Massimo Morgia Ricominciamo a Giocare a Pallone 2 Ricominciamo a Giocare a Pallone Introduzione

L’estate è sicuramente la stagione che preferisco: amo il sole e il mare è un richiamo a cui mai saprei rinunciare. Del mare apprezzo tutto, mi piace quando è azzurro come il cielo e mi emoziona vederlo anche quando è in tempesta. Mi piace contemplarlo e qualche volta sfidarlo, ed è lì che soprattutto posso rilassarmi con il mio hobby preferi- to, la pesca. Non importa se armato di canna o di pinne e fucile, sopra o sotto l’acqua, mi sento in pace con me stesso e con il mondo. Dell’inverno al contrario non apprezzo nulla, pioggia e freddo mi incupiscono e le giornate corte mi rattristano. La neve è bella solo a vederla in cartolina, però c’è il Natale: quei pochi giorni che lo precedono sono molto belli e mi mettono buon umore ed allegria. Vedere gente indaffarata e contenta nello scegliere i regali, respirare un po’ “quel sentirsi più buoni”, riaccende la speranza di un mondo migliore. Ritorniamo tutti un po’ bambini, più disponibili e generosi, più attenti ai valori importanti e soprattutto più vicini alle persone care, che siano di famiglia o semplici amici. Scegliere un pensiero da donare mi rende felice più che riceverlo, ma al contempo mi sento ansioso e un tantino nervoso, la paura è quella di essere banale e scontato. Se poi il regalo da scegliere è per quelle persone che gravitano intorno al mio lavoro (giocatori ,collaboratori , dirigenti, giornalisti e tifosi) diventa ancora più impegnativo e gravoso sia per questioni puramente economiche, come al solito per i ricchi è tutto più semplice, che per le diversità dei gusti, accontentare tutti non è semplice. Quest’anno, inoltre, la scelta è stata ancora più difficile, perché da undici mesi, cioè dal mio arrivo a Pistoia, le persone che mi sono state vicine sono state semplicemente straordinarie, per quello che mi hanno dato dal lato professionale ma soprattutto sotto il punto di vista umano e morale. Quattro anni fa avevo deciso di lasciare la panchina perché nauseato da un calcio diventato più violento e stressante, sempre meno sport e gioco e sempre più business. Le mie dimissioni dalla Juve Stabia come segno di protesta all’aggressione subita da due calciatori da parte di pseudo- tifosi, mi avevano portato alla ribalta dei media nazionali. In quei giorni fioccarono interviste, ne parlarono i telegior- nali e LA7 fece un’inchiesta. Il culmine fu quando andai ospite a “ Quelli che il calcio”, intervistato in studio da Simona Ventura sul mio problema, e più in generale sulla vio- lenza degli stadi italiani. Così tante luci su di me non le avevo mai avute. Pensavo di fare la cosa giusta difendendo il mio lavoro e l’ambiente in cui ero cresciuto, ma dopo dieci giorni tornò tutto come prima, e i riflettori tornarono dove erano sempre stati. Il calcio ha continuato come sempre, anzi peggio di sempre. Tutto quel clamore ave- va finito con l’isolarmi e allontanarmi ancora di più dal mio mondo e in quei mesi, anzi anni, ho pensato davvero che la mia avventura nel calcio come allenatore fosse finita. Fu allora che in maniera casuale e per nulla convinta mi iscrissi al corso per Di- rettori Sportivi nonostante la consapevolezza di essere “un uomo di campo” e non “da Ricominciamo a Giocare a Pallone 3 scrivania”. Scrivere la tesi (vengo dal mare, vivo sulla terra, sogno di volare) , comunque mi ha divertito perché scrivere è stato da sempre un mio pallino. Lo facevo anche da giocatore. Un anno dopo la tesi ho pubblicato sul notiziario del settore tecnico un’analisi sul setto- re giovanile ( appunti, riflessioni, proposte). Nei due lavori racconto il calcio che fu, quello che è attualmente e quello che vorrei che fosse. “ Ricominciamo a giocare a pallone” è dunque la raccolta dei miei due scritti fatti a Coverciano e per Coverciano, ma rimasti tali, semplici scritti che nessuno ha mai preso in considerazione. Se non fosse stato per il mio amico che mi ha volu- to a Livorno come suo primo collaboratore, molto probabilmente avrei passato per un anno e mezzo le mie giornate sul molo di Viareggio alla ricerca spasmodica della spigola della vita. Ma è anche quello che ho cercato di mettere in pratica in questi undici mesi a Pistoia, sia dal lato tecnico e organizzativo che, soprattutto, morale. Mi auguro che si ricominci a giocare a pallone, io intanto grazie ai miei giocatori- collaboratori, media, tifosi e in particolare grazie al Presidente Orazio Ferrari che ha condiviso e avallato le mie scelte dandomi la forza e la serenità per portarle avanti, ho ricominciato a fare la cosa che più amo, allenare, e lo accio come avrei sempre voluto: da manager a tutto tondo, attento alla gestione tecnica e anche economica, con un occhio sulla comunica- zione e l’altro sull’organizzazione generale e curando in particolar modo i programmi e la struttura tecnica, tattica ed educativa di tutto il settore giovanile. Il mio piccolo regalo di Natale è quindi questo libretto che dedico con tutto il cuore a tutti quelli che mi hanno aiutato e sopportato in questi undici mesi, per ringraziarli ancora una volta delle tante emozioni che mi hanno dato. Il regalo più grande però dobbiamo riuscire a realizzarlo insieme, facendo di Pistoia e della Pistoiese un modello da imitare, un calcio vincente giocoso e spettacolare, ma soprattutto in stile con i valori espressi su quella pergamena che abbiamo regalato a tutti i ragazzini del nostro settore giovanile. I sogni hanno l’aria di essere delle utopie ma ai confini delle utopie si collocano i grandi progetti, ed il mio vede il calcio - ancora e nonostante tutto - come un insieme di valori e simboli positivi.

4 Ricominciamo a Giocare a Pallone CARI GENITORI …

Il calcio è un gioco per tutti Il calcio è gioia Il calcio è creatività Il calcio è appartenenza Il calcio è onestà Il calcio è lealtà Il calcio è semplicità Il calcio unisce e non divide PENSIAMO CHE… Se il bambino viene CRITICATO, impara a CONDANNARE Se vive nell’OSTILITA’, impara ad AGGREDIRE Se vive DERISO, impara la TIMIDEZZA Se vive VERGOGNANDOSI, impara a sentirsi COLPEVOLE Se vive con la paura della SCONFITTA, perde l’entusiasmo per la VITTORIA Se vive trattato con TOLLERANZA, impara ad essere PAZIENTE Se vive nell’INCORAGGIAMENTO, impara la FIDUCIA Se vive nell’APPROVAZIONE, impara ad APPREZZARE Se vive nella LEALTA’, impara la GIUSTIZIA Se vive con FANTASIA, impara a CREARE VI RICORDIAMO CHE.. Il calcio è nato su campetti improvvisati … negli oratori … sulla strada … NOI VOGLIAMO RICOMINCIARE DA QUI

Pergamena regalata ai bambini del settore Giovanile della Pistoiese

Ricominciamo a Giocare a Pallone 5 6 Ricominciamo a Giocare a Pallone Vengo dal mare… Vivo sulla terra… Sogno di volare…

Ricominciamo a Giocare a Pallone 7 8 Ricominciamo a Giocare a Pallone Antefatto

Ritengo il professore Accame un profondo conoscitore del calcio e soprattutto un maestro nel mondo della comunicazione. Chi, quindi, meglio di lui poteva darmi un parere ed un consiglio sul progetto di un sito internet rivolto al mondo del calcio? Nel mese di gennaio ero a Coverciano esclusivamente per questo e fu in quell’occasione che seppi del bando di concorso per direttori sportivi e, sotto consiglio del prof., decisi di iscrivermi. Prima di iniziare la mia tesi di fine corso tengo a mostrare, perciò, il mio progetto. Questo sito sul mondo del calcio nasce con lo scopo di aprire un dibattito serio su quello che è il nostro sport nazionale, dando voce a tutte le componenti (tecnici, calcia- tori, direttori, dirigenti societari e federali, arbitri, giornalisti, tifosi organizzati e non, sponsor tecnici e pubblicitari). Il fine? Trovare soluzioni costruttive che possano miglio- rare un ambiente inquinato da logiche di potere ed economiche, un ambiente che sta via via perdendo le sue qualità naturali e primarie. L’apporto che cerco di dare proviene da un’esperienza quarantennale che affonda le sue radici nel variegato mondo della , con tutte le sue complessità strutturali ed umane, vissuto prima da calciatore e poi da allenatore, che si è formato, però, come istruttore nei settori giovanili. Un percorso che mi ha permesso di avere una visione d’insieme completa e ricca di tante sfaccettature utili all’arricchimento culturale e umano della mia professione. Premetto che ho sem- pre svolto quest’attività, non prescindendo mai dalla consapevolezza di sentirmi prima uomo di sport e poi professionista. So di aver avuto la fortuna e il privilegio di rendere lavoro la mia passione giovanile: il gioco del calcio. Quindi, questo è un ambiente che credo di conoscere bene e di amare in maniera altrettanto forte, ed è il motivo che mi ha spinto a creare un sito e di metterlo a disposizione di tutti coloro che vogliono dare un contributo, per rendere il calcio più vivibile e più umano. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: questo calcio corrotto e malato, dove conta soltanto vincere e, per vincere, tutto diventa lecito dal doping alla corru- zione, ai passaporti falsi, al totonero, alla violenza, al compromesso. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: false soluzioni, denunce alle Pro- cure o al Tar, di bilanci drogati, di fallimenti e ripescaggi, di inchieste e processi, di scudetti, di promozioni e retrocessioni assegnati a tavolino, di punti di penalizzazione dati e poi magari tolti con grave nocumento per la regolarità del campionato. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: partite giocate a porte chiuse, di trasferte vietate, di stadi blindati, di cori offensivi, di insulti razzisti e, soprattutto, di tifosi violenti. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: un mercato sempre aperto, di tra- smissioni televisive dove l’aspetto tecnico-tattico è solo un accessorio quasi fastidioso e dove domina la logica della rissa verbale, per fare audience.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 9 • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: gossip crescente, chiacchiere sui giornali, titoli esplosivi, capaci solo di fare salire la tensione e alimentare polemiche, che surriscaldano animi che non aspettano altro per creare problemi di ordine pub- blico. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: chi simula in campo, delle risse fra calciatori, delle sceneggiate per ottenere magari un’ammonizione dell’avversario. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: discorsi triti e ritriti dei presunti esperti o di chi dell’opinionista ha fatto una professione. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: assistere alle partite dei bambini e vedere in tribuna genitori e parenti che si comportano come il peggiore degli ho- oligan. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: società ricattate dai tifosi o di società che usano i tifosi per ricattare i tesserati. • Un sito per tutti quelli che non ne possono più di: sindacati unici, monopolisti, che si occupano di tutto il calcio, dalla A alla C2. • Un sito per tutti quelli che vorrebbero che il calcio fosse uno sport capace di tra- smettere valori positivi, dove il rispetto delle regole e dell’avversario, dove la lealtà e l’onestà abbiano ancora un senso. • Un sito per tutti quelli che vorrebbero che gli stadi tornassero a riempirsi, magari di famiglie e di bambini. • Un sito per tutti quelli che vorrebbero che finalmente non ci fossero più barriere e che le sconfitte fossero accettate senza isterismi. • Un sito per tutti quelli che vorrebbero che le partite durassero 90 minuti e non una settimana e che il terzo tempo non fosse imposto dalle regole ma • spontaneo, dettato dall’etica e dalla natura stessa dello sport. • Un sito per tutti quelli che vorrebbero vedere le curve colorate e tifosi appassionati, ma lontani da ogni ideologia politica e da ogni forma di violenza.

UN SITO CHE SIA UNA PALESTRA DI IDEE PER TUTTI QUELLI CHE VOGLIONO DARE UN CONTRIBUTO PER CERCARE DI RENDERE MIGLIORE IL CALCIO.

10 Ricominciamo a Giocare a Pallone Premessa

Da: “Strategia come cammino tra l’esperienza e l’esplorazione”(G. Piantoni, Strategia come cammino tra l’esperienza e l’innovazione, 2008)

“L’esperienza è la vera ricchezza, sia di un’impresa che di una persona. Il tem- po che passa si deposita, lentamente ma in modo ineluttabile, nella nostra vita. L’esperienza non è soltanto un punto di riferimento, ma anche una ricchezza. Il curriculum vitae è la nostra esperienza, la storia dei nostri progressi, l’evidenza delle nostre competenze distintive costruite nel tempo. Non sempre l’esperienza è positiva. A volte lascia cicatrici, dolorose e ben visi- bili. Ma non si perde una guerra per il niente. Le sofferenze fanno parte della cresci- ta. L’esperienza ha una grande caratteristica: è unica. Le conoscenze che l’esperienza ci dà si dividono in tecniche e artistiche. Viviamo in un contesto di discontinuità e di accelerazione e le conoscenze tecniche con lo scorrere del tempo si dimezzano o evaporano; quelle artistiche, come la capacità di gestire persone, problemi e idee, crescono. Si pensa che sia l’esperienza il punto di partenza verso il futuro. A volte potrebbe succedere l’opposto: il futuro non è davanti a noi, ma alle nostre spalle. Coelho nel suo libro “L’alchimista” scrive: . Il futuro è quindi un sogno: il sogno desiderato. A prima vista. I sogni hanno l’aria di essere delle utopie, ma ai confini delle utopie si collocano i grandi progetti di vita. Per passare dall’esperienza all’esplorazione esistono due scorciatoie: i rischi e gli errori. Ma fondamentale per passare dall’esperienza all’esplorazione sono le radici e per noi le radici sono i nostri maestri: persone fisiche, che abbiamo incontrato per pochi minuti o per tutta la vita, che ci hanno regalato dei valori con l’incarico di trasmetterli ad altri. Ma per passare dall’esperienza all’esplorazione il cammino più utilizzato sono i modelli. I modelli come la vita evolvono e migliorano. Non ci sono modelli infallibili e nessun modello spiega tutta la realtà”.

In questo lavoro, dunque, c’è la mia esperienza di 40 anni vissuti nel calcio, prima da calciatore e poi da allenatore. C’è insomma il mio curriculum vitae con i rischi che mi sono preso e i tanti errori commessi. Ci sono le mie radici e i tanti maestri (allenatori-calciatori-presidenti-direttori-gionalistidocenti-tifosi), perché in fondo tutti hanno arricchito le mie conoscenze. Ci sono i modelli a cui mi sono ispirato ed infine c’è il mio sogno, il mio progetto di vita che, nonostante tutto, vede il calcio ancora come una metafora di valori e simboli positivi. Non mi ritengo un professore, nè tanto meno un giudice. Quello che ho scritto

Ricominciamo a Giocare a Pallone 11 sono solo le mie emozioni, le mie esperienze e la mia speranza. Non è la storia del calcio degli ultimi 40 anni: è solo il mio calcio vissuto e visto da dentro, con la mia testa, e lo racconto senza paura, senza rimorsi e senza rimpianti, come direbbe il professor Gianfranco Piantoni, a cui vanno i miei ringraziamenti perché, attraverso i suoi scritti, ho trovato l’ispirazione per questa mia tesi.

12 Ricominciamo a Giocare a Pallone Capitolo 1 Vengo dal mare…

All’inizio non ero cosciente della mia esistenza. Percepivo tutto, tranne me, essere vivente. Avevo visioni fosforescenti di forme che subivano ininterrottamente metamorfosi, originando corpi che non potevano ricordarne altri, date le mie conoscenze. Ad un tratto giunse il colore, si unì alle forme e lo stridore prodotto da tale fusione fu assordante. Vivevo strani palpiti tonali che nei miei passaggi successivi scomparvero. La mia fantasia era sollecitata dalla velocità e dalla fantasmagoria delle unioni ma, tutto sommato capisco la loro bellezza solo oggi, quando il ricordo, o forse meglio il rimpianto, sovrapponendosi alla realtà immediata, trasale e purifica, ingigantisce ed esalta quel miracolo irripetibile. La mia velocità non era inferiore a quella delle forme descritte e il liquido che mi avvolgeva permetteva slittamenti repentini. Una sola cosa mi angosciava: il fatto di non poter dialogare con me stesso. Le sensazioni rimanevano tali senza che io All’interno riuscissi a giustificarle, a capirne un perché. E l’equilibrio che in millenni ero riuscito a crearmi fu infranto un giorno accecante quando un’onda più forte mi vomitò sulla terra- rimpiansi sperando.

Giampaolo Bianchi

Ricominciamo a Giocare a Pallone 13 Roma, 10 Giugno 1968 Italia – Jugoslavia 2 – 0 Campioni d’Europa Diciassettenne, mi ritrovo a saltare ubriaco di felicità sul prato verde dell’Olimpico, al grido di “campioni campioni”. L’Italia ha battuto la Jugoslavia ed è Campione d’Eu- ropa per la prima volta. Sono un giovane tifoso dell’Italia e dell’Inter di Mazzola, ma anche un giovane calciatore che spera, al prossimo Europeo, di essere in campo insieme al suo idolo. Il sogno comincia…

1.1 Il Calciatore Sono stati gli anni del calciatore, dalle giovanili all’Omi Roma, all’esordio giovanis- simo in . Poi, inizia l’avventura in serie C Rovereto, Bolzano, Nocerina, Lucche- se, Montecatini, infine l’esperienza a Pietrasanta, in serie D, al declinare della carriera, spinto dall’amicizia che mi legava ad Alessandro Bianchi, l’ allenatore di allora. Vedere il mondo (India, Africa, Stati Uniti) con la Nazionale Dilettanti: è tutto sommato una delle cose più belle che il calcio mi ha dato.

1.2 Calciatori Guasconi e goliardici, in stragrande maggioranza conservatori; molti erano sposati. Allora si sposavano giovanissimi. All’interno del gruppo i giocatori più anziani facevano sentire la loro pressione; l’ambiente era senz’altro cameratesco ed il nonnismo, almeno fino a fine anni ‘70, era imperante. Per i più giovani l’ambientamento non era mai sem- plice. In pochi studiavano, anzi qualcuno lavorava. I contratti li discutevamo nei giorni di ritiro precampionato direttamente con il presidente; potevamo non trovarci d’accordo per cinquecentomila lire, finivi così “all’A- ventino”, continuavi cioè ad allenarti ma non partecipavi alle partite amichevoli, finché non trovavi l’accordo, magari sfruttando la sera in cui il presidente era particolarmente su di giri. Fra noi raramente si parlava di tattica e non sindacavamo mai sui sistemi di allena- mento, amavamo poco la parte atletica e, nelle partitine, qualche volta finiva a cazzotti. Non intendevamo fino in fondo il gioco del calcio come una professione e lottavamo con i genitori, che ci consigliavano un posto di lavoro fisso. Lo spirito di appartenenza era forte. Le sconfitte non venivano vissute come una tragedia e la gioia delle vittorie era esaltata dai premi partita. Conoscevamo poco o quasi niente gli allenatori avversari, un tantino di più i nostri colleghi, e gli arbitri erano per noi solo fantasmi vestiti di nero. La vita era segnata dagli orari del pranzo, della cena o della convocazione mattutina in sede e na- turalmente alle 22 era fissata la ritirata nei nostri alloggi, dove sovente arrivavano i controlli. Non avevamo molta libertà, frequentare una ragazza significava incontrarla

14 Ricominciamo a Giocare a Pallone in posti dove nessuno poteva vederti: gli spazi antistanti i cimiteri erano, non appena faceva buio, i posti migliori per un appuntamento. Le nostre tasche erano sempre piene di gettoni telefonici, per chiamare casa o la ragazza. E, la sera prima di dormire, una rilettura dell’ultima lettera che lei ti aveva mandato era il modo migliore per sentirsi più vicini a casa…

I Maestri “i nostri maestri: persone fisiche, che abbiamo incontrato per pochi minuti o per tutta una vita, che ci hanno regalato dei valori con l’incarico di trasmetterli ad altri” (G. Piantoni, Strategia come cammino tra l’esperienza e l’innovazione, 2008)

1.3 Allenatori: Losi-Giorgis - Pasinato - Meregalli - Alzani Tutti ex calciatori di primo livello, interpretavano la professione rispecchiandosi nel loro passato. Dal martedì al sabato con l’uno o con l’altro il programma era sempre il medesimo. Martedì e mercoledì, dopo il solito riscaldamento, la parte atletica. Corsa lenta-allunghi-scatti. Ostacoli e palla medica per la forza, poi cross e tiri in porta, quindi la partitina finale a concludere l’allenamento a cui, nove volte su dieci, partecipava- no anche loro. Il giovedì la partita a tutto campo; titolari contro riserve più qualche giovane della Berretti. Venerdì calcio-tennis, bagno e massaggi; sabato riscaldamento, qualche scatto e la partitina. La tecnica individuale, da soli o a coppie, era la parte che più curavano con dimostrazioni e correzioni. Palleggi, stop, colpi di testa, conduzioni e trasmissioni non mancavano mai nel menù giornaliero. Gestivano il gruppo con au- torevolezza, ma in maniera molto paternalistica. Erano uomini di princìpi e valori, tra- sparenti e puliti; come i padri, “rompevano” molto sulla vita privata e contestavano chi, come me, cominciava a farsi allungare i capelli. Non vivevano lo stress né da risultato, né da esonero (visto che allora era ancora costume rarissimo) e trasmettevano serenità. Non parlavamo mai di tattica, ma solo di formazione e marcature: d’altronde quello era il calcio di allora, dove tutti giocavamo allo stesso modo; il 2 marcava l’11, il 3 il 7, il 4 il 10 e così via, e dove, almeno inizialmente, esisteva solo una sostituzione e chi si infortunava, per non lasciare la squadra in dieci, andava a giocare all’ala sinistra. Non si avvalevano di collaboratori, se non il secondo, che di solito era un uomo della società che allenava anche la Berretti. A fine seduta si dedicavano ai portieri con passione e con divertimento, calciando e crossando fino a notte avanzata. Sotto il profilo umano e dell’onestà intellettuale sono quelli a cui mi sono ispirato.

1.3.1 Giampiero Vitali Il penultimo allenatore nei professionisti che ho avuto. L’ultimo sarebbe stato Ferra- ri (attuale istruttore del Master). Vitali era molto giovane ed aveva da poco frequentato uno dei primi Master a Coverciano, indetti da Italo Allodi. Affascinò immediatamente me e i miei compagni per la sua grande preparazione, che svariava da quella fisica a quella

Ricominciamo a Giocare a Pallone 15 tattica, a quella alimentare. Ho fatto in quell’anno per la prima volta una batteria di test valutativi, prima della preparazione, e quello di Cooper sarebbe diventato l’incubo delle future generazioni di calciatori. Sul piano del gioco si cominciava a parlare di sovrap- posizioni, di scalatura di marcatura e di pressing. L’idea di un gioco collettivo iniziava a nascere. La bilancia e il peso controllato con pignoleria due-tre volte alla settimana creavano più di un problema e qualcuno, per non incorrere in qualche multa, usava a sproposito i diuretici. Si avvaleva del preparatore atletico, le doppie sedute di mercoledì diventavano fisse. Sparivano i famosi bagni e messaggi del venerdì ed entravano a far parte delle se- dute, invece delle partitine, esercitazioni un tantino più complesse dove la componente attenzione (psicocinetica) cominciava a comparire. Sul piano dei rapporti interpersonali con lui c’era più confidenza, ma, più si avvici- nava la partita, più si avvertiva la tensione che in qualche modo trasmetteva: a differenza dei vecchi allenatori si percepiva in lui una gran voglia di arrivare in alto. Nonostante un diverbio e un rapporto, che alla fine si era sciupato (lo avrei riacquistato più tardi quando anche io giovane allenatore capii certi suoi atteggiamenti), è stato quello che mi ha trasmesso l’amore per lo studio e la professione. Professione che prima non avevo mai pensato di fare.

1.4 Direttori sportivi: Crociani - Anconetani Sono stati i due mediatori-principe del calcio anni Sessanta e Settanta, i precursori degli attuali procuratori. Li chiamavano mister 5 per cento, perché quella era la cifra che riscuotevano dagli affari che conducevano in porto nel famoso calciomercato all’Hotel Gallia di Milano. Poi si sono trasformati in direttori all’interno delle società, ma più che direttori erano veri e propri padroni, in quanto tutto passava da loro. Conoscenza dell’ambiente e personalità spiccate erano il loro forte così come l’organizzazione, ma la loro caratteristica fon- damentale era quella di precorrere i tempi, la dote fondamentale di un grande manager. Crociani l’ho frequentato poco. Sono stato alla Tevere Roma solo un anno, ma è stato quello che mi ha introdotto al calcio professionistico.

