le nazioni europee localmente responsabili dei PRT. Questa attività è in corso per quanto riguarda il memorandum d’intesa relativo al nostro PRT tra Unione Europea e Italia, che è responsabile del PRT di Herat. Per questa missione, come è descritto nel decreto legge n. 81, convertito in legge dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, relativo alle disposizioni urgenti in materia finanziaria, all’articolo 9 comma 4, è previsto un contributo di personale dell’Arma dei Carabi- nieri di 25 unità, per assicurare una presenza nazionale nel centro decisionale di Kabul – i primi due Ufficiali sono stati immessi il 22 luglio – nonché per assicurare

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funzioni di addestramento ad Herat. L’iniziativa è aperta anche alla partecipazione del personale della Guardia di Finanza che renderà disponibile 4 unità del nucleo già operante ad Herat (1 a Kabul e 3 ad Herat). Anche prima dell’avvio di questa nuova iniziativa europea, i nostri Carabinieri avevano comunque provveduto ad ad- destrare personale della Polizia afgana, sulla base di accordi bilaterali con il governo di Kabul. Tra l’altro, i Carabinieri hanno dato sostegno all’azione delle stazioni di Polizia presenti in otto distretti della provincia di Herat e hanno addestrato 110 istruttori afgani, che potranno così a loro volta formare molti altri nuovi tutori del- l’ordine afgani. Quanto alla situazione in Afghanistan, essa continua ad essere carat- terizzata da un quadro di grande complessità, che delinea la prospettiva di un im- pegno non semplice. Ad ovest e nella regione di Kabul la situazione è relativamente tranquilla, ma l’insorgenza talebana, attiva nel sud del Paese, potrebbe manifestarsi anche nella nostra zona di responsabilità, in particolare nei distretti meridionali della regione ovest, quelli di Farah, Bakwa e Goulistan. Proprio in questa zona si è di recente verificato un incidente che ha coinvolto i nostri soldati. Il 1° settembre, alle 18,30 ora locale, un veicolo tattico leggero multiruolo Lince, con a bordo una pattuglia impegnata in attività di ricognizione, è stato investito dall’esplosione di un ordigno artigianale, attivato a pressione, in una località situata a dieci chilometri a nord est di Shewan, nel distretto di Bala Boluk. A seguito dell’esplosione, sono ri- masti feriti tre militari, dei quali uno in modo lieve, tanto da richiedere solo dieci giorni di convalescenza direttamente in Teatro; gli altri due sono stati rimpatriati ed inviati all’ospedale militare del Celio per ulteriori accertamenti. Si deve ritenere che la valida protezione antimina del VTLM – uno dei veicoli inviati negli scorsi mesi per incrementare la protezione attiva e passiva del nostro contingente – abbia ri- dotto drasticamente le conseguenze dell’attentato, che comunque, non ha coinvolto la popolazione locale. Come in questo caso, anche nel precedente episodio occorso il 21 agosto, l’adeguata dotazione tecnica dei mezzi ha scongiurato un esito ben più grave per i nostri soldati. Mi riferisco all’elicottero AB-212 dell’Aeronautica Militare precipitato al suolo nei pressi di Kabul a seguito di un’avaria, in una zona, peraltro, fortemente accidentata. L’equipaggio è riuscito con perizia a ridurre la violenza del- l’impatto, riportando solo delle contusioni. Nella circostanza si è dimostrata deter- minante la dotazione del velivolo e, in particolare, la dotazione di serbatoi di carbu- rante auto-sigillanti che ne hanno impedito l’esplosione. Questi serbatoi, insieme ad altre modifiche, erano stati installati proprio in previsione di un impiego di questo elicottero nel difficile Teatro afgano. Anche questo episodio chiarisce concretamente quanto siano vitali gli investimenti nell’aggiornamento e nel mantenimento in effi- cienza dei mezzi cui affidiamo la vita dei nostri militari. Il più recente contatto con elementi armati ostili è poi avvenuto il 2 settembre, alle 22.10 ora locale, nella pro- vincia di Kabul dove è all’opera l’altra metà del nostro Contingente inquadrato nel- l’ISAF. Una pattuglia della 1^ compagnia di manovra del nostro battle group, su base 5° reggimento alpini di Vipiteno, impegnata nell’ambito dell’operazione Südti-

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roler Bruke per l’inaugurazione di un nuovo ponte nella valle di Musahi, ponte rea- lizzato nel contesto della cooperazione civile e militare, con un esborso da parte no- stra di 160 mila euro, veniva fatta oggetto di colpi d’arma da fuoco ad opera di un gruppo di tre-cinque individui. I nostri militari hanno risposto al fuoco, in coerenza con le regole di ingaggio esistenti. Nello scambio di colpi, uno dei nostri alpini è stato raggiunto da un proiettile che lo ha ferito alla coscia destra, senza provocare le- sioni ad organi vitali. Sul posto è quindi intervenuta la nostra Forza di reazione ra- pida che ha provveduto a mettere in sicurezza l’area. Anche in tal caso, non c’è stato alcun coinvolgimento della popolazione locale. L’inaugurazione del ponte si è poi regolarmente svolta il giorno successivo, come da programma. In altre circostanze, purtroppo, gli attacchi contro i contingenti della NATO e della coalizione hanno invece determinato il coinvolgimento di vittime civili. A seguito di alcuni di questi episodi tragicamente cruenti, come ben noto, c’è stata una decisa presa di posizione sia del Governo afgano, sia di quello italiano e di altri Paesi NATO. La questione, pertanto, è stata direttamente discussa dal Presidente del Consiglio e da chi vi parla con il Segretario Generale della NATO lo scorso 3 luglio. Il nostro rappresentante permanente era già intervenuto in proposito, nell’ambito del Consiglio Atlantico il 27 giugno e aveva sostenuto con forza l’importanza cruciale della protezione della popolazione afgana dai pericoli derivanti dai combattimenti. Questa posizione ha trovato larga e convinta convergenza presso gli alleati. I Vertici militari dell’Alleanza hanno direttamente recepito e fatte proprie queste preoccupazioni. Quale primo provvedimento è stata quindi emanata dal comandante ISAF una specifica direttiva tattica, finalizzata a prevenire e a ridurre al massimo la possibilità di coinvolgimento della popolazione civile nei combattimenti. Riteniamo che anche grazie a questa nuova modalità di impiego della forza non si siano più registrati successivamente episodi analoghi. Resta comunque, come già sottolineato il 15 maggio, il problema di un coordinamento migliore tra le due missioni ISAF e Enduring Freedom che – lo ricordo – sono state ambedue costituite a seguito di precise risoluzioni delle Na- zioni Unite, ma che hanno mandato differente. La prima, a guida NATO, ha come obiettivo l’assistenza alla sicurezza e alle autorità afgane nell’esercizio delle loro fun- zioni sovrane. La seconda si concentra sul compito di contrastare il fenomeno del terrorismo internazionale che minaccia la pace e la sicurezza collettiva. Le due mis- sioni rispondono a linee di comando differenti, linee che trovano comunque un punto di congiunzione in alcune posizioni dei rispettivi staff di comando. Questa soluzione, che mira ad assicurare il necessario coordinamento, deve essere ulterior- mente rafforzata. Si tratta in ogni caso, di una questione che non può essere affron- tata solo dalla parte dell’ISAF – e quindi della NATO – e meno che mai può preve- dere iniziative unilaterali. Per quel che riguarda la prospettiva futura, in concomi- tanza con l’assunzione da parte dell’Italia della responsabilità di comando della Re- gione della capitale – prevista a partire dal dicembre 2007 per otto mesi – come an- ticipato di fronte alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato lo scorso

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maggio, si prevede un incremento temporaneo di circa 250 unità, a similitudine di quanto operato dalla Francia e dalla Turchia durante il rispettivo turno di comando, e per la durata del periodo di responsabilità del comando del nostro Contingente a Kabul per le esigenze del quartier generale di protezione e di sostegno logistico. Al riguardo, sono in corso le attività di acquisizione di tutte le informazioni necessarie ad una corretta pianificazione di questa nostra futura esigenza. Quanto, infine, al distaccamento aeronautico dei veicoli C-130J, esso continua ad operare sotto egida nazionale degli Emirati Arabi Uniti per assicurare collegamenti aerei con il Teatro. Passando ora alla missione KFOR in Kosovo (prima avevo dato notizie sulla mis- sione UNMIK, che opera a Pristina), dobbiamo anzitutto ricordare che l’evoluzione della situazione generale è subordinata ai negoziati in corso sulla definizione dello status della provincia da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quale contri- buto alla missione in corso, l’Italia fornisce il Vice Capo di Stato Maggiore per le operazioni, il Generale di Brigata Savarese, un’aliquota dello staff del quartier gene- rale, il Comandante e gran parte della Task Force West – una delle cinque in cui si articola KFOR dopo l’ultima riconfigurazione del maggio 2006 –, il Comandante e aliquote per la MSU per complessive 2.300 unità circa. Il 9° reggimento alpini, di- slocato temporaneamente su richiesta del Comandante NATO in zona di opera- zioni, a titolo prudenziale con funzioni di riserva operativa per fronteggiare even- tuali situazioni di emergenza, è rientrato in patria a metà luglio. La riconfigurazione della presenza militare NATO e il coinvolgimento dell’Unione Europea, previa spe- cifica risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, restano subordinati agli svi- luppi della situazione. Al momento sono in corso approfondimenti e discussioni, in particolare in ambito dell’Unione Europea, sugli aspetti giuridici e sulle opzioni di attuazione della missione che potrebbero configurarsi a seguito delle molteplici va- rianti di situazione legate alle decisioni dell’ONU, dei membri della comunità inter- nazionale e del Governo di Pristina. In questo contesto, anche tenuto conto della scadenza elettorale di novembre in Kosovo, si stanno parallelamente valutando, in particolare in ambito dell’Unione Europea, gli effetti e l’atteggiamento da assumere nel caso. La pianificazione attuale prevede una fase di transizione durante la quale un International Civilian Office (ICO) subentrerà gradualmente alla missione UNMIK e la successiva attivazione di una missione civile – 1.700-1.800 unità , di cui 1.000- 1.300 di polizia – per guida, sorveglianza e consiglio nel settore del rule of law. In tale ambito, è previsto che l’Italia svolga un ruolo significativo, sia con l’acquisizione di posizioni chiave nel settore giustizia (posizione civile), sia con l’in- serimento di personale militare di staff e con un contributo significativo di assetti dell’Arma dei Carabinieri. Al momento si delinea, in concomitanza dell’inizio della missione PESD, l’ipotesi di una riconfigurazione riduttiva del Contingente MSU di KFOR a favore dell’analoga missione dell’Unione Europea, realizzando sinergie tra i due Contingenti di Carabinieri che operano all’interno di KFOR e dell’Unione Eu- ropea, attraverso l’utilizzo, ad esempio, di un’unica base per i due dispositivi. In to-

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tale, il contributo dell’Arma alla missione PESD sarà dell’ordine di 180 unità , cui si aggiunge il ridimensionato contributo di 100 unità nella MSU di KFOR. In pro- spettiva, KFOR continuerà ad assicurare una presenza militare internazionale per garantire la sicurezza e contribuire allo sviluppo delle future strutture di sicurezza kosovare. Nel Teatro balcanico continua, infine, la presenza del nostro personale al- l’interno dei comandi NATO attivati presso le capitali di Albania, FYROM (la Re- pubblica dell’ex Macedonia), Bosnia-Erzegovina e Serbia, al fine di contribuire allo sviluppo delle Forze Armate locali in un’ottica di rafforzamento della cooperazione e di progressivo avvicinamento alle strutture euro-atlantiche. Il consistente e perdu- rante sforzo militare nel Teatro balcanico non solo risponde agli obiettivi di stabiliz- zazione di questa vicina regione, ma concorre a rafforzare, in applicazione dell’ap- proccio interdisciplinare, il dispositivo di sicurezza nazionale, contribuendo a preve- nire le infiltrazioni delle organizzazioni criminali e terroristiche che si sviluppano e utilizzano questa regione quale ponte verso il nostro Paese. Sempre nel quadro NATO, va poi citato l’intervento nel settore della formazione dei quadri dirigenti delle costituende forze di sicurezza irachene. Nell’agosto del 2004, come ricorderete, è stata istituita nell’area di Baghdad la NATO Training Mission Iraq (NTM-I), la quale vede la partecipazione di diciannove nazioni. Il quartier generale della mis- sione è situato nella International Zone a Baghdad, presso il centro culturale unifi- cato, mentre un quartier generale distaccato è aperto stabilmente ad Ar Rustamiyah, a circa venti chilometri a sud est di Baghdad, per il supporto alla costituzione del Joint Staff College e dell’Accademia Militare. Da allora e senza soluzione di conti- nuità , la NATO Training Mission continua a svolgere la sua missione, ovvero prov- vedere, con il Governo iracheno, alla formazione dei Quadri, all’addestramento e al supporto tecnico delle forze di sicurezza irachene allo scopo di agevolare l’Iraq nel raggiungimento di una sicurezza efficace, democratica e durevole. Il contributo ita- liano è attualmente incentrato sul Vice Comandante, Generale di Divisione Ales- sandro Pompegnani, che di fatto svolge la funzione di leadership su 29 militari, in gran parte istruttori, incaricati di tre dei quattro corsi di formazione degli Ufficiali delle Forze Armate irachene. Nei mesi scorsi, il Primo ministro iracheno aveva for- mulato all’Alleanza Atlantica una richiesta relativa ad un supporto italiano nell’ad- destramento dell’Iraqi National Police. Nel corso della sua recente visita in Italia, il Ministro della Difesa iracheno mi ha poi ribadito questa richiesta, cui il Governo ha inteso rispondere in senso favorevole. Verso la fine del mese di settembre, quindi, è previsto l’impiego in Iraq di circa 40 unità dei Carabinieri (Carabinieri Training Unit), che già dalla fine di ottobre avvieranno l’attività, per cui è prevista una durata di due anni. Voglio ricordare a tal proposito come fin dalla mia prima visita in Iraq, svoltasi il 30 maggio 2006, affermai con chiarezza, a nome del Governo italiano, che il nostro Paese, in pieno accordo con gli alleati, intendeva portare a compimento la missione italiana « Antica Babilonia » che si svolgeva nella provincia di Dhi Qar nel quadro della coalizione internazionale a guida USA. Dissi allora che questo non si-

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gnificava in alcun modo che avremmo voltato le spalle all’Iraq. Pertanto, avremmo continuato, pur in un quadro organizzativo diverso, a sostenere quel Paese con aiuti destinati alla formazione e alla sua crescita civile ed economica. In coerenza con questa linea, il Governo ha continuato ed intende continuare a sostenere le istitu- zioni legittime di quel Paese, affinché possano definitivamente assumere su di sé le responsabilità del governo di una situazione oggettivamente critica in termini di si- curezza regionale e globale. Nel provvedimento che il Parlamento ha approvato per rifinanziare la partecipazione delle Forze Armate italiane alle missioni internazionali in corso è, quindi, esplicitamente citata la partecipazione di personale militare im- pegnato in Iraq in attività di consulenza, formazione e addestramento delle Forze Armate e di polizia irachene. La partecipazione italiana alla NATO Training Mis- sion in Iraq risponde, perciò, al criterio della continuità dell’azione internazionale dell’Italia, quando svolta nel contesto delle alleanze permanenti, in questo caso la NATO; essa è stata rigorosamente comunicata al Parlamento e da questo approvata ed è esplicitamente richiesta dagli stessi iracheni. Nel Mar Mediterraneo prosegue, inoltre, l’impegno nazionale nell’ambito dell’operazione NATO Active Endeavour, con compiti di controllo e sorveglianza marittima del Mar Mediterraneo, al fine di contribuire alla campagna contro il terrorismo internazionale attivata dopo gli at- tentati dell’11 settembre. L’operazione si svolge sotto il controllo operativo del Commander Maritime Component Command di Napoli, ovvero l’Ammiraglio di Squadra Roberto Cesaretti. Attualmente, contribuiamo all’operazione con missioni di aerei da pattugliamento marittimo e con una o due fregate o pattugliatori di squadra, nonché con un cacciamine. Oltre alle missioni sotto l’egida delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e della NATO, l’Italia è impegnata anche in una serie di missioni a carattere multilaterale e bilaterale. Con riferimento alle prime, la parteci- pazione alle missioni multinazionali attivate nella regione mediorientale e nel conti- nente africano si configura essenzialmente in quattro interventi. Il primo è la Multi- national Force and Observers (MFO), con un Contingente di 81 militari della Ma- rina militare e tre pattugliatori navali dislocati a Sharm el-Sheikh nel Sinai, per ga- rantire la libertà di navigazione nello stretto di Tiran che unisce il Golfo di Aqaba al Mar Rosso. Il secondo intervento è la Temporary International Presence in the City of Hebron (TIPH-2), con un contingente di 12 osservatori dell’Arma dei Carabi- nieri, con il compito di assistere le autorità palestinesi, coordinando le proprie atti- vità con quelle israeliane. Il mandato della missione deriva dalla richiesta del Go- verno di Israele e dell’Autorità palestinese ed è a tempo indeterminato. Anche a He- bron la situazione al momento non presenta elementi di particolare criticità. Il terzo intervento è l’African Mission in Sudan (AMIS), con due ufficiali di staff nell’am- bito del sostegno fornito dall’Unione Europea alla missione dell’Unione Africana nel Darfur. Infine, il quarto intervento è l’African Mission in Somalia (AMISOM), con due Ufficiali di staff, (anche in questo caso di prossimo invio, ancora non in- viati) per il comando di missione ubicato ad Addis Abeba, richiesti dalla presidenza

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della SHIRBRIG – al momento a leadership italiana – che opera sotto l’egida del- l’ONU, a sostegno della missione dell’Unione Africana in Somalia. Anche questa missione è stata inserita nel già citato articolo 9 del decreto-legge n. 81, approvato e convertito dalla legge 3 agosto 2007, n. 127. Continua, infine, l’impegno per i pro- grammi di assistenza bilaterale che hanno consentito di sviluppare utili e proficue attività di cooperazione con l’Albania, con la Delegazione Italiana Esperti (DIE) e con il 28° gruppo navale inizialmente attivato per contribuire alla sorveglianza delle coste albanesi contro l’immigrazione clandestina; e a Malta, con la Missione Italiana di Assistenza Tecnico-militare a Malta (MIATM). In conclusione, ritengo che la prevedibile evoluzione dello scenario e la pianificazione, al momento consolidata, per la partecipazione alle missioni internazionali lasci prevedere una sostanziale sta- bilità dei livelli di impegno per il resto del 2007, ovvero nell’ordine di 8 mila mili- tari. Non si possono, peraltro, escludere eventuali ulteriori esigenze di impiego, al momento immaginabili, ricollegabili: a richieste dell’ONU, dell’Unione Europea e della NATO in relazione al deteriorarsi di alcune situazioni a rischio, con particolare ferimento all’Africa e all’evoluzione delle crisi in Sudan-Darfur e Somalia; all’oppor- tunità di continuare a prevedere una presenza saltuaria, ma continuativa, di unità navali per attività di presenza e cooperazione nelle aree del Mar Rosso, Mar Arabico e Golfo Persico – esse, infatti, rivestono una particolare rilevanza strategica, politica, economica e commerciale per il nostro Paese –, in aggiunta alla presenza del Con- tingente aeronautico presente ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti, di cui ho già dato conto prima parlando dell’Afghanistan; ad un’eventuale attivazione reale del battle group dell’Unione Europea o della NATO Response Force, per i quali, a par- tire dal mese di luglio per sei mesi, manteniamo disponibili in turno di prontezza ri- spettivamente la Multinational Land Force (incentrata sulla Brigata Julia e sui re- parti di Slovenia e Ungheria) e il Comando NRDC di Solbiate Olona, quale co- mando di componente terrestre, unitamente ai reparti della Brigata Friuli e ad as- setti navali ed aerei. Questi impegni, al momento solo potenziali (si tratta di reparti predisposti in prontezza), non rientrano evidentemente nel quadro delle missioni internazionali descritte dalla legge n. 36 del 26 marzo 2007, per la quale sono qui oggi ad informare il Parlamento. Si tratta, invece, di impegni che derivano dagli ac- cordi internazionali in ambito NATO e di Unione Europea, che vincolano in mi- sura importante l’Italia ad una condotta in materia di politica militare coerente con il generale orientamento della nostra politica estera. Nella formulazione di quest’ul- tima, come è noto, l’Italia si è sempre espressa per una sostanziale integrazione e condivisione delle scelte nazionali con quelle degli alleati. Ne è derivato un consi- stente impegno anche per le nostre Forze Armate, chiamate ora a fornire, pressoché continuativamente, un significativo contributo a quei complessi di forze che sia la NATO, sia l’Unione Europea mantengono ad un elevato grado di approntamento, per esigenze impreviste e che richiedono un’immediata risposta. Qualora le Com- missioni lo ritenessero opportuno, potrò intervenire nuovamente in questa sede per

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una nuova audizione finalizzata proprio a fornire un quadro dettagliato relativa- mente a questa tematica, a mio giudizio di estrema rilevanza per la politica di difesa nazionale. Le missioni all’estero attualmente in corso costituiscono una chiara rap- presentazione dell’impegno dell’Italia e delle sue Forze Armate per la promozione e la difesa della pace e della legalità internazionale. Si tratta di un impegno gravoso, sia in termini umani che finanziari. Non è un male ripetere quanto questa parteci- pazione sia vitale per noi e per i popoli che, in tal modo, andiamo ad aiutare. Di questo dobbiamo essere e rimanere pienamente consapevoli. Il nostro Paese opera a pieno titolo nelle principali organizzazioni politiche e di sicurezza nell’area euro- atlantica. Per due anni siederà nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ri- mane un attore politico, economico e culturale di primissimo livello sulla scena in- ternazionale. Tutto ciò lo si deve anche all’impegno per la sicurezza del nostro Paese e all’azione dei nostri militari che in ogni contesto in cui operano sono unanime- mente apprezzati e rispettati. Concludendo, lasciatemi dire che molto è quello che chiediamo alle nostre donne e ai nostri uomini in divisa. Molto è quello che rice- viamo da essi. Altrettanto è il sostegno morale e materiale che abbiamo il dovere di garantire loro.

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Sequestro e liberazione di due militari italiani in Afghanistan Camera dei Deputati (Aula), 24 settembre 2007

Signor Presidente, colleghi Deputati,

l’episodio del quale con la presente informativa intendo dare conto ha coinvolto – a partire dalla giornata di sabato 22 settembre, l’altro ieri – quattro persone, delle quali due italiani e due afgani. I due italiani sono militari inquadrati nel Servizio, al momento ancora denominato Servizio per le informazioni e la sicurezza militare e, in quanto tali, istituzionalmente preposti a garantire la cornice informativa e di si- curezza necessaria al successo della nostra azione in Afghanistan. Più nel dettaglio, i nostri operatori erano incaricati di mantenere e sviluppare dei rapporti con la popo- lazione civile e le autorità locali per individuare le migliori forme di collaborazione e convivenza, nonché di raccogliere informazioni utili a tutelare la protezione del Contingente dalla minaccia terroristica. Tale attività – che prevede l’effettuazione di lunghe missioni al di fuori della cornice di sicurezza garantita alle nostre unità mili- tari in Teatro e che, quindi, implica l’assunzione dei conseguenti rischi – ha consen- tito, nei diversi anni di permanenza in area del Contingente, di evitare numerosi at- tacchi terroristici non solo alle truppe nazionali, ma a tutta la forza ISAF. Se nei giorni appena trascorsi non si è inteso divulgare la loro effettiva posizione è stato solo nell’intento di proteggere, nel migliore dei modi, la loro incolumità. Anche ora, ritengo sia doveroso mantenere l’assoluta discrezione sulla loro identità, per la sere- nità loro e dei loro cari, che ovviamente sono stati sempre e tempestivamente infor- mati degli eventi. Ma credo sia chiaro a tutti che stiamo parlando di personale di ec- cezionale valore,dotato di un altissimo senso delloStato, che lo spinge a rischiare personalmente – anche molto, anche la vita – per l’interesse della Repub- blica.Venendo alla descrizione degli eventi, nel corso di una missione informativa nella provincia di Herat i due italiani, assieme ad un interprete e ad un accompagna- tore afgano, sono stati fermati e sequestrati nella mattinata (ora locale) di sabato 22 settembre vicino a Shindand da un gruppo afgano di uomini armati. A seguito del mancato collegamento radio con il comando di appartenenza hanno avuto inizio le operazioni di ricerca. Il Comandante del Regional Command West attuava tutte le predisposizioni necessarie mettendo in allerta gli assetti disponibili e, in particolare,

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il velivolo predator (aereo da ricognizione senza pilota), la componente elicotteri CH47 e A129 mangusta e le forze ISAF presenti nell’area delle operazioni, al fine di essere in condizione di fornire, con rapidità , ogni tipo di sostegno possibile in rela- zione allo svilupparsi della situazione informativa sulla sorte dei quattro ostaggi. Quindi, veniva instaurato uno stretto raccordo con il Comandante italiano delle Forze speciali ISAF operanti nella regione ovest, al quale veniva affidata la responsa- bilità di gestire lo sviluppo della situazione e di pianificare, avvalendosi anche di altri assetti alleati disponibili, un eventuale intervento per liberare gli ostaggi, ove se ne fossero presentate le condizioni. Pertanto, veniva tenuto in volo, con continuità, un velivolo senza pilota predator per monitorare l’area di possibile presenza degli ostaggi e venivano ridislocati, nella base di Farah, assetti elicotteristici nazionali ed alleati (un CH47, quattro A129 mangusta e due elicotteri spagnoli per supporto lo- gistico). Nel frattempo, con il concorso degli elementi informativi messi a disposi- zione da tutti gli alleati – in particolare, voglio ricordare il contributo specifico for- nito dagli inglesi, dai tedeschi e dagli Stati Uniti – nonché grazie ad elementi di in- telligence Humint ottenuti dai nostri Servizi in Teatro, si veniva delineando un quadro informativo che individuava, con buone probabilità, la presenza degli ostaggi nella parte meridionale della regione ovest, distretti di Shindand e Farah. Nel primo pomeriggio del 23 settembre, cioè ieri, a seguito della localizzazione dei rapitori e della successiva monitorizzazione dei loro movimenti, le forze ISAF hanno ricevuto, da chi vi parla, in accordo con il Presidente del Consiglio, con il quale è stato mantenuto in queste ore un contatto costante, l’autorizzazione a pianificare ed eventualmente condurre un’operazione militare per la loro liberazione, qualora si fossero presentate le condizioni ambientali necessarie per un positivo intervento. In tale circostanza sono state impartite direttive chiare ed essenziali. In primo luogo, l’obiettivo di una eventuale operazione di liberazione doveva tendere alla salva- guardia della vita di tutti e quattro gli uomini rapiti. Si doveva, inoltre, ridurre al massimo il rischio di coinvolgimento dei civili afgani. Pertanto, sulla base di queste indicazioni, l’operazione è materialmente scattata alla prima e verosimilmente ul- tima occasione che si è resa disponibile. Avendo localizzato, nelle prime ore della giornata di oggi, due veicoli ruotati riconducibili ai rapitori che si dirigevano dalla provincia di Farah verso il sud dell’Afghanistan, si è deciso di intervenire. L’azione è stata pianificata e condotta, insieme, da forze speciali ed elicotteri italiani e britan- nici e ha portato alla liberazione degli ostaggi. Al pari della copertura informativa assicurata dall’intelligence, anche l’azione diretta ha visto il coinvolgimento sia di unità italiane, sia di reparti alleati, tutti facenti parte dell’ISAF. Nell’ambito dell’alle- anza, infatti, esistono procedure e meccanismi di coordinamento e di intervento ap- positamente predisposti per le varie circostanze. Questi meccanismi sono entrati re- golarmente in funzione anche in questa circostanza, dimostrando l’assoluta validità operativa della cooperazione tra alleati. L’azione di liberazione purtroppo è stata cruenta, giacché i criminali si sono dimostrati assolutamente risoluti a reagire con le

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armi fino alle estreme conseguenze. Uno dei nostri militari rapiti è stato gravemente ferito; al termine di approfonditi esami, l’équipe medica sta, in queste ore, valu- tando la possibilità di procedere a un intervento chirurgico. L’altro militare, an- ch’egli ferito, ha riportato la frattura della spalla e della clavicola sinistra; è stato ope- rato presso l’ospedale militare britannico di Camp Bastion. Le sue condizioni non destano preoccupazioni. Dei due afgani facenti parte del gruppo rapito, uno è dece- duto e l’altro ha riportato ferite alla gamba destra. Nell’azione di fuoco che si è pro- dotta al momento dell’intervento e secondo le prime informazioni disponibili, sa- rebbero rimasti uccisi nove rapitori. Della presenza di un possibile decimo rapitore non si hanno conferme certe. Da parte delle forze ISAF non si sono registrati feriti, né vi sono stati civili coinvolti a conferma della professionalità degli operatori che hanno condotto l’azione e della correttezza delle scelte operative e tattiche effettuate dalla catena di comando ISAF. Onorevoli colleghi, questi che ho descritto sono i fatti, così come risultano al meglio delle nostre conoscenze attuali, che ho ritenuto doveroso portare al più presto alla vostra attenzione, pur tenendo conto dell’esi- genza di riservatezza sugli aspetti prettamente militari e di intelligence riguardo al- l’evento, poiché va sempre tenuta a mente la necessità imprescindibile di salvaguar- dare, con responsabile riservatezza, la sicurezza dei nostri militari e di quelli alleati operanti in un Teatro non certo facile. Debbo ribadire e riconoscere che, durante questi giorni, l’Italia ha potuto godere della totale solidarietà dei nostri alleati, dal Governo afgano, al Segretario Generale delle Nazioni Unite, di cui abbiamo avuto testimonianza anche durante l’incontro, ad alto livello, sull’Afghanistan svoltosi ieri a New York. Anche in questa circostanza si è dimostrato quanto sia indispensabile la coesione della comunità internazionale e la gestione collettiva di un problema, quello della nostra sicurezza, che non presenta più i tradizionali limiti territoriali che abbiamo ereditato dalla nostra storia.

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Legge Finanziaria 2008 Camera dei Deputati, 21 novembre 2007

Il Ministro Arturo Mario Luigi Parisi osserva come, nel definire le scelte program- matiche del settore Difesa, non si possa prescindere dall’inquadrare, ancorché breve- mente, le scelte oggi in esame nel quadro dello scenario internazionale che è stato ca- ratterizzato, in questi ultimi anni, da un cambiamento veloce, continuo, inarrestabile. A fronte di questa realtà, le sfide e le minacce del XXI secolo, il terrorismo in primis, non possono vedere l’Italia defilata in una posizione di secondo piano. L’Italia è chia- mata per la sua posizione economica, per il suo status politico e per il livello di ambi- zione che coltiva, a svolgere un ruolo di rilievo nello scenario internazionale. In tale contesto, l’Italia è tenuta a condividere le nuove sfide all’interno delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica. Di fronte a queste sfide, le Istituzioni internazionali si affermano quali vere e proprie «comunità di valori», punti di riferi- mento per tutti i paesi ed i popoli che pongono la democrazia come sistema politico, la libertà , il diritto, la crescita dell’individuo al centro delle proprie dinamiche sociali, culturali ed economiche. La partecipazione agli organismi internazionali, sancita dal- l’articolo 11 della Costituzione, è una fondamentale dimensione strutturale della poli- tica estera italiana. Multilateralismo non equivale, tuttavia, all’annullamento delle re- sponsabilità nazionali. Un multilateralismo efficace comporta invece un impegno con- tinuativo dei singoli Paesi e gli organismi internazionali funzionano solo a questa pre- condizione. In tale quadro, la sicurezza è il primo e il più importante di quei beni fon- damentali che risultano «condivisibili ma non divisibili», dei quali tutti devono poter fruire e ai quali tutti devono, quindi, contribuire. Produrre sicurezza significa, però, impegnare risorse economiche, umane e di intelligenza considerevoli da parte di tutta la comunità internazionale. L’Italia ha piena coscienza del proprio peso e del proprio ruolo nel contesto internazionale e al riguardo sta facendo molto. Circa 10 mila mili- tari sono, oggi, schierati fuori dal territorio nazionale in operazioni. Un impegno, questo, che l’attuale scenario internazionale non consente di prevedere in diminuzione nel prossimo futuro; impegno realmente gravoso per il nostro strumento militare te- nuto conto che per garantirne la sostenibilità nel tempo è necessario un impiego rota- zionale di circa 40 mila militari, facendo riferimento al personale immediatamente impegnato sul campo. Fermo restando quindi il convincimento politico del Paese di compartecipare adeguatamente a garantire la sicurezza, alla Difesa spetta il non facile

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compito di assicurare la disponibilità di uno strumento idoneo sotto il profilo qualita- tivo e quantitativo. Di uno strumento efficace, reattivo, in grado di operare congiun- tamente, ed alla pari, con le Forze Armate degli altri Paesi. In relazione ai prevedibili scenari, lo «strumento» deve, e dovrà anche in futuro, essere configurato per assolvere un’ampia gamma di missioni a diversa intensità, che richiede un continuo adegua- mento delle capacità e delle tecnologie. È necessaria, quindi, una trasformazione co- stante che assicuri l’efficacia e l’impiegabilità dello strumento militare, ai fini della si- curezza nazionale e quale contributo dell’Italia alle Organizzazioni internazionali per la pace, la sicurezza e la stabilità. In quest’ottica, le Forze Armate stanno producendo uno sforzo consistente, da un lato per contribuire a sostenere efficacemente le missioni decise dal Parlamento e, dall’altro, per completare il processo di modernizzazione e trasformazione dello strumento militare in senso interamente « professionale ». Questo rappresenta certamente un obiettivo prioritario, in particolare per le Forze Ar- mate di paesi che, come l’Italia, ricoprono un ruolo di primaria responsabilità. A questo fine, nel quadro di una convergenza nel campo della stabilità e sicurezza in campo europeo, nonché di mantenimento degli impegni internazionali assunti dal- l’Italia, è comunque auspicabile che gli stanziamenti siano commisurati per assicurare alle Forze Armate gli standard di personale, di mezzi e sistemi qualitativamente ana- loghi a quelli dei Paesi alleati. È questo un obiettivo irrinunciabile che richiede una pianificazione finanziaria di medio-lungo termine, idonea a produrre un costante ade- guamento della qualità e capacità dello strumento militare al fine di renderlo compati- bile con gli impegni assunti, non trascurando il bene essenziale della sicurezza del per- sonale, segnatamente di quello impegnato nelle missioni internazionali di pace. A suo avviso, è indubbio che il livello delle risorse finanziarie, in particolar modo se definito all’interno di un quadro di certezza programmatica di medio periodo, costituisce l’ele- mento essenziale di tale processo. In realtà , è proprio nel medio periodo che deve es- sere misurata l’efficacia dell’intervento programmatico, in un settore in cui le scelte comportano lunghi tempi di definizione, articolati impegni negoziali, in ambito na- zionale ed internazionale, sviluppati nell’arco di più esercizi finanziari. Osserva che proprio muovendo da questi principi, il Governo, con questa finanziaria, ha inteso so- stenere la Difesa. A questo fine il Governo ha assicurato al bilancio un incremento contenuto, ma tuttavia significativo, che inverte la tendenza negativa registrata a par- tire dal 2004. Una scelta, questa, che assume particolare rilievo se rapportata al diffi- cile momento economico che il Paese sta attraversando. È consapevole che la gravità della situazione ereditata e la necessità di operare una stabilizzazione e il risanamento dei conti pubblici non hanno permesso al Governo di sostenere adeguatamente obiet- tivi strutturali della Difesa né tanto meno di riallineare il livello di spesa per la «Fun- zione Difesa» a quello dei partners europei. Problematiche, queste, di primaria impor- tanza con cui ci si dovrà immediatamente confrontare non appena le condizioni fi- nanziarie del Paese saranno migliorate. L’inaccettabile situazione di bilancio, che ha visto precipitare nell’ultimo triennio le risorse assegnate alla funzione Difesa, ha cau-

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sato uno stridente contrasto tra il livello di responsabilità dell’Italia e le capacità opera- tive concretamente raggiungibili e sostenibili. Ricorda come si sia verificata una coincidenza tra tale diminuzione di risorse e l’im- plementazione del modello professionale che ha necessariamente aumentato le spese dedicate al personale. Il risultato finale è stata una diminuzione effettiva nel settore degli «investimenti» e in quello del «mantenimento» dello strumento militare che nel 2006 ha raggiunto circa il 40 per cento, rispetto al livello di minima sufficienza che si era consolidato fino al 2004. Ciò ha causato una allarmante situazione di insolvenza nella contrattualistica in corso, per quanto riguarda i programmi di investimento, e un gravissimo pregiudizio al mantenimento dei mezzi e dei livelli addestrativi del perso- nale. Ciò sulla base di ripetute scelte tanto più gravi perché in contrasto con l’allarme manifestato da chi lo ha preceduto alla guida del Ministero della Difesa. Quindi, una vera e propria potenziale compromissione sia del futuro che del presente delle Forze Armate, a cui si è ovviato nell’anno in corso con tutti gli accorgimenti gestionali possi- bili, ma che, senza le opportune correzioni, avrebbe come esito un definitivo e irrever- sibile degrado delle capacità operative della Difesa. Ciò che il Ministero della Difesa ha chiesto è stato un chiaro segnale di cambio di tendenza che consentisse l’avvio delle azioni correttive e, soprattutto, desse un minimo di respiro per la verifica delle respon- sabilità realmente sostenibili dal Paese. Le difficilissime condizioni generali hanno reso non completamente percorribile una strada di risanamento. Quindi, giudicando i ri- sultati raggiunti in termini relativi al contesto, si dichiara cautamente soddisfatto e af- ferma che il cambio di tendenza c’è e permette di affrontare una parte delle problema- tiche. Ragionando in termini assoluti, invece, in rapporto ai gravi danni che si stanno già verificando, manifesta invece tutta la sua preoccupazione e ritiene necessario ten- tare di individuare ogni azione ulteriormente migliorativa. A legislazione vigente, il bi- lancio assegna al Dicastero 18.134,5 miliardi di euro di cui 12.437,3 miliardi per la funzione Difesa. Di questa cifra ben 8.940 miliardi di euro sono dedicati al personale con le residue risorse suddivise tra investimenti (miliardi di euro) e esercizio (1.940 miliardi di euro). Se ci fossimo fermati a queste cifre, non sarebbe stato possibile af- frontare tutte quelle problematiche di insolvenza e decadimento dello strumento in precedenza evidenziate. Per questo sono stati introdotti dei correttivi che si possono ri- trovare innanzitutto nell’articolo 113 riguardo l’investimento e nell’articolo 187 ri- guardante l’esercizio. Con l’articolo 113 vengono assegnati alla Difesa 1.700 miliardi di euro dedicati all’integrazione di programmi per i quali si prospettavano situazioni di insolvenza in coerenza con la più generale linea conduttrice della manovra di fi- nanza pubblica. Tale percorso ha inteso salvaguardare, prioritariamente, gli investi- menti in un settore industriale di alta valenza tecnologica, qual è quello di interesse della Difesa. Infatti, l’articolo 113 intende autorizzare la copertura di posizioni debi- torie già esistenti e assolutamente vincolanti, connesse a programmi di ammoderna- mento derivanti prevalentemente da accordi europei ed internazionali già avviati. Sono programmi che, comunque, hanno una rilevante ricaduta sul settore industriale

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nazionale, che ha una valenza strategica in un quadro di ferma determinazione al ri- lancio dell’economia italiana. Questo intervento, quindi, non è volto soltanto all’ac- quisizione di mezzi e sistemi indispensabili al buon funzionamento dello Strumento militare, ma è finalizzato anche, e per certi versi soprattutto, alla salvaguardia di assetti industriali e produttivi estremamente rilevanti in termini occupazionali, prima ancora che nel contesto della competitività internazionale. Questa azione riallinea le risorse con gli impegni, ma non fornisce alcuno spazio per quei nuovi programmi di sviluppo che sarebbero necessari per continuare la trasformazione dello strumento militare verso le future esigenze, ad esempio nel settore «della sorveglianza aerea, marittima e terrestre», elemento chiave per l’efficacia nei tipi di operazioni in cui l’Italia è e sarà prevedibilmente impegnata. Ritiene indispensabile pertanto vigilare attentamente sul futuro per individuare eventuali spazi e possibilità per ulteriori correttivi ed assegna- zioni. Tuttavia, l’articolo 113 permette di uscire dall’emergenza che avrebbe compro- messo in modo catastrofico il futuro e, pertanto, risulta un irrinunciabile fattore di po- tenza industriale per le Forze Armate, ma anche per il sistema Paese in ragione delle sue implicazioni nel settore strategico dell’alta tecnologia. La previsione recata dall’ar- ticolo 187 affronta invece la situazione del presente, estremamente critica per la condi- zione dei mezzi e per il livello di addestramento del personale. I mezzi hanno notoria- mente subito un drastico deterioramento, in dipendenza del continuo e prolungato impiego soprattutto nelle operazioni fuori area. In questo campo, ricorda come la mancata manutenzione non si traduca in semplici fermi di macchine che possono es- sere ripristinati non appena vi sia possibilità. I fermi di macchine ad alta tecnologia comportano danni tecnici irreversibili e situazioni di insicurezza che impongono co- stosissime revisioni all’atto della reimmissione in uso. La mancanza di risorse, ove pro- tratte nel tempo, può addirittura portare alla necessità di radiazione dei mezzi costosi, ma soprattutto essenziali per l’operatività dello strumento e per la sicurezza dei mili- tari. Similmente la discontinuità nell’addestramento di un militare porta a situazioni di grave insicurezza nelle operazioni. Manutenzione e addestramento rimangono ele- menti estremamente critici di cui il Ministero della Difesa è seriamente preoccupato. La dotazione riconosciuta dall’articolo 187, pari a 400 miliardi di euro, rappresenta un parziale avvio di un oculato ed indispensabile intervento di conservazione dell’esi- stente e consistente patrimonio di beni mobili del Dicastero che è in pericolo, ma pur- troppo insufficiente. Infatti, ciò che sarebbe necessario per superare definitivamente il gap registrato negli ultimi anni, richiederebbe, perlomeno, la disponibilità di ulteriori 1.000 miliardi di euro. Ritiene doveroso aggiungere che su queste risorse insufficienti sono anche attestate tutte quelle attività di servizi esterni, che le Forze Armate avevano avviato come conseguenza del passaggio al professionale. Esse costituiscono una pre- ziosa fonte di occupazione per categorie di lavoratori civili e, insieme, garantiscono nel quotidiano un giusto livello di qualità di vita e di efficienza per il personale militare. Nel 2006 sono state visibili le negative conseguenze occupazionali su queste categorie non sempre tutelate da adeguati ammortizzatori sociali. Conferma pertanto la sua pre-

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occupazione per la permanente criticità del settore « mantenimento dello strumento ». Ritiene che le risorse dell’esercizio dovrebbero essere preservate da ogni taglio o aggiu- stamento in negativo, considerata la loro essenza vitale. Sottolinea che gli stanziamenti aggiuntivi previsti, pari a 2.120 miliardi di euro (1.700 per investimenti, 400 per l’esercizio, 20 per l’avvio di un programma per la realizzazione di alloggi di servizio) portano il bilancio della Difesa a 20.254 miliardi di euro; fatti salvi gli effetti – in via di quantificazione a cura della Ragioneria Generale – dell’accantonamento previsto al- l’articolo 53. Lo stanziamento complessivo che ne risulta fa registrare un significativo incremento del rapporto funzione difesa/PIL, precipitato lo scorso anno allo 0,825 per cento. Sottolinea altresì come la Difesa, conscia delle difficoltà a contorno, abbia pensato non solo al chiedere, ma anche al « dare », contribuendo a inserire nel disegno di legge finanziaria l’articolo 17 che mette a disposizione, nel modo più efficace possi- bile, parte del consistente patrimonio immobiliare. Ciò può diventare un importantis- simo e rilevante contributo al miglioramento dei conti pubblici. In questo senso, il Ministero della Difesa si impegnerà a coordinare le proprie attività tese ad individuare ulteriori possibili rilasci di beni immobili, anche in un’ottica di miglior distribuzione sul territorio nazionale e di ordinata e graduale riduzione dei gravami imposti sul terri- torio. In particolare, l’articolo 17 prevede l’impegno ad individuare beni immobili da consegnare al Ministero dell’Economia e Finanze, per la successiva valorizzazione, per un valore complessivo di ben 4 miliardi di euro in due anni. Altre norme, concernenti il personale e l’organizzazione dei Servizi e delle strutture di supporto, i cui effetti sono in fase di approfondimento, potrebbero richiedere alcuni aggiustamenti nel corso del- l’iter parlamentare. Parallelamente, sarebbe auspicabile uno stanziamento specifico fi- nalizzato a favorire l’esodo di personale militare anziano dai ruoli che presentano rile- vanti eccedenze rispetto alle dotazioni previste dal modello professionale delle Forze Armate. In sintesi, per quanto concerne gli aspetti di pertinenza del Ministero della Difesa, riscontra una piena coerenza del bilancio della Difesa con la manovra comples- siva del Governo. Il bilancio 2007, come già evidenziato, segna un’inversione di ten- denza rispetto al pesante quadro di situazione ereditato. In particolare, sono significa- tivamente salvaguardati gli investimenti, anche in un’ottica strategica di manteni- mento delle capacità di alta tecnologia del sistema industriale. Sono, invece, ancora in- sufficienti le risorse per il mantenimento e l’addestramento, e nell’anno sarà necessario individuare ulteriori accorgimenti di sostegno. La Difesa, per rispondere al sostegno avuto, si è impegnata a dismettere in modo efficace tutta la parte del patrimonio im- mobiliare non più indispensabile alle proprie funzioni e ad effettuare ogni ulteriore sforzo di razionalizzazione. Il Governo avrebbe voluto fare di più per la Difesa ma, te- nuto conto della primaria esigenza del risanamento economico del Paese, ritiene che i risultati ottenuti rappresentino il segno di un impegno, una prima importante ri- sposta. Con questa convinzione, chiede il più ampio sostegno al percorso parlamen- tare dei disegni di legge di bilancio e finanziaria 2007.

