2 novembre 2007

In questo importante giorno di raccoglimento privato e collettivo, Milano conferisce l’onore del Famedio a quattordici cittadini che sono entrati a far parte della sua storia. Donne e uomini benemeriti, illustri e distinti nella Storia Patria che, con le loro capacità professionali, civiche, umane, hanno onorato la nostra Città e ci hanno resi orgogliosi di essere milanesi: Ester Angiolini, Carlo Maria Badini, Gaspare Barbiellini Amidei, Floriano Bodini, Corso Bovio, Jolanda Colombini Monti, Luigi Crivelli, Alberto Falck, Mercedes Garberi, Giorgio Pardi, Luciano Pavarotti, Amato Santi, Walter Valdi, Gianni Versace.

In tempi e campi diversi, ci hanno lasciato una grande eredità nelle istituzioni del nostro Paese e di Milano, nelle molteplici declinazioni dell’arte, nell’imprenditoria, nella medicina, nella letteratura e nel giornalismo, nella solidarietà e nel volontariato. Una ricchezza di contributi che ha ben rappresentato in Italia e nel mondo la nostra Città e, con essa, i valori che la caratterizzano.

È per questi motivi che noi, testimoni del loro valore, abbiamo il dovere di ricordarli. Non solo per rafforzare il legame con il nostro passato e con le nostre radici, ma anche per citare la laboriosità di cui i milanesi sono, da sempre, i consapevoli interpreti.

Il Sindaco Il Presidente del Consiglio Comunale Letizia Moratti Manfredi Palmeri

2 Ester Angiolini

Cittadina benemerita di Milano, Ester Angiolini – Esterina, come gli amici erano soliti chiamarla – aveva scelto coraggiosamente la strada della politica, in tempi nei quali la ricerca di percorsi e di realizzazioni nella vita pubblica era tanto rara quanto difficile per una donna. Nata nel 1911 ad Almenno San Bartolomeo (), aveva lavorato come operaia presso un cotonificio di Cesate e alla Montedison, partecipando attivamente nel dopoguerra sia al movimento sindacale sia all’associazionismo delle Acli. Consigliere comunale per 34 anni dal 1951 al 1985, fu Assessore allo Stato civile nella Giunta Bucalossi dal 1966 al 1970 e Assessore all’Igiene e Sanità nella Giunta Aniasi dal 1970 al 1975. Dai banchi dell’Aula consiliare di Palazzo Marino, Ester Angiolini ha lasciato una lezione umana e civile ancora attuale. Pur trovandosi all’opposizione, accettò la delega a “Sindaco d’agosto” in un momento di particolare difficoltà per l’Amministrazione. Alle dure critiche dei colleghi di partito, che le rimproveravano di “dare una mano alla maggioranza”, lei replicò: “Non do una mano alla Giunta. Do una mano a Milano”, evidenziando con i fatti di voler far prevalere sempre il bene dei cittadini rispetto alla logica della politica. Per le sue responsabilità istituzionali al servizio dei milanesi, il 7 dicembre del 1985 fu insignita solennemente dal Comune della Medaglia d’Oro. “Eletta consigliere nel 1951 per la lista della Democrazia cristiana – si legge nella motivazione di quell’alto riconoscimento – ha da allora fatto parte ininterrottamente della civica Amministrazione fino al 1985. Durante questo lungo periodo ha ricoperto diversi incarichi assessorili, dimostrando rara assiduità e tenacia nello svolgimento dei suoi compiti pubblici, cui era pervenuta attraverso precedenti esperienze di lavoratrice e sindacalista. Di carattere franco ed aperto, intransigente nella coerenza e nel dovere, è sempre stata vicina ai cittadini, soprattutto ai meno fortunati, ai giovani ed agli anziani, con consapevole e responsabile impegno sociale”. A questa donna forte, capace, moderna, vitale, anticonformista, la scrittrice Maria Bocci aveva dedicato nel 1992 un libro dal titolo breve e significativo: “Ester Angiolini. Nella città di Ambrogio”.