1.4.1 Romeo Anconetani Romeo, così lo chiamavano i tifosi prima a Lucca e poi a Pisa, per me era il signor Romeo. L’ho conosciuto in tre dei quattro ruoli, che ha rivestito nel calcio, perché, quando faceva il segretario a Prato ero ancora troppo giovane. Come mediatore ha favorito il mio trasferimento dal Rovereto alla Nocerina, come direttore mi ha fatto acquistare dal- la Lucchese, come presidente mi ha dato l’opportunità di fare l’allenatore, affidandomi i Giovanissimi e poi la Primavera a Pisa. Il suo carattere non era certamente dei migliori ed il suo umore mutevole, ma la sua

16 Ricominciamo a Giocare a Pallone genialità e il suo sempre essere precursore dei tempi sono stati per me certamente fonte di grandi conoscenze. Come direttore penso che sia stato unico e irripetibile: grande senso di organizza- zione, conoscenza totale del sistema e dei meccanismi del pianeta calcio, capacità unica di fare gruppo all’interno della società e forte personalità per coinvolgere nel suo proget- to città e Provincia sia a livello istituzionale che popolare. Dal 1976 al 1978, dietro sue iniziative, sono nati a Lucca e in Provincia un numero incredibile di club. Il martedì e il mercoledì a gruppi di tre calciatori alla volta dovevano seguirlo per l’inaugurazione di un nuovo club o per la premiazione, che naturalmente aveva ideato lui in un altro già esistente. Creò il giornale della società (fu uno dei primi in assoluto), dove naturalmente la prima pagina aveva sempre un suo articolo e dove ne esisteva un’altra, scritta da noi giocatori con interviste alle mogli, ai tifosi, ai politici della città. Tutte queste cose favorivano una grande empatia tra noi e i tifosi (oggi queste iniziative prendono il nome di fidelizzazione), tanto che lo stadio era sempre pieno ed in trasferta erano in molti a seguirci. Nel campionato del ‘78, in una trasferta a Ferrara per una partita contro la Spal, furono in 6.000 a seguirci con treni speciali, pullman e mezzi propri, il tutto organizzato da Anconetani. Quell’esodo rimane ancora oggi il più imponente che i tifosi lucchesi abbiano mai fatto. In quegli anni trasferì la sede sociale da una villa, dove c’era anche la foresteria dei giocatori scapoli, in un appartamento grandissimo più vicino al centro storico. L’arreda- mento era curato nei minimi dettagli, risultando così un misto fra eleganza e funzionali- tà; ognuno aveva il suo ufficio, dalla centralinista al presidente, passando per l’allenatore. Nell’ ufficio di Romeo era custodi- to un preziosissimo e antesignano “database” dove tutti i giocatori di serie C ed interregionale erano catalogati, a seconda del ruolo e caratteristiche tecniche. Natural- mente anche i nostri alloggi vennero di conseguenza ampliati e resi più accoglienti. Lo scopo di questi investimenti immobiliari non era solo funzionale ma soprattutto commerciale; il concetto di immagine stava nascendo anche nel calcio e la buona riuscita di una compravendita non dipendeva più solo dalle doti tecniche del giocatore, ma anche dal prestigio della società di appartenenza. Di marketing se ne parla solo da qualche anno, lui lo aveva inventato già trent’anni fa. E a Pisa ideò un programma televisivo, “Parliamo con Romeo” condotto da Massimo Marini, che è andato in onda ininterrottamente dal 1984 al 1994: tutti i martedì sera parlava per due ore, esaltando la squadra nei momenti più belli e difendendola (almeno in tv) da tutto e tutti in quelli negativi. Anche in questo è stato un precursore, intuendo quanto la televisione riuscisse ad influenzare la gente; i giornalisti, che attaccavano la squadra con i soli giornali a disposizione, potevano poco al suo confronto. Come presidente fu (purtroppo) un innovatore perché il primo a farlo come lavoro, cioè senza mezzi, ma era talmente bravo che riuscì a prendere una società di C, sull’orlo del fallimento, e a portarla in A. Quindi, fu capace di tenerla ai massimi vertici del

Ricominciamo a Giocare a Pallone 17 nostro calcio per svariato tempo, ma tutto era purtroppo costruito su nulla ed un risul- tato sportivo negativo (retrocessione in serie C), portò ad un fallimento e ad un crac finanziario di svariati miliardi. Negli anni successivi questa sua idea di fare calcio a tempo pieno e senza una base finanziaria solida è stata imitata da molti e molti, infatti, saranno i fallimenti. Comunque le feste di Natale o di Capodanno, o quelle per una promozione, dove riuniva tutte le famiglie dei calciatori e dei collaboratori, degli allenatori e di tutti i di- pendenti, e dove c’era sempre un regalo per tutti ed in particolar modo per i figli di ognuno di noi, sono tra i ricordi più belli che conservo perché ti sentivi, qualsiasi ruolo occupassi, parte integrante di un gruppo e di un progetto.

1.5 La vecchia Serie C La serie C degli anni 70 era una categoria formativa nella quale il livello tecnico era ottimo e molti erano i giocatori che, in futuro, avrebbero militato in massima serie. La differenza dei valori delle squadre fra le prime e quelle che lottavano per la sal- vezza era notevole: del resto ne saliva una sola per girone e quindi, già in partenza, si sa- peva chi puntava in alto. La lotta era fra tre, massimo quattro squadre. I giocatori erano patrimonio della società; lo scopo quindi era quello di valorizzarli, per poi rivenderli in categoria superiore o a qualche altra squadra, che nella stagione successiva avrebbe puntato alla promozione. I giova- nissimi difficilmente giocavano, ma gli ultratrentenni erano rarissimi; comunque i più giovani, nei finali di campionato, quando gli obiettivi erano stati raggiunti, trovavano sempre grande spazio. Le partite erano sempre vibranti, ma i derby erano comunque l’evento stagionale. Venivano seguiti con trasporto, folclore e partecipazione dalle città e allo stadio accorreva anche chi di solito non partecipava. Anche per noi calciatori, che vivevamo in quei tempi le città e il loro tessuto sociale, quelle non erano mai par- tite normali. RoveretoTrento, Nocerina-Salernitana, Lucchese-Pisa e Lucchese-Livorno sono state le partite più belle che abbia giocato. Stadi stracolmi e ambienti sempre stu- pendi. Non ricordo né incidenti né violenze, ma solo belle domeniche di sport, dove, se vincevi, ti sentivi in paradiso e se perdevi, all’inferno; ma poi tutto passava sperando nel prossimo derby. Ho avuto la fortuna di fare tutti e tre i gironi. Il più tecnico era senz’al- tro il girone A, che racchiudeva le compagini del nord; nel girone C, quello del sud, il più difficile sotto l’aspetto ambientale e logistico, con i campi meno belli e le trasferte molto più lunghe, il livello agonistico superava di gran lungo quello tecnico. Il girone B, che raggruppava le squadre del centro, era secondo me il più completo: ambienti caldi, stadi belli, agonismo e tecnica ben distribuiti, trasferte quasi sempre vicine e, per chi come me giocava in Toscana, tanti derby.

1.6 Giornalisti e media Uno o due, al massimo tre giornalisti scrivevano sui giornali locali e su quelli sporti-

18 Ricominciamo a Giocare a Pallone vi ci finivamo solo al lunedì per il resoconto della domenica e per leggere i primi voti che cominciavano ad apparire. I rapporti, per lo più, erano cordiali e spesso, frequentando gli stessi ambienti o qualche amico comune, si finiva per diventare anche amici. Alle volte poteva scapparci qualche litigata, per qualche giudizio o per un voto che non ci piaceva; noi giocatori siamo sempre stati un po’ permalosi e per i giornalisti di provincia imitare era una strada da seguire, poi tutto finiva lì. Televisioni e radio private ce n’erano poche e non si interessavano al calcio.

1.7 Tifosi Distaccati e più freddi a Rovereto ed in genere al nord; presenti e qualche volta polemici, come tutti i buoni toscani, a Lucca; passionali e rumorosi a Nocera Inferiore. Gli spalti ovunque erano sempre pieni o quasi alla domenica, ma durante la settimana si lavorava sotto pochi occhi, se non quelli di qualche pensionato, che veniva allo stadio per passare il pomeriggio. Non ricordo grandi contestazioni o violenze nei momenti difficili, come, per esempio, dopo la retrocessione a Lucca nel 1979. Al contrario, in quelli esaltanti, il trasporto era totale. Non esistevano gruppi organizzati ma solo club con sede in circoli o in bar, dove sovente venivamo in- vitati per bere un bicchiere o cenare e ricevere una targa ricordo. Negli stadi la presenza di donne e bambini o di intere famiglie era normale. Nelle città, che ci ospitavano, i rapporti erano cordiali e noi giocatori venivamo accolti con curiosità e tanta simpatia e spesso invitati a cena nelle case dove la foto con tutta la famiglia era di rito. Certo, le critiche, i mugugni, qualche fischio e qualche parolaccia, se le cose non andavano, allo stadio le sentivi ma poi, finita la partita, tutto passava. Aspettando la prossima.

1.8 Medici e medicine Per quanto riguarda la somministrazione di medicinali, si è parlato molto di quei tempi dopo la morte per Sla di Adriano Lombardi, fra l’altro capitano del mio Rovereto nel 1971 ed amico fino all’ultimo, e proprio in suo ricordo ribadisco quello che ha sem- pre sostenuto lui: l’estraneità della sua malattia al gioco del calcio, almeno per quanto riguarda l’uso di farmaci. Per quasi tutti gli anni Settanta, almeno in C, i medici erano tifosi e per lo più volontari. Venivano al campo una-due volte alla settimana, potevano somministrarci al massi- mo qualche pasticca di Micoren prima delle partite, ma la cosa non era nuova in quanto, fin da bambini, le pasticche rosse “per rompere il fiato” erano abituali negli spogliatoi. Eccetto quelle e qualche puntura ricostituente di Cromaton-cortex ad inizio primavera, non si usava altro. Creatinina, esafosfina, per non parlare di anabolizzanti, ormoni della crescita ed epoproietina andranno ricercati negli anni successivi ed in altre categorie, quando molti medici faranno parte dello staff dell’allenatore, seguendolo nei suoi trasfe- rimenti da una società all’altra.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 19 1.9 La divisione della Serie C La Serie C scomparve come campionato unico nel 1978, quando fu divisa in due serie successive: Campionato di Serie C1 con due gironi, Campionato di Serie C2 con quattro gironi, poi ridotti a tre. La classifica finale del campionato 1977-78 servì per la suddivisione delle squadre nelle due nuove categorie secondo questo schema: la prima classificata di ciascun girone fu promossa in , le squadre classificate dal secondo al dodicesimo posto furono inserite nel campionato di Serie C1 insieme alle tre retrocesse dalla Serie B, per un totale di 36 squadre suddivise in due gironi da 18 ciascuno, le squadre classificate dal tredicesimo al ventesimo diedero invece vita al campionato di Serie C2 insieme alle squadre promosse dalla Serie D, per un totale di 72 squadre suddivise in quattro gironi da 18 ciascuno.

1.10 Scandalo del calcio italiano del 1980 Lo scandalo calcio-scommesse 1980 è uno scandalo che colpì il calcio italiano nella stagione agonistica 1979-1980 e vide coinvolti giocatori, dirigenti e società di e di Serie B che truccavano le partite di campionato attraverso scommesse che, se dal punto di vista penale non erano considerate reato, per la FIGC rappresentavano casi di illecito sportivo. Le società coinvolte nell’inchiesta erano Milan, Lazio, Bologna, Avelli- no e Perugia in Serie A, Palermo e Taranto in Serie B. Si trattò del primo grande scandalo di illeciti sportivi e partite truccate nella storia del calcio italiano, tanto che il Presidente federale (all’epoca anche Presidente dell’UEFA) decise, in seguito, di rassegnare le dimissioni dalla carica che ricopriva; e il tutto avveniva a soli tre mesi dall’inizio del Campionato europeo di calcio 1980, svolto proprio in Italia, il che face perdere molta credibilità al calcio nazionale, sia in patria che all’estero.

1.10.1 Gli Arresti Il 23 marzo 1980 (24° turno di Campionato di Serie A e 27° turno di Campio- nato di Serie B) apparvero negli stadi camionette della Polizia e della Guardia di Finan- za: scattavano negli spogliatoi le manette per gli ordini di cattura. Alcuni giocatori, da Milano, vennero portati a Roma, detenuti a Regina Coeli. Si trattava di nomi illustri: Cacciatori, Giordano, Manfredonia e Wilson della Lazio, Albertosi e Giorgio Morini del Milan e altri, mentre ordini di comparizione erano stati consegnati a , Savol- di, Dossena e Damiani. Di Morini si accertò la consegna a Roma di 20 milioni avvolti in carta da giornale per far tacere Fabio Trinca e Massimo Cruciani. Quella somma gli era stata fornita dal presidente rossonero Felice Colombo. Le immagini degli arresti e delle camionette di Polizia e Guardia di Finanza presenti

20 Ricominciamo a Giocare a Pallone negli stadi sono famose ancora oggi per essere state riprese in diretta nel corso della tra- smissione sportiva 90° minuto. Il 23 dicembre 1980 tutti gli indagati vennero rilasciati poiché il fatto, a livello pe- nale, non costituiva reato. Vennero invece presi provvedimenti in ambito calcistico, in quanto venne provata l’accusa di illecito sportivo.

1.10.2 Sentenze di appello Nel processo d’appello, verso la fine di giugno, la CAF confermò la maggior parte delle decisioni di primo grado con sconti di pena in alcune situazioni.

Serie A Società: Milan: retrocessione in Serie B. Lazio: retrocessione in Serie B. Avellino: 5 punti di penalizzazione nel campionato di Serie A 1980-1981. Bologna: 5 punti di penalizzazione nel campionato di Serie A 1980-1981. Perugia: 5 punti di penalizzazione nel campionato di Serie A 1980-1981. Dirigenti: Felice Colombo (presidente Milan): Radiato. Tommaso Fabbretti (presidente Bologna): 1 anno. Calciatori: Stefano Pellegrini (Avellino): 6 anni. Massimo Cacciatori (Lazio):5 anni. Mauro Della Martira (Perugia): 5 anni. (Milan): 4 anni. Bruno Giordano (Lazio): 3 anni e 6 mesi. (Lazio): 3 anni e 6 mesi. Carlo Petrini (Bologna): 3 anni e 6 mesi. (Napoli): 3 anni e 6 mesi. (Lazio): 3 anni. Luciano Zecchini (Perugia): 3 anni. Paolo Rossi (Perugia): 2 anni. Franco Cordova (Avellino): 1 anno e 2 mesi. Giorgio Morini (Milan): 1 anno. Stefano Chiodi (Milan): 6 mesi. Maurizio Montesi (Lazio): 4 mesi. (Bologna): 3 mesi. Oscar Damiani (Napoli): 3 mesi. Serie B Società: Palermo: 5 punti di penalizazione nel campionato di Serie B 1980-1981 Taranto: 5 punti di penalizzazione nel campionato di Serie B 1980-1981.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 21 Calciatori: Guido Magherini (Palermo): 3 anni e 6 mesi. Lionello Massimelli (Palermo): 3 anni. Claudio Merlo (Lecce): 1 anno.

1.11 Legge 23 marzo 1981, n. 91 Con l’entrata in vigore di questa legge praticamente il giocatore, anche quello di serie C (allora Lega semiprofessionistica) diventava libero professionista e poteva vinco- larsi ad una società con contratti annuali o pluriennali, ma alla scadenza era libero di accasarsi dove voleva. La società riscuoteva al trasferimento un parametro come inden- nizzo. Sembrava una lotta vinta. Io credo che alla fine risulterà una sconfitta, non solo per le società, ma per i giocatori e molti infatti sarebbero rimasti disoccupati.

1.12 Il corso di III categoria Già il test d’ingresso lasciava molto a desiderare. Palleggi, colpi di testa e conduzio- ni di palla decidevano il nostro ingresso o meno, come dire che, se non avevi un buon rapporto col pallone, l’allenatore non potevi farlo. Infatti, tutti eravamo ex calciatori più o meno famosi. Fra i partecipanti ricordo Fausto Landini, Botteghi e Piccinetti. Non ho un ricordo positivo di quell’esperienza; in noi partecipanti non c’era alcuna voglia di capire e di studiare, ma anche il corso stesso era strutturato male, con tanta nozionistica e poco confronto tra i partecipanti. E quando si andava in campo per le esercitazioni, il più delle volte finiva con una partitina e tante risate. L’importante per tutti era ottenere il patentino, ma per applicazione e preparazione, secondo me, dovevamo essere tutti bocciati.

1.13 L’influenza del ‘68 “La scuola è più che vecchia, è marcia. Lasciamola marcire ancora per un po’, non pos- siamo pensare di salvarla per noi, ma per i nostri figli”. Questo era uno dei pensieri che animava i giovani della mia generazione, quella generazione che aveva nella testa l’utopia di cambiare il mondo, le sue regole, i suoi costumi e le sue istituzioni. Entrando nel calcio, in un mondo cioè molto ma molto conservatore, lo scontro fu perciò inevitabile. Da una parte i più anziani, quelli che, non avendo frequentato le scuole in quel periodo, non avevano respirato quell’aria re- azionaria; dall’altra noi, quelli che non sopportavano i ritiri, le divise, le regole quasi militaresche tanto in voga nel calcio di allora. A fine anni Settanta i pensieri e gli scritti di Sollier a Perugia, il pugno alzato di Dino Pagliari dopo un gol a Firenze, avevano dato a noi gente di C più forza e più credibilità all’interno del sistema, dove avere l’etichetta del “sindacalista” non era per niente piacevole, in quanto, se le cose non andavano bene, eri sempre additato da stampa, società e tifosi, come il responsabile maggiore. Naturalmente l’idea si rafforzava alle riunioni dell’Aic, dove però lo scontro conti-

22 Ricominciamo a Giocare a Pallone nuava fra aquile e colombe e dove già si evidenziavano grandi e sostanziali differenze tra A e C. Già allora io mi chiedevo se fosse giusto un sindacato unico, dove le problemati- che erano già molto diverse e sarebbero diventate da lì a poco quasi opposte. Lo svincolo e le televisioni avrebbero esaltato i giocatori della massima serie, affossando gli altri.

1.14 La Democrazia Corinthiana La Democrazia Corinthiana è stata un’ideologia unica al mondo, ricordata in Bra- sile come uno dei più importanti movimenti contro la dittatura militare che a quel tempo era vigente nel Paese. Nel mondo si rammenta soprattutto come un curioso caso di autogestione dei calciatori, che per tre anni hanno preferito allenarsi da soli rifiu- tando l’alllenatore. Guidati da Socrates e Wladimir, i giocatori hanno assunto in parte il controllo del club, prendendo numerose decisioni di grande importanza. Una delle azioni più celebri è stata contro la dittatura. Nel 1982, i giocatori avevano deciso di far stampare in nero sul retro delle loro maglie l’annuncio “Vota il 15”, per motivare la gente a votare il 15 novembre di quell’annno, giorno del referendum che avrebbe poi portato il Brasile a porre termine alla dittatura. Il calcio è un grande veicolo di comunicazione. Non credo che l’iniziativa di Socra- tes sia stata determinante per abbattere una dittatura, però è servita sicuramente, data la notorietà dei personaggi, ad attirare l’attenzione del mondo su un problema sociale. Col tempo i calciatori usciranno dalla realtà sociale comune, avvicinandosi per vita e costumi più ai grandi divi dello showbusiness che agli uomini di sport.

Madrid, 11 luglio 1982 Italia-Germania 3-1 Campioni del Mondo

Dodici anni dopo il titolo europeo l’Italia era di nuovo nelle strade a festeggia- re stavolta i Campioni del Mondo per la terza volta. Lo scandalo scommesse solo un ricordo lontano, tanto che la Figc assieme ai festeggiamenti fece una sorta di amnistia, annullando le squalifiche ai calciatori e a molti dei tesserati.

1.15 Scandalo del calcio Italiano del 1986 Il secondo scandalo del calcio-scommesse fu un’inchiesta del 1986 rela- tiva ad un giro di scommesse illegali relative ad alcune partite di calcio nei cam- pionati professionistici nelle stagioni 1984-1985 e 1985-1986. L’inchiesta, che seguì una vicenda analoga scoppiata nel 1980, nacque da alcune intercettazioni telefoniche e venne condotta dal Procuratore di Torino Giuseppe Mara- botto. Ricominciamo a Giocare a Pallone 23 1.15.1 Avvenimenti Il 2 maggio 1986 si costituiva e veniva arrestato Armando Carbone, braccio destro di Italo Allodi (a quell’epoca dirigente del Napoli) e confessò l’esistenza di un giro di scommesse riguardanti alcune partite di calcio nei campionati professionistici, dalla Serie A fino alla Serie C2, dal 1984 al 1986. Dario Maraschin, all’epoca Presidente del Lanerossi Vicenza, confessò di aver versa- to 120 milioni di lire per vincere la partita contro l’Asti e lo spareggio contro il Piacenza nel Campionato di 1984-1985, ma di non aver truccato nessun incontro nel 1985-86 in Serie B. In realtà vennero raccolte alcune intercettazioni telefoniche che dimostrarono il contrario, soprattutto negli incontri contro Monza e Perugia. Successivamente anche il Presidente del Perugia, Spartaco Ghini, ammise che la sua società, unica tra quelle inqui- site a preferire la retrocessione piuttosto che una forte penalizzazione, aveva commesso illeciti sportivi. Vennero deferite alla Procura Federale della FIGC, gestita da Corrado De Biase, le seguenti società: Bari (*), Napoli (*), Udinese in Serie A, Brescia (*), Ca- gliari, Empoli (*), Lazio, Monza (*), Palermo, Perugia, Sambenedettese (*), Triestina, Lanerossi Vicenza in Serie B, Cavese, Foggia, Reggiana (*), Carrarese, (*) Salernitana (*) in Serie C1 e Pro Vercelli (*) in Serie C2. Alcune di loro vennero assolte dall’inchiesta (società indicate con l’asterisco), men- tre le altre subirono punizioni più o meno severe.

1.15.2 Sentenza di appello Queste furono le sentenze inappellabili emesse dalla CAF il 26 agosto 1986 Serie A Società Udinese: 9 punti di penalizzazione nel Campionato 1986-1987. Tesserati società Tito Corsi (General Manager Udinese): 5 anni con proposta di radiazione. Franco Janich (Direttore Sportivo Bari): 6 mesi. Italo Allodi (Direttore Sportivo Napoli): assolto. Lamberto Mazza (Presidente Udinese): assolto.

Serie B Società Perugia: Non ammesso al Campionato di Serie C1, retrocesso in Serie C2 con 2 punti di penalizzazione. Lanerossi Vicenza: Non ammesso al Campionato di Serie A. Lazio: 9 punti di penalizzazione nel Campionato 1986-1987. Cagliari: 5 punti di penalizazione nel Campionato 1986-1987. Palermo: 5 punti di penalizzazione nel Campionato 1986-1987. Triestina: 1 punto di penalizzazione nel Campionato 1985-1986, 4 punti di pena-

24 Ricominciamo a Giocare a Pallone lizzazione nel Campionato 1986-1987. Successivamente il Palermo venne escluso dal Campionato per problemi finanziari. Nella stagione agonistica 1986-1987 non partecipò a nessun campionato professionisti- co o dilettantistico, mentre nel 1987-1988 disputò il torneo di Serie C2 con una nuova società. Tesserati società Spartaco Ghini (Presidente Perugia): 5 anni. Dario Maraschin (Presidente Lanerossi Vicenza): 3 anni. Giancarlo Salvi (dirigente Lanerossi Vicenza): 3 anni. (allenatore Cagliari): 3 anni. (allenatore Perugia): 4 mesi Salvatore Matta (Presidente Palermo): 4 mesi. Gastone Rizzato (Direttore Sportivo Lanerossi Vicenza): 4 mesi. Costantino Rozzi (Presidente Ascoli): 4 mesi. Onofrio Schillaci (dirigente Palermo): 4 mesi. Giorgio Vitali (dirigente Monza): 4 mesi. Fabio Baglioni (ex tesserato Perugia): assolto. Carlo Bura (ex tesserato Perugia): assolto. Giancarlo Piaceri (ex allenatore Perugia): assolto. Luigi Piedimonte (dirigente Triestina): assolto. Giovanni Pinzani (Presidente Empoli): assolto. Ferrucio Zoboletti (Presidente Sambenedettese): assolto. Calciatori Franco Cerilli (Lanerossi Vicenza): 5 anni con proposta di radiazione. Giovanni Lorini (Monza): 5 anni con proposta di radiazione. Maurizio Rossi (Pescara): 5 anni con proposta di radiazione. Claudio Vinazzani (Lazio): 5 anni con proposta di radiazione. Giuseppe Guerini (Palermo): 3 anni e 1 mese. Maurizio Braghin (Triestina): 3 anni. Marco Cecilli (Palermo): 3 anni. Valerio Majo (Palermo): 3 anni. Sauro Massi (Perugia): 3 anni. Maurizio Ronco (Palermo): 3 anni. Giacomo Chinellato (Cagliari): 2 anni. Onofrio Barone (Palermo): 5 mesi. Antonio Bogoni (Cesena): 4 mesi. (Sambenedettese): 4 mesi. Tullio Gritti (Brescia): 4 mesi. Angiolino Gasparini (Monza): 4 mesi. Tiziano Manfrin (Sambenedettese): 4 mesi. Silvano Benedetti (Palermo): 1 mese.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 25 Tebaldo Bigliardi (Palermo): 1 mese. Massimo Bursi (Palermo): 1 mese. (Palermo): 1 mese. Oliviero Di Stefano (Palermo): 1 mese. Franco Falcetta (Palermo): 1 mese. Andrea Pallanch (Palermo): 1 mese. Claudio Pellegrini (Palermo): 1 mese. Mario Piga (Palermo): 1 mese. Michele Pintauro (Palermo): 1 mese. Orazio Sorbello (Palermo): 1 mese.

Serie C1 Società Cavese: Retrocessione in Serie C2 con 5 punti di penalizzazione. Foggia: 5 punti di penalizzazione nel Campionato 1986-1987. Tesserati società Guerino Amato (Presidente Cavese): 5 anni con proposta di radiazione. Guido Magherini (dirigente Rondinella): 5 anni con proposta di radiazione. Gian Filippo Reali (dirigente Sarnico): 3 anni e 9 mesi. Ernesto Bronzetti (General Manager Foggia): 3 anni. Carlo Grassi (Presidente Carrarese): assolto. Menotti Gaspari (dirigente Carrarese): assolto. Calciatori Francesco Caccia (Messina): 5 anni. (Campania): 3 anni e 4 mesi. Mauro Melotti (Spal): 1 anno e 6 mesi. Alfio Filosofi (Virescit Bergamo): 6 mesi. Stefano Donetti (Martina): 3 mesi. Mario Romiti (Barletta): 1 mese.

Serie C2 Tesserati società Antonio Pigino (tesserato Pro Vercelli): 3 anni. Calciatori Giovanni Bidese (Pro Vercelli): 3 anni e 3 mesi. Mario Guidetti (Pro Vercelli): 4 mesi.

