Documento PDF (Tesi Di Dottorato Su Giovanni
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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di ITALIANISTICA CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE LINGUISTICHE, FILOLOGICHE E LETTERARIE CICLO XXIX DA DIONISO ALLA GNOSI: SACRIFICIO E DIVINIZZAZIONE NELLA NARRATIVA DEL PRIMO TESTORI Coordinatore: Ch.ma Prof. ssa ANNALISA OBOE Supervisore: Ch.mo Prof. ADONE BRANDALISE Dottorando : GIOVANNI SALVIATI ESPOSIZIONE RIASSUNTIVA DELLA TESI (ABSTRACT) Il mio lavoro ha indagato la narrativa del primo Testori alla ricerca di una matrice antropologico-filosofica risalente all’ambito sacrificale-rituale classico-arcaico, sulla scorta, almeno inizialmente, delle ricerche in merito di studiosi delle origini del sacro come Giuseppe Fornari. Tale componente è stata ben evidenziata per l’esordio narrativo di Testori, Il dio di Roserio, commentato sistematicamente capitolo per capitolo, mentre nei successivi Segreti di Milano si è evidenziata una componente tendenzialmente gnostica, sempre venata comunque, come tutta l’opera di Giovanni Testori, da una forte tensione sacrificale. Alla ricerca di ulteriori conferme di questo assunto critico, abbiamo osservato e confermato la presenza del fenomeno anche nelle opere cronologicamente circostanti questa fase narrativa, vale a dire i drammi Tentazione nel convento e L’Arialda. Inoltre, un capitolo è stato dedicato a puntualizzare la particolare (e centrale) concezione della materia, e la sua resa stilistica, presente in queste opere. Il tutto è stato preso in considerazione nel suo intento ermeneutico della contemporaneità e dei suoi punti di crisi, intuiti da Testori con anticipo sui tempi. 2 INTRODUZIONE Gli esordi narrativi di Testori si basano su una nuova antropologia, intuita e scavata in nuce. Come la civiltà occidentale si è formata sulla prevalente assimilazione cristiana di Aristotele, e popolarmente su strumenti come le fiabe, con la loro morale, la loro distinzione fra bene e male chiara pedagogicamente (Boccaccio introduce molte complessità, ma non scardina quell’ordine, violato casomai di più da Petrarca) a un’intera civiltà, che poteva aderirvi o ribellarsi, così il filone pagano- umanistico, l’irrazionalismo secentesco e altre vene iniziano a incrinare quella chiarezza, ponendo già le basi per scardinare Dostojevski e Manzoni (che dal canto loro già avevano attivato in merito, soprattutto il primo, i propri radar), e svelando non tanto le ribellioni, quanto le aspirazioni, i criteri reconditi e i nodi irrisolti dei “Demoni” e di Madame Bovary. Il crocevia, il crinale in cui le opere testoriane di questo periodo intendono collocarsi è quello in cui tali aspirazioni, criteri e nodi, evolutisi, sono divenuti prevalenti nella società, accompagnati dal sorpasso dell’industria sull’agricoltura, quanto ad addetti (1960). Il vettore è appunto la cultura ancora recondita che accompagna il boom economico, colta nei suoi albori. Qui indaghiamo soprattutto Il dio di Roserio (d’ora in poi Roserio) e i racconti costituenti i primi due volumi del ciclo dei Segreti di Milano (d’ora in poi Segreti), riuniti in due raccolte, Il ponte della Ghisolfa (d’ora in poi Ghisolfa), e La Gilda del Mac Mahon (d’ora in poi Gilda), con alcune escursioni prima e dopo quel periodo e a esso funzionali, riguardanti soprattutto due testi teatrali. È infatti in questo materiale narrativo che emergono, dentro la sua diegesi leggibile, e infatti a lungo letta in termini prettamente realistici (magari con l’acribia espressionista da linea lombarda), le spie di un possibile sovrasenso. Fra i primi indagatori di questa direzione è Rinaldo Rinaldi, che compie un primo importante affondo, senza però osar dare un nome a quello che vede, e finendo anzi per offrirne una lettura drasticamente riduttiva e quasi irridente. 3 Il suo (e nostro) scarto dall’esegesi realistica del primo Testori parte da un dato: la cristallizzazione di fatti e personaggi, la loro “estrema ed esasperante stereotipia”: Tutti i personaggi dei Segreti, in fondo, si possono ridurre a pochi tipi sempre uguali, con minime varianti (il ricco vizioso, il bel ragazzo povero e “di vita”, la donna matura e insoddisfatta, l’adolescente diseredato e respinto, la zitella senza speranza, il giovanotto che sublima il sesso, la fanciulla perdutamente innamorata). Lo stesso capita con le situazioni, con i fatti, anche loro catalogabili senza troppi sforzi in un ristretto elenco: la scenata familiare durante la cena, le meditazioni di notte nel letto, l’amore nel prato di periferia, le chiacchiere degli uomini al bar, sono tutti tópoi ossessivi che ritornano in un giro sempre identico.1 Proprio questa anomala selettività contribuisce a rivelare la peculiare natura allegorica, addirittura metafisica della materia, tanto da fare di ciò che