CAPITOLO 4 – LE STELE ETRUSCHE DELL’ALTA VALDELSA

4.1 Gli aspetti archeologici ed epigrafici

In un precedente lavoro avevo notato come l’Alta Valdelsa, con i co- muni di Monteriggioni, Colle e Casole, da una parte, e la Piana di Rosia, con le pendici meridionali della Montagnola, dall’altra, fossero state caratteriz- zate da una concentrazione di stele iscritte che entrarono a far parte del paesaggio funerario nel tardo periodo arcaico1. Il fatto che proprio Campassini abbia restituito in passato una tomba con iscrizione lapidea ha offerto, con la pubblicazione dello scavo, l’occa- sione di un riesame d’insieme del piccolo gruppo di stele, che ha messo in evidenza nuovi elementi in merito al lessico e all’onomastica della zona. Inoltre alcuni documenti epigrafici di recente pubblicazione hanno messo in luce l’adozione, da parte degli scribi della zona, di un nesso grafi- co, a diffusione del tutto locale, che però arricchisce il panorama dei criteri adattativi seguiti dagli Etruschi nella messa a punto del proprio sistema fonologico. Nel corso delle indagini sono maturate ulteriori domande in relazione ai luoghi di approvvigionamento del materiale lapideo utilizzato nella co- struzione delle stele e sulla presenza o meno di trattamenti delle loro superfi- ci. Grazie all’apporto di altre e qualificate competenze sono state compiute una serie di analisi petrografiche e sedimentologiche tanto sul materiale co- stitutivo dei monumenti (vedi pp. 211 ss.) quanto sugli strati superficiali (pp. 222 ss.) che hanno consentito di stabilire con buona precisione l’area di ap- provvigionamento del travertino utilizzato e di evidenziare, sulla faccia ante- riore di uno di essi, le tracce di una sorta di stuccatura, in alcuni punti pig- mentata in nero, compatibile con una decorazione. Mi è parso quindi opportuno inserire nel presente volume l’insieme dei dati raccolti, ritenendoli utili alla conoscenza di un territorio che le recenti indagini e pubblicazioni hanno posto al centro di una rinnovata e articolata ricerca storica2.

1 CIACCI 1999, p. 304. 2 Atti Colle Valdelsa 2002.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4.1.1 I CONTESTI DI RINVENIMENTO (Fig. 39) Le località di rinvenimento delle stele sono costituite da piccole ne- cropoli situate nelle valli del fiume Elsa e del torrente Rosia, tributario del Merse, divise dallo spartiacque della Montagnola Senese: alla prima appar- tengono i siti di (San Gimignano)3, Le Poggiòla (Casole d’Elsa), Morticce di (Colle Val d’Elsa) e Campassini (Monteriggioni) mentre alla seconda quello di Toiano (). La documentazione d’ar- chivio, inoltre, ci viene in aiuto nel recupero di notizie relative al rinveni- mento di altri monumenti, ormai dispersi: mi riferisco alla stele di Canoni- ca (Colle Val d’Elsa)4 e alle due di (Sovicille)5. Poche sono le informazioni certe sul tipo di tombe che tali segnacoli indicavano, sulla loro posizione rispetto ad essi e sui corredi associati. Un aspetto non del tutto chiarito è quello della loro funzione che oscilla tra quella di sema funerario, esterno o interno6 alle tombe e quella di porta di chiusura delle stesse. Tale incertezza è da imputare alla obiettiva scarsità dei dati presenti nei pochi documenti rintracciati relativi al recupero dei monu- menti, avvenuto sempre in condizioni di emergenza, mai in situ, essendo le tombe già state sconvolte in antico o durante i lavori agricoli. Di seguito fornisco un breve riepilogo delle notizie raccolte nella docu- mentazione edita e d’archivio. La stele recuperata all’inizio degli anni ’30 «nel ridurre a coltura il decli- vio di un poggetto nel podere di Campasini», si trovava «nella terra di riempi- mento» e «poco oltre la porta»7 di una tomba a camera situata a pochi metri da un’altra rinvenuta una decina d’anni prima. L’Editore, tuttavia, sulla base dei confronti eseguiti con le planimetrie delle altre tombe della necropoli del Casone, ritenne questa ellenistica ed estranea la stele al contesto di rinvenimento, attri- buendola, insieme al resto del materiale arcaico, ad un’altra sepoltura vicina8.

3 Recentemente in questa località è stata occasionalmente scoperta una stele iscritta a “ferro di cavallo” attualmente in corso di studio. 4 MARTELLI 1975 pp. 200 ss., con carteggio relativo al ritrovamento. 5 Archivio di Stato di (da qui in poi ASS), Ms. D 6; CIACCI 1992, p. 126. 6 Che le stele fossero interne alle tombe è una possibilità da considerare e, sebbene la ritenga poco probabile, tiene conto del rinvenimento di cippi al loro interno come mostrano i casi della Tomba dell’Alfabeto di Colle (BARTOLONI 1997, p. 36, fig. 7) e la tomba BB 18 del Casone (CIANFERONI 2002, p. 119, n. 67). 7 BECATTI 1933, p. 150 e p. 159. L’Editore riferisce che la stele sarebbe stata rinvenuta «poco oltre la porta della tomba» (p. 150), «giacente verso la porta» (p. 152), «nella parte anteriore della tomba» (p. 159). In pratica la sequenza descrittiva dell’esatto punto di rinve- nimento segue le fasi dello scavo, dall’esterno verso l’interno e lascia intendere che il rinveni- mento avvenne all’interno della tomba piuttosto che nel dromos, come suggerito da altri: MANGANI 1986 p. 39; CIANFERONI 2002, p. 109. 8 BECATTI 1933, p. 153; BECATTI 1934, p. 436; DE MARINIS 1977, p. 50. La tomba venne attribuita ad epoca ellenistica dal Becatti che riteneva il materiale arcaico in essa

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 39 – La carta di distribuzione delle stele iscritte. In grigio l’area di provenienza del travertino utilizzato per la loro costruzione. (Dati GIS: Federico Salzotti, Laboratorio di Informatica Applicata all’Archeologia Medievale, Siena; elaborazione: A. Ciacci)

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Concise sono anche le notizie del rinvenimento della stele di Le Poggiòla, avvenuto negli anni ’70 del XIX secolo in un «sepolcro…nel podere del Pog- giolo» presso Casole d’Elsa, in proprietà Bargagli, la cui «pietra d’ingresso» iscritta, sarebbe stata manomessa in antico9. Le due “Pietre con caratteri Etrusci”, rinvenute integre a Malignano nel 172810, vennero invece recuperate «nell’imboccatura di una cava sot- terranea» senza nessun’altra indicazione in merito al loro rinvenimento in situ in funzione di porte, ritenute tali dalla giacitura nei pressi dell’ingres- so. Nella documentazione relativa al rinvenimento nel 1904 della stele di Canonica11 si parla indifferentemente di «stele» e di «porta di un ipo- geo». Come si evince da questa breve nota riassuntiva, le notizie dei ritro- vamenti sono comunque sostanzialmente concordi nel riferire la prossimità delle stele con gli ingressi delle tombe ipogee. Più difficile è capire se questa fosse la collocazione originaria o non sia piuttosto il risultato dell’opera di smantellamento delle sepolture e dei relativi arredi. L’uso in prossimità dell’ingresso è, ad esempio, attestato nella tomba dei Flabelli di Populonia che, sebbene appartenga ad un orizzonte cronologi- co ben più antico e non sia ipogea, aveva l’entrata segnata ai lati da due stele probabilmente decorate o inscritte12. La messa in opera non doveva prevede- re soltanto il sotterramento: altrettanto plausibile poteva essere una colloca- zione semplicemente appoggiata alle pareti del dromos13 e, meno probabil- mente, utilizzata come porta di ingresso alle tombe.

rinvenuto proveniente dal disfacimento di un’altra tomba. Sulla stessa linea si pone il De Marinis, corretto invece da BARTOLONI 1997 p. 42, n. 70, che ritiene invece compatibile l’associazione del materiale rinvenuto con la tipologia tombale: ugualmente CIANFERONI 2002, p. 109, che istituisce confronti con la tomba 2/1984 del Casone. Del corredo della tomba, dotata di un’unica camera, con tramezzo centrale e loculi alle pareti, facevano par- te, oltre alla stele, uno stamnos di bucchero e un’anfora attica a figure nere, nota nella letteratura scientifica come “anfora Griccioli” dal nome del proprietario del terreno dove avvenne il rinvenimento: DE MARINIS 1977, pp. 50, 62; CIANFERONI 2002, p. 109, n. 55. In accordo con Becatti nel ritenere il materiale non pertinente alla tomba è invece ACCONCIA 2002, p. 141, n. 28. 9 CHIGI 1877, pp. 302 ss. Nelle vicinanze di Casole, ad oriente del paese, in località Metato venne rinvenuta un’altra stele funeraria, rovesciata sul posto che «indicava l’ingresso della tomba» senza nessuna notizia della presenza di iscrizioni: CHIGI 1880, pp. 243 ss. 10 ASS, Ms. D 6 (vedi p. 198). 11 MARTELLI 1975, pp. 200 s. 12 ROMUALDI 2000, p. 52. 13 Vedi ad esempio la stele di Malignano dotata di contorno a riquadro, la cui iscri- zione è molto vicino alla base oppure quella di Toiano, dove la presenza della linea di delimitazione dello specchio epigrafico mostra che l’interro doveva limitarsi immediata- mente al di sotto di essa o ancora le stele volterrane, come quella di Larth Tharnie (MINTO 1937, p. 305, tav. XLII, 3) o di Avile Tite (MINTO 1937, p. 307, tav. XLII,1) del tutto priva

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4.1.2 CATALOGO Stele, Campassini (Monteriggioni, Siena), Siena Museo Archeologico, N. Inv. 184531 (Fig. 40) Alt. max. 120 cm, largh. max. 60 cm; largh. min. 53 cm; spessore 15-22 cm zoccolo: alt. max. 29 cm; largh. 63 cm, spessore 25 cm alt. delle lettere 6 cm min. - 10 cm max. La stele venne rinvenuta nel 1933 su una piccola altura nel podere Campassini14. La stele, ricavata da un lastra squadrata di forma rettangolare allun- gata, ha la parte superiore centinata e lacunosa. In basso presenta uno zoccolo di forma parallelepipeda, più largo e di maggiore spessore rispet- to alla lastra, destinato all’interro15. La superficie, soprattutto nella metà inferiore, presenta ampie fenditure laddove più decisa è stata l’azione degli agenti atmosferici. Le analisi della superficie (vedi p. 225) hanno inoltre mostrato evidenti segni di inquinamento atmosferico, dovuto alla esposi- zione all’aperto della stele precedente all’attuale sistemazione museale16. Per tutta l’altezza dello spessore, sui lati sinistro e destro, e nel punto di attacco del basamento si individuano le tracce di una lavorazione non particolarmente accurata. Le lettere, scolpite liberamente, senza alcuna cornice o linea di guida, hanno un’altezza non uniforme. Queste inoltre sono state scolpite in profon- dità (in media 7 mm), tanto da consentire una buona lettura anche nei punti di erosione dello strato superficiale di travertino. L’iscrizione, sinistrorsa, segue l’andamento della parte superiore della stele e presenta un’ampia lacuna in corrispondenza della centina. Dopo il termine els sono due punti di interpunzione.

di predisposizione per il sotterramento e quindi utilizzata, con probabilità, appoggiata alle pareti della tomba. Erigere la stele in una forma non stabile appare infatti contrario al criterio di creare monumenti che per le caratteristiche stesse della pietra utilizzata e per l’ideologia dei committenti erano destinate a sfidare il tempo. Le fonti ne prevedevano l’utilizzo sia sopra che accanto alla tomba (Od. XII, 13-15; Il. XVII, 434) come gšraj qanÒntwn (Il. XVI 457, 675). 14 Vedi p. 184. 15 Questo porta ad escludere un suo utilizzo come porta. La documentazione edita sul rinvenimento della tomba riporta le dimensioni della porta d’ingresso ed esse non sembrano coincidere con quelle della stele, anche se vanno considerate le irregolarità e il degrado delle superfici: dimensioni della stele: 1,20×0,53-0,60 m; dimensioni della porta della tomba: 1×0,80 m. 16 La stele, insieme a quella proveniente da Toiano, prima dell’attuale collocazione nei locali sotterranei dell’ex Ospedale del Santa Maria della Scala a Siena, era conservata al- l’aperto, nel cortile interno del Museo Archeologico di Via della Sapienza: vedi MANGANI 1986, p. 39, fig. 1.17; per gli esiti di tale collocazione vedi pp. 227 s.

187 ´ © 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 40 – La stele di Campassini (Monteriggioni – Siena), conservata nei locali del Museo Archeologico del Santa Maria della Scala di Siena. Accanto l’apografo (Foto e apografo: A. Ciacci).