1.16 Il corso di II categoria Antoniotti, coadiuvato da Ferrari, era il nostro istruttore. Vivevamo a Coverciano ed i colleghi avevano nomi importanti. Sollier, Zaccarelli, Pavone, Guidolin, Cagni, Di Somma, Massa, Trainini quelli che ricordo. Il corso era molto bello e, per chi aveva

26 Ricominciamo a Giocare a Pallone voglia di seguire, molto interessante. In molti lavoravamo nei settori giovanili, altri in squadre dilettanti, quindi c’era già uno scambio di opinioni. I relatori erano preparati e materie come metodologia di allenamento e psicologia abbastanza approfondite. Fra i candidati, naturalmente, c’era chi se ne fregava e pensava solo ad ottenere il patentino, ritenendo che l’esperienza acquisita sul campo da calciatore fosse molto più utile di quel- le nozioni. Ma erano anche molti quelli che si applicavano, in particolar modo Sollier e Guidolin (la sua bella carriera conferma l’importanza della ricerca). Proprio con Paolo Sollier, che per le sue idee era quello che sentivo più vicino, il confronto fu più attento; credo che sia arrivato primo in quel corso, ed io ero certo che per lui si prospettasse una carriera brillante, ed ancora oggi mi chiedo come un’intelligenza tanto viva non sia potuta emergere. Penso che il calcio abbia perso un’importante opportunità di crescita

1.17 Settore Giovanile Pisa Stagioni 1982/1989 Sono stati anni molto belli. Mi piaceva insegnare, nonostante non ci fossero grandi mezzi economici e i ragazzi venissero scelti soltanto tra Pisa, Livorno e Lucca. La mia preparazione non era certo quella ottimale, ma la passione mi spingeva alla ricerca ed Anconetani mi lasciava operare senza assilli di risultato, assecondandomi fin dove po- teva nelle mie richieste. Così ottenni di avere un preparatore atletico e soprattutto un preparatore dei portieri. Detta ora sembra una cosa normale ma per quegli anni e con i mezzi che c’erano, fu per Pisa una vera e propria rivoluzione. Già allora uno dei proble- mi principali era rappresentato da quei genitori che vivevano il calcio del figlio come una “loro” rivalsa personale. Onde evitare nel corso della stagione inutili incomprensioni, era mio costume convocare all’inizio tutti i genitori per dire con franchezza quello che pensavo e cosa mi aspettavo da loro. Ero pronto a parlarci ripetutamente ed ero a loro completa disposizione per problemi educativi, morali e di scuola. Ma li pregavo di non intromettersi nelle questioni calcistiche e soprattutto di gruppo, di essere rispettosi nei giudizi e nelle espressioni, quando assistevano alle partite. La maggior parte del lavoro sul campo era dedicato alla tecnica individuale e a tal proposito feci allestire a mie spese, dove ci allenavamo, tre rudimentali “forche” (stru- mento in cui il pallone è sorretto da una fune) per il lavoro individuale, molto in voga negli anni Sessanta nel Nag della Roma, dove io avevo cominciato a giocare. Usavo anche palloni più piccoli, in gomma, e palline da tennis per i palleggi, sempre comprati a mie spese. Ma già allora avevo introdotto un lavoro globale sulla squadra ed il dieci contro uno era l’esercitazione che chiudeva sempre l’allenamento. Mi divertiva stare con i ragazzi e mi emozionavano i loro miglioramenti. Una par- te fondamentale era quella che cercavo di dedicare alla socializzazione e alla spinta ai valori che lo sport dovrebbe trasmettere: lealtà e rispetto verso compagni e avversari. Il cemento già stava togliendo spazi e gli oratori erano sempre meno frequentati per que- sto i giovani iniziavano a sentirsi più soli. Credo di essere stato, per i ragazzi, un buon

Ricominciamo a Giocare a Pallone 27 istruttore; qualcuno di loro ancora me lo ricorda, ma ora riguardando indietro, penso a quanto scarsa fosse la mia preparazione e quanto avrei potuto dare di più a loro, se ci fosse stato qualcuno con più esperienza e conoscenze a seguire il mio lavoro. Comun- que, Taccola, Brandani, Cristallini, Lazzarini, Dianda e Fiorentini sono stati le mie più belle soddisfazioni avendoli visti arrivare fino alla serie A.

1.18 Silvano Bini Pignolo, scontroso, e poco simpatico, ma nessuno come lui credeva nel settore gio- vanile e lavorava in funzione di quello. Nella mia carriera non ho più incontrato un diret- tore così attento e premuroso nell’organizzazione e nel lavoro rivolto ai giovani. Seguiva naturalmente la prima squadra, che comunque era per lo più composta da giovani, molti dei quali provenienti dallo stesso settore, ma conosceva e seguiva personalmente tutti i giocatori delle giovanili. Un esempio di come dovrebbe essere interpretata la professione di direttore sportivo, soprattutto in serie C, cosa che purtroppo in seguito ho raramente riscontrato, eccetto che nel presidente del Palermo, Giovanni Ferrara.

1.19 Settore Giovanile Empoli Stagione 1989/1990 Un solo anno, ma bellissimo, per la scoperta di un settore giovanile prestigioso e culturalmente avanzato, dove la mentalità formativa del giovane calciatore era forse più importante della prima squadra, cosa che si recepiva anche fra gli stessi tifosi, che segui- vano le giovanili con trasporto. Fabrizio Lucchesi era il responsabile amministrativo del settore ed io, in quanto allenatore della Primavera, quello tecnico. Silvano Bini quell’anno ricopriva la carica di presidente. Cito due episodi per far capire il modo di operare di quella società. Il primo riguar- da Montella, il secondo Galante. Tutti e due facevano parte degli Allievi Nazionali, una squadra che tra l’altro allineava nelle sue file anche Birindelli, Melis, Masini, Ficini e Guarino, ed era il nostro fiore all’occhiello. Montella, insieme ad un altro ragazzo di Napoli, viveva in un appartamento in cui in un’ispezione fu trovato del materiale, tra cui maglie e tute mancanti dal magazzino. Cose che ovviamente prelevavano dallo spogliatoio. Una marachella propria di due ra- gazzini. Io, informato del fatto, fui subito per una linea dura, optando per una sospensio- ne lunga dei due ragazzi proprio per cercare di recuperarli sul piano educativo. Il loro allenatore non era d’accordo. Aveva partite importanti in programma e Montella indub- biamente era il giocatore più forte. Bini e Lucchesi seguirono la mia linea e spedirono i due ragazzi a Napoli dove restarono per 15 giorni per poi ripresentarsi ad Empoli accompagnati dai genitori. Montella, in seguito, nel corso della stagione, insieme a Ma- sini e Melis, debuttò giovanissimo nella mia Primavera. Non so se questo fatto sia stato

28 Ricominciamo a Giocare a Pallone importante per il ragazzo, ma sicuramente lo è stato per i suoi compagni che capirono che l’educazione e il rispetto erano più importanti di una vittoria nella mentalità forma- tiva dell’Empoli Calcio. Per quanto riguarda Fabio Galante, ricordo che Lucchesi stava firman- do la rescissione perché il ragazzo, in età da Allievi, era stato dirottato in Berretti, una squadra senza prospettive e allestita solo perché in serie C era obbligatorio averla e per questo lui si sentiva giustamente demotivato. Io ero appena arrivato e non lo conoscevo, quindi fermai Lucchesi e dissi al ragazzo di venire ad allenarsi con me in Primavera. Giocava mezzala, ma volli impostarlo da difensore centrale; le sue caratteri- stiche fisiche mi sembravano più idonee per quel ruolo. Lavorai con lui un paio di mesi, soprattutto singolarmente. Poi, parlando con l’allenatore degli Allievi, gli consigliai di tenerlo nel suo gruppo dove contribui in maniera sostanziosa alla vittoria del campiona- to e alla partecipazione alla fase finale del campionato Allievi Nazionali. Un ragazzo, che stavamo perdendo (e forse si sarebbe perso anche lui), è diventato poi un nazionale italiano; con i giovani la pazienza e il lavoro non sono mai abbastanza. Empoli, anche se breve, è stata una parentesi bellissima e, riguardandomi indietro, penso che sarebbe stato giusto se avessi ascoltato Bini che mi invitava a rimanere ancora, ma un po’ l’ambizione e molto il portafoglio mi hanno imposto di uscire dal mare e di andare a vivere sulla terra.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 29 30 Ricominciamo a Giocare a Pallone Capitolo 2 Vivo sulla terra…

Quando il sole batte nell’occhio fermo della tigre E l’uccello fugge, urlando il suo grido di paura, penso con terrore al mio primo giorno. Si alternava il sole alla pioggia, la notte al giorno nel macabro caleidoscopio, e nel ribollire dell’acqua dalla quale venivo, scorgevo un passato remoto appartenuto ad altri. La sicurezza della mia forza e la robustezza Della mia corazza si affievolivano al frusciare struggente, al sibilare, allo stridere e a volte al roteare della natura circostante. Ricordo solo vagamente il cupo colore della montagna alle mie spalle, mentre ripenso ancora con terrore tagliente alle sue vette acuminate, lancinanti come la paura che mi rivestiva. Fu in questo scenario, divenuto nebbioso, che confusi l’oriente con l’occidente e non vi fu più modo di separare i nodi, tanto che ancora oggi, nella stanza, immaturamente tappezzata di Dei e di colori non riesco ad intravedere la mia vera identità. Capii che le radici potevano essere umane, ma Scomposi l’albero in assi, dopo aver sudato Su tronchi lisci li ricomposi e incastrandoli Li legai insieme ricomponendo l’albero. E la cosa mi sembrò idiota. Nella mia breve e lunga vita sulla terra Mi sono domandato una sola cosa: A cosa serve il se, se il ma ti contraddice, se poi ti sgomenta?-

Giampaolo Bianchi

Ricominciamo a Giocare a Pallone 31 2.1 La riforma della Serie C del 1993 Nel 1993, limitatamente alla Serie C1, venne introdotta una riforma, che portò all’istituzione di playoff e playout. In Serie C1 è prevista la promozione diretta in Serie B solo per la prima classificata di ogni girone, mentre le squadre piazzate dal 2° al 5° posto si giocano la seconda promozione nei playoff, affrontandosi in semifinali con partite di andata e ritorno, secondo lo schema 2° vs 5° e 3° vs 4°. Gioca la partita di ritorno in casa la squadra con il miglior piazzamento in classifica durante la stagione regolare, che passa alla finale anche nel caso di parità com- plessiva nelle due partite, se persiste dopo i tempi supplementari. La finale si svolge in campo neutro, ed in caso di parità sono previsti i calci di rigore. Per i playout valgono regole simili a quelle dei playoff, in quanto solo l’ultima squa- dra classificata retrocede direttamente. Le squadre che si piazzano dal 14° al 17° posto si scontrano fra loro: la 17° affronta la 14°, mentre la 16° sfida la 15°. Non è prevista la finale, chi perde retrocede direttamente. In Serie C2, fino al 1994, continuano ad essere promosse direttamente le prime due classificate. I gironi, stabiliti in base a criteri di vicinanza geografica, vengono ridotti da 4 a 3. Lo scopo credo sia stato quello di movimentare soprattutto i finali del campionato, con promozione e salvezza da giocarsi quasi per tutti fino alle ultime giornate. Certe combine non sono state più possibili e sotto questo aspetto sono stati senz’altro un’in- novazione positiva, sotto altri un po’ meno, perché hanno premiato troppe volte chi nella stagione regolare aveva fatto veramente poco, o comunque meno, di chi magari si era giocato fino all’ultima giornata la promozione o la salvezza diretta. L’introduzione dei 3 punti a vittoria, invece, ritengo che sia stato un cambiamento del tutto positivo, invogliando in qualche modo tutti a giocare un po’ di più per la vitto- ria, cosa che di per sé favorisce il gioco ed esalta la voglia di superarsi. Le classiche partite, dove tutti si accontentavano del punticino, saranno da allora sempre più rare.

2.2 15 dicembre 1995 Sentenza Bosman Con questa sentenza diventata poi legge “si autorizza la libera circolazione dei la- voratori (calciatori) comunitari all’interno dei Paesi europei”. Con la fine del contratto il calciatore può andare dove vuole e per le società sparisce anche l’indennizzo (parame- tro). Naturalmente, sia direttamente che indirettamente, la serie C subirà in negativo questa nuova regolamentazione. Gli stranieri saranno sempre più numerosi sia in C che soprattutto in B ed in A, e gli ultratrentenni, non trovando più spazio nella categorie superiori, scenderanno sempre in maggior numero in quelle inferiori, togliendo in tal modo sempre più spazio ai giovani.

2.3 Novembre 1995 – Totoscommesse non più fuorilegge (da un articolo del “Corriere della Sera”)

32 Ricominciamo a Giocare a Pallone “Saranno possibili su tutti gli sport a partire dal calcio... Al fisco il 5 per cento delle gio- cate... Finisce un proibizionismo anacronistico e impopolare... Assomiglieremo un po’ di più all’Inghilterra e agli Stati Uniti dove la puntata sull’av- venimento sportivo è radicata a tutti i livelli? Doveroso domandarsi se ciò porta pericoli di corruzione. Per quanto riguarda il calcio, le scommesse esistono già e hanno provocato scan- dali clamorosi negli anni Ottanta, non cambia nulla. Diversa la situazione negli altri sport. La legalizzazione non può essere spensieratamente vissuta dal mondo sportivo italiano come una nuova fonte di ricchezza e stop. Essa esige una forte presa di coscienza in tutti i tesserati e l’adozione di severi sistemi di controllo sui loro comportamenti professionali, la gente non affiderà loro soltanto le loro passioni ma anche i propri soldi e non si rassegnerà a perderli perché qualcuno non ha fatto quanto poteva”. (D. Vaiano-G. Tosatti, www.archiviostorico.corriere.it, 1995)

Mai parole furono più profetiche, la gente infatti più tempo passa e più scommette anche sulla singola partita ed il risultato diverso dalla giocata crea sempre più tensioni fra calciatori e scommettitori, soprattutto nei piccoli centri dove i contatti tra le due parti sono frequenti. Negli spogliatoio poi, anche se proibite, le “bollette” fanno parte delle discussioni giornaliere fra calciatori. Io credo nell’onestà di tutti, ma è certo che questa legalizzazione ha portato nel calcio, per lo meno di serie C, motivo di ulteriori malumori e incomprensioni e dato spazio a innumerevoli e inutili sospetti. I Modelli “I modelli, come la vita, evolvono e migliorano. Non ci sono modelli infallibili. Nessun modello spiega tutta la realtà. E’ soltanto una spiegazione di un fenomeno” (G. Piantoni, Strategia come cammino tra l’esperienza e l’innovazione, 2008)

2.4 Zeman-Sacchi-Orrico-Scoglio Sono stati per aspetti diversi i miei modelli, quelli che ho seguito negli allenamenti, quelli che hanno cambiato, per me in meglio, il calcio italiano, dimostrando che non bisogna essere stati grandi giocatori per insegnare calcio e soprattutto cultura dello sport. Mai banali nelle interviste, hanno costretto noi ex calciatori ad impegnarci di più nella ricerca e nello studio. Innovatori e pignoli sul lavoro, carismatici e colti davanti alle telecamere. Hanno segnato un’epoca e a mio avviso, Sacchi a parte, ottenuto molto meno di quello che meritavano, forse perché lontani dal sistema. Da Zeman ho appreso il gusto del lavoro sulla fase offensiva, i tagli degli attaccanti, la velocità e i tempi di giocata. Da Orrico la mentalità, l’intensità nell’allenamento giornaliero e, soprattutto, le esercitazioni per il pressing ed il lavoro nella gabbia. Da Sacchi il lavoro metodico sul globale, la perfezione nel curare la linea difensiva, l’attuazione sia del pressing organizzato che del fuorigioco e, soprattutto il suo insistere sulla non demonizzazione della sconfitta (quella che purtroppo condiziona fin troppo

Ricominciamo a Giocare a Pallone 33 l’evoluzione e la serenità del nostro calcio). Da Scoglio la ricerca costante del gioco in verticale. Da tutti in generale, al di là della pura e semplice vittoria, della ricerca tramite la cultura del lavoro e dell’allenamento continuo e metodico, ho imparato l’idea di trovare un gioco che potesse anche divertire.

2.5 L’Allenatore Giovane Se non hai un grande passato da calciatore, inserirti non è semplice. Le squadre che ti affidano sono per lo più formate da giovani. Comunque dall’ambiente vieni seguito con curiosità e simpatia e dalla tua c’è il grande entusiasmo che ti fa da guida. Stagione 1990/1991 Sarzanese Stagione 1991/1992 Poggibonsi Stagione 1992/1993 Viareggio Stagione 1993/1994 Viareggio (esonerato) Stagione 1994/1995 Pavia (subentrato) Stagione 1995/1996 Pavia E’ il mio periodo di esordio nel mondo del calcio professionistico da allenatore. I primi due anni sono stati quasi una continuazione del campionato Primavera, in quanto nelle mie squadre, per scelta personale e per politica societaria, giocavano molti giovani allenati a Pisa ed Empoli o provenivano da altre Primavera. Il mio entusiasmo era massimo, ma l’esperienza difettava, conoscendo poco la categoria. Le società non erano organizzatissime, a parte il Pavia, che proveniva dalla gestione del presidente Achilli, e dove le strutture, la palestra e i campi di allenamento erano ben curati e dove il settore giovanile era ricco e dinamico, grazie all’eredità ricevuta da una dirigenza che aveva già dato un’impronta molto, ma molto avanzata per l’epoca. Quasi tutte le società erano a conduzione familiare; Sarzanese, Poggibonsi e Pavia avevano presi- denti e dirigenti del luogo, come del resto quasi tutte le altre squadre del girone. L’unica eccezione era il Viareggio, alla cui guida c’era la famiglia Picciotto, imprenditori siciliani che si occupavano di attività varie: nel corso della prima stagione, sia padre che figlio, saranno arrestati e nella seconda il Viareggio fallirà. Col trascorrere degli anni questa caratteristica di ritrovare presidenti non del luogo a capo di società di serie C diventerà molto estesa e la fine del Viareggio toccherà ad altri club.

2.6 Direttori sportivi: Benvenuti-Cinquini-Magherini In questo periodo i diesse avevano un ruolo molto forte all’interno delle società. I presidenti erano poco presenti. Si occupavano molto delle loro aziende e guardavano al calcio come ad un hobby. Di procuratori ce ne erano ancora pochi e, soprattutto in C2, la vita quotidiana dei club era totalmente nelle mani dei direttori, che rappresentavano la società in tutto. Benvenuti era un vecchio segretario ed interpretava la professione più sul lato am- ministrativo e burocratico che tecnico, ma aveva la saggezza e la tranquillità di un uomo di un’altra generazione e sia per i giocatori, che per me, giovane allenatore, era il buon

34 Ricominciamo a Giocare a Pallone padre di famiglia a cui rivolgersi nei momenti di difficoltà. Cinquini, e il suo curriculum lo dimostrà, nonostante fosse alle prime armi, era un uomo in carriera, preparato sia sul piano amministrativo che tecnico. Era sempre molto vicino alla società ed al mondo interno del calcio, distaccato nei rapporti con i calciatori che in verità non lo avevano per nulla simpatico. Svolgeva però il suo lavoro con grande professionalità, ma con lui non instaurai un grandissimo rapporto: riguardando indie- tro, penso che le responsabilità maggiori fossero mie, perché, nonostante avessi smesso di giocare già da diversi anni, per certi versi ragionavo ancora da calciatore. Magherini è stato quello con cui ho avuto il legame più forte. Ex calciatore, mio coetaneo, è stato per me ed è ancora un amico fraterno, quindi il giudizio troppo legato al rapporto umano. Per conoscenze, sensibilità e simpatia, aveva un grande rapporto con la squadra, ma pessimo con la proprietà, a cui non permetteva alcuna intrusione sul piano tecnico e gestionale. Il suo punto di riferimento e il suo modello era Sogliano, che nel calcio di quei tempi era uno di quelli più in vista.

2.7 Calciatori Ero alle mie prime esperienze, quindi pensavo di avere problemi con la gente adulta. Del resto, i 30-33enni avevano soltanto qualche anno meno di me, eppure credo che quella sul piano strettamente umano sia stata la generazione mi- gliore che abbia allenato, quella più proiettata verso il futuro (qualche telefonino co- minciava a girare negli spogliatoi), ma con in testa ancora certi valori del passato: molto professionali nel lavoro e con tanta voglia di seguire e di calarsi in un’idea di progetto comune. Legare con loro fu facile e di questo ne è prova Alessandro Madocci che ho conosciuto proprio alla mia prima esperienza alla Sarzanese. Lui, 28 anni allora, mi ha seguito a Poggibonsi e Viareggio e pochi anni dopo è diventato il mio secondo e lo è tuttora. La cosa strana è che trovai difficoltà a relazionarmi proprio con i più giovani, quelli che avevo allenato in Primavera: più superficiali, più egoisti e meno attenti alle di- namiche di gruppo. Gli oratori e la strada, che poco avevano conosciuto, li mettevano a disagio con chi veniva da quelle esperienze formative e non dalle scuole-calcio. Venendo dai settori giovanili, i ragazzi pensavano più a mettersi in evidenza personalmente che alle sorti della squadra, cosa che per i più anziani era ancora fondamentale.

2.8 Campionato Il livello tecnico era buono, quello tattico variegato. La diversità di mezzi e rose fino all’ingresso dei playoff notevole. Sarzanese e Poggibonsi sicuramente troppo diverse da Alessandria, Carrarese, Viareggio, Massese e Livorno, che potevano disporre di giocato- ri in numero e qualità nettamente superiori. Sul piano tattico erano tante le differenze. I vecchi allenatori usavano ancora il libero e le marcature ad uomo. Noi, più giovani, zona mista e zona totale. Il fuorigioco portato all’eccesso (cosa che non mi è mai piaciuta) faceva effetto e notizia e qualcuno ne abusava più per moda che per convinzione.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 35 2.9 Giornalisti e media Sarzana, Poggibonsi, Pavia: città tranquille. E i giornalisti non facevano eccezione. Pochi e poco spazio sui giornali, qualche intervista nel corso della stagione, ma nessuna pressione mediatica. Le televisioni private erano poche e chi scriveva della squadra di solito era un giovane appassionato di calcio. A Viareggio, invece, già c’erano un paio di televisioni private che seguivano la squadra, sia durante la settimana che alla domenica, e due giornali come La Nazione e Il Tirreno che avevano giornalisti sportivi abbastanza preparati e presenti. Ma non ricordo trasmissioni e salotti. Solo cronaca della partita e le interviste del dopo gara.

2.10 Tifosi Gli stadi in C2 avevano sempre una cornice discreta di pubblico ed anche in trasfer- ta molti erano i tifosi che seguivano le squadre. Naturalmente Livorno era un’eccezione, perché in quella categoria faceva 10.000 / 15.000 spettatori a partita e fuori casa la squa- dra era accompagnata da 1.000-2.000 sostenitori. Purtroppo, in questo periodo sono incappato in due retrocessioni: a Sarzana prima e a Pavia poi, ma non ricordo nessun in- cidente o manifestazione particolarmente violenta. L’ambiente esterno insomma non era poi così cambiato da quello che avevo lasciato da giocatore. Certo, ora in tutte le città, anche nelle più piccole, i tifosi si erano organizzati e tutti avevano il loro gruppo ultrà, ma tutto era ancora nella norma. Un po’ più di rumore, qualche parola in più, qualche atteggiamento provocatorio, ma tutto sommato il calcio in provincia era sempre sano.

2.11 Il Master Venivo da una retrocessione col Pavia e mi sentivo l’ultimo uomo sulla terra, tanto che, se non fosse stato per mia figlia Valentina e per mia moglie Annalisa, mi sarei si- curamente ritirato e non mi sarei presentato quella mattina di giugno, quando dovevo ritornare a Coverciano per frequentare la seconda parte del corso iniziato a febbraio. Invece, fu un’esperienza bellissima: il confronto con colleghi di spessore mi ha arricchito sia sul piano professionale che su quello umano, regalandomi fra l’altro amicizie che an- cora conservo, come con Dino Pagliari e Walter Novellino. Voglio ricordare proprio un episodio che concerne Walter, che è stato per me determinante sotto l’aspetto morale e dell’autostima. Il docente di psicologia (materia che più delle altre mi affascinava), dot- tor Tubi ci aveva fatto fare una riunione in cui tutto il gruppo in circolo si confrontava. Uno doveva parlare rivolgendosi o al gruppo o ad un singolo, dicendo quello che voleva. Non so quanti minuti passarono di assoluto silenzio e di imbarazzo generale. Non era- vamo più ragazzini e la confidenza fra noi era già buona. Qualcuno aveva giocato partite o guidato squadre a San Siro e parlato davanti a decine di telecamere, eppure nessuno aveva il coraggio di raccontarsi. Fu Novellino a rompere il silenzio dicendo. . Mi si gelò il sangue. Da sempre lotto con un’innata timidezza, mascherata talvolta con l’aggressività nelle espressioni e nei comportamenti.