la narra una sacra rappresentazione. Vi è poi da considerare l'ambientazione del ciclo dei Segreti, dichiaratamente e programmaticamente ristretta alla periferia nord di Milano, la quale pone una questione eziologica, non risolvibile con il semplice appello all'appartenenza profondamente amorosa dello scrittore a quei luoghi. È una scelta che porta con sé anche risultati poetici ben precisi, almeno come direzione da indagare. La periferia di una grande città industriale inferisce, nell'immaginario letterario europeo, alienazione, disappartenenza, precarietà in caotico divenire, assenza di luoghi della memoria di lunga durata, identitari; anche quando, nel caso di Testori, questo sia apparentemente controbilanciato da una forte identificazione affettiva e antropologica di (e in) quei luoghi. Il ponte della Ghisolfa, non-luogo emblematico di questa dinamica informe, che dà il titolo all'esordio dei Segreti, è un cavalcavia di transito veloce per camion e tram, oggettivamente inospitale e addirittura ostile a una presenza umana stabile. Altri scenari privilegiati nei Segreti sono luoghi di emarginazione dell'umano: il retro grigio delle case lungo i binari, sottopassi per auto e ferrovie, cave ai margini dell'abitato che aumentano il degrado morfologico della 1 Cfr. R. Rinaldi, Il romanzo come deformazione. Autonomia ed eredità gaddiana in Mastronardi, Bianciardi, Testori, Arbasino, Milano, Mursia, 1985, p. 88. 4 topografia urbana, e addirittura la confusione delle coordinate vitali di separazione fra un sopra e un sotto. Insomma, il contesto dei Segreti poggia tutto su una situazione di mobilità assoluta, su un confine di caotica trasformazione urbana, un dinamismo centrifugo che porta a un'espulsione periodica dell'umano, di cui non sembra tenere alcun conto, causata com'è da altre esigenze. Ebbene, la povera gente della sua narrativa si trova a vivere e annaspare alla ricerca di un senso in questo sfuggente ambito, che appare propizio a svilupparsi come simbolo (più che come metafora, perché i due termini della figura coincidono: l'esempio e ciò che l'esempio addita) dell'intera situazione esistenziale dell'uomo, e in particolare in asse con una concezione gnostica dell'esistenza. Per gnosticismo qui intendiamo un'esperienza/percezione dell'essere che scinde la materia da una sua possibile irradiazione di senso positivo, allontanando la quotidianità (cioè la vita che in questa materia si consuma) in una prospettiva unificante tutta negativa o almeno piatta, per privilegiare la ricerca di un senso altrove. Il primo Testori, però, sembra limitarsi ad una prima fase, quella dell'individuazione di queste coordinate di unitarietà negativa dell'esperienza quotidiana, distinta dalla possibilità di trovare un senso. È già una gnoseologia gnostica: elemento fondamentale di questo insieme di dottrine antiche è l'identificazione del mondo, e in particolare dell'esperienza umana sensibile, legata al quotidiano, come male. Non c'è redenzione possibile per il quotidiano, e quando appare una possibilità in tal senso, si tratta di un'illusione, che imprigiona ancor più l'io nella gabbia della materia. Illusioni tipiche sono l'innamoramento e la generazione di figli, a esso legata. Ne accenna nel saggio su Francesco Cairo quando parla di “colpa della vita generata, della carne vivente (illusa!)”. Quel saggio, uscito nel 1952 su “Paragone”, che tante noie procurò al direttore Roberto Longhi e allo stesso Testori (che forse per questo fu vivamente consigliato dallo stesso Longhi di andarsene da Milano e “riparare” in Piemonte per qualche tempo; provvidenziale ostracismo, visto che poté cominciare a occuparsi a fondo dei suoi artisti forse più amati, Gaudenzio Ferrari e Tanzio da Varallo), è stato nel mio lavoro un punto di chiarimento fondante sulla poetica successiva. Si capisce 5 che, parlando del pittore, definisce una vera e propria ontologia personale. Sempre a proposito della generazione, dell'esser padri e madri, punto dell'esistenza sempre al centro della sua opera, in quel saggio Testori identifica il compito estremo dell'artista nel “giungere all'attimo d'irresponsabile liberazione (che è pur demiurgica prigionia: e lì, in quel punto, lì scorgere l'operante Dio); afferrare il legante segreto: groppo demenziale d'istinti, i quali, lottando, provocano il passaggio dalla generante materia alla generata materia (dalla demenza, cioè, al sorgere lene, ma certissimo, della coscienza o della sua possibilità, almeno...); avvertir la spinta del Demiurgo nella cellula prima, sommossa come da lampo; avvertir l'impeto che attiva dal nulla; e di qui, lasciati e pur sempre presenti, i rotolanti anni che ne deriveranno, i dolori, le agonie, la 'venefica et malefica'... [la peste del '600]”2. Sembra proprio che una radice culturale simile a questa alimenti per esempio l'opera di Massimo