Per la parte conservata l’iscrizione17 non presenta difficoltà di lettura. mi els;. a […] rnas´ reχu Dal punto di vista paleografico, la mi e la ni presentano la prima asta decisamente allungata, la epsilon presenta il codolo e i tre tratti paralleli della

17 ET, Vt.1.76.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale stessa lunghezza, il rho è della forma con codolo, pronunciato in -rnas´, più breve in reχu e con occhiello tondeggiante. La resa grafica con codolo ed occhiello tondeggiante sembra permane- re a lungo nella zona, essendo attestata nella Tomba dell’Alfabeto, la cui da- tazione è stata recentemente rialzata all’orientalizzante recente18, nel vasetto gemino proveniente dalla tomba di Campiglia dei Foci, la cui datazione pro- cede dallo scorcio del VII secolo a.C. alla prima metà del VI secolo a.C.19 e ancora nel coperchio di urna dalla tomba 10 delle Ville, datata entro l’ultimo quarto del VI secolo a.C.20. L’alpha ha la traversa calante in direzione della scrittura, il chi ha la forma a tridente, la upsilon è a forma di V, con i due tratti di ugual lunghezza. Nel complesso l’iscrizione rientra nel novero del gruppo chiusino arcaico21. Le sibilanti sono notate diversamente: con il sade, utilizzato in forma canonica come marca del genitivo del gentilizio in -na in ambiente settentrio- nale e, eccezionalmente, con il sigma a quattro tratti22 in els;. Il sigma a quattro tratti è noto a Cerveteri nell’orientalizzante recente23 e trova diffusione nell’Etruria meridionale, nel territorio falisco, a Roma e in Campania24. Pallottino ha sostenuto per l’ambiente ceretano, un’autonomia del segno «se non di valore, per lo meno d’impiego»25, distinto quindi dal sigma a tre tratti e dal sade, mentre soltanto alla fine del VI secolo a.C. a Caere si procederebbe alla normalizzazione delle funzioni delle due varianti sigma a tre tratti/sigma a quattro tratti26. In Etruria settentrionale appare attestato anche nella vicina Tomba dell’Al- fabeto, la cui datazione all’orientalizzante recente evidenzia quindi una sostan- ziale contemporaneità con il momento di affermazione del segno in Etruria me- ridionale. Per quanto riguarda il suo impiego, si può notare, sempre nella Tomba dell’Alfabeto27, l’alternanza con il sade come morfema del genitivo28.

18 BARTOLONI 1997, p. 36. 19 MARTELLI 1993, pp. 173 ss.; CIANFERONI 2002, p. 98. 20 CIANFERONI 2002, p. 118, fig. 29. 21 CRISTOFANI 1977, p. 200, fig. 1. 22 COLONNA 1970, p. 668, n. 4; BARTOLONI 1997, p. 42, n. 70. 23 Sul valore e sulla trascrizione del segno vd. PALLOTTINO 1967, pp. 161 ss., che sostie- ne un’origine euboica del segno: ancora sull’origine e sulla diffusione del segno vd. COLONNA 1970, pp. 660-661, che invece ne sostiene un’origine greco-orientale (COLONNA 1970, pp. 668 s.). De Simone propende ancora per la provenienza euboico-calcidese (DE SIMONE 1995, pp. 150 ss.). 24 PALLOTTINO 1967, p. 167. 25 PALLOTTINO 1967, p. 163; RIX 1984, pp. 220 ss. 26 DE SIMONE 1995, pp. 152 ss. 27 PANDOLFINI 1990, p. 36. 28 MARTELLI 1993, p. 174; BARTOLONI 1997, pp. 41 ss.: mi riferisco all’incerto mi lalales; della terza fascia e al probabile prenome velus´ all’inizio della settima.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Dell’iscrizione, di cui si sono già occupati altri29, è difficoltosa la resti- tuzione della struttura sintattica, resa ancor più problematica dall’ampia la- cuna e dalla posizione e dal senso di els;. Vorrei soltanto segnalare come la voce lessicale els ricorra30, seppure in incerta lettura e in una struttura sintattica diversa, nella nota tessera hospitalis d’avorio a forma di leoncino proveniente da Cartagine, ma di probabile bot- tega vulcente, dove la sibilante viene notata con il sigma a tre tratti, in una funzione indifferenziata rispetto al sigma a quattro tratti della stele. Anche in questo caso l’esegesi non è priva di problemi. Pur con molti dubbi, intenden- do els in funzione di nome del predicato, l’interpretazione di mi puinel carthazie els…«io (sono) un Punico di Cartagine…»31, risulterebbe invece «io (sono) di un Punico di Cartagine l’els…», rinverdendo l’ipotesi di Benveniste a proposito del morfema genitivale -l di Puine32, ma creando un problema grammaticale con il terzo membro dell’iscrizione, terminante in -ie e dunque privo della marca del genitivo. Intesa in questa maniera si potrebbe ricercare il significato di els nella sfera semantica di “sema” (segno, simbolo, contrassegno), che ben si preste- rebbe tanto nel caso dell’iscrizione sulla stele che in quello della tessera hospitalis.

Stele, Morticce di Mensanello (Colle Val d’Elsa)33, Museo Archeologico di Colle Val d’Elsa, n.i. 139435 (Fig. 41) Dimensioni del frammento: alt. 93.5 cm.; largh. 51 cm; spess. 12 cm alt. lett. max. 11 cm; min. 7 cm Della stele centinata si conserva soltanto un frammento della metà su- periore sinistra. Rinvenuto nel secolo scorso, è poi entrato a far parte della collezione del Museo nella prima metà degli anni sessanta. Se la mancanza della parte inferiore sembra accidentale, non altrettan-

29 BENVENISTE 1933, pp. 384 ss.; AGOSTINIANI 1982, p. 120 n. 410; p. 191 n. 5; Gilda Bartoloni ha proposto di riconoscere nel termine recu un appellativo in -u: BARTOLONI 1997, p. 42 n. 70. 30 In verità esiste un’altra attestazione, in un cursus honorum su di un coperchio di sarcofago a Viterbo dove compare elssi accanto a zilacnu (ET AT.1.105). Ma in questo caso parrebbe trattarsi di un errore di scrittura del numerale esl-zi (per il sade al posto di zeta: RIX 1984, p. 220, § 20) in una formula che ci ricorda quante volte è stata ricoperta la carica magistraturale, sulla base di quanto compare, ad esempio, in cizi zilacce di ET Ta. 1.170. Per l’iscrizione sulla tessera hospitalis: ET, Af.3.1 31 CRISTOFANI 1983, p. 66. 32 BENVENISTE 1938, pp. 245 s.; vedi però DE SIMONE 1965, p. 539, che considera Puinel appartenente alla serie dei prenomi in -el. 33 La località ha restituito un’altra stele, purtroppo dispersa: ET Vt.1.83: mi fus´unus´ pelm [-?-]ecu. Per alcune osservazioni in merito a questa iscrizione vedi CIACCI 1999, p. 304, n. 66.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 41 – Il frammento di stele da Morticce di Mensanello (Colle Val d’Elsa – Siena), conservato presso il Museo Archeologico ‘Ranuccio Bianchi Bandinelli’ di Colle Val d’Elsa. Accanto l’apografo (Foto e apografo: A. Ciacci). to può dirsi della parte laterale destra, che appare piuttosto dovuta ad un distacco intenzionale, forse per un reimpiego. Come detto altrove (pp. 183, 223) la superficie della stele presenta tracce di stuccatura grigia con presenza, in corrispondenza delle lettere, di uno strato pigmentato in nero, compatibile con la presenza di un apparato decorativo antico. Inoltre nel campo epigrafico, in alto a sinistra, sono evi- denti le tracce di politura della superficie probabilmente eseguita come pre- parazione alla successiva fase di stuccatura. Le lettere sono state scolpite con uno strumento di sezione arrotondata e ponendo non molta attenzione alla pressione esercitata da parte del lapici- da, come risulta dalla profondità non omogenea delle lettere caratterizzate anche da una disuniformità nella loro altezza. I tre theta sembrano essere stati tracciati con un compasso, ma il loro diametro appare non omogeneo: dai 6,5 cm del primo, si passa ai 7 cm del secondo mentre il terzo misura 7,5 cm.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale L’iscrizione, in scriptio continua, è stata incisa con ductus semicircolare sinistrorso lungo il margine, a seguire l’andamento centinato della parte su- periore della stele: […]´ s ϑaukuϑaϑsa […]34 Le caratteristiche paleografiche dell’iscrizione (kappa con i tratti obli- qui brevi, l’opposizione sade/sigma retrogrado, la riduzione al k (-ku) nella notazione della velare di fronte a -u, il theta con punto centrale, di forma più piccola rispetto alle altre lettere35, consentono una sua attribuzione all’area settentrionale e in particolare al gruppo chiusino arcaico. La datazione è da porre tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. Di non chiara interpretazione, mancando confronti diretti, l’iscrizione è forse da riferire, tra molte incertezze, ad una formula onomastica. Si potrebbe dire che il sade iniziale è forse da mettere in relazione con il prenome o con il gentilizio del defunto come marca del genitivo, secondo la norma settentrionale.

Stele, Le Poggiòla (Casole d’Elsa, Siena), Museo Archeologico e della Collegiata, s.n.i. (Fig. 42) Alt. max. 69 cm, largh. max. 101 cm, spessore min. 17.5 cm, max. 20 cm alt. delle lettere max. 8 cm min. 6 cm La stele proviene dalla collezione Bargagli ed è stata rinvenuta nel 1877 nei terreni della famiglia in località Le Poggiòla36, dove in anni recenti l’Asso- ciazione Archeologica di Casole d’Elsa ha riportato alla luce una tomba, con qualche dubbio ritenuta quella di provenienza37. La lastra è di forma trapezoidale, con due ampie lacune nella parte superiore che non consentono di ricostruire la forma originaria con certezza. L’impressione è che in un primo tempo il lastrone sia stato impiegato come elemento architettonico (?) perché posteriormente la base originale è caratterizzata da una modanatura sagomata. Una sorta di incastro di forma trapezoidale (largh. max. 7 cm, largh. min. 4 cm, alt. 8 cm) doveva essere complementare ad un “dente” presente su di un sostegno modellato a parte

34 CIE 264; NICOSIA 1967, p. 518; DE MARINIS 1977, p. 54; Et Vt. 1.84; CIACCI 1999, p. 304, n. 66. 35 CRISTOFANI l977, p. 201, fig. 1. 36 Per lungo tempo si è ritenuto che la lastra provenisse dai terreni di proprietà Bargagli a Sarteano. L’errore della provenienza, corretto in DE MARINIS 1977, pp. 57-58 con bibliografia, si ripete anche in ET Cl 0.2. In CIANFERONI 2002, p. 119, n. 66 il rinvenimento viene definitivamen- te assegnato al sito del Poggiolo, localmente chiamato Le Poggiòla (notizia orale del Sig. Marco Bezzini). 37 La tomba, di periodo ellenistico, a camera a pianta rettangolare, con pilastro centra- le e banchina continua alle pareti, è preceduta da un dromos alla fine del quale si trova un piccolo vestibolo che immette in due celle affrontate.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 42 – La stele di Le Poggiòla (Casole d’Elsa - Siena), conservata a Casole d’ Elsa nel Museo Archeologico e della Collegiata. Accanto l’apografo (Foto e apografo: A. Ciacci).

(Fig. 43). Nel reimpiego come supporto per l’iscrizione il lastrone venne ruo- tato di 90°, destinando probabilmente uno dei lati corti al sotterramento. L’iscri- zione non si sviluppa con ductus semicircolare continuo come negli altri esem- pi, ma è distribuita su tre righe sovrapposte con andamento curvilineo. La prima riga, comprendente complemento e verbo, corre parallela ad un lato. Mentre la kappa della sillaba finale di tiurke presenta una leggera inclinazione quasi a seguire l’andamento della riga sottostante, la successiva epsilon risulta invece perfettamente verticale, inducendo a pensare ad un breve proseguimen- to della riga nella parte mancante della lastra, forse limitato alla sola vocale finale del verbo. La riga prosegue poi perpendicolarmente alla precedente e le altre due si dispongono con movimento curvilineo al di sotto di essa: i fine riga non oltrepassano comunque la linea tracciata sul prolungamento ideale dell’in- castro. Una tale disposizione lascia pensare che lo scriba non abbia sfruttato l’intero campo epigrafico a disposizione ritenendo, invece, necessario effettua- re i due ritorni a capo o per risparmiare la superfice destinata al sotterramento o perché doveva rispettare un limite imposto dalla collocazione della stele. È

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 43 – La sagomatura della base e l’“incastro” della stele di Le Poggiola (Foto: A. Ciacci).

probabile che lo spiovente inferiore (ammettendo la validità della posizione verticale, così come visibile in Fig. 42) sia stato rimodellato per favorire il sotterramento. Lo stato di conservazione della superficie comporta qualche diffi- coltà nella restituzione di alcune lettere. L’iscrizione38, con ductus sini- strorso e in scriptio continua, è scolpita liberamente, senza alcuna cornice o linea di guida, che non ha però impedito di mantenere una certa unifor- mità nell’altezza delle lettere, che presenta una media di 7 cm sulle varie righe. L’esame autoptico ha confermato la presenza della epsilon di tiurke, di cui si legge il tratto verticale e due tratti obliqui, e di un tratto verticale

38 ET Cl. 0.2

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale dopo lurnierike, difficilmente interpretabile39. Da un punto di vista paleo- grafico l’alpha ha la traversa appena calante nel verso della scrittura, la upsilon ha forma di V, con i tratti di ugual lunghezza, il rho presenta il codolo e l’occhiello arrotondato, il kappa ha i tratti obliqui brevi, il tau è presente tanto con la traversa non secante orizzontale quanto nella ver- sione con traversa non secante e ascendente nel verso della scrittura. L’in- sieme delle caratteristiche inserisce l’iscrizione nel gruppo chiusino arcai- co40. mina tiurke[-(-)] - auri elurnierike- matan Mina rappresenta la forma accusativa di mi che, espressa con l’alpha finale, viene a costituire un hapax, oltre a registrare un’alternanza mini/ mina/mine in sillaba finale piuttosto che interna. Segue il verbo al perfetto tiurke scritto nella norma settentrionale, con il -ke. La redazione mostra già il fenomeno della caduta della vocale postonica, ma con l’aggiunta di una vocale i prima della -u41. Segue il probabile gentilizio, di cui resta soltanto - aurie. La forma era preceduta da una lettera, della quale s’intravede forse un tratto verticale di difficile lettura essendo stata quasi del tutto erosa dalla frattura della pietra42. Il capoverso fra la i e la e di -aurie è probabilmente legato al rispetto di un limite, come detto poc’anzi: da qui la lettura lurnierike, che occupa per intero la seconda riga43. La forma ricorre anche su un lastrone di chiusura (o stele?) rinvenuto in prossimità della chiesa di San Cerbone a Populonia44. Sulla base dell’apografo e della foto pubblicati, è ora possibile proporre la sicura integrazione in (x?) lurnierece. L’attestazione populoniese, anch’essa priva di segni d’interpunzio- ne, sembrerebbe far propendere per una restituzione di lurnierike in un unico sintagma, piuttosto che lurni erike.