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SENATO

Attentato subìto da una pattuglia del Contingente militare italiano in Iraq Senato, 7 giugno 2006

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori,

nel riproporre anche oggi le informazioni già fornite ieri dal Presidente del Consi- glio dei Ministri sento, innanzi tutto, il dovere di confermare e rinnovare il cordo- glio e la partecipazione di tutti noi per la perdita del Primo Caporal maggiore Ales- sandro Pibiri, effettivo al 152º reggimento di fanteria della Brigata Sassari, vittima di un nuovo proditorio attacco mentre svolgeva il proprio dovere al servizio del Paese. Insieme a lui sono stati coinvolti altri quattro militari dello stesso reparto, tutti feriti ma ora non più in pericolo di vita. Il gravissimo lutto ha profondamente scosso il Governo e l’intero popolo italiano. Partecipiamo commossi al dolore dei familiari del defunto e dei feriti e delle nostre Forze Armate, cui va tutta la nostra solidarietà e il nostro affetto per quanto fanno ogni giorno, anche in situazioni di estrema difficoltà per fronteggiare un terrorismo sempre più feroce che non risparmia nessuno. Come ha già annunciato ieri il Presi- dente del Consiglio dei Ministri, nella giornata del 5 giugno, alle ore 21,35, ora lo- cale (le 19,35 in Italia), un ordigno è esploso al passaggio di un convoglio logistico britannico che, diretto a Tallil e proveniente dalla confinante provincia di Maysan, a circa 100 chilometri a nord di Nasiriyah, prevedeva la scorta da parte dei mezzi ita- liani. L’esplosione ha investito il nostro mezzo, un veicolo multiruolo, chiamato VM- 90, appartenente alla Brigata Sassari, che viaggiava alla testa del convoglio, coinvol- gendo cinque militari italiani della task force del 152º reggimento di fanteria. Come è noto, il Primo Caporal maggiore Alessandro Pibiri, che aveva 25 anni, e che era di Cagliari, più precisamente di Selargius, un paese del cagliaritano, ha perso la vita a se- guito delle ferite riportate. Il Primo Caporal maggiore Luca Daga è stato ferito in modo molto grave, mentre gli altri tre militari, il Caporal maggiore scelto Fulvio Concas, il Tenente Manuel Pilia, e il Primo Caporal maggiore Yari Contu, hanno ri- portato ferite da schegge che al momento sembrano meno gravi. Sono tuttora in corso i rilievi e gli accertamenti da parte degli organi di polizia militare per indivi-

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duare l’esatta dinamica e la causa del tragico evento. I primi riscontri sembrano con- fermare che l’ordigno appartiene all’ormai famigerata categoria delle IEDD, Impro- vised Explosive Device Disposal, ossia ordigni esplosivi improvvisati, che hanno pur- troppo mietuto numerose vittime, non solo italiane, anche se nella circostanza è stato verificato l’impiego di una serie di ordigni posizionati lungo la carreggiata, che lascia supporre un ulteriore perfezionamento delle tecniche offensive fino ad oggi utilizzate (è una tecnica che risulta applicata nella provincia di Dhi Qar, in cui opera il Contin- gente italiano, per la prima volta). In particolare, il convoglio colpito dall’attentato era inserito nel quadro di un’operazione denominata «Golf 7», che si informa alla di- rettiva operativa nazionale emanata dal Comando operativo interforze e all’ordine di operazione del Comando Divisione multinazionale sud-est a guida britannica. Questa operazione prevedeva il transito dei convogli britannici nella provincia di Dhi Qar, area di responsabilità italiana, con la scorta italiana dal loro ingresso nella Pro- vincia lungo le rotabili che vengono denominate Arnhem, Bismark, Jackson e Tampa, fino al momento della loro uscita. Nello specifico, il convoglio era costituito da 26 mezzi militari e 36 autoarticolati civili, suddiviso in due unità di marcia e preso in consegna dalla nostra task force per la scorta e la sicurezza al confine nord-est della provincia, a circa 45 chilometri dall’abitato di Qalat Sukkar. Questi convogli logistici percorrono abitualmente l’itinerario appena descritto poiché ritenuto maggiormente sicuro rispetto alla rotabile Topeka, ovvero l’itinerario che sarebbe più diretto tra Camp Abu Naji e la città di Bassora. Al termine del primo tratto, nell’area di respon- sabilità italiana, la prima unità di marcia si è immessa, come previsto dalla pianifica- zione congiunta, sulla rotabile Bismark, dove, dopo circa quattro chilometri, il primo mezzo, un veicolo VM-90, è stato investito, all’ora che vi ho indicato precedente- mente, dall’esplosione di quello che immaginiamo un probabile IEDD posizionato sul margine destro della carreggiata, quindi nella direzione di marcia. Veniva, natu- ralmente, immediatamente avvisata la nostra sala operativa e sul posto accorreva l’as- setto sanitario con un’autoambulanza presente nel convoglio, che provvedeva ai primi soccorsi. Contestualmente si è alzato in volo, dalla base aerea di Tallil, un eli- cottero dell’aeronautica militare per garantire l’evacuazione sanitaria e il trasporto presso l’ospedale da campo italiano a Camp Mittica del personale coinvolto nel- l’esplosione; lo sgombero si concludeva circa due ore dopo, alle 23,30 ora locale. Pa- rallelamente, su mia indicazione, era stato attivato il governatore della provincia di Dhi Qar, Aziz Kadum Alwan Al Achely, di comune accordo con il Comandante del Contingente, il Generale di Brigata Natalino Madeddu, affinché disponesse il sup- porto della polizia locale e della polizia irachena per esigenze di viabilità e scorta del convoglio, supporto che è stato prontamente concesso. A queste informazioni, nella sostanza già anticipate ieri dal Presidente del Consi- glio Prodi e in parte disponibili anche sulla stampa, vorrei aggiungere un aggiorna- mento sulle condizioni di salute del personale coinvolto, secondo l’ultimo rapporto pervenuto circa un’ora fa dal Teatro operativo.

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Il Tenente Pilia è in stretta osservazione, dopo essere stato operato per l’asporta- zione di una piccola scheggia conficcata all’altezza della carotide. Si tratta di un in- tervento molto delicato che, grazie alla perizia di un Ufficiale medico italiano, ha avuto esito positivo. Abbiamo seguito l’intervento con preoccupazione. Il Caporal maggiore scelto Concas ha superato positivamente l’intervento chirurgico ad un oc- chio, resosi necessario per la rimozione di una scheggia. Il Primo Caporal maggiore Daga è stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico ad un occhio e ad un altro intervento per l’asportazione di una scheggia conficcata all’altezza dell’arteria femorale. Al momento è in prognosi riservata e sotto stretta osservazione. Il Primo Caporal maggiore Contu è stato operato per l’asportazione di alcune schegge confic- cate in prossimità della pleura toracica. A quanto ci risulta, l’intervento è perfetta- mente riuscito. Il militare è tenuto sotto stretta osservazione. Si può affermare che le loro condizioni generali complessivamente sono in via di miglioramento. Vorrei anche aggiungere che i militari feriti hanno avuto tutti modo di colloquiare personalmente con i familiari. Per quanto riguarda il rientro della salma del Primo Caporal maggiore Alessandro Pibiri, questo è previsto nel pome- riggio di oggi con un veicolo dell’Aeronautica Militare che si prevede atterrerà all’ae- roporto di Roma Ciampino entro le ore 18. Tutti e quattro i feriti sono in condi- zioni generali tali da poter essere trasferiti per via aerea e il rientro è previsto per do- mani con un vettore dell’Aeronautica Militare, anch’esso in arrivo all’aeroporto di Ciampino.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori,

come già illustrato ieri dal Presidente del Consiglio alla Camera, confermo, a se- guito di ulteriori verifiche, l’infondatezza di ogni ipotesi che leghi l’attentato ad un preciso disegno politico finalizzato a colpire il nostro Contingente e quindi a condi- zionare il calendario di rientro dall’Iraq. La dinamica dei fatti, le modalità e la na- tura della missione, la località ove è avvenuto il tragico evento sono tutti elementi che tendono ad inquadrare l’episodio come un attacco di tipo indiscriminato contro la coalizione, non specificamente contro il nostro Contingente. In conclusione, non posso che ribadire, anche in questa sede, quanto ha affermato ieri il Presidente Prodi quando ha chiaramente detto che tutto ciò non ci fa deflettere dai nostri propositi. Nulla cambia rispetto ai piani ed ai programmi di rientro dall’Iraq dei nostri militari che il Governo, proprio in queste ore, sta discutendo con gli alleati e le autorità go- vernative irachene. A questa affermazione del Presidente Prodi voglio aggiungere che il nostro giu- dizio sulla vicenda irachena è noto da sempre e resta immutato. Nitido, a mio pa- rere, è anche il mandato ricevuto dai cittadini in occasione delle ultime elezioni e il messaggio che attraversa il Paese al di là delle collocazioni di parte. Immutata quindi è la nostra linea. I fatti dolorosi di questi giorni non possono che confermarla: il

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rientro del nostro Contingente entro le scadenze previste. Un rientro che porta a compimento una missione che è oggi di pace, un rientro che si svolga nella dignità e con modalità che massimizzino le condizioni di sicurezza di tutti e di ognuno dei nostri militari, un rientro che si svolga e sia definito sulla base di una consultazione con il Governo iracheno e le altre parti interessate.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori,

oggi nel concludere voglio riaffermare che sentiamo ancora di più un grande ob- bligo di riconoscenza nei confronti dei nostri militari. Essi danno prova di una stra- ordinaria forza interiore, sopportando grandi sacrifici – e lo dico sulla base di una testimonianza personale e di una considerazione puntuale delle loro condizioni di vita operative – sino al doloroso contributo delle loro vite. Anche in questa occasione perciò sentiamo il dovere di rivolgere loro il nostro commosso pensiero e lo rivolgiamo sapendo che tutta l’Italia si unisce a noi nel do- lore e nella gratitudine per il loro sacrificio.

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Le linee programmatiche del Dicastero Senato, 4 e 5 luglio 2006

Signori Presidenti,

un sentito grazie per l’invito rivoltomi. A tutti i parlamentari va il mio grazie per es- sere intervenuti a questa audizione. In questa esposizione, ad un mese e mezzo dal mio insediamento, vorrei fare il punto della situazione ed indicare le linee generali lungo le quali si svilupperà l’azione del Dicastero, lasciando all’iniziativa delle vostre domande lo spunto per trattare temi specifici di più immediata attualità. Qualora il tempo a no- stra disposizione, che sento già breve rispetto alle aspettative, non dovesse essere suffi- ciente ad approfondire tutti gli argomenti, non mancheranno le occasioni di ritornarci sopra e sin d’ora dichiaro la mia disponibilità per approfondimenti successivi.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,

con la caduta del muro di Berlino la tutela della sicurezza è entrata in una nuova dimensione, in cui il concetto classico di difesa del territorio non è più attuale né adeguato per affrontare le minacce del XXI secolo. Se dovessimo con un solo termine caratterizzare il tempo in cui viviamo, quel ter- mine sarebbe senza dubbio «cambiamento». Un cambiamento veloce, continuo, inarrestabile, che a volte procede linearmente, a volte invece «per salti». Un cambia- mento che spazza il passato e costruisce un futuro in cui tutto muta – le regole so- prattutto – ma ancora prima di esse i soggetti. Lo Stato westfaliano è in piena crisi e gli Stati acquisiscono progressivamente qualifiche che li inquadrano in gruppi di- versi fra loro e per ciascuno dei quali valgono norme del tutto particolari. Abbiamo così gli Stati che si identificano con la loro appartenenza alla cosiddetta «Comunità internazionale», quelli che vengono definiti come falliti, quelli che sono infine indicati come «Stati canaglia». Si affianca inoltre agli Stati una pletora di altri soggetti capaci di azioni di rilevanza internazionale. Sul piano della sicurezza e stabi- lità internazionale, oggi dobbiamo misurarci con il fenomeno degli estremismi di matrice nazionalistica e religiosa, dei traffici illegali di armi e droga, delle organizza- zioni criminali e di quelle che danno vita al terrorismo internazionale.

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Questi fenomeni non si possono combattere solo con lo strumento militare, ma con un approccio globale, e cioè politico nel senso più ampio del termine. Cambiare significa andare incontro all’ignoto, a qualcosa di nuovo, ad una realtà capace di of- frire nuove affascinanti possibilità, ma che può anche al tempo stesso rivelarsi carica di gravi pericoli, prevedibili e non prevedibili, quindi previsti od imprevisti. È un tragitto che si può compiere in maniera passiva, ed in tal caso si sarà costretti ad ac- cettare qualsiasi realtà gli altri configurino, sia che essa corrisponda alle nostre aspet- tative e, al di là di esse, ai nostri interessi, sia che essa risulti per noi fortemente ne- gativa, impedendoci di muovere nella direzione voluta o addirittura costringendoci a dolorosi passi indietro. Lo si può però compiere anche in maniera attiva, impegnandosi a seguire il pro- cesso in atto, cercando di influire sulla sua direzione ed i suoi esiti, costruendo – in sostanza – il nostro stesso destino. In poche parole, assumendo quella che è la nostra responsabilità, ovviamente nei limiti di ciò che possiamo, vogliamo e dobbiamo fare. Tradotto nei termini della azione dello Stato, ciò significa che l’Italia dovrà muoversi nei prossimi anni sulla scena internazionale assumendosi oneri e fornendo contributi che siano proporzionati al suo status politico ed alla sua capacità econo- mica, risultando nel contempo in linea con le sue aspirazioni per il futuro. Ci muo- viamo, infatti, in un mondo che è condiviso ed in cui l’imperativo maggiore sembra essere, almeno per il momento, quello di riuscire a ricostruire una accettabile cor- nice di sicurezza comune, presupposto indispensabile per ogni ulteriore speranza di sviluppo. In tale quadro, proprio la sicurezza è il primo ed il più importante di quei beni fondamentali che risultano condivisibili, ma non divisibili e di cui tutti dob- biamo poter fruire. Perché la sicurezza esista, occorre però che qualcuno la produca, con uno sforzo destinato ad impegnare risorse economiche, umane e di intelligenza considerevoli. Giusto quindi essere nel medesimo tempo produttori e fruitori di si- curezza. Ogni atteggiamento puramente parassitario in questo campo sarebbe forse possibile nel breve periodo, ma è certo impossibile nel medio e lungo termine, in quanto finirebbe inevitabilmente col porci a margine della comunità internazionale in cui intendiamo vivere, incidendo in maniera rovinosa proprio su quelle aspetta- tive politico-economiche per il futuro di cui si era in precedenza fatto cenno. In questa corsa verso il futuro, inquadrata e dominata dai parametri della cosiddetta globalizzazione, lo spazio si è allargato a dismisura, finendo con l’estendersi a tutto il mondo e proiettandoci dalle tre dimensioni classiche della nostra politica – europea, atlantica e mediterranea – ad una dimensione assolutamente globale. Con lo spazio si è di conseguenza dilatato anche il tempo, un fattore che risente anche della natura particolare delle nuove missioni che si presentano. Il cambio di scala ha reso infatti la sicurezza un bene lento da conseguire; le missioni di sicurezza risultano di conse- guenza più lunghe dei tradizionali interventi bellici. L’ampiezza delle alleanze in cui siamo inseriti, la particolare natura degli strumenti ed apparati militari, inevitabil- mente strutturati su base multinazionale, le complessità di una tecnologia ogni

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giorno più performante e complessa, ma anche più invasiva, contribuiscono an- ch’esse a rendere estremamente articolato il sistema. Si è e si va, in sintesi, verso un mondo dove le decisioni devono essere rapidissime e tempestive, mentre l’esecu- zione deve rimanere in ogni attimo un’esecuzione paziente. Le necessità indotte da un quadro internazionale che appare particolarmente inquieto chiamano quotidia- namente il Paese e il Governo a confrontarsi con la realtà del cambiamento. Proprio l’ampiezza e la varietà di tale quadro sono, però, fattori tali da indurre alla ricerca di linee guida fondate sulla più ampia condivisione, innanzitutto nella mag- gioranza che di fronte agli elettori si è assunta la responsabilità di sostenere l’azione di governo. Sono proprio l’inquietudine del quadro internazionale, la complessità del contesto in cui ci muoviamo e il rilievo delle questioni alle quali siamo chiamati a dare risposta, i fattori all’origine delle divergenze che legittimamente segnano il confronto tra le coalizioni e all’interno di esse. Penso al giudizio e al rapporto con singole decisioni di alcuni fra gli alleati più qualificanti in relazione all’Iraq e allo svolgimento della relazione fra la politica europea e quella atlantica del Governo che ci ha preceduto; valutazioni relative a singole azioni circa opportunità e modo di conduzione, nonché a scelte che attengono ai mezzi più adatti per conseguire i fini voluti. Tuttavia, le differenziazioni rilevanti esistenti tra i diversi schieramenti, ed anche tra le loro componenti interne, non ci consentono di sottovalutare i riferi- menti comuni, anche perché questi sono già l’esito di un processo storico di cui tutti siamo stati partecipi. Esso ha come pietre miliari l’articolo 11 della nostra Co- stituzione considerato nella sua interezza, l’Unione Europea, le Nazioni Unite, l’Al- leanza Atlantica considerata nel processo di trasformazione che la coinvolge, il rap- porto euro-americano, nonché l’esercizio attivo della responsabilità e la conseguente assunzione del modello professionale per le Forze Armate che hanno caratterizzato l’Italia di questi ultimi 15 anni. È anche grazie a questo denominatore comune, oltre che al senso di continuità istituzionale, che gli elementi di discontinuità e di cambiamento imposti dall’alternanza democratica possono essere governati senza rotture all’interno di una corretta dialettica istituzionale, in cui la maggioranza di Governo si assume le sue responsabilità sottoponendole in Parlamento al confronto con l’opposizione. È in un simile quadro che va correttamente inserita la difesa del Paese, vista e percepita come l’apparato preposto alla produzione della sicurezza, una sicurezza che non è più estesa come un tempo al solo territorio nazionale, ma comprende altresì la nostra partecipazione alla produzione della sicurezza globale. Ciò porta il Dicastero della Difesa ad essere necessariamente in crescente coordina- mento con quello dell’Interno per quanto concerne il territorio nazionale ed i rela- tivi spazi aeromarittimi, mentre nel resto del mondo esso sarà tenuto ad operare in strettissimo collegamento con il Ministero degli Affari Esteri. Quanto ai rapporti del Ministero della Difesa con quello dell’Interno, a segnalare questa interconnessione sta una serie di temi che ci chiama ad un maggiore appro- fondimento. Tra questi, il tema della collocazione dell’Arma dei Carabinieri è sicu-

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ramente uno dei più rilevanti. Come noto, la collocazione dell’Arma è stata recente- mente fissata dalla legge di riforma n. 78 del 2000 che, riconfermatala quale «Forza Armata in servizio permanente di pubblica sicurezza», l’ha collocata nell’ambito del Ministero della Difesa con il rango di Forza Armata per l’assolvimento dei compiti militari, ed ha ribadito la sua dipendenza funzionale dal Ministro dell’Interno per quanto attiene ai compiti di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché dall’autorità giudiziaria per le funzioni di polizia giudiziaria. In tale contesto, il Mi- nistero della Difesa è pienamente convinto della necessità di un efficace e funzionale coordinamento dell’Arma dei Carabinieri con le altre Forze di Polizia nell’ambito del Ministero dell’Interno, che terrà conto delle peculiarità dell’Arma discendenti dalla sua duplice connotazione, che contribuisce non poco a fare dell’Arma stessa una risorsa pregiata nell’ambito dello Stato, apprezzata e valorizzata, non solo in ambito nazionale, ma anche, in particolare in questi anni, nel contesto delle mis- sioni internazionali, in cui ha maturato una straordinaria esperienza con il modello organizzativo delle Unità Specializzate Multinazionali. La disponibilità ampia ad un approccio condiviso della problematica del coordina- mento con il Ministero dell’Interno si è concretizzata proprio in questi giorni, in oc- casione della nomina del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Difatti, pur in presenza di una normativa che prevede la proposta come esclusiva del Mini- stro della Difesa, la scelta è stata condivisa anche con il Ministro dell’Interno, pro- prio in considerazione delle funzioni istituzionali di polizia espletate dall’Arma. Quello con l’Arma dei Carabinieri non esaurisce, peraltro, il rapporto tra il Mini- stero della Difesa e quello dell’Interno in ragione dei compiti di sicurezza devoluti alle Forze Armate, che trovano una concreta attuazione non solo nelle operazioni al- l’estero, che spesso pongono i militari a diretto contatto professionale con le Forze di Polizia, ma anche in quelle sul territorio nazionale, dove le Forze Armate hanno ripetutamente dato contributi, non soltanto in occasioni di emergenze per calamità naturali, ma anche in un contesto integrato di sicurezza per la vigilanza di obiettivi sensibili. L’ultima di tali attività, l’operazione «Domino», che si è conclusa solo quattro giorni fa, il 30 giugno scorso, ha visto fino a 4.000 militari dell’Esercito contempo- raneamente impegnati per la vigilanza di obiettivi sensibili in decine di Province e, di recente, in occasione delle stesse Olimpiadi invernali di Torino. In questa azione sinergica tra i due Dicasteri, volta al conseguimento di obiettivi comuni, appare an- cora più importante l’effettiva conservazione dell’allineamento dello stato giuridico ed economico delle Forze Armate, in un comparto quanto più possibile omogeneo, pur tenendo conto delle conseguenze che derivano dallo status militare delle Forze Armate e di alcune Forze di Polizia, da una parte, e dallo status civile di altre Forze di Polizia, dall’altro. Altro punto qualificante del rapporto tra le Forze Armate e le Forze di Polizia è costituito dal reclutamento e, in particolare, dalle disposizioni che disciplinano la professionalizzazione delle Forze Armate, con riguardo all’accesso

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nelle carriere iniziali nelle Forze di Polizia riservato, da quest’anno fino al 2020, ai volontari delle Forze Armate, salvo modifiche a partire dal 2010. Si tratta di una previsione particolarmente importante per la tenuta del sistema professionale, in special modo in questi anni nei quali il sistema si sta avviando. Non va peraltro sot- taciuto che tale meccanismo consente alle Forze di Polizia di incorporare personale che, seppure formato in funzione dell’impiego nelle Forze Armate, può vantare un’esperienza più ampia rispetto a quella di chi proviene direttamente dalla vita ci- vile, maturata proprio negli impegni di sicurezza cui sopra ho fatto cenno. Come ho già avuto modo di dire, è evidente che la sicurezza non è un concetto che riguarda il solo territorio nazionale, né è possibile immaginare che le cosiddette «mi- nacce asimmetriche» possano essere affrontate con i soli strumenti militari: è neces- sario dare perciò una risposta globale, facendo ricorso anche agli strumenti diploma- tici, economici e culturali. Vi è quindi una rinnovata ed accresciuta esigenza di una visione d’insieme degli aspetti politici e militari, di una collaborazione sinergica, ap- punto, fra Ministero degli Affari Esteri e Ministero della Difesa. Questa esigenza di un più stretto coordinamento è cresciuta in relazione agli im- pegni che le Forze Armate italiane sono state chiamate a svolgere all’estero. L’invio di un Contingente militare all’estero non è solamente una complessa questione mi- litare, ma è anche, e in primis, un’azione politica, nella complessità dei suoi riflessi internazionali ed interni. Il Ministero della Difesa nello svolgimento delle proprie specifiche funzioni si muove in sintonia con le direttrici della politica estera, coniu- gando gli interessi strategici con gli indirizzi e gli obiettivi internazionali in ambito multilaterale e bilaterale. La stessa diversificazione delle tipologie delle crisi di oggi richiede un monito- raggio costante ed una interrelazione attiva fra Esteri e Difesa, allo scopo di man- tenere una visione condivisa delle priorità su cui sviluppare l’azione del Dicastero della Difesa e determinare gli ambiti internazionali attraverso i quali operare al fine di massimizzare l’efficacia delle missioni all’estero. Queste ultime, per rag- giungere l’obiettivo di promuovere una dinamica di progresso e di pace, vanno in- serite in una prospettiva di ricostruzione e sviluppo economico e sociale, che ri- chiede la massima sinergia dell’intero sistema Italia e, quindi, in primo luogo tra Esteri e Difesa. Sul quadro internazionale, poi, quella idea di responsabilità condi- visa, di cui si è in precedenza fatto cenno, conduce sempre la Difesa ad agire non isolatamente, ma nel quadro di coalizioni molto ampie e che coinvolgono parec- chie organizzazioni, come ONU, OSCE, UE, NATO, spesso operanti congiunta- mente sulla base di una chiara definizione delle specifiche responsabilità e quindi dei rispettivi limiti. Un’occhiata al quadro complessivo degli impegni assunti negli anni dal Paese per- mette di rendersi conto di quale sia la loro consistenza e quanto grande la loro va- rietà. Quanto alla consistenza basti pensare (è un dato che richiamo solo in questa prima audizione) che negli ultimi sei anni sono stati impegnati in missioni all’estero

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in media tra gli 8.000 e i 10.000 militari. Quanto alla varietà, quello che immedia- tamente colpisce è quanto siano cambiati i concetti di spazio e di tempo. Da un lato il fatto che l’area mediterranea estesa giunge oggi a comprendere Paesi dell’Asia Centrale, che per noi erano un tempo soltanto nomi esotici sulla carta geo- grafica; dall’altro il modo in cui alcune delle operazioni in atto si sono prolungate per decenni, nella costruzione di una sicurezza affidata alla durata. Il record in questo campo spetta alla United Nations Military Observer Group in India and Pa- kistan (UNMOGIP) che, sui ghiacciai e le montagne dell’Himalaya, vigila dal 1948 al rispetto di una tregua fra India e Pakistan per garantire il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Anche molte altre missioni hanno però una durata che è già di parecchi decenni. Persino la presenza nei Balcani, che sembra storia di ieri, copre ormai dieci anni nel caso della Bosnia e sette in quello del Ko- sovo. In questo caso, però, basta ricordare pochissimi dati per rendersi conto di quale sia il progresso compiuto. In Bosnia, infatti, la presenza di una forza di circa 7.000 militari si confronta, oggi, con un totale di circa 60.000 uomini che la NATO dovette mettere in campo nel 1996. Anche il Kosovo, poi, con l’inizio dei colloqui per la scelta del suo definitivo status politico, appare avviato ad una pro- spettiva di stabilità. Nel suo insieme, l’attuale situazione dei Balcani rappresenta un innegabile successo per la comunità internazionale. Si è, infatti, passati dalle stragi e pulizie etniche, che sono seguite al fallimento della Repubblica jugoslava, alla costi- tuzione di Paesi democratici che già fanno parte dell’Unione Europea, mentre altri aspirano ad entrarvi, prospettiva che costituisce lo stimolo più forte anche alla solu- zione dei problemi ancora aperti.

Signori Presidenti, Onorevoli parlamentari,

come già accennato, la nostra volontà di pace, la nostra ricerca attiva e comparte- cipe di una sicurezza comune sono guidate da motivi ispiratori ed inquadrate nel- l’ambito di decisioni storicamente condivise da tutte le forze politiche e dalla nostra opinione pubblica, e che sono divenute parte del patrimonio storico ed ideale del Paese. Questa volontà di pace, questa ricerca di sicurezza condivisa, che l’articolo 11 ha definitivamente scolpito nella nostra Costituzione, debbono tuttavia ogni giorno fare i conti con la realtà di un mondo che pacifico non è. Sappiamo come sotto la cenere della globalizzazione covino, esaltate proprio dalla dimensione fattasi anche essa globale, le tensioni di sempre, quelle nazionalistiche, quelle etniche, quelle reli- giose e quelle economiche. Tra le minacce del nuovo mondo, la lotta al terrorismo internazionale è certamente la prima sfida che siamo tenuti ad affrontare con gli altri Paesi europei all’interno delle Nazioni Unite e dell’Alleanza Atlantica. Il terro- rismo, infatti, nelle sue azioni più eclatanti, si è palesato con un’imprevedibilità tale da rendere spesso impossibile l’adozione di misure preventive. L’indeterminatezza, la globalità della minaccia e la complessità delle sue cause impongono una risposta co-

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rale con tutti gli strumenti disponibili nei campi della politica, della diplomazia, della cooperazione economica e culturale, dell’intelligence e, se necessario, anche con gli strumenti militari. Fatte queste considerazioni, è importante ricordare che l’Italia ha sempre attribuito alle Nazioni Unite un ruolo centrale per la ricomposi- zione delle crisi internazionali, privilegiando una politica preventiva di pace, volta a perseguire attivamente l’obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale. È dovere dell’Italia assumere in ambito mondiale tutte le responsabilità derivanti dalla sua condizione politica ed economica. Il contributo dato all’ONU è testimoniato dal costante sforzo di partecipare alle sue scelte collocandosi nell’alveo delle risolu- zioni del Consiglio di Sicurezza. Nel 2007 l’Italia, tornando a sedere come membro a rotazione nel Consiglio di Sicurezza, perseguirà il rafforzamento delle aggregazioni regionali in una logica multipolare e, di conseguenza, la loro rappresentatività nel Consiglio stesso. In primo luogo, ciò avverrà per l’Europa, i cui membri negli ultimi anni, con rare eccezioni, hanno mostrato una crescente tendenza a convergere nei diversi organismi dell’ONU. Tendenza che dovrà essere rafforzata con l’afferma- zione, nell’ambito del Consiglio europeo, di una più orientata politica estera e di si- curezza comune.

Signori Presidenti, Onorevoli parlamentari,

affrontare il tema delle linee di sviluppo della politica europea di sicurezza e difesa e della capacità dell’Unione Europea di prevenire o di gestire situazioni di crisi o di conflittualità al di fuori dei suoi confini significa guardare al rafforzamento del- l’Unione come entità politica. Riteniamo di dover proseguire nella direzione del raf- forzamento della politica europea di sicurezza e difesa in maniera complementare al- l’Alleanza Atlantica, che è e resta il fondamento della difesa collettiva del Continente. Il Governo ritiene che i progressi nella difesa comune rappresentino un impor- tante percorso politico da consolidare e rafforzare. Nella nostra visione non esiste e non può esistere alcuna frattura fra le due dimensioni, quella atlantica e quella eu- ropea, di una politica di sicurezza che è unica. Penso, comunque, di essermi già espresso su questo punto con sufficiente chiarezza anche nelle poche, ma significa- tive occasioni da me avute in questo breve periodo di Governo. Aggiungo che lo sviluppo armonioso della cooperazione tra Unione Europea e NATO, legate tra loro da uno stretto rapporto di complementarietà, costituisce l’obiettivo cui l’azione italiana dovrà sempre tendere. Sulla politica di sicurezza dovrà essere sempre più forte la convinzione che il progressivo consolidamento della politica europea di sicurezza e difesa deve contribuire anche a rafforzare il pilastro europeo della NATO, secondo una logica volta a valorizzare le sinergie e ad evitare le duplicazioni. A questo proposito, gli accordi «Berlin plus», che consentono l’ac- cesso alle capacità ed agli assetti NATO per la gestione delle crisi a guida europea, dimostrano come sia possibile puntare ad un vero e proprio partenariato strategico.

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Lo sviluppo di una capacità militare di reazione rapida a disposizione dell’Unione Europea è un obiettivo consolidato ed ha già consentito all’Europa di condurre mis- sioni di supporto alla pace. Per tale obiettivo il Governo continuerà a fornire il suo contributo nel solco del programma sottoposto agli elettori. Quanto all’Alleanza atlantica, le linee evolutive intraprese con l’Accordo di Washington del 24 aprile 1999, sanciscono il passaggio da un sistema di difesa comune ad un concetto di sicurezza collettiva per la difesa contro il terrorismo, caratterizzato dalla determinazione ad agire con fermezza ed a garantire il supporto alle iniziative dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e di eventuali coalizioni internazionali. Tali linee rappresentano il necessario adattamento dell’Alleanza alle nuove sfide, completato anche con l’adesione di nuovi Paesi. Al processo di ristrutturazione delle Forze della NATO, volto a dotare l’Alleanza di Forze altamente proiettabili, parlo della NATO Response Force, l’Italia, ottenuta la piena operatività del Corpo d’Ar- mata di Reazione Rapida di Solbiate Olona e del Comando navale di proiezione di Taranto, continuerà a mettere a disposizione i propri assetti specialistici. Oltre ad assecondare la vocazione globale dell’Alleanza, lo sviluppo di nuove capa- cità militari consentirà di valorizzare i molti punti di coesione ed i vantaggi reciproci che la NATO è in grado di offrire quale pilastro della difesa e della sicurezza collet- tiva e foro permanente di dialogo tra Stati Uniti ed Europa.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,

Europa ed America devono marciare insieme. Non vi sono alternative. Né vi pos- sono essere esiti diversi per questa e per quella crisi, anche se è doveroso riconoscere come in alcuni casi – quale ad esempio quello della guerra a Saddam Hussein – le divergenze possano essere state anche marcate. Il fatto che il Paese fosse sotto il controllo di una feroce dittatura non consente in- fatti, tuttora, di dimenticare come l’attacco venne portato in un contesto politico del tutto particolare e privo di una preventiva approvazione da parte delle Nazioni Unite. Non è comunque mia intenzione riepilogare le tappe della vicenda irachena. La nostra posizione è nota. Ricordo solo che la NATO è assente dall’Iraq salvo per i li- mitatissimi compiti, centrati sull’assistenza al Governo iracheno riguardo all’adde- stramento dei Quadri delle forze di sicurezza nazionale, che essa ha assunto a Ba- ghdad. Sottolineo poi come le deliberazioni dell’ONU abbiano solo seguito gli eventi, senza precederli né governarli. È allo stesso tempo evidente come la cornice internazionale che oggi legittima la missione strida con le modalità operative che, anche a seguito dell’intensificarsi delle azioni terroristiche, i Paesi presenti in Teatro con i contingenti più rilevanti sono stati costretti ad assumere. Azioni terroristiche, lo voglio ripetere ad alta voce, che l’Italia condanna senza condizioni, rinnovando lo

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sdegno per il criminale ed immotivato sacrificio di tanti innocenti cittadini iracheni ed altresì di tanti giovani soldati, tra i quali i nostri, ai quali ancora una volta va un commosso omaggio. Il processo che l’Iraq deve compiere per superare questa tragica fase della sua storia è lungo e difficile. Credo però che gli iracheni stiano veramente iniziando a «fare da soli», rendendo possibile il progressivo disimpegno delle forze straniere. La partenza di tutte le truppe straniere operanti nel Paese è del resto uno dei principali obiettivi che lo stesso nuovo Governo di Baghdad si è proposto sin dall’inizio del suo man- dato. Guardiamo così con compiacimento al progressivo rafforzarsi della autorità sta- tuale in quel Paese martoriato, nonché allo sforzo espresso da tutte le sue compo- nenti religiose ed etniche per trovare un punto d’accordo su cui investire l’azione del Governo. Le Forze Armate irachene stanno tra l’altro esprimendo livelli crescenti di capacità ed efficienza, come dimostrato proprio nei giorni scorsi da una serie di ope- razioni volte a riacquisire il controllo del territorio. È un cammino difficile, lento, ma è un cammino che procede. Il Governo ha di conseguenza deciso di portare a conclusione l’impegno militare in corso in Iraq e in particolare nella Provincia di Dhi Qar nel quadro della missione denominata «Antica Babilonia». Lo ha fatto nel rispetto del mandato ricevuto dagli elettori e sta ora valutando, con le altre parti interessate e con il legittimo Governo iracheno, quale possa essere il migliore calendario per il rientro dell’intero Contin- gente entro l’autunno. Un rientro che dovrà avvenire con un’attenzione costante alla vita e all’incolumità di tutti, nonché con modalità che consentano un trasferimento di competenze ordinato e che non determini quindi vuoti pericolosi di responsabi- lità e di potere. La conclusione della missione e il conseguente rientro non equivale tuttavia ad un disinteresse verso la situazione e la sorte di quel Paese. Continueremo ad essere presenti in Iraq con un ventaglio di attività che saranno prevalentemente civili, ma comprenderanno anche la partecipazione all’azione di formazione e addestramento dei Quadri militari della polizia, della quale ho fatto ri- ferimento prima quando ho parlato della NATO. Anche per quanto riguarda l’Afghanistan mi sono già espresso chiaramente in più occasioni. Voglio comunque sottolineare come, pur essendo pienamente consape- vole delle difficoltà che una simile decisione comporta, il Governo ritenga oppor- tuna e importante questa nostra presenza militare, che sostanzia la continuità di un impegno pienamente condiviso con tutti i nostri alleati. Come nei Balcani, in Af- ghanistan l’Italia è e si sente parte di uno sforzo che coinvolge l’intera comunità in- ternazionale, impegnando, sul piano della sicurezza e su mandato delle Nazioni Unite, Contingenti dell’Alleanza Atlantica in cui il peso della presenza europea è fortemente rilevante. Nel Teatro afgano la NATO sta mettendo alla prova la sua stessa identità e la sua capacità di operare su uno Scacchiere remoto con una visione

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globale, ponendo a disposizione strutture e forze per la costruzione di un disegno di ordine e di pace che sia gestito dall’ONU. In Afghanistan, infine, si è trattato fin dal principio di sconfiggere il terrorismo globalizzato di Al Qaeda e dei suoi alleati talebani, operando in un quadro di piena legalità e legittimità internazionale. Nel provvedimento appena varato dal Consiglio dei Ministri, del quale parleremo nei prossimi incontri, il Governo propone al Parlamento di continuare nel nostro impegno, assicurando una presenza di forze analoga per entità a quella dispiegata in passato e definita in modo da corrispondere agli impegni operativi che sono stati as- sunti dal nostro Contingente nel quadro dell’ISAF. Sappiamo infatti bene come per l’Afghanistan non esistano a tutt’oggi alternative reali e responsabili alla presenza in- ternazionale. Sappiamo inoltre altrettanto bene, e lo teniamo ben presente, come anche in Af- ghanistan vi siano elementi di preoccupazione che ci chiamano ad una vigilanza sul piano politico e su quello operativo. Una vigilanza che ci chiama ad un monito- raggio permanente che ci consenta di verificare con continuità il perseguimento e la perseguibilità degli obiettivi che giustificano la missione. Restiamo in ogni caso ben decisi a confrontarci con questi elementi di preoccupazione in un clima di con- fronto di idee e di totale condivisione, condivisione – ripeto – con i nostri alleati sia per quel che riguarda il piano della valutazione che delle determinazioni operative. Credo di avere il dovere di ripetere in Parlamento quanto ebbi a sostenere qualche settimana fa (alcuni di loro erano presenti) al Centro Alti Studi Difesa. Lo voglio ri- petere. Come per l’Iraq, muovendo dalla considerazione che l’alternativa a noi di fronte fosse un’alternativa secca tra permanenza e rientro, il Governo ha ritenuto di non poter prendere in considerazione l’ipotesi di un rientro a metà, che era stato ipotizzato in precedenza. Allo stesso modo in Afghanistan, dove a nostro parere il quadro dei riferimenti in- ternazionali e` profondamente diverso, il Governo ha deciso di proporre al Parla- mento di rimanere continuando ad assumersi la pienezza della responsabilità, poiché non ritiene di poter prendere in considerazione una permanenza a metà quale sarebbe quella che deriverebbe da un depotenziamento significativo degli im- pegni già assunti. II nostro parere è: o si rientra o si rimane. Non rientreremo a metà dall’Iraq. Non rimarremo a metà in Afghanistan. Rientreremo da Nasiriyah in modo responsabile, sicuro e concordato, ma rientreremo. Resteremo con la NATO nell’ISAF guidati da un atteggiamento vigilante e consapevole, ma resteremo. Ovunque gli alleati debbono sapere che potranno comunque far conto sulla nostra franchezza, sulla nostra lealtà e sulla nostra affidabilità. L’azione internazionale della nostra Repubblica si e` sempre dedicata al rafforzamento degli strumenti di con- trollo dell’uso della forza. Ciò significa che alcuni interventi, quelli che mirano a ri- pristinare condizioni di pace, sono e possono essere considerati giusti, mentre altri sono e possono essere considerati sbagliati perché mancavano di questo o di quel

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presupposto. Anche questo Governo intende esercitare il suo giudizio politico in questo senso. Traendo ispirazione dalle sensibilità e dalle tradizioni che hanno ali- mentato la nostra democrazia repubblicana, penso che sia utile e doveroso esplici- tare i criteri che dovremo adottare in futuro per valutare l’eventualità` di partecipare a nuove missioni inviando nostri soldati. Dovrà esserci una giusta causa per l’inter- vento, dovrà esserci la legittimazione della Comunità internazionale, dovrà esserci una ragionevole probabilità di successo e dovrà esserci proporzionalità sia nei fini dell’intervento che nei mezzi prescelti per riportare l’ordine.