36 Ricominciamo a Giocare a Pallone anni fa continuò Novellino allenavo il Perugia e Morgia è venuto a fare un’amichevole con il suo Viareggio. La partita finì 0-0, ma loro ci massacrarono sul piano del gioco. Mi chiesi in quei giorni se sarei mai riuscito a far giocare una squadra così bene... L’an- no dopo ci siamo incontrati in campionato. Allora io guidavo il Gualdo e proprio in Umbria abbiamo battuto il Viareggio, giocando molto bene. Quel giorno io mi sono sentito un allenato- re perché ero riuscito a battere Morgia, quello che per me era un mito irraggiungibi- le>. Restai di sasso. Novellino aveva vinto uno scudetto col Milan da giocatore, allenava già in serie B e considerava me, che ero appena retrocesso col Pavia dalla C2, un punto d’arrivo. Fu per me un’iniezione di fiducia incredibile, ma anche la scoperta che proprio i più grandi sono tali, perché hanno in sé la sensibilità e l’umiltà delle persone comuni e non l’arroganza e la presunzione di chi pensa di essere sempre il migliore. Quel modo di fare riunioni l’ho spesso utilizzato con le mie squadre nei momenti difficili, per cercare di fare gruppo e devo dire che molte volte mi ha portato ottimi risultati. Di quel corso ho bellissimi ricordi. Le ore in aula passavano veloci, perché in tutti c’era voglia di apprendere. Le domande poste ai docenti dai vari Rossi, Malesani, Zac- carelli, Pagliari, De Canio, De Biasi, Sella, Morini, non erano mai banali e le risposte sempre esaustive. Ma la parte più bella era lo scambio di idee e di esperienze fuori aula tra noi corsisti. E’ stato lì che ho rubato a Malesani l’idea dell’allenamento continuo dell’undici contro undici e del partire dal lavoro globale per arrivare al particolare. Ed è stato proprio dalle discussioni con Alberto, allora cultore del 4-4-2, che è nata l’idea di trasformare il mio 3-5-2 nel 3-4-3, lo schema che in futuro mi avrebbe consentito qual- che successo ed il vanto di essere stato il primo a presentarlo in Italia con il mio Marsala, proprio nel corso di quella stagione, arrivando in Sicilia il 6 gennaio 1997.

2.12 L’allenatore rampante Dopo aver vinto un campionato o comunque fatto bene, hai addosso tutti gli occhi. Le squadre che ti propongono sono tutte importanti, procuratori e direttori ti corteg- giano e il tuo cellulare squilla sempre. E’ il periodo dei treni che passano... Ma se ritardi o non ti adegui... il capostazione fischia e quel treno non lo prendi più. Stagione 1996/1997 Marsala (subentrato) Stagione 1997/1998 Marsala Stagione 1998/1999 Palermo Stagione 1999/2000 Palermo Stagione 2000/2001 Savoia E’ stato indubbiamente fino ad adesso il periodo più bello della mia carriera, ricco di soddisfazioni sia sul piano del gioco che dei risultati, ma anche su quello propriamente umano con amicizie solide che svariano dai giocatori ai tecnici, dai giornalisti ai tifosi. Amicizie che a distanza di anni conservo ancora. Sarebbe facile pensare che, quando le cose vanno bene, tutto va di conseguenza; io invece sono certo che le cose sono andate discretamente bene perché il lavoro di programmazione e delle scelte aveva una

Ricominciamo a Giocare a Pallone 37 sua logica. Tutte e tre le società, Marsala, Palermo e Savoia, erano molto snelle con un unico presidente Mannone a Marsala, Ferrara a Palermo, Moxedano al Savoia e avevano un rapporto diretto e molto intenso sia con me che con la squadra. Nel secondo anno a Marsala fu introdotto Pirro come direttore sportivo che costruì la squadra, seguendo solo indicazioni tecniche. A Palermo, dopo lunga insistenza, riuscii a far assumere An- tonio Schio, quando però i progetti erano già stati realizzati. Al Savoia la figura del diesse non veniva contemplata e fu ingaggiato un ex arbitro, perché si pensava di poter avere qualche beneficio dalla classe arbitrale. Cosa che da qualche tempo era in voga nel calcio italiano e che personalmente non ho mai appprovato, ritenendo fondamentale la separazione delle carriere. La stessa cosa in futuro succederà con i procuratori che occuperanno il ruolo di direttore sportivo all’interno delle società, in barba a qualsiasi conflitto di interessi.

2.13 Direttori sportivi: Pirro-Schio Con Pirro a Marsala, ed era presente anche Schio in quanto era stato lui a portarmi in Sicilia il primo anno, il rapporto è stato molto buono. Non si intrometteva mai nelle cose tecniche e sapeva gestire con serenità i pochi momenti di tensione all’interno della società. Schio, intelligente e preparato, di un’onestà unica, lontano dai meccanismi e dai giochi di potere. Vero uomo di società con nessuna prerogativa di inserirsi per fare carrie- ra. Infatti, finito il suo rapporto col Palermo, è tornato ad occuparsi di tutto meno che di calcio. Ma, come ho detto, a parte Mannone, Ferrara e Moxedano interpretavano la professione a tempo pieno e trattavano personalmente con i mille procuratori che aveva- no ormai invaso il mercato. Io credo che a livello di C la figura del diesse ha cominciato ad evere sempre minore importanza proprio in quei tempi e tutto sommato credo sia stato un male, perché veniva a mancare una figura intermedia tra squadra-allenatore e proprietà.

2.14 Calciatori Leto, Barraco, Sorce, Fortini, Erbini, Paratici, Antonaccio, Puccinelli, Picconi, Fi- netti, Cicchetti sono quelli che hanno fatto parte di almeno due, e qualcuno addirittura, tre squadre di quel periodo. Escluso il primo anno a Marsala per essere arrivato a genna- io, ho sempre svolto lunghi ritiri pre-campionato, affinando con i calciatori un’idea di gioco che per quei tempi era unica. Quindi, avendo già molti elementi che conoscevano il tuo modo di pensare e di lavorare, risultava abbastanza facile trasmettere il pensiero al resto del gruppo. Sul piano comportamentale i giocatori di quel periodo erano professio- nisti a tutti gli effetti. Ormai le conoscenze e le informazioni arrivavano loro da più parti e, per portarli dalla tua, non bastava più una semplice esercitazione ben strutturata. Per farli rendere al meglio, la parte motivazionale tornava ad essere essenziale. L’uso dei telefonini ormai era normale, ma il computer e la playstation dovevano comparire sulla scena. La palestra veniva ancora per lo più usata solo per il lavoro settimanale e non per

38 Ricominciamo a Giocare a Pallone esercizi di culturismo. Il vincolo di appartenenza alle società era drasticamente sceso, resisteva in parte quello all’interno dello spogliatoio.

2. 15 Campionato La C2 a Marsala riuscimmo a vincerla senza programmarla. Una squadra fatta pezzo per pezzo nata sulle basi e sul 3-4-3 di quella che l’anno prima era riuscita ad ottenere una salvezza incredibile, facendo un girone di ritorno da media promozione (avevano “girato” con 11 punti). I tre campionati di C1 con Palermo e Savoia furono bellissimi sia per le piazze che vi partecipavano (Catania, Avellino, Messina, Ascoli, Crotone) che per valori tecnici in campo (Toni, Iaquinta, Evrà, Tiribocchi, Fini, Vigiani, Liverani, Baiocco, Mascara, Bombardini, Donato, Perna, Sicignano) sono una piccola parte di quei calciatori di quel periodo che poi raggiungeranno la serie A. Due, Toni e Iaquinta, diventeranno Campioni del Mondo, tre con Grosso che, in quegli anni, militava in C2 al Chieti. Sul piano tattico le squadre erano tutte molto organizzate ed il 4-4-2 il sistema più praticato. A vincere il campionato nella stagione 1998/99 è stata la Fermana di Ivo Iaconi proprio col 3-4-3, il mio modulo stava facendo proseliti...

2.16 Giornalisti e media A Marsala, oltre a un paio di radio private, esisteva anche una televisione, che trasmetteva partite e ospitava giocatori, tecnici ed opinionisti. A Torre Annunziata tan- tissime emittenti parlavano del Savoia, che entrava nelle discussioni di un po’ tutte le trasmissioni del Napoletano. Palermo era il massimo. Numerose televisioni e radio organizzavano programmi e, oltre ai tanti giornali locali, che ovviamente trattavano la squadra rosanero, c’era una pagina da riempire tutti i giorni su Repubblica, Gazzetta dello Sport e Corriere dello Sport. La pressione mediatica era fortissima e secondo me i toni iniziavano ad alzarsi troppo: anche se non eravamo ancora alle risse verbali di oggi, cominciavamo ad esserci molto vicino.

2. 17 Tifosi A Marsala, Palermo e Torre Annunziata, disputando campionati di vertice, indub- biamente gli stadi erano stracolmi di gente e tanti seguivano la squadra fuori, ma anche negli altri ambienti c’era comunque sempre una discreta presenza di pubblico. Le forze dell’ordine erano sempre presenti in discreto numero, ma mai in maniera esagerata. An- che nel derby Catania-Palermo, pur a fronte di una tensione palpabile, non ricordo mai violenze particolari. A tal proposito, nella stagione 1999/2000 il ritiro pre-campionato del Palermo si svolse a Pedara, in provincia di Catania, segno evidente che nessuno pensava che il calcio potesse arrivare agli eccessi cui sarebbe arrivato di lì a poco. Co- munque, le avvisaglie c’erano: una notte fu scagliata una bottiglietta molotov nella hall dell’albergo dove alloggiavamo, incendiando una tenda e provocando un po’ di panico.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 39 Gli imbecilli iniziavano a muoversi. In quegli anni sono tornato da avversario anche alla Favorita in una partita molto sentita perché valeva per la promozione ed il mio Savoia all’andata aveva battuto il Paler- mo 5-1. Non solo: in tribuna, a Torre Annunziata si erano verificati tafferugli tra i nostri dirigenti e i loro. Al Palermo erano presenti oltre 25.000 persone ed un bara ci accolse all’arrivo allo stadio. Quando entrai in campo, fui sommerso dai fischi ed una corona era stata messa sulla mia panchina. Solo folclore, che non mi fece piacere, e magari avrei preferito essere applaudito, ma io quella sera sono rimasto a Palermo per cenare in centro con l’ex presidente Ferrara e il direttore sportivo Schio e il giorno successivo ho passeggiato tranquillamente per le vie principali della città, avvicinato con simpatia ed affetto dai miei ex tifosi. Un po’ di trambusto, invece, è successo a fine anno a Torre Anunziata dove abbiamo perso l’ingresso ai playoff e dove già si avvertiva l’aria del fallimento prossimo.

2.18 Primo incontro tra la Slepoj e i giocatori rosanero (Pubblicato su: REPUBBLICA in data: 21/11/1999 a pagina: 7 nella sezione: PALERMO) VERA Slepoj, la psicologa ingaggiata dal Palermo per seguire la squadra, ha iniziato ieri il suo lavoro con i giocatori. La Slepoj ha visto Morgia al “Borsellino” per illustragli il suo programma, poi, dopo una conferenza stampa allo stadio, ha incontrato i giocatori. «La società ha dimostrato di essere lungimirante e coraggiosa decidendo di affiancare la mia opera a quella di Morgia ha commentato la dottoressa Il Palermo è un gruppo eccezionale, con enormi potenzialità, che certamente andrà in serie B». Giovanni Ferrara ha sottolineato come l’arrivo della Slepoj rappresenti un’altra tappa nel processo di crescita della società che si è già dotata di uno staff medico di rilievo, di un dietologo, di fisioterapisti e preparatori atletici anche per il settore giovanile.

Il primo anno a Palermo perdemmo un campionato secondo me già vinto, ed il ce- dimento nel finale più che fisico e tecnico fu mentale. Palermo è una città straordinaria e la sua giusta dimensione è quella attuale, la serie A fatta ad altissimi livelli. Ma anche in serie C la pressione mediatica era uguale a quella attuale. Nel mese di novembre del 1999, parlando con i miei giocatori, chiesi cosa ne pensavano se avessi inserito nello staff come collaboratrice una psicologa, per fare insieme a lei un percorso di crescita comune (l’esperienza al Master col professore di psicologia, dr. Tubi, mi aveva ampiamente con- vinto dell’uso di questa disciplina). La loro risposta affermativa ed interessata mi spinse a parlare col presidente Ferrara. Giovanni Ferrara è stato uno dei migliori presidenti che abbia mai avuto. Intelligen- za e cultura elevate, conoscitore ed appassionato di calcio, ma soprattutto uomo aperto al dialogo e grande innovatore. Si prese in carico un’altra spesa ed accontentò, credendoci, me ed i ragazzi. Naturalmente eravamo coscienti che al primo risultato negativo gli in- sulti a lui ed a me da parte della tifoseria sarebbero stati scontati.

40 Ricominciamo a Giocare a Pallone accattate ‘na punta>, fu l’inventiva più simpatica. Ma la cosa che più mi colpì furono le domande anche cretine (ma è “bona” la psicologa?) e i pregiudizi dei miei colleghi, che incontrai in una tavola rotonda organizzata a Roma dal Corriere dello Sport, per dibattere sul campionato in corso. Non verificai mai quel lavoro, in quanto fu interrotto con la vendita del Palermo ed il mio esonero tre mesi dopo e le conseguenti dimissioni di Vera Slepoj. Di quella esperienza mi rimane, purtroppo, solo la cattiva impressione che ho ricevuto dall’ambiente e soprattutto dai miei colleghi, e la consapevolezza di quanto il nuovo nel calcio spaventi sempre.

2.19 Ecco i nuovi padroni (Da Repubblica del 2 marzo 2000) ROMA E’ la prima volta che accade nel mondo del calcio: quattro presidenti di serie A si mettono insieme per comprare una società di serie C. Da ieri infatti il Palermo è di proprietà della Sds, la Società diritti sportivi, che fa capo a Sensi, Cragnotti, Tanzi e Cecchi Gori. Il finanziatore principale di tutta l’ operazione, colui che ha fortemente voluto chiudere l’ affare è Franco Sensi, presidente della Roma e della Sds. Non a caso l’ atto con il quale le azioni di proprietà della famiglia Ferrara passano nelle mani della nuova società è stato redatto nei suoi uffici di via Aurelia a Roma. E non a caso la conferenza stampa di Sergio D’ Antoni segretario generale della Cisl e neo presidente del Palermo, si è svolta in un albergo di proprietà dello stesso presidente della Roma. Un’ operazione il cui costo si agira tra i diciotto e i venti miliardi con Sensi che ha battuto in volata la concorrenza di Flavio Briatore che voleva rilevare il Palermo con l’ appoggio di Juventus e Milan. Così lo scontro sul Palermo è diventato lo scontro tra i due grandi blocchi del calcio italiano e tra le due televisioni a pagamento, Telepiù attuale sponsor della società rosanero e Stream, della quale Sds detiene il dodici per cento. “Non vogliamo alimentare alcun tipo di polemica si è affrettato a dire Sergio D’ Antoni Il progetto di un grande Palermo interessa tutto il calcio italiano. Non esiste nord o sud, esiste soltanto un grande patrimonio di potenzialità da sfruttare al massimo”. Pro- prio le grandi potenzialità, attualmente inespresse, del Palermo hanno convinto Sensi e la Sds a portare a termine l’ affare. La società rosanero ha un grande bacino d’ utenza con tifosi sparsi in ogni parte del mondo e uno stadio da quarantamila posti. Il Palermo, insieme al Livorno, è l’ unica squadra di serie C le cui partite vengono trasmesse da Telepiù per gli ab- bonati. “Palermo non sarà Foggia o Nizza dice il neo presidente Sergio D’ Antoni riferendosi ad altre due squadre di proprietà di Sensi Il Palermo è il Palermo. Ha una sua storia e una sua importanza che meritano di essere valorizzate. Il mio impegno di siciliano testimonia che c’ è voglia di fare le cose in grande e riconsegnare la squadra a quella serie A dalla quale manca da quasi trenta anni”. Per la prima volta nella sua centenaria storia, la proprietà del Palermo non è dei palermitani. “Ma questo non vuol dire assolutamente niente. Non è certo un’ opera di colonizzazione. Il calcio, con i proventi dei diritti televisivi, è cambiato e Palermo non poteva rimanere fuori dal grande giro”. Ma a Palermo, nei prossimi mesi si giocheranno anche delle importanti partite politiche. Si aprono gli scenari del dopo Orlando, si voterà per la presidenza della Regione. “Non credo che si possa parlare di operazione politica dice il

Ricominciamo a Giocare a Pallone 41 segretario della Cisl Ho già parlato con il sindaco Orlando e con le altre autorità cittadine e tutti sono felici dell’ esito della trattativa. I successi del Palermo saranno i successi di tutta la città e dell’ intera Sicilia”. Attualmente però la squadra si trova in serie C a cinque lunghezze dalla zona dei play off. “Guardiamo al futuro con ottimismo. In questa prima fase non faremo certo degli stravolgimenti. Contiamo sul grande entusiasmo che potrà derivare dal cambio al vertice. Il nostro mandato inizia dal prossimo anno. Solo allora sapremo se dovremo partire dalla serie C o dalla serie B. L’ obiettivo comunque non cambia. E’ la serie A”. di MASSIMO NORRITO

Politica e televisioni non potevano non interessarsi al Palermo; il bacino di utenza era troppo grosso. Nell’anno successivo, poi, ci sarebbero state le elezioni a sindaco. Sergio D’Antoni, lasciato il sindacato, fondò un suo partito (Democrazia Europea) e si candidò a sindaco, sperando che i successi del Palermo potessero aprirgli la strada a diventare primo cittadino... Non andò poi così. Le elezioni le vinse Cammarata, rap- presentante di Forza Italia, ed un anno dopo Sensi cedette il Palermo a Zamparini ed il Palermo volò in serie A. Cragnotti, Tanzi e Cecchi Gori ebbero nel corso degli anni successivi vicissitudini personali e persero la proprietà di Lazio, Parma e Fiorentina... Grandi crac finanziari in qualche modo legati al calcio e alla politica. I grandi interessi, gli intrecci e forse le opportunità erano vicini a me, ma io avevo nostalgia del calcio pane e salame e tutta passione, quello insomma che avevo fatto con Ferrara ed arrivai perciò in rotta di collisione con la dirigenza, e dopo una mia dichiarazione sul giornale fui li- cenziato dall’ancora sindacalista Sergio D’Antoni che solo un mese prima aveva rimosso dall’ADR Roma Pallacanestro, di cui era presidente (un vero collezionista di poltrone), il coach Cesare Pancotto. Era l’anno 2000, il nuovo millennio. La televisione cominciava a stravolgere gli equilibri del calcio italiano, le grandi città, i grandi bacini di utenza ne traevano sicuramente beneficio. In Sicilia, per esempio, Palermo e Catania ritroveranno la loro dimensione nella massima serie, ma da Marsala, Trapani, Messina, Acireale, Sira- cusa, Giarre è purtroppo scomparso il calcio. Città di provincia, dove il campionato di serie C è da sempre un veicolo di richiamo turistico e di aggregazione sociale.

2.20 I procuratori Da un certo momento in poi sono stati fra le figure più importanti del panorama calcistico italiano relegando, almeno in serie C, il ruolo di direttore sportivo ad una cari- ca di secondo piano. Inizialmente i loro assistiti erano grandi calciatori che si avvalevano dei procuratori per trattare con le società contratti sempre più ricchi e complicati, che riguardavano fra l’altro anche la gesitone dell’immagine e della pubblicità. Molti per questo erano avvocati o commercialisti. Col passare del tempo però il loro ruolo ha as- sunto mansioni ed importanza diversi. Da operatori singoli si sono costituiti veri e pro- pri uffici di rappresentanza che comprendono ex calciatori e anche tanti figli di papà... (la Gea è stata la più importante, ma non l’unica). Lobbies capaci di condizionare il mercato e anche i campionati. Giocatori, allenatori, ma anche direttori sportivi si sono

42 Ricominciamo a Giocare a Pallone rivolti a loro non per farsi rappresentare ma per avere possibilità di lavorare. Una sorta insomma di ufficio di collocamento. Dopo la serie C hanno occupato anche il mondo dei dilettanti, ma la cosa più devastante è stato il loro ingresso nei settori giovanili: per arrivare prima degi altri al futuro campione hanno illuso e diseducato famiglie e bambi- ni. Non ho mai avuto con la categoria in genere grandi rapporti, anche se annovero fra di essi tanti amici, e so che c’è gente che svolge la professione con valori e onestà, ma per mentalità non mi piace il mestiere di chi, stando nell’ombra e non rischiando personal- mente, determina ed inquina un sistema per interessi puramente economici e personali.

2.21 Gerri Palomba Ho conosciuto Gerry, di professione commercialista, a Marsala nel 1998. Rappresentava un giocatore di Lecce, Ingrosso, un suo amico, che avevo in prova a Marsala ed era l’unico giocatore che aveva in procura. Passammo un po’ di giorni assieme, il tempo della prova. Mi colpì il suo modo di essere, la sua umiltà unita ad una grande umanità ed il suo pensare, che trovavo molto vicino al mio. Ci frequentammo molto nel corso della stagione. Lui seguiva il suo amico calciatore, quindi di conseguen- za il nostro campionato. La nostra amicizia così si rafforzò partita dopo partita e cena dopo cena. Sapeva che non avevo molto in simpatia i procuratori. Si meravigliò quindi quando una sera gli dissi che, se avessimo vinto il campionato, cosa che lui sosteneva da un pezzo, gli avrei firmato la procura. Vincemmo ed io mi ritrovai un procuratore ma soprattutto un grande amico a rappresentarmi. Discusse per me i contratti a Palermo, Savoia, Catanzaro e San Marino e a Palermo e al Savoia mi aiutò a costruire la squadra, avendo legato molto con i miei presidenti Ferrara e Moxedamo. In qualche maniera fui io ad introdurlo nel mondo del calcio e non viceversa. Pian piano con la sua intelligenza e la sua bravura ha scalato posizioni, entrando a pieno titolo nel sistema ed ora siede a tavoli importanti... Ma io ho perso un amico.

2.22 Alessandro Moggi – Ceravolo Crotone Novembre 2001: mentre assistevo ad una partita della Pistoiese, ricevetti una tele- fonata di Alessandro Moggi che mi chiedeva la disponibilità, per andare ad allenare il Crotone in serie B, che aveva deciso di cambiare allenatore. Era quello che aspettavo. Risposi quindi in maniera positiva ed entusiasta. La domenica sera a Forte dei Marmi mi incontrai con il sig. Ceravolo, allora dirigente della Juventus, ma con una lunga militanza nel Crotone, società con la quale continuava a collaborare. Parlammo per un’oretta di giocatori e di eventuali rinforzi. Il giorno dopo ebbi una telefonata con il presidente sig. Vrenna, trovando anche l’accordo economico, e così feci il biglietto aereo sulla tratta Pisa-Reggio Calabria dell’indomani mattina. Nel corso della stessa giornata, ebbi colloqui con l’allora diesse Giuseppe Ursino, per concordare l’incontro con la stam- pa, la squadra e l’orario di allenamento. Fui contattato da diversi giornalisti e da qualche giocatore. Tutto era pronto, anche le valigie, finalmente l’occasione di misurarmi in B

Ricominciamo a Giocare a Pallone 43 era arrivata, ed anche se il contratto economico non era di quelli importanti, mi sentivo in Paradiso. A notte fonda mi richiamò il direttore sportivo Ursino. Avevo l’aereo alle 7. Mi comunicò che il presidente Vrenna aveva un impegno e non poteva essere alla presentazione, quindi dovevo rimandare di un giorno il mio arrivo a Crotone. Mi inso- spettii e l’indomani chiamai, prima Alessandro Moggi, poi Ceravolo che mi tranquilliz- zarono... Sui giornali del martedì c’erano le mie interviste e tutto il mio entusiasmo per la nuova avventura, ma alle 15 di quello stesso giorno a Crotone fu presentato Beppe Materazzi come nuovo tecnico. Io fui avvertito solo dai giornalisti. In tarda serata si fece vivo il presidente a cui manifestai tutto il mio sdegno. Conservo ancora il biglietto, che tra parentesi non mi fu nemmeno mai rimborsato. Ceravolo e Moggi, che di quella trat- tativa furono i promotori, non li ho da allora più sentiti. Io avevo perso il treno, anche se non ero in ritardo... Qualcuno dignità e moralità. Ammesso che l’abbiano mai avuta.

2.23 CATANZARO (Stagione 2001 – 2002) Esperienza che tratto separatamente per la semplice ragione che è stata una scelta anomala e sbagliata, dettata più dalla delusione della vicenda Crotone e da interessi economici. Arrivai a fine gennaio, firmando un biennale molto importante: avevo rifiutato tanta C1 e, aspettando la B, mi ritrovavo in C2. Le cose non andarono come pensavano e pensavo e, con tutta onestà, a fine giugno ho rescisso il contratto. Non avevo mai lavorato per soldi ma solo su progetti in cui credevo. Quello che mi avevano prospettato, per ottenere la mia firma, non era possibile farlo. Preferii rimetterci tutto e lasciare. In solo quattro mesi,con una squadra fatta da altri e in un ambiente per altro molto difficile, avevo sciupato tutto quello che mi ero costruito negli ultimi cinque anni.

2.24 SAN MARINO (Stagione 2002 – 2003 / 2003 2004) Anche questa esperienza la tratto separatamente dalle altre perché la mia vuole essere un’analisi sulle problematiche del calcio italiano in serie C e San Marino, pur giocando in un torneo della Federcalcio italiana, è uno Stato straniero. Ha infatti un suo cam- pionato interno, che per la gente del posto e per le istituzioni politiche è molto più importante della squadra che gioca in serie C. La vincitrice di quel campionato (livello della nostra promozione) partecipa alla Coppa Uefa e la Nazionale di San Marino alle eliminatorie dei Campionati Europei e Mondiali. L’organizzazione della società e la sua serietà però sono ottime. Tutto funziona alla perfezione e fare calcio in questo contesto è stata comunque un’esperienza bellissima. Lontano dai clamori, in un ambiente com- pletamente ovattato, dove la componente tifosi è inesistente o quasi, eri concentrato sul gruppo che però, proprio per mancanza di stimoli esterni, dovevi continuamente motivare. Pelliccioni era il direttore sportivo di quel periodo e di lui conservo un buon ricordo: preparato, coerente e con una buona conoscenza dei calciatori. Ho trascorso un

44 Ricominciamo a Giocare a Pallone anno e mezzo a San Marino, raggiungendo una bella salvezza e l’ingresso ai playoff nella stagione successiva, dopo un campio- nato vissuto quasi interamente in testa. Ricordo con piacere anche un bel gruppo di giocatori, ma legare in un ambiente privo di tensioni è certamente più facile. Penso che San Marino sia l’ambiente ideale per poter lavorare con i giovani, non avendo lo stress di dover raggiungere per forza i risultati se non per le ambizioni della proprietà. Ho vissuto talmente bene quel periodo che, nel secondo anno, mi sono iscritto ad Urbino alla facoltà di psicologia, riuscendo a dare 4-5 esami. Cosa che, lasciando quell’oasi di pace, ho dovuto purtroppo abbandonare.