39 Taluni leggono zeta: da ultimo CIANFERONI 2002, p. 119, n. 66 con bibliografia. 40 CRISTOFANI 1977, p. 200, fig. 1. La tipologia dell’alpha, del tau e del rho indurrebbe a pensare ad una cronologia abbastanza alta dell’iscrizione, attorno al 600 a.C., mentre l’uso e la resa del verbo tiurke, espresso già con la caduta della vocale interna, introduce un elemento di recenziorità. 41 Mi limito a segnalare il fenomeno, che si ripete nella stele di Toiano (repusiunas). Vedi anche husur:husiur (ET s.v.). 42 Per lo più viene interpretata come zeta: vedi nota 39. 43 Ritengo meno probabile la lettura elurnierike. Il problema della lettura di vocale iniziale si pone in un altro esempio, rappresentato da eluri (così PALLOTTINO 1983, p. 611 e ThLE s.v.) e luri (così in LL V, 22: RONCALLI 1985, p. 35, con possibilità di lettura eluri). Inoltre vedi la forma eluruve, presente nell’iscrizione di carattere religioso e dedicatorio di Manchester: PALLOTTINO 1983, p. 611; ET OA 3.9. 44 MARTELLI 1978, pp. 327 s.; ET Po 5.1

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Lurnierike, se da una parte appare la redazione arcaica dell’omologo po- puloniese (è presente il kappa in luogo del gamma lunato), dall’altra testimonia la presenza della vocale interna già almeno un secolo e mezzo prima 45. L’iscrizio- ne populoniese evidenzia a sua volta il passaggio in vocale interna i > e. Da un punto di vista esegetico, la prima riga non presenta difficoltà trattandosi della nota formula espressa con mini + forma verbale attiva + forma nominale: «me donò (in onore)46…» cui segue il nome del donatore. La seconda e terza riga esibiscono rispettivamente, come già visto, un’ulte- riore locuzione verbale attiva (lurnierike), seguita da matan, quest’ultimo già noto47. Se la struttura appare chiara, l’enunciato crea una qualche difficoltà di interpretazione nella seconda parte di esso. La prima parte, invece, sulla base delle attestazioni del verbo turke48, richiama l’idea di un’offerta o di una dedica ad una divinità piuttosto che a un defunto, rafforzata dalla suggestio- ne indotta dalla presenza della base lur- che richiama il noto teonimo49.

Stele, Poggio Pelato (Toiano, Sovicille)50, Siena Museo Archeologico, n.i. 13918 (Fig. 44) Alt. max. 131 cm, largh. max. 70 cm; largh. min. 64 cm; spessore 15-16 cm campo epigrafico: alt. 90 cm; largh. 48 cm; altezza delle lettere: 10-13 cm La stele, rinvenuta nel 1898 in località Poggio Pelato, nei pressi di Toiano (Sovicille-Siena), presenta la classica forma a “ferro di cavallo”, è priva della parte superiore destra, mentre la superfice risparmiata dall’iscrizione e destinata ad essere probabilmente interrata risulta poco più di 1/4 dell’intera altezza. La parte basale presenta un andamento obliquo, che non sembra conseguenza di una rottura, ed è difficile stabilire se questo sia da imputare alla forma originale della lastra oppure costituisca un espediente per agevolare le operazioni di messa in opera. La superficie si presenta con ampi vacuoli laddove più decisa è stata l’azio- ne degli agenti atmosferici che hanno provocato tali processi di porosità secon- daria.

45 Marina Martelli, che però leggeva erece non avendo possibilità di integrazione, aveva pensato che tale locuzione verbale fosse la forma anaptittica per erce (MARTELLI 1978, p. 328). L’iscrizione casolana mostra adesso la presenza della vocale originaria in sillaba interna. Per il problema della presenza o meno dell’anaptissi in periodo arcaico vedi COLONNA 1970, p. 647, n. 5. 46 Il verbo tiurke è usato in un’iscrizione arcaica settentrionale in contrasto con la prevalenza nel periodo dell’impiego di muluvanike. Per il diverso valore semantico delle due forme vedi SCHIRMER 1993, pp. 38 ss. 47 LL XII, 13 (matan); LLVII, 22; XI,5; XII,9 (matam). Pallottino vi riconosceva un avverbio: PALLOTTINO 1977, p. 243. 48 SCHIRMER 1993, pp. 38 ss. 49 BENELLI 1991, pp. 364 ss. 50 CIACCI 1979, p. 67.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 44 – La stele di Toiano (Sovicille - Siena), conservata nel Museo Archeologico di Siena. Accanto l’apografo e un disegno del perimetro della stele che evidenzia l’andamento obliquo della base (Foto e apografo: A.Ciacci).

Nonostante lo stato di conservazione la stele di Toiano, fra tutte, è quella caratterizzata dalla maggiore accuratezza nel trattamento delle super- fici, compresa quella posteriore. In analogia con la buona rifinitura della la- stra, l’iscrizione corre all’interno di uno specchio epigrafico limitato da una linea incisa che determina, tra l’altro, una buona resa formale e dimensionale delle lettere. Tale linea non segue l’andamento obliquo della base ma risulta sostanzial- mente orizzontale. Questo particolare induce a ritenere che la lastra doveva esse- re sotterrata, almeno fin sotto la linea, e non semplicemente appoggiata ad una qualche struttura. L’iscrizione di possesso è sinistrorsa, redatta in scriptio conti- nua con andamento semicircolare e designa il defunto, con il prenome e gentili- zio, preceduti dal pronome mi: mi venelu´ s repusiuna´ s Da un punto di vista paleografico si notano il rho con occhiello trian- golare e codolo, l’alpha con la traversa calante nel verso della scrittura, la upsilon con i tratti obliqui di ugual lunghezza, tranne che nel terzo, dove l’asta di sinistra è più allungata, il sigma retrogrado.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Venel appartiene alla serie dei prenomi in -el51, mentre il gentilizio repusiunas sembra riconnettersi alla forma repesunas52 (anch’esso con il sig- ma retrogrado) di provenienza meridionale, con oscillazione di vocale inter- na, attestata nell’etrusco arcaico anteriormente alla sincope53.

Stele da Malignano (Sovicille, Siena), disperse (Figg. 45-46) La notizia del rinvenimento di due stele nella località di Malignano, nota già per la presenza di una estesa necropoli54, compare in un manoscritto conservato nell’Archivio di Stato di Siena55. Ecco quanto riportato nel testo: «n.29, n.30. A Malignano in un Podere del Cav.e Ventura Venturi56 due anni sono in circa nell’imboccatura di una cava sotterranea furono ritrovate le due seguenti Pietre con caratteri Etrusci, e da me mandatone il disegno al Can.co Anton Francesco Gori di Fiorenza, accio le faccia stampare nella raccolta che medita di fare all’Opa dl Senator Buonarroti dll’iscrizioni, e monumenti Etruschi, siccome sono stati mandati i Vasi, e Patere di Casa Ciogni quelli di Casa Tommasi, e Urne, e tutti gli altri monumenti degli Antichi Tosca- ni, che si vedono inserti in tutti tre i Tomi di questa mia raccolta.»57 In margine a sinistra vi è una nota autografa del Pecci: «ritrovate a Malignano nel 1728»58.

51 DE SIMONE 1965, pp. 539 s. 52 ET OA 2.7. 53 Ad es.: Avele/Avile/Avale/Avule; Mamarce/Mamerce/Mamurce: RIX 1984, p. 216. 54 PHILLIPS 1965, pp. 11 ss. La località del rinvenimento è nota per essere stata sede di una necropoli, composta da una ventina di tombe a pozzetto e a camera, scavate nella roccia calcarea, i cui corredi sono inquadrabili cronologicamente nel corso del III-II secolo a.C. Tuttavia l’uso della necropoli sembra essere più antico: vd. nota 58. 55 ASS, Ms. D 6. 56 Ventura Celidonio Epifanio Baldassarre Maria Venturi era nato l’8 aprile 1714 dal Cav. Cosimo Venturi e da Maria Maddalena Fantoni Angelotti, che aveva sposato Cosimo in seconde nozze. Cosimo, “riseduto” senese nel Monte dei Gentiluomini nel 1694, nel 1702, nel 1703 e nel 1706, muore probabilmente nel 1728. Alla sua morte Cosimo risulta troppo giovane per amministrare i beni di famiglia (la fattoria di Malignano e i terreni): pertanto viene nominato un amministratore nella persona di Giuseppe Franceschini che, per la cifra di quaranta scudi annui, si occuperà dei suddetti beni fino alla maggiore età di Ventura. Il 3 febbraio 1730 Ventura è nominato Cavaliere di Santo Stefano e nel 1733 viene accolta la sua richiesta di gestire in proprio i beni di famiglia, anche la parte indivisa di un suo fratello minore: ASS, Ruota Giudice Ordinario 2268, pri.o (Processi del 1728 dalle Kal. Luglio). 57 ASS, Ms. D 6, c. 262v e 263. 58 Una notizia più dettagliata del ritrovamento venne data anche nel «Giornale Sanese» edito da Giovanni Antonio e Pietro Pecci ed è riportata in INNOCENTI, MAZZONI 2000, p. 92. Le stele provengono da una tomba che era «incavata nella pietra e masso naturale» e consisteva in «una stanza sotterranea, assai capace per larghezza, e lunghezza molto maggiore, per cui ad altre stanze più si presta adito, sebbene più strette, ma assai lunghe…». La planimetria tratteggiata dalla descrizione del Pecci ricalca quella della tomba 2 di Malignano, la cui pianta risulta la più com- plessa dell’intera necropoli: è infatti costituita da una sorta di corridoio centrale sul quale si aprono otto vani sepolcrali di varie dimensioni con banchine addossate alla pareti. In più al

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 45 – Le due stele di Malignano nel manoscritto del Pecci (Foto Archivio di Stato di Siena).

Seguono i disegni delle due stele con le iscrizioni, parzialmente leggibi- li. Nella stele di sinistra il campo epigrafico non appare delimitato da alcun- ché, mentre in quella di destra compare una fascia rilevata che segue tutto il perimetro, tranne che nella base. Dell’intero gruppo è l’unica a presentare una tale lavorazione. Sebbene la resa prospettica delle due stele possa trarre in inganno, mi pare tuttavia di poter dire che almeno il monumento raffigurato a sinistra abbia la base caratterizzata da un andamento obliquo, al pari di quella della stele di Toiano. Nel CIE59 sono pubblicate come provenienti da Montaperti, in un’area orientata verso il Chianti senese dove non sono noti altri ritrovamenti di stele e vengono considerate disperse dopo essere state «olim Saenae apud can. Bandi- ni…».

momento dello scavo del 1964, risultava già manomessa: PHILLIPS 1965, pp. 11 ss. Nel 1983 la Soprintendenza Archeologica per la Toscana ha effettuato un restauro nel corso del quale la tomba 2 ha restituito un kyathos miniaturistico in bucchero grigio ed alcuni elementi di avorio pertinenti al rivestimento di cofanetti lignei a forma di foglie e leoncini, inquadrabili nel corso del VI secolo a.C. (FIRMATI 2000), in sintonia cronologica con le stele. Pur con le dovute cautele ritengo quindi possibile l’attribuzione delle due stele alla tomba 2 di Malignano. Alcune analogie nell’associazione dei materiali si registrano anche in contesti funerari dell’Alta Valdelsa: la tomba n. 10 delle Ville (Colle Val d’Elsa) ha restituito, tra l’altro, alcune placchette di rivestimento d’avorio, inquadrabili tra l’ultimo quarto del VI secolo a.C. e il primo ventennio del successivo: CIANFERONI 2002, pp. 115 s. 59 CIE 299-300=ET, AS 1.40-1.41.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 46 – Il testo del manoscritto del Pecci, dove è descritto il ritrovamento della tomba e delle due stele. Sul margine sinistro la nota di mano del Pecci con l’indicazione di provenienza (Foto Archivio di Stato di Siena).