Signori Presidenti, Onorevoli Parlamentari,

come ho già detto in attuazione della politica di sicurezza, le Forze Armate italiane sono impegnate in attività di presidio della sicurezza internazionale, con un sistema di intelligence ed allerta, ed in missioni di supporto alla pace in varie zone del mondo. Ciò ha comportato e comporta un significativo accrescimento dei tassi d’im- piego dei Contingenti militari. Se, come abbiamo visto, i militari impiegati variano ormai stabilmente attorno ad una media tra le 8.000 e le 10.000 unità, questo signi- fica, che ogni anno ne sono impegnati all’estero oltre 30.000 su base rotazionale. Oltre alle forze dispiegate all’estero, manteniamo in elevato grado di prontezza ul- teriori 3.000 uomini, unità navali e aerei per fronteggiare possibili emergenze della NATO e dell’Unione Europea. Parimenti, per particolari missioni, manteniamo in approntamento dispositivi di forze speciali e di intervento su lunga distanza. A tali Contingenti vanno poi ag- giunti i dispositivi destinati alla sicurezza interna per la sorveglianza di obiettivi sen- sibili, delle aree marittime e dello spazio aereo nazionale. Ciò richiede diverse decine di migliaia di uomini e mezzi che, molto spesso, forniscono un determinante con- corso nelle più disparate situazioni di emergenza. La portata delle operazioni in atto ed i programmi futuri rappresentano per la Difesa un grande impegno. Bisogna prendere atto di una realtà che vede l’Italia svolgere un ruolo importante nella proie- zione di stabilità e nella gestione delle crisi. Un impegno che deve essere sostenuto con un apparato militare moderno, integrato ed interoperabile con quello dei prin- cipali alleati e che rende necessarie scelte coerenti ed efficaci. In questo quadro, da più di dieci anni la Difesa ha avviato un processo di verifica e di razionalizzazione dello strumento militare nazionale. Conseguentemente, essa ha predisposto, in sin- tonia con i nostri alleati, un progetto che incide in maniera radicale ed innovativa in tutti i settori: dottrina, concetti operativi ed impiego delle forze, mezzi e materiali, processi formativi ed addestramento. Questo processo avrebbe dovuto consentire un sostanziale incremento di impiegabilità, efficacia e resa operativa di uno strumento militare al passo con i tempi. In definitiva, gli obiettivi della Difesa nel presente momento storico discendono dagli scenari internazionali e trovano fondamento nella legislazione nazionale. In

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particolare cito la legge n. 331 del 14 novembre 2000 che nel passaggio al professio- nale ha fissato precisi obiettivi anche in relazione al contributo dell’Italia alla realiz- zazione della «pace e della sicurezza, in conformità alle regole di diritto internazio- nale ed alle determinazione delle organizzazioni internazionali di cui l’Italia fa parte». Tali obiettivi, come già indicato in precedenza, derivano: per l’ONU per quanto concerne la disponibilità di Contingenti nelle operazioni di pace con i co- siddetti stand by arrangements, cioè le forze pronte a disposizione per l’impiego; per la NATO per l’implementazione della NATO Responce Force (Forza di Risposta della NATO); per l’Unione Europea per l’implementazione degli EU Battle Groups, al fine di conferire all’Unione Europea la capacità di condurre operazioni militari per la gestione delle crisi. Da ultimo, il conseguimento degli Helsinki Headline Goals 2010 (HHG 2010) e lo sviluppo di un nuovo elenco di capacità necessarie per soddisfare gli obiettivi politici e garantire una pronta ed efficace risposta alle si- tuazioni di crisi. Questi sono i tre ambiti di impegno. Di conseguenza, i compiti fissati per le Forze Armate sono i seguenti: la difesa degli interessi vitali del Paese contro ogni possibile aggressione (salvaguardare l’in- tegrità del territorio nazionale, comprese le acque territoriali e lo spazio aereo; la sicurezza e l’integrità delle vie di comunicazione; la sicurezza delle aree di sovra- nità nazionale e dei connazionali all’estero); il contributo alla gestione delle crisi internazionali (partecipazione ad operazioni di prevenzione e gestione delle crisi, al fine di garantire la pace, la sicurezza, la stabilità e la legalità internazionale, nel- l’ambito di organizzazioni internazionali: ONU, Unione Europea e NATO); il concorso alla salvaguardia delle libere Istituzioni e svolgimento di compiti speci- fici, in circostanze di pubbliche calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza. I compiti tracciati (dalla già citata legge n.331 del 2000) hanno dato l’avvio a una trasformazione delle Forze Armate verso un modello più ridotto in termini quanti- tativi, ma orientato a rispondere prontamente e flessibilmente ai diversi possibili scenari ipotizzati. I pilastri della trasformazione sono stati: la professionalizzazione, con un modello ridotto a 190.000 militari (112.000 dell’Esercito, 34.000 della Marina e 44.000 dell’Aeronautica); l’integrazione interforze delle componenti militari in grado di operare in modo unitario; l’interoperabilità` multinazionale, cioè la capacità di ope- rare con efficacia insieme ai nostri principali Alleati europei e transatlantici; la capa- cità di operare fuori dai confini nazionali per far fronte alle nuove missioni; la mo- dernizzazione qualitativa e tecnologica in settori strategici: dal comando e controllo alle comunicazioni, alle capacità satellitari, al trasporto strategico, alla mobilità, alla efficacia operativa, alla protezione e alla capacità di difesa nucleare, biologica, chi- mica e radiologica dei nostri reparti. I risultati di questa attività possono essere con- siderati in linea con gli obiettivi tracciati negli anni 2000. Tuttavia è da rilevare che questa opera di trasformazione, dovendo confrontarsi con le risorse disponibili, si è

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programmaticamente basata sulla situazione finanziaria stabilizzata nell’ultimo de- cennio. Ma nel corso dell’anno 2004 e` intervenuto un elemento di discontinuità che ha causato una brusca interruzione del processo. Le azioni di contenimento della spesa pubblica hanno causato un impatto significativo sulle attività di investi- mento e mantenimento della Difesa ed hanno focalizzato l’attenzione degli opera- tori militari sul superamento della contingenza, più che sul compimento della citata trasformazione. In realtà nell’anno successivo, e soprattutto con la finanziaria 2006, gli automa- tismi delle ultime operazioni di contenimento della spesa, applicati anche alla Di- fesa, si sono combinati con la particolare struttura del bilancio e del momento sto- rico. Questo ha fatto s›` che nel 2006 il Dicastero ricevesse oltre il 17 per cento in meno delle risorse ritenute necessarie al perseguimento degli obiettivi. Questo 17 per cento in meno si e` poi tradotto in un 40 per cento in meno sia nel settore del- l’investimento che in quello dell’esercizio. Il fenomeno si e` manifestato perché le spese del personale, influenzate dal passaggio al professionale e dalla loro natura di spese obbligatorie determinate per legge, hanno compresso le altre voci del bilancio, non protette da garanzie legislative. Nel triennio 2004-2006, pertanto, l’evoluzione dello strumento, per quel che riguarda la funzione difesa, ha visto un netto sbilan- ciamento verso un 72 per cento di spese per il personale e un residuo 28 per cento per le altre spese, rapporto assolutamente inadeguato a uno strumento militare mo- derno. Esso vede nell’aggiornamento tecnologico dei mezzi e nella capacità di loro mantenimento una componente essenziale. E` da rilevare altresì che nelle spese di esercizio, orientate al buon funzionamento dello strumento, sono comprese anche le spese di addestramento del personale, così che si giunge al paradosso di provvedere con ingenti costi al mantenimento in servizio di personale che vede decadere pro- gressivamente le sue capacità di impiego per questioni addestrative. Nonostante si proceda attivamente verso il modello a 190.000, la trasformazione e` ben lungi dall’essere compiuta. Esistono soprattutto difficoltà di ordine qualita- tivo, considerato come il tipo di preparazione richiesta al personale del nuovo mo- dello differisca notevolmente da quella prevista in precedenza. Si renderà quindi ne- cessario, in futuro, considerata anche la difficoltà e in alcuni casi l’impossibilita` di riqualificare il personale giunto nella fase terminale della carriera, procedere a mi- sure che consentano lo scivolo verso il collocamento a riposo. Esse interesseranno tanto il personale militare quanto quello civile del comparto e dovranno ovviamente essere realizzate nel massimo rispetto dei diritti acquisiti dai singoli. In tale contesto, al fine di compensare il sempre maggiore impegno dei militari in attività operative anche in ambito internazionale, occorrerà riavviare il processo di valorizzazione in termini qualitativi del personale civile per lo svolgimento di compiti di natura logi- stico-amministrativa ora svolti dal personale militare. Riguardo alle spese di investimento ed esercizio poi, due sono le questioni che pre- occupano: per l’investimento, gran parte delle risorse ricadono nel settore della no-

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stra industria ad alta tecnologia, che e` un elemento di forza del Paese e che ha re- centemente dimostrato di possedere caratteristiche di qualità e competitività signifi- cative; per l’esercizio, il passaggio al professionale ha dato origine a un insieme di operatori civili esterni specializzati a supportare le Forze Armate, sia nei settori sofi- sticati di mantenimento dei mezzi, sia in tutta una gamma di servizi esterni, prima assolti «autarchicamente» dalle Forze Armate. La carenza di risorse pertanto avrà conseguenze nel breve-medio termine sulle ca- pacità operative delle Forze Armate, ma ha già immediate conseguenze su chi sup- porta dall’esterno le Forze Armate: parlo delle imprese e delle società di servizi che vedono improvvisamente interrotto un rapporto di lavoro che stava integrando la realtà militare con tante altre realtà produttive e lavorative del Paese. Si stanno profilando, inoltre, nel settore dell’investimento oggettive situazioni di impossibilità a far fronte ad impegni contrattuali già sottoscritti e, nel settore del- l’esercizio, situazioni di discontinuità rispetto a servizi esterni già stabilizzati da anni. Per continuare il cammino tracciato, completare la trasformazione e garantire la sopravvivenza dello strumento sono indispensabili azioni correttive che ripristinino il corretto rapporto tra le spese che caratterizzano il bilancio della Difesa, indivi- duando strumenti legislativi ed accorgimenti gestionali che garantiscano un flusso di risorse costante e coerente con gli obiettivi. La forbice che si e` creata tra obiettivi e risorse e lo sbilanciamento tra spese di per- sonale e investimenti/esercizio sono problemi molto gravi che vanno affrontati in modo articolato, senza escludere anche una verifica puntuale degli obiettivi. Ma cer- tamente un decadimento traumatico di capacità operative e industriali non e` accet- tabile, anche per chi volesse agire in un’ottica di ridimensionamento. L’obiettivo a cui tendere deve essere quello di migliorare il rapporto perso- nale/spese Difesa dall’attuale 72 per cento per riportarlo nel più breve tempo possi- bile a 50 per cento e, in prospettiva all’ottimale 40 per cento, anche con dispositivi di legge che in parte consentano di superare l’attuale contingenza, in parte costitui- scano un cammino di legislatura per assicurare stabilità futura alle attività. Ciò con livelli di risorse che siano in linea con le effettive capacità del Paese, ma che allo stesso tempo non portino a perdere in modo irreversibile l’operatività` degli assetti in servizio, per mancanza di manutenzione, e a inaccettabili situazioni debitorie nei programmi internazionali. I rimedi, nell’oggettiva difficoltà di reperire le risorse necessarie, devono orientarsi anche su aspetti metodologici e gestionali. In particolare e` indispensabile che il bi- lancio della Difesa riceva attenzioni in linea con le sue peculiarità. Uno dei maggiori problemi che la Difesa affronta nel momento della razionalizzazione di bilancio, è la classificazione delle sue spese di esercizio come fossero pure spese correnti, discrezio- nali, facilmente assoggettabili a contenimenti senza gravi conseguenze. Le classifica- zioni derivano da standard consolidati europei, ma ciò non vuol dire che poi non si debba andare piu` a fondo ad analizzare la sostanza delle spese.

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Così, per la Difesa, la maggior parte di quegli oneri sono destinati al manteni- mento del suo ingente patrimonio di mezzi che, per loro natura di strumenti ad alta tecnologia, possono ricevere danni gravi e irreversibili, come sopra citato, da una mancata manutenzione. La discontinuità imposta nel 2004, senza che si tenesse pienamente conto delle conseguenze, ha certamente determinato un potenziale decadimento di molti mezzi terrestri, navali ed aerei che potrebbe compiersi a breve in assenza di interventi cor- rettivi. Sicuramente uno dei rimedi da inserire in futuro nelle attività di gestione è una particolare attenzione agli aspetti di mantenimento e alla protezione delle parti più delicate del budget ad esso dedicato, che, una volta fissato a livelli compatibili, non dovrebbe essere più variato. Pari stabilita richiedono le attività di investimento. La stabilità in questo settore si- gnifica tranquillità per le Forze Armate, ma anche tranquillità e ordinato procedere nelle attività delle nostre industrie ad alta tecnologia che, destinate ad operare in programmi molto spesso ultradecennali, soffrono molto per scompensi e disconti- nuità nelle risorse. Le nostre industrie, grazie alle loro indubbie capacità, sono inte- ressate ad attività di cooperazione dove la produzione integrata di sistemi costringe a lavorazioni sincronizzate che poi si riflettono nei flussi finanziari che le sostengono. Sono questi i flussi di investimento che devono avere delle certezze per dare ai nostri rappresentanti industriali il peso adeguato nei confronti dei corrispondenti europei e transatlantici. In questo settore la tecnica delle leggi mirate, che fissino con precisione obiettivi e allochino le risorse con pianificazioni a lungo termine, se pur con un certo grado di necessaria flessibilità, sembra essere un cammino da approfondire, anche per recu- perare la difficile situazione odierna. Un altro accorgimento, destinato principalmente al superamento della contin- genza, può essere l’adeguata gestione del patrimonio infrastrutturale della Difesa, al fine di avviare un ciclo virtuoso che permetta di cedere e rinnovare con operazioni congiunte le infrastrutture, secondo obiettivi in linea con la struttura finale. Un altro cammino, a cui desidero altresì fare solo un accenno, perché richiede un serio approfondimento, e` la possibilità di individuare forme di automantenimento di entità della Difesa che si prestino a ciò per le loro caratteristiche. Ad esempio, nel contesto delle attività riveste un significativo rilievo quella riguardante l’area tec- nico-industriale della Difesa, parte della quale e` affidata alla gestione dell’Agenzia Industrie della Difesa, appositamente costituita nel 1999 per consentire la revisione, la modificazione e l’ampliamento dei cicli produttivi di nove enti. In tale quadro, per tutte le strutture appartenenti alla suddetta area, anche quelle non gestite dalla citata Agenzia, potrebbe essere agevolata ogni forma di collaborazione pubblica-pri- vata per l’avvio di progetti di rivitalizzazione del settore, garantendo il livello occu- pazionale.

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In conclusione, l’armonizzazione delle spese per la Difesa, correggendo gli sbilan- ciamenti esistenti, ha non solo lo scopo di garantire il presente e il futuro alle Forze Armate, ma anche quello di integrarle perfettamente nel tessuto vitale e produttivo del Paese, facendo sì che le risorse assegnate al Dicastero costituiscano anche motore e incentivo economico a molte potenziali capacità di lavoro nel settore produttivo e in quello dei servizi. Consentitemi ora, quasi in chiusura del mio intervento, di richiamare, ancorché brevemente nel quadro delle linee finora svolte, i punti relativi alle politiche di di- fesa che la coalizione ora investita della responsabilità di governo ha sottoposto al voto degli elettori in adempimento della nuova legge elettorale. Oltre all’impegno assunto in riferimento alla missione irachena di proporre al Par- lamento italiano «il rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari,» – cito alla lettera – «definendone, anche in consultazione con le autorità irachene, le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite», il documento program- matico, depositato alla coalizione, proseguiva poi indicando tutta un’altra serie di punti che, pur non connotati dalla stessa urgenza della vicenda irachena, investono comunque problemi di grave momento, richiedendo decisioni spesso a lungo pro- crastinate e che non possono quindi sopportare ulteriori ritardi. Il primo è quello di riequilibrare la distribuzione delle Forze Armate sul territorio in funzione di nuovi parametri, come le mutate esigenze operative o gli imperativi con- nessi al reclutamento di personale volontario. Il documento recita testualmente «due sono le questioni fondamentali di cui dovremo tener conto: la nuova rilevanza geostra- tegica del sud del Mediterraneo e la necessità di una significativa ridislocazione di enti e reparti nel meridione italiano, nelle Regioni in cui si registra la quasi totalità del re- clutamento dei volontari». Da ciò la necessità di avviare al più presto un approfondi- mento al riguardo, interrogandoci sulla misura, i tempi e i modi di questa ridisloca- zione, in modo da tener conto di tutti i fattori che entrano in gioco, ivi compresa la disponibilità di risorse al fine di definire gli adattamenti da apportare al dispositivo. A titolo di esempio, si segnala il caso dell’Aeronautica, che, ragionando su questo obiet- tivo, ha già provveduto ad orientare più verso sud il proprio dispositivo operativo, ma ha ritenuto opportuno bilanciare questo cambiamento con una gravitazione più a nord del settore scuole. Questo perché, al di là e prima di tutte le considerazioni di ca- rattere occupazionale che possono essere fatte, vi e` da considerare come una simile gravitazione del reclutamento sia qualcosa che deve essere attentamente approfondita se vogliamo che le Forze Armate rimangano nel futuro, come lo sono state per il pas- sato, lo specchio e l’espressione di tutto il Paese. La progressiva identificazione del «sol- dato cittadino» con una sola parte del nostro Paese non potrebbe non porre nel lungo termine delicati problemi con i quali e` bene confrontarsi in tempo. Poste queste pre- messe resta però comunque chiaro come le esigenze di una difesa di massa impostata sulla frontiera nord orientale non siano certamente quelle di una difesa di élite, con- dotta da professionisti e che ha come scenario il mondo intero.

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Un piano di adeguamenti dovrà quindi necessariamente essere studiato ed adot- tato. Come già detto, la misura e le modalità di questa azione devono, però, essere ancora approfondite. Il programma si focalizza poi sul problema delle servitù militari, sottolineando come sia necessario pervenire ad una ridefinizione di tali servitù «che gravano sui nostri territori, con particolare riferimento alle basi nucleari». Libero subito da ogni possibilità di equivoco la seconda parte di questa affermazione: le cosiddette basi nucleari sono infatti basi concesse ad un altro Paese – nella fattispecie gli Stati Uniti – con un trattato internazionale. La Difesa non ha quindi la competenza per riporre in discussione argomenti che rientrano nella sfera di azione dell’intero Go- verno o, in particolare, in quella del Ministero degli Affari Esteri. Ciò non toglie però che, come già avvenuto nel caso de La Maddalena, il Dicastero debba e possa farsi parte diligente nel sollecitare e nel sostenere tutte le altre parti in causa, af- finché vengano avviate con prontezza le procedure necessarie a riduzioni e rilasci. Per quello che poi concerne le altre servitù vi e` da dire che molto del lavoro è già stato fatto in parecchie parti d’Italia grazie all’opera meritoria dei Comitati parite- tici regionali. Sopravvivono tuttavia casi abnormi di Regioni su cui, per motivi storico-geogra- fici, si sono cumulati negli anni oneri spropositati, determinando carichi sotto ogni aspetto eccessivi rispetto a quelli di altri soggetti maggiormente privilegiati. Il caso limite sempre citato e` quello della Sardegna, ove però da qualche tempo e` stata av- viata una revisione sulla base di criteri fissati congiuntamente. In ogni caso, la possi- bilità di rivedere l’intera materia in una nuova Conferenza nazionale e` in fase di esame e nulla osta, nel caso in cui ciò si riveli indispensabile, alla adozione di una si- mile soluzione. «Il terzo tema – recita il programma – e` quello delle risorse umane elemento cen- trale di ogni strumento militare» e continua indicando come la riforma della leva comporti «l’obbligo di investire anche nella formazione, nell’addestramento, nella tutela della salute, nella previdenza, nella casa di abitazione e negli alloggi di ser- vizio». Il punto che qui viene toccato e` un punto fondamentale in quanto più e prima che sulla tecnologia e` proprio sul personale che si basa la qualità dello stru- mento militare. Come indicato, i problemi connessi a questo punto sono molteplici ed io ho in ef- fetti già toccato parecchi di essi nel corso della mia esposizione. Qui vorrei però sot- tolineare almeno due concetti. Il primo consiste nella totale disponibilità a farmi ca- rico di questi problemi delineando nel minimo tempo possibile il ventaglio delle so- luzioni realizzabili. Il secondo si riconnette al fatto che ogni ipotesi di lavoro può tradursi in realtà soltanto allorché si dispone delle risorse indispensabili per realiz- zarla. Tutti questi problemi – e qui bisogna dirlo – hanno quindi in comune il fatto di essere destinati a rimanere problemi sino a quando le Forze Armate non potranno

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disporre di un adeguato bilancio, un problema che deriva certamente da quello della situazione economica attuale dello Stato. Ma non soltanto! Gli ultimi due punti del documento sono infine quelli riferiti alla rappresentanza nonché alla riforma della Giustizia Militare. Per quanto attiene alla riforma della Rappresentanza Militare, avviata nel corso della passata legislatura con l’estensione da tre a quattro anni del mandato dei rap- presentanti e la previsione della possibilità di concorrere per un secondo mandato senza soluzione di continuità, essa dovrà essere ripresa in esame per le ulteriori mo- difiche necessarie in funzione del mutato quadro organizzativo, ordinativo e funzio- nale delle Forze Armate rispetto alla fine degli anni Settanta, periodo cui risale l’at- tuale normativa. Si tratta di modificazioni che, pur tenendo conto del ruolo consultivo e proposi- tivo attribuito alla Rappresentanza Militare all’interno dell’ordinamento militare, il quale, conformemente anche agli orientamenti della Corte Costituzionale, esclude ogni forma di sindacalizzazione, pongono il problema del riconoscimento alla rap- presentanza e della regolazione di una forma di soggettività che chiama il Ministro ad avviare, dopo l’insediamento del Co.Ce.R., nel più breve tempo possibile un confronto al riguardo dei diversi modelli di rappresentanza. Altro argomento di rilevante interesse è sicuramente quello della riforma delle leggi penali militari e dell’ordinamento giudiziario militare, in funzione, in partico- lare, della ristrutturazione, della professionalizzazione e dell’ormai sistematico im- piego delle Forze Armate in operazioni internazionali. Al riguardo, nel riprendere le fila del discorso iniziato nella precedente legislatura, occorrerà tener debito conto delle problematiche emerse allora nel corso del dibattito parlamentare. Vorrei, in chiusura, richiamare la vostra attenzione su un punto che ritengo fonda- mentale e che consiste in quella che mi azzarderei a definire come «cultura della di- fesa». Ciò che noi facciamo, l’impegno quotidiano, la proiezione delle forze nel mondo, il rischio che e` sempre dietro l’angolo, l’idea di operare nell’ambito di un sistema paese e per il bene ed il consolidamento di tale sistema hanno valore sol- tanto se ed in quanto conosciuti e soprattutto condivisi da e con tutta la popola- zione. Soltanto così il «soldato cittadino» che indossa l’uniforme, porta le armi ed esprime per conto di tutti «la forza legittima contro la violenza ingiusta» può sentirsi espressione della Repubblica e sostenuto dai suoi concittadini. Parte di un tutto e non fuscello abbandonato o espressione di esigenze particolari o di valori non globalmente condivisi. In un certo senso, sino a tempi recenti la leva assolveva almeno in parte la funzione di legame fra il Paese e le sue Forze Armate, consentendo al primo di comprender e le seconde e ad esse di capire come stesse mutando la sensibilità del mondo che le esprimeva. Con la fine della leva, questo le- game si e` interrotto e si assiste ad un fenomeno di deriva in cui sempre di più i sol- dati rischiano di essere assimilati ad una categoria professionale come tante altre, e forse addirittura più isolata. E questo in un momento in cui la nostra società sembra

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avere la perniciosa tentazione di chiudersi in se stessa, e di segmentarsi secondo lo- giche corporative che impediscono di confrontarsi con problemi che richiedano grande respiro e ragionando sulla base di un «giorno dopo giorno» quanto mai egoi- stico e corporativo. Ad aggravare il quadro, appaiono altresì destinate a sparire, proprio a seguito della sospensione della leva, anche quelle Associazioni fiancheggiatrici – l’esempio mi- gliore è l’Associazione Nazionale Alpini – che svolgevano una meritoria opera di collegamento fra i due mondi. La funzione militare rischia così di ritrovarsi a sca- denza relativamente breve priva di quegli ancoraggi che le sono indispensabili. Per comprenderlo basta recarsi ad una qualsiasi riunione su temi di interesse militare e verificare come esse siano diventate fori riservati a poche centinaia di esperti e di ap- passionati che certo vanno crescendo di numero e di qualità, ma che rischiano di es- sere partecipi dello stesso isolamento del mondo che studiano e rappresentano. Sol- tanto in rare occasioni, come ad esempio il rifinanziamento delle missioni, il dibat- tito si anima accogliendo voci diverse. Vi è da rilevare però che, anche in questi casi, molto spesso alla passione di fondo ed al sincero interessamento per il problema trattato non corrisponde una visione chiara, completa ed articolata di quello che e` la Difesa del nostro Paese e degli oneri che essa comporta. Più spesso, poi, occorre prendere atto di come non esista ancora una strategia di lungo termine che fissi con competenza e piena conoscenza dei pro e dei contro il ruolo preciso da attribuire alla Difesa ed alla sua politica nel futuro. E` una lacuna che occorre colmare quanto prima possibile, tanto a livello delle forze politiche quanto a livello della opinione pubblica. Di sicuro si tratterà comunque di un processo lungo, di progressiva presa di coscienza, in connessione a quella idea di ruolo e di corresponsabilità del nostro Paese cui avevo fatto cenno in apertura. Un processo che non potrà non prendere le mosse dal luogo nel quale società e istituzioni sono chiamate per eccellenza a con- frontarsi attorno alle decisioni collettive: il Parlamento. Un processo, quindi, che dovrà necessariamente coinvolgere da oggi tanto voi quanto me.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,

spero che questo confronto sia qua oggi già iniziato. Nel ringraziarvi per la vostra pazienza e la vostra attenzione, rimango a vostra disposizione e vi assicuro il mio ri- spettoso ascolto.

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Sviluppi della situazione in Medio Oriente ed esiti della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 1701 dell’agosto 2006 Senato, 18 agosto 2006

La domanda che oggi è al centro della nostra attenzione è quella del «se» e non quella del «come», alla quale un Ministro della Difesa è chiamato più puntualmente a dar conto. Poche sono, perciò, le considerazioni che oggi posso aggiungere in ordine alla missione sulla quale ci ha introdotto il Ministro degli Affari Esteri per quanto ri- guarda le premesse, il significato e le finalità. In nome della verità che dobbiamo al Parlamento e al paese per quel che riguarda la dimensione militare, sento di dover in- nanzitutto riconoscere che essa si prospetta come una missione lunga, impegnativa, costosa e rischiosa; tuttavia, non per questo, meno doverosa. Sulla stampa, si è fatto riferimento alla categoria della «passeggiata»: non sarà una passeggiata. È un’espres- sione che tutti, da più parti, abbiamo usato. Alle parole del Ministro degli Esteri posso solo aggiungere che poche missioni come questa sono capaci di dar seguito in modo evidente al mandato iscritto nell’articolo 11 della nostra Costituzione, che ci chiama al ripudio della guerra attraverso iniziative attive al servizio della pace, sulla base della condivisione di un impegno e di una responsabilità, nel quadro delle orga- nizzazioni internazionali. Per questo, la consapevolezza della lunghezza dell’impegno, dei costi e dei rischi della missione non può e non deve fermarci nell’assumerci le no- stre responsabilità. Nello stesso tempo, proprio la determinazione ad assumerci le no- stre responsabilità, deve spingerci a ponderare, limitare e governare in modo realistico e prudente rischi e pesi impliciti nella missione stessa. Oggi è il giorno nel quale dob- biamo esprimere il nostro «sì», nel quale il Governo propone di rispondere «sì» alla partecipazione delle forze nazionali al rafforzamento della missione UNIFIL in Li- bano; un «sì» che formuliamo in risposta all’appello dell’ONU, un «sì» che espri- miamo guidati dalle scene di dolore, di sangue e di morte dei giorni scorsi e che an- cora ci interpellano dai teleschermi. È stato ricordato: 1.200 morti in un mese signi- ficano 40 morti al giorno, 40 vite perdute, 40 famiglie in lutto. Per questo, ci ricono- sciamo in questa tregua, una tregua di poco più di 100 ore, (erano le ore 7 di lunedì scorso), che ha risparmiato centinaia di morti, se la media fosse stata quella di 40 morti al giorno. Per questo, ci sentiamo impegnati, incondizionatamente impegnati, perché le ostilità ed il fuoco cessino e la tregua si trasformi in una pace stabile. Nelle

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prossime ore, ci applicheremo al «come» della missione (in queste ore, mentre ancora dormono oltre Atlantico, si lavora sul dettaglio riguardante le modalità della mis- sione) e al «come» della nostra partecipazione (ed è questo il tema di cui darò conto, in particolare, nella predisposizione degli strumenti preposti alla definizione di questo aspetto). Tuttavia, deve essere chiaro che, per noi, il «come» è a valle del «sì». Se è vero che la tregua ha già risparmiato centinaia di vite, non possiamo dimenticare che il ritardo del cessate il fuoco ha prodotto centinaia di morti. Ieri, i giornali ripor- tavano il pianto di David Grossman per la morte del suo Uri. Come restare insensi- bili di fronte al pianto di un padre, di tutti i padri e di tutte le madri che in questi giorni piangono da entrambe le parti i loro figli? È una domanda che non possiamo non porci, a cominciare dal Ministro della Difesa, se mi consentite, guidati dalla pre- occupazione del fallimento. Guai se dovessimo fallire! Per questo motivo, offrendo solo pochi elementi sulla dimensione militare della nostra partecipazione alla mis- sione in Libano, devo ricordare che il punto di partenza di ogni ragionamento è co- stituito dal fatto che la risoluzione n. 1701 dell’11 agosto, che si basa sulle precedenti risoluzioni n. 425 e n. 426 del 1978, definisce, di fatto, il nuovo intervento come un ampliamento e una ridefinizione della missione UNIFIL. Conviene rileggere l’acro- nimo: United Nations Interim Force in Lebanon. Lo ripeto: interim. È questo in- terim che avevo in mente, quando dicevo: lunga per il futuro, pensando alla lun- ghezza del passato. Ricordo che la missione UNIFIL è stata costituita con la risolu- zione n. 425 nel marzo del 1978 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a seguito dell’intervento di Israele in territorio libanese, in risposta all’aggres- sione di un commando palestinese avvenuta in territorio israeliano (una situazione non troppo dissimile da quella che è all’origine di questa nuova determinazione). Le successive risoluzioni hanno prorogato, con cadenza semestrale, la durata della mis- sione. Le prime truppe UNIFIL arrivarono nell’area nel marzo del 1978 (sono tra- scorsi 28 anni) e la risoluzione n. 425 indicava lo stretto rispetto dell’integrità territo- riale, della sovranità e dell’indipendenza politica del Libano entro i confini ricono- sciuti in campo internazionale e, conseguentemente, richiamava Israele a cessare im- mediatamente la sua azione militare contro l’integrità del territorio libanese e a riti- rare subito le sue forze da tutto il territorio. Lo ricordo per iscrivere questo impegno dentro una storia, non per attenuare l’impegno, ma per commisurarlo all’obiettivo che noi ci proponevamo. In quella occasione, tre erano gli obiettivi: ottenere il ritiro delle forze di Israele, ristabilire la pace e la sicurezza internazionale ed assistere il Go- verno del Libano nella ripresa della sua effettiva autorità nell’area. La missione UNIFIL, poi, si svolse, come tutti sappiamo, con variazioni nel tempo, sino a rag- giungere un massimo di 7 mila unità e ad approdare all’attuale dispiegamento di 2 mila unità che la definisce, attraverso un’azione che, tra l’altro, ha visto presenti e vede presenti ancora i nostri militari (abbiamo impegnati 52 militari e quattro elicot- teri di stanza a Naqoura, dove ha sede il Comando UNIFIL, con una serie di compiti che vanno dagli sgomberi sanitari alla ricognizione, ricerca e soccorso e al collega-

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mento tra il Comando UNIFIL e le dipendenti unità operative della forza, fino al- l’attività antincendio). La risoluzione n. 1701, che è stata da poco approvata, ri- chiama espressamente gli accordi che hanno portato alla costituzione di UNIFIL, ma, per quello che riguarda il piano sostanziale di competenza della Difesa, amplia l’area di intervento fino a interessare tutto il territorio tra la linea blu ed il fiume Li- tani; estende il mandato e la capacità di intervento in misura significativa e, pertanto, accresce il numero di militari impegnati, portandoli dai 2 mila attuali a 15 mila e, co- munque, in una misura che ci si attende nettamente superiore alla consistenza mai raggiunta in precedenza (lo ricordo per indicare i limiti totali dell’intervento nel quale dobbiamo operare le nostre scelte); in particolare, attraverso il combinato di- sposto del paragrafo 8 e dei paragrafi 11 e 12, in aggiunta al mandato di cui già di- sponeva UNIFIL nella prima fase, elenca una serie di obiettivi già ricordati dal Mini- stro degli Esteri nella sua introduzione. Possiamo solo dire che si tratta di un im- pegno consistente, volto al controllo del sud del Libano, in concorso e supporto del- l’Esercito libanese. Da una missione UNIFIL che aveva compiti di mera osserva- zione, si è passati ora a prospettare una forza con un profilo più attivo, chiamata ad operare affinché la pace sia conseguita e mantenuta. Per questo, il Governo italiano, consapevole dell’importanza di questa occasione, ritiene di chiedere al Parlamento la disponibilità del paese a condividere un impegno per la pace nel Libano, rafforzando la nostra presenza nella missione UNIFIL in modo determinante, in riferimento ai nuovi impegni attribuiti alla forza internazionale. Tuttavia, all’interno di questa di- sponibilità, ci sembra inevitabile isolare delle condizioni, che sono – come ho detto in apertura – condizioni «a valle del sì», condizioni che non riguardano la partenza, ma che assicurano l’arrivo, condizioni che riguardano quattro punti fondamentali, a partire dai quali noi definiremo le modalità dell’intervento. Il primo punto riguarda quello che viene chiamato – in un gergo che si va affermando – il concetto operativo, che le Nazioni Unite sono chiamate in questo momento a precisare, come sta acca- dendo, traducendo quegli elementi presenti nella risoluzione che tuttavia non sono immediatamente disponibili come strumenti normativi per i Comandanti che ope- rano sul campo. A valle di questo, vi sono le regole di ingaggio, che noi chiediamo siano chiare e rispettose del mandato e capaci di offrire ai comportamenti un riferi- mento sicuro per le scelte da adottare sul terreno. Il terzo problema, sul quale stiamo lavorando – non come chi attende e chiede una risposta, ma come chi partecipa al- l’elaborazione di una risposta, è rappresentato dalla catena di comando, che è pre- posta a questa nuova fase di UNIFIL e che dovrà confrontarsi con i problemi già re- gistrati in precedenti missioni svoltesi sotto il comando ONU, durante le quali non è stata resa disponibile per i Comandanti sul campo quella nitidezza nella individua- zione delle responsabilità e del mandato della quale hanno bisogno le missioni, af- finché la domanda forte che ad esse si rivolge si trasformi in una risposta efficace. Ul- tima questione, la partecipazione dei paesi che contribuiscono alla forza, che è ancora in via di definizione. Tutti e quattro i punti, per i quali noi ci sentiamo impegnati a

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condividere e sollecitare un chiarimento, costituiranno il quadro di riferimento nella definizione dell’intervento e della proposta, che noi sottoporremo, attraverso gli stru- menti normativi corrispondenti, al Parlamento, per tradurre il nostro «sì», che propo- niamo oggi, in un’azione che sia capace di perseguire e di conseguire gli obiettivi della missione stessa. Questo, però, deve avvenire avendo come riferimento – questi sono punti che posso dare per elementi sicuri – la consistenza della missione – inevitabil- mente condizionata dagli apporti degli altri paesi, che al momento non sono disponi- bili – nella consapevolezza che un paese come l’Italia deve, in senso relativo, rispon- dere ad una domanda già rappresentata nello svolgimento dell’iniziativa sino ad ora portata avanti, condividendone la responsabilità e mostrando la disponibilità ad asso- ciarla alla conduzione della missione stessa, qualora se ne determinassero le condi- zioni. Lo stesso si può dire per la composizione della missione, che deve essere inevi- tabilmente connotata dalla presenza di reparti capaci di corrispondere a quella do- manda di interposizione attiva che definisce il profilo della missione, con un riferi- mento certo ai requisiti previsti nello statuto dell’ONU dal capitolo VI, che in questa missione sono caricati di un’attesa ulteriore, che anticipa e prevede molti degli ele- menti del capitolo VII. Terzo punto: la capacità di dislocazione sul terreno del Con- tingente. Da questo punto di vista, la Difesa e lo Stato Maggiore lavorano, da una parte, per rispondere a quelle domande che noi consideriamo un requisito fonda- mentale per partire, dall’altra per far sì che la partenza avvenga il prima possibile. In dichiarazioni pubbliche, ho usato in forma provocatoria l’espressione « mezz’ora dopo », ma si tratta, evidentemente, di una immagine che rappresenta la nostra de- terminazione, guidata dalla consapevolezza che altro tempo non può essere lasciato allo svolgimento di una tregua che, se non accompagnata da comportamenti conse- guenti, potrebbe essere messa in discussione. Questi elementi, volti ad assicurare una presenza nella missione UNIFIL rafforzata, sono i riferimenti del Governo per l’arti- colazione in termini operativi della proposta che il Governo si augura di presentare il prima possibile, affinché le premesse individuate, delle quali oggi siamo chiamati a discutere a livello politico, abbiano delle conseguenze operative all’altezza delle stesse premesse. Svolgerò una breve considerazione conclusiva per la quale il termine replica è, per così dire, troppo impegnativo. Dal momento che questo è stato un punto attorno al quale, in parte, è ruotato il dibattito, non ho difficoltà a ripetere che la missione che si prospetta è indefinita e potenzialmente lunga, perché impegnativo è lo stesso obiet- tivo che si propone, cioè una pace stabile nell’area a difesa di Israele, Libano e Pale- stina. Sarà una missione inevitabilmente costosa, che presenta alcuni elementi di ri- schio e che perciò, nel suo insieme, sarà impegnativa. Questo è quanto ho affermato. Non posso non chiedermi che cosa sarebbe accaduto se avessi sottaciuto questi aspetti o, addirittura, li avessi sottovalutati, considerandola breve, poco costosa e, per così dire, tranquilla o non particolarmente impegnativa. Ho agito in questo modo per alcune semplici ragioni. Innanzitutto, non avrei potuto non raccogliere questi in-

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terrogativi, che attraversano il Paese al di là del rispetto dei confini di parte. In se- condo luogo, mi sembra doveroso per il Governo, per ogni Governo, nel momento in cui si avvia una missione militare, proporla alla più ampia condivisione pur muo- vendo da una ispirazione precisa. Abbiamo affermato e ripetiamo, infatti, che i pro- blemi di politica estera, pur impegnando la maggioranza che, inevitabilmente, deve dare conto della propria capacità di affrontare i problemi di Governo (e i problemi di politica estera sono problemi di prima classe per un Esecutivo), devono essere pro- posti anche alla condivisione dell’opposizione. D’altra parte, a questa impostazione, a questa ispirazione si è riferito anche il presidente Prodi nel momento in cui, formu- lando e approfondendo questi temi, ha avvertito la necessità e, direi, il dovere istitu- zionale di confrontarsi in tempo reale con il capo dell’opposizione, il presidente Ber- lusconi. Naturalmente ho aggiunto anche che questa missione è doverosa; lo ripeto, doverosa. Avrei potuto dire: « doverosa e tuttavia... »; invece, ho affermato, concreta- mente, il contrario. È doverosa e, consentitemi di affermare, in questo caso, anche giusta. Esiste, infatti, anche la categoria della giustezza e della giustizia, in base non ai nostri riferimenti particolari, ma all’unico criterio di giustizia che possiamo condivi- dere, cioè la Costituzione. L’articolo 11 della Carta fondamentale, infatti, non è un riferimento strumentale, quasi che questa norma sia una bandierina di parte. L’arti- colo 11 della Costituzione, come tutti gli altri articoli, fa riferimento al patto costi- tuente sul quale si fonda la Repubblica e presiede al tema della difesa, evidentemente. Questo è il motivo. Una volta affermato che la missione è doverosa, devo anche affer- mare che è immediatamente urgente. Questo è il punto: urgente. Su tale urgenza credo debba essere fondata la necessità di queste comunicazioni del Governo alle Commissioni riunite. Ho ascoltato domande con le quali si chiedeva per quale mo- tivo siano state convocate le Commissioni quando ancora sono in corso alcuni ap- profondimenti proprio sui temi che ho evidenziato. Ebbene, questi temi sono di grande rilievo. Da questo punto di vista, vi prego di considerare la cosiddetta « risolu- zione Ruffino », approvata nel gennaio 2001 dalla IV Commissione dalla Camera dei deputati, con la quale si è definito il procedimento decisionale che consente il coin- volgimento dei massimi poteri dello Stato – Governo, Presidente della Repubblica e Parlamento – nell’assunzione delle determinazioni inerenti l’impiego delle Forze Ar- mate. Nella risoluzione, che ha raccolto il consenso di tutte le parti politiche, è stata registrata una sequenza particolare in virtù della quale è richiesto al Governo, in base ad uno schema ben scandito, di informare e coinvolgere immediatamente il Parla- mento commisuratamente all’urgenza del tema oggetto delle sue determinazioni. La sequenza prevede che l’Esecutivo, dopo avere informato il Presidente della Repub- blica – cosa che è avvenuta e che è stata registrata dalle cronache pubbliche –, adotti le deliberazioni in ordine alla partecipazione alle missioni e ne informi entrambe le Camere, o anche una sola di esse, oppure le competenti Commissioni parlamentari, nel regime di autonomia costituzionale previsto dalla Costituzione per gli organi par- lamentari. Sulla base delle comunicazioni del Governo relative all’andamento della

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crisi ed alle iniziative intraprese, il Parlamento approva, in tempi compatibili con l’adempimento dei previsti impegni internazionali, le determinazioni da questi as- sunte. Questo è il motivo dell’urgenza, che nasce non da problemi politici, ma da problemi che noi deduciamo dallo svolgersi della situazione. Abbiamo sentito il do- vere, perciò, di darne informazione in tempo reale e di chiedere la convocazione del Parlamento nella forma più ampia possibile e più immediatamente disponibile. La «risoluzione Ruffino» prevede, altresì, che il Governo, acquisita la posizione del Parla- mento, possa emanare un decreto-legge per indicare la copertura finanziaria ed am- ministrativa delle misure deliberate o presentare alle Camere un disegno di legge di analogo contenuto. Successivamente, è previsto che il ministro della difesa attui le deliberazioni adottate dal Governo, impartendo le necessarie direttive al capo di stato maggiore della difesa. Questa è la sequenza condivisa per evitare che, di fronte a si- tuazioni di urgenza, le Forze Armate si trovino coinvolte in procedure e determina- zioni che non siano state precedute da un confronto in sede parlamentare. Questo, e solo questo, è il motivo che ha indotto il Governo ad accelerare. Noi speravamo – lo dico in nome della premessa – di disporre, già al momento di questa convocazione delle Commissioni riunite, di tutti gli elementi che inevitabilmente sono destinati a ricadere nell’ambito dello strumento legislativo, che si tratti di decreto-legge o di di- segno di legge. Al momento, il dovere che incombe sul Governo e che si impone, in una materia che necessita di un confronto il più ampio possibile, è quello di rendere una informativa sul fatto che lo svolgimento degli eventi non rende ancora disponi- bili tutti gli elementi necessari. Tuttavia, nel momento in cui siamo stati coinvolti in una dinamica d’urgenza, abbiamo dato corso alla convocazione delle Commissioni ed al confronto, svolto con una riflessione aperta che muove dal riconoscimento di alcuni problemi che collochiamo a valle del « sì ». È questo il problema dell’urgenza. Certo, vi è il conoscere per deliberare, ma vi sono vari tipi di « conoscere ». Vi sono vari livelli di conoscenza, ognuno dei quali comporta delle decisioni. Voi immaginate che la tregua sarebbe stata possibile senza la risoluzione? Noi possiamo non chiederci cosa succederebbe se per caso la dinamica di iniziativa di sostegno della tregua venisse meno sul campo? Sarebbe ininfluente? Per questo motivo, in questo contesto, sen- tiamo il dovere di proporci attivamente per sollecitare su tutti e quattro i punti iden- tificati (lo ripeto: interpretazione del mandato, regole di ingaggio, catena di comando e partecipazione alla forza), in modo tale che la dinamica che si è messa in moto non si arresti, poiché è questo ciò che potrebbe avvenire. Il Governo sente il dovere di proporre al Parlamento, nella sua massima estensione, un tema che avverte come una questione nazionale legata alla pace, in un contesto in cui l’interesse nazionale e quello della pace nel mondo sembrano coincidere. È questo il senso di tale iniziativa e dell’urgenza che la alimenta e, allo stesso tempo, è il senso della trasparente dichia- razione che riconosce l’esistenza dei problemi, a valle del riconoscimento della dove- rosità di una iniziativa, che è giusta e fondata nel patto costituzionale che guida la no- stra nazione, ovverosia l’articolo 11 della Costituzione.