3 Carlo Maria Badini

Amava definirsi “un uomo che al ‘ponte di comando’, pur non rinunciando ad esso, ha sempre preferito la ‘sala macchine’, dove ci si sporca con il grasso dei problemi”. Storico Sovrintendente del Teatro comunale di Bologna e della Scala, Carlo Maria Badini era stato chiamato a succedere a Paolo Grassi alla guida del Piermarini. Vi rimase 13 anni, dal 1° marzo del 1977 al 30 settembre del 1990. Cittadino benemerito di Milano insignito della Medaglia d’Oro nel 1990, a lui si devono la creazione della Filarmonica, la ricerca di finanziamenti privati attraverso sponsor – una novità nel panorama teatrale e musicale in Italia – e il perseguimento di una politica di bilancio finalizzata al pareggio, raggiunto nel 1984 e mantenuto fino a fine mandato. E ancora: le nuove produzioni sotto la regia esemplare di Giorgio Strehler e di Luca Ronconi e le grandi tournées all’estero, che hanno contribuito a diffondere il nome di Milano e della Scala nel mondo. Presidente nazionale dell’Agis dal 1990 al 1993, guidò l’Associazione degli enti lirici e sinfonici e partecipò ai lavori della Commissione ministeriale della musica. Collaborò inoltre con le Settimane musicali di Stresa e con l’Accademia Filarmonica di Bologna, dove celebrò i 250 anni della nascita di Mozart con la creazione dell’omonima Orchestra affidata alla direzione artistica di Claudio Abbado. Durante la crisi scaligera del 2005, aveva scelto di rompere anni di silenzio “per restituire al teatro la serenità smarrita” e la grandezza della sua storia. “La Scala – aveva scritto per l’occasione in una lettera appassionata – è l’immagine di Milano, ma è anche patrimonio culturale dell’intera Nazione, è dunque anche e soprattutto immagine dell’Italia nel mondo”. Proprio per questo Badini esortava le parti a stabilire “un clima collaborativo, che non significa acquiescenza degli uni verso gli altri, ma ricerca continua di una sintesi delle posizioni che si confrontano. Occorre che i temi della polemica vengano smorzati per lasciare posto alla forza persuasiva delle idee, che non abbisognano di grida, ma piuttosto di argomentazioni tali da renderle auspicabilmente vincenti”. Ha promosso la cultura musicale con passione, competenza e capacità manageriale, indicando a tutti i grandi enti lirici la strada da percorrere per esaltare il patrimonio della migliore tradizione italiana.

4 Gaspare Barbiellini Amidei

Firma storica del giornalismo italiano, Gaspare Barbiellini Amidei era nato nel 1934 nella “sua” Elba. Ordinario di Sociologia della conoscenza, aveva iniziato la carriera giornalistica a Roma, per approdare nel 1967 al . In via Solferino fu vicedirettore, responsabile delle pagine culturali, vicedirettore vicario nel periodo oscuro e contrastato degli anni di piombo. Coordinatore di coraggiose inchieste sul Mezzogiorno, le morti sul lavoro, l’ambiente, visse con dolore profondo il dramma del sequestro Moro e l’uccisione del collega e amico Walter Tobagi: con il rigore professionale del cronista e la sua inesauribile sensibilità umana, seppe raccontare lo strazio di quei giorni sospesi nel vuoto, tra il senso di pericolo e l’angoscia che opprimevano il Paese. L’onestà intellettuale di Barbiellini Amidei contribuì a tenere accesa una luce, non solo simbolica, nell’Italia di quegli anni. Per questo suo rigore morale e di pensiero è stato definito, giustamente, “un uomo con la schiena dritta”: cattolico di spirito laico, sapeva praticare ogni giorno la virtù della tolleranza e della comprensione, ma anche assumersi la responsabilità di una scelta in ogni battaglia di libertà, schierandosi sempre a difesa dei valori più profondi della nostra comunità civica. La direzione del Tempo gli permise un dialogo quotidiano con i lettori, segnato dalla passione e dalla curiosità degli esordi, unite alla sobrietà e alla compostezza di sempre. Curava la rubrica “I nostri ragazzi” sul settimanale Oggi, era editorialista per La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, collaboratore per Il Domenicale del Sole-24 Ore, opinionista per la Rai. La scuola, l’educazione e i giovani erano i suoi temi preferiti, sui giornali così come nei saggi. Si sforzava di aiutare i padri a comprendere i figli, e i figli a capire i padri. E guardava alla scuola con l'occhio di chi non si rassegna a certificarne la decadenza. Dagli schermi della Rai aveva lanciato un’interessante provocazione, invitando gli alunni delle scuole inferiori a offrire un fiore alla propria maestra, come risposta concreta al bullismo dilagante a danno degli stessi insegnanti. Altra costante delle sue opere è il tema della religione nel nostro tempo, come testimoniano alcuni dei lavori più noti orientati a cogliere l’essenza di messaggi universali.