La notizia di mano del Pecci consente pertanto di attribuire a questa località, non distante da Toiano, il rinvenimento dei due monumenti60. L’apografo del Pecci crea non pochi problemi di lettura. Ripropongo la lettura, pur con molti dubbi dovuti alla difficoltà di lettura dell’apografo, indicata dal Rix: mi. ara.ϑ. ia. ´surte.na.´s a [m -?-]61 Da quanto riportato nell’apografo del Pecci è possibile enucleare con certezza soltanto alcuni caratteri paleografici, dai quali traspare l’ar-

60 Come appariva già in CIACCI 1989, p. 126. 61 ET, AS 1.40.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale caicità dell’iscrizione: la prima asta allungata del mi e del ni, il primo rho con codolo e occhiello arrotondato, il secondo privo di codolo (come nella stele di Campassini), la upsilon a forma di V con i tratti obliqui di ugual lunghezza, il sigma a tre tratti retrogrado (così come nella stele da Morticce). Di più agevole lettura e di più certa restituzione, almeno per la parte inizia- le e mediana, è l’altro apografo del Pecci, di cui ripropongo la lettura del Rix: [m]i larisa fe..le.s.ke.nas´ am. – – –[?62 Il rho compare nella forma ad occhiello arrotondato con codolo, l’alpha presenta la traversa calante nel verso della scrittura, il sigma è del tipo a tre tratti non inverso, in finale di parola appare il sade come di norma, la spiran- te labiodentale è resa con 8, ad indicare la diffusione del segno anche in questa parte dell’Etruria. Ciò che appare notevole è la probabile presenza del gentilizio Feleskena derivato dalla forma Feluske, nota nella stele di Vetulonia. Ugualmente a que- st’ultima e a conferma della plausibilità della restituzione dell’iscrizione senese è la presenza del segno 8 all’inizio di parola. La lettura Feleske nella stele di Mali- gnano appare ricostruibile con buona certezza dal momento che il quarto e il settimo segno sono comunque uguali nell’apografo e, non potendosi interpreta- re come rho, la restituzione di entrambi come epsilon appare la più verosimile. Lo stesso può dirsi per il secondo segno, integrabile con una epsilon, di cui è stata resa l’asta verticale e uno dei tratti obliqui. Inoltre, come già proposto63, la forma compare con vocale palatale interna -e. Recentemente la formula onomastica dell’iscrizione vetuloniese è sta- ta riconsiderata64, individuando la possibilità che Feluske, da un punto di vista formale non connotato come gentilizio, possa essere un etnonimo rifunzionalizzato come gentilizio, ad indicare la provenienza del personag- gio65 dall’agro falisco. Nel caso dell’iscrizione di Malignano avremmo quindi l’unica attestazione, se non vado errato, dell’avvenuta integrazione, nel corso del VI secolo a.C. secolo, di Feluske/Feleske nel sistema onomastico etrusco mediante l’aggiunta della marca morfologica del gentilizio -na. Il gentilizio identificherebbe pertanto un personaggio con lontane ascendenze falische, quando non sia un discendente di quell’Avele Feluske attestato a Vetulonia un secolo prima.

62 ET AS 1.41. 63 POCCETTI 1999, p. 285. 64 Ibidem, p. 281 ss. 65 Ibidem, p. 288.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 47 – L’iscrizione sulla stele di Canonica (da MARTELLI 1975).

Stele dal Podere La Canonica (Colle Val d’Elsa, Siena), dispersa (Fig. 47) Rinvenuta nel 1904, recava l’iscrizione con ductus semicircolare sini- strorso mi akas´ shekuntinas´ La prima Editrice, al cui testo si rimanda66, scioglieva l’iscrizione in mi akas´ svekuntinas´ ma la recente pubblicazione del coperchio di urna cineraria arcaica dalla tomba 10 de Le Ville67, con l’iscrizione mi venelus´ s.hekuntenas´ rende a questo punto certo quanto riportato nel disegno originale del carteg- gio. La sequenza sh era in effetti non nota in etrusco ma la duplice presenza in iscrizioni pertinenti alla medesima famiglia denota una volontaria atten- zione da parte dello scriba ad una precisa esigenza fonetica68. Il nuovo documento, che merita una ben più marcata trattazione, con- sente comunque di formulare interessanti ipotesi. Da un punto di vista morfostrutturale il nome gentilizio shekuntina/ shekuntena denuncia una sua derivazione etrusca sulla base del suffisso – na dal nome individuale *sekunte, marcato dall’uscita in -e ricorrente di regola nei temi in -o derivati dalle lingue indoeuropee. Nel caso in que-

66 MARTELLI 1975, pp. 200-201, con carteggio relativo al ritrovamento. 67 CIANFERONI 2002, pp. 116 s., fig. 28. 68 Sono grato al Prof. Helmut Rix che, interpellato sulla questione, mi ha con grande liberalità esposto alcuni suggerimenti di carattere linguistico.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale stione il prestito è costituito dal latino arcaico *Secondos, successivamen- te Secundus. In etrusco si aveva soltanto il prenome femminile secunta69, reso con il sigma settentrionale, e la redazione zecunta70, in iscrizioni tarde. Le attesta- zioni di Colle consentono ora di riconoscere l’avvenuta integrazione del nome nel sistema onomastico etrusco già nel corso del periodo arcaico. Nel dialetto italico dal quale derivava, la sibilante iniziale del nome doveva registrare un suono palatale. Anche in Etruria settentrionale il sigma equivaleva ad una sibilante palatale: tuttavia non dovevano realizzare lo stes- so grado di palatalizzazione. L’esito del digramma sh in inizio di parola costi- tuisce allora la soluzione individuata dallo scriba degli Shekuntena (o, se vo- gliamo, dei Secundii71 etruschizzati) evidentemente attento a conservare la tradizione fonetica originale, per restituire graficamente un suono per il qua- le l’alfabeto modello non contemplava un segno apposito. L’aggiunta dello het, di seguito al sigma iniziale realizzava il giusto valore fonetico, seguendo un percorso adattativo della lingua che appare evidenziato anche dal ben più diffuso digramma vh. Un ulteriore indizio della eccezionalità del criterio adattativo seguito dallo scriba può anche essere ricercato nell’adozione dei due punti verticali che separano s e h di s:hekuntena laddove l’interpunzione appare assai rara nelle iscrizioni arcaiche e la punteggiatura sillabica avrebbe dovuto precedere il sigma invece di seguirlo. In pratica i due punti, piuttosto che segnalare una divisione sillabica, potrebbero essere i segni diacritici utilizzati dallo scriba per evidenziare l’eccezione grafica72. Se pertanto la questione è interessante per quanto riguarda l’ortografia e la fonetica dell’etrusco, lo è altrettanto per le implicazioni storiche in meri- to alla presenza di un capostipite alloglotto etruschizzato nei territori della Valdelsa arcaica.

4.1.3 IMPAGINAZIONE DELLE EPIGRAFI Le stele conosciute provenienti dalla vicina Volterra e dal suo territorio (Pomarance, Lajatico) ma anche quelle di Roselle e dell’agro fiorentino, sono

69 ET, Cl. 1143; REE 59, 4. 70 ET, Pe 1.755. 71 Il nome Secundus appare per lo più attestato come cognomen: vedi SOLIN, SALOMIES 1994, p. 166, con rimandi bibliografici. 72 Un caso simile potrebbe essere costituito dall’iscrizione pubblicata da COLONNA 1991, p. 324, n. 42, dove un segno a croce (una sibilante?: vd. però DE SIMONE 1995, p. 156, n. 62 che propende per un tau) e diacriticato da due punti, disposti però orizzontalmente non vertical- mente come nel caso in questione. L’apografo della stele non evidenzia però segni d’interpun- zione.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale contraddistinte dal defunto, raffigurato isolato, dotate delle insegne che ne connotano il rango e la funzione sociale tanto all’interno di comunità di tipo rurale che in quelle organizzate in polis. Nei casi in cui compare, l’iscrizione è disposta a contornare il personaggio raffigurato, spesso ricorrendo sulla cornice rilevata che riquadra la stele. La realizzazione combinata della rap- presentazione del defunto e dell’iscrizione sembra rispondere ad una sorta di normalizzazione della disposizione grafica e iconografica nei monumenti fu- nerari. Rispetto a queste, le stele dell’Alta Valdelsa presentano una loro fisio- nomia peculiare e, pur derivando dal modello centinato con figura umana, risultano più piccole nelle dimensioni e, soprattutto, sono prive di qualsiasi elemento figurato, demandando quindi all’enunciato della sola iscrizione e al suo supporto, in forma di stele eretta, la funzione di dichiarare e rappresen- tare il defunto come vero e proprio mnema di esso73. Nell’Alta Valdelsa la scultura funeraria in pietra di periodo arcaico, a fronte della presenza di importanti ipogei gentilizi, si limita a signacoli fune- rari per lo più privi di decorazione. Fanno eccezione l’imponente cippo a clava di marmo74 con decorazione a guilloche, due basi in travertino (una decorata a bassorilievo con scene di caccia, l’altra modanata), che facevano parte dell’arredo funerario della tomba 2/1984 della necropoli del Casone75 e, più lontano, la testa leonina da Castellina in Chianti76. Le analisi compiute sulle superfici del piccolo nucleo di stele hanno evidenziato su una di esse (vedi pp. 190 ss.), in prossimità di una lettera dell’iscrizione, la presenza di un sottile strato di stucco a calce, con tracce di pigmento nero. Sebbene non sia possibile stabilire con certezza la contempo- raneità del trattamento della superficie con il periodo di utilizzo (in sostanza potrebbe trattarsi di un riuso successivo) tuttavia la scoperta rende ipotizza- bile la presenza di una rifinitura applicata con l’intento di ridurre le scabrosi- tà della pietra ed evidenziare l’iscrizione attraverso la campitura delle lettere con il colore. Non è privo di suggestione – pur con la necessaria prudenza – pensare anche alla possibile presenza di un apparato decorativo applicato più complesso o, anche, nei casi in cui le dimensioni dello specchio inscritto lo consentano, alla raffigurazione del defunto, inserito all’interno della cornice rappresentata dall’andamento curvilineo dell’iscrizione, rendendo in forma pittorica quanto avviene nelle stele volterrane. Le iscrizioni, cui è garantito uno spazio ampio sulla superficie, talvol-

73 Vedi ad esempio, BRUNI 2000, p. 167. 74 L’eccezionalità del monumento e il valore di sema funerario ad esso attribuito, sono sottolineati proprio dal valore intrinseco del marmo, utilizzato in luogo del locale travertino. 75 CIANFERONI 2002, pp. 107 ss., figg. 16-18. 76 BRUNI 1993, p. 67, nota 193 con bibliografia.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale ta inserite all’interno di cornici incise costituite da un’unica linea che ne delimita il margine esterno (stele di Toiano) o da due linee parallele incise (stele di Ulignano77) o anche da cornici rilevate (stele da Malignano), assu- mono, nella funzione di affermare il ruolo sociale e il rango del defunto, un peso determinante nell’economia del monumento. Inoltre le iscrizioni non sono tracciate a seguire una linearità in senso orizzontale su righe sovrap- poste (tranne la stele di Le Poggiola), ma il loro andamento curvilineo con- ferisce alla scrittura una funzione decorativa sebbene ne limiti una lettura immediata e scorrevole. Una simile esperienza segue la tradizione afferma- tasi nella Tomba dell’Alfabeto di Colle, dove l’ostentazione del vanto e del- la distinzione conferiti dalla conoscenza della pratica scrittoria si uniscono all’intento decorativo ottenuto attraverso la disposizione, in questo caso in fasce lineari, tanto dei tituli sepulcrales e degli enunciati quanto dell’ alfa- betario e del sillabario.

4.1.4 LE TECNICHE DI LAVORAZIONE Può essere di un certo interesse, sulla base di alcune osservazioni fatte sulle stele nel corso della ricerca, indagare sui modi con cui furono realizzate. Le acque meteoriche, che sono alla base dei fenomeni di porosità seconda- ria osservati sulla maggior parte dei monumenti, hanno dissolto e degradato le superfici in più punti, determinando uno stato di conservazione che limita l’os- servazione delle tracce di lavorazione che, laddove visibili, si riferiscono a mo- menti diversi di un processo che può essere soltanto congetturale e limitato a qualche accenno78. Sulla base delle analisi compiute sulle tecniche estrattive delle cave di panchina di Populonia, dove la stratigrafia ha confermato l’antichità dei fronti di abbattimento79, le procedure dovevano iniziare con l’individuazione di un fronte di cava (ad esempio un costone). Una volta identificato il blocco ido- neo si procedeva a isolarlo tagliando tre canalette perimetrali, che racchiude- vano al loro interno la lastra di dimensioni vicine a quelle per la messa in opera, mentre sulla fronte venivano praticati i fori destinati ad accogliere i cunei che avrebbero determinato il distacco della lastra. Il procedimento assecondava la stratificazione naturale della pietra, anche perché l’adeguamento ai piani di sedimentazione lamellare favori- va la tecnica di strappo della lastra80. Da notizie orali raccolte a Casole