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Intervento in Libano e rafforzamento del Contingente militare italiano nella missione UNIFIL Senato, 4 ottobre 2006

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori,

il rapporto di lealtà e di trasparenza che il Governo sente di dovere intrattenere col Parlamento mi chiama a descrivere nel modo più esauriente possibile le caratteri- stiche dell'attuale intervento italiano in Libano, sia per offrire una fotografia aggior- nata e - spero - chiara di cosa si è fatto e si sta per fare, sia per dar modo a Voi di ve- rificare la corrispondenza della nostra azione ai principi guida in materia di Difesa. A questo fine consentitemi perciò di spendere alcune parole per definire al meglio gli intendimenti del Governo in materia di Difesa, ed in particolare i principi guida della partecipazione italiana alle missioni militari all'estero. In questa sede possiamo limitarci a dire che compito della Difesa, in ogni Stato moderno inserito nel sistema delle relazioni internazionali, è quello di garantire la difesa del territorio nazionale, esercitando a tal fine e solo quando inevitabile l'uso della forza legittima. Come esplicitamente enunciato nell'Articolo 11 della nostra Costituzione, è inoltre compito dell'Italia adoperarsi fattivamente per il raggiungimento di un or- dine internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. A tal fine dobbiamo essere in grado di utilizzare le nostre risorse militari per af- frontare i pericoli che gravano sulla sicurezza nostra e del sistema internazionale in cui siamo inseriti. Questo ovunque la pace sia in pericolo ma innanzitutto nella regione nella quale la geografia e la storia hanno collocato il nostro Paese. Questo ci chiama a partecipare allo spegnimento degli incendi che divampano nel mondo ma innanzitutto a farci carico di quelli che divampano nei campi a noi vi- cini, guidati dalla consapevolezza e dalla preoccupazione che le fiamme non rag- giungano anche il nostro campo. Questo ci chiama a farci carico di questo spegnimento attraverso un impegno at- tivo multidimensionale, nel quale la funzione militare è pensata fin dall'inizio solo come una tra altre. A farcene carico mai guidati da una tentazione e da una pretesa

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solitaria ma, nel rispetto del dettato costituzionale, all'interno di quelle organizza- zioni internazionali alle quali, in condizioni di parità, il nostro Paese ha accettato di limitare la propria sovranità. Organizzazioni che sono per noi rappresentate innan- zitutto dalle Nazioni Unite, dalla Unione Europea e dalla NATO. Oggi, nella nuova realtà strategica in cui viviamo, uno dei pericoli maggiori è rap- presentato dalla profonda instabilità innescata dal progressivo decadimento delle ca- pacità di governo di alcuni Stati. Con preoccupante frequenza, assistiamo all'insorgere di conflitti interni agli Stati, in molte regioni del mondo, alcune molto vicine all'Italia. Attori non-statuali esercitano ormai la violenza su una scala di grandezza che era- vamo abituati ad associare solo agli Stati moderni ed alle loro Forze Armate regolari. Questi nuovi "attori", che potremmo definire "non istituzionali" giacché non rico- nosciuti dalla Comunità internazionale e dal diritto, sono tanto pericolosi quanto più riescono a sottrarre agli Stati il controllo del territorio, delle risorse e, soprat- tutto, il monopolio nell'uso della forza. Ecco allora che il ripristino dell'ordine internazionale passa sempre più spesso at- traverso la ricostruzione della capacità di governo degli Stati, indeboliti dai conflitti interni e dalla presenza di queste pericolose entità destabilizzanti. Lo strumento militare italiano può e deve operare in tal senso. Dobbiamo essere in grado di partecipare fattivamente alla difesa della stabilità in- ternazionale e per far ciò dobbiamo poter contribuire al ripristino ed al rafforza- mento delle capacità di governo, dei governi legittimi dove queste si fossero indebo- lite al punto di minacciare anche la stabilità regionale e internazionale. In questo quadro appare prioritario il dovere di sostenere quella pienezza del con- trollo della forza legittima esercitata all'interno del territorio nazionale che è il pre- supposto, lo strumento, e il corollario principale della statualità. Credo sia di immediata evidenza quanto tale premessa si possa applicare al caso del Libano - tanto più per la sua collocazione mediterranea - e più in dettaglio alla par- tecipazione italiana alla missione ONU lì operante. È in rispondenza ai principi prima richiamati che abbiamo deciso di sostenere con forza l'iniziativa internazionale volta a far cessare il conflitto, a stabilizzare la situa- zione ed a ricostruire un contesto politico in grado di garantire maggiore sicurezza, per il Libano come per gli Stati confinanti. Nel corso del mese di agosto, come ha già avuto modo di riferire il Ministro degli Esteri, il Governo ha operato intensamente guidato dalla preoccupazione di assicu- rare la massima coesione possibile fra i partner europei. Nel Consiglio degli Affari Generali straordinario dell'Unione Europea del 25 agosto, indetto su richiesta del- l'Italia, si è quindi delineato un generale consenso dei Paesi Membri verso la mis- sione in Libano. Ovviamente, in assenza dell'unanimità, l'azione non ha potuto configurarsi come una missione dell'Unione Europea. Del resto, a tutt'oggi, l'Unione Europea non di-

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spone di un proprio strumento militare, anche se il lavoro svolto in questo settore le consentirebbe già di mettere in campo - in presenza di una concorde volontà poli- tica - forze pari ad un corpo d'armata (il cosiddetto Head line goal) destinate ad operare sotto bandiera europea. Si tratta comunque di un settore in cui stiamo atti- vamente operando anche se i progressi sono più lenti di quanto sarebbe nei nostri desideri. Sono peraltro di ritorno dalla riunione informale dei Ministri della Difesa del- l'Unione Europea in Finlandia, dove ci siamo espressi intanto a favore dell'invio di una missione ricognitiva a Beirut volta a stabilire gli ambiti dell'intervento dell'UE nel settore della riforma della sicurezza. Pur in questo quadro, anche grazie alla nostra iniziativa politica molti dei nostri partner europei hanno comunicato la loro decisione di partecipare con forze sul ter- reno. Oltre alla Francia, che come noto era già presente in UNIFIL ed ha deciso un so- stanziale rafforzamento del Contingente, passando alle attuali 1.600 presenze circa, anche la Spagna ha definito una sua partecipazione, con l'invio di circa 1.000 militari. La Germania ha deciso l'invio di un dispositivo navale (unitamente a Bulgaria, Danimarca, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, Norvegia, Svezia, Turchia) che, inserito in ambito UNIFIL, andrà a sostituire l'attuale componente italo-francese. Il Regno Unito invierà importanti contributi, come assetti specializzati e molto so- fisticati per la sorveglianza aerea e navale. La Polonia raddoppierà la propria parteci- pazione, portandola a 500 militari; simile sarà la partecipazione del Belgio. La Finlandia ed altri paesi dell'Unione Europea stanno definendo il loro contri- buto sul terreno. In quella fase, il compito specifico della Difesa è stato quello di approntare e met- tere a disposizione un complesso di forze idoneo a dar seguito a questa iniziativa po- litico-diplomatica, a "dar sostanza" se così si può dire, all'impegno italiano. Lo abbiamo fatto con la necessaria vigilanza, per preservarci da rischi di natura po- litica e militare che potessero pregiudicare il raggiungimento dei nostri obiettivi e l'incolumità del nostro personale. Mentre continuavamo a predisporre lo strumento militare, facendoci carico delle richieste emerse in parlamento, il Governo ha condizionato la definizione della mo- dalità della nostra partecipazione al chiarimento su alcuni punti ritenuti cruciali che si riferivano a concetto operativo della missione e, a valle di questo, ad un rafforza- mento della catena di comando e ad una definizione più adeguata delle regole d'in- gaggio. Solo al termine di questa fase il Consiglio dei Ministri ha deliberato la partecipa- zione italiana alle operazioni, approvando il Decreto di finanziamento della mis- sione. Vediamo dunque quali siano stati questi elementi chiave e quali siano le soluzioni adottate effettivamente.

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In primo luogo, alcuni elementi sulla catena di comando. Le Nazioni Unite detengono il "controllo operativo" dell'operazione. Questo si- gnifica che l'impiego effettivo del Contingente militare italiano - al pari ovviamente di quanto avviene per tutti gli altri Contingenti - è deciso dalle Nazioni Unite. Significa anche che quella in atto in Libano non è una missione militare "italiana", bensì una missione delle Nazioni Unite, a cui l'Italia fornisce una parte - peraltro consistente - di personale e mezzi. Ho parlato di "controllo operativo", non di "comando". Il "comando" è e rimarrà sempre nazionale; quindi sotto la nostra completa responsabilità. In pratica ciò significa che le forze che l'Italia ha fornito per l'esecuzione della mis- sione in Libano potranno essere impiegate solo all'interno di limiti ben precisi, cioè nel rigoroso rispetto del mandato. Non ci siamo però accontentati di questa pur fondamentale forma di cautela. Abbiamo agito d'iniziativa e con vigore per far sì che la catena decisionale delle Na- zioni Unite fosse adeguatamente potenziata ed in grado di risolvere prontamente i problemi di natura operativa che inesorabilmente si presentano in simili circostanze. Più volte nel passato, anche in circostanze in cui non erano coinvolti direttamente Contingenti militari forniti dall'Italia, tale catena di comando ha presentato ele- menti di vulnerabilità che hanno messo a rischio l'efficacia delle operazioni e la sicu- rezza del personale. Abbiano pertanto chiesto e ottenuto che fosse istituita presso le Nazioni Unite una "Cellula strategica", all'interno del Dipartimento delle Operazioni di manteni- mento della pace. Tale organismo sarà fondamentale per assicurare al Comandante di UNIFIL in Li- bano un punto di riferimento chiaro e autorevole al "Palazzo di vetro" di New York. La Cellula strategica potrà così prendersi carico direttamente delle relazioni con i massimi responsabili delle Nazioni Unite, presentando al meglio l'evolversi della si- tuazione sul campo e supportando le decisioni politiche con un'adeguata compe- tenza tecnico-militare. A capo di tale Cellula strategica è stato chiamato un Ufficiale italiano. Non era, questa, una condizione che noi avevamo posto per deliberare la nostra partecipazione in UNIFIL. Nondimeno, la decisione dell'ONU ci fa molto piacere, perché rappresenta un esplicito riconoscimento del ruolo dell'Italia in questa deli- cata missione. Ad oggi la Cellula sta già operando, ancorché non a pieno regime. Mancano an- cora i componenti di alcuni Paesi. Il problema è in via di definizione a cura del Se- gretario Generale Kofi Annan. Il Responsabile, Generale di Corpo d'Armata italiano Giovanni Ridinò, nominato il 25 settembre scorso ha ultimato le ricognizioni in Teatro ed è insediato a New York. Esso è stato scelto nel rispetto delle procedure previste dalle Nazioni Unite a par- tire da una terna presentata con la massima tempestività possibile dal nostro Go-

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verno, una terna di Ufficiali tutti ritenuti qualificati a ricoprire l'incarico ancorché caratterizzati da profili professionali diversi. La terna composta oltre che dal Gene- rale Ridinò della Forza Operativa di Difesa del Nord, dal Generale di Corpo d'Ar- mata Fabrizio Castagnetti, Comandante del nostro Centro Operativo Interforze, e dall'Ammiraglio di Squadra Claudio Maria De Polo, Comandante del Diparti- mento Militare Marittimo dell'Adriatico. Circa il Comando della Forza dispiegata sul terreno, ovvero il Comandante destinato ad esercitare il già ricordato "controllo operativo" di tutti i Contingenti nazionali che operano sotto la bandiera dell'ONU, tale posizione sarà ricoperta fino al febbraio del 2007 da un Generale francese, come peraltro già previsto dalle regolari turnazioni programmate prima dello scoppio della nuova crisi. Dopo quella data l'Italia potrebbe essere chiamata, secondo una attesa consolidata, ad esprimere il Comandante della Forza. Valgono anche in questo caso le stesse con- siderazioni che ho già espresso con riferimento al Comando della Cellula strategica. La nostra attenta vigilanza si è poi spinta a richiedere delle "regole d'ingaggio" per il Contingente sul terreno che fossero chiare ed adeguate alla missione. Per "regole di ingaggio" si intende quello strumento procedurale che serve alle forze sul campo per uniformare i comportamenti, in particolare di fronte a situa- zioni improvvise e impreviste, quando non sia possibile arrivare alla normale linea di comando. Abbiamo chiesto e ottenuto che l'autorità politica responsabile - in questo caso l'ONU - dettasse regole d'ingaggio tali da consentire alle autorità militari di tra- durre in codificazione operativa concreta e fattibile le linee di indirizzo date alla missione. Concedetemi di mantenere un doveroso riserbo sui dettagli di queste regole. La codificazione dei comportamenti dei militari in operazione è per sua natura al- tamente riservata; la sua conoscenza da parte di elementi ostili può infatti costituire un grave elemento di svantaggio a livello tattico, quindi di pericolo per le nostre truppe. Per quel che mi è possibile riferire ritengo che si debbano fornire alcuni spunti es- senziali al fine di chiarire al Parlamento tutti gli aspetti fondamentali della missione e sciogliere eventuali dubbi in proposito. In primo luogo, come è logico che sia, i nostri militari in Libano dovranno eserci- tare l'autodifesa, proteggendosi adeguatamente ed utilizzando la forza in modo pro- porzionato alle circostanze, in caso di attacco o anche nel caso di imminente at- tacco. Sarà il Comandante sul terreno a decidere tali reazioni, come è giusto che sia durante l'esecuzione di una operazione a carattere militare. Per ciò che attiene all'esecuzione della missione attribuita alla Forza dell'ONU in Libano, le regole adottate prevedono che sia consentito l'uso della forza contro chiunque tenti di impedire ad UNIFIL di espletare i propri compiti o tenti di limi- tarne la libertà di spostamento.

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È consentito l'intervento attivo anche nel caso sia messa in pericolo l'incolu- mità della popolazione civile. Pertanto l'UNIFIL potrà agire con i mezzi a dispo- sizione per impedire che qualsiasi attività ostile venga effettuata nell'area di com- petenza. La dinamica di un eventuale incontro nella propria area di competenza di Unità UNIFIL con personale armato non facente parte delle forze regolari libanesi passerà quindi - qualora le circostanze lo consentano - attraverso le fasi di identificazione, di intimazione a deporre le armi e a sottoporsi agli accertamenti necessari, di sequestro di tutti gli armamenti indebitamente detenuti e di eventuale detenzione del perso- nale coinvolto. In tutte queste fasi sarà determinante il ruolo svolto dagli Ufficiali di collegamento libanesi. Questo genere di operazioni, qualora dovesse effettivamente verificarsi, deve essere inquadrato nella giusta prospettiva, vale a dire quella di un'azione prevista dal man- dato delle Nazioni Unite, sotto la responsabilità di UNIFIL e svolta non autonoma- mente ma in supporto alle forze libanesi. Dobbiamo sempre ricordare che il Libano è uno stato sovrano, riconosciuto come tale dalla comunità internazionale e - ovviamente - dal nostro paese. La difficoltà nel controllare il proprio territorio è emersa come uno degli elementi di maggiore criticità per la sicurezza interna e regionale. Tuttavia, ciò non ci consente di sostituire il Governo libanese e le sue forze regolari nell'esercizio della sovranità. I militari italiani assegnati ad UNIFIL opereranno per- tanto a favore delle forze regolari libanesi, sostenendole in ogni modo, affinché queste possano riacquisire il controllo del territorio e riaffermare la piena autorità dello Stato. Tornando a quanto fatto nelle scorse settimane, mentre procedeva la discussione politica diplomatica relativamente alla catena di comando ed alle regole d'ingaggio, la Difesa ha provveduto ad approntare un primo contingente di intervento, ed a mantenerlo al più alto grado di prontezza. Grazie a questa predisposizione si è pertanto riusciti a dispiegare nel Teatro di ope- razioni - comprendente la fascia meridionale del Libano e le acque territoriali e in- ternazionali prospicienti - un primo Contingente militare, caratterizzato da elevata flessibilità e totale autosufficienza. Per questa funzione di "early entry force" si è scelto di impiegare la "Forza di Proiezione dal Mare", costituita congiuntamente da Unità della Marina e dell'Esercito. L'impiego delle nostre forze anfibie è stato premiante sia dal punto di vista mili- tare che politico strategico. Da un lato, infatti, siamo stati in grado di raggiungere in brevissimo tempo il Teatro d'intervento e di iniziare ad operare, aggirando tutti gli ostacoli logistici che sarebbero esistiti qualora noi avessimo dovuto far ricorso alle infrastrutture locali, pesantemente danneggiate dai bombardamenti.

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Non si è trattato di una prova di efficienza fine a se stessa, ma di una ponderata de- cisione che ci ha consentito di far materialmente partire la missione, entro i tempi strettissimi che erano stati richiesti dalle Nazioni Unite, ovvero entro il 2 settembre. In tal modo, abbiamo dimostrato con i fatti che l'impegno delle Nazioni Unite a favore della pace in Libano, e l'impegno dell'Italia in tale quadro, non si esauriva certo in una dichiarazione di intenti. In termini politico strategici, quindi, sia il Governo di Beirut che quello di Tel Aviv hanno ricevuto un segnale forte e chiaro sulla serietà con cui la comunità inter- nazionale stava procedendo. Parallelamente, la disponibilità di una componente navale ha permesso di avviare una cruciale operazione di controllo dei traffici marittimi diretti verso il Libano. Il 5 settembre il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha chiesto a Italia e Francia un concorso al controllo delle acque libanesi. A partire dal giorno 8 settembre, la nostra Marina ha iniziato ad operare per il mo- nitoraggio dei traffici commerciali ed il contrasto a quelli illeciti, in cooperazione con la Marina francese e con l'accordo del Governo libanese. Tale azione ha indotto quindi il Governo israeliano alla rimozione del blocco na- vale imposto al Libano. Grazie a questo è ripresa la pesca e la navigazione la cui in- terruzione aveva messo in ginocchio l'economia libanese. Ad oggi le navi mercantili entrate nei porti sono più di 190. Una unità delle Capitanerie di Porto dal 20 settembre 2006 sta inoltre operando in zona costiera immediatamente a Sud di Beirut conducendo una attività di boni- fica antinquinamento del mare in concorso al Ministero dell'Ambiente. La forte iniziativa italiana ed il largo consenso in ambito europeo ha prodotto im- portanti effetti anche verso altri paesi, non facenti parte dell'Unione. Infatti, a fronte dello stallo iniziale che faceva paventare il rischio di fallimento del- l'iniziativa internazionale, nell'arco di poche settimane numerosi altri paesi hanno infine aderito alla missione. La Turchia, fondamentale alleato nella NATO e paese cardine per la sicurezza del- l'area, ha deciso di inviare almeno 1.000 militari. Altri paesi, geograficamente più distanti, stanno inviando nuove forze; è questo il caso anche della Cina, che interviene così per la prima volta con un Contingente di rilevante consistenza, sottoposto all'autorità delle Nazioni Unite. La Russia, altro paese Membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Na- zioni Unite, sta decidendo una sua partecipazione. Questo progressivo incremento del numero e della rappresentatività geografica dei paesi coinvolti nella missione, unito all'aumento delle forze militari complessiva- mente disponibili, rappresenta una delle migliori garanzie per il continuo sostegno internazionale nel medio e lungo periodo. Ad oggi, ha comunque già conseguito un primo importantissimo obiettivo: il ri- tiro da parte di Israele delle proprie truppe in Libano. Permettetemi ora di illu-

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strarVi quanto i nostri militari inseriti in UNIFIL stanno attualmente facendo nel Teatro d'intervento. Stiamo conducendo un numero via via crescente di pattugliamenti, diurni e not- turni, in tutta l'area sotto la nostra diretta responsabilità. In tal modo, sorvegliamo il territorio e rendiamo visibile la presenza dell'UNIFIL. Le ricognizioni hanno anche il fine di individuare e distruggere ordigni esplosivi rimasti sul terreno, che rappresentano come ben noto una costante minaccia, per i militari come per i civili. Il genio sta anche operando per migliorare la mobilità delle nostre forze e per in- crementare la protezione delle nostre basi. L'unità di difesa nucleare - biologica - chimica svolge ricognizioni per assicurare l'assenza di rischi di tale natura, ma è stata anche chiamata a bonificare aree abitate dai civili e rese insalubri per la presenza di animali in stato di decomposizione. Mi preme poi sottolineare come sia già materialmente iniziata l'opera di supporto alle Forze Armate libanesi. I collegamenti con l'Esercito libanese sono costanti e divengono ogni giorno più stretti. Con la Marina, si stanno conducendo le prime forme di cooperazione, mediante l'esecuzione di semplici esercitazioni congiunte. In sostanza, abbiamo già iniziato a sostenere le forze locali, affinché recuperino le loro capacità e possano quindi esercitare appieno la sovranità dello Stato. Non si tratta ovviamente di un processo che potrà esaurirsi nel breve periodo. Siamo perfettamente consapevoli, infatti, che se la tempestività dell'azione italiana è stata premiante, ora dobbiamo attentamente pianificare la prosecuzione della mis- sione. Mentre il nostro primo Contingente di intervento si apprestava a partire, la Difesa avviava la predisposizione delle forze necessarie a sostituire nel tempo il Contin- gente dislocato in Teatro, in modo da dare continuità all'operazione. È stata pertanto già organizzata una seconda componente operativa, definita tecni- camente "follow-on force", che fra poche settimane sostituirà quella attualmente operante in Teatro e giunta con i mezzi anfibi. Se il nostro primo Contingente era caratterizzato dalla rapidità d'intervento e dalla totale autosufficienza, la forza che seguirà sarà più robusta, cioè con una serie di as- setti specializzati che permetteranno di incrementare l'efficacia delle operazioni. Dispiegheremo un complesso di mezzi blindati ruotati, per la continua perlustra- zione dell'area sotto la nostra responsabilità. Altri mezzi, cingolati e maggiormente protetti, garantiranno maggiore flessibilità d'impiego su terreni accidentati ed in situa- zioni ad alto rischio, nonché un'adeguata capacità di reazione in caso di azioni ostili. Sarà adeguatamente potenziata la componente del genio, i cui mezzi opereranno sempre più a favore della popolazione locale, coadiuvando le iniziative per il ripri- stino della viabilità.

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Un'apposita unità si occuperà della cooperazione con le Istituzioni e le organizza- zioni civili e non-governative, in modo da accrescere l'incisività dell'azione del Con- tingente e favorire la ripresa della vita economica e sociale. In breve, stiamo pianificando - e abbiamo in parte cominciato a condurre - un'ampia serie di iniziative, tutte rigorosamente ancorate al mandato dell'UNIFIL, affinché la missione abbia successo, la sovranità del Libano sia pienamente ripristi- nata, la sicurezza regionale sia ristabilita. Concludendo, l'azione del Governo è basata su tre solidi pilastri. Primo, la chiarezza dei fini, la chiarezza cioè sugli obiettivi da raggiungere. In materia di Difesa, intendiamo concorrere alla pace e alla stabilità internazio- nale, per favorire un ordinamento teso al raggiungimento di condizioni di pace e di giustizia. Intendiamo sostenere perciò le organizzazioni internazionali che operano in tal senso. Riteniamo che la Difesa debba giocare un ruolo importante nel sostegno alla so- vranità degli Stati, quando questi siano indeboliti da situazioni di crisi e conflittua- lità create anche da attori non statuali. Il secondo principio che regola l'azione del Governo è quello della messa in campo di mezzi adeguati agli obiettivi. L'azione della Difesa, nel caso del Libano, è in tal senso particolarmente significativa. Riteniamo che il Paese abbia agito con tempestività, flessibilità ed efficacia, ponde- rando attentamente i rischi, ma agendo con coraggio e risolutezza quando ciò era necessario. Garantiremo nel tempo il sostegno alle nostre forze assegnate all'ONU, per avvicinare nel tempo l'obiettivo finale della pace nell'area. Infine, "capacità di governo" per noi è sinonimo anche di capacità di "gestione degli eventi". Ciò implica una seria analisi preliminare dei rischi e delle conseguenze delle nostre scelte, un'adeguata pianificazione e condotta delle operazioni, una ra- pida capacità di reagire agli imprevisti, siano essi di ordine politico strategico o pret- tamente militare. In questo, la Difesa è oggettivamente facilitata dalla disponibilità di una grande esperienza, accumulata negli anni e ormai patrimonio professionale dei tanti nostri militari che si stanno prodigando in diverse regioni del mondo, tormentate da con- flitti di ogni natura. È con la forza di questi principi che ci presentiamo a Voi e al Paese. Spero di essere stato esauriente, ma rimango ovviamente a vostra disposizione per ogni ulteriore chiarimento.

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Dotazioni del Contingente militare italiano impegnato nella missione ISAF Senato,15 maggio 2007

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e colleghi Deputati,

come credo sia noto, pochi giorni orsono ho condotto una visita in Afghanistan per incontrare sia il nostro personale lì operante, sia le autorità afgane e i principali re- sponsabili della missione della Comunità internazionale. La visita era certo ispirata al dovere di rappresentare visibilmente al nostro Contingente l’interesse e la vicinanza del Paese, assieme all’apprezzamento per lo svolgimento della missione che a loro è stato affidata dal Parlamento della Repubblica. Il suo intento immediato era tuttavia quello di portare a termine l’istruttoria avviata dal Governo per dare attuazione ai vari ordini del giorno approvati da entrambi i rami del Parlamento, con il fine di assi- curare ai nostri soldati tutte quelle misure che si rendessero necessarie per farli ope- rare al meglio e nella massima sicurezza nello svolgimento dei compiti assegnati. Sono qua, appunto, per dare conto di questa istruttoria. Poiché immediatamente prima della mia visita in Teatro, all’interno della regione Ovest, che è sotto la respon- sabilità di un Comandante italiano, si erano verificati degli scontri che avevano ma- lauguratamente provocato la morte di decine di civili innocenti, al primo obiettivo della visita si è aggiunto quello di accertare direttamente la dinamica degli eventi e di incontrare i massimi responsabili della missione militare in Afghanistan, nonché poter acquisire direttamente dalle autorità afgane, dal mio collega Ministro della Di- fesa e dallo stesso Presidente Karzai, un giudizio sulla situazione corrente e sulle mi- sure da adottare per il futuro. In questa sede, così autorevole, desidero in primo luogo affermare con orgoglio quanto l’operato dei nostri militari sia unanimemente apprezzato, da parte di tutti gli interlocutori con cui ho potuto avere un colloquio. Essi stanno dimostrando elevatissime capacità professionali e una straordinaria adat- tabilità che consente loro di operare in un contesto ambientale oggettivamente cri- tico. Alla loro guida si trovano comandanti eccellenti, che possono godere della no- stra completa fiducia in virtù delle loro qualità civiche, professionali ed umane. Questa doverosa premessa non deve essere intesa come una pura clausola di stile, bensì come un reale elemento informativo a vantaggio del Parlamento e dell’Italia tutta. È importante ricordare come, in un paese tanto lontano, da anni, migliaia di cittadini italiani in divisa si stiano avvicendando senza soluzione di continuità, affer-

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mando con il loro operato i valori che sono patrimonio del nostro popolo, quei valori solennemente sanciti nella nostra Carta costituzionale. Passando quindi all’esposi- zione, anticipo che l’informativa da me resa in questa sede, intende dare ampia infor- mazione circa la situazione attuale in Afghanistan, le tendenze in atto, i compiti del nostro Contingente e della missione ISAF nel suo complesso. In questo quadro af- fronterò infine specificamente il tema dell’invio di equipaggiamenti aggiuntivi, tesi ad adeguare le misure di protezione operativa per le nostre unità.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,

quando si parla dell’Afghanistan è inevitabile che la nostra attenzione sia attratta in- nanzitutto dalle patologie che connotano la situazione attuale di quel paese. Nella co- lonna degli eventi vi sono i morti, i feriti, gli attentati, gli incidenti, la coltura del pa- pavero, la criminalità; nella colonna dei costi, le risorse impegnate, il personale e i mezzi impiegati, le azioni, le regole. È comprensibile che questo avvenga. Queste sono le regole che governano le notizie e le nostre preoccupazioni. È soprattutto ine- vitabile, considerato che siamo chiamati, che sono chiamato, come oggi in questa sede, da Ministro della Difesa a dar conto della sicurezza, e perciò della insicurezza. Se ci si limitasse solo a questo aspetto dell’analisi, sarebbe tuttavia difficile poter com- prendere correttamente la situazione afgana, così come accadrebbe peraltro per ogni paese, a cominciare dal nostro. In particolare, del tutto incomprensibile sarebbe l’analisi della situazione se ci si limitasse ad un’istantanea che registra il presente, pre- scindendo da un sia pur sommario riferimento alle condizioni di partenza, ossia a un periodo che, per semplicità, noi collochiamo al 2001, ovvero al termine del dominio talebano e all’avvio delle operazioni di stabilizzazione e ricostruzione ad opera della Comunità internazionale. È difficile anche solo immaginare il livello abissale in cui quel paese era precipitato, dopo decenni di guerra guerreggiata e governo dispotico. Virtualmente ogni parametro usualmente adottato per misurare l’indice di sviluppo di un paese era, nel caso dell’Afghanistan, agli ultimi posti nelle classifiche mondiali. Sanità, educazione, infrastrutture, legalità, diritti umani e civili erano ai minimi ter- mini, oppure semplicemente non misurabili giacché inesistenti. Questo per non par- lare di quello che credo debba essere considerato il tratto più pesante della società af- gana di allora: la condizione femminile. Oggi, a distanza di appena sei anni da quel fatidico 2001, tutti i parametri a cui ho accennato sono in costante crescita, attenta- mente monitorati da numerose organizzazioni non governative e dalle stesse Nazioni Unite. In un recente rapporto dell’UNAMA, cioè della missione di assistenza all’Af- ghanistan delle Nazioni Unite, si legge che oggi l’83 per cento della popolazione ha accesso a una forma di assistenza sanitaria contro il 9 per cento del 2004. Negli ul- timi tre anni oltre 4.000 strutture sanitarie sono state aperte in tutto il paese; 4.800.000 afgani sono ritornati nel loro paese negli ultimi anni, segno inequivocabile di come, pur in un contesto tutt’altro che stabilizzato, esista una chiara percezione di

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un netto cambiamento rispetto al passato, di prospettive per il futuro certamente mi- gliori. In questi anni l’intervento internazionale ha permesso di ricostruire – ma sa- rebbe più corretto dire «costruire» – oltre 4.000 chilometri di strade e di bonificare dalle mine migliaia di chilometri quadrati. Si stanno realizzando decine di migliaia di nuove case e di progetti di ogni genere in campo agricolo. Ad oggi oltre 17.000 co- munità hanno beneficiato di interventi di ricostruzione, quali pozzi, ambulatori, scuole, infrastrutture di ogni genere. La crescita economica è attorno al 10 per cento su base annua; il reddito pro capite è passato dai 180 dollari per abitante nel 2004 ai 355 dollari di oggi; si è raddoppiato in tre anni. Nel 2001 c’erano due linee telefo- niche per ogni 1.000 abitanti. Oggi il 10 per cento degli afgani utilizza un telefono cellulare. Ci sono sette stazioni televisive e decine di emittenti radio e di giornali in- dipendenti. In questo caso il raffronto con il periodo dei talebani è impossibile, sem- plicemente perché questo genere di mezzi era bandito. Venendo al settore della sicu- rezza, il primo importantissimo traguardo raggiunto dall’intervento internazionale è stato lo scioglimento pacifico e il contestuale disarmo di decine di migliaia di muja- heddin, inquadrati nelle milizie che avevano combattuto contro i talebani. A seguito di uno specifico programma delle Nazioni Unite tutti gli oltre 63.000 combattenti censiti sono stati disarmati e smobilitati. Di questi, 53.000 hanno completato un programma per il reinserimento nella società civile. Si è ora passati al disarmo ed allo scioglimento delle milizie illegali. È un processo estremamente delicato e lungo, svolto sotto la responsabilità delle autorità afgane e con il supporto della Comunità internazionale. Tale programma prevede, in sostanza, un intenso dialogo con i capi tribali per indurli ad accettare lo scioglimento delle milizie locali, in cambio di sicu- rezza garantita dall’esercito e dalla polizia e di concreti programmi di sviluppo. Ad oggi, tramite questo programma, sono state raccolte decine di migliaia di armi leg- gere e pesanti. Relativamente alla costruzione delle capacità afgane nel settore della si- curezza e della difesa, l’obiettivo posto alla Conferenza di Londra del 2006 era quello di disporre di un esercito nazionale con 70.000 effettivi e di una polizia con 62.000 effettivi, divisi in varie specialità, il tutto da raggiungere entro il 2010. Attualmente sono circa 30.000 gli effettivi dell’Esercito nazionale afgano e circa 35.000 gli effet- tivi nelle varie Forze di Polizia. A tale proposito è opportuno considerare due ele- menti. Il primo è il carattere nazionale, ossia multietnico, del nuovo Esercito, in via di costruzione dal 2002. Il reclutamento avviene in tutto il paese, ma le unità che vengono così formate e distribuite sul territorio sono etnicamente miste. Ciò rappre- senta di per sé un esperimento per più versi problematico, perché rallenta il recluta- mento e aumenta i costi, che sarebbero sicuramente minori se reclutamento, forma- zione e allocazione fossero regionali (in pratica è la prima volta nella storia dell’Af- ghanistan in cui si hanno Forze Armate completamente multietniche), ma al mo- mento si sta dimostrando, nonostante tutto, positivo. L’Esercito nazionale è una re- altà affermata e rispettata in tutto il paese. Ciò non ci impedisce di vedere il ritardo col quale il processo di sviluppo va procedendo. Circa il ritmo con cui tale forza sta

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crescendo, negli ultimi mesi la Comunità internazionale – e in particolare i paesi della NATO – hanno concordato sull’opportunità di velocizzare il processo di cre- scita. Il ritmo, prima limitato a una media di 600 unità al mese, sta aumentando con l’obiettivo di raggiungere 2.000 nuove reclute ogni mese. Questo personale si va ad aggiungere a quello che, reclutato negli scorsi anni, ha ormai acquisito un bagaglio di esperienza sufficiente, sicché la qualità complessiva delle nuove unità in via di forma- zione sta anch’essa crescendo. Infine, ma non per importanza, la NATO sta fornendo all’esercito nazionale afgano consistenti partite di nuovi equipaggiamenti, che per- mettono di dotare le nuove unità di maggiore mobilità e protezione, a tutto van- taggio della loro efficacia. Qualora il ritmo attuale di crescita dovesse essere mante- nuto, è verosimile che il traguardo dei 70.000 effettivi potrebbe essere raggiunto in linea, se non addirittura in anticipo, rispetto alla scadenza identificata nella fine del 2010. Relativamente alla polizia, la formazione di nuove unità procede regolarmente, seppure ad un ritmo non totalmente soddisfacente. Anche questo settore è co- munque oggetto di grande attenzione da parte della Comunità internazionale. La più recente novità – potenzialmente molto importante – è rappresentata dall’interesse espresso nell’ambito dell’Unione Europea ad assumere un ruolo di responsabilità nella ricostruzione della polizia afgana. Il Consiglio affari generali e relazioni esterne ha approvato il 12 febbraio scorso il «Crisis Management Concept» per una missione civile PESD nel settore delle Forze di Polizia. È attualmente in corso di elaborazione il Concetto operativo, da finalizzarsi entro la fine di maggio, ed è previsto lo spiega- mento di un gruppo composto complessivamente da 160 uomini a Kabul, nonché presso i cinque Comandi regionali della polizia nazionale afgana e anche, a livello provinciale, presso i PRT (Provincial Reconstrution Team). L’avvio del dispiega- mento inizierà entro il semestre di presidenza tedesca dell’Unione Europea per on- date successive, che dovrebbero concludersi a metà novembre 2007. La missione PESD farà riferimento al neocostituito International Policy Coordination Board (IPCB), che sovrintende alla strategia complessiva della riforma della polizia in Af- ghanistan. La Difesa prevede di partecipare con tredici Carabinieri, di cui due Uffi- ciali inseriti negli organismi di direzione della missione dell’IPCB e relativo segreta- riato a Kabul, mentre gli altri saranno ad Herat (dei tredici sei sono già a Herat sotto cappello ISAF e dovranno passare sotto cappello EUPOL). Con tale progetto, che ri- scuote il consenso del Governo italiano, ci troveremo in una situazione certamente positiva, con la NATO direttamente impegnata a sviluppare le capacità dell’Esercito e l’Unione Europea concentrata sulla ricostruzione della polizia. Lo spazio che ho in- teso dedicare alla ricostruzione delle capacità afgane in materia di sicurezza e difesa è dovuto alla centralità che dobbiamo attribuire a questa attività. Come sta a signifi- care lo stesso acronimo ISAF utilizzato per la missione nella quale siamo impegnati, l’obiettivo essenziale della nostra missione, al cui interno operiamo, è mettere a di- sposizione del nuovo Stato afgano una forza internazionale che assista la sua sicurezza e la costituzione, il rafforzamento, la diffusione e il dispiegamento del suo autonomo

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quadro di sicurezza; non quello di sostituirsi con un intervento esterno allo Stato. La sicurezza non è tutto: guai se cadessimo in questo errore o tentazione; guai se perdes- simo il senso della misura, se confondessimo il mezzo con il fine, se dimenticassimo la natura multidimensionale del nostro intervento e il quadro regionale nel quale la questione afgana deve cercare la propria soluzione! Ma, mentre lavoriamo per indivi- duare un percorso che avvicini la meta; mentre lavoriamo accanto e su un piano di- stinto a favore di un impegno crescentemente civile; mentre ribadiamo, cioè, con atti concreti che la sicurezza non è tutto, dobbiamo con altrettanta forza ribadire che senza la sicurezza nulla è possibile. Essa non è certo una condizione sufficiente dello sviluppo civile, ma non di meno è una condizione necessaria. La sicurezza è un bene fondamentale senza cui non è possibile progredire in alcuno degli altri settori dello sviluppo sociale e politico. Senza la sicurezza sarebbe impossibile perseguire gli obiet- tivi di sviluppo sociale ed infrastrutturale, sarebbe impossibile assicurare il funziona- mento di Istituzioni democratiche e la tutela dei diritti umani e politici. Senza la si- curezza i traguardi sin qui raggiunti sarebbero messi in pericolo e probabilmente si regredirebbe verso il passato. La sicurezza della quale parliamo, però, è quella che gli afgani sapranno assicurare da soli a se stessi. Alla sicurezza – e più precisamente all’as- sistenza alle autorità afgane per il conseguimento di ragionevoli livelli di sicurezza – è dedicata appunto la missione ISAF, a guida NATO e sotto l’egida delle Nazioni Unite. È in questo ambito che l’Italia ha sottoscritto impegni precisi, che ci attribui- scono responsabilità ampie e diversificate. Il nostro contributo – lo ricordo – si so- stanzia essenzialmente in due responsabilità: quella relativa alla regione di Kabul e quella della regione Ovest. Nella regione della capitale l’Italia condivide con la Francia e la Turchia la responsabilità della guida, per un periodo complessivo di 24 mesi (cioè otto mesi per ciascuno dei tre alleati). Dopo il periodo a guida francese, ora sono in comando i turchi e successivamente sarà la volta degli italiani. Alle opera- zioni ISAF l’Italia contribuisce, inoltre, con un battle group, una componente del genio, una di elicotteri e altri assetti di supporto. Nella regione occidentale, con ca- poluogo Herat, l’Italia detiene il comando regionale della NATO, che esercita le pro- prie funzioni sui Contingenti alleati schierati nelle quattro province incluse in tale re- gione. Oltre alle funzioni di comando, l’Italia gestisce direttamente uno dei quattro PRT regionali, contribuisce al funzionamento della base avanzata di supporto ed as- siste direttamente, tramite tre squadre operative di collegamento e assistenza (OMLT), la ricostruzione dell’Esercito afgano. Consentitemi di spendere qualche pa- rola per ricordare le caratteristiche della regione ovest. Si tratta di un territorio, come si sa, molto vasto, grande quasi quanto metà dell’Italia, e popolato da 3 milioni e 200.000 afgani. Esiste di fatto una sola strada principale asfaltata, parte della cosid- detta ring road, che collega circolarmente le principali città del paese. Per il resto i collegamenti sono estremamente difficili, in ogni condizione climatica, mentre di- ventano quasi impossibili durante l’inverno. Per portare un esempio, il collegamento terrestre fra Herat e la sede del PRT a guida lituana, situato presso Chaghcharan,

