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- Duevolte peggio che arrivare acompierne 40... - effetto Che fa arrivare a80anni? le delusioni diventano ordinaria amministrazione Questo èunodeipochi vantaggi dell'età: (William Powell inCome sposare unmilionario, 1953, diJean Negulesco)

(Henry Fonda inSullagodorato, 1981, diMark Rydell) Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -70% - Aut. GIPA/C/RM/04/2013 Aut. - -70% postale abbonamento in Spedizione - SpA Italiane Poste www.8-mezzo.it Cinecittà compie 80 anni. Li dimostra? settembre 2017 - numero 34 anno V COMPIE 80ANNI. LI DIMOSTRA? CINECITTÀ Esiste unanuova scenografia Il cinemaaitempi diNetflix A vent'anni dalla morteA vent'anni PUNTI DIVISTA del cinemaitaliano? del INNOVAZIONI di Marco Ferreri settembre RICORDI 34 n° 5,50 €

2017 SUL PROSSIMO NUMERO IN USCITA A NOVEMBRE 2017

SCENARI I blog di cinema italiani

COMING OUT La cantonata

FOCUS Il cinema a New York

ANNIVERSARI A 50 anni da Edipo re di P.P.Pasolini EDITORIALE di GIANNI CANOVA

80 CANDELINE PER CINECITTÀ

na volta tanto, anche 8½ sceglie un tono e un taglio un po’ celebrativo. U Non lo facciamo mai. Abbiamo tanti difetti, molti limiti, ma non quello di essere gratuitamente apologetici o servilmente encomiastici. Chi ci legge con qualche assiduità sa che spesso non siamo teneri con il cine- ma italiano, che non gli risparmiamo critiche anche feroci, che siamo determinati nell’evidenziare le criticità e le contraddizioni della nostra industria dello spettacolo e soprattutto del comparto audiovisivo. Questa volta però abbiamo sentito non solo il dovere ma anche il bisogno di fare un’eccezione e di dedicare buona parte del numero agli 80 anni di Cinecittà. Ne han- no già parlato in tanti, è vero. Si è già detto e scritto di tutto, certo. Sono usciti articoli pregevoli, interventi illuminanti. Ma noi abbiamo un vantaggio: quello di poter os- servare Cinecittà dal di dentro. Quello di poter attingere a sguardi, archivi e materiali che gli altri, da fuori, non posseggono. Per questo vogliamo provare a ripercorrere la leggenda di Cinecittà a partire da prospettive inusuali: quella – ad esempio – delle lettere che migliaia e migliaia di italiani hanno indirizzato nel corso degli anni alla loro “fabbrica dei sogni”. O quello delle comparse, dei cascatori, degli operai che a Cinecittà hanno donato competenza, fatica, passione. Rileggendo il numero, prima di mandarlo in stampa, si ha davvero la sensazione (e forse perfino la convinzione…) che la storia di Cinecittà è stata un pezzo importante della modernità italiana, e che l’Italia – forse – a volte non l’ha capito. Tanto che ci piace affidare al lettore – come possibile chiave di lettura – una semplice domanda: ma il cinema italiano si è meritato Cinecittà? 8½ NUMERI, VISIONI E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO

Bimestrale d’informazione Progetto Creativo e cultura cinematografica 19novanta communication partners

Creative Director Iniziativa editoriale realizzata Consuelo Ughi da Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con ANICA Designer e Direzione Generale Cinema Clio Chaffardon, Matteo Cianfarani, Valeria Ciardulli, Direttore Responsabile Lorenzo Mauro Di Rese Giancarlo Di Gregorio Stampa ed allestimento Direttore Editoriale Arti Grafiche La Moderna Gianni Canova Via di Tor Cervara, 171 00155 Roma Vice Direttore Responsabile Cristiana Paternò Registrazione presso il Tribunale Capo Redattore di Roma n° 339/2012 Stefano Stefanutto Rosa del 7/12/2012 Direzione, Redazione, In Redazione Amministrazione Carmen Diotaiuti Istituto Luce-Cinecittà Srl Andrea Guglielmino Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma Tel. 06722861 fax: 067221883 Coordinamento redazionale [email protected] DG Cinema www.8-mezzo.it Iole Maria Giannattasio Chiuso in tipografia il 24/07/17 Coordinamento editoriale Nicole Bianchi

Hanno collaborato Alberto Anile , Alice Bonetti, Silvia Borsari, Oscar Cosulich, Laura Delli Colli, Gabriele D’Autilia, Martina Federico, Dario Franceschini, Andrea Mariani, Franco Mariotti, Sara Martin, Enrico Menduni, Marco Molendini, Stefano Maria Ortolani, Francesca Pierleoni, Paolo Pizzato, Ilaria Ravarino, Marianna Redaelli, Jonathan Rosenbaum, Mario Sesti, Marco Spagnoli, Giammaria Tammaro

