ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S. Cervigni and Anne Tordi with the Collaboration of Norma Bouchard, Paolo Cherchi, Gustavo Costa, Albert N
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ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S. Cervigni and Anne Tordi with the collaboration of Norma Bouchard, Paolo Cherchi, Gustavo Costa, Albert N. Mancini, Massimo Maggiari, and John P. Welle GENERAL & MISCELLANEOUS STUDIES Jacqueline Andall and Derek Duncan, eds. National Belongings. Hybridity in Italian Colonial and Postcolonial Cultures. Bern: Peter Lang, 2010. Pp. 239. Il volume curato da Jacqueline Andall e Derek Duncan è il risultato di una conferenza londinese (2005) sul concetto di ibridismo (hybridity) nel contesto italiano coloniale e post-coloniale da un’ottica multidisciplinare, ed affianca altri lavori sul colonialismo italiano come quelli pubblicati da Andall e Duncan (Italian Colonialism: Legacy and Memory, 2005) e da Ruth Ben-Ghiat e Mia Fuller (Italian Colonialism, 2005). Analizzando aspetti culturali, il volume prende in considerazione lo spazio, la relazione tra spazio e corpo sociale, l’architettura, la storia e i suoi rituali, l’educazione, il cinema e la letteratura d’immigrazione. Molti degli interventi rimandano alle teorie elaborate da Homi K. Bhabha (The Location of Culture, 1994) e da Robert J. C. Young (Colonial Desire, 1995). Se le teorie sull’ibridismo di Young sono state spesso utilizzate per spiegare il caso italiano, il cui colonialismo non è stato tanto un’imposizione ideologica di pratiche coloniali su soggetti colonizzati quanto piuttosto il sovrapporsi d’interazioni culturali, sociali, economiche e politiche, quelle di Bhabha offrono spunti di riflessione sui concetti di mimicry e menace come rappresentazioni di culture ambivalenti. La prima parte (Colonialism in the Postcolonial) si apre con l’intervento di Alessandro Triulzi (Displacing the Colonial Event: Hybrid Memories of Postcolonial Italy) che, riconoscendo come il colonialismo italiano non sia stato più umano o tollerante degli altri colonialismi, analizza la riconfigurazione della memoria coloniale in Africa e la sua rinegoziazione in Italia attraverso una memoria condivisa che reitera l’ibridismo coloniale di marca italiana. Il primo esempio riguarda il conflitto tra Etiopia ed Eritrea sui confini nazionali (1998- 2000), con la nostalgia eritrea dell’Italia coloniale. Il secondo esempio propone, invece, la questione dell’obelisco di Aksum sottratto dagli italiani nel 1937 e restituito all’Etiopia nel 2005 dopo lunghe trattative. Il capitolo di Vetri Nathan (Mimic-nation, Mimic-men: Contextualizing Italy’s Migration Culture through Bhabha) prende in esame le teorie di Bhabha per dimostrare come la crisi italiana attuale legata all’immigrazione derivi sia dal passato coloniale sia dal presente post-coloniale di una nazione ibrida, frammentata ed ambivalente sin Annali d’Italianistica 29 (2011). Italian Critical Theory 478 Annali d’Italianistica 29 (2011) dalla sua unificazione. Nathan dimostra come l’Italia sia un esempio di paese ibrido con molte culture e spazi in-between. L’imitazione culturale dei colonizzatori italiani da parte dei colonizzati immigrati provenienti dall’Africa post-coloniale sottolinea, inoltre, una sospensione delle identità (58) e un alto grado d’inautenticità. La seconda parte (Narratives of Settlement) include il lavoro di Maurizio Marinelli (Italy and/in Tianjin: Remaking the Urban Form and Rewriting History), il quale definisce la concessione italiana in Cina nel distretto di Tianjin tra il 1901 e il 1947 un esempio di eterotopia ibrida: Marinelli coniuga il concetto foucaltiano di eterotopia come spazio in cui si assommano elementi antitetici col concetto di ibridismo di Bhabha. Un tale esempio descrive uno spazio multi-identitario e multi-culturale in cui plurime identità coloniali si sono riunite e in cui i vari governi coloniali hanno interagito con i locali. In un tale ambito gli italiani hanno cercato di riprodurre la loro italianità attraverso l’architettura. L’intervento di Roberta Pergher (Between Colony and Nation on Italy’s “Fourth Shore” si concentra sulla Libia e sulle relazioni ibride tra questa e l’Italia dovute alle politiche contraddittorie che hanno oscillato tra “nation- building and empire-building” (90). Una tale ambiguità è riflessa sulle percezioni dei libici di sentirsi in-between tra cittadini italiani e soggetti colonizzati. Pergher sottolinea, inoltre, come anche gli italiani in Libia si sentissero dei soggetti in-between tra immigrati in terra straniera e cittadini nazionalizzati dallo stato. Domenica Ghidei Biidu e Sabrina Marchetti (Eritrean Memories of the Postcolonial Period: Ambivalence and Mimicry in Italian Schools in Asmara) riflettono sull’ambivalenza e sul grado d’imitazione attraverso la traslazione di pratiche culturali nelle scuole italiane di