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nella provincia più orientale della regione Ovest, distando 390 chilometri, richiede mediamente 22 ore; lo stesso collegamento si effettua in 105 minuti tramite elicot- tero. Questo esempio può essere utile per comprendere quanto sia importante asse- gnare ai contingenti ivi operanti mezzi adeguati, per numero e tipologia, in grado di permettere di operare in un contesto ambientale tanto critico. In termini di sicurezza, la regione nel suo complesso non appartiene a quelle ritenute più instabili. Gli epi- sodi intercorsi recentemente dimostrano tuttavia da soli che esistono comunque anche in essa elementi di rischio, associati all’attività di una pluralità di soggetti ani- mati da motivazioni sia politiche che prettamente criminali. Si riscontrano infatti ri- valità tribali, attività legate alla coltivazione ed al traffico di oppio, nonché infiltra- zioni di elementi esterni alla regione, che intendono evidentemente cercare proseliti per la loro causa sovversiva. Operativamente negli ultimi mesi la condizione media di sicurezza nella regione nel suo complesso non è variata significativamente, ma si è re- gistrato un preoccupante aumento nell’impiego di ordigni esplosivi improvvisati, fatti detonare al passaggio delle pattuglie delle forze di sicurezza afgane e di quelle dell’ISAF. Questo è proprio uno dei fattori che hanno indotto all’implementazione di nuove misure di protezione, di cui darò conto più avanti. Come è noto, nel corso delle ultime settimane si sono registrati anche scontri fra forze afgane e della coali- zione a guida statunitense, da una parte, e gruppi armati locali, dall’altra. Tali scontri hanno determinato la morte di un numero purtroppo consistente di civili innocenti; uno di questi scontri è avvenuto all’interno della regione Ovest, più precisamente nei pressi della città di Shindand, e – desidero precisarlo – non ha coinvolto militari ita- liani, né degli altri Contingenti dell’ISAF. Infatti, è stato condotto dalle forze afgane supportate da quelle statunitensi non inquadrate nell’ISAF, bensì nella coalizione che conduce l’operazione Enduring Freedom. Quest’ultima – lo ricordo – è stata avviata sulla base della risoluzione ONU 1368 del 12 settembre 2001, che ha definito gli eventi dell’11 settembre come atti di terrorismo internazionale, di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. L’ISAF è stata costituita, invece, in attuazione della ri- soluzione ONU 1386 del 20 dicembre di quello stesso anno, per «assistere l’Autorità provvisoria afgana nel mantenimento della sicurezza a Kabul e nelle altre aree circo- stanti», area poi progressivamente estesa a tutto il paese. Per la pratica attuazione delle risoluzioni ONU e dell’attività dell’ISAF è stato sottoscritto un memorandum fra i paesi partecipanti e il Governo afgano, in cui è chiaramente indicato che le «forze della coalizione sono quegli elementi militari nazionali della coalizione guidata dagli Stati Uniti che conducono la guerra al terrorismo in Afghanistan», specificando che «l’ISAF non è parte delle forze della coalizione». ISAF e «Enduring Freedom» sono, quindi, missioni con differenti mandati, che rispondono a catene di comando diverse, l’una facente capo al Comando supremo alleato della NATO e al Consiglio Atlantico, l’altra al Central command statunitense. L’azione condotta presso Shin- dand non è stata correttamente coordinata con i Comandi ISAF, né la sua esecuzione tempestivamente comunicata. Nel corso della mia visita a Kabul, sia il Presidente

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Karzai sia il Generale McNeill, Comandante dell’ISAF, hanno concordato su questo punto ed hanno espresso la comune intenzione di promuovere in tempi brevi uno specifico meccanismo di coordinamento che possa scongiurare nel futuro il ripetersi di episodi quali quelli denunciati. È assolutamente evidente che, nel contesto speci- fico della stabilizzazione e ricostruzione dell’Afghanistan, la perdita di vite umane, tanto più se costituite da civili innocenti, è inaccettabile e altamente controprodu- cente per la causa per la quale la Comunità internazionale si sta adoperando. Nel caso del combattimento avvenuto a Shindand è verosimile che le vittime civili – che, a mio parere, devono essere purtroppo considerate il risultato di un errore del tutto analogo al cosiddetto «fuoco amico» e non già dei «danni collaterali» – siano state provocate da un impiego sproporzionato e non sufficientemente discriminato del- l’aviazione, chiamata a fornire un sostegno ravvicinato alle truppe a terra. Anche nella regione occidentale l’ISAF sta attivamente perseguendo l’obiettivo di ricostruire credibili capacità operative per le forze di sicurezza e difesa afgane. In particolare, l’Esercito nazionale afgano ha costituito, per tale regione, un Comando di corpo, ba- sato ad Herat, entro cui è inserita una Brigata composta da tre kandak (battaglioni di fanteria) più unità di supporto. L’Italia, mediante l’opera delle sue squadre OMLT, sta sostenendo la formazione avanzata di queste forze, insieme agli altri Contingenti NATO presenti nella regione. Attualmente la consistenza dell’Esercito nazionale af- gano presente nella regione è inferiore alla metà di quello previsto nei piani definitivi. Il livello di addestramento delle forze esistenti è poi solo parzialmente adeguato alle necessità. Ne deriva l’urgenza di aumentare sia il numero che la qualità di queste forze, al fine di perseguire l’obiettivo dell’estensione del controllo del territorio da parte delle autorità afgane. Il già citato incremento nella velocità di ricostruzione del- l’Esercito nazionale dovrebbe permettere di completare i ranghi anche delle unità schierate nella regione occidentale. L’ISAF nel suo complesso e le forze italiane in essa operanti promuoveranno ovviamente tale attività, perché è bene chiarire che l’im- pegno di ISAF non si riduce alla propria autodifesa o all’azione delle squadre di rico- struzione provinciale, ma, pur ribadendo che il suo compito è e deve essere conside- rato come un compito di assistenza alle autorità afgane nel settore della sicurezza, resta che l’assistenza – che è un’assistenza militare armata – non può non essere intesa che come assistenza attiva. Considerazioni del tutto analoghe si possono applicare alle Forze di Polizia. In tale settore, peraltro, l’Italia sta operando efficacemente anche con la Guardia di finanza, che sta assistendo la polizia di confine afgana.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,

desidero ora informare circa le iniziative adottate dal Governo per fornire al nostro Contingente quegli equipaggiamenti che risultano necessari a garantire le migliori capacità operative e la massima sicurezza del personale nell’esecuzione dei propri compiti. Tali iniziative sono state adottate in ottemperanza a quanto previsto nei di-

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versi ordini del giorno, adottati sia alla Camera che al Senato in occasione del voto sul finanziamento della partecipazione dell’Italia alle missioni militari internazionali all’estero. Sull’argomento, il Consiglio Supremo di Difesa, nella riunione del 2 aprile scorso, nell’ambito dell’analisi della situazione relativa ai vari teatri operativi, ha preso atto del citato impegno ed ha svolto la sua attività consultiva e di raccordo tra organi costituzionali dello Stato allo scopo di corrispondere alla volontà del Parlamento in vista delle iniziative che il Governo avrebbe dovuto assumere per attuare quanto pre- visto dai citati ordini del giorno. A seguito di tale riunione, ho interessato immedia- tamente lo Stato Maggiore della Difesa per un esame accurato delle scelte e delle ri- chieste tecniche analizzate dagli stati maggiori, in relazione alle nuove esigenze da soddisfare. A valle di tale esame è stato avviato un approfondimento sulle risorse eco- nomiche necessarie per affrontare il problema della copertura finanziaria degli ulte- riori costi che i nuovi mezzi, e il relativo personale, potranno comportare. Sulla base di tali esami è emersa l’esigenza di dotare il nostro Contingente di mezzi che potes- sero ampliare le capacità di muoversi e operare in sicurezza, grazie ad una combina- zione di elevata velocità di reazione, elevata mobilità in ogni contesto orografico, ele- vata protezione, ampia disponibilità di sensori di sorveglianza ed identificazione, anche a grande distanza. I nuovi mezzi dovevano poi incrementare la sicurezza opera- tiva grazie al loro effetto di deterrenza. Sulla base di questi criteri, sono stati indivi- duati i seguenti equipaggiamenti: 5 elicotteri A-129 «Mangusta», di cui uno come ri- serva logistica; 8 veicoli corazzati «Dardo»; 10 veicoli blindati «Lince». Gli elicotteri A-129 sono velivoli agili e ben protetti, dotati di sistemi di osservazione ogni-tempo, che permetteranno di scortare gli elicotteri da trasporto già presenti in Teatro, nonché di esplorare il terreno nel quale operano le nostre pattuglie a terra. I corazzati «Dardo» sono veicoli dotati di una valida combinazione di mobilità e protezione, grazie al moderno complesso motore-trasmissione cingoli ed alla pesante corazzatura. Si consideri quanto già riportato nella descrizione della regione di Herat, ovvero la virtuale assenza di strade. In tale contesto i «Dardo» permetteranno ai nostri militari di muoversi con adeguata protezione anche fuori strada e sui percorsi più impervi. Infine, gli ulteriori 10 blindati «Lince», caratterizzati da una specifica protezione anti-mina, aumenteranno la sicurezza delle nostre pattuglie in movimento sulle rota- bili. Nel recente passato tali mezzi, già presenti in Teatro, hanno dimostrato la loro capacità di resistere alle esplosioni di ordigni improvvisati. Non è possibile, per ovvi motivi di riservatezza, effettuare un confronto diretto fra gli equipaggiamenti del Contingente italiano e quello degli altri paesi alleati, schierati in Afghanistan, né dare completa informazione circa le dotazioni militari dei Contingenti alleati. Posso però affermare che ciascun Contingente è dotato di un complesso di mezzi e di equipag- giamenti specificatamente selezionati per rispondere alle esigenze peculiari delle pro- prie unità. Insieme ai nuovi mezzi verranno inviati in Afghanistan gli equipaggi ed il personale di supporto tecnico e logistico, per un complesso di circa 145 militari. La spesa preventivata per tale schieramento è quantificata in 25,9 milioni di euro, di cui

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7,2 milioni di euro una tantum per le predisposizioni, i trasporti e le infrastrutture logistiche in Teatro, e 18,7 milioni di euro di costi ricorrenti, per un periodo di circa sette mesi, fino al 31 dicembre 2007. La relativa copertura finanziaria, d’intesa con la Presidenza del Consiglio e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, verrà ap- prestata in sede di adozione del disegno di legge di assestamento del bilancio per l’anno 2007. Le decisioni assunte, in tutta evidenza, non alterano in alcun modo né la natura della partecipazione del nostro Contingente alla missione ISAF né, tanto meno, le finalità ultime della nostra presenza. Ove si abbiano presenti la dimensione geografica della regione di nostra responsabilità e le sue caratteristiche orografiche, si comprende come gli equipaggiamenti aggiuntivi, per numero e tipologia, non po- trebbero consentire un genere di missione differente da quella già adottata dal nostro Contingente, in accordo con gli alleati della NATO. I nuovi mezzi permetteranno però di migliorare le capacità di esplorazione, la mobilità e la protezione (quindi, la sicurezza attiva e passiva) delle nostre truppe.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,

siamo e rimaniamo in Afghanistan in sostegno alle Istituzioni locali ed alle organiz- zazioni internazionali che, nei diversi ambiti, operano in Afghanistan e per il bene dell’Afghanistan. La nostra azione continuerà ad essere finalizzata all’edificazione di capacità di governo che rendano l’Afghanistan autosufficiente, almeno per lo svolgi- mento delle primarie funzioni tipiche di ogni Stato sovrano. All’inizio del mio inter- vento ho citato alcuni dati, che documentano lo sviluppo in atto nel paese. Questi dati ci forniscono solo un’immagine fugace dell’Afghanistan di oggi, o meglio del suo percorso di questi ultimissimi anni. Eppure ci consentono di riflettere. È un paese giovanissimo, per l’altissima percentuale di popolazione sotto i 15 anni di età. Ciò rappresenta, a mio giudizio, il dato in assoluto più importante per ragionare sul no- stro ruolo lì e sulla necessità di garantire il nostro sostegno. Oggi 7 milioni di bam- bini e, soprattutto, di bambine afgani vanno a scuola. Solo nel 2007, 400.000 bam- bine hanno avuto accesso per la prima volta ad una scuola. Oggi ci sono già dieci università funzionanti nel paese, mentre ce n’era solo una sotto i talebani. I bambini di oggi saranno gli afgani di domani. Saranno loro a costruire concretamente il loro paese e a cambiare ciò che ancora adesso rappresenta un oggettivo ostacolo alla mo- dernità. La nostra vera missione è quella di dare un futuro a tali bambini, di consen- tire loro di diventare adulti, sottratti al giogo della fame e della guerra e di consentire loro di costruire, in un quadro di sicurezza pienamente garantito dagli afgani, il fu- turo dell’Afghanistan. Il nostro è un compito straordinariamente impegnativo, ma non ci possiamo sottrarre a questo cimento. È un compito che abbiamo affidato ai nostri militari e ad essi dobbiamo garantire il nostro massimo sostegno, morale e ma- teriale, per il successo della loro missione.

372 Comunicazioni al Parlamento

Partecipazione italiana alle missioni militari all’estero Senato, 26 luglio 2007

Signor Presidente, Onorevoli Senatori,

il mio intervento, richiesto dal presidente De Gregorio lo scorso 27 giugno, si svolge – come egli ha ora ricordato – in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 17-bis della legge 26 marzo 2007, n. 38, che prevede appunto che il Governo rife- risca periodicamente sull’andamento delle missioni che vedono le nostre Forze Ar- mate impegnate in teatri operativi esteri, nei vari contesti di intervento multilaterali e bilaterali. Come è noto, il Governo ha già riferito in più occasioni sull’evoluzione della nostra presenza militare all’estero. Per l’esattezza, nei mesi di maggio e giugno ho già avuto modo di informare il Parlamento circa l’andamento di alcune missioni, segnatamente quella in Afghanistan, con il mio intervento di fronte alle Commis- sioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, e poi quella in Libano, di fronte alle Com- missioni Esteri e Difesa della Camera. Nella giornata del 24 luglio, il Senato ha po- tuto poi ascoltare la relazione del Ministro degli Affari Esteri, relativamente al quadro complessivo della nostra politica estera, in cui è stato descritto il contesto politico entro cui si svolgono le nostre operazioni militari. Nella sede odierna, quindi, fornirò le ulteriori informazioni necessarie a completare il quadro informa- tivo di cui il Parlamento deve ovviamente poter sempre disporre. Considerando la situazione nel suo insieme, va innanzitutto detto che negli ultimi sei mesi non si sono verificati cambiamenti di rilievo nell’entità delle forze che l’Italia dispiega al- l’estero, come pure nella loro dislocazione e nella loro funzione. Il numero comples- sivo dei nostri militari schierati nell’ambito delle missioni internazionali continua, infatti, ad attestarsi su un livello di circa 8.000 unità, analogo a quello dell’inizio dell’anno. In termini di presenza numerica, tre missioni – quella in Libano con circa 2.450 unità, quella in Afghanistan con circa 2.230 unità e quella in Kosovo con circa 2.060 unità – impegnano nell’insieme più dell’80 per cento delle nostre forze dispiegate all’estero. Sotto l’aspetto della distribuzione geografica, quindi, la pre- senza militare italiana all’estero corrisponde alla nostra volontà di partecipare al- l’azione di sostegno alla pace e alla stabilità mondiale, concentrando le risorse più importanti nelle aree di crisi che possono influire direttamente sulla nostra sicu-

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rezza. Al tempo stesso, continuiamo a dedicare significative risorse alla stabilizza- zione di quei contesti che, pur apparentemente remoti in termini meramente geo- grafici, sono purtroppo divenuti per tutti noi tristemente familiari, proprio a causa della portata globale dei fenomeni destabilizzanti che in tali ambiti trovano la loro origine. Non va poi sottovalutato lo sforzo in atto per la nostra partecipazione in molte altre operazioni militari, diverse da quelle già ricordate, partecipazione che talvolta consiste in un nucleo molto ridotto di personale, ma che si svolge non di meno in Teatri significativi. A questo proposito, desidero sottolineare come la parte- cipazione italiana ad un numero significativo di missioni – che, nel seguito di que- st’intervento, descriverò brevemente una per una – pur essendo senz’altro onerosa, non è caratterizzata però da una dispersione irrazionale delle nostre forze (ribadisco, appunto, che l’80 per cento di quelle impiegate all’estero è concentrato nelle tre suddette missioni). L’Italia, insieme agli altri paesi della Comunità internazionale che per tradizione storica, dimensione politica ed economica, e direi anche cultura plurisecolare, si sentono chiamati ad una attiva corresponsabilità nelle vicende inter- nazionali, non può rimanere indifferente ai conflitti che minacciano la pace, omet- tendo di fornire un contributo per la pacificazione ed il ristabilimento della legalità internazionale. È un dovere politico – è bene ribadirlo – solennemente sancito dalla nostra Carta costituzionale. In questa sede, non intendo entrare nel merito della congruità del livello di impegno militare dell’Italia all’estero. La natura del mio in- tervento odierno, infatti, mi induce a privilegiare la componente descrittiva, per for- nire al Parlamento un quadro preciso ed aggiornato di cosa sta accadendo. Tuttavia, ritengo indispensabile riportare l’attenzione del Parlamento su alcuni elementi chiave della politica di difesa nazionale e, in particolare, sullo stretto legame esi- stente fra il ruolo internazionale dell’Italia e la sua partecipazione alle missioni mili- tari di pacificazione, nonché sul legame tra entità e tipologia di missioni all’estero e organizzazione complessiva delle Forze Armate. Come ho ricordato, l’Italia sta man- tenendo mediamente all’estero quasi 8.000 uomini e donne, in un gran numero di missioni che coprono quasi tutti i Continenti (anche se con presenze contenute). In tre di queste missioni – come ho detto – la presenza italiana è decisamente rilevante, tanto da determinare l’attribuzione al nostro Paese di responsabilità di comando a rotazione con gli altri principali partner. Da questi dati, si evince abbastanza fedel- mente lo sforzo operativo che le nostre Forze Armate stanno sostenendo continuati- vamente. Proprio il riferimento alla condotta simultanea di tre operazioni distinte, con forze a livello di Brigata in ciascuna di esse, costituisce uno degli elementi utiliz- zati per definire ciò che in gergo si chiama il «livello di ambizione» di un Paese, ma che io preferirei definire il «livello di responsabilità» internazionale. Con tale defini- zione, s’intende il livello di capacità operative che si vuole poter mettere in campo, in caso di necessità, sulla base delle decisioni delle autorità politiche, nazionali ed internazionali. Il livello attuale di presenza militare all’estero non rappresenta il li- mite teorico che le nostre Forze armate sarebbero in grado di esprimere, ma un im-

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pegno importante, che satura circa due terzi delle capacità oggi esprimibili. Si deve infatti considerare che, per mantenere 8.000 unità in operazioni all’estero, un nu- mero almeno triplo si trova nelle varie fasi di approntamento, o di recupero e di riorganizzazione al ritorno dallo schieramento. Alle spalle di questa componente operativa, si trova poi la macchina logistica, scolastico-addestrativa e amministra- tiva, che rende materialmente possibile sia la condotta delle operazioni sia la prepa- razione delle forze destinate a proseguire nel tempo le stesse. Da tutto ciò derivano l’estrema complessità e delicatezza dell’intero meccanismo di generazione delle no- stre capacità militari. Il già ricordato livello di ambizione – ovvero il livello di capa- cità operative esprimibili dalle Forze Armate – può essere mantenuto solo a condi- zione che il suddetto meccanismo sia adeguatamente alimentato, sia in termini di reclutamento di nuove giovani leve, sia in termini di risorse economiche, necessarie a garantire il loro addestramento, la manutenzione ed il progressivo rinnovo degli equipaggiamenti. Quando il Parlamento ha deliberato le spese per la partecipazione delle Forze Armate alle missioni all’estero, ha materialmente consentito di finanziare i costi vivi e diretti, ripeto vivi e diretti, di tale partecipazione. Ma non deve essere dimenticato che l’approntamento delle capacità, quindi il raggiungimento ed il mantenimento del «livello di ambizione », ricade sul bilancio ordinario della Difesa. Il termine «livello di ambizione», poi, pur essendo assolutamente corretto, se espresso nel contesto tecnico militare, deve essere attentamente interpretato se usato nell’ambito di una riflessione politica più ampia. È per questo che «livello di ambi- zione» deve essere letto anche come «livello di responsabilità» che l’Italia si assume nel contesto internazionale, cioè come porzione di costi e di rischi politici, econo- mici e militari che l’Italia assume su di sé, nell’ambito dell’azione internazionale volta al perseguimento ed al mantenimento dell’ordine e della pace. Ancora, po- tremmo interpretare il concetto anche secondo il termine di «livello di affidabilità», giacché l’azione internazionale si caratterizza invariabilmente per i tempi lunghi, che travalicano ampiamente l’orizzonte temporale delle scelte contingenti legate alle di- namiche politiche interne ai singoli Stati. Quando un Paese assume una decisione, quando formalizza un impegno, la capacità di portare a termine tale impegno nel corso del tempo rappresenta una condizione essenziale perché tale Paese possa essere considerato «affidabile», e quindi fattore di stabilità nelle relazioni internazionali. Questo insieme di valutazioni ci induce a riconsiderare con occhi diversi quel «li- vello di ambizione» che sembrava avere una specificità solamente tecnico-militare. Al contrario, definendo i limiti del nostro impegno nelle missioni all’estero, defi- niamo anche il nostro grado di responsabilità nella «divisione del lavoro» per la tu- tela della pace internazionale. Approntando ed alimentando adeguatamente le Forze Armate, poniamo le basi per un’azione continuata nel tempo, che possa cioè essere sostenuta adeguatamente, senza far decadere le capacità operative esprimibili dai Contingenti nazionali, che devono poter contare su un flusso costante di nuove ri- sorse umane ed economiche. Tutto ciò ha diretto impatto sulla capacità di prose-

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guire nel tempo gli impegni presi di fronte alla Comunità internazionale, quindi sulla «affidabilità » complessiva dell’Italia come membro di alleanze o Paese di primo piano nel contesto delle Nazioni Unite. Tutto ciò ha diretto impatto sul buon nome dell’Italia, sulla sua capacità di mantenere la parola data e sulla sua determina- zione a dare solo la parola che si potrà mantenere: nel presente e nel futuro.

Signor Presidente,

desidero ora tracciare un quadro analitico dei nostri impegni all’estero, raggrup- pando tali nostre missioni in gruppi omogenei in termini di contesto istituzionale di riferimento, quindi le missioni a guida ONU, quelle a guida Unione Europea, quelle a guida NATO, quelle svolte in ambito multilaterale e bilaterale. Comin- ciando con le operazioni a guida ONU, continua il consistente impegno di forze as- sicurato alle missioni a guida ONU incentrato sul contributo a UNIFIL (circa 2.450 militari, come avevo anticipato), schierati nel Sud del Libano per la sorve- glianza della fascia compresa fra il fiume Litani e la «linea blu» di frontiera con Israele. La Brigata Folgore (che dal 23 aprile 2007 ha sostituito la Brigata Pozzuolo del Friuli) ha la responsabilità del settore ovest, all’interno del quale gestisce anche i Contingenti forniti da Francia, Ghana, Slovenia e Qatar (quest’ultimo alle dipen- denze dell’unità francese) e quello della Repubblica di Corea, in corso di immis- sione. UNIFIL, la cui consistenza ha raggiunto il livello di circa 13.100 militari di trenta nazioni, continua a svolgere attività di monitoraggio e di prevenzione della ri- presa delle ostilità. Dal 2 febbraio scorso, l’Italia fornisce il Force Commander (Ge- nerale di Divisione Claudio Graziano) e contribuisce: allo staff multinazionale del Quartier Generale di UNIFIL a Naqoura con 56 unità, di cui 18 unità dedicati allo special staff del Force Commander; alla Strategic military cell del Dipartimento delle operazioni di pace dell’ONU a New York con un Vice Direttore (Contrammi- raglio Raffaele Caruso), 5 Ufficiali e 2 Sottufficiali. La situazione nell’area operativa di UNIFIL è caratterizzata da una relativa stabilità; il recente episodio del lancio di alcuni razzi dalla zona sotto il controllo ONU contro il territorio di Israele è rimasto isolato e non ha avuto per fortuna conseguenze, grazie anche all’azione di sensibiliz- zazione posta in essere. Al momento l’instabilità della situazione politica libanese, i recenti scontri verificatisi nei campi profughi palestinesi del Nord del paese, con in- tervento dell’Esercito libanese, e gli avvenimenti occorsi recentemente nella striscia di Gaza hanno avuto solo riflessi indiretti, non significativi, sulla sicurezza dei con- tingenti di UNIFIL. I rischi di possibili attentati terroristici hanno però avuto con- ferma nell’attacco di domenica 24 giugno ultimo scorso, la cui chiave di lettura si deve necessariamente analizzare e valutare nel quadro del variegato scenario di riferi- mento medio-orientale ma che, comunque, introduce elementi di accentuata preoc- cupazione per il futuro. Un secondo episodio, peraltro senza conseguenze per il per- sonale, si è verificato il 16 luglio ultimo scorso sulla riva Nord del fiume Litani

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contro un convoglio della polizia militare tanzaniana. Le difficoltà del processo di ricomposizione del complesso quadro politico libanese e il perdurare dell’infiltra- zione di armi attraverso la frontiera con la Siria continuano a rappresentare gli ele- menti più pericolosi, sia per la stabilità interna, sia per i rapporti tra Libano e Israele. È di tutta evidenza che un eventuale ulteriore deterioramento della situa- zione politica in Libano comporterebbe ripercussioni negative per la sicurezza delle forze ONU. In sostanza, l’impegno sul terreno continua a prospettarsi non scevro da rischi, anche seri, per il futuro. Tuttavia, i risultati finora conseguiti confermano la vitale importanza dell’opera dell’UNIFIL. Posso citare un dato, quello di imme- diato effetto, che rende subito evidente l’efficacia dell’azione internazionale in Li- bano. A fronte dei 1187 morti e 4092 feriti libanesi, i 43 civili e 117 militari israe- liani morti ed i circa 100 civili feriti durante il mese di conflitto, dal momento della tregua, sancita dall’ONU e materialmente implementata dall’UNIFIL, non si sono più registrate perdite dovute ad azioni di combattimento. Tuttavia, la guerra ha la- sciato molte insidie che continuano a minacciare la sicurezza della popolazione. Questo innanzitutto a causa della presenza di ordigni inesplosi di varia natura; dal termine della guerra sino ad oggi si sono registrati 32 morti ed un totale 242 per- sone coinvolte in esplosioni accidentali. Pertanto, l’attività di sminamento ha costi- tuito uno degli impegni principali, impegno particolarmente rischioso, che ha cau- sato la morte di 8 militari libanesi ed il ferimento di altri 18. A questi si aggiunge purtroppo l’ultimo episodio, avvenuto ieri, in cui ha perso la vita un militare del Contingente francese, impegnato proprio nella pericolosa ma indispensabile azione di sminamento. Per quanto riguarda il numero di incidenti, relativamente all’anda- mento temporale, lo sforzo congiunto fra UNIFIL, lo United Nations mine action coordination centre e le Forze Armate libanesi ha contribuito ad una diminuzione del numero mensile medio di persone coinvolte, che è passato da 59 unità coinvolte dello scorso agosto, immediatamente dopo il cessate il fuoco, ad un numero di 2 casi nel mese di maggio. Quindi anche in questo caso, pur in presenza di questa ere- dità della guerra, la situazione si va azzerando per quanto riguarda il numero di morti e feriti. Per quanto riguarda gli sviluppi della componente navale di UNIFIL, si ritiene che l’attuale disponibilità a fornire unità navali possa contrarsi anche del 50 per cento; pertanto sarà possibile una richiesta di integrazione da parte del- l’ONU. Per il prossimo anno il Dipartimento delle operazioni di pace dell’ONU ha ufficialmente interessato la Germania per sondarne la disponibilità a prolungare di ulteriori sei mesi (fino al febbraio 2008) il proprio impegno per la leadership della Maritime task force. Tale soluzione, che la Germania verosimilmente accetterà, fa decadere l’ipotesi di impiego per l’esigenza del gruppo navale di EUROMARFOR a guida italiana nel 2007 (in un primo momento avevamo considerato questa even- tualità). L’opzione si potrebbe ripresentare dal febbraio-marzo 2008 e al momento raccoglie un favorevole orientamento tecnico-operativo da parte dei membri di EU- ROMARFOR (Francia, Portogallo, Spagna e Italia). Sempre in ambito ONU pro-

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segue la partecipazione, ancorché con Contingenti quantitativamente più ridotti ma con personale altamente qualificato, alle seguenti missioni che hanno, comunque, un’elevata valenza e significato sul piano politico e diplomatico e diretti riflessi sul ruolo dell’Italia all’interno del Consiglio di sicurezza. Cito tali missioni con brevi ri- ferimenti all’attività; è bene sempre ripassarle anche per mia memoria. La prima missione è UNTSO (United Nations truce supervision organization - Israele); si tratta di una missione attiva fin dal 1948. L’UNTSO opera in quattro dei cinque paesi storicamente interessati al conflitto mediorientale (Israele, Egitto, Siria e Li- bano), ma i suoi contatti coinvolgono anche il quinto paese, la Giordania. Grazie agli accordi di pace tra Israele ed Egitto prima (1979) e la Giordania poi (1994), nonché all’attuale situazione «di stallo» militare in Libano e Siria, UNTSO è una missione numericamente contenuta: al momento è composta da circa 150 Ufficiali osservatori appartenenti a 23 paesi. L’Italia contribuisce con 8 unità. La seconda missione è UNMOGIP (United Nations Military Observer Group in India and Pa- kistan). Il gruppo degli osservatori militari appartenente alla missione è stato costi- tuito nel gennaio 1949 in seguito all’approvazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 39 del gennaio 1948, che creava la United Nations Commission for India and Pakistan (UNCIP), per supervisionare il cessate il fuoco tra Pakistan ed India nello Stato di Jammu e Kashmir. A seguito dell’accordo del 1972 tra India e Pakistan, che definì una linea di controllo nel Kashmir, l’India di- chiarò che il mandato della missione era decaduto. Siccome il Pakistan non con- cordò con questa posizione, il Segretario generale delle Nazioni Unite dichiarò che la cessazione del mandato sarebbe stata decisa soltanto mediante una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. A causa della mancanza di una tale decisione, il mandato della missione è stato mantenuto con le medesime funzioni a tempo indeterminato. L’Italia contribuisce con 7 unità. L’altra missione è MINURSO (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara). MINURSO è stata istituita con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 690 in data 29 aprile 1991, a seguito delle «proposte di accordo» accettate in data 30 agosto 1988 dal Marocco e dal Fronte POLISARIO (Frente Popular para la Liberacion de Saguia el-Hamra y de Rio de Oro). Per attuare il piano di pace approvato dal Consiglio di Sicurezza, il Segretario Generale si avvale di un proprio rappresentante speciale, attualmente il diplomatico olandese Peter Van Walsum, pienamente responsabile di tutti gli aspetti riguardanti il referendum che consentirebbe alla popolazione del Sahara occidentale di scegliere tra l’indipendenza e l’integrazione con il Marocco. L’Italia è qui presente con 5 unità. Un’ulteriore missione è UNFICYP (United Nations Forces in Cyprus). Isti- tuita nel marzo del 1964 per ristabilire la pace sull’sola di Cipro, dopo i violenti scontri fra le due comunità residenti dei turchi e dei greci, ad oggi la missione è composta da 918 unità appartenenti a 13 nazioni. L’Italia contribuisce con 4 unità. Vi è poi la missione UNMIK (United Nations Mission in Kosovo). A seguito del conflitto per il Kosovo, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni

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Unite adottò la risoluzione 1244 con la quale si autorizzava UNMIK ad iniziare il lungo processo di costruzione della pace, della democrazia, della stabilità e dall’au- togovemo nella travagliata provincia del Kosovo. Per conseguire tale obiettivo, UNMIK opera quale amministrazione di transizione per la regione del Kosovo. La sede della missione è a Pristina e l’Italia contribuisce con 2 unità. Con riferimento alle operazioni svolte sotto la guida dell’Unione Europea (sinora ho parlato delle operazioni in ambito ONU), nel contesto dell’operazione per il controllo dell’appli- cazione degli accordi di Dayton in Bosnia (Operazione «Althea»), l’Unione Europea ha avviato dal 28 febbraio 2007 un percorso di progressiva contrazione del Contin- gente multinazionale (EUFOR) che porterà al completo ritiro e al definitivo pas- saggio della responsabilità alle Autorità federali bosniache. L’attuale forza di EUFOR (in cui il Generale italiano Giangravè assolve l’incarico di Vice Coman- dante) si va riconfigurando sui previsti livelli di circa 2.600 unità, con un contri- buto da parte italiana sceso alle attuali 380 unità circa. A tale livello si è giunti dopo la recente riduzione del Contingente internazionale. Fino al mese di giugno la pre- senza italiana assommava a circa 550 unità; vi è stata quindi una riduzione. Sempre in Bosnia continua l’impegno per l’addestramento della polizia da parte dall’Arma dei Carabinieri nell’ambito della EUPM, attualmente al comando del generale del- l’Arma dei Carabinieri Vincenzo Coppola. Inoltre prosegue il contributo alla mis- sione EUBAM, che ha il compito di monitorare e assistere le attività confinarie al valico israelo-palestinese di Rafah con il Comandante (Generale di Corpo d’armata Pietro Pistolese) e con personale addetto (16 unità). Dopo i recenti avvenimenti nella striscia di Gaza, il valico resta chiuso. Non si sono tuttavia verificati né inci- denti, né danneggiamenti alle infrastrutture e alle predisposizioni del posto di con- trollo. Il nostro personale, acquartierato nel territorio di Israele, non ha corso e non corre al momento rischi. In relazione al perdurare della situazione in atto, l’Unione Europea ha deciso una riduzione temporanea del dispositivo a partire dal 1º agosto prossimo di circa il 30 per cento, con conseguente contrazione del contributo nazio- nale italiano da 16 a 11 unità, riservandosi di rivalutare gli sviluppi di situazione e i conseguenti provvedimenti per il proseguimento della missione all’inizio di no- vembre. Prosegue il contributo anche alla missione EUPOL Repubblica Democra- tica del Congo (subentrata alla missione EUPOL Kinshasa di assistenza e di adde- stramento della polizia congolese), con il compito di consulenza, di assistenza e di controllo per la riforma del settore della sicurezza con un nucleo di tre Carabinieri, ed alla missione EUSEC di assistenza delle Forze Armate congolesi, con un Ufficiale dell’Aeronautica in qualità di advisor per le operazioni aeree. Passerò ora alle opera- zioni condotte in ambito NATO. La più importante missione dell’Alleanza è certa- mente quella svolta in Afghanistan, con il dispiegamento dell’ISAF. Complessiva- mente l’attuale impegno italiano in Afghanistan, a seguito dei rinforzi effettuati nel- l’ultimo mese e dei quali ho già dato conto in Parlamento, proprio in questa Com- missione, è dell’ordine di 2.230 militari, ripartiti nell’area di Kabul, nell’ambito del

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Regional Command Capital (con comando a rotazione tra Francia, Turchia ed Italia) e nella Regione Ovest (a comando italiano), presso il Provincial Reconstruc- tion Team di Herat (organo pivot dello sforzo di ricostruzione) e presso la correlata Forward Support Base, dove operiamo unitamente agli spagnoli. Ad Herat sono ormai pienamente operative (questa è l’occasione per darne conto) anche quelle componenti inviate in rinforzo negli ultimi sei mesi. Il C130-J basato in tale aero- porto ha completato oltre 340 sortite, a partire dall’11 febbraio 2007, data della sua immissione. I cinque elicotteri A-129 hanno iniziato ad operare il 25 giugno e da al- lora hanno volato oltre 60 ore, mentre l’aliquota di UAV, divenuta operativa il 5 giugno, ha già volato oltre 180 ore. Anche i veicoli protetti Dardo e Lince sono pie- namente operativi e contribuiscono, come previsto, alla protezione attiva e passiva del Contingente. Per le attività di supporto alla ricostruzione dell’esercito afgano operano, inoltre, nella Regione Ovest tre Operational and Mentoring Liaison Team (OMLT), a cui si aggiunge l’impegno della Guardia di finanza (14 unità da di- cembre 2006) per l’addestramento della polizia di frontiera (Border Police). Al mo- mento si sta considerando la fattibilità di fornire un ulteriore team OMLT. La situa- zione in Afghanistan continua ad essere caratterizzata da un quadro di grande com- plessità, che delinea la prospettiva di un impegno di non breve periodo. Ad Ovest e nella Regione di Kabul la situazione è relativamente tranquilla, ma l’insorgenza tale- bana, attiva nel Sud del paese, potrebbe manifestarsi anche nella nostra zona di re- sponsabilità, in particolare nei distretti meridionali della regione Ovest, quelli di Farah, Bakwa e Goulistan. Il ripetersi di gravi episodi che hanno visto il coinvolgi- mento di vittime civili nelle azioni di combattimento condotte contro le milizie ille- gali ha prodotto, come ben noto, una decisa presa di posizione sia del Governo af- gano che di quello italiano e di altri paesi della NATO. La questione è stata diretta- mente discussa dal Presidente del Consiglio e dal sottoscritto con il Segretario Ge- nerale della NATO, lo scorso 3 luglio. Il nostro rappresentate permanente era già in- tervenuto in proposito, nell’ambito del Consiglio Atlantico, il 27 giugno, ed aveva sostenuto con forza l’importanza cruciale della protezione della popolazione afgana dai pericoli derivanti dai combattimenti. Tale posizione ha trovato larga e convinta convergenza presso gli alleati. I vertici militari dell’Alleanza hanno immediatamente recepito e fatte proprie tali preoccupazioni; quale primo provvedimento è stata quindi emanata dal Comandante di ISAF una specifica direttiva («tactical direc- tive») finalizzata a prevenire e a ridurre al massimo la possibilità di coinvolgimento della popolazione civile nei combattimenti. Resta comunque, come avevo già sotto- lineato il 15 maggio, il problema di un migliore coordinamento fra le due missioni, ISAF ed Enduring Freedom che, lo ricordo, sono ambedue state costituite a seguito di precise risoluzioni delle Nazioni Unite, ma che hanno un mandato differente. La prima, a guida NATO, l’ISAF a cui noi partecipiamo, ha come obiettivo l’assistenza alla sicurezza ed alle autorità afgane nell’esercizio delle loro funzioni sovrane; la se- conda si concentra sul compito di contrastare il fenomeno del terrorismo interna-

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zionale che minaccia la pace e la sicurezza collettiva. Le due missioni rispondono a linee di comando differenti, linee che trovano comunque un punto di congiunzione in alcune posizioni chiave dei rispettivi staff di comando. Questa soluzione, che mira ad assicurare il necessario coordinamento, deve essere ulteriormente rafforzata. Si tratta, in ogni caso, di una questione che non può evidentemente essere affrontata solo dalla parte dell’ISAF, e quindi della NATO, e meno che mai può prevedere ini- ziative unilaterali. Coerentemente con l’obiettivo di sviluppare un approccio inter- disciplinare ad ampio spettro volto alla ricostruzione dell’Afghanistan, è ora in corso la missione dell’Unione Europea per la ricostruzione della polizia locale, attraverso attività di monitoring, mentoring, advising e training. Tale missione sta assorbendo progressivamente il personale e le funzioni a suo tempo svolte dal German Police Project Office (GPPO), ed avrà una durata che al momento si prevede sia di tre anni. La struttura organizzativa è basata sull’attivazione di un centro di gestione a Kabul e di nuclei presso i Regional Commander ed i PRT. Per superare le difficoltà emerse per un accordo generale bilaterale NATO-UE, è stata adottata una soluzione che prevede di regolare le attività mediante la stipula di accordi bilaterali tra la mis- sione dell’Unione Europea di polizia e le nazioni europee localmente responsabili dei PRT. Tale attività è in corso per quanto riguarda il memorandum d’intesa rela- tivo al nostro PRT (che, lo ribadisco, è tra UE e singoli paesi). Per questa missione, come descritto nel decreto-legge n. 81, attualmente in discussione in Parlamento, relativo alle disposizioni urgenti in materia finanziaria, al comma 4, dell’articolo 9, è previsto un contributo di personale dell’Arma dei Carabinieri di 25 unità, per assi- curare una presenza nazionale nel centro decisionale di Kabul (i primi due Ufficiali saranno immessi il 22 luglio), nonché funzioni di addestramento ad Herat (dove l’immissione è prevista orientativamente a partire da settembre). L’iniziativa è aperta anche alla partecipazione di personale della Guardia di Finanza, che renderà dispo- nibili 4 unità del nucleo già operante a Herat (1 a Kabul e 3 a Herat). Come da me anticipato di fronte alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato lo scorso maggio, in concomitanza con l’assunzione da parte dell’Italia della responsabilità di comando della regione della Capitale (a partire dal dicembre 2007, per otto mesi), si prevede un incremento temporaneo di circa 250 unità (a similitudine di quanto operato dalla Francia e dalla Turchia durante il rispettivo turno di comando) – e per la durata del periodo di responsabilità del comando – del nostro Contingente a Kabul, per le esigenze del Quartier Generale, di RCC, di protezione e di sostegno logistico. Questa è la previsione (che interessa il periodo a partire dal dicembre 2007), salvo diverse decisioni: al riguardo, sono in corso le attività di acquisizione di tutte le informazioni necessarie ad una corretta pianificazione di questa nostra fu- tura esigenza. Infine, sempre nell’ambito della missione in Afghanistan, va citato il distaccamento aeronautico di velivoli C-130J, che continua ad operare sotto l’egida nazionale negli Emirati Arabi Uniti per assicurare i collegamenti aerei con il Teatro. Passando ora alla missione KFOR, in Kosovo, devo innanzitutto ricordare che l’evo-

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luzione della situazione generale è subordinata ai negoziati in corso sulla definizione dello status della provincia da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. In questo contesto, anche tenuto conto della scadenza elettorale di novembre in Kosovo, si stanno parallelamente valutando, in particolare nell’ambito dell’Unione Europea, gli effetti e l’atteggiamento da assumere nel caso, non impossibile, di una dichiara- zione unilaterale di indipendenza da parte delle autorità locali, a fronte delle forti spinte esistenti in tal senso. Quale contributo alla missione in corso, l’Italia fornisce il vice Comandante (il Generale di Divisione Roberto Bernardini, il cui mandato annuale scadrà il 3 agosto e sarà sostituito dal Generale tedesco Stelz), un’aliquota dello staff del Quartier Generale, il Comandante e gran parte della Task force west (una delle cinque in cui si articola la missione KFOR dopo l’ultima riconfigurazione del maggio 2006), il Comandante e aliquote per la MSU, per complessive 2.060 unità circa. Questa, dunque, è la nostra consistenza. Il 9º reggimento alpini, dislo- cato temporaneamente su richiesta del Comandante NATO in zona di operazioni, a titolo prudenziale e con funzione di riserva operativa per fronteggiare eventuali si- tuazioni di emergenza, è rientrato in patria a metà luglio. La riconfigurazione della presenza militare NATO ed il coinvolgimento dell’Unione Europea, previa specifica risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, restano subordinati agli sviluppi della situazione. Al momento, sono in corso approfondimenti e discussioni, in par- ticolare nell’ambito dell’Unione Europea, sugli aspetti giuridici e sulle opzioni di at- tuazione della missione, che potrebbero configurarsi a seguito delle molteplici va- rianti di situazione legate alle decisioni dell’ONU, dei membri della Comunità in- ternazionale e di Pristina. La pianificazione attuale prevede una fase di transizione durante la quale un International Civilian Office (ICO) subentrerà gradualmente alla missione United Nation Mission Interim in Kosovo (UNMIK) e la successiva attivazione di una missione civile di circa 1700-1800 unità (delle quali circa 1000- 1300 di polizia). Quindi, lo ribadisco, l’International Civilian Office subentrerà alla missione delle Nazioni Unite e poi verrà sostituito da una missione civile: questa è l’ipotesi di lavoro. In tale ambito è previsto che l’Italia svolga un ruolo significativo sia con l’acquisizione di posizioni chiave nel settore della giustizia (posizione civile), sia con l’inserimento di personale militare di staff e con un contributo significativo di assetti dell’Arma dei Carabinieri. Al momento, si delinea, in concomitanza con l’inizio della missione PESD, l’ipotesi di una riconfigurazione riduttiva del Contin- gente MSU di KFOR a favore di un’analoga missione dell’Unione Europea (cioè una ridislocazione), realizzando sinergie tra i due Contingenti di Carabinieri di KFOR e dell’Unione Europea (come, ad esempio, l’utilizzo di un’unica base per i due dispositivi, per cui la transazione avverrebbe all’interno di una continuità d’azione). In totale, il contributo dell’Arma alla missione PESD sarà dell’ordine delle 180 unità, cui si aggiunge il ridimensionato contributo di 100 unità nella MSU di KFOR. In prospettiva KFOR continuerà ad assicurare una presenza mili- tare internazionale per garantire la sicurezza e contribuire allo sviluppo delle future

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strutture di sicurezza kosovare. Nel Teatro balcanico continua, infine, la presenza di nostro personale all’interno dei Comandi NATO attivati presso le Capitali di Al- bania, dell’ex Repubblica di Macedonia, in Bosnia-Erzegovina ed in Serbia, al fine di contribuire allo sviluppo delle Forze Armate locali, in un’ottica di rafforzamento della cooperazione e di progressivo avvicinamento alle strutture euroatlantiche. Il consistente e perdurante sforzo militare nel Teatro balcanico risponde non solo agli obiettivi di stabilizzazione di questa vicina regione, ma concorre a rafforzare, in ap- plicazione dell’approccio interdisciplinare, il dispositivo di sicurezza nazionale, con- tribuendo a prevenire le infiltrazioni delle organizzazioni criminali e terroristiche che si sviluppano e utilizzano questa regione quale ponte verso il nostro Paese. Passo ora al Medio Oriente. Nell’ambito dell’intervento nel settore della formazione dei Quadri dirigenti delle costituende forze di sicurezza irachene, nell’agosto del 2004 è stata istituita – lo ricordo – nell’area di Baghdad la NATO Training Mission Iraq (NTM-I). Questa missione vede la partecipazione di 19 nazioni; il Quartier Gene- rale della missione è situato nella International Zone (IZ) a Baghdad presso il Cul- tural centre compound, mentre un Quartier Generale distaccato è stato stabilito ad Ar Rustamiyah (20 chilometri circa a Sud Est di Baghdad) per il supporto alla costi- tuzione del Joint Staff College (JSC) e dell’Accademia militare. Da allora, e senza soluzione di continuità, la NATO Training Mission continua a svolgere la sua mis- sione, ovvero a provvedere, con il Governo transitorio iracheno, alla formazione dei Quadri, all’addestramento e al supporto tecnico delle forze di sicurezza irachene, allo scopo di agevolare l’Iraq nel raggiungimento di una sicurezza efficace, democra- tica e durevole. Il contributo italiano è attualmente incentrato sul Vice Comandante (Generale di Divisione Alessandro Pompegnani), che di fatto svolge la funzione di leadership, e su 29 militari, in gran parte istruttori, incaricati di tre dei quattro corsi di formazione degli Ufficiali delle Forze Armate irachene. In tale contesto, nei mesi scorsi il Primo Ministro iracheno aveva formulato all’Alleanza Atlantica una ri- chiesta, relativa ad un supporto italiano nell’addestramento della Iraqi National Po- lice (INP). Nel corso della sua recente visita in Italia, il Ministro della Difesa ira- cheno mi ha poi ribadito questa richiesta, alla quale il Governo ha inteso rispondere in senso favorevole. È, infatti, in corso il dispiegamento in Iraq di un Contingente dell’Arma (Carabinieri Training Unit) di circa 40 unità, dispiegamento il cui com- pletamento è stato pianificato per la prima metà di settembre, al fine di consentire il completamento delle strutture logistiche, con l’obiettivo di avviare l’attività a partire dal 29 settembre e per una durata di 2 anni (sempre all’interno della NATO Trai- ning Mission Iraq). Voglio ricordare come fin dalla mia prima visita a questo propo- sito in Iraq, svoltasi il 30 maggio del 2006, affermai con chiarezza che il Governo intendeva portare a compimento la missione italiana «Antica Babilonia », in corso nella provincia di Dhi Qar nel quadro della coalizione a guida statunitense, non ap- pena avessimo portato a termine i nostri compiti. Fin dall’inizio, tuttavia, dicemmo che questo non significava in alcun modo che avremmo voltato le spalle all’Iraq.