2.25 L’allenatore esperto Hai accumulato esperienze e conoscenze, l’entusiasmo è sempre lo stesso, il calcio è la tua malattia: come potrebbe mancarti? Ma il cellulare a giugno non squilla più. Si ricordano di te quando le cose vanno male e la piazza è in fermento. Serve un nome, un allenatore col curriculum e di categoria. Un parafulmine, insomma... Troppe volte sei costretto ad accettare perché le riserve sono finite e devi pur vivere. Fare l’allenatore è diventato col tempo un mestiere da ricchi, infatti molti tecnici pagano portando spon- sor pur di allenare. Stagione 2004/2005 Foggia (subentrato) Stagione 2005/2006 Foggia (esonerato) Stagione 2006/2007 Pavia (subentrato) Stagione 2007/2008 Sorrento (subentrato) Stagione 2008/2009 Juve Stabia (subentrato – dimissionario) E’ il periodo delle squadre prese in corsa, cosa che per un tecnico non è mai il massimo. Il periodo che mi ha dato più delusioni che soddisfazioni, anche se mi ha permesso di conoscere persone che meritano come Franco Giglio, che ho avuto come presidente prima a Sorrento e poi a Castellammare di Stabia, un uomo che ricorda in qualche maniera i vecchi presidenti. Disponibile ed umano nei rapporti con la squadra ed i tecnici, ambizioso e soprattutto tifoso alla domenica, quanto però attento a sdram- matizzare con un sorriso ed una battuta durante la settimana. Una di quelle tante perso- ne per bene (com’era del resto il presidente Mancuso a Catanzaro o Ferrara a Palermo) che il calcio però troppe volte fa fuggire: dove si avverte disponibilità e forza economica arrivano purtroppo gli avvoltoi... Questo periodo mi ha permesso di conoscere soprat- tutto una città come Foggia. A Foggia sono entrato in corsa con una squadra che navi- gava in fondo alla classifica: io ed i componenti dello staff (Madocci secondo, Senatore preparatore dei portieri, Giunto preparatore atletico) abbiamo svolto credo un buon la- voro che per poco non ci ha consentito addirittura di giocare per i playoff, valorizzando in più Cellini e Nardini. Ma la cosa più bella è stata il rapporto vissuto con la città e la tifoseria tutta. Là ho trovato un pubblico competente, attento, capace di accoglierci allo stadio dopo una trasferta persa ad Avellino, per tributarci un caloroso applauso per il nostro impegno e soprattutto perché avevamo giocato bene. Per i foggiani giocare bene

Ricominciamo a Giocare a Pallone 45 è fondamentale, al di là del risultato, ma tutto ciò non è casuale: ritengo che la lunga militanza di Zeman e quel Foggia spettacolare abbiano lasciato una traccia indelebile in tutti. Segno evidente che chi opera come allenatore o come direttore o come giornalista può influenzare in qualche modo un ambiente e migliorarlo sotto l’aspetto culturale e sportivo. Cosa che troppo spesso viene trascurata per paura o per inseguire solo interessi economici e personali.

2. 26 Diretttori sportivi Pavone-Tarantino-Amodio La figura del diesse in questi ultimi anni è sempre meno rilevante. I presidenti han- no sempre più contatti personali con i singoli procuratori, perciò per loro influire sulle sorti della squadra e della politica societaria è sempre più difficile. Interpretano il ruolo, comunque, relazionandosi soprattutto con il mondo interno del calcio. I loro contatti, a parte quello con la squadra, sono rivolti in sede di mercato, quindi sempre in continuo contatto con i procuratori e con altri direttori sportivi. Seguono poco il settore giovanile e pochissimo il territorio. Nel corso di questi anni ho lavorato con Tarantino a Pavia, ma era alla sua prima esperienza in un ambiente per certi versi dilettantistico. La passio- ne il trasporto, comunque, non gli mancavano, mentre gli faceva difetto la personalità necessaria per portare avanti il progetto biennale per il quale mi aveva coinvolto. Con Amodio sono stato a Sorrento e un paio di mesi alla Juve Stabia. Debbo dire che il nostro rapporto è stato splendido e penso sia una delle persone migliori che abbia co- nosciuto: sul piano professionale interpreta il ruolo nella maniera migliore. Vicino, ma mai invadente, competente ed in quanto ex calciatore anche attento alle problematiche all’interno di un gruppo. Su Pavone invece intendo soffermarmi di più. Il suo passato lo merita. lo cono- scevo già prima di lavorare a Foggia, perché insieme avevamo fatto il corso di allenatore di II categoria. Il Foggia di Casillo-Pavone-Zeman era stata una delle squadre che avevo preso a modello per organizzazione, cultura e naturalmente gioco. Quindi, lavorare con lui è stato per me un onore. Io credo che in ogni professione il rapporto umano sia fondamentale, ma non voglio considerarlo, perché questo può essere solo un aspetto puramente soggettivo e comunque riguarda soltanto la nostra sfera personale. Pavone interpreta il ruolo, o almeno con me l’ha fatto, come una figura puramente tecnica che si voleva interessare di preparazione fisica, tecnica e tattica, entrando senza richiesta in tutti quei settori che ritengo siano competenza solo di un tecnico. Il nostro rapporto, perciò, si è incrinato quasi subito, tanto che alla sesta giornata sono stato esonerato proprio da lui. Ho sbagliato io, ha sbagliato lui, non lo so. A pagare credo sia stato solo l’ambiente in generale, un ambiente splendido e una dirigenza nuova e ricca di entusia- smo e di possibilità, che meritavano senz’altro maggior cura e minor protagonismo da parte nostra. Il mio rammarico è stato solo quello di lasciare una città che era il massimo per il mio modo di vedere il calcio.

46 Ricominciamo a Giocare a Pallone 2. 27 Calciatori Figli del tempo e del Grande Fratello (si vive in gruppo ma ci si elimina perché uno solo vince), sono sempre più preparati, discutono di tattica, moduli, sistemi di allena- mento, medicine, preparazione fisica ed alimentazione. Conoscono la storia e i trascorsi di tutti noi allenatori, come degli arbitri che non sono più fantasmi vestiti di nero (ora sono colorati), ma molto più personaggi di un tempo e più carichi di responsabilità. Sotto il piano professionale e delle conoscenze sono indubbiamente migliorati, ma sono sostanzialmente solitari: un paio di telefonini a testa e sul pullman in occasione delle trasferte i computer sono sempre in funzione. Belle macchine, attenti alla moda e na- turalmente al nuovo tatuaggio da farsi. Coinvolgerli sotto il profilo umano, basandosi sul concetto di valori da condividere, risulta essere sempre più difficile. Sono fissati nella cura del corpo e dell’immagine. Si sottopongono ad un lavoro di palestra con metodici- tà e preparazione anche al di là delle sedute di allenamento. I rapporti all’interno sono sempre più formali e nelle difficoltà troppe volte affondano, non ritrovandosi mai come gruppo. Gli scapoli superano di gran lunga gli sposati. Il legame con i procuratori è sempre più stretto e il mercato, che è quasi sempre aperto, è la scappatoia per fuggire, se uno magari gioca poco o non lega con l’ambiente

2.28 Campionato Il livello medio si è indubbiamente alzato, ma la qualità è peggiorata. I tecnici sono ormai tutti molto preparati e le squadre molto organizzate, salvo poche eccezioni le rose sono tutte abbastanza competitive. La regola del contributo da destinare alle società, che schierano i giovani, permette a questi ultimi di trovare in qualche squadra più spazio, ma c’è sempre un numero crescente di ultratrentenni italiani, che provengono da categorie superiori dove non trovano più posto, essendo possibile in A e B tesserare un numero quasi illimitato di stranieri. La categoria quindi, che dovrebbe essere una tappa di mezzo per la formazione del calciatore, è diventato un ibrido dove è preminente il risultato ad ogni costo.

2.29 Giornalisti e media A parte Pavia e per certi versi Sorrento, sia a Foggia che a Castellammare la pressione dei media era veramente notevole. Programmi televisivi, radio e giornali bom- bardavano continuamente. I toni erano sempre accesi e si passava dall’esaltazione della vittoria alla demonizzazione della sconfitta con una facilità estrema. Opinionisti, gior- nalisti molte volte nemmeno iscritti all’albo, allenatori in cerca di squadra, procuratori e veline, scimmiottavano le grandi trasmissioni tipo “Controcampo” o il “Processo del Lunedì” con dibattiti e commenti, che non facevano che rendere l’ambiente sempre più teso e pieno di veleni, interventi in diretta dei telespettatori, uniti a sms che scorrevano sul monitor, completavano l’opera del grande show.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 47 2.30 Tifosi Dopo la morte di Raciti e le misure restrittive attuate dal Governo non è che poi le cose siano cambiate, almeno per quanto riguarda il calcio minore. Fatti violenti, intimi- dazioni, incidenti, sono purtroppo ancora all’ordine del giorno. Io ho dato le dimissioni, le prime dopo 25 anni di carriera, proprio a causa di questo: la bottiglietta lanciatami contro che mi ha colpito in testa, ma soprattutto la vile aggressione subìta da due miei calciatori, sono stati solo però la punta di un iceberg, di un problema che negli ultimi anni è diventato insopportabile. Auto incendiate, giocatori picchiati o costretti a rescin- dere i contratti, allenatori minacciati e presidenti che non possono mettere piede nei loro stadi. La stessa cosa hanno subìto giornalisti e direttori, ma le denunce non sono mai partite per paura o per comodo. Siamo arrivati a giocare gare a porte chiuse o per i soli abbonati. Le trasferte al seguito della squadra per la stragrande maggioranza dei tifosi vietate, gli stadi sono sempre pieni di poliziotti in assetto da guerra e sempre più vuoti di spettatori. Il calcio, che dovrebbe essere gioia trasformato in un teatro di tristezza. Le misure restrittive secondo me hanno tolto le persone per bene dagli spalti, ma non impedito ai delinquenti di continuare a fare i loro porci comodi. E poi che cosa è il cal- cio senza la gente? Per chi giochi, per chi corri, per chi sudi? Una partita a porte chiuse è come un mare senza pesci e per chi, come me ama, lo snorkeling è un vero incubo.

2.31 Due epoche a confronto: La Lucchese del 1978 e la Lucchese del 2008 Campionato 1977-1978 Campionato 2007-2008 Partite 19 17 Totale Spettatori 104.000 51.308 Media 5.460 3.018 Numero maggiore 11.891 4.343 spettatori Lucchese-Livorno Lucchese-Salernitana 10° giornata 6° giornata Numero minore 439 2.376 spettatori Lucchese-Fano Lucchese-Taranto 38° giornata 14° giornata Totale incasso £. 350.000.000 circa €300/350.000 circa Rosa giocatori 20 26 Media età giocatori 23,2 27,5 Totale ingaggi £.170/200.000.000 €1.000.000/1.300.000 giocatori circa (escluso nero)

In questo raffronto tra due epoche ho preso in esame solo pochi aspetti di quello che costituisce il bilancio di una società di calcio che opera in serie C, quello cioè relati- vo agli incassi da botteghino più gli abbonati, ed il costo di chi questi incassi li produce,

48 Ricominciamo a Giocare a Pallone ovvero i calciatori. Dal 1978 al 2008 nella stessa città campione e nella stessa categoria, Lucca e la Lucchese, il calo degli spettatori è stato notevole. Tutte e due le squadre nei rispettivi anni hanno lottato per la promozione, con la variante che il sogno della B nel 1978 è finito molto prima; quindi nelle ultime tre partite in casa la delusione per l’obiet- tivo mancato ha portato un calo impressionante, cosa che non è successa nel 2008 in cui, fino all’ultima giornata, la Lucchese ha lottato per un posto nei playoff. L’allungamento della panchina da 14 a 18 calciatori ha di conseguenza aumentato il numero dei giocato- ri in rosa, portandolo di fatto da 18-20 a 20-26. E’ evidente che, analizzando solo questi due dati, balza agli occhi quanto ampio sia lo sbilancio tra i due conti: uno risulta essere di gran lunga positivo, e gli incassi sono infatti il doppio del costo degli ingaggi; nell’al- tro, i costi sono tre volte superiori agli incassi (va poi considerata la brutta abitudine del “nero” che nel 1978 non esisteva). Altro dato, che ho preso in esame, è tecnico più che economico. Nel 1978 l’età media della squadra era di 23 anni, nel 2008 di 27,5 anni, nonostante la Lega di serie C dia oggi un contributo per favorire la presenza di giovani in rosa e in campo. Ho detto tecnico ma in realtà per la Lucchese del 1978 era anche economico in quanto in quella stagione Gaiardi fu ceduto ad un club di serie A, rappresentando quindi altre entrate nel bilancio di fine anno. Altri giocatori non sono stati ceduti solo perché l’intenzione della società era quella di costruire una squadra ancora più forte per l’anno successivo. Il calo degli spettatori a Lucca e l’indebitamento della Lucchese non sono casi isolati e anzi il quadro dell’attuale serie C italiana, dove ovunque la gente ha abbandonato gli stadi, vuoi per un interesse sempre minore da parte delle nuove generazioni, vuoi per una violenza sempre crescente, vuoi per i prezzi dei biglietti sempre più alti e vuoi infine per le leggi restrittive applicate dopo la morte di Raciti. Con il sogno che la promozione fosse l’unica strada percorribile per mantenersi in vita sono state sempre più le squadre che hanno esaurito in poche stagioni i capitali messi loro a disposizione, con il risultato che sono cambiati i proprietari con estrema facilità ed è venuta meno la programmazione necessaria per qualsiasi azienda che vuole raggiungere traguardi importanti. La Lucchese del 2008 non ha raggiunto la promozione ed è fallita a causa di un buco nel bilancio di 5 milioni. Ora, con una nuova società, la squadra.

2.32 Fallimenti e non iscrizioni nel calcio dal 1985 al 2008

Società liquidate Serie di apparte- Escluse al termine nenza ultimo cam- della pionato professio- stagione sportiva nistico

PALERMO B 1985/1986

Ricominciamo a Giocare a Pallone 49 POTENZA C2 1985/1986 SANREMESE C2 1986/1987 NOCERINA C1 1987/1988 ENTELLA C2 1987/1988 PISTOIESE C2 1987/1988 BENEVENTO C2 1988/1989 CYNTHIA C2 1988/1989 SORRENTO C2 1988/1989 BRINDISI C1 1989/1990 CAMPOBASSO C2 1989/1990 FROSINOSE C2 1989/1990 LA PALMA C2 1989/1990 PRO VERCELLI C2 1989/1990 IMOLA D 1989/1990 ENNA C2 1990/1991 JESI C2 1990/1991 KROTON C2 1990/1991 LIVORNO C2 1990/1991 PRO CAVESE C2 1990/1991 TORRES C1 1990/1991 CAMPANIA-PUTEOLANA C2 1991/1992 LANCIANO C2 1992/1993 TARANTO B 1992/1993 TERNANA B 1992/1993 AREZZO C1 1992/1993 CATANIA C1 1992/1993 CASERTANA C1 1992/1993 MESSINA C1 1992/1993 VIS PESARO C1 1992/1993 CASALE C2 1992/1993 SUZZARA C2 1992/1993 VARESE C2 1992/1993 PISA B 1993/1994 SANBENEDETTESE C1 1993/1994 TRIESTINA C1 1993/1994 MANTOVA C1 1993/1994 GIARRE C1 1993/1994

50 Ricominciamo a Giocare a Pallone POTENZA C1 1993/1994 AKRAGAS C2 1993/1994 CASALE C2 1993/1994 CERVETERI C2 1993/1994 L’AQUILA C2 1993/1994 LICATA C2 1993/1994 MONOPOLI C2 1993/1994 VIAREGGIO C2 1993/1994 VIGOR LAMEZIA C2 1993/1994 BARLETTA C1 1994/1995 CREVALCORE C1 1994/1995 SIRACUSA C1 1994/1995 TRENTO C2 1994/1995 VASTESE C2 1994/1995 GROSSETO D 1994/1995 NOLA C1 1995/1996 TRANI C2 1995/1996 ISCHIA I.V. C1 1997/1998 ALBANOVA C2 1997/1998 AVEZZANO C2 1997/1998 BISCEGLIE C2 1997/1998 IPERZOLA C2 1997/1998 MARSALA C1 1999/2000 CARPI C2 1999/2000 GIORGIONE C2 1999/2000 SARONNO C2 1999/2000 TRAPANI C2 1999/2000 RAVENNA B 2000/2001 AT. CATANIA C1 2000/2001 SAVOIA C1 2000/2001 JUVE STABIA C2 2000/2001 SANDONA’ C2 2000/2001 FIORENTINA A 2001/2002

Ricominciamo a Giocare a Pallone 51 LECCO C1 2001/2002 CAMPOBASSO C2 2001/2002 FASANO C2 2001/2002 SANTANASTASIA C2 2001/2002 ESE VIAREGGIO C2 2001/2002 COSENZA B 2002/2003 ALESSANDRIA C1 2002/2003 ALZANO VIRESCIT C1 2002/2003 GLADIATOR C2 2002/2003 MESTRE C2 2002/2003 POGGIBONSI C2 2002/2003 PORDENONE C2 2002/2003 THIENE C2 2002/2003 BRINDISI C2 2003/2004 ISERNIA C2 2003/2004 MONZA C1 2003/2004 L’AQUILA C1 2003/2004 PALMESE C2 2003/2004 PATERNO’ C2 2003/2004 TARANTO C1 2003/2004 VARESE C1 2003/2004 VITERBESE C1 2003/2004 ANCONA A 2004/2005 NAPOLI B 2004/2005 PERUGIA B 2004/2005 SALERNITANA B 2004/2005 TORINO B 2004/2005 VENEZIA B 2004/2005 ANDRIA C1 2004/2005 BENEVENTO C1 2004/2005 REGGIANA C1 2004/2005 SORA C1 2004/2005 SPAL C1 2004/2005 COMO C1 2004/2005 IMOLESE C2 2004/2005

52 Ricominciamo a Giocare a Pallone ROSETANA C2 2004/2005 VIS PESARO C2 2004/2005 CATANZARO B 2005/2006 ACIREALE C1 2005/2006 CHIETI C1 2005/2006 SANBENEDETTESE C1 2005/2006 SASSARI TORRES C1 2005/2006 AGLIANESE C2 2005/2006 FERMANA C2 2005/2006 FORLI’ C2 2005/2006 LATINA C2 2005/2006 SPOLETO D 2005/2006 VITTORIA C2 2005/2006 TEMPIO D 2006/2007 LANCIANO C1 2007/2008 LANCIANO C1 2007/2008 LUCCHESE C1 2007/2008 MASSESE C1 2007/2008 CASTELNUOVO G. C2 2007/2008 MARTINA C2 2007/2008 NUORESE C2 2007/2008 SASSARI TORRES C2 2007/2008 TERAMO C2 2007/2008

2.33 Morti per il Calcio Gaetano Plaitano 1962 Il primo morto in Italia in uno stadio è Gaetano Plaitano, colpito da un proiet- tile dopo Salernitana – Potenza. Vincenzo Paparelli 1976 Un’ora prima di Roma – Lazio dalla curva sud partono due razzi. Uno colpisce ad un occhio Vincenzo Paparelli. Morirà nell’autoambulanza. Andrea Vittore 1982 Nei pressi di Civita Castellana, un petardo causa l’incendio di un vagone carico di tifosi giallorossi di ritorno dalla partita Bologna – Roma. Andrea Vittore 14 anni, muore soffocato. Marco Fonghessi 1984 Al termine di Milan – Cremonese viene accoltellato a morte Marco Fonghessi,

Ricominciamo a Giocare a Pallone 53 tifoso milanista. 1986Tifosi della Roma, di ritorno da Pisa, appicando il fuoco ad uno scompartimento del treno su cui viaggiano. Muore Paolo Saroli, 17 anni. Giuseppe Tomasetti 1986 Ad Ascoli, durante la partita Ascoli – Sambenedettese, muore accoltellato Giu- seppe Tomasetti, 21 anni. Antonio De Falchi 1989 A Milano, un gruppo di ultras milanisti uccide a calci e pugni Antonio De Falchi , tifoso della Roma. Nazareno Filippini 1989 Ad Ascoli, Nazareno Filippini, dopo la partita Ascoli – Inter viene percosso con sassi a bastoni. Morirà dopo 8 giorni d’agonia. Ivan dall’Olio 1989 Alle porte di Firenze, una molotov viene lanciata contro il treno dei tifosi del Bologna. Ivan Dall’Olio, 14 anni rimane gravemente ustionato. Salvatore Oliva 1994 A Ercolano, in provincia di Napoli, durante i festeggiamenti per la vittoria dell’Italia sulla Nigeria, Salvatore Oliva, 10 anni, viene ucciso da colpi d’arma da fuoco sparati da un tifoso. Salvatore Morchella 1994 Perde la vita gettandosi dal treno vicino ad Acireale, Salvatore Morchella, 22 anni. Voleva sfuggire a cinque tifosi del Messina, di ritorno da Ragusa, che volevano punirlo per aver difeso una donna da loro molestata. Vincenzo Spagnolo 1995 Vincenzo Spagnolo, tifoso genoano, viene accoltellato fuori dallo stadio Marassi prima di Genoa – Milan. La partita viene sospesa e in seguito anche il campionato subirà uno stop. Alla notizia della sua morte si scatena la guerriglia urbana. Roberto Bani 1997 A Salerno, Roberto Bani, 28 anni, batte la testa durante una lite scoppiata du- rante Salernitana – Brescia . Morirà dopo poche ore. Fabio Di Maio 1998 A Treviso, durante gli incidenti scoppiati alla fine della partita con Cagliari, muore Fabio Di Maio, 32 anni. Il referto medico parla di infarto : Di Maio era cardio- patico. Vitale, Diodato, Ioio e Alfieri 1999 Durante il ritorno dalla trasferta Piacenza – Salernitana alcuni teppisti appica- no il fuoco sul treno. Le quattro vittime volevano arrivare nella stazione di Salerno mentre la carrozza bruciava, Simone Vitale,Diodato, Ioio e Alfieri, minorenni. Antonio Currò 2001 Messina – Catania viene colpito alla testa il giovane tifoso del Messina Antonino Currò da un petardo lanciato dalla tifoseria avversaria. Dopo un immediato intervento le condizioni si sono aggravate . E’ poi morto dopo essere entrato in coma.

54 Ricominciamo a Giocare a Pallone Filippo Raciti 2006-Catania Capo-ispettore di polizia assassinato durante gli scontri fra le due tifose- rie, Filippo Raciti è l’ultimo, per adesso, ad essere morto per una partita di calcio. Gabriele Sandri Domenica 11 Novembre 2007 Il tifoso laziale di 28 anni, ucciso da un colpo di pistola partito dall’arma di un agente intervenuto a sedare gli scontri tra laziali e juventini in un autogrill vicino ad Arezzo. (all’autogrill di Badia al Pino sulla A1) Matteo Bagnaresi il tifoso del Parma investito da un pullman di tifosi juventini nel 2008

2.34 Violenza e Calcio Violenza e calcio è uno dei temi più dibattuti da televisioni e giornali negli ultimi 15 anni. Se ne è discusso dopo una rissa tra opposte tifoserie, dopo gli scontri tra forze dell’ordine e tifosi. Abbiamo fermato i campionati dopo la morte di un poliziotto o di un tifoso, ma, passato l’evento, tutto è poi ritornato ad essere come prima. I toni si sono rialzati, le risse verbali nei vari dibattiti per un rigore concesso o per un gol annullato hanno continuato ad animare giornali e televisioni. Il fair-play che ci eravamo imposti in campo e fuori è durato lo spazio dell’ennesimo funerale. Il problema violenza è un fatto sociale, investe tutta la nostra società. C’è violenza nelle scuole, nelle nostre città, c’è nelle istituzioni, quindi non vedo come non potrebbe esserci nello sport, e soprattutto nel calcio, capace com’è ancora di radunare migliaia di persone all’interno di uno stadio (per lo più anche inadeguato). Abbiamo discusso e discutiamo degli ultrà, pensando che tutto il problema sia quello delle tifoserie orga- nizzate, ma chi dice questo frequenta poco gli stadi: nelle tribune, dove siede la gente comune, l’impiegato o il direttore di banca, il commerciante e l’avvocato, il politico e il giornalista, il clima che si respira è lo stesso. L’intolleranza e la violenza verbale sono le stesse della curva ed anche nella partite di settore giovanile non è che le cose siano diverse: padri e madri, nonni, zii e zie, fratelli e cugini, insultano, offendono, inveiscono contro arbitri, allenatori, calciatori (bambini) avversari. Il problema quindi è molto, ma molto più serio di quello che appare. Siamo arrivati ad un punto limite. Del resto le contestazioni ad Ascoli, Torino, Palermo, Roma e gli assedi, perché di questo si tratta, a Napoli e Genova, di questi ultimi tempi ne sono una prova eloquente. Se manager a livello internazionale come Marino e Marotta devono scendere a compromessi con i ti- fosi per far uscire la squadra dallo stadio, se, per calmare gli animi, bisogna accontentare i tifosi portando la squadra in ritiro o esonerare un allenatore o rescindere il contratto ad un giocatore (nelle categorie inferiori succede molto spesso), significa che siamo in fondo al tunnel. Non vorrei che il calcio diventasse una sorta di grande fratello o di qualsiasi altro reality dove, il pubblico sovrano decide chi eliminare, cosa per nulla moderna visto che al Colosseo 2.000 anni fa, alzando o abbassando il pollice, gli spet- tatori decidevano la vita del gladiatore. Le misure restrittive e repressive che abbiamo adottato non servono a niente, anzi peggiorano le cose. Il problema è culturale e solo in

Ricominciamo a Giocare a Pallone 55 questa maniera possiamo risolverlo: noi dall’interno dobbiamo e possiamo fare di più. Cedendo e accettando i compromessi, come stiamo facendo, non è certo la maniera per risolvere una situazione che sta uccidendo il calcio in generale, ma che si rivela dev- astante nelle categorie inferiori.

