La Costruzione Dell'impero Fascista
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A1i 583 Alessandro Pes LA COSTRUZIONE DELL’IMPERO FASCISTA POLITICHE DI REGIME PER UNA SOCIETÀ COLONIALE Copyright © MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–3770–6 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2010 Indice Prefazione di Cecilia Dau Novelli e Charles F. Burdett. Introduzione, p. 5. Capitolo 1 L’Etiopia nei progetti coloniali italiani, 1887-1928, p. 15. 1.1 La penetrazione missionaria in Etiopia nel XIX secolo, p. 15 - 1.2 I primi progetti di espansione in Etiopia, p 27 – 1.3 Adua 1896: la disfatta coloniale di una potenza europea, p. 44 – 1.4 Le società geografiche e la politica coloniale dopo Adua, p. 57 – 1.5 Dalla pace di Addis Abeba al Trattato di amicizia, p. 67. Capitolo 2 La via etiopica alla modernizzazione, p. 71. 2.1 Teodoro II e la conclusione della Zamana Masafent, p. 71 – 2.2 La politica di equilibrio di Giovanni IV, p 79 – 2.3 Menelik II e il processo di modernizzazione del paese, p. 85 – 2.4 Modernità e sistema d’istruzione nei governi di Menelik II e Ras Tafari, p. 94. Capitolo 3 La costruzione dell’Impero fascista, p. 101. 3.1 La necessità fascista dell’Impero, p. 101 – 3.2 I primi problemi di amministrazione dell’Impero, p. 114 – 3.3 Rodolfo Graziani e le politiche di governo dell’Africa Orientale Italiana, p. 128 – 3.4 La dialettica centro/periferia nell’Impero fascista, p. 152. 6 Introduzione Capitolo 4 La costruzione della società coloniale, p. 171. 4.1 Addis Abeba: il ‘nuovo fiore’ capitale dell’Impero, p. 171 – 4.2 Il sistema d’istruzione in Etiopia: teorie e pratiche fasciste di costruzione del soggetto coloniale, p. 197 – 4.3 Rapporti di genere nell’Impero: angeli del focolare in Africa orientale italiana, p. 212. Indice dei nomi, p. 229. Prefazione di Cecilia Dau Novelli e Charles Burdett Il tentativo fascista di costruire un Impero nasceva certamente dal fallimento crispino di fine Ottocento e dalla frustrazione di una nazione appena nata, ma che non si era ancora potuta costruire “grande”, ma era anche figlio di qualcosa d’altro che si deve ascrivere alla genuina novità del fascismo. All’ansia di costruire il “nuovo italiano”, di farlo vivere e lavorare in “terre nuove” appena strappate alla bonifica: di farlo crescere nelle terre colonizzate dal fascismo. Un italiano contadino e colono, vergine come la terra su cui viveva, e così plasmabile alla ideologia fascista. Tutto questo era possibile nelle terre bonificate del basso Lazio e della Sardegna, e poi, in maniera ancora più grandiosa nelle terre d’Africa che incarnavano anche un mito a lungo rincorso. La “grande proletaria” che conquistava un “posto al sole” era il riscatto dei reietti italiani, da sempre ultimi nello scacchiere europeo, che finalmente si conquistavano un Impero africano nelle terre da civilizzare dei selvaggi. E poco importa, se tutti gli altri grandi imperi coloniali erano in fase di smobilitazione, e se l’Etiopia era, fra le terre d’Africa una delle più civili ed addirittura membro della Società delle nazioni. L’unica ossessione del regime era quella di costruire un Impero fascista dove ripercorrere i fasti dell’Impero romano, civilizzare le genti e dare la terra agli italiani. La fascistizzazione dell’Etiopia procedette a tempo di record, quasi che ci fosse la consapevolezza che l’orologio della storia andava all’indietro. E, infatti, neanche un anno dopo la conquista e la proclamazione dell’Impero, già si teneva ad Addis Abeba la prima mostra zootecnica. “L’illustrazione italiana” del 21 febbraio 1937 poteva trionfalisticamente affermare che nella città pacificata si era tenuta la prima manifestazione organizzata dalla Federazione Fascista. Il bestiame veniva descritto come una delle maggiori i ii Prefazione ricchezze dell’Etiopia, talmente ricco – si parla di patrimonio ingente - che avrebbe potuto fornirne alla madrepatria e risolvere così il problema dell’importazione di carne dall’estero. Per altro, la mostra zootecnica sarebbe dovuta servire anche a far incontrare gli allevatori e a stimolarli a migliorare le tecniche di allevamento, invero primitive, e perennemente in bilico tra tentativi di razzie reciproche e decimazioni a causa di epidemie. E’ inutile dire che la mostra aveva avuto un grande successo, soprattutto per il gran numero di allevatori presenti che avevano condotto bovini, ovini, equini e un certo numero di animali da cortile. Tuttavia, quello che, nell’ampio articolo, stupisce di più, non è neanche il tono trionfalistico, che tutto sommato si può anche comprendere, ma è lo sforzo di ricondurre alla normalità della vita quotidiana una realtà ancora percorsa dalla guerra civile e dal ribellismo. L’immagine ufficiale che si voleva trasmettere era quella pacificata e normalizzata di una grande nazione, ricca di agricoltura e di bestiame, che tutta intera si era messa industriosamente a lavorare per arricchire la madrepatria italiana. Il 9 maggio 1937 – a un