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Come sempre detto in questi mesi, intendiamo continuare a sostenere le Istituzioni legittime di quel paese, affinché possano definitivamente assumere su di sé le re- sponsabilità del governo di una situazione oggettivamente critica in termini di sicu- rezza regionale e globale. Le misure di sostegno all’addestramento delle Forze Ar- mate e di polizia irachene vanno esattamente in questa direzione. Nel provvedi- mento che il Parlamento ha approvato per rifinanziare la partecipazione delle Forze Armate italiane alle missioni internazionali in corso, è peraltro esplicitamente citata la partecipazione di personale militare impegnato in Iraq in attività di consulenza, formazione ed addestramento delle Forze Armate e di polizia irachene. In altri ter- mini, la partecipazione italiana alla NATO Training Mission in Iraq risponde ai cri- teri della continuità dell’azione internazionale dell’Italia, quando svolta nel contesto delle alleanze permanenti, è stata rigorosamente comunicata al Parlamento e da questo approvata, ed è esplicitamente richiesta dagli stessi iracheni. Nel Mar Medi- terraneo prosegue, inoltre, l’impegno nazionale nell’ambito dell’Operazione NATO Active Endeavour, con compiti di controllo e sorveglianza marittima nel Mar Medi- terraneo, al fine di contribuire alla campagna contro il terrorismo internazionale at- tivata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. L’Operazione si svolge sotto il con- trollo operativo del Commander maritime component command di Napoli, ovvero dell’Ammiraglio di Squadra Cesaretti, della nostra Marina Militare. Attualmente contribuiamo all’operazione con missioni di aerei da pattugliamento marittimo e con 1 o 2 fregate o pattugliatori di squadra, nonché con un cacciamine. Oltre alle missioni sotto l’egida delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e della NATO, l’Italia è impegnata anche in una serie di missioni a carattere multilaterale e bilate- rale. Con riferimento alle prime, la partecipazione italiana alle missioni multinazio- nali attivate nella regione medio-orientale e nel Continente africano si configura come segue. Con la MFO (Multinational Force & Observers), con un Contingente di 81 militari della Marina Militare e tre pattugliatori navali dislocati a Sharm el Sheikh (Sinai), per garantire la libertà di navigazione nello Stretto di Tiran, che unisce il Golfo di Aqaba al mar Rosso. Con la TIPH-2 (Temporary International Presence in the city of Hebron), con un Contingente di 12 osservatori dell’Arma dei Carabinieri, con il compito di assistere le autorità palestinesi, coordinando le pro- prie attività con quelle israeliane (il mandato della missione deriva dalla richiesta del Governo d’Israele e dell’autorità palestinese ed è a tempo indeterminato). Anche a Hebron la situazione al momento non presenta elementi di particolare criticità. Con la AMIS (African Mission in Sudan) con 2 Ufficiali di staff nell’ambito del so- stegno fornito dalla UE alla missione dell’Unione Africana nel Darfur. Un’ulteriore missione è costituita dall’AMISOM (African Mission in Somalia) con 2 Ufficiali di staff (di prossimo invio) per il Comando Missione ubicato ad Addis Abeba, richiesti dalla Presidenza della SHIRBRIG (al momento a leadership italiana) che opera sotto egida ONU, a sostegno della missione dell’Unione africana in Somalia. Anche tale missione è stata inserita nel già citato articolo 9 del decreto-legge n. 81, attual-

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mente in discussione in Parlamento (ne do conto per completezza perché poi sarà esaminato nelle sedi proprie). Continua, infine, l’impegno per i programmi di assi- stenza bilaterale che hanno consentito di sviluppare utili e proficue attività di coo- perazione con l’Albania, con la Delegazione Italiana Esperti (DIE) e con il 28º gruppo navale, inizialmente attivato per contribuire alla sorveglianza delle coste al- banesi contro l’immigrazione clandestina; con Malta, con la Missione Italiana di As- sistenza Tecnico-Militare (MIATM). In conclusione, signor Presidente, ritengo che la prevedibile evoluzione dello scenario e la pianificazione al momento consolidata per la partecipazione alle missioni internazionali, lasci prevedere una sostanziale sta- bilità dei livelli di impegno per il resto del 2007, ovvero sempre nell’ordine di 8.000 militari. Non si possono peraltro escludere eventuali ulteriori esigenze di impiego (che isoliamo solo per informazione generale) ricollegabili, da una parte, a richieste ONU/UE/NATO in relazione al deteriorarsi di alcune situazioni a rischio, qualora l’autorità politica valutasse necessario e opportuno un contributo nazionale a possi- bili iniziative della Comunità internazionale con particolare riferimento in Africa, all’evoluzione delle crisi in Sudan-Darfur e in Somalia, e nel vicino Oriente, a se- guito dei più recenti avvenimenti nella striscia di Gaza; dall’altra, all’opportunità di continuare a prevedere una presenza saltuaria, ma continuativa, di unità navali per attività di presenza e di cooperazione nelle aree del mar Rosso, mar Arabico e Golfo Persico – che rivestono una particolare rilevanza strategica, politica, economica e commerciale per il nostro Paese – in aggiunta alla presenza del Contingente aero- nautico, già citato, di C-130J ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti; infine, ad un’eventuale attivazione reale del Battle Group dell’Unione Europea o della NATO Response Force, per i quali – a partire dal mese di luglio per sei mesi – manteniamo disponibili in turno di prontezza, rispettivamente, la Multinational Land Force (in- centrata sulla Brigata Julia e su reparti di Slovenia e Ungheria) e il comando NRDC di Solbiate Olona (quale Comando di componente terrestre) unitamente a reparti della Brigata Friuli e ad assetti navali ed aerei. Questi impegni, al momento solo po- tenziali, non rientrano, evidentemente, nel quadro delle missioni internazionali de- scritte nella legge 26 marzo 2007, n. 36, per la quale sono qui oggi ad informare il Parlamento. Si tratta, invece, di impegni che derivano dagli esistenti accordi inter- nazionali, in ambito NATO ed Unione Europea, che vincolano in misura impor- tante l’Italia ad una condotta in materia di politica militare coerente con il generale orientamento della nostra politica estera. Nella formulazione di quest’ultima, come è noto, l’Italia si è sempre espressa per una sostanziale integrazione e condivisione delle scelte nazionali con quelle degli alleati. Ne è derivato un consistente e cre- scente impegno anche per le nostre Forze Armate, chiamate ormai a fornire, pres- soché continuativamente, un significativo contributo a quei complessi di forze che sia la NATO che l’Unione Europea mantengono ad un elevato grado di appronta- mento, per esigenze impreviste e che richiedono un’immediata risposta. Qualora la Commissione lo ritenesse opportuno, potrei intervenire nuovamente in questa sede,

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per una nuova audizione, finalizzata proprio a fornire un quadro dettagliato relati- vamente a tale tematica, cioè alle forze predisposte in condizioni di prontezza a di- sposizione dell’Unione Europea e della NATO, che ritengo di estrema rilevanza per la politica di difesa nazionale. Circa le missioni all’estero attualmente in corso, esse costituiscono una chiara rappresentazione dell’impegno dell’Italia e delle sue Forze Armate per la promozione e la difesa della pace e della legalità internazionale. Si tratta di un impegno gravoso, sia in termini umani che finanziari. Non è un male ri- peterlo spesso. Dobbiamo essere e rimanere pienamente consapevoli di quanto questa partecipazione sia vitale per noi e per i popoli che in tal modo andiamo ad aiutare. Il nostro Paese opera a pieno titolo nelle principali organizzazioni politiche e di sicurezza del vecchio Continente. Per due anni siederà nel Consiglio di Sicu- rezza delle Nazioni Unite. Rimane un attore politico, economico e culturale di pri- missimo livello sulla scena internazionale. Tutto ciò lo si deve anche all’azione dei nostri militari, che sono unanimemente apprezzati e rispettati in ogni contesto in cui operano. Molto è quello che chiediamo alle nostre donne ed ai nostri uomini in divisa; molto, consentitemi di dirlo concludendo, è quello che dobbiamo ad essi, per consentirgli di portare a termine le missioni affidate.

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Casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali Senato, 9 ottobre 2007

Ringrazio la Presidente e tutti i membri della Commissione per l’invito che mi avete rivolto, che mi consente di illustrare la posizione del Dicastero riguardo all’og- getto dell’inchiesta in corso e, nel contempo, di dare i chiarimenti richiesti in merito agli istituti di assistenza e provvidenza economica previsti in favore dei militari inte- ressati da gravi patologie riconducibili alla partecipazione a missioni internazionali. Colgo l’occasione, che mi è stata offerta dalla Presidente nell’introduzione, per dire che considero questo un primo incontro che mi consentirà di dare risposta ad al- cune domande, mentre per la parte per cui ciò non è possibile rinvio a risposte che saranno fornite nel più breve tempo possibile. In premessa, sento innanzitutto il bi- sogno di sottolineare in modo forte e convinto quanto questo argomento stia a cuore sia alla Difesa che a me personalmente. La Difesa e le Forze Armate sono in- fatti le prime a considerare la salute dei militari come un bene prezioso da salvaguar- dare. Individuare tutte le cause delle gravi malattie che possono colpire i militari è per noi una priorità assoluta e nella stessa misura ci sta a cuore anche manifestare ogni possibile forma di solidarietà a chi è stato colpito. Ben venga, quindi, ogni ini- ziativa che si proponga questi obiettivi. Non posso perciò che esordire testimo- niando il dispiacere della Difesa per il clima di diffidenza che talvolta si ingenera su questo argomento e per le conseguenti polemiche che da esso talvolta derivano. In tutte queste incomprensioni, spesso enfatizzate dai media, ho tuttavia voluto co- gliere soltanto il lato costruttivo. So infatti che, al di là delle forme, esse sono gui- date da senso di giustizia e solidarietà e vanno pertanto considerate – io le considero tali – come uno stimolo a operare in modo sempre più efficace. Resta tuttavia che, al di là delle intenzioni, alcune di queste critiche possono apparire ingiuste e sono motivo di disinformazione spesso grave e di allarme sociale ingiustificato. In parti- colare, esse sembrano dare per scontato che esistano delle indiscusse certezze scienti- fiche sulla causa delle malattie diagnosticate, delle quali non si vorrebbe prendere atto. Chi ha affrontato l’argomento con attenzione sa bene, invece, che ci muo- viamo in un settore della conoscenza umana estremamente incerto, dove la precisa individuazione del nesso causa-effetto è ancora oggetto di verifica. Ciò richiede che

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il fenomeno sia affrontato con una metodologia di ricerca fatta di fatica ed umiltà, come in tutti i settori difficili della medicina, senza conclusioni affrettate. Queste ultime possono infatti essere più dannose del male stesso, perché allontanano la ve- rità e impediscono più efficaci misure correttive e di prevenzione. In questo quadro di evidente incertezza, la Difesa, nelle operazioni in zone critiche, sta tuttavia appli- cando ogni ragionevole misura precauzionale, accumulando e valorizzando le espe- rienze acquisite e scambiando tali esperienze con i Paesi amici, oggetto degli stessi fenomeni. Credo che su questo argomento, in particolare sullo stato delle misure di prevenzione nelle Forze Armate, il Generale Castagnetti, già Comandante del Co- mando Operativo di Vertice Interforze e, come tale, responsabile delle operazioni al- l’estero, abbia fornito un quadro preciso nella sua audizione dello scorso maggio. In quella sede il Generale Castagnetti ha illustrato le procedure di tutela di salute dei nostri militari attraverso l’impiego di reparti specializzati nella rilevazione ambien- tale, l’addestramento specifico ai pericoli ambientali, gli equipaggiamenti da indos- sare al momento della necessità. Ogni territorio ove i nostri militari sono chiamati ad operare viene sottoposto ad approfondite e ripetute verifiche ambientali. Esse sono finalizzate ad accertare l’esistenza di agenti o aggressivi chimici, biologici, ra- diologici e nucleari. Come si può rilevare, la Difesa pertanto non intende in alcun modo sottovalutare il fenomeno e tanto meno dissimularlo. La Difesa riconosce tut- tavia che, nei limiti del suo stretto ambito di competenza e conoscenza, non è in grado di affrontare compiutamente la difficile problematica. Questo rafforza per- tanto l’esigenza di cooperazione con tutte le strutture competenti presenti nel Paese, che sono capaci di operare in questo settore con diverse competenze, da quelle sani- tarie a quelle giuridiche. Muovendo da queste premesse, intendo ora illustrare im- mediatamente le linee di azione che sono in corso di attuazione. Esse derivano dal- l’esperienza fin qui maturata, che consiglia un comportamento improntato alla tra- sparenza e disponibilità a collaborare con chiunque abbia titolo a occuparsi dell’ar- gomento. A riguardo di questo atteggiamento, debbo citare, ad esempio, il progetto SIGNUM, dove abbiamo affidato all’Istituto Superiore di Sanità e ad altri presti- giosi istituti nazionali uno studio prospettico seriale basato su un campione di 1.000 militari operanti nel Teatro iracheno. Siamo in attesa dei risultati entro la fine del- l’anno. L’esperienza dimostra tuttavia la necessità di applicare, intanto e comunque, nell’ambito della Difesa, tutte le nuove metodologie organizzative e procedurali che ci consentono di raggiungere più rapidamente dei risultati. Questo ci induce ad operare contemporaneamente su tre fronti: il fronte della normativa risarcitoria ed assistenziale, perché i casi volta a volta evidenziati trovino attenzione pronta e ri- sposta adeguata; il fronte della gestione delle informazioni, perché i dati in possesso della Difesa siano organizzati adeguatamente e correlati nella loro generalità, specie dal punto di vista storico; il fronte della ricerca, con una revisione di procedure e strutture in modo da consentire la verifica puntuale e continuativa delle diverse ipo- tesi sul tappeto. Su ognuno di questi fronti mi soffermerò ora più in dettaglio. Per

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quanto concerne il fronte della normativa risarcitoria ed assistenziale, quello dei ri- sarcimenti e del riconoscimento delle cause di servizio è un settore delicato, rispetto al quale molti si sentono talvolta doppiamente colpiti. Lo dico esprimendo com- prensione per il disagio e la disillusione che talvolta provoca l’atteggiamento appa- rentemente sordo e poco rispondente dell’Amministrazione dello Stato alle esigenze di personale già così duramente colpito. E non a caso non ho detto Amministra- zione della Difesa, ma dello Stato, perché poco può fare da sola l’Amministrazione della Difesa in presenza di norme generali tassative. Ci troviamo infatti di fronte a un intreccio e ad una stratificazione di normative che ha visto il passaggio da un si- stema del passato, considerato permissivo, a uno estremamente restrittivo, che re- clama evidenze causa-effetto e pone diversi cancelli procedurali. È accaduto nel mondo militare un percorso analogo a quello verificatosi nel mondo civile riguardo alle pensioni di invalidità, che erano in passato considerate, ancorché polemica- mente, in numero eccessivo, dando seguito ad una evoluzione restrittiva delle norme. A questo punto va ricordato come l’iter di riconoscimento della causa di ser- vizio si svolga esternamente all’Amministrazione della Difesa. Esso viene infatti sta- bilito dal Comitato di verifica, costituito con decreto del Presidente della Repub- blica n. 461 del 2001. Tale comitato è composto da membri di diverse amministra- zioni dello Stato, alle dipendenze del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Una delle conseguenze di questa evoluzione verso un approccio più restrittivo è che l’iter di riconoscimento è particolarmente complesso e non ha esito se non vi è il nesso dimostrato causa-effetto. Gli esperti della materia affermano che ritoccare nuova- mente la normativa in senso più liberale richiederebbe particolare attenzione, perché una qualsiasi apertura può determinare effetti non voluti di allargamento e riportare a una situazione economicamente ingestibile. In questo caso la Difesa si è mossa su due direttrici: da una parte una innovazione procedurale per rendere possi- bile un rapido riconoscimento della causa di servizio a legislazione vigente, anche in assenza di precise certezze scientifiche per il buon fine dell’azione risarcitoria, e dal- l’altra l’emanazione di un provvedimento amministrativo finalizzato ad assicurare un’immediata assistenza integrativa. Nel primo caso si è agito con modifiche conte- nute e mirate alla legislazione vigente. Già nella legge finanziaria 2006, quindi du- rante la precedente legislatura, si era fatto in modo che fossero create le condizioni affinché questo tipo di infermità potessero essere considerate nella legislazione ri- guardante le vittime del dovere. Il regolamento attuativo emanato con decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006 ha infatti generato le condizioni proce- durali per il riconoscimento della causa di servizio, basata solo sull’evidenza di par- tecipazione ad attività in particolari condizioni di ambiente operativo. Purtroppo questo intervento non ha prodotto immediatamente gli effetti voluti, perché legato a una legge generale non finanziata adeguatamente, producendo delle cifre risarci- torie palesemente non rispondenti al costo della vita dei giorni nostri, come è stato anche rilevato nel corso dei lavori di questa Commissione. Questo aspetto è stato af-

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frontato poi in maniera decisa con il recentissimo decreto legge n. 159 del 1° ot- tobre ultimo scorso. In esso vengono assegnati nel corrente anno 170 milioni di euro a finanziamento della normativa sopra citata. Tale misura darà un immediato beneficio anche al nostro personale. In questo contesto anche coloro che hanno già ricevuto il riconoscimento potranno usufruire di un’integrazione, come recita l’arti- colo 34 del decreto. La cifra dovrebbe consentire un azzeramento di molte pendenze arretrate nei risarcimenti delle vittime del dovere e consentire dal prossimo anno di andare a regime in questo settore. Quanto al riconoscimento della causa di servizio, la normativa introdotta nel 2006 si fonda sul principio di una presunzione di causa fidando nel fatto che, se non è possibile dimostrare una chiara connessione causa ef- fetto, non è neppure possibile dimostrare il contrario. Si può intuire tuttavia quanto critica sia l’introduzione di questo principio senza precisi confini di applicazione. La norma lo limita infatti ai soli casi di personale che abbia agito in particolari condi- zioni operative, stressanti per il fisico, quali quelle che si configurano in una mis- sione in ambiente ostile e/o degradato da eventi di tipo bellico o in condizioni adde- strative realistiche. La chiave della norma è prevista dalla lettera c) dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006, laddove stabilisce il rico- noscimento della causa di servizio «per particolari condizioni ambientali od opera- tive, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di cir- costanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto». La norma, nel limitare il campo di applicazione degli effetti, allarga al mas- simo il campo delle possibili cause. È positivo per questo che essa non contenga il termine «uranio impoverito» trattando il problema, ma usi una terminologia più ge- nerale. Ciò consente di tenere in considerazione altre ipotesi che si sono fatte per l’instaurarsi delle malattie. La seconda innovazione nel campo delle normative è quella tesa a rispondere ancor meglio alla necessaria tempestività di intervento ed è stata resa possibile utilizzando opportunamente il comma 902 della legge finanziaria per il 2007, ove la cifra di 10 milioni stanziata è finalizzata, tra l’altro, a «interventi sanitari che si rendano eventualmente necessari in favore di personale affetto da in- fermità letali ovvero da invalidità o inabilità permanente». Esso ci ha consentito di emettere una circolare applicativa della Direzione generale della sanità militare (n. 10654 del 1º giugno 2007), che prevede di fornire una immediata assistenza a chiunque contragga una grave malattia nelle citate particolari condizioni operative tratte dalle normative risarcitorie. Sappiamo infatti che il sistema sanitario nazionale copre le cure nei gravi casi tumorali. Con la circolare si assicura perciò un ulteriore supporto per tutti quegli oneri a contorno, non coperti dal sistema sanitario (ad esempio, viaggi dei familiari, assistenza psicologica o anche eventuali ulteriori visite o cure aggiuntive che l’interessato volesse intraprendere). La circolare è operativa dallo scorso mese di giugno e può coprire anche spese pregresse. Confermo che essa è operante con adempimenti burocratici minimi, sotto la responsabilità di un diri-

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gente della Direzione di sanità militare, contattabile via telefono, come riportato nel sito web della Difesa. Il secondo fronte riguarda la gestione delle informazioni. Esaurito l’argomento risarcimenti e assistenza, su cui peraltro continueremo a lavo- rare per i necessari ulteriori perfezionamenti, passo all’altro argomento molto con- troverso, che è quello dei dati relativi ai militari malati. A questo proposito, voglio innanzitutto confermare che non esiste alcun segreto di Stato sull’argomento – l’ab- biamo già detto in apertura – e ripetere che la Difesa ha la precisa volontà di giun- gere a una limpida ed univoca verità su questi dati. Ciò che ci ha impedito sinora di raggiungere una solida base informativa sono stati vari fattori, tra i quali la man- canza di un centro specialistico centralizzato che coordinasse, all’interno della Di- fesa, lo studio del fenomeno. A questa mancanza si è associata, inoltre, la normativa sulla tutela della privacy, molto restrittiva, che rende impraticabile la pubblicazione aperta di elenchi nominativi, azione che consentirebbe di ricevere immediate pub- bliche conferme o smentite sulla completezza e correttezza dei dati. Come ho illu- strato alla Presidente Menapace nella mia lettera del 18 luglio scorso, i dati sono sparsi all’interno di varie articolazioni, spesso solo su supporti cartacei, costruiti per scopi diversi e, pertanto, non immediatamente disponibili per l’analisi delle correla- zioni. A questo punto ho perciò ritenuto necessario cambiare metodologia e ho pro- posto, con la mia lettera di luglio, di fornire dei dati classificati in modo omogeneo per una migliore lettura e comprensione ai fini dell’indagine in corso. In questo senso quanto richiesto da questa Commissione è stato oggetto di un attento studio interno al fine di consentire, da una parte, di rispondere puntualmente e con la massima tempestività possibile a quanto richiesto e, dall’altra, di integrare i dati nei termini richiesti. Il risultato finale che si vuole ottenere è un database accessibile a chi ne abbia titolo, che contenga l’elenco nominativo di tutti i casi di grave malattia che hanno interessato le Forze Armate nell’ultimo decennio, associato alla storia del- l’impiego di tale personale e anche al suo percorso sanitario. La Direzione Generale di Sanità ad oggi ha raccolto i dati relativi alle gravi malattie e stiamo informatiz- zando l’elenco nominativo del personale interessato. Posso anticipare le cifre com- plessive che risultano da tale analisi e che sono sottoposte ad ulteriore verifica prima della trasmissione ufficiale alla Commissione. Al termine della compilazione l’elenco dovrebbe rappresentare un riferimento emendato da tutti gli errori indivi- duabili e individuati, che sono stati peraltro notati anche da consulenti di questa Commissione. La Direzione di Sanità Militare ha operato la raccolta e l’analisi dei dati in questo periodo e oggi mi riferisce le seguenti cifre. I militari che hanno con- tratto malattie tumorali e che risultano essere stati impiegati all’estero nei Balcani, Afghanistan, Iraq e Libano, nel periodo 1996-2006, risultano essere un totale di 255: 161 appartengono all’Esercito, 47 alla Marina, 26 all’Aeronautica e 21 ai Cara- binieri. Di questi malati la Direzione di Sanità dichiara un esito letale della malattia per 37 soggetti: 29 dell’Esercito, 1 dell’Aeronautica, 7 dell’Arma dei Carabinieri. A fronte di questi dati, che si riferiscono agli impieghi nei teatri operativi, stanno

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quelli relativi ai militari che si sono ammalati nello stesso periodo 1996-2006, pur non avendo partecipato a missioni internazionali. Si tratta di 1.427 militari: 604 dell’Esercito, 45 della Marina, 49 dell’Aeronautica, 729 dell’Arma dei Carabinieri.

FERRANTE (Ulivo). Signor Ministro, però servirebbe il dato assoluto.

PARISI, Ministro della Difesa. L’ho detto.

FERRANTE (Ulivo). Non sono stato chiaro. Il numero assoluto dei malati è 255 in un periodo di dieci anni. Ma qual è il dato relativo? 255 malati su quanti militari impiegati complessivamente nelle missioni internazionali?

PARISI, Ministro della Difesa. Lei vuole sapere la base di calcolo. Oggi vi ho anti- cipato i dati relativi alle persone che sono affette da patologie. Il numeratore e il de- nominatore sono dati assoluti; in questo caso ho dato conto del numeratore, che è quello che risponde comprensibilmente alla richiesta più immediata. Ho già detto che questa è solo un’anticipazione. Nei termini che ho annunciato presenteremo l’intero database e allora la sua domanda, che è anche la mia, troverà la sua risposta in termini percentuali. In questo momento, siccome quello emerso è un numero dei casi più contenuto – fortunatamente – ho dato conto solo dei dati corrispondenti a coloro che rispettivamente hanno e non hanno prestato servizio nei teatri operativi. So che c’è bisogno di moltissimi altri elementi per poter valutare correttamente il dato; tuttavia esso rappresenta già un inizio di conoscenza, perché dà un’idea del- l’ordine di grandezza del fenomeno.

RAMPONI (AN). Un punto di partenza ci vuole sempre, poi si arriverà alla conclusione.

PARISI, Ministro della Difesa. La Direzione Generale di Sanità non è al momento in grado di verificare quanti di questi militari estranei alle missioni all’estero ab- biano operato in poligoni di tiro nazionali. Mentre l’elenco dei militari all’estero ri- sulta infatti dai documenti di invio in missione, per il dato nazionale è necessario analizzare i libretti personali. Si tratta di un’operazione più complessa, che peraltro è in corso. Queste sono le cifre che risultano dalla raccolta dei dati in possesso del si- stema sanitario militare.

BULGARELLI (IU-Verdi-Com). Mi scusi, signor Ministro, mi sembra che non abbia citato il dato delle persone de- cedute tra i militari che non hanno partecipato alle missioni.

VALPIANA (RC-SE). Infatti non lo ha detto.

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PARISI, Ministro della Difesa. No, ha ragione, lo chiederò. In ogni caso, ripeto che questi dati sono delle anticipazioni. La sua domanda mi sembra assolutamente rilevante. Vi ho anticipato i dati che ad oggi erano anticipabili, anche perché mentre i primi casi di malattia rappresentano un insieme più contenuto (255 persone in to- tale, di cui 37 decedute), immagino – ma spero ovviamente di no – che il numero dei militari deceduti sia un po’ più elevato e che non mi sia stato fornito perché al momento non disponibile. Così come non è ancora disponibile il dato, che rientra nell’oggetto dell’indagine, relativo alla possibilità di distinguere, tra i militari che non hanno prestato servizio in Teatri operativi, coloro che hanno svolto la propria attività all’interno dei poligoni. Sono tutti elementi che saranno acquisiti successiva- mente. Come dicevo, non è possibile desumere ancora un dato preciso degli esiti le- tali per il secondo gruppo di militari non partecipanti a missioni. Tale dato tuttavia è di prossima acquisizione. Mi viene anche riferito che quelle riportate sono cifre che possono variare di qualche unità dopo le ulteriori verifiche dei dati clinici e dei libretti personali, ma mi viene comunque assicurato che l’ordine di grandezza è quello che ho anticipato. I dati verranno forniti ufficialmente alla Commissione entro fine mese, come riferito nella mia comunicazione del 18 luglio, corredati con le considerazioni di riferimento agli elenchi forniti precedentemente. Per quanto ri- guarda i dati richiesti ai Centri Documentali dei disciolti ex Distretti Militari, che saranno integrati presso i reparti di impiego, mi è stato comunicato che la task force dedicata sta operando in anticipo sulla tempistica da me annunciata ed è al 70 per cento del lavoro. Questa seconda serie di dati permetterà di avere cognizione di tutto il personale militare che si è recato in missione nel periodo di riferimento (dunque, il denominatore). Per completezza debbo infine rilevare l’esistenza di casi di incertezza che sfuggono a questa raccolta. Sono i casi di militari che si sono con- gedati da anni e che, qualora ammalatisi, possono non avere chiesto il riconosci- mento della causa di servizio, con la conseguenza che la loro malattia, e quindi la loro realtà, potrebbe essere nota al solo sistema sanitario nazionale e non anche a quello militare. Anche gli esiti letali relativamente a personale congedato tra quello non inviato in missione possono non essere stati registrati. Proprio per questo si sta elaborando una convenzione con il Ministero della Salute che consentirà a breve di incrociare e correlare i dati per l’individuazione anche di questo sottoinsieme. Ve- nendo al terzo fronte, quello della ricerca delle cause, le conclusioni della Commis- sione di inchiesta precedente, come sicuramente sapete meglio e prima di me, nonché la posizione manifestata da molti esperti, concordano sulla necessità di con- tinuare in modo più sistematico e continuativo le ricerche. Non è mia intenzione discutere di dati conoscitivi che esulano delle mie conoscenze e competenze. Posso solo dire che siamo interessati ad approfondire ogni ipotesi che sia ritenuta scientifi- camente plausibile. Quello che ritengo invece indispensabile e riconducibile al mio ambito di competenza è la creazione di un’organizzazione capace di sottoporre a ve- rifica le varie ipotesi volta a volta formulate e che serva anche da interfaccia a

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chiunque cerchi luce su questo argomento. Non ritengo che questo obiettivo ri- chieda la creazione di una nuova unità organizzativa; ritengo invece utile attivare una funzione di coordinamento che focalizzi su questo tema le competenze esistenti ed acquisisca in modo sistematico dati e conoscenze. Il Dicastero, pertanto, intende assumere un’iniziativa che raccolga anche proposte esterne, creando un centro che operi sulla problematica e abbia la capacità di interagire e di operare nell’ambito delle conoscenze esistenti in materia. Il centro opererebbe presso la Direzione Gene- rale di Sanità e potrebbe ricevere le direttive da un Comitato scientifico formato dai maggiori esperti della materia. A tal fine, ho pertanto richiesto ai miei colleghi Mi- nistri della Salute e della Ricerca di segnalare dei nominativi di personalità che pos- sano e vogliano raccogliere le esperienze fin qui fatte e procedere in una linea di ri- cerca che possa farci avanzare nella ricerca. In questa attività di ricerca può essere utilizzato in particolare il già citato comma 902 della finanziaria 2007, che stanzia 10 milioni di euro anche per il «monitoraggio delle condizioni ... in poligoni di tiro nazionali, e nelle zone adiacenti, nei quali siano sperimentati munizionamento e si- stemi di armamento». In questo quadro sarà possibile avviare un monitoraggio siste- matico del poligono di Salto di Quirra, che possa investire tutta l’area e che si svolga con il coinvolgimento di rappresentanti delle autorità locali, che sono le più interes- sate a problemi di inquinamento ambientale. A tale proposito, ritengo che i dubbi, le perplessità e le valutazioni contrastanti che si sono avute sul poligono debbano es- sere chiariti una volta per tutte. L’Italia – e qui rispondo ad una domanda che mi è stata posta – non ha mai fatto uso di armamento ad uranio impoverito, né risulta che nel nostro poligono possa essere stato utilizzato da altri, a meno di dichiarazioni mendaci degli utilizzatori stranieri. Ciò potrebbe anche essere, ma nel contesto le debbo ritenere così estreme da non considerarle in prima ipotesi, anche perché por- rebbero seri problemi al Governo. Tuttavia, anche qui siamo interessati a stabilire se esistano altri fattori, oltre all’uranio impoverito, che possano causare danni ambien- tali. Per questo la nuova attività di monitoraggio ambientale utilizzerà criteri aggior- nati anche per l’analisi delle nanoparticelle non precedentemente presi in considera- zione. Il capitolato dell’operazione è in stesura e vorrei che ricevesse un avallo finale proprio dalle personalità scientifiche di cui aspetto la segnalazione da parte dei Di- casteri della Salute e della Ricerca. L’esperienza fatta in questa operazione ci consen- tirà di procedere con la stessa sistematicità in altre aree che si ritenesse utile analiz- zare. I fondi assegnati con il citato comma 902 saranno utilizzati anche per acquisire nuove attrezzature sanitarie e informatiche dedicate a questo tema, naturalmente con la consapevolezza dei limiti e della destinazione complessa, tenendo presente che siamo a conclusione dell’anno 2007 a cui si riferisce la norma in questione. Concludendo, in questa mia esposizione ho voluto soprattutto descrivere le azioni in corso sulla tematica, nel settore dei risarcimenti e dell’assistenza integrativa, nel settore della gestione delle informazioni, nel settore scientifico della ricerca delle cause di malattia. Ripeto: al centro delle nostre preoccupazioni è la tutela del perso-

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nale. Sono preoccupazioni che sento comuni con l’impegno di questa Commis- sione. La professione militare al servizio della Repubblica presenta di per sé già molti aspetti di rischio; il nostro compito è quello di contenerli al massimo, adot- tando tutti gli accorgimenti possibili. L’esperienza accumulata nelle missioni opera- tive all’estero ci permette oggi di sentirci meglio attrezzati e addestrati alle necessità sul campo. Riteniamo però che si possa e si debba fare sempre e ancora di più. Lo dico per i militari, ma anche per la popolazione civile. Sono sicuro che questa Com- missione, dopo aver tratto le prime conclusioni dal proprio lavoro, saprà vegliare af- finché gli scopi che ci prefiggiamo siano conseguiti. Il controllo del Parlamento è per me e per il Governo uno stimolo ad agire sempre più efficacemente.

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Legge Finanziaria 2008 Senato, 10 ottobre 2007

Signor Presidente, Onorevoli Senatori,

il mio intervento di oggi è inteso ad illustrare il quadro delle misure d'interesse della Difesa contenute nella manovra finanziaria varata dal Governo il 28 settembre u.s. che, come noto, ai due disegni di legge di bilancio e “finanziaria” per il 2008 ha affian- cato quest'anno un decreto legge recante “Interventi urgenti in materia economico fi- nanziaria per lo sviluppo e l'equità sociale”, riferito al 2007 ma comportante effetti anche per il 2008. Come annunciato dal Ministro Padoa Schioppa, sono previsti anche uno o più provvedimenti legislativi collegati. Tratterò degli stanziamenti previsti a bilancio e delle ulteriori misure inserite nei provvedimenti, soffermandomi su alcune di particolare interesse e indicando ulteriori possibili interventi, tutti corrispondenti agli obiettivi perseguiti dal Ministero della Difesa nell'ambito della complessiva manovra del Governo e delle direttive impartite dal Presidente del Consiglio. Tutti pienamente coerenti con il Programma di Governo delineato alla sezione concernente “Le nuove politiche di difesa”, che ha sin dall'inizio ispirato la mia azione al vertice della Dicastero. Prima di entrare nell'esame dei provvedimenti ritengo necessario esporre alcune ar- gomentazioni di ordine generale che hanno costituito la premessa delle proposte da me inoltrate al Ministero dell'Economia e delle Finanze ai fini della formazione della manovra finanziaria. È appena il caso di ricordare che all'interno dei capisaldi fissati dalla Carta Costitu- zionale, in particolare agli articoli 11 e 52, i compiti delle Forze Armate italiane sono indicati dalla legge n. 331 del 2000, che ha definito il nuovo modello di difesa, conse- guente alla sospensione del servizio obbligatorio di leva. All'articolo 1, la legge 331, accanto a quello, prioritario, della difesa dello Stato, as- segna alle Forze Armate i compiti di operare per la realizzazione della pace e della sicu- rezza in conformità alle regole del diritto internazionale e alle determinazioni delle or- ganizzazioni internazionali delle quali l'Italia fa parte, di concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni, di intervenire nelle pubbliche calamità e negli altri casi di stra- ordinaria necessità e urgenza. La stessa legge 331, in particolare all'articolo 2, ha definito i lineamenti del nuovo modello organizzativo delle Forze Armate, in sostituzione di quello basato sul servizio

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obbligatorio di leva. Questo modello, che è stato ulteriormente definito, poi, in prov- vedimenti correlati e successivi, comprende militari in servizio a tempo determinato, quali sono i Volontari in Ferma Prefissata di un anno e di quattro anni, e militari in servizio a tempo indeterminato, quali sono i Volontari in Servizio Permanente, in ag- giunta agli Ufficiali ed ai Sottufficiali già presenti nel precedente modello. Varie cause stanno spingendo il nuovo modello organizzativo verso una situazione di crisi: mi riferisco, in particolare, ad alcuni interventi legislativi non coerenti con quelli iniziali e, soprattutto, alla drastica diminuzione delle risorse finanziarie rispetto a quelle necessarie e previste, peraltro intempestivamente imposta al momento del- l'avvio del modello. In questo quadro, mi sono rappresentato l'esigenza di intervenire, anzitutto, per una rigorosa applicazione delle leggi in vigore, per poi procedere, a seguito di uno studio già avviato e partecipato al Consiglio Supremo di Difesa, all'eventuale ridefinizione di un modello sostenibile, in ragione dei livelli di responsabilità internazionale assunti dal Paese, delle risorse effettivamente rese disponibili e delle esperienze maturate. La conferma della sospensione del servizio obbligatorio di leva, oggi circoscritto ai soli casi di guerra e di gravi emergenze internazionali, e il rifiuto di ogni forma di “mercena- riato”, ancorché parziale o implicita, impone perciò, come primo obiettivo, il ripristino di tutte le condizioni necessarie ad assicurare il funzionamento del nuovo modello. Per un completo inquadramento delle problematiche della Difesa oggi all'esame è, altresì, necessario considerare le scelte programmatiche nel più ampio contesto dello scenario internazionale. L'attuale quadro internazionale vede una progressiva crescita della dimensione eu- ropea, che con il suo allargamento consolida una condizione di stabilità nel vecchio Continente; rispetto a tale stabilità permane la minaccia dell'attività terroristica su scala allargata, che continua a causare gravi situazioni di instabilità in ampie aree del mondo, alcune delle quali a noi vicine. Sicurezza e stabilità, quindi, rappresentano pre-requisiti indispensabili per poter dar forma allo sviluppo sociale, economico e civile del nostro Paese. Il carattere transnazionale e multidimensionale della sicurezza richiede una conver- genza di intenti a livello internazionale e il dispiegamento di una strategia d'azione che utilizzi una pluralità di mezzi tra cui quello militare. In tal senso, le organizzazioni internazionali quali l'ONU, la UE, la NATO e l'OSCE sono chiamate a svolgere un ruolo di sempre più elevata portata e valenza in- ternazionale e rappresentano i cardini della politica nazionale di sicurezza e difesa. In questo contesto, due sono le linee d'azione fondamentali su cui si articola la poli- tica di sicurezza del nostro Paese: la ricerca dell'allargamento dell'area di stabilità e si- curezza; il concorso attivo alla prevenzione e risoluzione delle crisi. Tali linee d'azione devono necessariamente inserirsi negli sforzi della Comunità in- ternazionale, nella precisa convinzione che solo un approccio corale e sinergico al pro- blema potrà dare concretezza e sostanza a tale contributo.