5 Floriano Bodini

“Se non c'è storia nella cultura, non mi interessa”. Così Floriano Bodini, scultore di fama internazionale, allievo di Francesco Messina, esponente del realismo esistenziale, esprimeva il significato profondo della propria opera: la continua ricerca delle tracce dell’uomo nel tempo, attraverso testimonianze di memoria, letture di sentimenti, interpretazioni di valori condivisi. Nato a Gemonio (Varese) nel 1933, coltivò il proprio talento e la propria genialità nelle aule dell’Accademia di Brera negli agli anni Cinquanta. Protagonista del movimento artistico rappresentato da Guerreschi, Vaglieri, Romagnoni, Ceretti, Ferroni e Banchieri, tra i pochissimi della sua generazione a praticare la ritrattistica, Bodini realizzò capolavori ricchi di vigore drammatico e comunicativo, capaci di raccontare il disagio e l’inquietudine dell’esistenza. La sua carriera ebbe inizio nel 1958 con una personale a Gallarate, cui seguì nel 1962 la partecipazione alla XXI Biennale di Venezia con sette opere. A un’intensa attività creativa affiancò l’insegnamento ai giovani: a Brera, all’Accademia di Carrara, che diresse fino al 1987 e presiedette dal 1991 al 1994, al Politecnico di Architettura di Darmstadt in Germania, dal 1987 al 1998. Scultore di Papa Paolo VI, cui dedicò superbi lavori in marmo di Candoglia, legno e bronzo esposti nel Duomo di Milano, nell’Aula Nervi in Vaticano e al Sacro Monte di Varese, Bodini eseguì anche ritratti di Papa Giovanni XXIII caratterizzati da una notevole forza espressiva. Le numerose testimonianze di arte sacra – la Porta Santa per la Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, la statua di Santa Brigida di Svezia in San Pietro, gli altari per le Grotte Vaticane, per il Santuario di Loreto e per il complesso architettonico a San Giovanni Rotondo – si alternano al ciclo delle grandi opere pubbliche: dalla statua di Virgilio a Brindisi al complesso bronzeo dei Sette di Gottinga nella piazza del Parlamento di Hannover, dal monumento ai Caduti sul lavoro per la città di Carrara a quello di Cremona dedicato a Stradivari. Il generoso lascito al Comune di Gemonio di molte delle sue realizzazioni ha reso possibile, nel 1999, l’inaugurazione del Museo civico a lui intitolato.

6 Corso Bovio

Eminente avvocato penalista, tra i massimi esperti in Italia di diritto dell’informazione e della stampa, Corso Bovio ha onorato per oltre 30 anni Milano e il Paese con la propria cultura, la propria forza comunicativa, la propria correttezza, il proprio rigore, orientati all’obiettivo di una giustizia sempre più umana, sempre più giusta. “Gli avvocati – sosteneva – hanno un debito di verità”. È con questo convincimento che aveva raccolto l’eredità di una grande famiglia di giuristi napoletani, riconoscendosi pienamente nelle parole di Piero Calamandrei: “La toga, per un difensore, non è solo un simbolo di dignità, ma anche un abito di lavoro in cui l’avvocato perde nome e cognome e diventa semplicemente un avvocato. Per questo amiamo la nostra toga: perché sappiamo che essa è servita ad asciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte ingiustamente umiliata, a reprimere qualche sopruso. E, soprattutto, a ravvivare nei cuori umani la fede nella vincente giustizia, senza la quale la vita non merita di essere vissuta”. Nato a Milano nel 1948, si era laureato in Giurisprudenza con 110 e lode a 23 anni presso l’Università Statale. Iscritto all’Albo degli avvocati dal 1975, patrocinante in Cassazione dal 1981, si occupava in particolare di reati societari, ambientali, fallimentari e contro la Pubblica Amministrazione. È stato protagonista delle principali vicende giudiziarie italiane: dagli anni del terrorismo – come parte civile nel processo Walter Tobagi e, per il Comune di Milano, nella ricostruzione della verità sulla strage di piazza Fontana – a quelli di Mani pulite, fino alle recenti inchieste sulle scalate bancarie. Assisteva legalmente case editrici come Rcs, Il Sole-24 Ore, la Società San Paolo, ma i suoi pareri erano preziosi anche per la controparte, il sindacato dei giornalisti. Pubblicista dal 1970, era stato consigliere nazionale dell’Ordine e componente della Fnsi e dell’Alg, gli organismi di categoria a livello nazionale e regionale. Aveva presieduto il Circolo della Stampa di Milano dal 1990 al 1995 e dal 2004 ne guidava la Fondazione. Collaboratore dell’Ifg Carlo De Martino e dell’Università Bocconi, curava seminari per i professionisti dell’informazione accanto ai corsi di preparazione e aggiornamento per avvocati. È stato autore di articoli e di manuali illuminanti sul diritto della stampa, capaci di accompagnare generazioni di giornalisti nei difficili percorsi di una professione che è l’anima di ogni democrazia.

