Prefazione Di Bruno Giordano
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Prefazione di Bruno Giordano Il mio ricordo di Giorgio inizia nella stagione 75-76, quando vincemmo il tricolore con la Lazio Primavera, eravamo solo una banda di ragazzini, sui 12-13 anni, amici anche fuori del campo. Questo la dice lunga sullo spirito e le qualità fisiche e tecniche di quel gruppo. Allievi e primavera, anni e campionati straordinari! Mancò la vittoria del torneo di Viareggio, dove arrivammo a disputare due finali perse, purtroppo, contro Fiorentina e Napoli. La sconfitta contro i partenopei, per me, rappresentò una delle più grandi delusioni calcistiche della mia vita: infatti l’arbitro non convalidò una rete perché non si accorse che la palla aveva superato la linea bianca della porta di ben un metro… Dopo questa sconfitta me ne andai per due giorni ad Ostia insieme a Manfredonia e Di Chiara e questa fu la mia prima, grandissima, delusione nel mondo del calcio! In seguito, ci siamo rifatti quando conquistammo il titolo contro la Juventus, di fronte a tante persone presenti sugli spalti. Quando arrivavo a Tor di Quinto per fare gli allenamenti e mi vedevo Giorgio là davanti, specialmente per me, un ragazzino di Trastevere che giocava in attacco, era un sogno, qualcosa di inimmaginabile. Giorgio era un grande conoscitore di calcio e, quando giocavo ancora nella Lazio Allievi, un giorno andò da Lenzini, annunciando che se fosse stato per lui avrebbe comprato tutta la squadra, ma il presidente gli rispose : “ Che sei pazzo ?”. Giorgio, di rimando, disse ancora: “ Allora dammi il cartellino di Giordano!”. Lenzini rifiutò, ma a me fece un immenso piacere sapere che un grande calciatore come Giorgio avesse questo debole per me. In quel periodo, mi allenavo a fianco di quella grande squadra e il nostro campo di allenamento era poco distante dal loro poi, di tanto in tanto, Maestrelli ci invitava a fare delle partitelle di allenamento. Il giovedì, insieme ad altri compagni di squadra, tra i quali Agostinelli e Manfredonia, andavamo a giocare con la formazione delle riserve contro i titolari. Erano partite vere, in cui si davano e si prendevano tante botte! Io non vedevo l’ora che arrivasse il giovedì o il venerdì nella speranza che Maestrelli mi invitasse a disputare questi incontri. Il 5 ottobre del 1975 a Genova, fu il giorno del mio esordio in serie A, contro la Sampdoria, io indossavo la maglia numero undici e al mio fianco c’era Giorgio con la casacca numero nove. L’arbitro Barbaresco al novantesimo, prima di un fallo laterale, disse che ci era andata bene perché eravamo riusciti a pareggiare una gara dominata dalla Sampdoria. Pulici parò tutto, presero pali e traverse. Su quel fallo laterale si sviluppò l’azione che ci portò alla rete della vittoria. Chinaglia tira, un difensore blucerchiato respinge il pallone, la palla arriva a me, chiudo gli occhi e tiro: la mia prima rete nel massimo campionato ! Ancora ricordo la gioia di Luciano Re Cecconi, negli spogliatoi, che mi venne ad abbracciare, grandi sensazioni per un ragazzo come me appena proiettato in quella grande Lazio che poteva puntare alle prime posizioni. Alla quarta di campionato contro il Bologna, segnai ancora su passaggio di Chinaglia, in una partita terminata sull’ 1-1, nella gara di esordio di Manfredonia. Contro l’Inter, Giorgio segnò mentre io rimediai una bella distorsione, così rimasi fermo per parecchio tempo e rientrai in campo proprio quando Giorgio, di notte, partì per gli Stati Uniti in maniera rocambolesca. Fu un vero balzo in avanti fino a quella partita tra Fiorentina e Lazio del 2 maggio del 1976 che, per me, rappresentò quasi un nuovo esordio. Lo considero tale perché era la prima volta che indossavo la maglia numero nove, una grande responsabilità visto che tra noi giocatori non la voleva nessuno… Maestrelli lasciava le magliette sul tavolo dello spogliatoio, perché ognuno sapeva quella che avrebbe indossato: Wilson la numero quattro, Re Cecconi la numero otto, e quella domenica rimasero la numero dieci e la nove. La prima se la prese Vincenzo D’Amico e così a me rimase la nove. Forse, allora, neppure sapevo che grande responsabilità significava mettere una maglia così importante, ma l’incoscienza dei diciannove anni me la fece indossare con una leggerezza che mi aiutò. Forse, ne avrei preferita un’altra ma, poi, quella maglia divenne benedetta: da quel giorno non l’ho più tolta e mi ha accompagnato per tutta la mia carriera. All’epoca pensavo a tutto tranne che a giocare con la numero nove, mi sentivo più un numero dieci. Indossai quella maglia e il segnare una rete così bella alla Fiorentina, dopo pochi minuti, mi ha dato fiducia e da quel momento l’ho portata senza più timore. Il fatto di essere così giovane non mi fece pensare che, quella, era la