2.35 Scandalo del calcio italiano del 2006 Lo scandalo del calcio italiano del 2006 è stato, in ordine di tempo, il terzo grande scandalo (dopo quello del 1980, noto come Calcioscommesse e quello del 1986, noto come Secondo calcioscommesse o Calcioscommesse 2) a investire il mondo del calcio italiano, anche se come portata ed effetti è stato certamente maggiore dei primi due. De- finito dalla stampa ironicamente (per assonanza con Tangentopoli, laddove in quel caso a reggere l’espressione era il termine tangente), Calciocaos o anche Moggiopoli (la Gazzetta dello Sport lo definì anche Sistema Moggi) si dipanò, secondo le risultanze processuali, tra il 2004 e 2006, ed emerse il 2 maggio 2006 a seguito di alcune intercet- tazioni operate dal tribunale di Torino e soprattutto da quello di Napoli nei confronti delle dirigenze di quattro club italiani: Juventus, Fiorentina, Lazio e Milan. Sotto accusa in un secondo filone d’indagini anche la Reggina e l’Arezzo. L’accusa principale è di illecito sportivo, verificato nel tentativo di aggiustare le designazioni arbitrali per determinati incontri di campionato o di intimidire (o cor- rompere) gli arbitri assegnati affinché favorissero le azioni conclusive di una squadra a danno dell’altra. Di questo scandalo che ha coinvolto e che coinvolge, visto che ci sono ancora pro- cessi, molte delle più alte personalità del calcio italiano: dirigenti, presidenti, arbitri, squadre blasonate e pluridecorate, e perfino vertici della Federcalcio, se n’è parlato e se ne parlerà chissà per quanto altro tempo ancora. E’ una cosa troppo grossa e troppo lontana dal mio mondo per poterla commentare. Dico soltanto che non sono d’accordo con la figura del grande burattinaio (Luciano Moggi) che orchestra tutto. Troppo limita- tivo pensare che un’unica persona, seppure influente e importante, condizioni un intero sistema. E’ il sistema stesso a produrre i Moggi e non il contrario. La cosa, che però mi ha colpito, è stato il vedere quanti in quei giorni hanno preso le distanze proprio da Lu- ciano Moggi, in quanti hanno fatto finta di non conoscerlo, lui che in questi 20 anni ha sempre avuto dietro uno stuolo incredibile di cortigiani, gli stessi che al suo ritorno torneranno ad adularlo...

2.36 Primi nei risultati sportivi ultimi nella sicurezza L’ultimo in ordine di tempo è stato il Wall Street Journal che ha definito il calcio italiano quello meno al passo con i tempi, l’ultimo in Europa, quello con gli impianti più vecchi e con i problemi maggiori rispetto ad altre nazioni come l’Inghilterra, la Spagna e la Francia. E come dare torto al Wall Street Journal e agli altri media internazionali che in

56 Ricominciamo a Giocare a Pallone passato si sono occupati del calcio italiano definendolo un calcio malato. Il calcio di casa nostra è quello per il quale ancora oggi si muore, dentro e fuori dagli stadi. E’ quello nel quale gli scandali si susseguono. E’ quello nel quale l’allegra amministrazione dei club ha portato al fallimento di tantissime società più o meno prestigiose. E’ quello nel quale l’impiantistica è rimasta indietro nel tempo con impianti vecchi, insicuri e obsoleti. Basterà qualche dato statistico per avere meglio chiaro il quadro non certo roseo. In Italia dal 1976 al 2007 sono stati più di venti i morti legati agli avvenimenti calcistici. Morti all’interno degli stadi, ma anche morti, come Gabriele Sandri e Matteo Bagnaresi gli ultimi in termini di tempo, fuori dagli stadi. Morti legate a quel clima di tensione e di violenza che si respira intorno a una partita di calcio. La svolta il 2 febbraio del 2007 quando all’esterno dello stadio di Catania in occasione del derby con il Palermo muore l’ispettore di polizia Filippo Raciti. Da quel momento la stretta delle autorità riguardo al tifo organizzato, l’entrata in vigore di quelle norme anti violenza che erano sempre rimaste sulla carta, ma anche il divieto di trasferta per le tifoserie più violente. Provvedi- menti che, se da una parte sono serviti da deterrente contro la violenza, dall’altra hanno allontanato moltissima gente dagli stadi. A proposito di stadi, in occasione dei mondiali d’Italia 90, il governo aveva stanzi- ato 3.200 miliardi per la realizzazione delle necessarie infrastrutture e per la costruzione di nuovi impianti o l’ammodernamento di quelli già esistenti. Molti di questi progetti sono rimasti lettera morta tanto che gli stadi che sembravano nuovi sono vecchissimi meno di venti anni dopo. Stadi che, al contrario di quanto accade nelle altre nazioni, funzionano solo per le partite e non hanno quei ristoranti, quei negozi, quei cinema e quelle attrazioni dei quali sono invece dotati gli stadi tedeschi, spagnoli o inglesi. Un gap che i presidenti italiani vorrebbero coprire e non è un caso se la Juventus ha già pronto il progetto per il suo nuovo stadio e lo stesso vorrebbero fare società come la Lazio, il Palermo, la Fiorentina. Perché lo stadio di proprietà è una delle nuove fonti di guadagno di una società di calcio. Una oculata amministrazione finanziaria non può non prescindere da questi conti e dall’inserimento in bilancio di voci nuove e al passo con i tempi. Non è un caso se in Italia dal 1985 al 2008 sono fallite o non sono state iscritte al campionato di ap- partenenza ben 133 società. Alcune di queste sono rinate con una nuova denominazi- one sociale. Molte di più sono svanite e con esse è svanito il calcio in molte realtà del nostro Paese. Ma quando i giornali esteri parlano del nostro calcio malato parlano anche degli scandali che lo hanno attraversato in questi anni. Basti pensare che dall’80 al 2006 sono stati ben tre gli incredibili polveroni che si sono addensati sul calcio italiano. Per due volte il calcio scommesse sino al grande scandalo di calciopoli che ha provocato un terre- moto inimmaginabile coinvolgendo grandissime società come la Juventus , la Fiorentina e il Milan e che ancora oggi va avanti tra i mille rivoli dell’inchiesta principale. Eppure il nostro calcio sopravvive. Il calcio malato non è ancora morto. A tenerlo

Ricominciamo a Giocare a Pallone 57 attaccato alle macchine che lo mantengono in vita sono i risultati. Quei risultati che nel nostro paese cancellano e nascondono tutto. E’ stato così in Spagna nell’82 quando il primo scandalo del calcio scommesse venne dimenticato grazie alle vittorie di Bearzot. Ed è stato così anche a luglio del 2006 in Germania quando calciopoli è stata messa da parte dalla vittoria degli azzurri di Lippi. Una vittoria arrivata ai calci di rigore. Già, un rigore che cambia tutto…

Berlino, 9 luglio 2006 Italia Francia 1 – 1 (5 – 3) Campioni del Mondo

E tutti gli Italiani, schifati e disgustati dal calcio fino ad un mese prima, sono di nuovo in piazza a festeggiare…

58 Ricominciamo a Giocare a Pallone Capitolo 3 Sogno di volare…

Si! Ho sognato di volare. Ancora oggi invidio l’uccello che mi cammina Orgoglioso d’innanzi, si alza, vola. Rotea e plana Adoperando un meccanismo che io so di conoscere perfettamente. Conservo ancora, infatti, la piena coscienza dello stato aereo. Ricordo il volo a mezz’aria, molto faticoso e non sempre possibile, ma la sensazione più estatica rimane il ricordo del volo alto, in verticale. Che sole! Che luce accecante! Che colore “fresco”! Improvvisamente si fece buio. Mi alzavo ancora e vedevo dall’alto il teatro, e gli spettatori tinti di borotalco. Sul palcoscenico completamente nero, improvvisamente si accese un faro irruento come la corsa sfrenata di un cavallo dell’apocalisse. Io comodamente seduto nella penombra stavo fumando. Il fumo leggero che incontra il getto di luce diviene spettacolo irripetibile e multiforme. Rotea, ondeggia, si inviluppa, si contorce e scompare ripetendo il suo gesto all’infinito, in un silenzio acerbo, interrotto soltanto dal ticchettare dell’orologio del burattinaio. Festa di luce! E vidi migliaia di comparse colorate sul tremulo palcoscenico che si faceva sempre più tondo. Vedevo ormai lontana la processione di San Francesco e la città medioevale si trasformava in un’immensa fornace. Nonostante l’altezza il mio respiro era facile e il profumo d’incenso che mi rimase a lungo nelle narici moltiplicava l’ebrezza che provavo. Ora ero etere! Fantasia pura! Come si può altrimenti dare un volume allo spazio E un suono al silenzio? Giampaolo Bianchi Ricominciamo a Giocare a Pallone 59 Il Sogno Desiderato A prima vista. I sogni hanno l’aria di essere delle utopie, ma ai confini delle utopie si collocano i grandi progetti di vita. (G. Piantoni, Strategia come cammino tra l’esperienza e l’innovazione, 2008)

3.1 Il calcio di C nel panorma europeo e i sindacati Il calcio, come la società in generale, si è globalizzato; gli interessi sempre più grandi e le televisioni hanno modificato la sua struttura e i suoi rapporti sia nazionali che inter- nazionali. Attualmente, come del resto ci ha spiegato nella sua interessantissima lezione il sig. Pierre Lanfranchi (responsabile Fifa per la formazione dei dirigenti), la situazione del sistema calcio europeo si può riassumere pressappoco così:

I tre mondi, come si vede, sono completamente diversi: giocatori, allenatori e di- rigenti del cosiddetto calcio globale hanno più rapporti tra loro che non con il calcio nazionale di cui fanno parte. Il Milan o l’Inter, quindi, sono molto più vicine al Real Madrid o al Manchester United di quanto lo siano con il Chievo e la Reggina. Scambi di giocatori, di dirigenti, di allenatori avvengono più facilmente all’interno di quei 50 club che non con il calcio nazionale. In un panorama del genere è ovvio che i problemi e le esigenze sotto l’aspetto economico, ambientale e strutturale di chi opera nei tre mondi 60 Ricominciamo a Giocare a Pallone siano completamente diversi e molte volte addirittura opposti. Dirigenti, calciatori, alle- natori della Juventus non hanno nulla a che vedere con quelli del Figline. Non vedo, per questo come tutti, appartenendo a mondi completamente diversi, possano essere iscritti ai medesimi sindacati solo perché praticano lo stesso sport. L’Aic e la l’Aiac sono nate in un’epoca in cui il calcio era diverso, hanno fatto tantis- simo (e vanno ringraziate) per i diritti dei calciatori e degli allenatori, ma la situazione è talmente cambiata che merita per lo meno di essere rivista. E’ tempo che il mondo della serie C (Lega Pro) cominci a pensare in maniera seria a crearsi sue istituzioni sindacali separate ed indipendenti, che possano affrontare i mille problemi specifici con più de- terminazione ed impegno anche se con minore forza d’immagine. La Lega Pro (quindi tutti i suoi tesserati) subirà le conseguenze della crisi econo- mica in un modo sicuramente più drammatico del grande calcio. Del resto chi paga le conseguenze delle recessioni anche nel mondo commerciale ed industriale non sono i grandi marchi: Ferrari nelle auto, Gucci, Prada e Armani nella moda continueranno a fatturare e i loro dipendenti a lavorare. Sarà diverso per i piccoli commercianti o per le piccole e medie industrie, dove licenziamenti e cassa integrazione si moltiplicheranno. In un contesto simile per sopravvivere bisognerà specializzarsi. La Lega Pro dovrà farlo in quello della formazione e saranno quindi indispensabili anche sindacati di categoria, pronti a lottare, se necessario, anche all’interno dello stesso sistema calcio e non a rimor- chio del medesimo.

3.2 Proposta di riforma del campionato Gran parte delle società della Lega Pro sono in crisi economica e credo che sia un fatto risaputo. I fallimenti, come ho riportato in altre pagine, dagli anni Duemila in poi sono sempre in numero maggiore. Il calo degli spettatori è sempre più evidente. I fatti di intolleranza e di violenza stanno assumendo un aspetto sempre più preoccupante. I giovani utilizzati sempre meno e la media delle rose delle squadre via via sale sempre di più. La crisi economica toglierà ancora risorse e gli imprenditori che faranno calcio nelle serie minori, saranno purtroppo sempre meno. In un momento storico come questo, cinque campionati di Lega Pro penso che siano eccessivi. Si potrebbe tornare alla riuni- ficazione della categoria con un unico campionato di terza serie con tre gironi, magari da 20 squadre, dividendo l’Italia in nord, centro e sud. Riducendo il numero delle squadre, si alzerebbe sicuramente la qualità, ridando alla categoria una sua precisa collocazione ed un’importanza maggiore. La vicinanza delle città ridurrebbe in piccola parte i costi, ma aumenterebbe gli interessi: l’Italia è da sempre per sua cultura un Paese campanilista; derby o incontri tra club di città limitrofe sono quelli che portano negli stadi il maggior numero di spettatori. Il presidente Macalli in un’intervista ha detto che probabilmente ha sbagliato a de- cidere di mettere tutte le squadre campane nello stesso girone, per via degli incidenti che sono accaduti o delle tante partite disputate a porte chiuse. Io non sono d’accordo: non è chi è nel giusto che deve cambiare. La serie C (a me piace chiamarla ancora così) per

Ricominciamo a Giocare a Pallone 61 sopravvivere ha bisogno della gente, i suoi stadi devono tornare ad essere pieni. Sono gli imbecilli che bisogna allontanare e, per farlo, è limitativo chiudere gli stadi o vietare le trasferte; così il male si fa alla maggioranza di persone per bene e soprattutto alle società. C’è da avviare un processo culturale che parta dalla base, cioè da tutti quelli che oper- ano all’interno (dirigenti-allenatori-calciatori-giornalisti) con fatti ed esempi concreti. Il proibizionismo non ha mai risolto alcun problema, anzi ha favorito solo il mercato nero... quindi la delinquenza. Dobbiamo rieducare la gente ai valori dello sport, ridando sia alla vittoria che soprattutto alla sconfitta quello che realmente rappresentano: ov- vero, le due facce della stessa medaglia. Non può esserci in una competizione sportiva un vincitore se non c’è uno sconfitto, che merita per questo gli onori e la dignità di chi comunque si è impegnato ed ha partecipato (concetto tanto caro a De Coubertin). E’ per questo che dobbiamo impegnarci a stemperare le tensioni, cercando nuove strade e nuove regole che diano all’ambiente tutto una maggiore serenità. Una delle strade potrebbe essere l’abolizione dei playoff e dei playout.

3.3 Proposta di abolizione dei Playoff Playout Ho trovato da sempre in questa innovazione qualcosa di non iniquo a livello sporti- vo. Molte, troppe volte sono state premiate società, quindi calciatori-direttori-allenatori, che nella stagione regolare si erano classificati al quinto posto staccati magari di 10-15 punti dalla seconda classifica. Riconosco loro il merito di aver in qualche maniera mo- vimentato il campionato, dandogli in un certo modo imprevedibilità e interesse fino all’ultima giornata. La loro introduzione ha alzato il numero delle pretendenti alla pro- mozione e la lotta per la retrocessione si è movimentata. Il cammpionato ha raggiunto un livello competitivo e di suspence nettamente superiore, sono aumentate le emozioni. Ma anche le delusioni, le aspettative di dirigenti, tifosi e giornalisti sono notevolmente cresciute ed il campionato ha perso col tempo la sua vera funzione, quello cioè di essere soprattutto una categoria di formazione di giovani calciatori da destinare poi alle cate- gorie superiori. Un campionato quindi con una-due promozioni e due-tre retrocessioni per girone stabilirebbero obiettivi più certi e meno aleatori. Il campionato sarebbe sicuramente meno aperto, ma le aspettative e le tensioni, e con esse i fatti violenti, si abbasserebbero. Le società avrebbero obiettivi più chiari e più tempo per programmare. In un contesto del genere sicuramente si favorirebbe l’utilizzo di giovani con una con- seguente riduzione dei costi gestionali, senza tante regole che, come visto, sono servite a poco. Un campionato più scontato, inoltre, può servire a rieducare l’ambiente, ridando al gioco la sua natura e alla gente la voglia di assistere ad una partita di calcio per quella che è, non soltanto ad una vittoria da raggiungere ad ogni costo... Un’altra idea potrebbe essere quella di fare un campionato Berretti parallelo alla prima squadra.

3.4 Proposta di riforma del campionato Beretti I giovani sentono sempre meno lo spirito di appartenenza alla società, quello spirito

62 Ricominciamo a Giocare a Pallone che era proprio delle vecchie generazioni, ma è anche vero che sono poche le società del- la Lega Pro che si interessano alla loro crescita e allo sviluppo del settore giovanile. Ma bisogna ripartire proprio dal calcio giovanile per creare una nuova generazione di atleti e tifosi. Fare un campionato parallelo significherebbe creare all’interno sicuramente più sinergie. I giovani si sentirebbero in qualche maniera più coinvolti nella vita del club e la vicinanza con la prima squadra aumenterebbe il desiderio di farne un giorno parte. Gli incontri potrebbero essere svolti la domenica mattina contro la stessa società che i più grandi affrontano nel pomeriggio e gli uni, volendo, potrebbero assistere alle partite degli altri. Le trasferte più lontane potrebbero essere vissute assieme, sia in pullman che in albergo, fornendo motivo di scambio e di crescita sia per i giovani che per i più anzia- ni. Il campionato giovanile sicuramente avrebbe una maggiore visibilità e assumerebbe contenuti istruttivi più elevati, e nel tempo fornirebbe senza dubbio più giocatori alla prima squadra, riducendo in qualche maniera i costi della società e fornendo ad essa, anzi, motivo di autofinanziamento con la valorizzazione dei giovani locali.

3.5 Il ruolo del direttore sportivo Come ho già detto, il ruolo del direttore sportivo nel calcio di serie C nel corso degli anni ha continuamente perso di valore e di importanza all’interno del sistema e delle società. L’avvento dei procuratori l’ha confinato in un ruolo poco determinante, facen- dolo diventare una figura più di rappresentanza che di un vero e proprio manager, come potevano essere negli anni Sessanta-Settanta i vari Allodi, Beltrami, Nassi, Anconetani, Mazza, Bini e Sogliano. Negli ultimi 10-15 anni i ds si sono interessati poco al territorio e i loro contatti sono stati più indirizzati verso l’interno del sistema e nelle lobbies di po- tere che non a far crescere le società e le città (istituzioni-media-tifosi) in cui operavano. Molti quindi hanno curato solo l’aspetto tecnico di costruzione della squadra, finendo quindi per essere più direttori tecnici (e qualche volta troppo entranti) che non manager in senso lato, si sono insomma troppo concentrati sul solo risultato sportivo e all’imme- diato che non alla progettazione. Altri purtroppo hanno pensato solo al loro portafoglio, curando nelle trattative sempre più numerose, più i loro interessi personali che quelli sportivi della squadra ed economici della società. In un periodo di vacche grasse c’è stato posto per tutti. Sotto certi aspetti il tempo che ci attende, anche se difficile, potrà ridare alla categoria quell’etica e quell’importanza che un ruolo manageriale dovrebbe avere. Credo che il direttore sportivo da qui in avanti, per lo meno in serie C, ma penso anche in B, dovrà riprendere un ruolo determinante in seno alle società. Dovrà essere la figura di riferimento, quello che si dovrà preoc- cupare, attraverso i contatti diretti e nuove iniziative di come riportare la gente negli stadi; di come (almeno localmente) arginare ogni forma di violenza; di come avvicinare i giovani e le famiglie allo stadio e, soprattutto, di riorganizzare i settori giovanili delle società che per forza di cose dovranno tornare ad essere la base principale del lavoro del cosiddetto calcio minore. Nei periodi di crisi le idee riacquistano importanza e chi, se non un manager, deve essere in grado di averle e di portarle avanti? Si parla di modello

Ricominciamo a Giocare a Pallone 63 inglese, per quanto riguarda la bellezza e la funzionalità degli stadi, piccoli gioielli da vivere tutta la settimana con ristoranti, palestre e pub. Erroneamente si crede che questo sia un problema che riguarda il Milan, la Roma o l’Inter; io credo invece che al contrario sia un problema dei piccoli centri dove la televisione non porterà mai introiti e dove gli imprenditori in grado di mantenere una società in vita saranno sempre meno. Stadi da 8-10.000 posti dovranno fornire risorse per il club con attività parallele che, oltre che denari, porteranno simpatia e promozione al club stesso. Questo è solo un esempio e forse un sogno, ma un manager, che non è capace di sognare, difficilmente poi potrà costruire. Il calcio per uscire dalla crisi deve riorganizzarsi nelle strutture, ma soprattutto nei suoi uomini di comando. che un diesse sappia redigere un contratto, leggere le par- tite, conoscere moduli e schemi è sicuramente importante, come lo è avere le cono- scenze e la sensibilità di scoprire un talento, ma la sua prerogativa principale dovrà essere quella di sapere organizzare una società al suo interno ed al suo esterno. Dovrà procurare risorse e simpatie. L’autore del “Piccolo Principe” diceva che, se volete costruire una barca non basta tagliare gli alberi, piallare i tronchi e inchiodare le tavole. Prima bisogna che la gente sia innamorata del mare aperto. Ecco, il di- rettore sportivo di una serie C del futuro, al di là delle conoscenze, credo che debba soprattutto ritornare ad amare il calcio e la società in cui lavorerà. Dovrà avere voglia di costruire e di sognare progetti e non ac- contentarsi solo di sopravvivere, ponendo alla base della piramide aziendale la pro- prietà e le strutture ed il risultato sportivo sarà la conseguenza logica del lavoro di dirigenti tecnici e calciatori. Non il con- trario. Non cioè partire dal risultato per costruire il resto. Quello logica che ab- biamo visto ha portato ai fallimenti e alla scomparsa del calcio in molte città della provincia italiana.