7 Jolanda Colombini Monti

Per un quarto di secolo è stata la scrittrice d’infanzia più letta in Italia: con i suoi 200 libri in rima, illustrati e tradotti in inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese, Jolanda Colombini Monti, la “Mamma Serena” dei bambini nati tra il dopoguerra e gli anni Sessanta, ha regalato poesia, sogni ed emozioni ai piccoli di tutto il mondo. Da “Viaggio nel regno degli animali” a “Vacanze in America”, da “L’arca di Noè” a “Bimbi di Roma antica”, le sue pagine, capolavori di fantasia scritti di notte e nel tempo libero, hanno aiutato generazioni di genitori a educare i figli, avvicinandoli con la semplicità di un sorriso al sapere delle scienze, della geografia, della storia e dello sport. “Dovevo far conoscere anche ai bimbi di città, costretti a vivere lontani dalla natura – spiegava Jolanda Colombini Monti – quelle sensazioni di poetico mistero che avevo provato io nella mia infanzia in campagna. Vorrei che il ricordo di questo periodo della vita fosse bello per tutti come lo è per me”. Nata a Milano nel 1911, per 30 anni segretaria di direzione presso la Montecatini, ha affiancato all’impiego aziendale una brillante attività artistica e culturale: poetessa, commediografa, giornalista, autrice di testi per canzoni e caroselli, ha collaborato per riviste aziendali e per pubblicazioni rivolte ai giovanissimi, come Mamme e bimbi, Modellina, il Corriere dei Piccoli. È stata tra i fondatori dell’Associazione nazionale cinema educativo nel 1952, e ha fatto parte più volte della giuria del Festival di Venezia nella sezione film per ragazzi. Con lo pseudonimo di Mini da Nervi, negli anni Settanta e Ottanta si è dedicata alla pittura: i suoi quadri, fantasiosi arabeschi, hanno ottenuto sempre un grande successo di critica e di pubblico. Il valore prezioso della sua opera, testimoniato dal Premio della Cultura conferitole nel 1959 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha trovato conferma nella mostra allestita a Palazzo Sormani dal Comune di Milano nel 1984. In quell’occasione, il direttore della Libreria per i ragazzi, Roberto Denti, scrisse di lei: “Jolanda Colombini Monti trova un suo spazio nella storia della letteratura per l’infanzia, ma soprattutto rimane nella storia personale di bambini che hanno avuto la gioia di godere dei suoi versi così semplici e così poetici”.

8 Monsignor Luigi Crivelli

Presidente della Fondazione Sant’Ambrogio per la gestione del Museo Diocesano e responsabile dell’Ufficio dei Beni culturali della Curia arcivescovile, monsignor Luigi Crivelli aveva “tre amori, che esprimeva con qualità evangelica: per la cultura, per i giovani e per la Chiesa di Milano, di cui era figlio”. Con queste parole il Cardinale Dionigi Tettamanzi ha ricordato un protagonista della comunità di Ambrogio: un uomo che, con la sua straordinaria levatura morale e intellettuale, ha saputo illuminare il cammino e le scelte più importanti della città. Nato nel 1933 a Pogliano Milanese, era stato ordinato sacerdote nel 1956 dall’Arcivescovo Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. Nel suo ministero pastorale spicca, dal 1973 al 1994, l’impegno di parroco nella Basilica di San Simpliciano, del cui complesso restauro fu appassionato artefice. Cappellano di Sua Santità e protonotario apostolico, era responsabile dell’Ufficio per i Beni culturali della Diocesi dal 1994, anno in cui ricevette dal Cardinale Carlo Maria Martini l’incarico di occuparsi del nascente Museo Diocesano. A questa istituzione, che nel 2007 ha celebrato sei anni di vita, monsignor Crivelli ha dedicato gran parte del suo amore per l’arte, la musica e la bellezza che ispira, esalta, racconta la fede. Dal 1984 era direttore di Terra Ambrosiana, bimestrale della Diocesi di Milano. Autore di saggi sulla vita e il messaggio di alcune figure-simbolo del cristianesimo, ci ha trasmesso preziose testimonianze di santità, rigore morale, carità, devozione e attenzione pastorale: Sant’Ambrogio, gli Arcivescovi Carlo e Federico Borromeo, Ildefonso Schuster e Giovanni Battista Montini. Il 7 dicembre del 2001 il Comune di Milano gli aveva conferito la Medaglia d’Oro, dopo l’Attestato di Civica Benemerenza nel 1979 e la Medaglia d’Argento nel 1995. “Un luogo d’arte e religiosità – si legge nella motivazione del riconoscimento – custode della storia e della cultura del cristianesimo e, insieme, testimonianza di fede e spiritualità. Nel rinnovato splendore dei chiostri di Sant’Eustorgio, il Museo Diocesano si apre alla città, con le sue straordinarie raccolte delle opere che hanno segnato il percorso della Chiesa attraverso i secoli. Un legame con l’anima e la memoria del nostro passato e, insieme, un momento di dialogo e di confronto dei pensieri: un dono che monsignor Luigi Crivelli ha fatto a tutti i milanesi”.