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All'ONU l'Italia attribuisce un ruolo centrale nell'arena internazionale e il contri- buto italiano alla missione UNIFIL in Libano ne è una testimonianza. Per l'Unione Europea il perseguimento di una Politica estera comune e di una Poli- tica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD), promotrice di sicurezza e stabilità nella scena mondiale, costituisce il fattore determinante. La conclusione delle attività per la definizione di una “EU Long Term Vision”” relativa ai possibili requisiti operativi del- l'Unione, in linea con le indicazioni derivanti dalla "Strategia di Sicurezza Europea", costituisce la base per lo sviluppo della capacità operativa dell'Unione Europea, che ha registrato la costituzione a Bruxelles di una cellula civile-militare e di un centro opera- tivo per la gestione delle operazioni. Per l'Alleanza Atlantica, il processo di trasformazione, così come riaffermato dai Capi di Governo nella riunione di RIGA del 2006, per rispondere alle nuove sfide poste alla sicurezza, ha trovato una nuova identità e un percorso di crescita finaliz- zato allo sviluppo di ulteriori iniziative di partenariato nei Balcani, nell'area eu- roasiatica e del Dialogo del Mediterraneo, e di cooperazione verso i Paesi del Golfo. In particolare il Dialogo del Mediterraneo e l’“Istanbul Cooperation Iniziative” mi- rano a creare forme di coesione e fiducia reciproca tra i vari Paesi dell'area; al Dialogo del Mediterraneo va dato un decisivo impulso per garantire livelli di sicurezza più ele- vati per l'area a noi più vicina. Nell'ambito dei livelli di responsabilità del nostro Paese, è stato sviluppato il piano per la realizzazione degli obiettivi di Governo e delle missioni istituzionali del Dica- stero. In particolare, il ciclo di programmazione strategica e formazione di bilancio per l'esercizio finanziario 2008 è stato sviluppato su quattro pilastri fondamentali: • funzionamento dello strumento militare ispirato al rispetto degli standard di intero- perabilità delle forze e dei mezzi con i Paesi alleati, oltre all'espletamento delle mis- sioni istituzionali per il territorio nazionale; • ammodernamento dello strumento militare per mantenere il passo con i Paesi al- leati, in grado di garantire all'Italia forze per la difesa e la sicurezza flessibili e inte- grate; • razionalizzazione del modello organizzativo, al fine di continuare nell'opera di rior- ganizzazione delle strutture e dei comandi della Difesa per aumentare sempre più l'efficienza e ridurre i costi di funzionamento; • miglioramento della gestione di sistemi in grado di garantire l'analisi del controllo della spesa e dell'implementazione della contabilità economica al fine di incremen- tare la qualità dei servizi. Il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, nella parte relativa alla Difesa, considera come nel contesto di politica internazionale appena ora illustrato le Forze Armate sono chiamate a contribuire alla gestione delle crisi esistenti, mante- nendo i conflitti ai più bassi livelli mediante un intervento tempestivo ed un utilizzo

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accorto della forza, da contemplare quale strumento di una articolata politica di sicu- rezza che includa azioni diplomatiche, economiche e di aiuto allo sviluppo. Negli ambiti così delineati, per l'assolvimento dei compiti ad essi attribuiti, l'Eser- cito, la Marina e l'Aeronautica, così come i Carabinieri, stanno sostenendo uno sforzo imponente, uno sforzo che deve essere assecondato e supportato - come ho più volte affermato - da livelli di finanziamento adeguati in un quadro di certezza programma- tica di medio e lungo periodo, cui si accompagni, da parte delle Forze Armate, una oculata programmazione e gestione delle risorse disponibili. Passando all'esame del disegno di legge di bilancio, la Tabella 12, concernente lo stato di previsione del Ministero della Difesa, assegna per il 2008 al Dicastero, a legi- slazione vigente, 20.928,5 milioni di euro, dei quali: • 15.223,9 per la Funzione Difesa, comprendente tutte le spese necessarie all'assolvi- mento dei compiti militari specifici di Esercito, Marina e Aeronautica, nonché della componente interforze e della struttura amministrativa e tecnico-industriale del Mi- nistero; • 5.358,3 per la Funzione Sicurezza, che comprende tutti gli stanziamenti destinati al- l'Arma dei Carabinieri per l'assolvimento dei propri compiti istituzionali; • 115,4 per le Funzioni Esterne, correlate ad attività affidate al Dicastero ma non spe- cificamente rientranti nei propri compiti istituzionali, quali il rifornimento idrico per le isole minori, il trasporto aereo di Stato e per il soccorso, l'assistenza al volo negli aeroporti militari aperti al traffico civile, oltre a contributi per Enti e Associa- zioni; • 230,8 essenzialmente destinati al pagamento delle Pensioni del personale militare in ausiliaria. Gli stanziamenti sono ripartiti - secondo la nuova impostazione adottata da que- st'anno - tra le quattro missioni e gli undici programmi nei quali si articola il Bilancio del Dicastero. Come partitamente esposto nella “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Di- fesa per l'anno 2008”, testé consegnata al Parlamento, nell'ambito della Funzione Di- fesa, ben 9.080,1 milioni di euro (59,64 %) sono destinati a coprire le spese a carattere obbligatorio per il Personale, mentre le residue risorse sono suddivise tra i 2.515,1 mi- lioni di euro (16,52 %) destinati all'Esercizio e i 3.628,7 milioni di euro (23,84 %) destinati all'Investimento. Si tratta di una ripartizione percentuale che, sebbene assai più favorevole rispetto a quella, esiziale, del 2006, è ancora lontana da quel 50% per spese di Personale e 50% per spese di Esercizio e Investimento, ritenuta ottimale e tendenzialmente da perse- guire, in linea con gli altri Paesi del contesto occidentale. Nell'ambito della Funzione Sicurezza, è estremamente evidente lo squilibrio tra la dotazione finanziaria del Personale, che è di 4.995,1 milioni di euro (93,2 % dell'in- tero stanziamento), e quelle del settore Esercizio, pari a 351, 6 milioni di euro (6,6 %), e Investimento, pari a 11,6 milioni di euro (0,2 %).

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La ripartizione percentuale conseguita nell'ambito della Funzione Difesa segna, co- munque, un ulteriore passo avanti sulla via del risanamento del bilancio della Difesa, responsabilmente iniziato lo scorso anno, reso indispensabile dai tagli irrazionali e drammatici operati sulle spese di funzionamento dalla precedente Legislatura nell'ul- timo triennio nonostante i ripetuti allarmi del mio predecessore. È, peraltro, necessario precisare subito che, in realtà, non tutti gli stanziamenti indi- cati nel disegno di legge di bilancio saranno disponibili in conto spese di Esercizio e Investimento. Infatti, ai circa 450 milioni resi indisponibili per il 2008 dagli accanto- namenti disposti dalla legge finanziaria per il 2007 (comma 507), dei quali circa 235 gravanti sull'Esercizio, si sommeranno, se la norma risulterà approvata dal Parla- mento, i tagli sulla spesa corrente (fondi consumi intermedi) previsti dall'articolo 74 del disegno di legge "finanziaria", pari a complessivi 500 milioni di euro per il 2008, dei quali si stima che ben 130 graveranno sulla spesa di Esercizio della Difesa, che co- stituisce il 22 % della complessiva spesa di Esercizio dei Ministeri. Ho già avuto modo di esprimere la mia preoccupazione su questo punto e sull'esi- genza di apportare correttivi tendenti a scongiurare gli effetti fuorvianti e indesiderati derivanti dall'applicazione di tagli lineari, come quelli, abnormi, apportati a suo tempo dal Ministro Tremonti e quelli assai più contenuti previsti quest'anno, certa- mente rispondenti ad obiettive esigenze di reperimento di risorse non altrimenti di- sponibili nell'ambito della manovra di bilancio. I consumi intermedi non rappresen- tano, per la Difesa, soltanto la spesa corrente per l'apparato ministeriale centrale e pe- riferico come per gli altri Dicasteri, ma comprendono tutte le spese per il manteni- mento e la gestione efficiente ed efficace dello strumento militare. Sono, per la gran parte, spese per la manutenzione dei mezzi operativi, per l'appre- stamento e il ripianamento delle scorte, per l'acquisizione dei mezzi di protezione, per la formazione e l'addestramento e, quindi, l'efficienza e la sicurezza del personale. Una loro drastica, rilevante, irrazionale riduzione produce effetti gravi che diven- gono irreparabili se non tempestivamente corretti. La carenza di fondi destinati alla manutenzione di mezzi operativi produce il fermo tecnico e l'anticipato fuori uso di aerei, navi e mezzi terrestri, con gli immaginabili gravi disservizi sul piano operativo e, non va sottaciuto, con il contestuale prematuro decadimento di un ingente patri- monio mobiliare. Intendo, a questo punto, chiarire che i 3.628,7 milioni di euro destinati nel bilancio all'Investimento per la Funzione Difesa comprendono gli stanziamenti per il pro- gramma pluriennale - sviluppato d'intesa con i Ministeri dell'Economia e delle Co- municazioni - di sostituzione degli apparati radar che utilizzano frequenze destinate alla tecnologia Wi-Max, pari a 90 milioni di euro per il 2008, nonché i fondi necessari per il pagamento dei debiti derivanti da impegni finanziari già assunti e che non è stato possibile onorare nei precedenti esercizi finanziari. Essi vanno, altresì, considerati al netto degli accantonamenti previsti, per l'anno 2008, dal comma 507 della finan- ziaria per il 2007, pari a poco meno di 215 milioni di euro.

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Sono poi da considerare gli investimenti sostenuti dal Ministero dello sviluppo eco- nomico previsti nel disegno di legge "finanziaria", all'articolo 31 e alla Tabella F, que- st'ultima riportante, per quanto di interesse, l'attualizzazione di precedenti limiti di impegno per i programmi EFA e FREMM. Si tratta, nel complesso, di interventi che pur invertendo la tendenza non lasciano comunque per il settore Investimento spazi significativi per l'avvio di nuovi programmi, che comunque sarebbero necessari per continuare la trasformazione dello strumento militare, ovvero per sostituire mezzi giunti ormai al termine della vita tecnica ed operativa. Come delineato nel DPEF, il sostegno del Ministero dello sviluppo economico a programmi di interesse della Difesa nei settori ad elevato tasso di innovazione tecnolo- gica, quali l'aerospaziale, l'elettronico, il meccanico avanzato e quello della cantieri- stica, si inquadra nell'ambito delle politiche di investimento attuate dal Governo per privilegiare le misure idonee a colmare il divario nei confronti delle economie più di- namiche e, nel contempo, intese ad incidere significativamente sui fattori che possono promuovere un più elevato tasso di innovazione del sistema produttivo per recuperare competitività e produttività. I citati settori costituiscono, in questo contesto, un nucleo fondamentale per la loro capacità di contribuire al sostegno di imprese ad elevato contenuto di ricerca tecnolo- gica ed esercitare un insostituibile effetto di volano per il rilancio competitivo del comparto industriale nazionale. In tale ambito, da lungo tempo, i due Dicasteri, quello della Difesa e quello dello Sviluppo Economico, collaborano - in modo sinergico e concreto - condividendo gli oneri necessari a perseguire un disegno di ricerca e sviluppo che combini la prioritaria esigenza di difesa del Paese con l'ulteriore promozione del patrimonio tecnologico di punta, anch'esso di primario interesse nazionale. Ciò ha consentito di creare un modello di sviluppo tecnologico per la realizzazione di programmi caratterizzati da grandi architetture a tecnologia avanzata, che richie- dono - per la gestazione e la messa a punto - l'impegno di molti anni. La proposta contenuta nell'articolo 31 del ddl della finanziaria 2008 viene così a co- stituire la naturale prosecuzione del rapporto di collaborazione del Ministero della Di- fesa con quello dello Sviluppo Economico. Nel dettaglio, il comma 1 prevede il finanziamento di una serie di programmi di ele- vata priorità ed urgenza per la Difesa nei settori dell'aerospazio e dell'elettronica avan- zata, partitamente indicati nella “Nota aggiuntiva”. Il finanziamento necessario e pro- posto non è stato interamente attribuito e, quindi, i programmi in questione do- vranno essere riconsiderati. Per far fronte agli impegni assunti dall'Italia per la realizzazione di un programma in cooperazione internazionale con Gran Bretagna, Germania e Spagna per lo sviluppo e la costruzione del nuovo velivolo da difesa European Fighter Aircraft (Euro Fighter 2000), il comma 2 prevede lo stanziamento di rilevanti risorse aggiuntive per il pros- simo quinquennio, pari a 318 milioni di euro per l'anno 2008, 468 milioni di euro

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per l'anno 2009, 918 milioni di euro per l'anno 2010 e 1.100 milioni di euro per cia- scuno degli anni 2011 e 2012. Si tratta di un finanziamento che non presenta impatti sull'indebitamento netto in quanto, come ampiamente chiarito lo scorso anno, il pro- gramma è già considerato nelle linee tendenziali della finanza pubblica recepite sin dal DPEF 2007-2011. Il terzo comma, infine, dispone l'erogazione di ulteriori fondi, di importi ana- loghi a quelli del 1° comma (contributi quindicennali di 20, 25 e 25 milioni di euro con decorrenza rispettivamente 2008, 2009 e 2010), che consentiranno una più diluita prosecuzione del programma in cooperazione con la Francia per lo sviluppo e la realizzazione di fregate della classe FREMM (Fregate Europee Multi-Missione) e per il veicolo blindato multiruolo dell'Esercito (VBM 8x8) per la protezione delle truppe impegnate in missioni internazionali. Anche in questo caso gli stanziamenti assegnati sono risultati sottodimensionati rispetto all'esigenza e pertanto si dovrà valutare una revisione delle modalità esecutive dei programmi. Va chiarito, a questo punto, che i finanziamenti testé descritti, previsti nel disegno di legge “finanziaria”, non mettono a disposizione delle Forze Armate mezzi aggiuntivi, ma sono destinati a sostituire mezzi obsoleti, peraltro in numero inferiore rispetto a quelli radiati o in radiazione. In definitiva, i mezzi a disposizione saranno, ancorché qualitativamente rinnovati, quantitativamente ridotti. Ancora riguardo all'Investimento, ritengo necessario segnalare che rimane da soste- nere un indispensabile programma di rinnovo degli ormai vetusto parco autovetture ed elicotteri dell'Arma dei Carabinieri il cui ulteriore rinvio causerebbe seri problemi operativi nel settore della sicurezza. Passando ora all'Esercizio, devo dire che i 2.512,1 milioni di euro allocati alla Fun- zione Difesa, ancorché superiori a quelli dello scorso anno e ancor più a quelli del- l'anno precedente, non consentono di procedere con la necessaria determinazione nel- l'azione di risanamento, iniziata lo scorso anno, tesa a frenare il drastico deteriora- mento delle condizioni dei mezzi, sistemi, equipaggiamenti e scorte determinata dai tagli operati fra il 2004 e il 2006 e dal loro impiego, più intenso rispetto alle program- mazioni iniziali, imposto dalle missioni internazionali. Le risorse assegnate, ove pure si consideri l'incremento di 140 milioni di euro pre- visto, per il solo 2008, dall'articolo 22 del disegno di legge "finanziaria", non mettono infatti a disposizione risorse sufficienti a garantire i livelli di manutenzione necessari, un adeguato ripristino dei mezzi e delle scorte, il conseguimento di soddisfacenti stan- dard di addestramento per tutti i reparti, indispensabili per un efficace e sicuro im- piego operativo del personale e dei mezzi. Ciò appare maggiormente evidente allorché, come ho già in parte anticipato, si con- siderino: 1. i decrementi determinati dagli accantonamenti di cui al comma 507 della legge Fi- nanziaria per il 2007, pari a circa 198 milioni di euro per il prossimo anno;

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2. il taglio lineare previsto dal già citato articolo 74 del disegno di legge “finan- ziaria””, dell'ordine dei 130 milioni di euro per la Difesa; 3. l'indisponibilità di 105 milioni costituenti il 30 % del Fondo di mantenimento di 450 milioni di euro previsto dal comma 1238 della finanziaria per il 2007, non svincolati dalla norma del decreto-legge n. 159 all'esame del Senato che ha pre- visto l'esigibilità del 70 % della complessiva quota di 350 milioni di euro soste- nuta dai conferimenti del T.F.R.. Ho già avuto modo di esporre come, a differenza di quanto avviene in altri settori dell'apparato statale, i consumi intermedi della Difesa non sono destinati a soddisfare prevalentemente esigenze di consumo, ma servono a far fronte agli oneri per il funzio- namento dello strumento operativo, fra cui le spese per carburante, manutenzione e pezzi di ricambio, per i mezzi operativi (navi, aerei, elicotteri, mezzi di protezione ter- restri, addestramento operativo del personale). Ne discende che ogni riduzione in questo settore non solo determina l'impossibilità di far fronte alle spese connesse alla pura esistenza dell'organizzazione, come quelle per il pagamento di canoni e tariffe per consumi energetici o smaltimento di rifiuti - per le quali peraltro già sussistono consi- stenti poste debitorie - ma comporta soprattutto ingenti e talora irrecuperabili rica- dute sulla capitalizzazione e sull’“output operativo” dello strumento. Ciò in quanto gli approvvigionamenti e i servizi rientranti nei consumi intermedi sono i veri “mezzi di produzione” dai quali dipende tale output operativo. I debiti pregressi cui ho fatto sopra cenno si riferiscono a circa 375 milioni di euro, destinati a crescere in assenza di interventi correttivi. Il loro mancato pagamento sta già determinando le condizioni per prossimi disservizi (cito, ad esempio, il caso della paventata interruzione della fornitura di gas per il Polo di Mantenimento Pesante del- l'Esercito di Piacenza). In merito alla necessità di un adeguato sostegno finanziario per la tenuta in efficienza dello strumento, va evidenziato come l'esperienza maturata e il prevedibile impegno per il 2008 debbano indurre a riflettere sull'esigenza di un incremento della dotazione del Fondo per la partecipazione alle missioni internazionali apprestato dalla legge fi- nanziaria per il 2007. Non dimentichiamo infatti che il fondo per le missioni copre soltanto le spese vive di personale e funzionamento, ma non la super usura dei mezzi. Sempre in riferimento alle missioni va inoltre rilevata l'esistenza di un problema, con- nesso alla discrepanza temporale fra l'impiego continuativo delle unità militari in Teatro, che prosegue anche a cavallo dell'avvio del nuovo esercizio finanziario, e l'effettiva dispo- nibilità di risorse finanziarie, che in genere si concretizza non prima di 3-4 mesi dopo l'inizio dell'anno. In tale situazione risulta pressoché impossibile avviare tempestivamente le procedure contrattuali in delicatissimi settori quali le coperture assicurative del perso- nale e i trasporti strategici, stante l'insufficienza dei fondi ordinari inizialmente stanziati sui pertinenti capitoli di bilancio. Per risolvere tale problema potrebbe essere introdotta una “misura di flessibilità” che garantisca la temporanea disponibilità di tali fondi, quanti- ficabili in circa 100 milioni, sin dal primo periodo del nuovo anno di bilancio.

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In generale, la nuova impostazione della legge di bilancio, per missioni e programmi, che impone la pianificazione strategica delle esigenze, richiede, più di prima, la cer- tezza e la disponibilità delle risorse assegnate, condizioni indispensabili per l'indivi- duazione degli obiettivi da perseguire e per la correlata programmazione delle risorse da destinarvi. Per la Funzione Sicurezza, la dotazione di bilancio prevista per l'Esercizio, pari a 351,6 milioni di euro, sebbene incrementata dallo stanziamento di 40 milioni di euro apprestato sul Fondo di funzionamento istituito dall'articolo 22 del disegno di legge “finanziaria”, va considerata diminuita di circa 25 milioni di euro per effetto dell'ac- cantonamento disposto dal richiamato comma 507 e ulteriormente gravata dal “taglio lineare” previsto dall'articolo 74 dello stesso disegno di legge. Il disegno di legge “”finanziaria” appresta altresì una serie di altri interventi che inci- dono sulla Difesa, dei quali intendo ora argomentare. In materia di accise, l'articolo 5 del disegno di legge, ai commi 10 e 12, esclude le Forze armate “nazionali” dall'esenzione, finora esistente, dal pagamento delle accise sui carburanti per il riscaldamento e per i trasporti terrestri - ferma restando l'esen- zione per i trasporti aerei e navali militari, consentita dalla normativa europea di set- tore - apprestando, nel contempo, uno stanziamento idoneo a coprire l'intero aggravio di spesa derivante dalla norma. Nell'ambito delle misure di contenimento della spesa, il disegno di legge prevede poi uno specifico intervento di riduzione degli Uffici giudiziari militari, commisurato al- l'attuale “domanda di giustizia militare”. Si tratta di un'iniziativa da me da tempo for- temente auspicata e condivisa dal Ministro della Giustizia e dall'intero Governo, origi- nariamente contenuta nel disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, di seguito stralciata nel corso dell'iter parlamentare. La riduzione dei Tribunali militari, da 9 a 3, la soppressione delle 2 Sezioni distaccate della Corte militare di appello e le connesse contrazioni degli organici dei magistrati militari (da 103 a 58) e del perso- nale civile delle cancellerie e segreterie giudiziarie militari (con transito delle eccedenze rispettivamente in magistratura ordinaria e nei corrispondenti ruoli del Ministero della Giustizia) sono ritenute misure indispensabili e imprescindibili di razionalizza- zione della giustizia militare e di contenimento della spesa pubblica. L'intervento, va detto, si muove in parallelo al progetto di riforma del Codice penale militare di pace, recentemente presentato dalla Presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati e da altri Deputati, i cui contenuti ritengo pienamente condivisibili. Ancora, nello stesso ambito delle misure di contenimento della spesa, l'articolo 82 prevede il riordino o la trasformazione, pena la soppressione, di alcuni enti pubblici tra i quali quattro vigilati dalla Difesa; mi riferisco alla Lega Navale, all'UNUCI, al- l'Unione Italiana Tiro a Segno, all'Opera Nazionale Figli degli Aviatori. Al riguardo ho disposto approfondimenti tesi a verificare l'impatto anche al fine di richiedere, se ne- cessario, modifiche alla norma stessa.

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Tengo sin d'ora a precisare che si tratta di Enti che hanno un costo limitato per lo Stato, riferito al solo contributo annuale concesso, per alcuni di essi pressoché irrile- vante. L'eventuale loro soppressione, peraltro, comporterebbe un significativo ag- gravio di costi per la finanza pubblica derivante dall'assunzione del personale e delle funzioni di rilevanza pubblica da essi svolte. Accanto a quella concernente il contenimento dei costi della giustizia militare, il provvedimento reca importanti disposizioni per la riqualificazione e il contenimento della spesa, che interessano anche la Difesa, in materia di razionalizzazione degli ac- quisti, auto di servizio, corrispondenza postale e altro. Quanto agli immobili pubblici, vengono, tra l'altro, previsti importanti limitazioni sugli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Gli effetti per la Difesa sono in corso di approfondimento. D'altra parte, non vengono apportate modifica- zioni alla procedura di dismissione dei beni militari definita dal comma 263 della legge finanziaria per il 2007 che prevede, per il prossimo anno, l'ulteriore formazione di due elenchi semestrali per un valore complessivo di 2000 milioni di euro, da transi- tare all'Agenzia del Demanio. A questo proposito, ho avuto modo di segnalare che la Difesa - dopo aver puntualmente ottemperato alla disposizione formando e rendendo disponibili due elenchi di beni di pari valore nell'anno in corso - intende rispettare l'impegno a conferire gli ulteriori due elenchi. Sulla base dell'esperienza è, però, emerso che i due elenchi formati nell'anno in corso hanno pressoché esaurita la dispo- nibilità di infrastrutture libere. Si rende perciò necessario modificare la norma per pre- vedere, unitamente a un differimento temporale, ancorché in termini certi e conte- nuti, l'avvio di un programma di razionalizzazione e accorpamento delle infrastrutture in uso finalizzato a rendere disponibile un così ingente ulteriore patrimonio di beni. Il disegno di legge “finanziaria” reca, inoltre, all'articolo 22, il rifinanziamento, per un importo di 20 milioni di euro, del Fondo previsto dalla legge finanziaria per il 2007 per interventi infrastrutturali su arsenali e stabilimenti militari, destinando 8 mi- lioni all'Arsenale di Taranto. Tali risorse, seppure limitate e insufficienti rispetto a quelle che si renderebbero necessarie, costituiscono comunque una misura importante ai fini della ristrutturazione e del recupero dell'operatività di tali strutture; un obiet- tivo qualificante per il recupero di ambiti di funzionalità importanti per la Difesa, sul quale ho avviato uno studio approfondito affidato ad un gruppo di lavoro che ha già prodotto dei risultati posti all'attenzione delle organizzazioni sindacali. In tale ambito è emersa l'esigenza di estendere agli arsenali e stabilimenti militari la deroga al limite del 20% del turn over, esistente in materia di assunzioni e l'ulteriore proposta, avan- zata dalla Difesa, di inserire in un auspicato provvedimento collegato ordinamentale alla manovra finanziaria una norma per il conferimento di una specifica delega per la trasformazione di tali enti, in un'ottica di razionalizzazione e di gestione efficiente ed economica delle risorse. Vengo ora alle problematiche concernenti il personale militare e civile della Difesa, che costituiscono una priorità assoluta per il Dicastero.

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L'articolo 92 reca l'incremento di 30 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2008, delle risorse destinate dalla legge n. 331 del 2000 e dalla legge n. 226 del 2004 al nuovo modello dello strumento militare che è conseguito alla sospensione del servizio obbligatorio di leva. Si tratta di un intervento importante, che riduce dal 15 a circa l'11,4 % la portata del taglio operato dal comma 570 della legge finanziaria per il 2007. È un risultato indubbiamente apprezzabile tanto più se si considera che, prima del mio intervento in seno al Consiglio dei Ministri, la norma predisposta al riguardo prevedeva l'innalzamento del taglio al 25 %. Ciò non toglie che l'obiettivo finale debba, a mio giudizio, rimanere, per le ragioni di efficienza del modello di difesa vi- gente e di coerenza normativa di cui ho parlato in precedenza, quello della totale eli- minazione degli effetti della disposizione limitativa contenuta nella finanziaria dello scorso anno. Un ulteriore importante intervento concernente il personale militare è quello recato dall'articolo 94 del disegno di legge, laddove vengono previsti trasferimenti anche tem- poranei di contingenti di Marescialli dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica in si- tuazione di esubero, in ruoli speciali ad esaurimento del personale delle Forze di Polizia. Si tratta di un meccanismo diverso rispetto a quello dello “scivolo anticipato”, auspi- cato dalla Difesa e non potuto recepire evidentemente per le implicazioni di natura fi- nanziaria. Stiamo approfondendo, con le Amministrazioni interessate, alcuni aspetti della norma, non preventivamente concordata. È da ritenere che essa necessiti di alcuni correttivi, tesi tra l'altro a subordinare i transiti alla domanda degli interessati. All'articolo 93, sono previste autorizzazioni di spesa per circa 4500 assunzioni, nell'anno 2008, nelle Forze di Polizia. La norma non può che essere vista con favore dalla Difesa, stanti la necessità di colmare, seppure in parte, le carenze organiche che registra l'Arma del Carabinieri e le connesse positive ricadute sulla prosecuzione del- l'iter di carriera previsto per i Volontari delle Forze Armate. È evidente che la norma non dovrà essere modificata per prevedere, come purtroppo accaduto in pas- sato, deroghe ai meccanismi di alimentazione previsti dalla legge, che riserva ai Vo- lontari l'intero bacino delle assunzioni nelle carriere iniziali delle Forze di Polizia quantomeno fino al 2010. Altri interventi di grande rilievo sono quelli maturati a seguito della stipula del “Patto per la sicurezza” tra il Governo e le rappresentanze militari e sindacali del com- parto difesa e sicurezza, avvenuta a luglio. Mi riferisco, in particolare, alle misure in materia di risorse per i rinnovi contrattuali e per la valorizzazione della specificità del comparto, che si coniugano con le norme riguardanti l'intero settore del pubblico im- piego, quali, tra le altre, quella concernente l'utilizzo, per l'anno 2008, delle risorse stanziate per l'avvio della previdenza complementare. Si tratta di interventi importanti in materie di altissima sensibilità per il personale, ancorché ulteriormente migliorabili mediante l'apprestamento di ulteriori risorse, non appena disponibili. Un'ulteriore misura particolarmente importante per il sostegno del personale impie- gato in incarichi operativi e in condizioni più disagiate è quella apprestata dal decreto

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legge nr. 159, all'esame del Senato, che assegna nel corrente anno 170 milioni di euro per le vittime del dovere e darà, come ho avuto modo di dire ieri avanti alla Commis- sione di inchiesta per le gravi infermità del personale militare, un immediato beneficio a coloro che hanno contratto gravi malattie per causa di servizio e ai loro familiari. Ri- cordo anche il positivo effetto che, per l'immediata assistenza di tale personale, ha avuto il comma 902 della legge finanziaria per il 2007. Di primario interesse per la Difesa, nel settore del personale, sarebbe l'introduzione nel disegno di legge “finanziaria” per il 2008 della previsione di un programma plu- riennale di potenziamento del patrimonio alloggiativo di servizio del personale mili- tare. Il mantenimento di una elevata efficienza dello strumento militare comporta atten- zione ed iniziative anche nei confronti del personale civile che opera nell'ambito del Dicastero quale indispensabile supporto al raggiungimento della missione istituzio- nale. È sentita l'esigenza di riconoscere la professionalità del citato personale al quale sono via via assegnati maggiori compiti nella graduale sostituzione del personale mili- tare nelle funzioni logistico-amministrative. In sintesi, si renderebbero necessari due tipi di intervento volti, da un lato, ad evitare differenze di trattamento tra personale della stessa amministrazione e, dall'altro, ad as- sicurare l'efficiente funzionamento dei servizi. Quanto al primo aspetto, un intervento prioritario sarebbe - analogamente a quanto già previsto dalla legge finanziaria per il 2007 per il personale del Ministero degli affari esteri - quello di rendere permanente lo stanziamento di 10 milioni previsto per il solo 2007 dal decreto legge di proroga delle missioni internazionali. Nello stesso quadro sarebbe altresì importante il ripristino dell'indennità di trasferta sospesa per il solo personale civile della Difesa dalla legge finanziaria per il 2006, ini- ziativa ispirata alla necessità di assicurare parità di trattamento tra personale della me- desima Amministrazione, civile e militare, quando impiegato nelle stesse funzioni. Sotto il profilo del funzionamento del Dicastero, oltre all'intervento sulle assunzioni per le esigenze degli arsenali e stabilimenti militari di lavoro di cui ho già parlato, sa- rebbe ulteriormente auspicabile l'accoglimento della richiesta concernente le progres- sioni interne tra aree professionali per talune categorie di personale. Sul piano generale, in sintonia con gli orientamenti del Governo, è poi di interesse del Dicastero poter procedere alla stabilizzazione del personale civile con rapporto di lavoro temporaneo. Mi riferisco ai docenti civili negli Istituti di formazione militare, alle professionalità sanitarie e ai lavoratori precari per le esigenze del genio campale. Pur in presenza dei limiti precedentemente messi in luce e delle esigenze non ancora soddisfatte, ritengo che chi consideri la primaria esigenza del risanamento economico del Paese, non possa non riconoscere nei provvedimenti illustrati il segno di un im- pegno che continua. Con questa convinzione, chiedo a voi il più ampio sostegno al percorso parlamen- tare del disegno di legge di Bilancio e della Finanziaria 2008.

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Legge Finanziaria 2008 Senato, 11 ottobre 2007 (IV Commissione Camera e 5ª Commissione Senato)

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori, Onorevoli Deputati,

voglio innanzitutto ringraziarvi per questo invito, che rappresenta una novità per il Ministro della Difesa. Intendo trattare degli stanziamenti previsti a bilancio e delle ulteriori misure inserite nei provvedimenti, soffermandomi su alcune di particolare interesse e indicando ulteriori possibili interventi, tutti corrispondenti agli obiettivi perseguiti dal Ministero della Difesa, per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze Armate, nell’ambito della complessiva manovra del Governo e delle di- rettive impartite dal Presidente del Consiglio. Tutti pienamente coerenti con il Pro- gramma di Governo delineato alla sezione concernente «Le nuove politiche di di- fesa», che ha sin qui ispirato la mia azione al vertice del Dicastero. Inoltre svilupperò alcune considerazioni sulla nuova sistematica di bilancio, sostanzialmente basata sul concetto di «Missioni e Programmi». I compiti delle Forze Armate italiane sono in- dicati dalla legge n. 331 del 2000, che ha definito il nuovo modello di difesa, conse- guente alla sospensione del servizio obbligatorio di leva. Accanto a quello, priori- tario, della difesa dello Stato, le Forze Armate hanno i compiti di operare per la rea- lizzazione della pace e della sicurezza in conformità alle regole del diritto internazio- nale e alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte, di concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni, di intervenire nelle pub- bliche calamità e negli altri casi di straordinaria necessità e urgenza. Le Forze Armate svolgono, pertanto, un ruolo fondamentale per la sicurezza del Paese, laddove sicu- rezza e stabilità rappresentano prerequisiti indispensabili per poter dar forma allo sviluppo sociale, economico e civile. Il carattere transnazionale e multidimensionale della sicurezza richiede una convergenza di intenti a livello internazionale e il dispie- gamento di una strategia d’azione che utilizzi una pluralità di mezzi, tra cui quello militare. Tali linee d’azione devono necessariamente inserirsi negli sforzi della Co- munità internazionale, nella precisa convinzione che solo un approccio corale e si- nergico al problema potrà dare concretezza e sostanza a tale contributo. Nell’ambito dei livelli di responsabilità del nostro Paese, è stato sviluppato il piano per la realiz-

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zazione degli obiettivi di Governo e delle missioni istituzionali del Dicastero. In par- ticolare, il ciclo di programmazione strategica e formazione di bilancio per l’eser- cizio finanziario 2008 è stato sviluppato su quattro pilastri fondamentali: funziona- mento dello strumento militare ispirato al rispetto degli standard di interoperabilità delle forze e dei mezzi con i Paesi alleati, oltre all’espletamento delle missioni istitu- zionali per il territorio nazionale; ammodernamento dello strumento militare per mantenere il passo con i Paesi alleati, in grado di garantire all’Italia forze per la di- fesa e la sicurezza flessibili e integrate; razionalizzazione del modello organizzativo, al fine di continuare nell’opera di riorganizzazione delle strutture e dei Comandi della Difesa, per aumentare sempre più l’efficienza e ridurre i costi di funziona- mento; miglioramento della gestione di sistemi in grado di garantire l’analisi del controllo della spesa e dell’implementazione della contabilità economica al fine di incrementare la qualità dei servizi. Il Documento di programmazione economica e finanziaria, nella parte relativa alla Difesa, considera come, nel contesto di politica internazionale cui ho appena accennato, le Forze Armate sono chiamate a contri- buire alla gestione delle crisi esistenti, mantenendo i conflitti ai più bassi livelli me- diante un intervento tempestivo ed un utilizzo accorto della forza, da contemplare quale strumento di una articolata politica di sicurezza che includa, naturalmente, azioni diplomatiche, economiche e di aiuto allo sviluppo. La stessa legge n. 331 del 2000 ha definito i lineamenti del nuovo modello organizzativo delle Forze Armate, ulteriormente definito in provvedimenti correlati e successivi, comprendente mili- tari in servizio a tempo determinato, quali sono i Volontari in Ferma Prefissata di un anno e di quattro anni, e militari in servizio a tempo indeterminato, quali sono i Volontari in Servizio Permanente, in aggiunta agli Ufficiali ed ai Sottufficiali già presenti nel precedente modello. Varie cause stanno spingendo il nuovo modello or- ganizzativo verso una situazione difficile: intendo qui segnalare, in particolare, la drastica diminuzione delle risorse finanziarie rispetto a quelle necessarie e previste, intempestivamente imposta, tra il 2004 e il 2006, al momento dell’avvio del mo- dello. In realtà, per l’assolvimento dei compiti ad essi attribuiti, l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica, così come i Carabinieri, stanno sostenendo uno sforzo imponente, uno sforzo che deve essere assecondato e supportato – come ho più volte affermato – da livelli di finanziamento adeguati in un quadro di certezza programmatica di medio e lungo periodo, cui si accompagni, da parte delle Forze Armate, una oculata programmazione e gestione delle risorse disponibili. Passando all’esame del disegno di legge di bilancio, la Tabella 12, concernente lo stato di previsione del Ministero della Difesa, assegna per il 2008 al Dicastero, a legislazione vigente, 20.928,5 mi- lioni di euro, dei quali: 15.223,9 per la funzione difesa, comprendente tutte le spese necessarie all’assolvimento dei compiti militari specifici di Esercito, Marina e Aero- nautica, nonché della componente interforze e della struttura amministrativa e tec- nico-industriale del Ministero; 5.358,3 per la funzione sicurezza, che comprende tutti gli stanziamenti destinati all’Arma dei Carabinieri per l’assolvimento dei propri

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compiti istituzionali; 115,4 per le funzioni esterne, correlate ad attività affidate al Dicastero ma non specificamente rientranti nei propri compiti istituzionali, quali il rifornimento idrico per le isole minori, il trasporto aereo di Stato e per il soccorso, l’assistenza al volo negli aeroporti militari aperti al traffico civile, oltre a contributi per enti e associazioni; 230,8 milioni essenzialmente destinati al pagamento delle pensioni del personale militare in ausiliaria. Queste sono le quattro voci che esauri- scono le risorse conferite. Nell’ambito della funzione difesa, 9.080,l milioni di euro sono destinati a coprire le spese a carattere obbligatorio per il personale. Le residue risorse sono suddivise tra i 2.515,l milioni di euro destinati all’esercizio e i 3.628,7 milioni di euro destinati all’investimento. Nell’ambito della funzione sicurezza, la dotazione finanziaria per il personale è di 4.995,l milioni di euro, quella del settore esercizio è di 351,6 milioni di euro e quella dell’investimento è di 1l,6 milioni di euro. La quota attribuita alle spese discrezionali (esercizio e investimento), nell’am- bito della funzione difesa segna un ulteriore passo avanti sulla via del risanamento del bilancio della Difesa, responsabilmente iniziato lo scorso anno, reso indispensa- bile dai tagli irrazionali e drammatici operati nell’ultimo triennio sulle spese di fun- zionamento dalla precedente legislatura, nonostante i ripetuti allarmi del mio prede- cessore. È peraltro necessario precisare che, in realtà, non tutti gli stanziamenti indi- cati nel disegno di legge di bilancio saranno disponibili in contospese di esercizio e investimento. Infatti, ai circa 450 milioni resi indisponibili per il 2008 dagli accan- tonamenti disposti dalla legge finanziaria per il 2007 (comma 507), dei quali circa 235 gravanti sull’esercizio, si sommeranno, se la norma risulterà approvata dal Parla- mento nell’attuale formulazione, i tagli sui consumi intermedi previsti dall’articolo 74 del disegno di legge finanziaria, pari a complessivi 500 milioni di euro per il 2008, dei quali si stima che 130 graveranno sulla spesa di esercizio della Difesa. Ho già avuto modo di esprimere la mia preoccupazione su questo punto e sull’esigenza di apportare correttivi tendenti a scongiurare gli effetti fuorvianti e indesiderati deri- vanti dall’applicazione di tagli lineari, come quelli, abnormi, apportati tra il 2004 e il 2006 e quelli assai più contenuti previsti quest’anno, certamente rispondenti ad obiettive esigenze di reperimento di risorse non altrimenti disponibili nell’ambito della manovra di bilancio. I consumi intermedi tuttavia – va detto – non rappresen- tano per la Difesa soltanto la spesa corrente per l’apparato ministeriale centrale e pe- riferico come per gli altri Dicasteri, ma comprendono tutte le spese per il manteni- mento e la gestione efficiente ed efficace dello strumento militare. Sono per la gran parte spese per la manutenzione dei mezzi operativi, per l’apprestamento e il ripia- namento delle scorte, per l’acquisizione dei mezzi di protezione, per la formazione e l’addestramento e, quindi, l’efficienza e la sicurezza del personale. Intendo, a questo punto, chiarire che i 3.628,7 milioni di euro destinati nel bilancio all’investimento per la funzione difesa comprendono gli stanziamenti per il programma pluriennale – sviluppato d’intesa con i Ministeri dell’Economia e delle Comunicazioni – di so- stituzione degli apparati radar che utilizzano frequenze destinate alla tecnologia Wi-

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Max, pari a 90 milioni di euro per il 2008, nonché i fondi necessari per il paga- mento dei debiti derivanti da impegni finanziari già assunti e che non è stato possi- bile onorare nei precedenti esercizi finanziari. Essi vanno, altresì, considerati al netto degli accantonamenti previsti per l’anno 2008 dal comma 507 della finanziaria per il 2007, pari a poco meno di 215 milioni di euro. Sono poi da considerare gli inve- stimenti sostenuti dal Ministero dello Sviluppo Economico, previsti nel disegno di legge finanziaria, all’articolo 31 e alla Tabella F, quest’ultima riportante, per quanto di interesse, l’attualizzazione di precedenti limiti di impegno per i programmi EFA (600 milioni di euro per il 2008 e 450 per il 2009) e FREMM (135 milioni di euro dal 2008). Come delineato nel DPEF, il sostegno del Ministero dello Sviluppo Eco- nomico a programmi di interesse della Difesa nei settori ad elevato tasso di innova- zione tecnologica, quali l’aerospaziale, l’elettronico, il meccanico avanzato e quello della cantieristica, si inquadra nell’ambito delle politiche di investimento attuate dal Governo per privilegiare le misure idonee a colmare il divario nei confronti delle economie più dinamiche e, nel contempo, intese ad incidere significativamente sui fattori che possono promuovere un più elevato tasso di innovazione del sistema pro- duttivo per recuperare competitività e produttività. In tale ambito da lungo tempo i due Dicasteri, quello della Difesa e quello dello Sviluppo Economico, collaborano, in modo sinergico e concreto, condividendo gli oneri necessari a perseguire un di- segno di ricerca e sviluppo che combini la prioritaria esigenza di difesa del Paese con l’ulteriore promozione del patrimonio tecnologico di punta, anch’esso di primario interesse nazionale. La proposta contenuta nell’articolo 31 del disegno di legge fi- nanziaria 2008, nella sua formulazione tecnica predisposta dal Ministero dell’Eco- nomia e delle Finanze, viene così a costituire la naturale prosecuzione del rapporto di collaborazione del Ministero della Difesa con quello dello Sviluppo Economico. Il comma 1 prevede il finanziamento di una serie di programmi di elevata priorità ed urgenza per la Difesa nei settori dell’aerospazio e dell’elettronica avanzata. Per far fronte agli impegni assunti dall’Italia per la realizzazione di un programma in coo- perazione internazionale con Gran Bretagna, Germania e Spagna per lo sviluppo e la costruzione del nuovo velivolo da difesa Eurofighter 2000, il comma 2 prevede lo stanziamento di rilevanti risorse aggiuntive per il prossimo quinquennio, pari a 318 milioni di euro per l’anno 2008, 468 milioni di euro per l’anno 2009, 918 milioni di euro per l’anno 2010 e 1.100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012. Si tratta di un finanziamento derivante da impegni sottoscritti da tempo dal- l’Italia, che non presenta impatti sull’indebitamento netto in quanto il programma è già considerato nelle linee tendenziali della finanza pubblica recepite sin dal DPEF 2007-2011. Il terzo comma, infine, dispone l’erogazione di ulteriori fondi, di im- porti analoghi a quelli del primo comma, che consentiranno la prosecuzione del programma in cooperazione con la Francia per lo sviluppo e la realizzazione di fre- gate della classe FREMM (Fregate europee multimissione) e per il veicolo blindato multiruolo dell’Esercito (VBM 8x8) per la protezione delle truppe impegnate in