77 Il monumento si inserisce quindi nel gruppo “fiesolano”: vedi MERLI 1994, pp. 247 ss. 78 La stele di Campassini mostra in più punti evidenti tracce di lavorazione, esito di una lavorazione meno accurata rispetto, ad esempio a quella di Toiano o a quelle, documen- tate dal Pecci, di Malignano. Per le tecniche di estrazione dei blocchi vedi, ad esempio, KOZELJ 1988, pp. 31 ss. e PAOLETTI 2000, pp. 79 ss. con bibliografia. 79 PAOLETTI 2000, p. 85. 80 Analogamente a quanto avviene, ad esempio, anche a Populonia.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale d’Elsa, è risultato che fino al dopoguerra, l’approvvigionamento del ma- teriale lapideo da costruzione veniva praticato con il sistema dei cunei in legno che, abbondantemente bagnati, si dilatavano e, forzando sulle su- perfici, facilitavano il distacco del blocco dallo strato. Dal momento che i procedimenti estrattivi dei materiali lapidei sono rimasti sostanzialmente inalterati per molti secoli è possibile che una simile tecnica venisse utiliz- zata anche in antico81. Le tracce rilevate sulla stele di Campassini82 mostrano che le operazioni di sagomatura avvenivano con uno strumento a punta, probabilmente una subbia di medie dimensioni. Le operazioni di rifinitura e di dimensionamen- to per la messa in opera non sembrano, però, seguire un criterio unico: la stele di Toiano è quella caratterizzata dalla maggiore accuratezza nel tratta- mento delle superfici, compresa quella posteriore, cui si accompagna una più rigorosa geometria dimensionale, in accordo con l’iscrizione che, fra tutte, esibisce una buona precisione formale. Nella stele di Morticce, nei punti in cui le acque meteoriche non hanno creato i noti fenomeni di porosità secon- daria, la superficie risulta levigata e come già detto coperta da un sottile strato di stucco, composto da calce, steso per rendere uniforme la superficie frontale riempiendo i fori naturali della pietra e successivamente dipinto. La tecnica richiama quella utilizzata nella Tomba dell’Alfabeto di Colle, dove le iscrizioni vennero dipinte in rosso su uno strato di intonaco bianco83 steso per uniformare la superficie della parete. Per il trasporto del materiale al luogo di destinazione si dovevano utilizza- re carri mentre per il sollevamento delle lastre si doveva ricorrere all’uso di mac- chine, dal momento che il peso stimato si aggirava sull’ordine di diversi quinta- li84. Non è del tutto chiara la funzione del taglio obliquo delle stele di Toiano e Malignano: se verosimilmente era funzionale a rendere più agevoli le ope- razioni di scivolamento all’interno della fossa scavata per accoglierle tutta- via, nell’economia del lavoro, l’espediente risultava piuttosto gravoso a fron- te di un modesto vantaggio. Nell’area dove si trovano i banchi di travertino utilizzati nella costruzione delle stele non sono stati individuati fronti di cava. È probabile che in antico l’attività di estrazione fosse sottoposta al con- trollo di una o più famiglie che potevano così integrare la propria economia

81 PAOLETTI 2000, p. 85. 82 Le tracce si individuano per tutta l’altezza dello spessore, sui lati sinistro e destro, all’altezza del basamento, a destra nel punto di attacco con la stele. 83 BARTOLONI 1997, p. 35, n. 37 e Appendice, p. 48. 84 Partendo dal peso specifico del travertino che è di 2,41 t/mc è stato possibile stimare il peso delle stele di Campassini e di Toiano che è risultato di 412 kg per la prima (compren- dendo anche il basamento, di 110 kg) e di 327 kg per la seconda.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale attraverso lo sfruttamento commerciale del travertino locale. Tale attività, non doveva rappresentare comunque una fonte di ricchezza primaria, come invece avveniva nelle non lontane cave di Asciano85. Nell’economia dei nuclei gentilizi della zona risultava inoltre più con- veniente scavare le tombe nei depositi calcarei presenti nei terreni di pro- prietà piuttosto che costruirle in elevato, limitando pertanto le complesse operazioni estrattive della pietra, la successiva lavorazione e squadratura in blocchi o lastre, contenendo al contempo i percorsi e le difficoltà legate al trasporto del materiale. In questa prospettiva merita di sottolineare come le stele assumano allora un valore ancora più marcato, laddove la scelta della pietra, in luogo di materiali più deperibili e di più facile lavorazione, prolungava nel tempo la memoria del defunto86. Per questo le stele doveva- no essere destinate ad un’élite assai ristretta in grado di garantirsi la mano- dopera necessaria alle diverse fasi di lavorazione. Le stele, come abbiamo visto, sommano elementi comuni ad alcune di esse (il taglio obliquo della base, la centinatura) con altri (presenza o meno della linea di guida per l’impaginazione delle lettere) che lasciano trasparire una manodopera non particolarmente specializzata, forse da ricercarsi nella servitus delle stesse famiglie aristocratiche.

4.1.5 CONCLUSIONI È stato notato come le stele iconiche esaltino attraverso il “ritratto” l’intento celebrativo del defunto sottolineandone al contempo lo status so- ciale eminente sia all’interno di compagini rurali non ancora di tipo urbano che in comunità organizzate in polis87. Nell’Alta Valdelsa le stele, che traggono esempio da quelle volterrane da un punto di vista tipologico, si risolvono in monumenti elaborati local- mente, dotati soltanto di iscrizione e, forse, in alcuni casi decorati. Difficile dire se la mancanza della raffigurazione del defunto sia in relazione ad un fenomeno culturale locale oppure sia legato alla difficoltà da parte degli arti-

85 Per l’uso del travertino come fonte di ricchezza delle gentes di Asciano vedi MANGA- NI 1991, pp. 57 ss. 86 Si tratta comunque di segmenti di testimonianze, in quanto, per quello che riguar- da nel complesso la documentazione funeraria, siamo del tutto privi di quella apposta sui signacoli realizzati in materiali più facilmente lavorabili ma deperibili, come il legno, che si suppone dovessero essere in uso e forse destinati al ceto subalterno. Un interessante esem- pio di iscrizioni parlanti moderne su supporti lignei, testimonianza di usi funerari rimasti pressoché invariati in alcune piccole comunità rurali, è quello documentato dagli anni ’30 a Sapânta, nella regione del Maramures, posta ai confini con l’Ucraina. Le stele lignee, opera di un mastro d’ascia locale, erano decorate con apparati iconografici ed epitaffi, che mostravano evidenti rapporti con la formularità dell’epigrafia classica: LONGOBARDI 2001, pp. 185 ss. 87 BRUNI 1997, pp. 147 ss.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale giani a riprodurre la figura umana. Quello che appare certa è la presenza di una cultura fortemente alfabetizzata e dedita all’uso della scrittura, in forma almeno embrionale, fin dall’Orientalizzante antico (vedi p. 146, n. 28); que- sto consente di proporre alcune considerazioni. L’uso funerario della scrittura trova in ambito locale, come già detto, eccezionali precedenti nella Tomba dell’Alfabeto di Monteriggioni. L’appara- to epigrafico, per formulazione e disposizione, costituisce un prodotto valido e concluso in sé, carico di attributi anche extralinguistici che vanno dal gene- re “magico religioso” a quello “decorativo”88. L’esempio appare collegato ad una concezione dove la scrittura e il suo significato vengono esibiti all’atto delle aperture della tomba da parte dei componenti della famiglia in occasio- ne dei nuovi seppellimenti ed è funzionale ad un ruolo di mediazione tra l’evento naturale e individuale della morte in evento famigliare ristretto al gruppo gentilizio. Nell’arco di poco più di due generazioni si assiste ad un mutato atteggiamento: la pratica e la lettura delle iscrizioni funerarie si tra- sferiscono da una sfera del tutto privata ad una sfera ‘pubblica’ attraverso l’uso della “scrittura esposta”89. La scrittura attraverso le stele sviluppa un ruolo che non si risolve più all’interno del gruppo dominante ma si tramuta, attraverso la sua esibizione “pubblica”, in evento sociale e collettivo90. Inol- tre la funzione e il significato dell’insieme tomba/stele iscritta venivano am- plificati, nei confronti della comunità, da tutte quelle “pratiche immateriali” (processioni, riti di commemorazione) che dovevano svolgersi da parte (o per conto) delle famiglie titolari delle tombe stesse91. Le iscrizioni che designano la titolarità della tomba seguono un criterio di formularità e, pur nella loro brevità, gli enunciati già contengono tutte le infor- mazioni necessarie a saturare la comprensione all’interno di un sistema comuni- cativo codificato e formalizzato, condiviso all’interno della comunità e celebrati- vo del ruolo del defunto e del suo clan. La stele rappresentava per se stessa, per la sua forma connotata da una forte carica autorappresentativa e per il contenuto dell’iscrizione, un confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti eminenti sepol- ti nella tomba, definendo anche la proprietà dello spazio funerario. I proprietari appartengono ad una classe agiata, ben cosciente di sé e del grado di affermazione sociale che la scrittura garantisce. Residente in campa- gna, tale compagine sancisce, attraverso la monumentalizzazione delle tombe e l’esposizione della scrittura, l’ereditarietà della proprietà terriera92 e la gestione del potere, derivato anche dal controllo delle vie di transito da e per la Valdel-

88 BARTOLONI 1997, p. 43. 89 PETRUCCI 1995. 90 HUNTINGTON, METCALF 1985, pp. 23 ss. 91 CARDONA 1988, p. 6. 92 CIACCI 1999, p. 304.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale sa. Infatti le tombe si dislocano in prossimità di punti nodali per le comunica- zioni con il territorio: le località di Ulignano e San Gimignano si trovano sulla sponda sinistra dell’Elsa, in prossimità tanto di uno snodo viario93 quanto della confluenza di percorsi collegati all’Elsa e al Torrente Agliena; Canonica e Morticce di Mensanello, sempre alla sinistra dell’Elsa, si collocano su versanti di bassa collina lungo il percorso proveniente dal sistema Ombrone-Merse; Campassini è situata tra le pendici del Monte Maggio e il margine meridionale della piana dove si stende la necropoli del Casone; Malignano e Toiano si situano sulle propaggini meridionali del territorio interessato dal fenomeno delle stele dell’Alta Valdelsa, lungo percorsi che provengono tanto dall’Etruria marittima quanto da quella meridionale. In pratica costituiscono la porta d’in- gresso per l’Alta Valdelsa e introducono alle vie, che aggirando la Montagnola Senese, si protendono poi fino a Monteriggioni e da qui, dopo la confluenza tra lo Staggia e l’Elsa a Poggibonsi, proseguono fino all’agro fiorentino. Le famiglie gentilizie, nate almeno un paio di secoli prima come esito di forme di colonizzazione incentivate da Volterra94 e alle quali non sono estranei, come abbiamo visto, gruppi allofoni, si stanziano in un momento in cui il rapporto città-campagna risulta a favore della seconda95. La distribuzione delle tombe e delle necropoli definisce un quadro in cui i gruppi aristocratici, gesti- scono le risorse dell’Alta Valdelsa e acquisiscono un buon livello culturale e di ricchezza testimoniato dall’alfabetizzazione diffusa e dalla quantità di cerami- che attiche che affluiscono nella zona96. Da un punto di vista storico il fenomeno delle tombe con stele si confi- gura di breve durata (dalla metà del VI secolo a.C. agli inizi del V secolo a.C.), in un periodo che se da un lato segna la ripresa demografica ed econo- mica di Volterra, dopo il momento di marginalizzazione evidenziato da Adria- no Maggiani97, dall’altro comporta un progressivo riassetto del rapporto fra la città e il suo territorio. La “rinascita” in senso urbano induce verosimil- mente un ridimensionamento del potere gentilizio nell’Alta Valdelsa: le stele costituiscono allora la manifestazione di un’aristocrazia rurale fortemente elitaria e conservatrice, ma prossima al declino, che rivendica il proprio ruo- lo di dominio anche attraverso la definizione degli spazi funerari mediante i monumenti iscritti. Da un punto di vista sociale l’epigrafia arcaica della zona a fronte di una localizzazione di gentilizi etruschi98 che non trovano diffusione topogra-

93 BOLDRINI 1991, p. 258, n. 94. 94 CIACCI 1999, p. 302; BARTOLONI in questo stesso volume, p. 17. 95 MAGGIANI 1997, p. 83. 96 CIANFERONI 2002, pp. 112 ss. 97 MAGGIANI 1997, p. 83. 98 Tanto i gentilizi quanto altri elementi presenti nelle epigrafi sarebbero forse merite- voli di una più approfondita indagine di carattere linguistico.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale fica o diacronica ne evidenzia alcuni che denunciano un’ altra origine, come dimostrano i nomi Shekuntena e Feleskena. È a questo punto difficile stabili- re a quando risalga la presenza di personaggi di origine latina, se alla fase storica vera e propria (la seconda metà del VI secolo a.C. è notoriamente il periodo in cui i Latini aspirano ad una propria autonoma affermazione men- tre le altre popolazioni dell’Italia centrale, tra cui gli Umbri, si producono in una vasta ondata espansiva verso i confini etruschi) o ad una fase più antica di embrionali migrazioni in forma privata. Il fatto che lo scriba che ha ‘tra- dotto’ in etrusco il gentilizio dei Secundii abbia sentito l’esigenza fonetica di trovare una soluzione grafica alla mancanza di un fono appropriato per ren- dere la sibilante palatale, sembrerebbe essere un elemento di recenziorità, non essendosi ancora perduta la pronuncia originale dell’iniziale del nome. Il fatto che poi tale resa grafica compaia tanto sulla stele quanto sull’urna cine- raria a designare due personaggi diversi della stessa famiglia, costituisce una prova oltremodo sufficiente della consapevolezza di mantenere vivo un ca- rattere distintivo del proprio ethnos. Per contro la presenza del morfema -na testimonia dell’avvenuta integrazione nella compagine etrusca della famiglia portatrice del nome. Il caso di Feleskena costituisce un interessante caso di mobilità sociale, laddove la migrazione della famiglia o di membri di essa sembra avvenire dal territorio di origine per tappe successive, individuabili nell’area vetuloniese cui segue, in ordine di tempo, quella senese Quello che è certo è il carattere permeabile del territorio della Valdel- sa, un territorio etnicamente aperto e dove la mobilità sociale era certamente favorita dalla sua posizione geografica lungo importanti vie di comunicazio- ne. Alla permeabilità sociale testimoniata dall’onomastica fa da pendant la cultura locale che sottende alla realizzazione dei monumenti iscritti, dove l’impronta chiusina degli aspetti paleografici si somma a quella volterrana nella redazione formale delle stele. L’adattamento grafico di un suono non esistente in etrusco sembra poi testimoniare, nel territorio dell’Alta Valdelsa e in particolare nell’area di Col- le, la presenza di scribi culturalmente assai attivi, che devono aver avuto un ruolo non secondario nella diffusione dell’alfabetizzazione evidenziata dalla quantità di iscrizioni arcaiche.