Sommario

EDITORIALE RACCONTI DI CINEMA INNOVAZIONI CINEMA ESPANSO

01 80 CANDELINE 40 I SOLITI IGNOTI 52 LA SCENOGRAFIA 80 STORIA DI UNA MAMMA PER CINECITTÀ LA RAPINA ITALIANA FRA TRADIZIONE di Alice Bonetti di Gianni Canova IMMAGINATA E INNOVAZIONE di Paolo Pizzato LA STRADA, IL TEATRO 82 TOTÒ. O IL COMPUTER? IL COMICO ASSOLUTO. SCENARI di Gianni Canova di Cristiana Paternò RE-PRINT 04 PASSATO, PRESENTE 54 ARCHITETTI DEL CINEMA 84 METTITI AI PIEDI E FUTURO DEL NOSTRO 42 NASCITA DELLA CINECITTÀ di Nicole Bianchi LA STORIA DEL CINEMA CINEMA DI FILIPPO SACCHI di Marianna Redaelli di Dario Franceschini DA “CORRIERE 60 PITTURA E VELOCITÀ Ministro dei Beni e DELLA SERA”, di Oscar Cosulich delle Attività Culturali 29 APRILE 1937. INTERNET e del Turismo di Andrea Mariani 68 I FOLLI DI OGGI SONO E NUOVI CONSUMI I GENI DI DOMANI 06 UNA “CITTÀ” 44 DESTINO DI CINECITTÀ di Stefano Maria Ortolani 86 DA MEME A FILM CHE GENERA MONDI DI CURZIO MALAPARTE IL PASSO È BREVE di Gianni Canova DA “PROSPETTIVE”, 70 VIDEO MAPPING, di Carmen Diotaiuti N. 2, “CINEMA”, S.D. 1937. NUOVA FRONTIERA DELLA 08 E LA STORIA D’ITALIA di A. M. SCENOGRAFIA URBANA CORRE PARALLELA di Silvia Borsari GEOGRAFIE di Gabriele D’Autilia e Enrico Menduni RICORDI 88 LA MAPPA FOCUS USA|1 DELLA (CINE)CITTÀ 12 UN ALTRO COLOSSEO 46 (1932-2017)  di Nicole Bianchi di Sara Martin PAOLO VILLAGGIO 74 FOREVER YOUNG? E LA VOCE “LUPATA” di Alberto Anile 18 LA CITTÀ di Mario Sesti TRAILER ANATOMY DELLE ILLUSIONI 78 IL DISPREZZO di Marco Spagnoli 48 MARCO FERRERI  PER LO SPETTATORE 90 IL NOSTRO COMPITO NEL TEMPO DELL’ATTESA di Jonathan Rosenbaum È SALVARE IL MONDO! 20 IL PROFESSORE di Gianni Canova di Martina Federico E IL MAESTRO A PASSEGGIO 50 MARCO, PER I VIALI I LOVE YOU PUNTI DI VISTA di Stefano Stefanutto Rosa di Nicole Bianchi 92 AD PIATTAFORMAM Intervista a Sergio Rubini Intervista a Nicoletta Ercole di Gianmaria Tammaro 22 LA CASA DELLE VACANZE 96 BIOGRAFIE di Laura Delli Colli

26 E ALLA “MEZZA” TUTTI A PRANZO “AL FICO” di Franco Mariotti

32 CARA CINECITTÀ di Stefano Stefanutto Rosa

38 L’IRRADIAZIONE DEL MITO di Marco Molendini SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve

di DARIO FRANCESCHINI Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

In ottant’anni Cinecittà, uno dei È un progetto di ampio respiro, più antichi stabilimenti cinema- che mira alla valorizzazione cul- tografici pubblici, ha conosciuto turale degli spazi, alla fornitura molteplici vicissitudini, com- di servizi per le produzioni au- preso il trasferimento forzato diovisive, alla realizzazione di un nei padiglioni dei Giardini del- vero e proprio fulcro della creati- la Biennale di Venezia durante vità di livello internazionale, con la Repubblica di Salò, e vissuto possibilità di scambi e residenze, molte rinascite, a partire dalla attenzione alle nuove tecnologie felice stagione di Hollywood sul e alla Rete. Il nostro cinema sta Tevere negli anni del boom eco- conoscendo un felice momen- nomico, per arrivare al ritorno dei to creativo ed è tornato a essere set delle grandi produzioni inter- capace di imporsi nel mondo, nazionali di questi ultimi anni. A come testimoniano non solo i ri- questi cambiamenti si è associato conoscimenti ottenuti dai nostri un duplice mutamento della sua autori negli ultimi anni ma anche ragione sociale che ha dapprima il successo internazionale di se- portato, nella stagione delle pri- rie e commedie italiane. Sempre vatizzazioni degli Anni Novanta, di più si sente il bisogno di una alla progressiva alienazione degli Cinecittà capace di intercetta- Studios e oggi, nella celebrazione re e far crescere questa vivacità, degli ottant’anni di attività, al suo prestando attenzione ai giovani ritorno in mano pubblica sotto talenti, alle capacità di scrittura e l’egida di Istituto Luce-Cinecittà. di narrazione che hanno sempre PASSATO PRESENTE CINEMA NOSTRO DEL - Sperimen delCentro gli studenti e idocenti al contempoutileper e igiovani per attrattivo di essere nologico emultimediale,ingrado cinematografia. Uno spazio tec- dellanostra grande la memoria permanente inmaniera conservi stituto LuceedelleTeche Rai si cui afiancodellastoria dell’I- italiano,unluogoin del cinema ancheungrande museo nascerà In questo rinnovato contesto contraddistinto inostriautori. del nostro cinema. passato,città: presente efuturo Tutto questo Cine- saràlanuova andrà. capire dove per essenziale i suoimaestri,èlaprecondizione se stagioniescoprire oriscoprire lediver cui ènata,ripercorrerne nematografia italiananelluogoin la storia della Comprendere ci- della musicaedellospettacolo. di laurea indisciplinedellearti, tale diCinematografia edeicorsi La città del cinema: marmi e cartapesta per farsognare ilsecolobreve marmiecartapestaper delcinema: La città - SCENARI FUTURO 4 -5 UNA “CITTÀ” CHE GENERA MONDI di GIANNI CANOVA