64 Ricominciamo a Giocare a Pallone Appendice

Galliani: “ La rovina del calcio Italiano sono gli stadi” Intervenuto a Radio Kiss Kiss l’ad del Milan, , ha commentato così l’esclusione delle tre italiane dalla Champions League: “Ho troppo poco tempo per spie- gare questi risultati negativi. Comunque la principale ragione di questa crisi è economica: le squadre inglesi, grazie soprattutto agli stadi, hanno ricavi nettamente superiori ai nostri. L’Inghilterra e la Spagna ci stanno nettamente superando e questo è un grave problema. Se non avremo anche noi gli stadi non competeremo più ai massimi livelli europei. Dieci anni fa eravamo nettamente primi nel ranking europeo e fatturavamo molto di più dei club inglesi e spagnoli, mentre adesso dobbiamo cedere il passo”. L’intervento di Galliani è stato lo spunto per effettuare una ricerca sugli stadi italiani che parte dagli errori strutturali e gli sprechi di “ITALIA 90”

TAVOLA 1: Gli sprechi di Italia ‘90

Stadi Preventivo Costo finale Differenza Torino 59,5 187,0 127,5 Milano 90,0 170,0 80,0 Roma 66,0 212,0 146,0 Genova 55,9 84,0 28,1 Firenze 58,5 76,0 17,5 Napoli 70,5 140,0 69,5 Bologna 39,5 51,0 11,5 Cagliari 17,1 32,0 14,9 Palermo 25,5 41,0 15,5 Bari 82,5 120,0 37,5 Udine 19,5 19,5 == Verona 21,2 36,0 14,8 TOTALE 605,7 1.168,5 562,8 FONTE: Guerin Sportivo n. 32/1996 Valori in miliardi di lire

Per riannodare le fila di un discorso “stadi”, che ha animato il dibattito in tutti questi anni, bisognerebbe ripartire dal lontano 1997 quando, in seguito al reiterarsi di gravi incidenti dentro e fuori gli stadi di calcio, l’allora vice presidente del Consiglio dei Ministri con delega per lo Sport Walter Veltroni convocò, in data 27 febbraio, un vertice sulla violenza cui presero parte il Capo della Polizia e i massimi rappresentanti sportivi e calcistici. Nell’occasione venne varato un ‘decalogo’ di proposte da tradurre gradualmente in interventi concreti. Punto Ricominciamo a Giocare a Pallone 65 focale di questo c.d. decalogo era la riorganizzazione degli stadi, intesi quali luoghi aper- ti con continuità ai tifosi e alle famiglie, nei quali non si svolge solo l’evento calcistico domenicale, ma una serie di iniziative sociali, culturali ed economiche. Il tutto ripensan- do ad una più continua e razionale utilizzazione degli stessi, facendone la sede di attività polifunzionali secondo il modello anglosassone. In quell’occasione si convenne anche di istituire una Commissione, rappresentativa di tutte le istanze istituzionali e sportive interessate, incaricata di formulare proposte concrete in materia. La Commissione era articolata in due gruppi: “Prevenzione e con- trollo della violenza” e “Gestione economica degli stadi”. In particolare il secondo gruppo si occupò di eseguire una mappatura degli stadi delle società professionistiche grazie ai questionari che le due leghe inviarono agli Enti proprietari degli stadi ed ai club stessi. Dalle risposte emergeva un orientamento pres- soché unanime di adesione al progetto di trasferire alle società la gestione dello stadio (in concessione o in proprietà). Se da un lato le amministrazioni comunali (in massima parte proprietarie degli stadi) manifestavano l’orientamento e l’interesse alla dismissione dell’impianto, dall’altro le società si dichiaravano pienamente favorevoli alla sua gestione diretta per lo svolgimento di attività polivalenti. Il consenso fu così diffuso (con la piena adesione dell’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani allora rappresentata dall’ex sindaco di Catania Enzo Bianco) da creare un clima di aspettative e di singole iniziative che occorrerebbe oggi riportare al tavolo del dibattito, allo scopo di elaborare un quadro normativo che consenta la fattibilità del modello ipotizzato. Dal 1997 ad oggi qualcosa si è mosso, ma sempre nell’alveo delle iniziative indi- viduali e mai secondo un preciso ed organico piano complessivo con tanto di leggi a favore da parte delle Istituzioni pubbliche. Ma vediamo cosa è successo in questi anni partendo dall’unico caso di stadio pri- vato in Italia, quello della Reggiana, caso che risale a prima del decalogo ‘veltroniano’. La società emiliana ricorse a una campagna popolare di sottoscrizione per sostituire con un nuovo impianto il vetusto Mirabello, campagna ufficialmente aperta nel dicembre del 1993. Il primo passo fu la costituzione di un’immobiliare (Mirabello 2000) formata dalla Reggiana, da privati cittadini (soci sottoscrittori) e dall’Amministrazione comuna- le, che mise a disposizione un’area di circa 100mila metri quadrati e si accollò gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione, fra cui un parcheggio da 7.500 posti. Secondo la convenzione stipulata, dopo 50 anni la società emiliana sarebbe diventata proprietaria dell’impianto da 29.650 posti, di cui 17.036 al coperto, con 10 bar, 5 palestre, 1 centro medico, 19 uscite, 104 posti per i disabili, modernissimi impianti di sicurezza (metal-detector e metal-boom), monitor nelle panchine e un sistema televisivo interno a circuito chiuso provvisto di 6 telecamere. Uno stadio quindi interamente pensato e costruito per il calcio, senza pista d’atletica e con una cur- va dall’ottima visibilità, ben oltre gli standard medi richiesti dal Coni. Mirabello 2000 cedette in affitto alla Reggiana il nuovo stadio per circa mezzo miliardo annuo. Nella convenzione era previsto che alla società granata andassero tutti

66 Ricominciamo a Giocare a Pallone i proventi pubblicitari e la possibilità di utilizzare l’impianto a suo piacimento per altre manifestazioni (concerti, convegni, etc.). Di contro, si accollò tutte le spese di gestione e gli oneri di manutenzione (circa un miliardo annuo). Il 25 settembre 1994 dopo le inevitabili lungaggini burocratiche e i ritardi nell’approvazione della delibera al P.R.G. da parte del Comune – ci fu la posa della prima pietra. L’inaugurazione, inizialmente prevista nel derby contro il Parma il 19 marzo 1995, slittò di un mese, il 15 aprile, al match con la Juventus. Nel progetto originario i 25 miliardi necessari alla costruzione dell’impianto sareb- bero dovuti provenire da: 1) sottoscrizione degli abbonamenti decennali (o quinquennali) comprensivi della quota abbonamento, di azioni della Mirabello 2000 e del posto auto. Si ipotizzò la ven- dita di tali pacchetti a 1.000 tifosi, oltre alla vendita ad aziende di 32 palchetti modello teatro una sorta di sky box come li chiamano in America alludendo ad altezza e costo con adiacente salotto-tv da otto posti e la vendita alle aziende costruttrici dell’impianto di spazi nel ‘foyer’ dello stadio da sfruttare come sale-esposizioni dei propri prodotti, oltre a due sale per le conferenze. Complessivamente, da queste voci, si stimarono en- trate per 10 miliardi di lire; 2) cessione, per complessivi 5 miliardi di lire, del nome dello stadio (Giglio, nda), delle due curve (L’Ariosto e Banco S. Geminiano e San Prospero, nda) e della tribuna distinti (Cassa di Risparmio di Reggio, nda). Alla scadenza dei contratti decennali la Reggiana poteva rinegoziare la vendita del nome dello stadio ad altre aziende; 3) mutuo Interbanca per 6 miliardi; 4) contributo della Reggiana Calcio per 4 miliardi. Le cose, però, non andarono come programmato, da una parte per i risultati spor- tivi della Reggiana e, dall’altra, per la mancata sottoscrizione di buona parte dei 10 miliardi previsti dagli abbonamenti pluriennali, oltre ad altre minori entrate. Fu, quindi necessario ricorrere ad un mutuo decennale del Credito Sportivo di 10 miliardi al tasso agevolato del 3,5%. Di fatto con la doppia retrocessione della Reggiana (retrocessa al termine della sta- gione 1996-97 in serie B e, al termine di quella 98-99 in C1), la mancata urbanizzazione dello stadio e le difficoltà economiche della società, ‘morosa’ nei confronti del Credito sportivo, l’intero progetto sembrò rischiare il fallimento. Ultimamente, però, sembra intravedersi una spiraglio: nel novembre 2004, infatti, sono partite le ruspe per costruire – su un’area di 25.000 mq – un cinema con 12 sale, una galleria commerciale, ristoranti e un albergo con 30 stanze. In un anno o poco più di lavori dovrebbe sorgere una specie di cittadella dello sport con annesso parco acquatico e nuove strutture mese in cantiere dal Comune come il Palazzetto dello Sport. Investimento previsto di 50 milioni di euro per diritti che la Reggiana ha dovuto cedere, per far fronte ai costi di gestione e al mutuo del Credito Sportivo, ad un gruppo di imprenditori locali. Oggi solo la Juventus è sul punto di avere a breve un proprio stadio di proprietà.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 67 La società bianconera ha infatti ottenuto la concessione per 99 anni del Delle Alpi (lo stesso ha ottenuto il Torino sul vecchio Comunale), su una superficie (compresa l’area esterna) di 356.000 metri quadrati: a fronte di un canone di 25 milioni (in 10 rate, nell’accordo con il Comune è ricompresa anche la gestione del Comunale da parte del Torino che contribuirà per una quota parte di questa cifra), dello svolgimento della manutenzione ordinaria e straordinaria e di un investimento iniziale di 150 milioni. I lavori dureranno 18 mesi dal rilascio delle concessioni edilizie. Oltre al rifacimento dello stadio, la cui capienza sarà ridotta da 75mila a 30-35mila posti, tutti coperti, l’in- vestimento è finalizzato ad attrarre le famiglie sette giorni la settimana, con negozi, bar, ristoranti, multisala, oltre alla sede sociale, che troverà posto in una palazzina alle spalle della tribuna nord, con il fan shop e il museo. Ai 5,4 ettari di superficie utile esisten- te, completamente interessati dal progetto di riqualificazione, si aggiungeranno 26.400 metri quadrati di nuovo insediamento esterno allo stadio, destinato al commerciale (2 ettari di cui 1,7 vendibili) e al tempo libero (5mila metri quadrati, quasi esclusivamente sale cinematografiche). Anche nell’area dello stadio troveranno posto nuove attività di intrattenimento. Inoltre, il Delle Alpi prenderà il nome di uno sponsor, seguendo il business del naming-right che nel mondo anglosassone è ormai una consuetudine per esempio, l’Arsenal percepirà 146 milioni di euro dalla compagnia araba Emirates Airli- nes per ‘battezzare’ il nuovo impianto “Emirates stadium”. Per il resto la situazione (vedi tavola 2) è alquanto frammentata. E le querelles club- comuni sempre più frequenti. Due casi su tutti. Partiamo dal primo, ovvero la difficile gestione di San Siro da parte di Inter e Milan che, attraverso la creazione del Consorzio San Siro 2000, hanno ottenuto la concessione trentennale dal Comune per 6,9 milioni all’anno di affitto. Società milanesi che si sono, però, viste respingere un’offerta di ac- quisto dell’impianto per 35 milioni di euro. Il secondo caso riguarda la vicenda Coni-Olimpico con le ripe- tute e periodiche minacce delle romane di far da sé, costruendosi un proprio impianto e il Coni che rilancia per una gestione comune attraverso la creazione di una futura cittadella dello sport, inserita in un contesto nel quale si prevedrebbe l’insediamento di 80 esercizi commerciali. Corollario al tutto il rifacimento dell’Olimpico dotandolo di 50 box vip nelle tribune, un’area vip e stampa di mille metri quadrati, un ristorante, un fast food, musei, negozi delle due squadre e una sala conferenze

TAVOLA 2: La gestione degli stadi in Serie A Squadra Modalità gestione Anno stipula contratto Atalanta concessione annuale 2004 Bologna concessione per 30 anni 1998 Brescia concessione annuale 2004 Cagliari concessione per 10 anni 2003

68 Ricominciamo a Giocare a Pallone Chievo concessione annuale 2004 Fiorentina concessione per 6 anni 2002 Inter concessione per 29 anni 2001 Juventus diritto di superficie per 99anni 2003 Lazio affitto annuale con il Coni 2004 Lecce concessione per 10 anni 1997 Livorno concessione annuale 2004 Messina concessione annuale 2004 Milan concessione per 29 anni 2001 Palermo concessione annuale 2004 Parma concessione per 30 anni 2002 Reggina concessione annuale 2004 Roma affitto annuale con il Coni 2004 Sampdoria concessione annuale 2004 Siena concessione per 4 anni 2002 Udinese affitto per 5 anni 2001 FONTE: elaborazione StageUp.com su dati delle società (da Guerin Sportivo n. 41/2004).

Evviva le sconfitte in ChampionsLeague La vittoria copre, la sconfitta scopre. Purtroppo in Italia è così e non da oggi. Le magagne e i problemi se li porta tutti via una vittoria prestigiosa, un trofeo internazionale che diventa un comodo tappeto sotto cui nascondere le cose che non funzionano. E nulla si risolve, quindi. Anzi, i guai stessi aumentano, si diffondono ancora più forti non appena l’effetto anestetizzante del trionfo svanisce. Poi, invece, arriva una sconfitta netta e su tutti i fronti e i problemi vengono a galla, la superficie del nostro mare-calcio si riempie di tante macchie oleose e inquinanti che non si sa più come mandarle via. Viva la sconfitta allora, se questa permette di affrontare le questioni come devono essere affrontate, cercando la soluzione per risolverle e per imboccare la strada giusta per il recupero del calcio. Che sopravvive e non vive, casomai qualcuno non se ne fosse accorto... Abbiamo l’occasione e non dobbiamo sprecarla un’altra volta. Adesso che tutti stanno aprendo gli occhi di fronte ad una realtà che non si può più far finta di non vedere; adesso che tutti si stanno accorgendo che il calcio italiano è indietro di anni, idee e uomini; adesso che chi grida al lupo al lupo lo fa perché il lupo

Ricominciamo a Giocare a Pallone 69 c’è davvero, non facciamoci sfuggire l’opportunità di cambiare, di svoltare, di creare una cultura sportiva nuova, diversa, migliore. Già, la cultura sportiva: penso che sia il segreto-non segreto per consentire al nostro amato sport di adeguarsi ai tempi e agli altri Paesi. Lo penso quando sento parlare di stadi che devono diventare di proprietà dei club, di stadi che così saranno fonte di guadagno per le società: più soldi, uguale possibilità di competere ai massimi livelli. Equazione automatica, forse anche giusta. Ma da noi c’è dell’altro da fare, molto più importante. Intanto: se si lamentano Milan o Inter, Juventus o Roma delle mancate risorse eco- nomiche legate a a tutto ciò che attiene ad uno stadio, mi domando cosa dovrebbero dire i presidenti di serie C che dentro i loro stadi vedono poche centinaia di persone, se non a volte glieli chiudono proprio? Ecco perché, prima di tutto, bisogna riportare la gente negli stadi, bisogna riavvicinare bambini e famiglie, bisogna far riscoprire la passione e il piacere di una giornata di calcio. Insegnando il rispetto e la convivenza, la lealtà e l’amicizia, il senso di condivisione di un evento che emoziona e il senso di appartenenza ad esso. Senza divisioni, senza barriere, senza diversità. Gli stadi, di proprietà dei club certo, allora sì che torneranno a riempirsi come succede per il rugby o per il tennis, e per la Formula Uno, o per il ciclismo (stadio virtuale quanto si vuole, ma “contiene” per ogni corsa centinaia di migliaia di persone tutte insieme a tifare con e non contro) . In due parole: cultura sportiva. Questa è la grande occasione che la sconfitta ci ha dato in regalo. Ed è un’occasione da non sprecare.

70 Ricominciamo a Giocare a Pallone Appunti Riflessioni Proposte

Ricominciamo a Giocare a Pallone 71 72 Ricominciamo a Giocare a Pallone Premessa

Abito a Lucca e Viareggio è a due passi, il torneo giovanile è di quelli importanti (64° Viareggio cup), ho tempo, voglia e curiosità per seguirlo. Il calcio minore mi ha da sempre appassionato, quindi mi pongo due obiettivi: 1. Osservare il panorama giovanile italiano ed internazionale e segnare su un tac- cuino personale, ruolo, caratteristiche fisiche tecniche e caratteriali di giovani da inserire in un organico di un’eventuale squadra da allenare. 2. Fare una relazione da presentare al settore tecnico come ricerca e studio sulle squadre visionate, i loro sistemi di gioco, l’organizzazione difensiva ed offen- siva, la transizione della palla, la mentalità, pregi e difetti di ognuna di esse. Via via però che visionavo partite, che appuntavo moduli e schemi mi accorgevo di non vedere niente di diverso da quei campionati di Lega Pro e B che le mie squadre hanno sempre disputato; la medesima mentalità speculativa, pochissimo ritmo e scarsa intensità, la ricerca ossessiva del risultato sacrificando troppo spesso il gioco, gli stessi atteggiamenti di tecnici e giocatori ed addirittura le stesse nevrosi. Ed allora è nata in me l’idea di modificare il contenuto della relazione più su linee generali del torneo (AP- PUNTI) ed allargarla sull’intero sistema del calcio giovanile italiano, su quello che era a quello che è (RIFLESSIONI) a quello che soprattutto che immagino dovrebbe essere (PROPOSTE).

Ricominciamo a Giocare a Pallone 73 Appunti

Partite osservate

Girone Eliminatorio

INTER – ANDERLECHT 1 – 1

ROMA – CLUB NACIONAL 2 – 1

JUVENTUS – LAICHESTER 1 – 0

PALERMO – LAZIO 1 – 1

INTER – REGGINA 2 – 0

FIORENTINA – VICENZA 1 – 1

Ottavi Di Finale

FIORENTINA – EMPOLI 0 – 0

Quarti Di Finale

ROMA – RAPPRESENTATIVA D 1 – 0

Semifinali

JUVENTUS – PARMA 1 – 0

ROMA – FIORENTINA 1 – 1

Finale

JUVENTUS – ROMA 2 – 1

74 Ricominciamo a Giocare a Pallone Stranieri in organico Squadra Stranieri In Lista Stranieri Titolari Inter 10 8-9 Roma 4 2 Juventus 8 6 Lazio 6 3 Palermo 5 2 Reggina 9 4 Fiorentina 9 7 Vicenza 5 3 Empoli 4 3 Rappresentativa D 4 3 Parma 9 2

Moduli Impiegati Squadra Inter 4-3-1-2 4-4-1-1 4-5-1 Roma 4-2-3-1 4-3-3 Juventus 4-3-3 4-2-3-1 4-2-4 4-5-1 5-4-1 Lazio 4-3-3 4-4-2 5-3-2 Palermo 4-3-3 4-2-3-1 Reggina 3-5-2 4-4-2 Fiorentina 4-3-1-2 4-4-2 Vicenza 5-3-2 Empoli 4-5-1 Rappresentativa D 4-4-1-1 4-3-1-2 Parma 4-5-1

Come si vede dalla tabella, le squadre hanno adottato diversi moduli di gioco. Tale modulo è spesso cambiato nel corso della stessa partita, 3 addirittura in 90’, mai però in funzione di cambi effettuati, per permettere cioè al subentrato di poter giocare nel suo ruolo naturale, o nella zona di campo più congeniale alle sue caratteristiche fisiche e tecniche. Il modulo quindi è stato variato solo in funzione tattica, come strumento per essere più offensivi, ma più spesso per assumere un atteggiamento più coperto quando si è andati in vantaggio. Ho visto quindi punte centrali fare gli esterni, mezze ali e trequartisti finire in fascia per correre dietro ad un terzino che spingeva e difensori, perché alti e possenti, finire centravanti. Forse cambiare aiuta la crescita ma indubbiamente non favorisce un certo tipo di mentalità che dovrebbe prescindere dal risultato.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 75 Riscaldamento Pre-Gara Sono arrivato allo stadio sempre molto presto, col proposito di cogliere ogni aspet- to, perché anche il più banale molte volte dà la dimensione del valore morale, caratteria- le ed educativo di una squadra. Riscaldamenti standard, tutti uguali a quello che di solito attuano in questo mo- mento le prime squadre. Messa in moto con mobilizzazione, stretching, velocità. Poi 5 contro 5 in uno spazio delimitato (solo la Roma in questa fase ha usato i ragazzi della panchina come sponde laterali). Il portiere lavora sulla porta con il suo preparatore, le riserve (e non sempre tutti) a svolgere un torello dalla parte opposta con intensità vicina allo 0 e con pochissima voglia e scarso entusiasmo (a tal proposito ho notato che in serie B Zeman fa scaldare i 18 convocati tutti assieme). Pochi gli allenatori che in questa fase partecipano insieme al gruppo, molti non sono presenti, altri passeggiano nervosamente come se l’esito dell’incontro sia decisivo per il loro destino.

Qualità Fisiche Difformi nelle varie squadre, Inter, Juventus, Fiorentina, Lazio, Rappresentativa di D, molto più muscolari e con centimetri in più specialmente nei difensori e nei centrocampisti, la stragrande maggioranza dei loro giocatori sembrano sotto questo aspetto già maturi per Campionati professionistici. Roma, Palermo, Vicenza, Reggina, Empoli e Parma, hanno invece un grande nu- mero di ragazzi ancora muscolarmente da formare. Evidentemente già nella selezione le scelte sono diverse: da una parte si punta sull’aspetto fisico, dall’altra sull’aspetto tecnico.

Fase Difensiva Tutte le squadre indistintamente dal modulo usato hanno dimostrato una grande organizzazione difensiva, dove linea, elastici, scivolamento all’indietro con restringimen- to degli spazi centrali, quinto uomo, diagonali e raddoppi sono ben curati e fatti nei tempi e nei modi giusti. A questa fase partecipano quasi sempre anche gli attaccanti, che si accorciano insieme ai centrocampisti o, persa palla, cercano immediatamente di tornare dietro la linea della stessa. Anche dalle voci e nella comunicazione che si sente tra di loro si capisce che sono tutti molto preparati e conoscono a memoria lo spartito che devono eseguire. Non posso però dire la stessa cosa negli uno contro uno, dove il posi- zionamento, la ricerca dell’anticipo e la marcatura diretta non mi sembrano così curati, dove troppo spesso difensori e centrocampisti soffrono le doti naturali di chi attacca.

Fase Offensiva Quasi tutte le squadre attaccano con pochissimi uomini, e mai coordinati fra loro, movimenti sincroni che chiamano in causa più di due uomini non sono riuscito a co-

76 Ricominciamo a Giocare a Pallone glierli, così come la ricerca della giocata sul terzo uomo; si attacca insomma più con l’individualità che con il “collettivo”. L’unica costante il giro palla per permettere ad un esterno di arrivare al cross o su inserimento ad attaccare lo spazio, o tramite un uno- due col compagno davanti. Tagli, veli o combinazioni centrali ripetitive ne ho notate veramente poche, e mentre come ho già detto gli attaccanti partecipano molto alla fase difensiva, raramente difensori e centrocampisti appoggiano e sorreggono la fase di at- tacco. Insomma corti nella propria metà campo sono riusciti ad esserci tutti, corti nella metà campo avversaria solo la Roma. Roma che si è distinta anche come unica squadra ad attaccare con più uomini e con soluzioni diverse chiamando in causa molto spesso il terzo uomo (mezz’ala o trequartista).

Sviluppo Della Manovra L’allargamento dei due centrali difensivi a palla al portiere per poter cominciare la manovra da dietro, nei minuti iniziali della gara l’ho visto provare spesso (Guardiola ed il suo Barcellona hanno fatto scuola, peccato non l’abbiano fatta nella riconquista alta, che secondo me è la loro vera forza). Poi, via via che la partita entrava nel vivo, sempre più rimesse lunghe del portiere, lo sviluppo del gioco quindi attraverso il possesso palla se ne è visto poco (a parte la Roma). Tanto giro palla fine a se stesso e poche vertica- lizzazioni nello stretto con palla a terra. Manovra quindi perlopiù sviluppata secondo i canoni nazionali, riconquista bassa e contropiede veloce.

Riconquista Palla Giocando tutti molto bassi la riconquista della palla è stata demandata ai difensori. Centrocampisti ed attaccanti sono riusciti a conquistarla alta solo su errori degli avver- sari o su pressione personale.

Pressione e Pressing Di pressione nella metà campo se ne è vista tanta, ma non posso certamente parlare di pressing organizzato, cercato e voluto, quello cioè dove si indirizza la giocata del pos- sessore di palla nella zona in cui si desidera riconquistarla. Si è distinto in questa mano- vra l’Empoli, che per tutta la partita si è dimostrato predisposto ed organizzato per por- tare una certa pressione collettiva, anche se ancora troppo lontana dall’area avversaria. Di pressing offensivo ed ultraoffensivo (quello appunto del Barcellona) non ne ho vista traccia.

Ritmo e Intensità Che non siano le prerogative del nostro calcio maggiore è ben chiaro da tempo, ma è lecito aspettarsi dai giovani altro ritmo e altra intensità, che sono invece stati assai blandi fin dalle prime partite, dove non c’era nemmeno la scusante degli incontri ravvicinati. Ricominciamo a Giocare a Pallone 77 Atteggiamenti Passi il dito in bocca alla Totti o la corsa sfrenata verso la telecamera che inventò Maradona in un lontano mondiale americano, ci può stare festeggiare così un goal, del resto emulare gli idoli è sempre esistito, alzi il dito chi ai miei tempi non ha mai messo i calzettoni arrotolati alla caviglia come usava fare Sivori. Vedere però giocatori e tecnici riproporre il peggio di quello che certi professionisti fanno nella massima serie è stato deprimente. Protestare con l’arbitro per ogni fischio è stato nel corso delle varie partite cosa ricorrente e ripetitiva, così come rimanere a terra per un piccolo fallo subito al solo scopo di far interrompere un’azione che sta diventando pericolosa. E poi simulazioni, reazioni, falli gratuiti ed insulti, ho osservato con tristezza giovani sostituiti fare gesti od inveire contro i propri allenatori, perdite di tempo e meline nei momenti di vantaggio, sostituzioni ad un minuto dalla fine aventi lo stesso scopo. Allenatori che urlano, richia- mano e rimproverano per tutta la partita; due di questi (italiani) insultarsi per molto tempo e quasi venire alle mani. L’importanza del risultato insomma, fa perdere la testa sempre e comunque, anche in competizioni giovanili dove il fair play, l’etica sportiva e la ricerca del bel gioco dovrebbero essere gli obiettivi primari.

La Finale Roma - Juventus Bella partita, giocata finalmente alla presenza di un pubblico numeroso, a parte i soliti addetti ai lavori a far mercato e vetrina, c’erano molti appassionati dell’una e dell’altra squadra, gli stessi che si sfidano a parole ed insulti vedendo i grandi, non è cambiato nulla, le stesse parole che indirizzano a Totti e Chiellini, comprese le volgarità pesanti, sono state rivolte a Piscitella o De Silvestro, come dire: la maglia è la maglia e noi vogliamo vincere (del resto la cultura del gioco dovremmo essere noi a trasmetterla e non pretenderla da chi viene a vederci). In campo invece si è lottato, si è corso, si è sofferto e c’è stato tanto agonismo, ma senza isterismi e cattiverie gratuite. Il risultato premia la Juventus che comunque ha dimostrato una buona organizzazione difensiva ed una forza devastante nel ripartire in contropiede (Spinazzola, De Silvestro, Beltrame, Padovan). Sono peraltro stati agevolati da un terreno allentato per la pioggia, più con- geniale ad una squadra muscolare e potente (Juventus) che non agile e tecnica (Roma). La Roma comunque, ancora una volta ha dimostrato la bontà del suo gioco corale fatto da una fitta rete di passaggi rasoterra (e mai inutili) e da attacchi che coinvolgevano non meno di cinque-sei giocatori. La Juventus ha dunque vinto, onore alla Juventus, se del resto è solo questo che si chiede ad una squadra giovanile, Baroni ed i suoi ragazzi hanno eseguito il compito al meglio. Io però vorrei spendere due parole in più sulla Roma, ritenendola la vincitrice mo- rale del torneo, a prescindere naturalmente dal gioco, dove secondo me non c’è stata partita con nessun’altra squadra (ma questa è solo una mia opinione, quindi discutibile). Vorrei invece sottolineare tre punti che io ritengo fondamentali su quello che è un set-

78 Ricominciamo a Giocare a Pallone tore giovanile che va preso come modello.

1. Alberto De Rossi (allenatore) lavora da 18 anni in quel settore giovanile in cui ha fatto tutta la trafila, non pensando mai di allenare prime squadre pur avendone avuto l’opportunità. Proviene lui stesso come calciatore da quella Pri- mavera, faceva il libero quando si giocava “ad uomo” (conosce quindi un altro calcio). Suo figlio Daniele, uno degli ultimi fuoriclasse che il calcio italiano può vantare di avere, è con Totti il simbolo dell’attuale Roma, quindi chi meglio di Alberto (a parte l’aspetto tecnico-tattico che comunque è ben curato) può tra- smettere nei giovani senso di appartenenza ed amore verso il club, che di fatto è la sua seconda casa? In un tempo dove certi valori sono un tantino sbiaditi credo non sia cosa da poco. Sotto certi aspetti mi ricorda Vatta, allenatore delle giovanili del Torino anni ’80, quando il Torino era una vera fucina di calciatori. 2. Fra i partecipanti al torneo, la rosa della Roma annovera solo quattro stranieri e sono gli unici a non aver fatto tutto il percorso formativo (esordienti – gio- vanissimi – allievi – primavera), tutto il resto quel percorso lo ha effettuato ed inoltre sono tutti, o quasi, romani o della provincia. Le altre squadre, soprat- tutto le più blasonate, hanno un’altra politica che contempla l’acquisto per la Primavera di giocatori già formati ed allenatori di grido. Ognuno certamente è libero di operare come crede, ma costruire dal basso credo che sia la prerogativa più importante di un settore giovanile professionistico. 3. PERDERE UNA PARTITA OGGI PER RITROVARSI UN CAMPIONE DOMANI (campione come somma di valori fisici, tecnici e soprattutto morali). Credo che sia stato questo il principio educativo che ha usato la Roma per rinunciare a Ciceretti nella finale (uno dei suoi elementi più rappresentativi). Il ragazzo, espulso per un fallo di reazione nei quarti, aveva scontato la squalifica nella semifinale, ma la società ha aggiunto una sanzione disciplinare mandan- dolo in tribuna proprio contro la Juventus. In un mondo come quello del cal- cio dove per vincere si è disposti a tutto, secondo me questo è un bell’esempio di etica sportiva.