Addendum

Mentre il volume era in seconde bozze ho appreso della pubblicazione dell’iscrizio- ne sul coperchio di urna proveniente dalla tomba 10 di Ville (Colle Val d’Elsa) e della revisione dell’iscrizione sulla stele di Canonica (MAGGIANI 2003, pp. 362-364). Ho potuto constatare con piacere che, pur nella totale indipendenza dei due lavori, si perviene a conclusioni simili. ANDREA CIACCI

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4.2 I caratteri litologici delle stele etrusche

4.2.1 INTRODUZIONE La pietra usata dagli etruschi per scolpire le stele funerarie ritrovate nell’area circostante la Montagnola Senese, è un calcare concrezionario ben stratificato e di facile estrazione, comunemente conosciuto come travertino, e presente in affioramento prevalentemente nell’area di Colle Val d’Elsa (Fig. 48). Questa pietra calcarea si distingue dalle altre potenzialmente disponibili in questa zona, per essere più tenera, pur mantenendosi resistente agli agenti atmosferici, e facilmente lavorabile rispetto al marmo (roccia metamorfica, cristallina, dura e omogenea molto usata anche nel Duomo di Siena) e al Calcare cavernoso (roccia brecciata, relativamente tenera ma molto vacuola- re, per lo più usata come materiale da concio nell’architettura medioevale). Le stele studiate sono costituite da una lastra dello spessore di circa 10- 15 cm, di calcare chiaro, piuttosto compatto, laminato, formato cioè dalla so- vrapposizione di strati centimetrici (lamine). Esse sono state estratte dalla roc- cia madre secondo superfici di distacco parallelo alla stratificazione/laminazio- ne. Lo stato di conservazione appare generalmente buono, benché alcune di esse mostrino segni di usura probabilmente dovuta ad un riutilizzo nel tempo, differente da quello originale. Infatti, in due di esse, sono presenti indizi di una probabile colorazione originale e tracce di alterazione chimica derivante dal- l’esposizione ad agenti inquinanti. (vedi pp. 222 ss.).

4.2.2 LA GEOLOGIA NEL SETTORE MERIDIONALE DELLA VALDELSA Il bacino della Valdelsa corrisponde ad un segmento di una lunga fossa tettonica che dalla valle del Fiume Serchio si estende verso sud fino al Fiume Tevere, per una lunghezza di oltre 300 chilometri. Esso è compreso tra la Dor- sale Medio-Toscana ad occidente ed il Monte Albano/Dorsale del Chianti ad oriente. Il suo limite settentrionale si trova nell’area di Empoli dove media- mente presenta una larghezza di circa 25 chilometri, mentre nella porzione meridionale, fra Poggibonsi e Monteriggioni, la sua larghezza si riduce improv- visamente fino a soli 15 chilometri. In questo bacino, formatosi nel Neogene (Miocene superiore, circa 11 milioni di anni fa), si sono succedute nel tempo condizioni ambientali molto diverse tra loro, alternativamente marine e conti- nentali, che hanno indotto la deposizione di potenti spessori di sedimenti. Nel settore meridionale del bacino, in particolare nell’area di Poggibon- si--Monteriggioni, i sedimenti neogenici affiorano lungo il fon- dovalle, mentre le circostanti dorsali sono formate da rocce più antiche99. Il

99 BOSSIO et al. 2000, pp. 72 s.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Elsa. ’ area di Colle Val d area di Colle Val ’ Localizzazione dei carbonati continentali nell – Fig. 48 Fig.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale versante orientale (area di Castellina in Chianti), è costituito da calcari, argilliti e rocce magmatiche (ofioliti), rappresentanti sedimenti deposti nei fondali del- l’antico Oceano Ligure-Piemontese, dal Giurassico medio-superiore (circa 150 milioni di anni fa) al Cretaceo Superiore-Eocene (circa 34 milioni di anni fa). Il settore occidentale e meridionale (area di Poggio del Comune e del Monte Maggio), invece, è formato da conglomerati e arenarie metamorfiche, che rap- presentano depositi continentali del Triassico medio (Verrucano: circa 230 mi- lioni di anni fa), e da calcari brecciati, con tipica struttura a cellette (Calcare cavernoso) derivante dalla rielaborazione recente di sedimenti dolomitici e sol- fatici deposti in ambienti marini-costieri molto aridi del Triassico superiore (Formazione anidritica di Burano: circa 220 milioni di anni fa). I sedimenti neogenici più antichi, affioranti nell’area di Castellina Scalo, sono arenarie di origine marina (Arenarie di Ponsano: Tortoniano, 11 milioni di anni fa). Successivamente nella Valdelsa si è instaurata una sedimentazione con- tinentale di ambiente lacustre (Tortoniano superiore e Messiniano 8-5 milioni di anni fa) che ha dato origine a depositi di argille con livelli di lignite (Argille del T. Fosci ed Argille del Casino) e locali conglomerati (Breccia di Grotti; Conglome- rato di ) che oggi affiorano nell’area di Castellina Scalo-Lilliano. Con la trasgressione del Pliocene inferiore (5 milioni di anni fa) è iniziata in tutta la Valdelsa una deposizione di tipo marino, che durerà fino al Pliocene Medio (circa 3 milioni di anni fa), testimoniata principalmente dalla presenza di argille massicce, localmente ricche di fossili (Argille azzurre) e di sabbie tal- volta cementate (Sabbie di San Vivaldo) che lungo le sponde del bacino conten- gono intercalazioni di conglomerati (Conglomerati di San Casciano). Circa 3 milioni di anni fa (Pliocene Medio), nella maggior parte della Toscana meridionale, è iniziato un progressivo sollevamento di tipo tettonico che ha portato anche il Bacino della Valdelsa ad una progressiva quanto ine- sorabile regressione dell’ambiente marino100. L’area di Colle Val d’Elsa-Pog- gibonsi-San Gimignano è rimasta quindi in regime subaereo fino al Pleistoce- ne Inferiore-Medio (circa 1 milione di anni fa) quando buona parte del setto- re meridionale della Valdelsa è stato coperto da un esteso lago in cui si sono deposti fanghi calcarei (Calcari di Pian del Casone)101. Sempre a causa del continuo sollevamento della Toscana meridionale, il lago si è prosciugato (circa 500.000 anni fa) e contemporaneamente si è verificato un ringiovani- mento del rilievo con la conseguente incisione dei depositi calcarei lacustri e l’impostazione dell’attuale reticolo idrografico. Nei fondovalle di alcuni cor- si d’acqua di questo reticolo (Fiume Elsa, Torrente Staggia e Torrente Foci) si sono verificati, nel Pleistocene Superiore-Olocene (ultimi 50.000 anni circa), successivi episodi di deposizione e di erosione, rappresentati da quattro ordi- ni di terrazzi, formati da depositi calcarei concrezionari prevalentemente di

100 BOSSIO et al. 1995, p. 90. 101 BOSSIO et al. 2000, p. 80.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale ambiente palustre e fluvio-palustre102 e in minore quantità, di ambiente di sorgente termale. In altre aree contigue, invece, dove le acque circolanti non contenevano sufficiente carbonato di calcio, analoghi terrazzi sono costituiti da depositi non calcarei, come sabbie e limi con ciottolati. I terrazzi e le forme relitte del paesaggio lacustre sono spesso caratterizzati da superfici spianate formate da speroni di sabbie marine coperti da materiale compatto (calcare lacustre o concrezionario), circondati da vallate a volte pro- fonde. Questi pianori (Colle Val d’Elsa, Poggibonsi, San Gimignano, Staggia Se- nese) hanno costituito il luogo ideale per l’insediamento umano sia per la posi- zione strategica lungo vie di comunicazione, sia per la loro elevata difendibilità.

4.2.3 IL TRAVERTINO Il travertino, nell’accezione più ampia, costituisce uno dei materiali la- pidei più usati come ornamento o rifinitura nelle costruzioni dell’uomo. Il termine deriva dal latino lapis tiburtinus o “pietra di Tivoli”, città alle porte di Roma dove questi sedimenti, che affiorano estesamente e sono tutt’ora in formazione presso sorgenti calde chiamate Acque albule, sono stati larga- mente usati dai Romani nell’edilizia dell’Urbe. Tuttavia nel linguaggio comu- ne italiano, il termine travertino viene attribuito a tutta una serie di depositi calcarei che si formano, per processi di incrostazione da parte di acque molto ricche di carbonato di calcio, in un’ampia varietà di ambienti continentali come, ad esempio, in prossimità di sorgenti sia termali sia fredde, lungo corsi d’acqua ed in corrispondenza di zone paludose103. Nella terminologia scienti- fica internazionale, invece, il termine travertino viene ora riferito preferen- zialmente a quei depositi calcarei che si formano da acque idrotermali come nel caso di Tivoli. Quando l’origine è legata ad acque a temperatura ambien- te, è stato coniato nella letteratura anglosassone il termine calcareous tufa (sensu Pedley)104, che deriva dalla parola “Tophus” con cui Plinio indicava materiali da costruzione teneri (calcarei o vulcanici), di facile estrazione105. Ad una analisi macroscopica, tutti questi calcari concrezionari appaio- no come una pietra solitamente biancastra, più o meno compatta, facilmente lavorabile. La struttura interna, nel caso dei calcareous tufa, è solitamente molto vacuolare e formata da ammassi di tuboli calcarei disposti in posizione più o meno ordinata (orizzontale o verticale) o addirittura caotica, mentre quella del travertino s.s. è meno porosa ed è formata prevalentemente dalla sovrapposizione di lamine centimentriche spesso piane, a volte ondulate, cri- stalline e/o spugnose biogeniche.

102 CAPEZZUOLI, SANDRELLI 2003, p. 29. 103 FERRERI 1985, p. 20. 104 PEDLEY 1990, p. 153. 105 FORD, PEDLEY 1996, p. 117.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale In Italia il travertino s.l. è prevalentemente diffuso nelle aree centro- meridionali, mentre i più grandi giacimenti di travertino s.s. si trovano nel- l’area laziale (Tivoli, Orte, Viterbo) dove l’industria estrattiva è fiorente fin dall’antichità, nella Toscana meridionale (Rapolano Terme, Asciano, Satur- nia) e nelle Marche (Acquasanta). Depositi minori si ritrovano disseminati lungo tutta la penisola da Bormio fino ad Enna. Processi di formazione Il travertino s.l. è una roccia concrezionaria, costituita principalmente da carbonato di calcio (CaCO3) sotto la forma minerale calcite e, occasional- mente aragonite. La sua composizione geochimica dipende dalla composizio- ne chimica delle acque da cui viene prodotto. Solitamente queste acque oltre agli ioni di calcio, provenienti dalla parziale dissoluzione delle rocce carbo- natiche del sottosuolo, contengono quantità relativamente elevate di elemen- ti in tracce, quali ferro, manganese, stronzio e zolfo. La formazione dei calcari concrezionari avviene con un processo chi- mico reversibile che induce la precipitazione del carbonato di calcio per degassazione delle acque arricchite in ioni calcio (Ca2+) e conseguente ritor- no dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera, secondo lo schema: 2+ - Ca + 2HCO3 = CaCO3 + CO2 + H2O La degassazione, e di conseguenza la deposizione del CaCO3, è con- trollata da una complessa interazione di fattori inorganici ed organici non ancora completamente esemplificati. Fra i fattori inorganici, di natura essenzialmente fisica, sono di fonda- mentale importanza le variazioni della pressione parziale della CO2 e della temperatura delle acque, soprattutto nei casi di sorgenti idrotermali. Anche la turbolenza e la vaporizzazione dell’acqua, indotta dai dislivelli morfologi- ci, come avviene in corrispondenza di una cascata, possono essere determi- nanti per la precipitazione del calcare. Fra i fattori organici è da ricordare il ruolo degli organismi vegetali (sia superiori sia inferiori) nella precipitazione di CaCO3 dovuta alla sottrazione dalle acque della CO2 necessaria per il processo di fotosintesi e la produzione di carboidrati. In generale, comunque, le cause abiotiche e biotiche operano spesso nella stessa direzione con la produzione dei calcari concrezionari, ma il loro contributo relativo varia lungo il corso di scorrimento delle acque, passando da una precipitazione prevalentemente inorganica nelle vicinanze della sorgente, ad una prevalentemente organica allontanandosi da essa. Classificazione Come detto in precedenza, i travertini s.s. si formano esclusivamente per precipitazione da acque calde in ambienti dove spesso la temperatura e la com- posizione chimica delle acque (alti contenuti di zolfo) rendono l’ambiente ostile