a cosa che mi ha della bottega rinascimentale. Ci- sempre colpito e necittà non è solo l’insieme dei L stupito è che Cine- suoi stabilimenti e teatri di posa. città, fin da subito, Contiene uffici, camerini, sale Inaugurata il 28 aprile 1937 l’abbiano chiamata così. Poteva- trucco, attrezzerie, magazzini. E no chiamarla – che so – “stabili- ancora laboratori, falegnamerie, da Benito Mussolini, per 80 menti cinematografici romani” carpenterie, sale di proiezione, anni Cinecittà è stata – come (è questa la denominazione che meeting rooms, mense, ristoranti, appare in alcune didascalie o palestre, bar, parcheggi, centri diceva – “il vuoto documenti d’epoca). Invece no. di formazione. E laboratori di Scritto con la grafica cubitale e post-produzione digitale, di scul- cosmico prima del big bang”: marmorea tanto cara alla gran- tura scenica, di pittura artistica. una fabbrica dei sogni ma anche deur del regime, il nome Cinecit- Un mondo, insomma. Il cine- tà è diventato una sorta di logo/ ma che si fa mondo. Che genera lo specchio del nostro Paese, destino: un “segno” capace di far mondi. E insieme: il mondo che della sua grandezza e delle sue transitare il luogo, quasi imme- si struttura per produrre cinema. diatamente, dalla dimensione C’è una sorta di affascinante at- miserie, del nostro provincialismo reale a quella fantastica. Cinecittà: trito fra l’imponenza della strut- città del cinema. Ma anche ci- tura e l’impermanenza di ciò che come della nostra genialità. nema come città. Città virtuale. in essa viene allestito. Perché le Città dell’immaginazione e del sogno. Ma soprattutto città. Per- ché c’è qualcosa di intimamente urbano, nell’idea di questi sta- bilimenti: Cinecittà sarebbe im- pensabile senza la grande cultura urbana che è tipica della storia italiana. Gli Studios hollywoo- diani – per quanto magniloquenti – non sono una città. Sono for- tilizi. Avamposti. Officine. Non trasmettono mai quell’idea di or- ganicità e di comunità che invece si respira appena varcata la soglia di Cinecittà. Che è quasi la ripro- posizione su scala urbana del modello produttivo e relazionale SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 6 - 7