anno dalla proclamazione - “L’illustrazione italiana” dedica un intero fascicolo all’Impero, e, anche qui i toni trionfalistici si mischiano alle descrizioni di una attivissima agricoltura baciata dalle condizioni geografiche – il caffè cresce spontaneo in varie regioni dell’Etiopia – e modernizzata dall’introduzione di macchine agricole guidate dai coltivatori italiani. E’ il sogno di una grande colonizzazione dove ferve l’attività del contadino-soldato impegnato nella battaglia del grano dopo aver felicemente vinto la battaglia delle armi. Alessandro Pes si è misurato con il tema della colonizzazione e dell’Impero in modo innovativo mettendo al centro del suo lavoro proprio il tema dell’amministrazione coloniale e della normalizzazione piuttosto che quello della conquista militare. Dopo aver ricostruito la genesi dell’ossessione per l’Etiopia, dai tempi della prima penetrazione missionaria fino alla disfatta di Adua ed essersi poi soffermato sul processo di modernizzazione avviato dall’Impero etiopico all’inizio del Novecento, ha delineato i caratteri della costruzione dell’Impero fascista. Soprattutto negli aspetti dell’organizzazione amministrativa della vita quotidiana. L’ansia della normalità, che mascherava una politica razziale durissima, passava Prefazione iii attraverso l’introduzione di un sistema scolastico nuovo per far diventare fascisti tutti i cittadini etiopici. E poi la costruzione della nuova Addis Abeba che doveva ripetere in terra d’Africa il modulo architettonico razionalista della Roma fascista. Gli studi sul colonialismo italiano si sono sviluppati tardivamente a partire dagli anni Sessanta. Ma poi si sono arricchiti, anche nello scambio con gli studi sulla storia dell’Africa, molto intensificati negli ultimi decenni. Ma per quanto riguarda l’Impero fascista – come nota lucidamente Pes - è necessario analizzarne la costruzione alla luce dell’analoga esperienza compiuta alla fine degli anni Venti nei territori bonificati e nelle colonizzazioni compiute in Italia. Quelle erano state delle vere e proprie prove generali – al netto della politica di discriminazione razziale – dove si era tentata la realizzazione della nuova società fascista. A questo punto lo studio della colonizzazione fascista diviene indispensabile - come scrive Pes - per comprendere la natura stessa del regime e la sua ideologia. Quell’ansia di normalizzazione, insieme ai bovini e agli ovini che pascolano “abbondantissimi” sugli altopiani etiopici, al caffè che cresce spontaneo e agli indigeni che apprendono le nuove tecniche di allevamento e coltivazione, facevano parte di un quadro idilliaco dove il fascismo governava incontrastato apportatore di pace e di civiltà. Il mito – come si sa – durò pochissimo spazzato dal crollo del fascismo e dal suo delirante disegno di fascistizzare anche gli indigeni pur considerandoli una razza inferiore. Cecilia Dau Novelli Università di Cagliari Anyone who has worked on the subject of Italian colonialism will be familiar with the long historiographical silence on this issue in the post-war period – a silence upon which Angelo Del Boca has often cogently and forcefully reflected. Equally, any researcher will be familiar with the questions that are still posed on the validity of this type of scholarship. The objections that are raised concerning the study of Italian expansionism show the extent of the work that still iv Prefazione needs to be done on this topic and they indicate a series of profound resistances to the examination of one of the most controversial areas of recent Italian history. The first objection is that Italy’s existence as a colonial power was of relatively short duration: in comparison with the length of time that the empires of other European powers existed, the Italian Empire was born late and it came to an abrupt and inglorious end. This being the case, it is occasionally suggested that Italian colonialism was merely a side issue for liberal Italy and merely one episode among many within the story of Fascism. In the light of this reflection, it is a short step to arguing that the colonial adventure was fairly peripheral to the Italian experience of the twentieth century and that it can be easily forgotten. The second objection that is made, especially concerning the study of literature and film, is that the colonial experience, having been of short duration, produced very few works of lasting quality. Italian colonialism, in other words, lies outside the confines of the canon and it can therefore legitimately be excluded from the study of the principal currents that have defined Italian culture in the modern age. A third objection that is made in some quarters is that there is something questionable in concentrating on an episode of Italy’s past that does not redound to the country’s credit, an episode that many people and institutions would like to see as consigned definitively to the past rather than an issue that can and should inform the present.