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale alla vita di flora e fauna. Allontanandosi dalle sorgenti, tali condizioni diventano man mano meno proibitive: la temperatura delle acque si avvicina a quella am- biente, i contenuti in zolfo si diluiscono e le acque vengono colonizzate da macro e microfite. In tali condizioni precipitano i calcareous tufa che, talvolta, rappre- sentano la naturale prosecuzione laterale dei travertini s.s. Si può comprendere quindi, come i travertini s.s. presentino spesso una ridotta estensione laterale, una limitata diversità di ambienti deposizionali ed una minore presenza di mate- ria organica rispetto ai calcareous tufa, i quali sono di norma molto estesi, si depositano in un ampio spettro di ambienti e spesso contengono testimonianze di floride comunità sia vegetali sia animali. Vediamole nel dettaglio. Travertini s.s. – La roccia deposta nelle immediate vicinanze di sorgenti di acque calde è costituita prevalentemente da lamine compatte, formate da cristalli di calcite e in minor quantità da lamine microcristalline, organogene e granulari, generalmente più porose. Si distinguono principalmente due tipi di ambienti deposizionali: 1) le dorsali di travertino – corrispondono a risorgenze lineari più o meno rettilinee lungo faglie e fratture del terreno, dove le acque termali ed i gas sotterranei risalgono e scaturiscono in superficie. Qui il carbonato di cal- cio precipita formando inizialmente piccoli coni che successivamente per coalescenza, formano dorsali di travertino più o meno estese e più o meno elevate, a seconda della velocità di precipitazione. Talvolta la sorgente può essere puntiforme ed in questo caso si formano veri e propri pinnacoli di travertino. A Rapolano Terme esiste uno dei più importanti e tra i più studiati esempi di dorsale di travertino al mondo (Terme di San Giovanni). 2) i terrazzi – il fluire delle acque calde che si allontanano dalla sorgen- te provoca un graduale raffreddamento con conseguente precipitazione del carbonato di calcio in corrispondenza degli ostacoli presenti sul percorso. Si formano così dighe e barriere che creano pozze o piscine di acqua termale. Da queste prime si dipartono una serie di vasche sussidiarie a quote inferiori che solitamente si allargano a ventaglio dalla principale. La maggiore o mi- nore altezza del complesso consente l’eventuale sviluppo di cascate, microterrazze e canali sospesi. Gli esempi più imponenti si trovano negli Stati Uniti (Parco di Yellowstone) e in Turchia (Pamukkale). In Italia, tra i tanti, sono ben noti i terrazzi dei Bagni di Tivoli, di , di Saturnia, del Bulicame di Viterbo.

Calcareous tufa – Il CaCO3 può anche precipitare da acque a temperatura ambiente per saturazione (sorgenti carsiche) o polverizzazione (cascate) e di conseguenza i siti di deposizione sono più numerosi di quelli dei travertini di acque calde. La roccia che ne deriva è caratterizzata da una poco evidente stratificazione e da un’alta porosità. Ambedue le caratteristiche sono dovute all’accumulo di resti di vegetali incrostati, che può essere un accumulo disor- dinato di frammenti (fitoclasti) oppure un accumulo ordinato derivato dalla

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale incrostazione e pietrificazione in posto di piante palustri (fitoerme), di foglie (biblioliti) o di batteri, alghe e briofite che formano concrezioni carbonatiche laminari (bioerme algali e stromatoliti). Si distinguono principalmente tre tipi di ambienti deposizionali: 1) Fiumi – lungo i corsi d’acqua la precipitazione di carbonato di calcio dà origine a depositi prevalentemente fitoclastici, associati a livelli sabbiosi derivati dall’ulteriore frammentazione dei fitoclasti da parte delle correnti fluviali. Local- mente, in corrispondenza di sbarramenti, si possono formare dighe calcaree, costituite da depositi fitoermali, bioerme algali e stromatoliti, con lo sviluppo verso monte di laghi anche molto estesi come nel caso di Plitvice, in Croazia. 2) Sorgenti sospese e cascate – i calcareous tufa si sviluppano vicino alla sorgente o al piede della rottura di pendio (cascate) e sono solitamente loba- ti. Nelle aree frontali i lobi sono generalmente molto acclivi e intensamente colonizzati da muschi ed epatiche (Briofite) che formano strutture fitoermali e bioerme algali. Esempio italianio è l’area delle Cascate delle Marmore. 3) Laghi e paludi – ai margini dei bacini lacustri e nelle zone paludose poco drenate si formano stagni o pozze d’acqua intensamente colonizzati da macrofite, briofite e alghe o batteri. Si formano quindi calcareous tufa com- posti da bioerme algali, biblioliti, stromatoliti e sedimenti fitoclastici. Talora la quantità di vegetazione è tale che una parte di questa può non venire incro- stata per cui si formano accumuli di materia organica che con il tempo tende a carbonizzare (torba). In Italia depositi di origine lacustre/palustre sono stati descritti nella Valle del Tanagro in Campania, mentre fuori del territorio ita- liano sono conosciuti Green Lake negli Stati Uniti e Ruidera Pools in Spagna.

4.2.4 CARATTERI GENETICI DEL TRAVERTINO DELLE STELE Le stele esaminate sono: n. inv. 184531, Siena, Museo Archeologico, da Campassini, (Monteriggioni- Siena); n. inv. 13918, Siena, Museo Archeologico, da Toiano (Sovicille-Siena); n. inv. 139435, Colle Val d’Elsa (Siena), Museo Archeologico “R. Bianchi Bandinelli”, da Morticce di Mensanello (Colle Val d’Elsa-Siena); s.n.i., Casole d’Elsa (Siena), proveniente da Le Poggiòla (Casole d’Elsa); s.n.i., San Gimignano (Siena), sede del Gruppo Archeologico, da Ulignano (San Gimignano). Le cinque stele esaminate mostrano alla scala macroscopica, una note- vole uniformità dei caratteri litologici. Sono costituite dall’alternanza piutto- sto regolare di lamine più compatte (Fig. 49a) e di altre finemente porose o leggermente vacuolari (Fig. 49b). Le lamine vacuolari contengono talora an- che scarse tracce di resti di piante palustri, incrostate dal carbonato di calcio, che si presentano come piccoli ciuffi di cannucce (Fig. 50).

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Per poter studiare la natura della roccia e poter stabilire le eventuali affinità di tessitura e quindi di provenienza, è stata effettuata una campiona- tura con un microperforatore (Fig. 51) che ha prelevato da ogni stele un campione cilindrico delle dimensioni di circa 2×2 centimetri. Questi cam- pioni in laboratorio sono stati tagliati per eseguire una sezione sottile da osservare al microscopio a luce trasmessa. Osservate al microscopio, le sezio- ni sottili delle stele mostrano tutte una fine tessitura spugnosa, costituita da un sottile reticolo di calcite microcristallina densa (micrite) contenente relitti di materia organica, che individua piccoli pori irregolari (porosità primaria) parzialmente (Fig. 52a) o completamente occlusi (Fig. 52b) da calcite cristal- lina limpida (cemento) granulare e/o aciculare (Fig. 53). In alcune lamine questa tessitura evolve in un insieme di grumi (peloidi) e talora di rosette di cristalli di calcite scura (Fig. 54) verosimilmente legati a processi di ricircolazione di acque meteoriche dopo la deposizione. Nella varietà più vacuolare, intrappolati in questo reticolo, si trovano tubicini, vuoti o riempi- ti da cemento, che rappresentano frammenti di steli e/o radici (Fig. 55), con- tornati da un sottile strato di micrite, o da cristalli di calcite torbida, gialla- stra. Nella maggior parte dei campioni esaminati si osserva inoltre la presen- za di cavità di maggiori dimensioni dovute a processi di dissoluzione tardiva (porosità secondaria) normalmente vuoti o parzialmente riempiti da un sedi- mento argilloso finissimo, giallastro. La tessitura fine, spugnosa è stata interpretata106 come derivata dalla precipitazione essenzialmente chimico-fisica, del carbonato di calcio su un substrato formato da ammassi mucillaginosi di microrganismi unicellulari filamentosi (cianobatteri e cianofite) che restano così intrappolati nella calci- te microcristallina (boundstone calcimicrobico). Poiché l’attività vitale di questi organismi si mantiene inalterata, essi continuano a sottrarre l’anidride carbo- nica dalle acque ricche di bicarbonato di calcio, in cui sono immersi. Questo processo induce l’ulteriore precipitazione di calcite sotto forma di cristalli romboidali più grandi (cemento), che inizialmente si dispongono a corona intorno alle masserelle microcristalline e successivamente tendono ad ostru- ire definitivamente i pori primari del reticolo. L’insieme di questi processi primari porta alla pietrificazione finale di tutta la struttura. Una tessitura come questa, che riflette la presenza dei microrganismi e la loro possibilità di proliferare, si può essere preservata solo in condizioni di assenza dei loro nemici naturali rappresentati da invertebrati erbivori (per esempio i gasteropodi: chiocciole e lumache), che distruggono brucando le loro colonie107. Le condizioni ambientali, ostili alla vita di questi invertebrati, si trovano generalmente nei dintorni di sorgenti termali, dove le acque sono

calde e spesso ricche di anidride solforosa (H2SO4).

106 RIDING 2000, p. 183. 107 Ibidem, p. 201.

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Fig. 49 – a) Successione regolare di lamine relativamente compatte. Stele n° 139435, Museo di Colle Val d’Elsa; b) Alternanza di lamine finemente porose e leggermente vacuolari. Stele del Museo di Casole d’Elsa.

Fig. 50 – Resti di piccoli ciuffi di cannucce palustri incrostate dal carbonato di calcio. Stele n° 13918 – Museo di Santa Maria della Scala – Siena.

219 Fig. 51 – Campionatura della stele effettuata con microperforatore.

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Fig. 52 – Sottile reticolo di calcite microcristallina densa (tessitura spugnosa) con relitti di materia organica, che individua pori primari irregolari: a) parzialmente occlusi da calcite cristallina; ×4 – Stele del Museo di Casole d’Elsa; b) completamente occlusi da due generazioni di calcite cristallina; ×4 – Stele n° 184531, Museo di Santa Maria della Scala – Siena.

Figg. 53-54 – 53) Cemento di calcite cristallina limpida aciculare; ×4 – Stele n° 184531 – Museo di Santa Maria della Scala – Siena; 54 – Rosette di cristalli di calcite scura probabilmente legati a processi di ricircolazione di acque meteoriche dopo la deposizione; ×4 – Stele n° 139435, Museo di Colle Val d’Elsa.

Figg. 55-56 – 55) Cannucce riempite da cemento e contornate da un sottile strato di grumi micritici; ×4 – Stele n° 184531 - Museo di Santa Maria della Scala – Siena; 56) Materiale argilloso finissimo proveniente dalla zona vegetata del terreno (suolo) e deposto al fondo di piccole cavità secondarie; ×4 – Stele n° 13918, Museo di Santa Maria della Scala – Siena. 220

© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Il processo primario di occlusione dei pori non raggiunge sempre la fase finale. La successiva circolazione di acque dolci, di origine meteorica (la pioggia), normalmente sottosature di bicarbonato di calcio, può provocare sia la parziale e irregolare dissoluzione della tessitura primaria, oppure può indurre una nuova fase di precipitazione di calcite (cementazione). Questo processo nel primo caso darà luogo ad una porosità secondaria e un conse- guente indebolimento della struttura primaria, nel secondo caso tenderà ad occludere anche la porosità secondaria e nello stesso tempo a rendere la roc- cia più compatta. La presenza di materiale argilloso finissimo all’interno delle cavità ri- maste vuote (Fig. 56), indica come il travertino, poco dopo la sua formazio- ne, si sia trovato a poca profondità dalla zona vegetata del terreno (suolo). Infatti i processi chimici indotti dalla attività vitale delle radici e di tutti gli organismi che vivono nel suolo, alterano e trasformano la roccia sottostante, producendo anche materiali argillosi che vengono poi trasportati verso il basso dalle acque percolanti nel terreno. Per quanto riguarda l’ambiente di formazione delle rocce che costitui- scono le lastre esaminate, i caratteri genetici molto simili suggeriscono una provenienza comune da un’area in cui la deposizione carbonatica è avvenuta in uno o più laghetti situati in prossimità di sorgenti di acque termali. Le variazioni del livello delle acque di tali laghetti sono state registrate dai sedi- menti carbonatici. Infatti essi presentano una maggior quantità di resti di “cannucce” incrostate quando deposti nella parte meno profonda e più vici- na al bordo (stele di Toiano e Campassini; Figg. 50, 55), mentre la scarsità o assenza di resti macrovegetali indica le aree più profonde della vasca (stele di Le Poggiòla, Morticce di Mensanello e Ulignano; Figg. 49a-b, 52a). Calcari concrezionari di questo tipo sono quindi riferibili al Travertino s.s., e in particolare ad una delle sue facies che nella Valdelsa (nell’area di e di Gracciano) si trova localmente associata ai Calcareous tufa, mentre in località più lontane (-Chiusdino verso sud ovest; Ca- stelnuovo Berardenga/Acqua Borra e Rapolano Terme/Asciano verso sud est; Iano/Gambassi Terme a nord) si trova associata a depositi caratteristici di sorgente termale. Per quanto riguarda le proprietà del materiale che costituisce le cinque stele, si può osservare che quella proveniente da Le Poggiòla presenta la tes- situra originaria meglio preservata e la porosità totale più ridotta, mentre le stele provenienti dai dintorni di Toiano, da Campassini, da Ulignano e da Morticce di Mensanello, sono caratterizzate da una porosità secondaria rela- tivamente alta indicativa di una dissoluzione tardiva dovuta alla circolazione di acque meteoriche. La presenza nelle stele di Toiano, Campassini e Ulignano, di un parziale accumulo di argilla nelle cavità (Fig. 56), testimonia inoltre la residenza al di sotto di un suolo della roccia da cui provengono le lastre.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4.2.5 CONCLUSIONI I risultati dell’analisi sedimentologica e petrografica della pietra da cui sono state estratte dagli artigiani etruschi le lastre per realizzare le stele in esame, permettono di risalire alle sue caratteristiche, al suo ambiente di for- mazione e alla sua provenienza. La storia di questa roccia inizia nei dintorni di una sorgente termale i cui rivoli di acqua calda, molto ricca di carbonato di calcio, alimentava adiacenti laghetti poco profondi in cui proliferavano colonie di batteri. Queste venivano intrappolate dal precipitato calcareo e rapidamente litificate, formando nel tem- po strati sovrapposti di travertino s.s. Sui bordi di questi laghetti nelle zone più distanti dalla sorgente, dove l’acqua era meno calda, si sviluppava anche una rada vegetazione di giunchi i cui steli venivano rapidamente incrostati e inglobati nel sedimento. Successivamente, il colmamento dei laghetti, conseguente alla rapida deposizione del calcare, determinava la deviazione del flusso d’acqua e permetteva localmente l’insediamento di una normale vegetazione e la conse- guente formazione di un suolo. Le radici delle piante, perforando la roccia, faci- litavano la circolazione delle acque meteoriche che trasportavano e deponevano le argille residuali nelle cavità di dissoluzione del travertino. Il sito di questo sistema deposizionale può essere localizzato nell’area di Staggia Senese o di Grac- ciano, dove l’estrazione di questo materiale è avvenuta fino in tempi recenti. Questa ricostruzione è anche avvalorata dal fatto che il materiale necessario per la manifattura delle stele doveva essere reperibile nelle aree circostanti in quanto la possibilità di trasportare materiali molto pesanti era limitata. ENRICO CAPEZZUOLI, ANNA GANDIN

