Di Mario Calabresi, Andrea Casalegno E Benedetta Tobagi
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Italogramma, Vol. 2 (2012) http://italogramma.elte.hu Identità italiana e civiltà globale all’inizio del ventunesimo secolo Monica Jansen VOLTARE PAGINA CON IL CUORE: LA RIFORMA “MITE” DI MARIO CALABRESI, ANDREA CASALEGNO E BENEDETTA TOBAGI “E allora ti accorgi che quando si tratta di figli non ci sono vittime o carnefici, siamo stati tutti bambini traumatizzati da una Storia che non ci apparteneva e che non abbiamo scelto” (Anna Negri, Con un piede impigliato nella storia, 2009) Voci a rischio Non è un caso che “Tabloid”, organo dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e dell’Associazione Walter Tobagi, nel primo numero del 2010 dedichi un articolo a tre volumi usciti tra il 2007 e il 2009 scritti da tre figli-giornalisti sulla memoria dei loro padri, di cui due giornalisti anch’essi. Si tratta in ordine cronologico di Spingendo la not- te più in là (2007) di Mario Calabresi (1970), dal 2009 direttore de “La Stampa”, de L’attentato (2008) di Andrea Casalegno (1944), traduttore dal tedesco e collaboratore de “Il Sole 24 Ore”, e di Come mi batte forte il tuo cuore (2009) di Benedetta Tobagi (1977), storica e collaboratrice tra l’altro de “La Repubblica”. Mentre Mario e Benedetta erano molto piccoli quando hanno perso il padre – Mario aveva 2 anni nel 1972 e Benedetta ne aveva 3 nel 1979 – Andrea aveva già 33 anni quan- do il padre fu colpito mortalmente dai militanti delle Brigate Rosse nel 1977. 33 anni aveva invece Walter Tobagi, colpito alla nuca dai militanti di una nuova frangia terroristica, i Combattenti XXVIII Marzo. Luigi Calabresi ne aveva 37, e Carlo Casalegno 61. Mario e Benedetta hanno ricevuto tanta attenzione mediatica che i loro libri 256 Monica Jansen li hanno in un certo senso lanciati nell’arena pubblica. Oltre a vincere premi per il giornalismo – Mario Calabresi nel 2011 vince il premio “È giornalismo” dopo aver vinto nel 2003 il premio intitolato a Carlo Casalegno, e Benedetta Tobagi vince nel 2011 “Il premiolino”, vinto anche dal padre nel 1975 – ambedue ottengono l’occasione di condur- re un programma, Calabresi Hotel Patria su Rai 3 e Tobagi Caterpillar per Radio 2. Anche il libro di Andrea Casalegno, edito da Chiarelet- tere nel 2008 in occasione del Primo giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi in data della morte di Aldo Moro,1 ha avuto un ampio riscontro nei vari media. Si potrebbe con- cludere, come fa Sandro Mangiaterra su “Tabloid”, che “ci sono voluti decenni, è passata una generazione, ma le vittime hanno ritrovato la parola. E i loro sentimenti pesano più del piombo”.2 Della testimonianza di Casalegno esiste però già una prima prova del 1980, raccolta nel libro Storie italiane di violenza e terrorismo curato dal giornalista Giampaolo Pansa nel marzo del 1980. Nel corso del tempo Andrea, ex-combattente di Lotta continua, non ha cambiato la sua opinione sul terrorismo, una violenza inaccettabile per cui ritie- ne colpevole anche chi ha omesso di denunciarla nel periodo perché simpatizzava con la lotta armata. Scrive nel 1980 e ripeterà nel 2008: “C’è anche una colpa nostra, la colpa di chi, stando a sinistra, prima non ha saputo impedire che qualcuno cominciasse a sparare, e poi non è stato capace di espellerlo dal proprio seno”.3 Con la differenza però che allora non era una conclusione a conti fatti ma un’esorta- zione a cambiare l’atteggiamento militante e a fermare gli omicidi commessi per fortificare la lotta contro l’ingiustizia di un sistema che invece ne è stata indebolita “in modo decisivo”.4 Esorta Casalegno: “C’è un solo mezzo per salvare questi esseri umani […] denunciare i terroristi, mandarli in galera. […] Sì, è vero, prima dell’assassinio di mio padre tutto ciò non mi era così chiaro […] chi ha la pretesa di cambiare la società deve avere ben chiaro che la vita umana è un con- 1 Casalegno intervistato da Daniele Scalise per Prima Comunicazione: “Mi avevano chiesto che arrivasse per l’anniversario della morte di Moro, il 9 maggio” (settembre 2008, p. 84). 2 Sandro Mangiaterra, Quella stagione che ci rese orfani, Tabloid, 1, 2010, p. 45. 3 Mio padre, Casalegno, in Giampaolo Pansa, Storie italiane di violenza e terrorismo, Laterza,Roma-Bari 1980, p. 247. 4 Ivi, p. 246. Voltare pagina con il cuore: la riforma “mite” ... 