a creare avendo a disposizione il storia di Cinecittà è tracciabile meglio. Cinecittà, negli ottant’an- come un fiume carsico, come ni trascorsi dalla sua inaugurazio- un’ininterrotta sinusoide che al- ne (il 28 aprile 1937), è stata il me- terna luci e ombre, impennate e glio. Da lì, dalla fine degli Anni ’30 cadute, prosperità e miseria. Ma a oggi – dicono le cronache – sono anche in questo, forse, è specchio usciti più di tremila film, una cin- del cinema italiano e – magari – quantina dei quali ha anche vinto della società italiana tout court. un Oscar. Non tutti capolavori, Miserabile e sublime. Miliardaria certo. Ma è questo il bello: in una e stracciona. Approssimativa e città, inevitabilmente, i livelli geniale. estetici alti convivono con quelli Per questo è bello e giusto festeg- più pop. Le architetture firmate giare e ripercorrere gli 80 anni di coabitano con le case popolari. Cinecittà. Perché ci rappresenta. Anche nella Cinecittà degli anni Perché ci assomiglia. Perché ci d’oro, quando Roma era denomi- rispecchia. Questa rivista, che nata “Hollywood sul Tevere”, dai nasce dentro Cinecittà, non può suoi teatri uscivano i grandi ko- non farlo con più energia e con lossal di coproduzione america- più gratitudine di chiunque al- na assieme ai pepla di cartapesta tro. Con l’obiettivo di provare a (i cosiddetti “sandaloni”, nel ger- raccontare ancora una volta, so- go delle maestranze locali), i film prattutto per i più giovani, come scenografie dei film sono segna- di grandi autori come Fellini e Vi- la città del cinema sia stata anche te fatalmente dal loro destino di sconti accanto alle commedie più la fabbrica dei sogni di noi tutti e transitorietà: il set è per sua stes- corrive. Una città è grande anche della nostra Storia. sa natura effimero. È tanto più per questo: per il plurilinguismo, apprezzato quanto meno dura. per la capacità di far convivere le Quanto più si dà (alla pellicola) differenze, per la disponibilità ad e scompare. Ma il fascino di Ci- accogliere le esigenze più dispa- necittà deriva in gran parte pro- rate. Certo: in ottant’anni di vita ci prio da qui: dall’essere un luogo sono stati anche momenti meno “vero” che produce il “finto”, una limpidi, periodi di stanchezza e struttura materiale al servizio di incertezza, fasi segnate da un dell’immateriale. Come vuole la latente provincialismo più che vulgata: macchina per la produ- da una vocazione convintamen- zione di sogni ad occhi aperti. te cosmopolita. Di fatto tutta la Lo sapeva bene Federico Fellini, che a Cinecittà aveva una sorta di cittadinanza onoraria. Per lui Cinecittà era il vuoto cosmico pri- ma del big bang. Quando entrava nel suo teatro di posa preferito (il Teatro 5, 40 metri x 80, in assolu- to uno dei più grandi d’Europa) Fellini aveva un po’ l’impressione di affacciarsi a un grande utero materno, pronto ad accogliere nuovi semi creativi e a generare nuova vita. E parlava di “estasi” di fronte a “uno spazio da riem- pire, un mondo da creare”. Per- ché i teatri di posa sono prima di tutto questo. Un grande vacuum. Un’opportunità. Uno stimolo. Una sfida. Come un blocco di marmo per uno scultore. O come uno Stradivari per un violinista. Lo vedi e ti provoca. Ti ci vuoi misurare. Vuoi vedere cosa riesci E LA STORIA D’ITALIA CORRE PARALLELA

di GABRIELE D’AUTILIA e ENRICO MENDUNI

l ruolo svolto dal I cinema nella Storia d’Italia è stato un soggetto a lungo trascurato dagli storici, più con- centrati in genere sulla ricerca della “storia nei film”: una ma- teria, quest’ultima, certamente di grande interesse, ma che ha fatto passare in secondo piano gli aspetti “istituzionali” della macchina cinema. Come in molti Paesi europei, an- che in Italia il cinema, fin dall’ini- zio appannaggio di società di pro- duzione private, è stato costretto ad assumere connotati pubblici per contrastare, già a partire dagli Anni ’20 e ’30 (cioè dopo la crisi generata anche in questo campo dalla guerra mondiale), l’invasio- ne dei magici prodotti hollywoo- diani, soprattutto dopo l’avvento del cinema sonoro. Da noi però la paralisi produttiva che seguì il conflitto, particolarmente acuta, coincise con una ben più grave crisi politica e istituzionale, quel- la che diede vita al fascismo. Idea- tore di una forma di Partito/Stato SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 8 - 9