9 Alberto Falk

“È nei periodi di crisi che emerge chiaramente la forza dell’impresa familiare nell’agire e reagire con tempestività per resistere alle intemperie”. Con il legittimo orgoglio di essere uno dei protagonisti dell’industria italiana, Alberto Falck evidenziava le caratteristiche della propria azienda, consapevole della sua importanza nell’economia del Paese. E aggiungeva: “Altre sfide ci attendono. Ma sono queste sfide che fanno parte del nostro bagaglio di operatori dell’intraprendere e che stimolano il nostro coraggio nell’affrontare il rischio ragionato, la nostra tenacia nel raggiungere gli obiettivi che ci siamo proposti, la nostra spinta a reagire e fare”. Discendente della grande dinastia dell’acciaio, Alberto Falck è stato un simbolo di quella borghesia illuminata che ha segnato in modo indelebile l’identità di Milano, con le sue professionalità, le sue capacità progettuali, la sua tipica concretezza e determinazione ad operare. Un’etica del lavoro che ha consegnato alla città la sua dimensione più moderna di sviluppo europeo e, insieme, profondamente solidale. Entrato nel gruppo di famiglia nel 1964, dopo la laurea in Economia e Commercio all’Università Bocconi, guidò per lungo tempo le Acciaierie e Ferrerie Lombarde, che avevano il cuore della produzione a Sesto San Giovanni, e che furono dismesse alla fine degli anni Ottanta. Al vertice dell’azienda tentò la fusione con Montedison, ripartendo poi da un nuovo più piccolo impero sul fronte delle energie rinnovabili. Presidente di Actelios, era presente nell’azionariato di molti importanti gruppi industriali italiani, come Italcementi, Ras, Milano Assicurazioni, Camfin, Pirelli, Rcs quotidiani. Fu un imprenditore determinato e lungimirante, capace di intuire la profonda trasformazione del sistema siderurgico e di cogliere le positive opportunità di conversione industriale nell’area dell’energia. Umanamente disponibile e generoso, seppe ispirare sempre la propria esistenza ai valori cristiani: attento alla formazione dei giovani, in particolare come consigliere dell’Università Cattolica, si impegnò anche nel volontariato, dedicandosi a organizzazioni no profit quali il Fai, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, Vidas.

10 Mercedes Garberi

Protagonista dell’arte milanese e italiana come storica, critica e curatrice, Mercedes Garberi ha legato indissolubilmente il proprio nome a due istituzioni museali cittadine: le Civiche Raccolte, dirette per trent’anni con rigore scientifico e grandi capacità organizzative, e il Pac che, sotto la sua guida illuminata, è diventato un punto di riferimento essenziale per l’espressione di molti talenti creativi del nostro tempo. Nata a Pavia nel 1927, dopo gli studi universitari aveva condotto approfondite ricerche sull’arte nel nord est del nostro Paese: un saggio sulle ville venete testimonia la sua notevole competenza unita a singolari doti narrative. Agli inizi degli anni Settanta era stata nominata direttore delle Civiche Raccolte, estendendo gradualmente la propria attenzione e i propri interessi anche al mondo del contemporaneo. In quella veste aveva catalogato con passione e dedizione infaticabile la ricchissima collezione Boschi: una raccolta di quasi duemila opere – da Boccioni a De Chirico, da Sironi a Morandi e Fontana – donate al Comune di Milano. Una memorabile esposizione su quella preziosa eredità fu ospitata a Palazzo Reale nel 1974, lasciando il segno nella nostra città. Ancora più significativa la riapertura del Padiglione d’Arte contemporanea di via Palestro, avvenuta nel 1979 dopo anni di deplorevole chiusura, proprio grazie all’impegno e al pragmatismo di Mercedes Garberi. “Si sentiva – scriveva lei stessa ricordando quel periodo – la necessità di dotare Milano di una struttura agile che mancava, analoga alle Kunsthalle europee”. Al Pac, forse la sua “creatura” più amata, aveva saputo organizzare, nonostante la ristrettezza delle risorse umane ed economiche a disposizione, numerose mostre di qualità e di respiro internazionale: ben 150 nei primi dieci anni di attività, affidate senza dogmatismi a specialisti spesso giovani, fortemente motivati e aperti alla sperimentazione. Mercedes Garberi aveva promosso iniziative che avevano portato Milano nel mondo attraverso il Pac, come le rassegne di arte italiana a Francoforte nel 1985, a Zagabria e a Leningrado nel 1989. Contribuì in modo decisivo anche alle splendide retrospettive a Palazzo Reale degli espressionisti tedeschi nel 1984, di Kandinsky nel 1985 e di Klee nel 1986.

