Il Diritto Coloniale Dall'età Liberale Al Fascismo: Tra Missione Civilizzatrice E Razzismo

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Il Diritto Coloniale Dall'età Liberale Al Fascismo: Tra Missione Civilizzatrice E Razzismo Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Giurisprudenza Scuola di Dottorato di Ricerca in Diritto romano e tradizione romanistica: fondamenti del diritto europeo XXV ciclo Il diritto coloniale dall'età liberale al Fascismo: tra missione civilizzatrice e razzismo Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Aldo Mazzacane Supervisore: Ch.mo Prof. Aldo Mazzacane Candidato: Olindo De Napoli 1 Cap. I Razza e impero. La legittimazione del colonialismo nel pensiero giuridico dell'età liberale. Problemi metodologici e definitori. Si può affermare che la dominazione coloniale contenga in sé, comunque sia strutturata, un principio razzista, e che quindi – per stare nel campo giuridico – ogni demarcazione tra cittadini e sudditi sia in sé razzista. Secondo Giorgio Rochat, uno dei pionieri nello studio del colonialismo italiano, esso è “intriso di razzismo e sopraffazione, che sono condizioni preliminari per ogni conquista coloniale, perché già l’idea di voler disporre a proprio piacimento delle sorti di un popolo militarmente più debole è profondamente razzista e sopraffattoria”1. Di fronte a questa affermazione di carattere generale bisogna porsi alcune domande. Innanzitutto è necessario chiedersi se l'esistenza del razzismo sia solo qualcosa che gli studiosi possono individuare a posteriori, in base ad alcuni 1 G. Rochat, Il colonialismo italiano, Loescher, Torino, 1973, pag. 222. 2 canoni di non sempre semplice individuazione2, o se essa fosse in qualche modo avvertita o teorizzata all'epoca in esame. In altre parole, se è vero che ogni colonialismo è in sé razzista, bisogna altresì chiedersi se esso si autorappresenti come tale e se il discorso legittimante sia fondato sulla razza3. Questa domanda è ancor più sensata ove si consideri che per lungo tempo è stato normale dividersi nel dibattito colto tra razzisti e non. È solo nel secondo dopoguerra che il termine è stato coperto di uno stigma tanto netto che quasi nessun razzista si presenta come tale. Jean-Paul Sartre, ad esempio, affermava che l'antisemitismo prima del secondo conflitto mondiale apparteneva all'ordine delle opinioni, mentre ormai appartiene all'ordine del crimine4. Nell'indagine su un tempo in cui non era di per sé vergognoso dichiararsi “razzista” o discettare sulle diversità biologiche e psichiche delle diverse razze, anche espressamente in termini di superiorità/inferiorità, la domanda se il movimento e la sensibilità colonialista si rappresentasse come razzista appare ineludibile5. Una volta appurata la consistenza di una opzione dichiaratamente razzista, 2 Mi sembra che spesso gli studi sul razzismo vadano incontro ad una difficoltà definitoria iniziale; il problema è stringente quando si vuole metter mano a studi comparativi: cfr., ad esempio, R. Ross, Reflectios on a theme, in Idem (a cura di), Racism and colonialism, Nijhoff, The Hague, 1982, dove si propone di escludere dalla categoria razzismo l’omofobia, in quanto l'omosessualità è una qualità non inerente alla stirpe come discendenza. In direzione altrettanto contraria alla sovrapposizione dei concetti di razzismo e sessismo si veda A. Rossi-Doria, “Antisemitismo e antifemminismo nella cultura giuridica”, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, il Mulino, Bologna, 1999, pag. 455. 3 A proposito di problemi di autorappresentazione e di retorica per quanto riguarda la cultura giuridica fascista, si veda A. Mazzacane, “La cultura giuridica del fascismo: una questione aperta”, in Idem (a cura di), Diritto economia e istituzioni nell’Italia fascista, Nomos, Baden- Baden, 2001. 4 J.-P. Sartre, Réflexions sur la question juive (Paris, 1954). Sul passaggio dal “razzismo scientifico” alle nuove forme del razzismo contemporaneo, si veda sinteticamente M. Wieviorka, Le racisme, une introduction, La Decouverte, Paris, 1998, in particolare cap. 1. 5 Un problema storiografico simile – riguardante l'uso della categoria “totalitario” – è posto in P. Costa, “Lo 'Stato totalitario': un campo semantico nella giuspubblicistica del fascismo,” in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 28, 1999, pp. 61-174, in particolare pp. 63-64. 