bilimenti a ciclo continuo, dotati delle tecnologie e delle professio- nalità per girare e post-produrre più film contemporaneamente. Cinecittà fu parte di un ambizio- so disegno di rinascita del cine- ma italiano e, nelle intenzioni del regime, doveva diffondere nel mondo, come recitavano i manifesti che l’annunciavano, “la luce della civiltà di Roma”. La lezione di Hollywood fu però applicata anche per la scelta dei temi e dei generi, sia pure in tono minore. Le commedie (talvolta ancora definite sbrigativamente “dei telefoni bianchi”) preval- sero sui film più propriamente politici come Scipione l’Africano di Carmine Gallone o L’assedio dell’Alcazar di Augusto Genina: il primo successivo alla guerra di Etiopia, il secondo alla guerra di Spagna. Dopo le leggi protezio- nistiche del 1938 la circolazione in Italia dei film stranieri diven- ne sempre più difficile, mentre la produzione italiana aumentò notevolmente, anche negli anni di guerra. Nonostante l’insisten- del tutto inedita, Mussolini guar- za della propaganda nazionalista centro di irradiazione istituzio- dò con attenzione al ruolo del ci- e l’ostentato disprezzo dei valori nale di cultura visuale, si trovò ad nema e in genere dei media nella ”borghesi” anglosassoni, il cine- essere un luogo di disputa tra gli costruzione di uno Stato totalita- ma italiano continuò a perseguire universi mentali e le aspettative rio che non poteva certo limitarsi un compromesso con i desideri degli uomini del regime e quelli alla sola repressione, ma doveva degli italiani: il risultato fu un tipo del popolo degli spettatori. Una cercare di utilizzare gli strumen- di commedia, certo autarchica, nuova Italia certamente sca- ti della comunicazione, vecchi e ma “all’americana”, che metteva turì dal fascismo e dalla guerra, nuovi, per alimentare il consen- in scena proprio quei valori “bor- ma fu l’Italia povera e solidale, so. Come avvenne in altri campi, ghesi” che la propaganda con- tenace e coraggiosa, descritta come l’architettura, nel regime dannava in nome di una condotta dopo il 1945 dai film neorealisti mussoliniano il cinema vide una marziale più consona all’italiano di Rossellini e De Sica; si trattò dialettica anche assai aspra tra fascista. Allo stesso tempo, per- di un cinema nuovo e rivoluzio- varie istituzioni e idee: l’Istituto sonalità anche distanti tra loro nario prodotto spesso fuori da Luce (che deteneva il monopolio come Alessandro Blasetti, Cesa- Cinecittà, ma che senza l’espe- dell’informazione filmata, realiz- re Zavattini, o lo stesso maestro rienza maturata nel decennio zando anche documentari e ser- della commedia Mario Camerini, precedente tra le sue mura non vizi fotografici), Cinecittà con i si cimentavano con un realismo sarebbe mai potuto comparire. suoi grandi Studi per la produzio- cinematografico che avrebbe pre- La guerra lasciò gli stabilimenti ne di film, il Centro Sperimentale sto avuto un ruolo centrale nel ci- di Cinecittà in condizioni disa- di Cinematografia e, non ultimo, nema e nella cultura italiana. strose. Tutto ciò che era utile e il gruppo della rivista “Cinema” Il cinema quindi, e in esso Cine- asportabile non c’era più: prima diretta da Vittorio Mussolini. città, insieme alle altre istituzioni per il trasferimento a Venezia, du- Negli anni in cui il cinema si affer- come l’Istituto Luce e il Centro rante la Repubblica di Salò, delle ma come la principale forma di Sperimentale di Cinematogra- attrezzature necessarie per il suo intrattenimento e di costruzione fia, fu per certi versi espressione effimero “Cinevillaggio”, poi per di un immaginario, personale e del fallimento di una politica i prelevamenti dei tedeschi che collettivo, Cinecittà rappresenta del consenso che mirava alla co- trasferirono molto altro materia- una brillante traduzione italiana struzione di un “italiano nuovo” le in Germania, infine per i sac- degli Studios hollywoodiani: sta- mussoliniano: questo complesso cheggi e gli incendi che accompa- Elsa Martinelli (al centro): l’attrice scomparsa a luglio di quest’anno, appare qui in una foto del 1960 scattata a Cinecittà sul set del film Il sangue e la rosa con Roger Vadim, regista della pellicola, e Annette Stroyberg, una delle interpreti.

[ Foto dell’Archivio Luce. ]

gnarono il passaggio del fronte. I studi di Cinecittà e l’emanazione profughi, particolarmente quelli nel 1949 di due leggi (la 448 e la provenienti dall’Istria e dalla 958) che pongono le condizioni Dalmazia, erano stati sistemati affinché i produttori americani alla meno peggio nei fabbricati di trovino conveniente produrre Cinecittà, cosa che rendeva l’atti- kolossal nel nostro Paese. vità cinematografica impossibile. Il primo film del dopoguerra gi- Nel dibattito politico dell’epoca, rato a Cinecittà è Cuore, da De varie voci si levarono, conside- Amicis, di Duilio Coletti (1948), rando sia Cinecittà che l’Istituto ma già l’anno successivo arrivano Luce dei residui del fascismo da gli americani con Il principe delle eliminare al più presto; prevalse volpi di Henry King, ambientato invece l’idea di una loro trasfor- nell’Italia del Medioevo. Comin- mazione, mantenendone l’in- cia così la “Hollywood sul Te- dirizzo pubblico, un’idea pro- vere”. A Cinecittà saranno girati veniente soprattutto da Giulio fra gli altri Quo Vadis?, di Mervyn Andreotti, sottosegretario alla LeRoy (1951), Vacanze romane presidenza del Consiglio in tutti di William Wyler (1953) e Ben i governi De Gasperi. L’opera- Hur dello stesso regista (1958), zione comportò lo spostamento Cleopatra (1963) di Joseph L. dei profughi giuliano-dalma- Mankiewicz. Registi, attori, tec- ti nell’ex villaggio operaio che nici americani a spasso per Roma era servito per la costruzione e dintorni, fra alberghi, locali da dell’Eur, la risistemazione degli ballo, ristoranti, paparazzi e gos- SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 10 - 11