11 Giorgio Pardi

Caposcuola di fama mondiale della moderna ginecologia, Giorgio Pardi è stato direttore della prima Clinica ostetricia e ginecologia dell’Università Statale di Milano e direttore del Dipartimento per la salute della donna, del bambino e del neonato della Fondazione Irccs Policlinico di Milano. La sua lunga e brillante carriera era decollata subito dopo la laurea, conseguita nel 1964 presso l’Università degli Studi di Milano. Dopo il suo impegno negli Stati Uniti legato all’approfondimento della fisiologia fetale, iniziò a lavorare nella Clinica Mangiagalli come allievo dello storico professor Giovan Battista Candiani. Vi rimase fino al 1986, anno in cui si trasferì all’Ospedale San Paolo. In questa struttura sanitaria di eccellenza gestì con successo la notissima vicenda degli otto gemelli Pirrera di Erice: un parto record in due tappe, realizzato in collaborazione con una équipe del Niguarda, fra il 13 e il 17 settembre del 2000. Nel 2001 tornò alla Mangiagalli, dove seppe valorizzare l’attività del Centro di aiuto alla vita, affiancando l’Amministrazione comunale in un percorso di sostegno per le donne in gravidanza condizionate da difficoltà economiche. Laico ma capace di dialogare con i valori differenti dai propri, Pardi ammetteva di “non essere credente, ma di amare ogni nuova vita. Per me – affermava con convinzione – un aborto è un omicidio fatto per legittima difesa della donna: se riesco a evitarne anche uno solo sono felicissimo”. Autore di numerose pubblicazioni in tutto il mondo, unico italiano membro onorario della Società americana di ginecologia e ostetricia, aveva messo a punto una tecnica di lavaggio del seme e di fecondazione in vitro per far nascere figli sani da coppie sieropositive. Il professor Pardi ha lasciato un vuoto difficile da colmare nella medicina italiana. La sua eredità è però un’enorme ricchezza professionale e umana che Milano dovrà continuare a coltivare, nel suo ricordo e in maniera coerente con l’alto valore della sua opera e dei suoi insegnamenti. Come il proprio maestro, anche attraverso la testimonianza di chi gli ha reso l’ultimo saluto nella “sua” Mangiagalli, da oggi Pardi è uno “storico professore”.

12 Luciano Pavarotti

“Voce dell’Italia nel mondo”, Luciano Pavarotti ha arricchito con la magia della propria arte il nostro Paese, ma anche in particolare la nostra città, portando ovunque il nome di Milano e della Scala. Un legame che risale al 1965, quando Herbert von Karajan lo richiese espressamente per La Bohème di Puccini: da allora, Pavarotti è stato Rodolfo per antonomasia. La storia scaligera conta quasi trent’anni di presenze, tra serate d’opera e concerti indimenticabili fin dalle interpretazioni degli esordi: la Messa da Requiem in memoria di Arturo Toscanini, I Capuleti e i Montecchi di Bellini, il Rigoletto di Verdi. Nato a nel 1935, ed ereditata la passione per il canto dal padre Fernando, iniziò a studiare con il tenore Arrigo Pola e con il maestro Ettore Campogalliani. Dal 1961, anno in cui riscosse unanimi consensi al Teatro municipale di Reggio Emilia, la sua fama si è presto riverberata in tutti i continenti. A consolidarne il successo internazionale fu naturalmente Milano, con l’amore del pubblico più selezionato e l’attenzione positiva della critica più severa: grazie alla Scala Pavarotti affermò definitivamente il proprio straordinario talento, grazie a Pavarotti la Scala accrebbe ulteriormente il proprio prestigio. Acclamato dai teatri più importanti – dal Covent Garden di Londra al Metropolitan di New York – conteso dai direttori più noti – da Muti a Karajan, da Abbado a Mehta – ha portato la musica lirica non solo nei luoghi tradizionali, ma anche nei grandi spazi pubblici delle città: artista d’élite e, insieme, artista popolare. I suoi concerti insieme ad altri celebri tenori sono diventati veri e propri eventi, così come le manifestazioni all’aperto altrettanto innovative e coraggiose dal punto di vista artistico: i concerti di Hyde Park a Londra, Central Park a New York e all’ombra della Tour Eiffel a Parigi. Significativo e generoso è stato il suo contributo anche sul piano umanitario, con l’attività del Pavarotti & Friends che ha aiutato bambini di tutto il pianeta, e con il sostegno al progetto dell’Onu per la cancellazione del debito ai Paesi del Terzo Mondo. Le sue doti professionali e umane lo hanno reso un personaggio unico, dalla popolarità mai scalfita neppure quando fu protagonista di alcune vicende di cronaca discusse e controverse. Milano lo ricorda come ambasciatore della nostra musica, della nostra cultura e della nostra arte nel mondo.