maglia più pesante della Lazio. Quella stagione si concluse a Como con una delle partite più importanti della storia della Lazio, una gara dimenticata da molti, ma che fu epica con Maestrelli malato in panchina, perché dopo venti minuti eravamo già sotto di due reti ma che riuscimmo a pareggiare grazie a un grande Re Cecconi, a una mia rete e ad una di Badiani che corse sotto la curva occupata da più di 10.000 tifosi laziali. Così la Lazio riuscì ad evitare la retrocessione. Maestrelli era una persona straordinaria, un papà, poi per noi che venivamo dalla primavera, arrivare a contatto con la prima squadra, con persone quasi inavvicinabili costituiva la realizzazione di un sogno! Ricordo che per sdrammatizzare, prima della gara contro la Fiorentina, avevo indossato la maglia numero nove e Maestrelli, che a differenza di me sapeva a cosa andavo incontro, quando mancavano venti minuti all’inizio della partita e stavamo riscaldandoci nei corridoi dello spogliatoio, mi chiamò insieme a Wilson: “Vieni, vieni, un attimo qua? “, c’erano delle cuffie della radio attaccate alla porta e mi dissero di metterle perché Sandro Ciotti voleva farmi un’intervista. Il mister mi diede le cuffie dicendomi: “Vai e parla”, così dissi: “Pronto dottor Ciotti” ma non sentivo niente, loro insistevano dicendomi di parlare più forte, ma dall’altra parte del filo non c’era nessuno... Fu solo un modo per rompere la tensione. La malattia di Tommaso influenzerà non poco il corso della storia della Lazio e di Giorgio, che in Italia senza di lui non aveva più un padre e non poteva contare sulla sua famiglia che già viveva negli Stati Uniti. Da lì a breve, iniziarono subito i paragoni su chi fosse più bravo ma avevo solo diciannove anni e tutto mi scivolava addosso senza conseguenze, forse se avessi avuto già venticinque, ventisei anni sarei stato travolto da un simile confronto. Per me era impensabile che, a distanza di solo qualche mese, si facessero già simili paragoni. Essere giovane e sfrontato mi aiutò tantissimo. Quando facevo il raccattapalle, la prima volta fu in un derby pareggiato con reti di Dolso e di Petrelli, non vedevo l’ora che venisse Giorgio per restituirgli il pallone. Allora era compito dei più giovani portare le borse e le prime volte che, aggregato dalla primavera, andavo con la prima squadra, cercavo sempre di accaparrarmi la borsa di Chinaglia, per portarla dentro gli spogliatoi. Quando tornò, poi, come presidente, chiamò me e Lionello Manfredonia per dirci che aveva intenzione di realizzare una grande squadra, nei suoi disegni c’erano Zico e Junior poi, non potendo arrivare a certe cifre, ripiegò su Batista e Laudrup. Il rapporto rimase buonissimo, come quando eravamo compagni di squadra, e mi offrì la fascia di capitano nella stagione 1983-84 ma, di comune accordo, decidemmo di darla a Batista: io non la volli perché mi faceva sentire vecchio… La presi, però, nella stagione successiva. La prima stagione fu abbastanza disgraziata, mi feci male ma riuscimmo a salvarci lo stesso a Pisa nell’ultima giornata. La stagione successiva il rapporto, per incomprensioni create ad arte dalla stampa, si deteriorò un poco. Ricordo, ancora, la rete nel mio ultimo derby sotto la Curva Sud di testa, con la tristezza di chi sapeva che non avrei mai più giocato un altro derby. Il 1 aprile del 2012, arriva inaspettata la brutta notizia della sua morte, all'inizio pensavo quasi fosse uno scherzo, vista la data... Io l’avevo sentito al telefono solo un mese prima quando, in macchina con Oddi, Giorgio, di buon umore, mi disse: “Ti è andata male a Terni eh?”, ma sapevo che Giorgio scherzava perché mi ha sempre voluto bene. Ancora oggi non ci credo, quando mi incontro con Giancarlo Oddi, parliamo di come sia incredibile che un uomo, così grande e così forte, possa essersene andato via troppo presto, ma questa è la vita e non posso far altro che portarlo nel cuore, per sempre. Bruno Giordano Bruno Giordano foto di Valentino Prestano Prefazione di Antonio Grinta Giorgio Chinaglia - scrivere di Chinaglia non è semplice, soprattutto per una generazione, come la nostra, che ha vissuto questo grande calciatore fin da ragazzini. Giorgio, Giorgione, Long John, Giorgio goal, Giorgio il presidente, praticamente ha segnato la storia della mia Lazio, dalla fine degli anni sessanta fino ad oggi. I miei ricordi sono tanti, dal ritorno in serie A del 1972, con Giorgione che segna a Genova contro i rossoblù e corre verso i tifosi biancocelesti saliti in quel di Marassi, alle partite della nazionale che vedevo solo quando giocava lui, e se veniva sostituito uscivo e spengevo la tv. Chinaglia ha rappresentato la mia gioventù, i miei primi anni in curva, i primi gruppi dei tifosi organizzati, “Giorgio Goal”…era lo slogan più diffuso, lo ripetevo allo stadio, lo scrivevo sui muri.