sip: una americanizzazione della quotidianità prodotta da questa temporanea immigrazione crea- tiva che ha modificato definitiva- mente il volto della città e ha con- tribuito all’affermazione in Italia del modello di vita americano. Negli stessi anni Cinecittà ospita anche una grande stagione pro- duttiva del cinema italiano, che si svolge prevalentemente a Roma, ma si avvale anche di altri stabi- limenti (De Paolis, Safa Palatino, Dinocittà, Elios-Titanus), gene- ralmente legati ad alcuni produt- tori e oggi scomparsi o trasformati in studi per la televisione. Si deter- mina quasi una polarità: mentre gli americani preferiscono girare a Cinecittà, o Dinocittà (il cui nome la dice lunga sulla concorrenza in atto), i produttori importanti preferiscono collocare nei propri studi le produzioni dei loro regi- Gassman nel ruolo di se stessi), stanno chiudendo, gli Anni ‘70 e sti più significativi. Un esempio: ma il film è una produzione De ‘80 vedranno a Cinecittà Luchi- in Una vita difficile di Dino Risi Laurentis ed è realizzato negli sta- no Visconti, , (1961) una famosa scena è girata bilimenti della casa. Cinecittà è Pier Paolo Pasolini, Sergio Leo- a Cinecittà (con Alessandro Bla- qui una delle location della Roma ne. Poi, nella seconda metà degli setti, Silvana Mangano e Vittorio pittoresca, in cui si gira un peplum Anni ‘80 qualcosa si appanna biblico fra centurioni e apostoli, definitivamente: mentre la tele- che consumano in un sottopas- visione letteralmente divora gli saggio-catacomba il loro cestino spazi del cinema – nei luoghi fi- per il pranzo. sici come nell’immaginario degli Vi sono però rilevanti eccezio- spettatori - il tempo di Cinecittà ni e la più importante si chiama sembra rallentare fin quasi ad Federico Fellini. Il suo modo di arrestarsi. Da questa crisi uscirà creare e di lavorare con gli attori lentamente e con una dolorosa ha sempre trovato negli ambienti amputazione: i vasti spazi, un e nelle maestranze di Cinecittà tempo destinati agli esterni, che una forte consonanza. Amava, lo diventano il Centro Commerciale sappiamo, girare negli Studi, o in Cinecittà Due. Gli Studios sono esterni diversi da quelli originali, ormai in mezzo alla città: la vec- a costo di trovarsi il sole contro- chia tramvia viene sostituita dalla mano perché era il Tirreno e non metropolitana, la Via Tuscolana l’Adriatico (Amarcord). Il grande è un’arteria a scorrimento veloce artigianato scenografico di Cine- che penalizza il vecchio portale città si sentiva ingaggiato, sfidato d’ingresso, sempre più pedonale. dalla costruzione di questo mon- Affacciandosi da ogni lato si do parallelo, qualcosa di più di vedono, oltre il muro di cinta, un set. Per La dolce vita (1960) fu casermoni moderni: quasi un as- ricostruito il percorso di Via Ve- sedio. Ma questa è ormai storia neto, con un’unica significativa recente, mentre legioni di turisti differenza rispetto all’originale (e e intere scolaresche percorrono non lontana) strada del centro di i viali di “Cinecittà si mostra”, di- Roma: il set è in piano, non in sali- ventata esposizione permanente. ta come nella realtà. Fellini è il re- Adesso una comparsa vestita da gista italiano che si è avvalso con centurione romano è difficile tro- maggiore continuità di Cinecittà e varla: per quelle bisogna andare che più ha contribuito al suo mito. al Colosseo, dove non mancano, Per quest’aura che ormai circonda per i selfie dei turisti con lo smar- Cinecittà, ma anche per la minore tphone. disponibilità di altri Studios che UN ALTRO COLOSSEO di SARA MARTIN

Cinecittà: il progetto architettonico originale di Gino Peresutti.

1 SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 12 - 13

Cinecittà nasce a New York nel 1928. O perlomeno, in 1 Disegno 1 “ quell’anno e nella metropoli americana nasce l’idea di Veduta prospettica dell’ufficio della quella che sarà poi Cinecittà: un complesso di stabili- direzione. L’edificio presenta uno menti e teatri di posa progettati non soltanto per ospita- stile razionalista rigoroso e monu- re la produzione di film ma anche per rappresentare e incarnare l’idea mentale. Il blocco centrale, con uffici stessa del cinema, per farsi interprete delle sue moderne esigenze in- di rappresentanza, è disposto su due dustriali e per diventare il polo centrale di tutta l’attività cinematogra- piani, al piano terra sono previsti gli 1 fica nazionale ”. Nel 1928 Luigi Freddi, in seguito a un lungo soggiorno uffici di segreteria. a Hollywood dove conosce alcuni fra i più importanti protagonisti dell’industria cinematografica americana, inizia a convincersi che, Disegno 2 per essere concorrenziale, una cinematografia ha bisogno di un luo- 2 Veduta prospettica del progetto per go comune, di un punto d’incontro in cui si coalizzino tutte le com- l’ingresso principale agli studi di Ci- petenze, dalla scrittura del soggetto alla produzione vera e propria. Il necittà. Da notarsi, in alto a sinistra governo fascista lo appoggia e lo sostiene e nel 1934 lo nomina Diret- della facciata dell’edificio, le decora- tore Generale della Cinematografia. Da quel momento Freddi è tra i zioni che richiamano lo stile liberty massimi artefici della nascita dei luoghi-simbolo del cinema e uno dei previste in fase preliminare dall’archi- responsabili del cospicuo apporto da parte del Regime all’intera filie- tetto Gino Peressutti. ra cinematografica. Si lavora alla riorganizzazione dell’industria per poco meno di un anno; poi, il 25 settembre 1935, vanno a fuoco i più grandi e importanti teatri di posa d’Italia, gli stabilimenti della Cines in via Veio che, oltre a non essere più adeguati alle necessità della nuova 1. Franco Montini, Enzo Natta, Una produzione nazionale, erano destinati a dover presto sparire per ra- poltrona per due. Cinecittà tra pubblico gioni imposte dal piano regolatore dato che, sorgendo nel cuore della e privato, Torino, Effatà Editrice, città, occupavano un suolo attraente per ragioni speculative. “È”, dice 2007, p.11