257 fine invalicabile”.5 Parole radicali con un intento simile a quelle pro- nunciate nell’ultimo articolo pubblicato da Walter Tobagi il 20 aprile 1980 – riprodotto dalla figlia nel libro a lui dedicato e sul sito delle vittime del terrorismo – Non sono samurai invincibili che concludeva con le celebri frasi: “La sconfitta politica del terrorismo passa attra- verso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare”.6 Poco dopo, il 25 aprile, Tobagi avrebbe intervistato il presidente della Repubblica Pertini e Andrea Casalegno per sentire le loro opinioni in proposito. Mentre l’ex-partigiano Pertini gli rispose “Il terrorismo si combatte rendendo la società più giusta” insistendo quindi su riforme concre- te, Casalegno, “duro e coraggioso” si rivolse ai giovani combattenti: “Non basta disertare, bisogna denunciare”.7 Conclude Benedetta To- bagi: “Papà sceglie di concentrarsi sulle motivazioni e il radicamento sociale del terrorismo”, e inoltre: Papà scandagliò ostinatamente la zona grigia in cui il disgusto e la sfiducia nelle istituzioni, che non hanno saputo attuare le riforme promesse né indivi- duare e punire i colpevoli delle stragi, arriva a accecare a tal punto le persone da renderle indulgenti verso la ferocia brigatista. Qui si innesta la sua polemica costante contro chi legittima la violenza come strumento di lotta politica.8 È proprio quest’atteggiamento ragionevole che rende Tobagi per i ter- roristi un obiettivo, insieme a Carlo Casalegno, da eliminare. Sempre secondo Benedetta Tobagi, i due giornalisti erano “diversi tra loro, ma accomunati dall’essere lontani dal modello del cronista investigativo e più attenti agli aspetti sociali e culturali di una violenza che con- tagia tutta la società”.9 Aveva scritto Carlo Casalegno nella rubrica Il nostro Stato su “La Stampa” il 26 ottobre 1977 a proposito dei gruppi politici del “partito armato” che operano fuori dalla clandestinità ma che “escono dalla legalità” quando “organizzano o favoriscono azioni violente”: “Le sedi politiche, in questo caso, diventano «covi», e vanno chiuse; e i militanti politici, trasformati in squadristi, debbono essere perseguiti come autori di reati”. Commenta lapidariamente il figlio 5 Ivi, p. 248. 6 Op. cit. in Benedetta Tobagi, Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre, Einaudi, Torino 2009, p. 148. 7 Ivi, p. 149. 8 Ivi, p. 149, p. 150. 9 Ivi, p. 143. 258 Monica Jansen che riproduce le frasi nel suo libro del 2008: “Scrivendo quelle parole sapeva di rischiare la vita”.10 La democrazia del dolore Se è vero dunque che per una presa di parola da parte delle vittime si deve aspettare la generazione dei figli che inizia a farsi sentire intorno al 2006 – è del 2006 la raccolta di testimonianze I silenzi degli inno- centi curata da Giovanni Fasanella e Antonella Grippo – una prima voce si era già fatta parola scritta nel 1980 grazie all’impegno del giornalista Giampaolo Pansa, ricordato nel libro di Benedetta Tobagi come uno dei maestri che si era scelto il padre in quanto “giovane cronista famelico di apprendere”.11 Benedetta ricorda anche che Pansa ha contribuito a un nuovo corso del “Corriere” con le sue inchieste sulle “morti bianche”,12 dettaglio quest’ultimo non irrilevante da ri- cordare perché il riferimento alle vittime del lavoro compare anche nella testimonianza di Casalegno, quando egli spiega la differenza tra delitto doloso, ovvero volontario, e delitto colposo, cioè commesso per imprudenza o disattenzione, illustrandola con il caso dei dirigenti del- la Thyssen Krupp di Torino che involontariamente sono responsabili della morte di sette operai bruciati vivi e quindi “colpevoli di strage dolosa, a titolo di dolo eventuale”.13 Lo stesso vale per tutti quelli che conoscevano i terroristi ma non li hanno denunciati, che negli occhi di Casalegno sono “degli assassini, né più né meno dei terroristi”,14 posizione estrema non passata inosservata dalla critica. La tragedia della Thyssen Krupp avvenuta nel 2007 viene com- memorata anche da Giovanni De Luna per segnare una importante svolta nella memoria delle vittime, che secondo lo storico forma uno dei fondamenti dell’identità nazionale italiana, riassunta nel titolo del suo saggio La repubblica del dolore (2011). Il passaggio dalla Prima Repubblica, fondata sul ricordo degli eroi del Risorgimento e della Resistenza, alla Seconda Repubblica, che dà invece priorità alle vit- 10 Andrea Casalegno, L’attentato, Chiarelettere, Milano 2008, p. 8. 11 Benedetta Tobagi, op. cit., p. 130. 12 Ibidem. 13 Andrea Casalegno, op. cit., p. 104 e p. 105. 14 Ivi, p. 102. Voltare pagina con il cuore: la riforma “mite” ... 259 time, fa vedere come la loro sofferenza sia diventata il centro della memoria ufficiale nella versione trasmessa dal Quirinale, che mira inoltre attraverso i vari presidenti a raggiungere una forma di “memo- ria condivisa”. Osserva De Luna: La “memoria condivisa” che viene proposta si fonda quindi essenzialmente su riti di espiazione e di riparazione, ricercando attraverso il dolore suscitato dalle tragedie nazionali “la persistenza di passioni civili, di dedizione a operare per il bene comune, di serietà e scrupolo negli impegni, di consolazione degli affetti, di valori umanitari”, quasi che la testimonianza delle vittime possa rappresen- tare la catarsi di una comunità ferita, che esprime il suo senso di appartenenza a un’identità nazionale modellata sull’immagine della Mater dolorosa.15 Mentre negli anni Ottanta le vittime acquistano una voce che De Luna caratterizza con il termine di “familismo morale”,16 il patto memoriale cambia statuto quando viene lasciato in mano ai media e alla politica a partire dal 2007 all’incirca, anno che raccoglie in concomitanza ini- ziative di nuove leggi di commemorazione delle vittime, iniziative per celebrare i centocinquant’anni dell’Unità italiana e casi clamorosi quali i morti della Thyssen Krupp.