Asmara (Eritrea) tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1975. Il capitolo mostra come l’italianizzazione degli eritrei attraverso l’educazione abbia portato ad un’imitazione ambivalente a causa della mancata traslazione completa dei valori culturali trasmessi alla ex-colonia. Jennifer Burns (Language and its Alternatives in Italophone Migrant Writing) analizza il concetto di lingua come accessorio nel momento in cui gli immigrati scelgono di scrivere in italiano e non nella loro lingua nativa, e questo per un desiderio d’inclusione nel paese d’adozione. L’analisi della Burns prende in considerazione gli scritti di alcuni immigrati, che non considerano l’italiano una lingua-simbolo di dominazione, quanto piuttosto una lingua neutra adatta ad esprimere la condizione ibrida d’immigrato, che a sua volta ibridizza la lingua in cui scrive. Charles Burdett — Mussolini’s Journey to Lybia (1937): Ritual, Power and Transculturation — apre la terza parte del volume (Narratives of Self) con una nuova prospettiva sul viaggio di Mussolini in Libia nel marzo 1937, letto come “sacralizzazione della politica” (154) e santificazione dell’unione tra coloni e popolazione indigena attraverso i rituali del potere e della propaganda. Il capitolo di Jacqueline Andall (The G2 Network and Other Second-Generation Voices: Claiming Rights and Transforming Identities) presenta il progetto del Italian Bookshelf 479 network G2 (Generazioni seconde), che in un blog s’interroga sui diritti e sui doveri di coloro che sono nati in Italia da genitori non italiani e che, pur essendo culturalmente italiani, sono considerati a tutti gli effetti “stranieri”. Andall discute le storie pubblicate sul blog in termini di ibridismo. Derek Duncan (Kledi Kadiu: Managing Postcolonial Celebrity) esamina la storia del ballerino albanese Kledi Kadiu quale interprete della negoziazione di genere e di etnia in Italia. Duncan prende in esame il film di Barzini su Kledi, Passo a due: una storia di successo (2002), in cui proprio il successo dell’immigrato rappresenta la metafora del passato coloniale albanese e del presente multiculturale italiano. L’ultimo intervento del libro è quello di Rhiannon Noel Welch (Intimate Truth and (Post)colonial Knowledge in Shirin Ramzanali Fazel’s Lontano da Mogadiscio), che analizza il romanzo di Shirin Ramali Fazel del 1994 secondo la teoria di Robert Young sull’ibridismo come governato da una doppia logica di “difference and sameness” (216) e secondo un concetto di ospitalità come “oscillation between colonial critique, nostalgia, and disavowal” (216). Con i suoi interventi diversificati, il volume sull’ibridismo coloniale e post- coloniale rappresenta certamente un importante contributo agli studi sull’argomento, aprendo nuove prospettive di studio non solo sul passato, ma soprattutto su un presente in continuo cambiamento e questo anche a causa delle politiche italiane d’immigrazione, che spesso riproducono le ombre di un colonialismo interno di marca italiana. Chiara De Santi, SUNY Fredonia Archeografo triestino. Serie IV. Vol. LXX/1. Trieste: Società di Minerva, 2010. Pp. 480. The latest, thoughtfully edited, volume of Archeografo triestino — a periodical established by Domenico Rossetti in 1829, and covering history, arts, archeology, and literature of Trieste, Friuli-Venezia Giulia, Istria and the Northern Adriatic — is essential reading for all well-informed settecentisti, and important for several reasons. First, it marks the bicentennial of the Società di Minerva, one of the oldest Italian cultural associations. Second, its publication coincides with resurgent interest in the region’s academies and cultural associations. Its contributors are archivists, curators and academics from Italy, Slovenia and Croatia. Its first section is on the accademie; the second, on archeology, museology, library science and the Società di Minerva. The final section is a thesis examining certain holdings of Trieste’s Biblioteca Civica. In “I quattrocento anni dell”Accademia Udinese di Scienze Lettere e Arti,” Bruno Landero traces the development of the still-active association founded in 1606 as the Accademia degli Sventati, which in the second half of the Seicento 480 Annali d’Italianistica 29 (2011) dominated Friuli literary production in the volgare, but later developed around the Società di agricoltura pratica. The historic region of Carniola is the focus of Maria Pirjavec’s “‘Academia Operosorum’ di Lubiana (1693-1725).” Founded by the members of the local nobility schooled in Italy who had joined academies such as the Gelati of Bologna, this academy was notable for scientific, rather than literary, interests. Isabella Flego’s “Accademie e associazioni culturali a Capodistria e dintorni (Il Settecento)” views the history of the city’s learned societies through the life and works of two leading intellectuals: Girolamo Gravisi and Gian Rinaldo