2 3 SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 14 - 15

Freddi, “l’inizio della storia di Cinecittà. Perché, come la mitologica funzionale, riflette completamente il disegno mussoliniano di fare del Araba Fenice, la nuova città cinematografica, […] è nata dalle fiamme, territorio lo specchio dell’organizzazione del regime. è sorta dalle ceneri della vecchia Cines, in quella notte memorabile e Gino Peressutti, consapevole delle esigenze tecniche e politiche di dolorosa ma anche […] feconda2”. Una disgrazia quantomeno prov- questo imponente progetto, disegna gli edifici degli stabilimenti dando videnziale. Infatti se non ci sono sufficienti dati per provare qualche loro una precisa disposizione logico funzionale. La maggior parte del forma di responsabilità per il disastroso incendio, si può tuttavia af- complesso fa chiaro riferimento all’architettura razionalista; lo stile è fermare che, data la velocità con cui vengono costruiti gli stabilimenti particolarmente evidente nei fabbricati posti vicino all’ingresso prin- del Quadraro, e la tempestività con cui l’architetto incaricato alla pro- cipale, caratterizzati da forme geometriche semplici e lineari, anche se gettazione, Gino Peressutti, presenta le tavole (le prime sono datate si notano (disegno 2) - nella veduta prospettica della prima versione novembre 1935, a meno di due mesi dall’incendio della Cines), l’idea, dell’ingresso principale - dei motivi decorativi in facciata, un richiamo al le persone coinvolte e le coordinate del progetto per la costruzione dei liberty, sposato dall’architetto nella prima fase della sua carriera. nuovi stabilimenti, dovevano aver preso vita ben prima del 25 settem- La parte dei teatri di posa, invece, considerata il fulcro degli stabili- bre 1935. Speculazioni edilizie, espropri e passaggi di proprietà porta- menti, è caratterizzata da un’architettura più semplice e pratica, com- no, in qualche mese, a concludere l’affare sui terreni del Quadraro e a pletamente funzionale alla destinazione d’uso, vero e proprio tratto predisporre il rito della posa della prima pietra dei nuovi stabilimenti, caratterizzante del progetto. Per la disposizione dei corpi di fabbrica fissato per il 29 gennaio 1936. A soli quattordici mesi dall’inizio dei la- Gino Peressutti ha fatto riferimento a un preciso criterio, che consiste vori, il 28 aprile 1937 viene inaugurata ufficialmente la Città del Cine- nel collocare i singoli volumi in base al loro rapporto più o meno diret- ma. “Il capo del governo ha inaugurato i nuovi stabilimenti, luminosa to con gli studi di posa. affermazione dell’architettura e della tecnica italiana3”, commenta lo Lo studio planimetrico è stato affrontato in funzione delle condizio- speaker del cinegiornale Luce mentre scorrono le immagini della visi- ni climatiche di Roma, che permettono di realizzare una buona parte ta da parte del Duce all’interno dei teatri di posa, alcuni già in azione. delle riprese all’aperto. Peressutti si propone di rispondere, attraverso C’è naturalmente molta messa in scena per il giorno inaugurale, ma il suo progetto, a tre caratteri fondamentali: ciò non toglie che Cinecittà, fin dai suoi primi mesi di vita, sia in grado 1- organicità della disposizione planimetrica in rapporto alle esigenze di far uscire dai suoi studi un numero esponenzialmente crescente di tecniche e industriali; titoli. Il progettista degli stabilimenti, Gino Peressutti, nasce nel 1883 a 2 - rapidità di organizzazione del lavoro al costo del film e alla sua per- Gemona del Friuli, lavora dapprima presso l’impresa edile del conter- fezione tecnica ed artistica; raneo Giambattista Della Marina e trascorre poi un periodo a Vienna, 3 - raggiungimento delle migliori condizioni acustiche. dove subisce l’influenza dello stile liberty grazie alla frequentazione dell’architetto Raimondo D’Aronco. Tra il 1904 e il 1905 inizia la sua carriera padovana progettando il Pensionato Universitario Antonia- num, su commissione dei Padri Gesuiti. Le motivazioni per cui questo giovane e sconosciuto progettista ottiene un incarico di tale levatura vanno trovate nel ruolo fondamentale che ricopre, nella Padova di ini- zio Novecento, l’impresario Della Marina, che negli anni precedenti aveva costruito l’ampliamento del Seminario