Introduzione
INTRODUZIONE La famiglia – il suo concetto, la sua realtà – ha, come re Mida, il potere della metamorfosi: tutto ciò che di essa si dice o si può dire, immediatamente si muta in penoso, triviale luogo comune. È davvero difficile supporre che essa sia o possa diventare oggetto di discorso. Mi sembra, piuttosto, che appartenga all’ordine della rappresentazione: c’è famiglia, infatti, là dove c’è un luogo (la casa), ci sono delle persone che l’abitano (le quali, di fatto, assumono il ruolo di personaggi) e vi svolgono azioni, fatti, eventi: qualche volta vi imbastiscono destini. Come tutti i palcoscenici, i luoghi definiti e rigidamente codificati, la casa non è un neutro contenitore, ma beneficia del privilegio delle prigioni, degli spazi di costrizione dove si elaborano rituali, si producono simboli, si celebrano liturgie, si liberano sentimenti, passioni, solitudini, aggressività e nevrosi. Inoltre, come tutto ciò che si dispone sul versante della rappresentazione, anche la famiglia divide qualcosa con il mito. 1 Esiste, senza dubbio, una mitologia delle famiglia legata all’infanzia e che non si discosterà mai, per l’intero corso della vita di un uomo, da questa sua radice infantile.1 Queste parole, di Liborio Termine, sembrano rappresentare al meglio le dinamiche familiari mostrate nei film presi in esame in questo lavoro: Totò cerca casa (1949), Romanzo popolare (1974), Speriamo che sia femmina (1986), Parenti serpenti (1992), Panni sporchi (1999) del maestro Mario Monicelli, e La bella vita (1994) del più giovane Paolo Virzì, omaggio
[Show full text]