4.3 Studio delle superfici lapidee di due stele

4.3.1 PREMESSA Nelle ricerche di carattere archeometrico l’attenzione viene rivolta ai materiali costitutivi dei reperti e in particolare alla loro composizione e prove- nienza di cui in questo lavoro viene riportato lo studio eseguito da Capezzuoli e Gandin. Viene di norma trascurato lo studio della superficie dei materiali, dove si trovano tracce di patine o pellicole108 che possono fornire elementi di conoscenza altrettanto validi per ricostruire la storia dei reperti archeologici. Per questi scopi sono state eseguite analisi petrografiche e mineralogiche su due stele etrusche di travertino provenienti la prima da Morticce di Mensanello

108 I termini patina e pellicola vengono qui usati secondo il significato generico che si può evincere anche dalle raccomandazioni NORMAL 1988, e cioè per indicare uno strato su- perficiale assai sottile e coerente di sostanze correlate (patina) o non correlate (pellicola) con il substrato lapideo.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale (vedi pp. 190 ss., pp. 217 ss.) l’altra da Campassini (pp. 187 ss., pp. 217 ss.). Per studi di questo tipo l’analisi al microscopio polarizzatore su sezioni sottili, eseguita sia in luce trasmessa che in luce riflessa, si rivela particolar- mente importante in quanto consente di acquisire elementi non solo sulla composizione e tessitura dei sottili strati superficiali ma anche sui rapporti di questi ultimi con il substrato lapideo. L’integrazione e controllo dei dati ana- litici rilevati mediante le osservazioni microscopiche vengono di norma effet- tuati con analisi mineralogiche per via diffrattometrica, come nello studio in oggetto, ma di rilievo è anche il contributo di altre tecniche analitiche come per esempio la spettrofotometria infrarossa. È da precisare che le analisi qui di seguito presentate sono da ritenersi complementari a quelle effettuate da parte di altri ricercatori sia per quanto concerne l’aspetto più squisitamente archeologico109, sia per la stessa defini- zione della composizione e provenienza del travertino, la pietra che costitui- sce ambedue i reperti archeologici110.

4.3.2 RISULTATI

CAMPIONE 1 (STELE DEL MUSEO DI COLLE VAL D’ELSA – N° INV. 139435) Descrizione macroscopica: frammento di intonachino chiaro, di esiguo spes- sore, con pigmentazione grigiastra in superficie (Fig. 57). Descrizione microscopica: l’intonachino (i) è caratterizzato da un legante a cal- ce con inerte sabbioso costituito essenzialmente da clasti di calcite e quarzo. Sopra l’intonachino è presente uno strato a calce (s), di spessore medio intorno a 0,2 mm, pigmentato con nero di carbone (Fig. 58).

CAMPIONE 2 (STELE DEL MUSEO DI COLLE VAL D’ELSA – N° INV. 139435) Descrizione macroscopica: frammento di travertino con sovrastante pellicola di colore bruno-rossastro (Fig. 59). Descrizione microscopica: sulla superficie del travertino (t), essenzialmente costituito da calcite microcristallina, è presente una sottilissima pellicola di color ruggine (p), la cui origine è riconducibile verosimilmente ad un deposi- to di ossidi e idrossidi di ferro da parte di soluzioni che hanno lisciviato materiale metallico (Fig. 60).

CAMPIONE 3 (STELE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI SIENA – N° INV. 184531) Descrizione macroscopica: frammento di una patina di colore bruno più o meno scuro prelevato dalla superficie laterale della stele con minore lar- ghezza (Fig. 61).

109 Vedi pp. 183 ss. 110 Vedi pp. 211 ss.

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Fig. 57 – a) Porzione della stele in travertino da cui è stato prelevato il campione; b) Particolare del punto di prelievo.

← s

← i

Figg. 58-59 – 58. Sezione sottile petrografica. Osservazione in luce riflessa (40×); 59. Particolare del punto di prelievo.

a b

← p

← t

Fig. 60224 – a) Sezione sottile petrografica. Osservazione a nicol paralleli (40×); b) Sezione sottile petrografica. Osservazione in luce riflessa (40×).

© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale a b

Fig. 61 – a) Porzione della stele da cui è stato prelevato il campione; b) Particolare del punto di prelievo.

Descrizione microscopica: il frammento è costituito da gesso microcristallino (g) derivante da un processo di solfatazione del substrato di travertino, e cioè dalla trasformazione in solfato di calcio biidrato della calcite (carbonato di calcio), componente primario del materiale lapideo. Lo spessore di questa porzione è di circa 0,5 mm. La parte più superficiale del frammento è costituita da un sottile strato di crosta nera (c) dello spessore di circa 0,03 mm. Si tratta di pulviscolo atmosferico, inglobato in una matrice di gesso aciculare, in cui risalta la pre- senza del particellato carbonioso che conferisce la colorazione scura. Sia il processo di solfatazione che le croste nere sono diretta conseguenza della esposizione della stele in un’atmosfera particolarmente inquinata quale quel- la dell’ambiente urbano (Fig. 62).

CAMPIONE 4 (STELE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI SIENA – N° INV. 184531) Descrizione macroscopica: frammento di travertino prelevato dalla stessa faccia laterale da cui proviene il campione precedente, ma con patina superficiale che all’osservazione diretta appare di tipologia diversa (Fig. 63). Descrizione microscopica: sulla superficie del travertino, essenzialmente costi- tuito da calcite microcristallina, è presente uno strato del tutto simile a quello descritto per il campione precedente, con la sola differenza che in questo caso lo spessore del gesso microcristallino derivante dal processo di solfatazione appare assai variabile e, in generale, molto più ridotto (Fig. 64).

225

© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale a b a b

← c

← g

Fig. 62 – a) Sezione sottile petrografica. Osservazione a nicol incrociati (40×); b) Sezione sottile petrografica. Osservazione a nicol paralleli (40×).

Fig. 63 – Particolare del punto di prelievo.

a b

Fig. 64 – a) Sezione sottile petrografica. Osservazione a nicol incrociati (200×); b) Sezione sottile petrografica. Osservazione a nicol paralleli (200×).

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4.3.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Lo studio di carattere petrografico e mineralogico, eseguito su tracce di diverso tipo di pellicole o patine presenti sulle superfici delle due stele etrusche in travertino del territorio senese, ha consentito di rilevare utili ele- menti conoscitivi per la ricostruzione delle vicissitudini che hanno interessa- to i due reperti dal momento della loro costruzione. Tali vicissitudini sono riconducibili a eventi di natura antropica e/o di natura ambientale. Sulla stele del Museo Archeologico di Colle Val D’Elsa sono stati rile- vati relitti di un intonachino grigiastro di rivestimento cui è sovrapposta una sottile finitura a calce pigmentata con nero di carbone. Tali relitti sono chia- ramente riconducibili ad un intervento decorativo. In alcune parti della stes- sa stele si rileva anche la presenza di una pellicola di color ruggine la cui origine è verosimilmente da attribuire ad un deposito di ossidi e idrossidi di ferro da parte di soluzioni che hanno lisciviato materiale metallico. Sembra da escludere, infatti, che possa trattarsi di una finitura pittorica: la colloca- zione della pellicola in un settore molto limitato della stele e la morfologia dello stesso settore rendono assai probabile la genesi da un processo chimico del tipo di quello citato che abbia coinvolto un preesistente oggetto metallico come, per esempio, una staffa utilizzata per l’ancoraggio della stele, molto probabilmente in tempi successivi al suo ritrovamento. Sulla stele del Museo Archeologico di Siena sono relativamente diffusi, in particolare sulle facce laterali a minore larghezza, tracce di fenomeni altera- tivi connessi con l’esposizione del reperto agli agenti atmosferici. Tali fenome- ni si estrinsecano in un processo di solfatazione del substrato lapideo e in so- vrastanti croste nere. Ambedue i fenomeni sono diretta conseguenza della per- sistenza della stele in un’atmosfera particolarmente inquinata quale quella del- l’ambiente urbano; più precisamente, l’esposizione delle facce della stele su cui esse si manifestano (sono del tutto assenti nella faccia in cui compaiono le scritte) doveva essere in ambiente esterno ma non soggette all’azione diretta della pioggia battente o ad intenso dilavamento meteorico. Dalla morfologia e composizione del particolato carbonioso, tipiche dei residui della combustione di idrocarburi oleosi (microsfere spugnose), si può evincere che tale esposizio- ne è avvenuta in un arco di tempo relativamente recente e, quindi, breve, come si può dedurre anche dallo spessore della crosta nera. L’attuale ubicazione della stele all’interno del museo, ha sostanzialmente interrotto il processo di degra- do ed esclude pertanto qualsiasi problema di conservazione del reperto. Tutti gli elementi rilevati mediante le analisi delle superfici lapidee del- le stele potranno trovare un ulteriore e più compiuto significato nel quadro generale delle ricerche effettuate da parte delle varie competenze che hanno affrontato lo studio dei due reperti archeologici.

GIOVANNI GUASPARRI, MARIA GRAZIA NARDELLI, ANDREA SCALA

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 65 – Stampa di Giovanni Stradano (Jean Van Der Straet) relativa all’assedio di Monteriggioni del 1554 (Anversa 1584). Collezione: Ettore Pellegrini; foto: Fausto Lucherini.

4.4 Il ritorno degli Etruschi a Monteriggioni

4.4.1 NOTE SULLA STAMPA DI COPERTINA La stampa raffigura l’attacco condotto contro la fortezza senese di Mons Regonis, alla fine d’Agosto del 1554, dalle truppe imperiali e fiorentine, ri- spettivamente definite, nel linguaggio recuperato all’antichità classica e nel pieno del revival etrusco sotteso all’ideologia medicea, “Caesarianis et Aetruscis”. Non a caso, quando pochi anni dopo, Cosimo dei Medici avrebbe acquisito la sovranità di tutta la Toscana, unificata nel nuovo assetto grandu- cale, si sarebbe significativamente chiamato “Magnus Aetruriae Dux”. L’opera, incisa su rame da Filippo Gallo su disegno del celebre Giovan- ni Stradano (Jean Van Der Straet), fa parte di una collezione di stampe pub- blicata ad Anversa nel 1584 e intitolata: Mediceae Familiae Rerum Gestarum Victoriae et Triumphi a Johanno Stradano delineata et a Philippo Galle in aes incisa et edita.

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© 2004 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Nella figura, il turrito rilievo di Monteriggioni domina la scena del- l’arrivo delle truppe e della messa in postazione delle artiglierie imperiali, raffigurate con grande dovizia di dettagli davvero straordinari per fedeltà e chiarezza, che offrono un’importante testimonianza sulle caratteristiche di questi armamenti e del loro impiego in batteria durante il XVI secolo. Meno decifrabile l’iconografia del castello, anche se un autorevole commentato- re111 interpreta la veduta come se fosse stata ripresa da settentrione, con in primo piano la porta di ponente posta a cavaliere dell’antica cerchia di mura e il moderno rivellino che la protegge e ne migliora la capacità difen- siva di per sé obsoleta, in quanto inefficace contro l’azione delle moderne armi da fuoco. La costruzione di questa struttura, di forma rettangolare e, probabilmente, realizzata in semplice terrapieno, è attestata nell’ambito di una vasta operazione di ammodernamento delle difese territoriali attuata dalla Repubblica di Siena tra il 1553 e il 1554. È noto l’andamento delle operazioni militari ritratte sulla stampa, che videro la resa del presidio senese dopo poche salve di artiglieria per il tradi- mento del comandante, il fuoriuscito fiorentino Giovannino Zeti.

ETTORE PELLEGRINI

111 BARSACCHI 1983, p. 102 fig. 10.

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