13 Amato Santi

“Esempio di spirito imprenditoriale lombardo, inizia come apprendista pellettiere. Fondatore del Mipel, il più prestigioso mercato italiano del settore, diviene ben presto uno dei principali esportatori dell’immagine e della moda italiana nel mondo”. Con questa motivazione, che riassume il senso di una vita orientata al lavoro, Amato Santi aveva ricevuto nel 1988 la Medaglia d’Argento dell’Amministrazione comunale. Nato nel 1923 a Carpaneto Piacentino, si trasferì giovanissimo a Milano per imparare un mestiere che era anche un’arte. Dopo la guerra e la drammatica esperienza del lager vicino a Düsseldorf, coltivò nuovamente la propria vocazione con determinazione e umiltà, riuscendo ad aprire un laboratorio in via Melzo nel 1947 e, nel 1954, una valigeria in corso Indipendenza. Il record di produzione della fine degli anni Sessanta – il 20% del mercato nazionale – fu premessa dei traguardi raggiunti nel 1975: il trasferimento della fabbrica nell’attuale sede di via Corio in Porta Romana e l’inaugurazione di nuovi punti vendita negli aeroporti di Linate e Malpensa, oltre alla storica boutique di corso Lodi. Nel 1980, con la nascita dell’omonimo marchio, Santi consolidò la propria presenza in Italia e nelle più importanti città del mondo: Londra, Mosca, New York. Da allora, grazie anche al coinvolgimento dell’intera famiglia, la griffe ha conquistato tutti i continenti, divenendo sinonimo di qualità, cura del dettaglio, innovazione. Artefice del successo di un’azienda che, in 60 anni di attività, ha offerto opportunità di lavoro a centinaia di persone e contribuito allo sviluppo di Milano e del Paese, Amato Santi è stato anima del Mipel, fondatore e presidente del consorzio Ci.Pi.Elle per la promozione all’estero della pelletteria italiana, guida illuminata dell’associazione di categoria Aimpes. Ha presieduto la Società di beneficenza e solidarietà ambrosiana dei Buontemponi, insignita della Civica Benemerenza per il centenario della sua fondazione. Al suo impegno si deve infine il Museo della borsa, che comprende una collezione di mille pezzi, dal Settecento ai giorni nostri. Esposta anche all’estero, nel 1994 la raccolta è stata dichiarata di notevole interesse storico dal Ministero per i Beni culturali e ambientali, grazie alla capacità di raccontare l’evoluzione dei costumi, della moda e del design nel nostro Paese.