N.B.: guardiamo tutti al Barcellona e soprattutto alla sua “cantera”, ora che la Roma ha anche (lui addirittura ha mandato De Rossi in tribuna per un semplice ritardo ad una riunione tecnica) è la società tra le italiane a loro più vicina come filosofia, mentalità e strategia.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 79 Riflessioni

Non credo di dire una cosa inesatta affermando che il Calcio Italiano stia attraver- sando un momento difficile, sia sul piano tecnico che su quello ambientale (stadi sempre più vuoti), dove la mannaia del calcio scommesse è sempre in agguato, ma non voglio addentrarmi in un campo che non conosco,. Spero solo che la giustizia sportiva e la magistratura vadano fino in fondo facendo chiarezza e punendo in maniera esemplare tutti i responsabili e non i soliti pesci piccoli. Quello che invece mi interessa è il calcio giovanile che da sempre ha sfornato talenti, garantendo al calcio italiano e alle varie nazionali lustro e successi. Nell’ultimo decennio però mi sembra che i ricambi ai vari Mancini, Baresi, Vialli, Baggio, Maldini, Del Piero, Cannavaro, Totti, Nesta, De Rossi e tutti gli altri grandi campioni, con i cui nomi si potrebbe riempire una pagina, siano sempre più rari. Le ragioni sono indubbiamente molteplici: dall’enorme presenza nelle nostre squadre giovanili di giocatori stranieri, ai cambiamenti sia sociali che di costume che si sono verificati. Oggi i ragazzi si avvi- cinano meno a quello che era il gioco principe della nostra gioventù si sono affermati altri sport, c’è dunque più selezione, ci sono un mare di diversivi e divertimenti che attraggono più dello sport. Ma l’aspetto che ritengo determinante è che non esistono più le palestre naturali, dove il calcio nasceva, dove i giovani di un tempo maturavano esperienze formative a livello fisico, tecnico e mentale; mi riferisco essenzialmente alla strada, all’oratorio e ai campetti improvvisati fatti su un prato di periferia. Allora nei settori giovanili ci si allenava due massimo tre volte alla settimana per sedute di tre ore. Gran parte del lavoro era dedicato alla tecnica individuale, in ogni società c’era un muro ed una sfilza di forche dove si passava moltissimo tempo per la trasmissione della palla e lo stop. Gli allenatori (maestri e non mister) curavano con pignoleria la conduzione, il tiro in porta, la marcatura e l’anticipo, lo smarcamento e le finte per superare l’avversario. La cura del singolo insomma era priorità, il campo grande si vedeva raramente, addirittura poche partitine, solo la partita quella vera alla domenica mattina. Concetti tattici non ci venivano forniti, del resto tutti si giocava allo stesso modo, il 2 marcava l’ 11, il 5 il 9, il 3 il 7 ed il 6 faceva il libero. Una volta finito l’allenamento, o quando questo non c’era, si giocavano lunghe ed interminabili partite e partitelle ovunque, dall’oratorio alla strada (sul cemento: adesso invece sento qualcuno che si lamenta addirittura del campo in sintetico), o sul prato vicino casa, e addirittura 2 contro 2 nel sottoscala quando fuori pioveva. Chi portava il pallone giocava sempre (i ricchi qualche vantaggio lo hanno sempre avuto), così i più grandi sia di età che di fisico (i potenti) e naturalmente i loro protetti, fratelli, cugini o semplici servitori (raccoman- dati), certe cose fanno parte della natura dell’uomo e esistono da sempre. Però, alla fine anche tra ragazzi e anche nella strada, i più bravi (meritocrazia) anche se piccoli, poveri ed amici di nessuno, giocavano sempre, nessuno voleva perdere e per vincere da sempre

80 Ricominciamo a Giocare a Pallone servono i migliori, anche perché molto spesso si era in tanti e lo spazio era troppo poco, allora si formavano tre, quattro, cinque squadre, chi perdeva usciva, quindi per diver- tirsi e giocare di più dovevamo vincere: non lo imponevano i presidenti, ma le regole del gioco. La legge della strada era impietosa, ma ti faceva crescere ed in fretta. Non c’erano arbitri, né allenatori, decidevano sempre quelli con più personalità, formazioni, ruoli e rigori, e se di personalità ce ne erano tante e contrapposte finiva con un po’ di pugilato (imparavamo così un altro sport). Negli oratori due canestri non mancavano mai, quindi si giocava anche a basket, ed imparando il terzo tempo diventavi sempre più coordinato nel saltare. La bicicletta l’avevamo un po’ tutti, così sovente si organizza- vano sfide di velocità anche con quelle. Le abilità motorie quindi miglioravano e senza tanti istruttori, semplicemente diversificando le attività e sempre attraverso il gioco. Così come crescevano le capacità tecniche (in quelle gli istruttori li avevamo al campo d’allenamento) ma la pratica la sviluppavamo fuori (i compiti a casa). Ma quelle che si sviluppavano di più erano le qualità morali e caratteriali. In strada non imparavi solo a difenderti ma soprattutto a socializzare e, tra un cazzotto e una risata, cresceva lo spirito di gruppo e il senso di appartenenza (la prima dote che distingue una squadra vincente). Oggi purtroppo tutto questo è finito, almeno nel nostro Paese, i ragazzi certi spazi da occupare non ne hanno più, il tempo libero lo passano al computer e per socializzare ricorrono a Facebook. Quelli che amano il calcio (molte volte lo amano più i genitori, al contrario di noi che per giocare dovevamo stare attenti a non prendere brutti voti a scuola e all’oratorio per poter partecipare alla partita dovevi prima andare a Messa) passano solo attraverso la scuole di calcio e le varie categorie, dove faranno sicuramente importanti allenamenti, ma sempre troppo poco confronto ad allora (mancano i compi- ti a casa che erano ore e ore di pratica). Scarseggiando i talenti sul territorio nazionale (sarà poi vero?) l’élite del nostro cal- cio ha aperto una vasta rete di monitoraggio (scouting) andando a reperire giovani cal- ciatori all’estero e soprattutto in quei Paesi (Africa e Sud America) dove i ragazzi ancora oggi giocano per strada o sulla sabbia. Il brutto è che, una volta arrivati qua, oltre ai mille problemi di ambientamento climatico-culturale-alimentare iniziano a lavorare solo sullo specifico, e molto come fanno le I° squadre in preparazione alla gara di campionato, quindi molta tattica di squadra e molta in relazione agli avversari di turno, con prove di marcature, raddoppi, diagonali e coperture. Si provano punizioni, calci d’angolo e falli laterali, molti usano anche il video per studiare gli avversari. Questi ragazzi col tempo invece di migliorare regrediscono, tanti si immalinconiscono, ingabbiati in un calcio triste, stressante e per niente propositivo. A tal proposito, vorrei sapere quanti degli stranieri portati in italia negli ultimi dieci anni sono poi arrivati ai massimi livelli? Pensando in malafede, non è che dietro ai tanti stranieri c’è anche business? Molte società affidano la conduzione delle squadre a giovani tecnici, quasi tutti ex calciatori. Nelle Primavere da qualche anno trovano spazio allenatori provenienti dalla serie C sempre giovani (con l’obiettivo, giustamente, di fare carriera) che non hanno, data l’età, come memoria storica quella dell’apprendimento naturale (la strada), prove-

Ricominciamo a Giocare a Pallone 81 nendo loro stessi dalla solita trafila scuola calcio – settore giovanile – I° squadra. Par- lando con alcuni di loro o con responsabili di settori giovanili importanti, al non gioco e alla poca cura del singolo, come scusante, mi sento rispondere che manca il tempo perché le società pretendono risultati immediati (vittorie di campionati e tornei), come dire che un calcio più propositivo, più giocoso, più offensivo, meno ingabbiato in una tattica altamente speculativa, sia sinonimo di sconfitta. Nel corso della mia ventennale carriera di tecnico professionista mi è capitato spesso di allenare giovani provenienti da settori giovanili importanti e via via che gli anni passavano li ho trovati sempre più pronti sul piano tattico: difensori che conoscevano e applicavano bene sia l’allineamento che l’elastico difensivo, lesti ad alzare il braccio per chiamare il fuorigioco (cose che per altro a me non servivano visto che preferivo l’avanzamento e la marcatura ad uomo nella zona); centrocampisti esterni svegli per fare la diagonale lunga ed il quinto uomo difen- sivo (altra cosa che a me non serviva); attaccanti che sapevano bene cosa fosse un taglio e un velo, ma scarsi nel saltare l’uomo. Con quasi tutti loro dovevo però soffermarmi dopo l’allenamento di squadra per ripassare i fondamentali (cosa che tra l’altro facevo con passione, l’insegnamento sia tecnico che morale è ciò che più mi riempie nello strano mestiere che mi sono scelto). La cosa però che mi colpiva non era che raramente i difensori sapessero marcare, ma quanto tutti saltassero male. Staccare su un piede e cadere sull’altro è il modo migliore per andare più in alto ed essere più reattivi e pronti nella ricaduta. Tutti cadevano o sulla stesso piede o su tutti e due (risiamo al basket e al terzo tempo), e ciò mi portava a chiedere cosa facessero al settore giovanile visto che ora toccava a me fare l’istruttore.

82 Ricominciamo a Giocare a Pallone Proposte

Rimedi a questa situazione? Lo so, non è semplice. Certamente non possiamo tor- nare indietro, né abbattere case o chiudere strade alle macchine per farci scorrazzare i nostri ragazzi, oppure chiedere al Vaticano di ricostruire un oratorio attrezzato per lo sport in ogni quartiere, distruggere telefonini e computer per far sì che i giovani tornino a interagire dal vivo e non virtualmente: questo è impossibile e anacronistico, ma re- cuperare la memoria e provare ad operare in modo diverso con più istruzione più cultura sportiva e più coraggio credo che non solo sia possibile, ma sotto certi ver- si indispensabile visti i risultati delle nostre nazionali giovanili. Nei settori giovanili oggi come allora (ci ho lavorato 6 anni) si opera per compartimenti stagni. Esordienti, Giovanissimi, allievi, Primavera, ognuno ha il suo staff fatto di allenatori, assistenti e preparatori atletici, molti lavorano con tematiche diverse sia per metodo che per con- tenuti ( in fondo ogni tecnico ha giustamente il suo credo calcistico e il suo modulo di riferimento), succede anche che gli uni sparlino degli altri, contestando il loro modo di giocare e di lavorare. Paradossalmente strutturati così i settori giovanili sono più simili a scuole per tecnici che non per calciatori . Mi chiedo però come mai l’ Ajax, il Barcel- lona, e quasi tutte le squadre spagnole, hanno un unico sistema di gioco e metodi di insegnamento standardizzati; del resto anche in Italia, molti anni fa, era così, quando tutti si giocava alla stessa maniera, ma allora i talenti nascevano, anche tanti. Ecco, se ci fosse un metodo di lavoro standardizzato per tutto il Club, allora forse si potrebbe recuperare la memoria; per esempio allenamenti per gruppi di due squadre, Esordienti e Giovanissimi su un campo, Allievi e Primavera su un altro, i più piccoli alleandosi con i più grandi (come succedeva per strada) inizialmente forse avrebbero difficoltà ma con il tempo crescerebbero prima. Lo stare insieme grandi e piccoli, con allenatori degli uni che sono anche degli altri, accrescerebbe sicuramente lo spirito di appartenenza al club a discapito di quello alla singola squadra, e questo sarebbe già un grande risultato. Tanti giocatori insieme permetterebbero di lavorare su basi e con concetti diversi: abbiamo detto che i ragazzi giocano poco, perché soffermarsi al 10 contro 1 per lo sviluppo di una manovra irreale (senza avversario) che alle lunghe toglie fantasia o affi- darsi a lunghissimi possessi palla come moda del momento, scopiazzando il lavoro del Barcellona con i famosi “comodini” come sponde? Possesso palla che poi in partita non viene sviluppato perché visto come semplice istruzione e non come filosofia di gioco. Perché, allora, non proporre come lavoro metodico, costante e giornaliero, ESERCI- TAZIONI GLOBALI che abbiano cioè in sé tutte le componenti del gioco (spazio, tempo, situazioni, difesa, attacco)? Partite reali insomma con tematiche che cambiano da esercitazione a esercitazioni e giorno dopo giorno per non essere monotoni e ripetiti- vi. Partite di 11 contro 11, 11 contro 12, 11 contro 14 (come da esempio esercitazioni Globale numero 1). Nel frattempo il resto del gruppo fa tecnica con gli istruttori. E

Ricominciamo a Giocare a Pallone 83 meglio ancora, perché non creare un campo alternativo che mi piace chiamare CAMPO STRADA, dove chi non partecipa all’esercitazione può andare a giocare partitine libere senza controlli come facevamo noi sul prato sotto casa? Giocando liberi imparerebbero ad autogestirsi e a rispettarsi a prescindere, creando altresì legami più veri e più forti e utilissimi poi in gara . Perché non introdurre di nuovo, nei nostri centri sportivi, stru- menti tenuti in naftalina come il muro e la forca o meglio ancora perché non attrezzarli con la gabbia tanto cara ad Orrico? Utilissima per dare ritmo e intensità in partitine libere, dove il muro tornerebbe ad essere il compagno ideale a cui appoggiarsi per saltare l’uomo (dai e vai), come si faceva all’oratorio,gabbia che sarebbe essenziale per eserci- tazioni mirate (come da esempio esercitazione particolare numero 2). Poi, ancora campo da basket e pallavolo, giocando e diversificando si apprendono atti motori differenti che poi tornano più che utili nel calcio. A tal proposito che sport ha praticato Ibrahimovic per avere un’apertura di gambe così importante e tanta elasticità non comune per un uomo di quasi due metri? Arti marziali. Che è quanto di più lontano si possa pensare dal calcio. Proviamo insomma a reintrodurre nei nostri Settori Giovanili il gusto del gioco fine a se stesso, e la ricerca del risultato attraverso questo, lasciando le furberie, gli espedienti, le tante alchimie tattiche ai più grandi. Dobbiamo restituire ai ragazzi la loro età e non farli sentire piccoli professionisti solo perché indossano le maglie dei loro campioni. D’altra parte per ogni tipo di attività si sa che attraverso il gioco i bambini imparano prima e meglio, e questo non lo dico io ma pedagoghi importanti. Allora lasciamoli giocare, ingabbiandoli meno in concetti tattici che frenano la loro spontanea intraprendenza, limitando tra l’altro la creatività: pensare meno per correre di più , può servire inoltre al nostro calcio per trovare ritmo e intensità. Dobbiamo provare a riconvertire i nostri settori giovanili da fotocopie sbiadite di tante prime squadre a veri centri di formazione. Formazione che dovrebbe riguardare non solo i ragazzi, ma anche i giovani tecnici demandati a svolgere un programma già scritto e pianificato a inizio anno e indipendente dai risultati momentanei. Non penso di aver trovato la soluzione al problema, né ho la presunzione di essere nel giusto. Le mie sono solo considerazioni ed idee di chi questo sport lo ha praticato, studiato tanto (oltre ad essere allenatore di I categoria ho fatto il corso da DS) e tentato di insegnare per quasi 30 anni dalle giovanili ai professionisti di C e B. Di idee indubbiamente ce ne saranno altre magari più valide, l’unica cosa certa però è che l’attuale sistema non fa sì che i talenti crescano, quindi qualcosa dovrà essere riscritto. Io ho esposto il mio pensiero sperando anche di poterlo mettere in pratica per verificare se tutto ciò è pura utopia o un’idea sensata. D’altra parte anche la scienza va per tentativi (esperimenti) e non capisco perché non possa farlo il calcio: basta aver coraggio, entu- siasmo e voglia di provarci.

84 Ricominciamo a Giocare a Pallone Ricominciamo a Giocare a Pallone 85 Esercitazione N°1 Globale

Temi: • Neri: difesa e riconquista alta – pressing offensivo – attacco in superiorità nu- merica – sfruttamento delle fasce per arrivare al cross. • 3 difensori neri: scivolamento all’indietro e difesa della porta in inferiorità nu- merica. • Rossi: difesa della porta in inferiorità numerica – difesa della porta da cross dal fondo – riconquista bassa e contropiede veloce.

Descrizione: • i neri giocano 10 contro 7 in un a metà campo e persa palla possono riconqui- starla solo in quella, hanno a disposizione 2 zone franche per andare al cross • i rossi difendono la loro porta e possono ripartire in contropiede veloce solo tramite passaggio ai loro 3 attaccanti, che in zona franca non possono essere aggrediti dai 3 marcatori neri.

Le regole: • I neri attaccano solo con palla a terra e possono alzarla solo nel cross da zona franca. • I neri attaccano solo con palla a terra con tocchi limitati. • I neri attaccano solo con palla a terra (difensori e attaccanti), mentre i centro- campisti possono alzarla ma hanno tocchi limitati. • I rossi riconquistata palla, per verticalizzare sugli attaccanti devono fare un numero minimo di passaggi. • I rossi riconquistata palla possono verticalizzare sugli attaccanti immediata- mente. Ovviamente le regole, come da esempio, si adattano all’obiettivo prefissato, tattico, tecnico o fisico, riducendo il ritmo o aumentandolo a secondo dello scopo che si vuole raggiungere.

N.B.: ho scelto il 4-3-3 come esempio non perché sia un maniaco di tale sistema, ma penso che didatticamente sia il sistema migliore per i giovani, oltre ai tanti triangoli che esso forma naturalmente, è quello che permette di esprimere più ruoli: 2 centrali difensivi, 2 terzini che hanno campo libero davanti, 1 mediano, 2 mezze ali (ruolo in estinzione), 2 ali e 1 punta centrale.

86 Ricominciamo a Giocare a Pallone Ricominciamo a Giocare a Pallone 87 Esercitazione N° 2 Particolare

Temi: • 1 contro 1 (1c1) – 2 contro 1 (2c1) – inserimento in spazio vuoto – scalatura – marcatura – tiro in porta.

Descrizione: • 6 contro 6 (6c6) in zone delimitate in una gabbia o in alternativa con 8 sponde.

Regole: • Si può fare goal solo nella metà campo avversaria. • Il taglio dell’attaccante va seguito • Chi si inserisce da dietro nello spazio libero ha solo 2 tocchi • etc, etc.

Variando le regole cambiano le finalità e gli obiettivi (tecnici – tattici – fisici) che vogliamo raggiungere.

88 Ricominciamo a Giocare a Pallone Ricominciamo a Giocare a Pallone 89 90 Ricominciamo a Giocare a Pallone Ho sempre pensato che il calcio appartiene a tutti : a quelli che lo vedono in televi- sione, a quelli che vanno negli stadi comodamente seduti in tribuna o stretti come sardine nelle calorose e passionali curve che in Italia sono persino scoperte a volte. A chi lo finanzia ed a chi lo commenta. A quelli che cambiano continuamente le regole e a chi le regole deve farle rispettare in campo. Soprattutto a chi lo gioca perché sono loro gli interpreti e non parlo solo di giocatori ma anche di allenatori, direttori e procuratori perché sono quelli che alla fine sprendono i benefici economici e di immagine. E’ a loro che vorrei dedicare il mio ultimo pensiero tratto dal discorso di un mito della mia gioventù John.F.G.Kennedy, Presidente della nuova frontiera che rivolgendosi al popolo americano disse: “ Non chiedete cosa possa fare il vostro Paese per voi ma quello che potete fare voi per il Vostro paese”. Questo discorso rivolto al nostro ambiente si può trasformare secondo me in “ Non chiedete cosa possa fare il calcio per voi ma quello che potete fare voi per il nostro calcio”. La mia paura è che proprio noi addetti ai lavori questo calcio lo abbiamo sempre sfruttato e per migliorarlo non abbiamo mai fatto nulla. E’ tempo di farlo.

Ricominciamo a Giocare a Pallone 91 Indice

Introduzione pag. 3 Lettera ai genitori “ 5 Vengo dal mare... Vivo sulla terra... Sogno di volare... Antefatto pag. pag. 9 Premessa “ 11 Cap. 1: Vengo dal mare… “ 13 Par. 1.1: Il Calciatore “ 14 Par. 1.2: Calciatori “ 14 Par. 1.3: Allenatori “ 15 1.3.1: Giampiero Vitali “ 15 Par. 1.4: Direttori Sportivi “ 16 1.4.1: Romeo Anconetani “ 16 Par. 1.5: La vecchia Serie C “ 18 Par. 1.6: Giornalisti e Media “ 18 Par. 1.7: Tifosi “ 19 Par. 1.8: Medici e medicine “ 19 Par. 1.9: La divisione della Serie C “ 20 Par. 1.10: Scandalo del calcio italiano del 1980 “ 20 1.10.1: Gli arresti “ 20 1.10.2: Sentenze di Appello “ 21 Par. 1.11: Legge 23 marzo 1981, n. 91 “ 22 Par. 1.12: Il corso di III categoria “ 22 Par. 1.13: L’influenza del ’68 “ 22 Par. 1.14: La Democrazia Corinthiana “ 23 Par. 1.15: Scandalo del calcio Italiano del 1986 “ 23 1.15.1: Avvenimenti “ 24 1.15.2: Sentenza di appello “ 24 Par. 1.16: Il corso di II categoria “ 26 Par. 1.17: Settore giovanile Pisa “ 27 Par. 1.18: Silvano Bini “ 28 Par. 1.19: Settore giovanile Empoli “ 28 Cap. 2: Vivo sulla terra… “ 31 Par. 2.1: La riforma della Serie C del 1993 “ 32 Par. 2.2: 15 dicembre 1995 – Sentenza Basnam “ 32 Par. 2.3: Novembre 1995 Totoscommesse non più fuorilegge “ 32 Par. 2.4: Zeman - Sacchi – Orrico – Scoglio “ 33

92 Ricominciamo a Giocare a Pallone Par. 2.5: L’Allenatore Giovane “ 34 Par. 2.6: Direttori Sportivi: Benvenuti – Cinquini – Magherini “ 34 Par. 2.7: Calciatori “ 35 Par. 2.8: Campionato “ 35 Par. 2.9: Giornalisti e Media “ 36 Par. 2.10: Tifosi “ 36 Par. 2.11: Il Master “ 36 Par. 2.12: L’Allenatore Rampante “ 37 Par. 2.13: Direttori Sportivi: Pirro – Schio “ 38 Par. 2.14: Calciatori “ 38 Par. 2.15: Campionato “ 39 Par. 2.16: Giornalisti e Media “ 39 Par. 2.17: Tifosi “ 39 Par. 2.18: Primo incontro tra la Slepoy e i giocatori rosanero “ 40 Par. 2.19: Ecco i nuovi padroni “ 41 Par. 2.20: I procuratori “ 42 Par. 2.21: Gerri Palomba “ 43 Par. 2.22: Alessandro Moggi – Ceravolo – Crotone “ 43 Par. 2.23: Catanzaro “ 44 Par. 2.24: San Marino “ 44 Par. 2.25: L’allenatore esperto “ 45 Par. 2.26: Direttori Sportivi: Pavone – Tarantino – Amodio “ 46 Par. 2.27: Calciatori “ 47 Par. 2.28: Campionato “ 47 Par. 2.29: Giornalisti e Media “ 47 Par. 2.30: Tifosi “ 48 Par. 2.31: Due epoche a confronto “ 48 Par. 2.32: Fallimenti e non iscrizioni nel calcio dal 1985 al 2008 “ 49 Par. 2.33: Morti per il calcio “ 53 Par. 2.34: Violenza e Calcio “ 55 Par. 2.35: Scandalo del calcio italiano del 2006 “ 56 Par. 2.36: Primi nei risultati sportivi ultimi nella sicurezza “ 56 Cap. 3: Sogno di volare… “ 59 Par. 3.1: Il calcio di C nel panorama europeo e i sindacati “ 60 Par. 3.2: Proposta di riforma del campionato “ 61

Ricominciamo a Giocare a Pallone 93 Par. 3.3: Proposta di abolizione dei Playoff - Playout “ 62 Par. 3.4: Proposta di riforma del Campionato Beretti“ 62 Par. 3.5: Il ruolo direttore Sportivo “ 63 Appendice “ 65 Galliani: “La rovina del calcio italiano sono gli stadi” “ 65 Evviva le sconfitte in Champions League “ 69

Appunti - Riflessioni - Proposte “ 71 Premessa “ 73 Appunti “ 74 Riflessioni “ 80 Proposte “ 83

Conclusione “ 91

Indice “ 92

94 Ricominciamo a Giocare a Pallone Ricominciamo a Giocare a Pallone 95 96 Ricominciamo a Giocare a Pallone