3 bisognerà chiedersi in che modo questa si atteggi concretamente nel periodo considerato, aldilà del nominalismo inevitabile in ogni categorizzazione: chiedersi, cioè, quale tipo di meccanismo politico e giuridico sia attivato. I razzismi non sono tutti uguali: può esistere un razzismo che non consenta contatti diretti con i “diversi” - il popolo dei “sudditi” nel nostro caso -, ma vi può essere anche un razzismo in presenza di continui scambi e commistioni6. Dal punto di vista teorico, poi, il razzismo si può conformare ad un paradigma evoluzionistico, appoggiandosi all'idea del dovere delle razze superiori di innalzare al proprio stadio di civiltà quelle inferiori7, come vi può essere un determinismo biologico con demarcazioni ritenute naturalmente insuperabili, per il quale l'innalzamento della razza inferiore è impossibile, se non politicamente sbagliato. O ancora un pregiudizio velato da “condescension on the basis of race”, quello che si può definire “razzialismo.” Sono distinzioni ben presenti alle scienze umane.8 Ma differenti tipi di razzismo possono aver qualcosa in comune. Secondo Pierre Bourdieu il nucleo di ogni tipo di razzismo è la logica “essenzialista”, che consiste nell'oggettivizzare, a partire dal linguaggio, le diversità dei gruppi; proprio per sfuggire a una logica sostanzialista, Bourdieu ha proposto la nozione di campo sociale, come realtà di relazioni9. Anche le analisi che si sforzano di trovare una unitarietà analitica del fenomeno non fanno a meno di indagarne la 6 Cfr. B. Sòrgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea, 1890-1941, Liguori, Napoli, 1998, pp. 255-256; cfr. A.L. Stoler, Carnal knowledge and Imperial Power. Race and Intimate in Colonial Rule, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London, 2002. 7 Cfr. C. Lévi-Strauss, Race et histoire, Unesco, Paris, 1952. 8 Si vedano ad esempio le voci “Modern racism,” in A Dictionary of Psychology, a cura di A.M. Colman, Oxford University Press, Oxford, 2006; “Racialism,” in A Dictionary of Sociology, a cura di J. Scott and G. Marshall, Oxford University Press, Oxford, 2005; “Racism,” in Blackwell Dictionary of Political Science, a cura di F.W. Bealey and A.G. Johnson, Blackwell, Oxford, 1999. Bourdieu ha sottolineato come l'uso attuale del termine “etnia”, intriso di logica “sostanzialista”, sottintenda chiaramente il tradizionale concetto di razza: P. Bourdieu, Raisons pratiques sur la théorie de l'action, Seuil, Paris, 1994. 9 P. Bourdieu, Méditations pascaliennes (Paris, 1997), pag. 87; Raisons pratiques cit.: cito dall'edizione it. Ragioni pratiche, il Mulino, Bologna, 1995, pag. 7 e ss. e 45 e ss. 4 diversità delle forme e dei contenuti, talvolta per concludere che possono facilmente coesistere tipi diversi di razzismo in una data società: i razzisti non disdegnano il sincretismo10. Di contro alle varie analisi proposte dei diversi meccanismi di razzismo, una scuola marxista influente nella storiografia italiana ha teorizzato la reductio ad unum dei vari fenomeni classificabili col termine “razzismo.” Rispetto a coloro che cercano una definizione unitaria del fenomeno, per poi andare a studiarne le concrete manifestazioni storiche, la scuola italiana sembra accentuare, in più, l'unitarietà della manifestazione e delle cause del razzismo (nel quale rientrerebbe anche il sessismo), che sono individuate invariabilmente in termini marxiani di conflitto di classe e accumulazione capitalistica11. Il discorso che qui si propone vuole andare a indagare in concreto i diversi meccanismi giuridico-politici del razzismo italiano. La ricerca rimane tutta all'interno del discorso giuridico-politico, senza addentrarsi nella storia sociale del fenomeno, che d'altra parte da vari anni ha iniziato ad attrarre l'attenzione degli studiosi anche per quanto riguarda l'Italia, e per la quale rimando all'efficace quadro di sintesi disegnato da Labanca12. Lo studio del pensiero giuridico tra Otto e Novecento è particolarmente utile per una più generale comprensione della cultura italiana. Come si è osservato, lo Stato moderno è un prodotto dei giuristi13; in Italia il ceto dei giuristi costituì l'asse portante del nuovo Stato unitario14 e la riflessione giuridica 10 Cfr. M. Wieviorka, Le racisme, une introduction cit.; dall'edizione italiana, Il razzismo, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp. 34-36; 11 Per la teoria dell'unitarietà del fenomeno razzista, cfr. A. Burgio, “Per la storia del razzismo italiano,” in Idem (a cura di) Nel nome della razza, cit., pp. 19-29. Tra coloro che esprimono perplessità di fronte a un uso onnicomprensivo della categoria, si veda G.M. Fredrickson, Racism: A Short History, Princeton University Press, Princeton, 2002. 12 N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, il Mulino, Bologna, 2002, pag. 369 e ss. 13 E. Forsthoff, Rechtsstaat im Wandel, Kohlhammer, Stuttgard, 1964, pag. 77. 14 Dal periodo liberale la maggioranza relativa dei parlamentari appartiene alla categoria degli avvocati, dato che si conferma in età fascista; cfr. F. Cammarano, M.S. Piretti, “I professionisti in Parlamento (1861-1958)”, in M. Malatesta (a cura di), Storia d’Italia. I professionisti, Einaudi, 5 accompagnava costantemente le scelte politiche che maturavano man mano, conferendovi un connotato di scientificità. Tale carattere derivava dallo
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