14 Walter Valdi

Padre del cabaret milanese, Walter Pinnetti, in arte Walter Valdi, è stato cantante, attore di cinema e di teatro, autore di testi musicali che hanno segnato un’epoca. Nato nel 1930 a Cavenago, nel palazzo secentesco che oggi ospita il Municipio, si era trasferito giovanissimo a Milano. Alla professione di avvocato, intrapresa sulle orme del padre, univa la passione per la cultura dialettale, che lo portò a iscriversi alla scuola di mimo del Piccolo Teatro diretta da Marise Flach. Dopo i primi ruoli importanti – il sagrestano nella Tosca all’Arena di Verona e l’oste muto nel Falstaff con Strehler – la sua carriera decollò nel 1963, con la partecipazione alla “Fiera dei sogni” condotta in tv da Mike Bongiorno. Negli anni d’oro del Derby, il tempio della comicità lombarda che lo vide protagonista per un quarto di secolo, fu maestro di stile e di creatività per molti altri celebri colleghi: da Paolo Villaggio a Renato Pozzetto, mentre con il maestro Giovanni Danzi realizzò il fortunato show “Lassa pur ch’el mond el disa”. “Non era teatro e neppure canzone – spiegava Valdi ricordando quel periodo – ma un gioco speciale che non si poteva trovare da nessuna altra parte. Non erano semplici gag impacchettate. Ciascuno di noi lavorava intorno al proprio personaggio pieno di dubbi e di incertezze”. Cantore della Milano popolare dei cortili di ringhiera e della periferia, ha dato voce, con umorismo cinico e surreale, a storie di umili e perdenti, sempre in bilico tra le fatiche della sopravvivenza quotidiana e il rischio di finire nel carcere di San Vittore “in quel di Filangieri al nümer dü”. Il suo repertorio musicale comprende brani di successo, come “Il palo della banda dell’Ortica”, “La busa noeuva”, “Quand l’era Milan”, “Quand s’eri giovina”, “La macchina”, “Il difetto”, “Ringhiera”, “La Svizzera”, “La ballata del milite ignoto”, “El ticch”, “Cocco e Drilli”, “Il caffè della Peppina”. Autore della commedia “Ciappa el tram balorda” gratificata da centinaia di repliche, fu anche interprete cinematografico accanto a registi impegnati, da Ermanno Olmi nel film “Un certo giorno” a Carlo Lizzani in “Storie di vita e malavita”. Milano, che il 7 dicembre 2003 ha conferito l’Attestato di Civica Benemerenza alla memoria, ha voluto istituire anche un riconoscimento a suo nome: il Premio Walter Valdi è per giovani compositori e cantautori che si sono ispirati a questo artista poliedrico e indimenticabile.

15 Gianni Versace

“Un profondo superficiale”: così Gianni Versace, parafrasando Nietzsche, amava definire se stesso. Cogliendo l’essenza del proprio lavoro di artista geniale, eclettico, antico e futuribile nello stile, sosteneva: “Mi piace leggere e guardare, ma poi usare questi stimoli in maniera libera per trasformarli in moda”. Da Reggio Calabria, dove era nato nel 1946 e cresciuto nella sartoria della madre, approdò a Milano nel 1972: le sue prime collezioni per Florentine Flowers, Genny, Complice e Callaghan ebbero un successo immediato, facendo circolare nell’ambiente il nome del giovane disegnatore. Quattro anni dopo, affiancato dal fratello Santo e, più tardi dalla sorella Donatella, Gianni Versace gettò le basi di un’impresa capace di imporsi sulla scena nazionale e internazionale in ogni settore: dal prêt-à-porter e dalle linee giovani all’alta moda, dai profumi e dagli accessori alle creazioni d’arredamento. Il carisma personale, l’ispirazione senza limiti, il gusto per l’eccesso, l’innovazione rivoluzionaria nei materiali, nei colori, negli accostamenti, l’efficacia delle campagne pubblicitarie esaltate dalla bellezza di modelle-dive e star di Hollywood e dal contributo di grandi fotografi come Richard Avedon, contribuirono a diffondere nel mondo una griffe divenuta leggenda. Audace nella contaminazione dei generi e nell’uso della storia, volle per la maison un marchio forte, la testa della Gorgone, richiamo ideale alla Magna Grecia e alle radici più profonde della propria terra: “Quando ho dovuto scegliere un simbolo, ho pensato a quest’antico mito. Chi s’innamora della Medusa non ha scampo, chi è conquistato da Versace non può tornare indietro”. Consacrato più volte migliore stilista dal Golden Eye e dal Cutty Sark Award, ricevette l’Oscar americano della moda nel 1993, ed ebbe l’onore della copertina di Time nell’aprile del 1995, quale icona di eleganza e, insieme, di eros. Commendatore della Repubblica italiana nel 1986, fu insignito in quello stesso anno della Medaglia d’Oro del Comune di Milano, come “uno degli artefici del made in Italy al quale la città deve prestigio e benefici economici”. L’uomo che ha “liberato la moda dal conformismo, regalandole la fantasia e la creatività” va ricordato anche per il suo generoso impegno sociale, attraverso il sostegno alla ricerca per la lotta all’Aids. A dieci anni dalla scomparsa, Milano e la Scala hanno voluto dedicargli uno spettacolo, valorizzato dai costumi del Maestro e dalle coreografie di Béjart, dal titolo “Grazie Gianni, con amore”.

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