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missioni internazionali. I finanziamenti assegnati ai commi l e 3 che ho appena de- scritto risultano inferiori a quelli inizialmente previsti e, quindi, i programmi da essi sostenuti dovranno essere riconsiderati. Va chiarito che i finanziamenti previsti per l’investimento nel disegno di legge finanziaria non sono finalizzati all’acquisizione di mezzi aggiuntivi, ma sono destinati a sostituire mezzi obsoleti, peraltro in nu- mero inferiore rispetto a quelli radiati o in radiazione. In definitiva, i mezzi a dispo- sizione delle Forze Armate saranno, ancorché qualitativamente rinnovati, quantita- tivamente ridotti. Ancora riguardo all’investimento, ritengo necessario segnalare che rimane da sostenere un indispensabile programma di rinnovo dell’ormai vetusto parco autovetture ed elicotteri dell’Arma dei Carabinieri, il cui ulteriore rinvio cau- serebbe seri problemi operativi nel settore della sicurezza. Passando ora all’esercizio, devo dire che i 2.512,l milioni di euro allocati alla funzione difesa, ancorché supe- riori a quelli dello scorso anno e ancor più a quelli dell’anno precedente, non con- sentono di procedere con la necessaria determinazione nell’azione di risanamento, iniziata lo scorso anno, tesa a frenare il deterioramento delle condizioni dei mezzi, sistemi, equipaggiamenti e scorte determinato dai tagli operati fra il 2004 e il 2006 e dal loro impiego, più intenso rispetto alle programmazioni iniziali, imposto dalle missioni internazionali. Potrebbe essere utile citare la sequenza delle risorse messe a disposizione dei consumi intermedi naturalmente a valori correnti, tra il 2003 e il 2008. Nel 2003 le risorse disponibili erano pari a 3,9 miliardi, nel 2004 erano di- ventate 3,5 miliardi, nel 2005 2,7 miliardi, nel 2006 1,5 miliardi per poi risalire nel 2007 a 1,9 miliardi e adesso sono previsti 2,5 miliardi. Quindi siamo ancora molto al di sotto della soglia del 2003, ancorché in una ripresa, dopo aver registrato una discesa tra il 2003 e il 2006 da 3,9 a 1,5 miliardi. Le risorse assegnate, ove pure si consideri l’incremento di 140 milioni di euro previsto, per il solo 2008, dall’articolo 22 del disegno di legge finanziaria, non mettono infatti a disposizione risorse suffi- cienti a garantire nella misura che sarebbe interamente necessaria il recupero, dopo i tagli del triennio già citato, degli standard di manutenzione ottimali, il ripristino dei mezzi e delle scorte, nonché i livelli di addestramento per tutti i reparti. Ciò a mo- tivo, in particolare: dei decrementi determinati dagli accantonamenti di cui al comma 507 della legge finanziaria per il 2007, pari a circa 198 milioni di euro per il prossimo anno; del taglio lineare previsto dal già citato articolo 74 del disegno di legge finanziaria, dell’ordine di 130 milioni di euro per la Difesa; dell’indisponibi- lità di 105 milioni costituenti il 30 per cento del Fondo di mantenimento di 450 milioni di euro previsto dal comma 1238 della finanziaria per il 2007, non svinco- lati dalla norma del decreto-legge n. 159 all’esame del Senato che ha previsto l’esigi- bilità del 70 per cento della complessiva quota di 350 milioni di euro sostenuta dai conferimenti del TFR. Da quanto ho esposto emerge come ogni ulteriore riduzione in questo settore potrebbe determinare l’impossibilità di far fronte, per il necessario, alle spese di funzionamento dell’organizzazione, come quelle per il pagamento di ca- noni e tariffe per consumi energetici o smaltimento di rifiuti – per le quali peraltro

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già sussistono consistenti poste debitorie – e comporterebbe soprattutto ingenti e talora irrecuperabili ricadute sulla capitalizzazione e sull’output operativo dello stru- mento militare. I debiti pregressi cui ho fatto sopra cenno si riferiscono a circa 375 milioni di euro, destinati a crescere in assenza di interventi correttivi. Il loro man- cato pagamento sta già determinando le condizioni per prossimi disservizi (cito, ad esempio, il caso della paventata interruzione della fornitura di gas per il Polo di mantenimento pesante dell’Esercito di Piacenza). In merito alla necessità di un ade- guato sostegno finanziario per la tenuta in efficienza dello strumento, va evidenziato come l’esperienza maturata e il prevedibile impegno per il 2008 debbano indurre a riflettere sull’esigenza di un incremento della dotazione del Fondo per la partecipa- zione alle missioni internazionali apprestato dalla legge finanziaria per il 2007. In- fatti, il Fondo per le missioni copre soltanto le spese vive di personale e funziona- mento, ma non anche la super usura dei mezzi. Sempre in riferimento alle missioni, mi è stato segnalato un problema, connesso alla discrepanza temporale fra l’impiego continuativo delle unità militari in Teatro, che prosegue anche a cavallo dell’avvio del nuovo esercizio finanziario, e l’effettiva disponibilità di risorse finanziarie, che in genere si concretizza non prima di 3-4 mesi dopo l’inizio dell’anno. Per risolvere tale problema potrebbe essere introdotta una misura di flessibilità, che garantisca sin dall’inizio del nuovo esercizio finanziario la disponibilità di una quota dello stanzia- mento annuale previsto per le Forze Armate, quantificata in 100 milioni di euro, per la stipula dei contratti annuali sulle coperture assicurative del personale e i tra- sporti strategici. Per la funzione sicurezza, la dotazione di bilancio prevista per l’eser- cizio, pari a 351,6 milioni di euro, sebbene incrementata dallo stanziamento di 40 milioni di euro apprestato sul Fondo di funzionamento istituito dall’articolo 22 del disegno di legge finanziaria, va considerata diminuita di circa 25 milioni di euro per effetto dell’accantonamento disposto dal richiamato comma 507 e ulteriormente gravata dal taglio lineare previsto dall’articolo 74 dello stesso disegno di legge. Il di- segno di legge finanziaria appresta altresì una serie di altri interventi che incidono sulla Difesa, dei quali intendo ora argomentare. In materia di accise, l’articolo 5 del disegno di legge, ai commi 10 e 12, esclude le Forze armate nazionali dall’esenzione, finora esistente, dal pagamento delle accise sui carburanti per il riscaldamento e per i trasporti terrestri – ferma restando l’esenzione per i trasporti aerei e navali militari, consentita dalla normativa europea di settore – apprestando, nel contempo, uno stanziamento idoneo a coprire l’intero aggravio di spesa derivante dalla norma. Nel- l’ambito delle misure di contenimento della spesa, il disegno di legge prevede poi uno specifico intervento di riduzione degli Uffici giudiziari militari, commisurato all’attuale domanda di giustizia militare. Si tratta di un’iniziativa da me da tempo fortemente auspicata e condivisa dal Ministro della Giustizia e dall’intero Governo, originariamente contenuta nel disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudi- ziario, di seguito stralciata nel corso dell’iter parlamentare. La riduzione dei Tribu- nali militari, da 9 a 3, la soppressione delle due Sezioni distaccate della Corte mili-

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tare di appello e le connesse contrazioni degli organici dei magistrati militari (da 103 a 58) e del personale civile delle cancellerie e segreterie giudiziarie militari (con transito delle eccedenze rispettivamente in magistratura ordinaria e nei corrispon- denti ruoli del Ministero della Giustizia) sono ritenute misure indispensabili e im- prescindibili di razionalizzazione della giustizia militare e di contenimento della spesa pubblica. Ancora, nello stesso ambito delle misure di contenimento della spesa, l’articolo 82 prevede il riordino o la trasformazione, pena la soppressione, di alcuni Enti pubblici tra i quali quattro vigilati dalla Difesa; mi riferisco alla Lega na- vale, all’UNUCI, all’Unione italiana tiro a segno, all’Opera nazionale figli degli aviatori. Al riguardo, ho disposto approfondimenti tesi a verificare l’impatto anche al fine di richiedere, se necessario, modifiche alla norma stessa. Tengo sin d’ora a precisare che si tratta di enti che hanno un costo limitato per lo Stato, riferito al solo contributo annuale concesso, per alcuni di essi pressoché irrilevante. L’eventuale loro soppressione, peraltro, comporterebbe un significativo aggravio di costi per la finanza pubblica derivante dall’assunzione del personale e delle funzioni di rilevanza pubblica da essi svolte. Nell’ambito delle disposizioni per la riqualificazione e il con- tenimento della spesa, il provvedimento prevede importanti limitazioni sugli inter- venti di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili pubblici, i cui effetti per la Difesa sono in corso di approfondimento. D’altra parte, non vengono appor- tate modificazioni alla procedura di dismissione dei beni militari definita dal comma 263 della legge finanziaria per il 2007 che prevede, per il prossimo anno, l’ulteriore formazione di due elenchi semestrali per un valore complessivo di 2.000 milioni di euro, da transitare all’Agenzia del demanio. A questo proposito, ho avuto modo di segnalare che la Difesa – dopo aver puntualmente ottemperato alla disposi- zione, formando e rendendo disponibili due elenchi di beni di pari valore nell’anno in corso – intende rispettare l’impegno a conferire gli ulteriori due elenchi. Sulla base dell’esperienza è però emerso che i due elenchi formati nell’anno in corso hanno pressoché esaurita la disponibilità di infrastrutture totalmente libere. Si rende perciò necessario modificare la norma per prevedere, unitamente a un differimento temporale, ancorché in termini certi e contenuti, l’avvio di un programma di razio- nalizzazione e accorpamento delle infrastrutture in uso finalizzato a rendere disponi- bile un così ingente ulteriore patrimonio di beni. Il disegno di legge finanziaria reca, inoltre, all’articolo 22, il rifinanziamento, per un importo di 20 milioni di euro, del Fondo previsto dalla legge finanziaria per il 2007 per interventi infrastrutturali su arsenali e stabilimenti militari, destinando 8 milioni all’arsenale di Taranto. Tali ri- sorse, seppur limitate e insufficienti rispetto a quelle che si renderebbero necessarie, costituiscono comunque una misura importante ai fini della ristrutturazione e del recupero dell’operatività di tali strutture; un obiettivo qualificante per il recupero di ambiti di funzionalità importanti per la Difesa, sul quale ho avviato uno studio ap- profondito, affidato ad un gruppo di lavoro che ha già prodotto dei risultati posti al- l’attenzione delle organizzazioni sindacali. Va, ancora, segnalata l’esigenza di una ri-

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flessione sugli effetti recati dall’articolo 79, commi da l a 3, del disegno di legge fi- nanziaria, che esclude l’utilizzo dell’istituto delle riassegnazioni derivanti da entrate autorizzate dai provvedimenti legislativi inclusi nell’elenco n.1 del provvedimento, prevedendone il finanziamento a bilancio nella misura del 50 per cento delle corri- spondenti entrate 2006. In tale elenco sono comprese, oltre alle somme affluenti al Fondo per la prima casa del personale, anche quelle derivanti da concorsi resi dalla Difesa ad altri Enti pubblici e soggetti privati. Vengo ora alle problematiche concer- nenti il personale militare e civile della Difesa, che costituiscono una priorità asso- luta per il Dicastero. L’articolo 92 reca l’incremento di 30 milioni di euro, a decor- rere dall’anno 2008, delle risorse destinate dalla legge n. 331 del 2000 e dalla legge n. 226 del 2004 al nuovo modello dello strumento militare che è conseguito alla so- spensione del servizio obbligatorio di leva. Si tratta di un intervento importante, che riduce dal 15 a circa 1’11,4 per cento la portata del taglio operato dal comma 570 della legge finanziaria per il 2007. È un risultato indubbiamente apprezzabile, tanto più se si considera che, prima del mio intervento in seno al Consiglio dei Ministri, la norma predisposta al riguardo prevedeva l’innalzamento del taglio al 25 per cento. Ciò non toglie che l’obiettivo finale debba, a mio giudizio, rimanere, per le ragioni di efficienza del modello di difesa vigente e di coerenza normativa di cui ho parlato in precedenza, quello della totale eliminazione degli effetti della disposizione limitativa contenuta nella finanziaria dello scorso anno. Un ulteriore importante in- tervento concernente il personale militare è quello recato dall’articolo 94 del di- segno di legge, laddove vengono previsti trasferimenti anche temporanei di contin- genti di marescialli dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica in situazione di esubero in ruoli speciali ad esaurimento del personale delle Forze di Polizia. Si tratta di un meccanismo diverso rispetto a quello dello «scivolo anticipato», auspicato dalla Difesa e non potuto recepire evidentemente per le implicazioni di natura fi- nanziaria. Stiamo approfondendo con le amministrazioni interessate alcuni aspetti della norma, non preventivamente concordata. È da ritenere che essa necessiti di al- cuni correttivi, tesi tra l’altro a subordinare i transiti alla domanda degli interessati. All’articolo 93, sono previste autorizzazioni di spesa per circa 4.500 assunzioni, nel- l’anno 2008, nelle Forze di Polizia. La norma non può che essere vista con favore dalla Difesa, stanti la necessità di colmare, seppure in parte, le carenze organiche che registra l’Arma dei Carabinieri e le connesse positive ricadute sulla prosecuzione del- l’iter di carriera previsto per i volontari delle Forze Armate. È evidente che la norma non dovrà essere modificata per prevedere, come purtroppo accaduto in passato, de- roghe ai meccanismi di alimentazione previsti dalla legge, che riserva ai volontari delle Forze Armate l’intero bacino delle assunzioni nelle carriere iniziali delle Forze di Polizia. Altri interventi di grande rilievo sono quelli maturati a seguito della sti- pula del «Patto per la sicurezza» tra il Governo e le rappresentanze militari e sinda- cali del comparto difesa e sicurezza, avvenuta a luglio. Mi riferisco, in particolare, alle misure in materia di risorse per i rinnovi contrattuali e per la valorizzazione

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della specificità del comparto, che si coniugano con le norme riguardanti l’intero settore del pubblico impiego, quali, tra le altre, quella concernente l’utilizzo, per l’anno 2008, delle risorse stanziate per l’avvio della previdenza complementare. Si tratta di interventi importanti in materie di altissima sensibilità per il personale, an- corché ulteriormente migliorabili mediante l’apprestamento di ulteriori risorse, non appena disponibili. Un’ulteriore misura, particolarmente importante per il sostegno del personale impiegato in incarichi operativi e in condizioni più disagiate, è quella apprestata dal decreto-legge n. 159 del 2007, all’esame del Senato, che assegna nel corrente anno 170 milioni di euro per le vittime del dovere e darà, come ho avuto modo di dire ieri avanti alla Commissione di inchiesta per le gravi infermità del per- sonale militare, un immediato beneficio a coloro che hanno contratto gravi malattie per causa di servizio e ai loro familiari. Ricordo anche il positivo effetto che, per l’immediata assistenza di tale personale, ha avuto il comma 902 della legge finan- ziaria per il 2007. Di primario interesse per la Difesa, nel settore del personale, sa- rebbe l’introduzione nel disegno di legge finanziaria per il 2008 della previsione di un programma pluriennale di potenziamento del patrimonio alloggiativo di servizio del personale militare, strutturato in modo da non comportare oneri per la finanza pubblica. Il mantenimento di una elevata efficienza dello strumento militare com- porta attenzione ed iniziative anche nei confronti del personale civile che opera nel- l’ambito del Dicastero quale indispensabile supporto al raggiungimento della mis- sione istituzionale. È sentita l’esigenza di riconoscere la professionalità del citato personale, al quale sono via via assegnati maggiori compiti nella graduale sostitu- zione del personale militare nelle funzioni logistico-amministrative. In sintesi, si renderebbero necessari due tipi di intervento volti, da un lato, ad evitare differenze di trattamento tra personale della stessa amministrazione e, dall’altro, ad assicurare l’efficiente funzionamento dei servizi. Passo ora a svolgere alcune considerazioni sulla nuova sistematica di bilancio. L’opera di riclassificazione delle poste finanziarie ricomprese nel bilancio dello Stato corrisponde, a parere della Difesa, al fine di faci- litare e rendere più razionale il processo decisionale sull’allocazione delle risorse del Governo e del Parlamento, focalizzando l’attenzione sulla distribuzione degli stan- ziamenti attribuiti alle diverse funzioni dello Stato, identificate dalle missioni e dai programmi sui quali oggi è articolato il disegno di legge di bilancio. Nel caso della Difesa, l’individuazione di tali aggregati è stata condotta, in sinergia con gli esperti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso l’analisi dei compiti, delle attribuzioni e delle attività attribuiti al Dicastero. Ne è risultata una struttura basata su quattro missioni, ulteriormente esplicitate in dieci programmi, dalla quale emerge che, ovviamente, la principale missione è la «difesa e sicurezza del terri- torio», per la cui realizzazione vengono rilevati sei diversi programmi, definiti sulla base delle macroaree di attività e delle strutture responsabili della loro attuazione. In primo luogo, provvedere alla difesa e sicurezza del territorio significa approntare e impiegare le forze disponibili, cioè le Forze terrestri, navali, aeree e dei Carabinieri, e

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a questo sono finalizzati i primi quattro programmi. Nella voce «Funzioni non di- rettamente collegate ai compiti di difesa militare» sono ricomprese attività diverse, quali l’assistenza al traffico aereo civile su aeroporti militari, il rifornimento idrico alle isole minori e svariate altre. Il sesto programma incluso nella funzione in esame è la «Pianificazione generale delle Forze Armate e approvvigionamenti militari» e contiene tutte le poste finanziarie relative alle spese di funzionamento e alle attività realizzate in ambito interforze dallo Stato Maggiore della Difesa e dalle strutture amministrative che fanno capo al Segretariato Generale della Difesa. In questo pro- gramma vengono ricomprese la quasi totalità delle spese per l’investimento e gli ap- provvigionamenti di beni e servizi comuni alle Forze Armate. Delle ulteriori tre mis- sioni individuate (sono quattro) due sono trasversali alla pubblica amministrazione, riguardando più Dicasteri: alla missione «Ricerca ed innovazione» la Difesa contri- buisce con un unico programma denominato «Ricerca tecnologica nel settore della Difesa», mentre ai «Servizi istituzionali e generali» sono stati ricondotti gli oneri re- lativi al funzionamento del mio Gabinetto e i «Servizi generali delle Amministra- zioni», nel cui ambito sono confluiti gli stanziamenti relativi a talune strutture e ser- vizi di supporto a valenza generale per la Difesa, direttamente dipendenti dal vertice politico, quali la Magistratura militare, l’Ufficio centrale del bilancio ed affari finan- ziari, l’Ufficio per le ispezioni amministrative; da ultimo, la missione «Fondi da ri- partire», con un unico programma, cui sono attestati vari fondi, istituiti nel tempo dal legislatore, da assegnare nel corso della gestione sulla base delle indicazioni con- tenute nelle norme di riferimento e delle esigenze da soddisfare. Due sono i principi ispiratori: la trasparente individuazione di aggregati significativi di spesa sui quali poter concentrare le decisioni sia dell’Esecutivo che del Parlamento sull’allocazione delle risorse; mantenere la complessiva struttura della Tabella 12 il più possibile semplice ed aderente alle strutture cui è devoluta la programmazione finanziaria e gestione, e ciò al fine di limitare il numero dei capitoli di spesa nei quali le unità previsionali di base trovano ulteriore esplicitazione. Ritengo che la struttura così de- finita sia ben rappresentativa delle macro funzioni svolte dal Dicastero della Difesa, per lo meno per quanto è stato possibile fare senza modificare non solo la legisla- zione vigente in materia di bilancio e contabilità dello Stato, ma anche le norme re- lative a compiti ed attribuzioni devolute a specifiche strutture organizzative. È evi- dente che quanto fatto è basato su studi certamente approfonditi e sulle migliori si- mulazioni possibili circa gli effetti sulla concreta gestione finanziaria; esso dovrà es- sere verificato, individuando i miglioramenti eventualmente necessari, nel corso del prossimo esercizio finanziario. Vorrei evidenziare che lo sforzo di riclassificazione at- tiene, al momento, al cosiddetto «Bilancio per l’approvazione», cioè alla struttura delle tabelle allegate al disegno di legge e agli aggregati di spesa sui quali si basano la decisione ed il voto parlamentare. Successivamente si porrà mano al «Bilancio per la gestione», che dettaglia il primo bilancio in capitoli e articoli di spesa e nelle nume- rose classificazioni proprie del bilancio e della contabilità dello Stato. È necessario

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che, per tale attività, sia assicurata adeguata flessibilità, allo scopo di rendere la spesa dello Stato quanto più efficiente ed efficace possibile, per il raggiungimento dei fini istituzionali. La possibilità di variazione delle previsioni è particolarmente utile in un’organizzazione complessa come quella della Difesa, soggetta in generale a forti e continue trasformazioni, tanto più repentine in un periodo di evoluzione del mo- dello organizzativo come quello attuale. In tal senso ritengo che molti passi siano stati fatti: l’articolo 79 del disegno di legge finanziaria – ad esempio – reca l’aboli- zione di un limite all’impegnabilità degli stanziamenti nella misura di un dodice- simo mensile, mentre l’articolo 22 del disegno di legge di bilancio sembra concedere la possibilità di reindirizzare i fondi fra i vari programmi di ciascun Dicastero, pur nel limite delle classificazioni economiche della spesa. Sono previsioni importanti nell’ambito di uno sforzo di snellimento e semplificazione che deve essere ancora portato avanti per unire, al requisito della trasparenza sull’allocazione delle risorse, la capacità di massimizzare l’efficacia dell’impiego delle risorse stesse e l’efficienza dell’azione delle amministrazioni. Di valore ritengo essere la nuova impostazione della Nota preliminare che articola il bilancio per obiettivi, selezionati in linea con gli obiettivi del programma di Governo e conseguenti priorità politiche che consen- tono una più moderna visibilità del bilancio orientato più sulle finalità della spesa rispetto alla sua natura. La Difesa, che per sua costituzione comporta una organizza- zione complessa e ramificata, è riuscita a reindirizzare i processi di programmazione secondo la nuova impostazione contenuta nella Nota preliminare. Sicuramente, a valle dell’esperienza che matureremo nel 2008 e dei processi modificativi di carat- tere strutturale e gestionale, già emersi durante la fase di ristrutturazione del bi- lancio, potranno essere introdotti eventuali moduli migliorativi. Concludendo, quanto alla struttura del bilancio, confermo il giudizio di rispondenza alle finalità di trasparenza e funzionalità che ne hanno ispirato la revisione. Quanto al merito, non posso che ripetere quanto detto ieri avanti alla Commissione Difesa del Senato e cioè che, pur in presenza di alcuni limiti giustificati dalla primaria esigenza del risa- namento economico del Paese, non si possa non riconoscere nei provvedimenti illu- strati il segno di un impegno che continua. Con questo convincimento, chiedo anche a voi, come ho fatto ieri avanti ai senatori della Commissione Difesa del Se- nato, il più ampio sostegno al percorso parlamentare del disegno di legge di bilancio e della finanziaria 2008.

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Casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali Senato, 6 dicembre 2007

Ringrazio il Presidente e tutti i membri della Commissione per l'occasione che mi è data di fornire, a breve distanza dal mio primo precedente, un completamento e approfondimento di informazioni. Nella precedente audizione ho sottolineato l'as- soluto, primario interesse della Difesa a fare chiarezza sull'argomento e ho illustrato tre fronti di azione: 1. l'acquisizione dei dati sulle neoplasie maligne; 2. la ricerca delle cause; 3. la normativa risarcitoria ed assistenziale e le relative iniziative di attuazione pro- mosse al riguardo. Oggi intendo ripercorrere questi tre argomenti sulla base delle ultime verifiche e azioni svolte, sotto la guida del mio Ufficio di Gabinetto, congiuntamente allo Stato Maggiore della Difesa, agli Stati Maggiori delle Forze Armate, alla Direzione Gene- rale per la Sanità Militare ed in stretto coordinamento con il Ministero della Salute.

1. L'acquisizione dei dati sulle neoplasie maligne.

Innanzitutto voglio riferire dell'aggiornamento dei dati. La volta scorsa ho fornito delle cifre del tutto preliminari, con lo scopo di delineare almeno l'ordine di gran- dezza del fenomeno, che sui media continuava a essere descritto con numeri che pur riferendosi ai soli militari impiegati all'estero appaiono decisamente alti. Alcuni articoli di stampa sono arrivati infatti ad ipotizzare migliaia di casi di neo- plasie maligne solo per i Balcani. Nella mia relazione, indicai, invece anche se in prima approssimazione, la cifra dei malati nell'ordine di alcune centinaia. La cifra dei malati e quella dei decessi,invece era in quel momento sicuramente inferiore al centinaio. Purtroppo la guerra sulle cifre, con il contorno delle dietrologie e dei misteri, non solo è continuata, ma è stata arricchita da ulteriori considerazioni riguardanti addirittura la volontà della Difesa di nascondere la verità.

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A questo proposito, è con dispiacere che debbo rilevare come l'arma dei numeri e l'argomento della pretesa reticenza della Difesa, siano stati utilizzati in modo molto superficiale, e oggettivamente irresponsabile, con l'effetto di produrre una atten- zione mediatica che si è aggiunta rispetto al suo rilievo oggettivo. A impensierire tuttavia è che chi usa quest'arma sembra non tenere conto delle conseguenze allarmanti per chiunque si trovi oggi a operare nelle missioni militari e per i loro familiari, oltre la grave disinformazione che viene così diffusa. Oggi mi trovo costretto pertanto a soffermarmi molto di più di quello che vorrei sulle cifre anche se, ribadisco, non sono le cifre quelle che spingono la Difesa ad agire, ma la volontà di tutela del personale. A questo proposito va innanzitutto precisato il campo che delimita l'indagine. Si tratta dei casi riconosciuti di neoplasie maligne registrati in militari che hanno partecipato a missioni nei quattro Teatri principali (Balcani, Iraq, Afghanistan, Li- bano) negli undici anni dal 1996 al 2006. Questo scenario preciso di esame è stato definito a partire da quanto richiesto da questa Commissione. Peraltro anche per la Difesa è questo il giusto primo e principale campo su cui indagare. Questo non vuol dire assolutamente che si intende trascurare anni o situazioni che non risultino in questi limiti. I quattro Teatri sono considerati, infatti, quelli dove si pensa sia stato fatto uso di armamento all'uranio impoverito, anche se esso, voglio ribadire, non è stato mai utilizzato dalle Forze Armate italiane, e in questi quattro Teatri vi è stato impegnato il maggior numero di militari. Va detto che, nel periodo considerato, i militari italiani sono stati impegnati anche in decine di altre missioni all'estero. In periodi antecedenti al 1996 vi è stata la mis- sione in Somalia, a Timor est e la prima missione in Iraq (Desert Storm). Non si in- tende certo trascurare chi possa essersi ammalato in queste circostanze. Ma oggi si considerano solo questi quattro Teatri, esclusivamente per ragioni di studio, per il vasto campo che offrono ai fini della comprensione del fenomeno. Tuttavia devo sottolineare come le difficoltà che si sono manifestate per rilevare e classificare le situazioni patologiche sono dovute in larga misura al tipo di organizza- zione oggi esistente. Le informazioni sanitarie sono infatti prevalentemente conser- vate presso le strutture territoriali della Difesa e mai prima d'ora è stata fatta un'opera di centralizzazione sistematica di tali dati. Per meglio spiegare come ciò sia potuto avvenire, si deve considerare che la situa- zione che esiste nel mondo militare non è dissimile da ciò che accade nelle strutture sanitarie civili del paese. I dati completi dei malati si trovano, infatti, solo presso le strutture sanitarie e ospedaliere dove il malato è stato visitato o ricoverato e solo da alcuni anni vi è in corso un'opera di centralizzazione dei dati per avere una cognizione statistica signifi- cativa che permetta di studiare i fenomeni più complessi riguardanti le gravi pato- logie.

420 Comunicazioni al Parlamento

I Registri Tumori, istituiti attualmente, riguardano un parte del territorio pari al 26% della popolazione civile e i dati statistici su questo fenomeno sono quindi an- cora parziali anche dal punto di vista della copertura nazionale. Anche nella Difesa è stato compiuto uno sforzo in settori parziali per affrontare la necessità di possedere dati statistici. In particolare, per coloro che non ne fossero a conoscenza, devo ricordare che il Teatro balcanico è da tempo sotto osservazione per i casi di neoplasie maligne in os- sequio alla legge 28 febbraio 2001 n°27. A seguito di questa legge è stato nominato un Comitato Scientifico che redige quadrimestralmente una relazione fornita al Par- lamento da parte della Difesa e della Salute, che riguarda le neoplasie maligne svi- luppatesi nel personale impiegato in missioni nei Balcani dal 1996. Da quella relazione è già possibile desumere una prima indicazione del fenomeno. Siccome queste difficoltà nella rilevazione sono state scambiate per "reticenza", ri- tengo utile tornare brevemente sull'attività di raccolta dei dati già accennata nella precedente audizione. Il punto di riferimento di questa raccolta è la richiesta di questa Commissione, del giugno 2007, di una serie di dati (suddivisi in tre schede per un complesso di 35 voci), inviata ad alcuni Enti periferici della Difesa. A questo proposito, il 28 giugno 2007 il Capo di Stato Maggiore della Difesa mi segnalava l'estrema difficoltà di raccogliere in poco tempo i dati richiesti, che si tro- vavano sparsi in varie articolazioni, di cui alcune soppresse, con gli archivi sigillati e trasferiti ad altri enti. Inoltre, mi veniva segnalato che gli Enti periferici, a cui la Commissione aveva inviato la richiesta di dati, non coprivano tutta la gamma di si- tuazioni che la Commissione chiedeva. Di ciò ho immediatamente informato la Commissione con la mia lettera del 18 luglio u.s.. Su mia personale direttiva è stato dato l'avvio a un'opera di raccolta, centralizza- zione, correlazione e analisi dei dati, secondo lo schema delle tre schede inviate dalla Commissione. Ciò è stato fatto nella consapevolezza che si debba senz'altro proce- dere alla creazione di una organizzazione centralizzata e informatizzata che possegga tutti i dati sanitari del personale e il suo profilo di impiego. A questo proposito mi basta richiamare l'attenzione su che cosa può significare trasformare una organizzazione costruita su una struttura articolata in periferia, con centinaia di archivi cartacei sparsi sul territorio, in una organizzazione centralizzata che standardizzi e raccolga i dati sanitari con logica omogenea riferiti ad un periodo di undici anni, durante il quale, per effetto della trasformazione dello strumento mi- litare, vi è stata la soppressione di molti enti e il trasferimento di numerosi archivi. La stessa difficoltà riscontrata per i dati sanitari esiste nel campo dell'impiego. Solo dal 2002 vi è un sistema informatizzato che consente di tracciare l'impiego del per- sonale. Per gli anni precedenti è necessario riverificare manualmente la documenta- zione cartacea, anch'essa sparsa in varie articolazioni, il che significa riesaminare centinaia di migliaia di libretti personali.

421 Due anni al Ministero della Difesa

Normalmente organizzazioni meno complesse di quella delle Forze Armate impie- gano anni per effettuare queste trasformazioni. La Difesa si è molto impegnata, anche perché spinta dall'urgenza di creare uno strumento che consenta una maggior tutela del personale e dalla necessità di rispondere ai quesiti posti, tuttavia le diffi- coltà strutturali e organizzative sono enormi e vorrei che fossero ben comprese. Ripeto ancora una volta che su questo tema la Difesa non ha nulla da nascondere né ha interesse a nascondere nulla. Deve soltanto superare quella che costituisce una autentica sfida per le sue capacità organizzative e gestionali nel dover assemblare una massa di dati così vasta, distribuita in modo disomogeneo e non automatizzato. Il primo risultato è stato la costituzione di un elenco (che ha naturalmente ri- chiesto diverse verifiche e approfondimenti) riguardante tutto il personale che ri- sulta essersi ammalato di tumore maligno negli 11 anni presi in considerazione e nei quattro Teatri previsti (Balcani, Iraq, Afghanistan e Libano). Nell'elenco sono indicati altresì gli esiti letali. Si tratta di 312 casi, con esito negativo per 77 soggetti. La difformità con le cifre precedentemente comunicate (255 casi e 37 esiti letali) è dovuta soprattutto all'avere verificato che alcune decine di malati o morti per tu- more allora indicati nell'elenco dei militari che non avevano preso parte alle mis- sioni, sono poi risultati come impiegati nei Teatri operativi suddetti. Presso alcune strutture sanitarie infatti le informazioni mediche non erano accompagnate da pre- cise note di impiego che si sono ottenute solo con un successivo incrocio dei dati. Quanto al totale dei militari malati tra impiegati in missione e non impiegati, è emersa una piccola variazione di 21 casi, che ha portato il numero totale dei malati a 1.703 casi a fronte dei 1.682 già comunicati la volta scorsa. Questo per quanto riguarda il numero di militari interessato da tumori maligni che nel tasso di incidenza costituisce il numeratore. Quanto invece alla definizione del totale delle persone che sono appartenute in ge- nerale alla popolazione militare, e più specificamente alla popolazione di militari che hanno partecipato alle missioni negli 11 anni presi in considerazione, la verifica è ancora in corso. Tuttavia anche in questo caso con l'obiettivo di una valutazione intermedia, va ri- levato che, per quanto riguarda i militari inviati all'estero, esiste dal 2002 una rac- colta informatizzata degli invii in missione, cioè per l'ultimo quinquennio 2002- 2006. In riferimento a questi cinque anni è possibile fornire il numero preciso di militari inviati all'estero, cioè a dire dei militari che hanno partecipato a missioni nei quattro Teatri considerati. Essi sono pari a 56.600 persone. In riferimento a questo denominatore, per quello che riguarda il numeratore, cioè il numero dei mi- litari che risultano ammalati di tumore nello stesso quinquennio, è pari a 216. Da ciò deriva che l'incidenza corrisponde a 380 casi ogni 100.000. A titolo meramente indicativo e rinviando, naturalmente, agli studi che abbiamo avviato, per quello che riguarda il complesso dei tumori in Italia, uno studio effettuato dai dati AIRT per il

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quinquennio 1998-2002, indica – nel totale della popolazione maschile italiana – che in media vengono ogni anno diagnosticati nel nostro paese 754 casi ogni 100.000 abitanti (dati ricavati da “attualità in tema di epidemiologia delle neoplasie maligne con particolare riguardo al personale militare”, Col. medico Mario Stefano Peragallo-Centro studi e ricerche di Sanità e Veterinaria dell'Esercito. - Studio effet- tuato sulla base di dati AIRT 1998-2002: da Epidemiologia e prevenzione, gen-feb 2006, suppl 2). Impossibile, invece, procedere ad una valutazione dell'incidenza del totale dei militari colpiti da neoplasie maligne negli unici anni, tuttavia dobbiamo dire che i 1703 casi registrati sono da riferire, in questo caso, per quel che riguarda il denominatore, ad un insieme non inferiore a 500.000 unità. Si tratta evidentemente di dati e comparazioni molto grezzi che, per avere un valore statistico più ampio e plausibile, andrebbero integrati con una serie di considerazioni sulle fasce di età, sui tipi di tumore, sugli effettivi periodi di impiego, per distinguere il nesso con l'ambiente operativo dalla statistica sui casi in condizioni normali.

2. La ricerca delle cause.

A questo proposito desidero confermare, come da me annunciato nella precedente occasione, la già avvenuta costituzione di un Comitato denominato "Comitato per la prevenzione e il controllo delle malattie del Ministero della Difesa". Il Comitato, costituito il 23 novembre scorso, è composto di ricercatori di riconosciuta compe- tenza scientifica prescelti, oltre che dalla Difesa, dal Ministero della Salute, dal Mi- nistero della Ricerca e da questa stessa Commissione. La prima riunione di questo Comitato è stata convocata il 14 p.v. presso il Mini- stero della Difesa. In quella occasione non mancherò di riconoscere l'estrema im- portanza che la Difesa annette a una sistematica valutazione del problema in argo- mento.

3. Risarcitoria ed attività nel campo assistenziale.

L'elenco nominativo che oggi viene fornito sarà utilizzato dalla Amministrazione della Difesa per una autonoma verifica della situazione dei malati, riguardo la situa- zione risarcitoria. Sul fronte risarcitorio ed assistenziale devo meglio precisare che la normativa vi- gente oggi, specie dopo la conversione in legge del decreto da me citato nella prece- dente audizione (Legge 29 novembre 2007 n. 222, conversione in Legge del decreto legge 1° ottobre 2007 n. 159), appare idonea per un adeguato supporto a quanti si fossero ammalati nei difficili scenari operativi fuori area. Il riconoscimento della causa di servizio è già possibile senza che vi sia la dimostra- zione scientifica del nesso di causalità. A questo proposito voglio rilevare che il rico- noscimento consente di inserire l'interessato nella categoria di “vittima del dovere”,

423 Due anni al Ministero della Difesa

con i benefici che ne derivano, e che sono stati, con la legge precedentemente citata, quasi interamente parificati a quelli, in passato più favorevoli, delle vittime del ter- rorismo. La stessa legge ha fornito una copertura finanziaria di 173 milioni al prov- vedimento. La reale problematica che è emersa, seguendo alcuni casi particolari che ci erano stati segnalati da questa stessa Commissione, sono emerse alcune difficoltà nelle procedure di attuazione per la loro eccessiva complicazione. Esse rendono l'effettivo raggiungimento del risultato molto difficoltoso rispetto a quello che sarebbe giusto e adeguato. In aggiunta a quanto già effettuato, per le attività assistenziali previste dalla Circo- lare applicativa delle norme del comma 902 della legge finanziaria 2007, dove esiste un numero telefonico di riferimento nel sito Internet della Difesa, il Ministero provvederà ad istituire un servizio che abbia la finalità di assistere il personale ad adempiere agli obblighi di legge per usufruire dei benefici e a seguire per suo conto l'iter relativo. In conclusione, come detto in apertura, la Difesa, anche grazie alle sollecitazioni di questa Commissione, sta procedendo secondo un percorso stringente, sia per quanto riguarda la raccolta dati, attraverso la riorganizzazione e monitorizzazione centralizzata e informatizzata, sia mediante le attività di un organismo di altissimo livello che possa definire un nuovo piano di ricerca basato sui migliori strumenti a disposizione della comunità scientifica.

424 Arturo Parisi Ministro della Difesa

Arturo Parisi è nato a San Mango Piemonte, in provincia di Salerno, il 13 settembre 1940. Orfano del padre a 6 anni, cresce a Sassari e completa gli studi clas- sici a Napoli presso la Scuola mi- litare della "Nunziatella". Tornato a Sassari, si laurea in Giurisprudenza con una tesi in Dottrina dello Stato. Durante gli studi lavora come operaio forestale e come inse- gnante presso un centro di adde- stramento per lavoratori dell'in- dustria. Dal 1963 al 1968 è prima Se- gretario e poi Vicepresidente na- zionale dei giovani dell'Azione Cattolica - in quel periodo presie- duta da Vittorio Bachelet - e membro del Comitato direttivo della Fede- razione Internazionale della Gioventù cattolica. Inizia la carriera universitaria a Sassari come assistente di Statistica; nel '68 arriva a Bologna come ricercatore del "Cattaneo"; è quindi assi- stente ordinario di Diritto ecclesiastico all'Università di Parma e di Storia delle istituzioni religiose a Firenze. Dal '71 è a Bologna, prima docente della cattedra di Sociologia delle re- ligioni dell'Alma Mater e quindi ordinario della cattedra di Sociologia dei fenomeni politici.

425 A partire dagli anni '80 è Vicepresidente dell'associazione "Il Mulino" e Direttore dell'omonima rivista. È fra i fondatori della rivista "Polis". Di- rige per circa venti anni l'Istituto Cattaneo. È Presidente della Società italiana degli Studi elettorali, membro del Comitato di esperti per il programma di governo '87-'88 e, nel 1987, membro della Commissione Stragi. Tra i promotori del Movimento per le riforme istituzionali, è sin dal- l'inizio parte attiva nella vicenda politica che porta alla nascita del- l'Ulivo e consigliere politico di Romano Prodi. Nel '96 è Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Mi- nistri dell'Ulivo. Nel '99 è promotore e succede a Romano Prodi alla guida del movi- mento de "i Democratici". Nel dicembre '99 vince le elezioni suppletive nel collegio 12 di Bologna. Nelle elezioni politiche del maggio 2001 è confermato nel collegio 12 di Bologna. Nel 2001 è promotore e co-fondatore di Democrazia è Libertà - La Margherita e Vicepresidente nazionale. Dall'aprile 2004 è Presidente dell'Assemblea Federale del partito. È stato il principale promotore delle Primarie in Italia nonché l'estensore delle regole e dello statuto che ne hanno consentito lo svolgimento. Nel 2006 è stato rieletto Deputato come capolista dell'Ulivo in Sar- degna. Dal 17 maggio 2006 è Ministro della Difesa.

426 Ringraziamenti

L’edizione di questo volume non sarebbe stata possibile senza il contri- buto generoso di qualificati Ufficiali e Dirigenti civili del Dicastero. Nel dare atto a tutti dell’eccellente apporto fornito, desidero ringraziare, in particolare, il Capo di Gabinetto, Generale C.A. Biagio Abrate, che ha svolto anche nel settore editoriale una intelligente azione di coordina- mento, e il Gen. B. Giovanni Cerbo, che ha curato la visualizzazione grafica e l’implementazione generale dell’opera. Un grazie vivamente sentito va anche a tutto il personale del Servizio Pubblica Informazione, il cui impegno, nei due anni di mia permanenza a Palazzo Baracchini, è stato davvero esemplare.

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Finito di stampare da Stilgrafica srl - Via I. Pettinengo, 31/33 00159 Roma - Tel. 0643588200 - Fax 064385693 nel mese di maggio 2008

Arturo Parisi Due anni al Ministero della Difesa Discorsi e indirizzi di saluto - Comunicazioni al Parlamento

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008 al Ministero della Difesa Comunicazioni alParlamento Discorsi eindirizzidisaluto Arturo Parisi 006Due anni