di Udine e quello della villeggiatura di Cividale (lavori a cui partecipa anche Peressutti), su incarico dell’allora rettore mons. Luigi Pellizzo, che viene nominato vescovo di Padova nel maggio del 1907. È facile intuire le connessio- ni professionali tra vescovo, impresario e architetto. Peressutti riceve negli Anni ‘20 e ‘30, incarichi di grande rilevanza a Padova e, a partire 3 Disegno 3 dal 1935, si trasferisce a Roma, impegnato nell’ideazione della sua ope- Planimetria degli stabilimenti di ra più importante, Cinecittà. L’attività dell’architetto non perde mai il Cinecittà con didascalie originali. legame con l’attività pastorale di Luigi Pellizzo che, dal 1923, lasciato Roma, 1937 I teatri sono disposti la- il vescovado di Padova, diventa segretario economo della Fabbrica di teralmente all’asse centrale, tranne il San Pietro in Città del Vaticano. Peressutti è un architetto di prim’ordi- teatro 5 che si trova sull’asse e sono ne, ma l’elemento su cui è ancora difficile far luce è la motivazione che strutturati invece a gruppi di due tea- induce Luigi Freddi e l’on. Carlo Roncoroni ad affidare un progetto di tri coordinati. tale richiamo mediatico a un professionista così lontano dal dibatti- to sull’architettura che gravita intorno all’ambiente romano da più di un decennio. Se da una parte è lecito immaginare un ruolo centrale da parte della curia, per le ragioni appena viste non è da escludersi anche 2. Luigi Freddi, Il Cinema. Miti espe- l’ipotesi della scelta di un professionista defilato, mai implicato nelle rienze e realtà di un regime totalitario, polemiche dell’epoca legate ai movimenti e ai progetti realizzati dai 2 vol. Roma, L’Arnia, 1949. Il volume protagonisti del razionalismo: dati i tempi brevi con cui si volevano è stato pubblicato in una seconda realizzare gli stabilimenti cinematografici, Freddi e Roncoroni potreb- edizione dal Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1994; è stato utiliz- bero aver deciso di coinvolgere un architetto che garantisse un risul- zato quest’ultimo come riferimento tato inappuntabile. bibliografico: Luigi Freddi, Il Cinema. È indubitabile che gli stabilimenti nascano guardando al modello de- Il governo dell’immagine, (riedizione gli Studios americani, ma è anche vero che un centro pienamente au- parziale) Roma, Gremese, 1994, p. 261. tosufficiente e concepito come città a sé, fisicamente separato dalle altre aree urbane, e con una propria logica di sviluppo urbanistico e 3. Giornale Luce B1087, 5 maggio 1937, Mussolini inaugura Cinecittà. Per raggiungere tali obiettivi, è fondamentale lo studio della disposi- centro nodale degli stabilimenti: 1 - gruppi di edifici destinati ai servizi zione degli studi di presa nel loro insieme e rispetto ai fondali, ai ca- generali, attorno al piazzale d’entrata; 2 - gruppo studi di presa; 3 - grup- merini degli artisti, agli impianti tecnici e all’edificio delle comparse, po centrale di edifici destinati agli studi di presa lungo l’asse generale di tenendo nel massimo conto la possibilità di impiegare questi edifici di simmetria; 4 - gruppo di edifici adibiti a funzioni tecnologiche speciali, servizio simultaneamente per produzioni distinte. parallelamente all’asse generale e a sinistra di esso; 5 - gruppo di edifici La soluzione di tale problema è la caratteristica principale del progetto destinati a servizi fono cinetici, industriali ed accessori, disposti paralle- di Cinecittà che, pur mantenendo raggruppati in un complesso organi- lamente all’asse generale e a destra di esso; 6 - gruppi di edifici di ingres- co e logico i vari teatri di posa, ne permette la massima articolazione e so, di controllo, di laboratori e officine di carattere generale, disposti scindibilità, mantenendoli singolarmente in immediato contatto con lungo la via di Torre Spaccata. tutti i servizi necessari (disegno 4). L’architetto (disegno 3), suddivi- Rispetto a tanti altri esempi di architettura industriale, questo comples- de dunque i corpi di fabbrica in sei gruppi, che corrispondono alle ri- so ha l’indubbio vantaggio di non aver subìto nel tempo stravolgimenti spettive destinazioni d’uso degli edifici in rapporto con i teatri di posa, strutturali tali da comprometterne l’aspetto originario. E per diverse

4 Disegno 4 5 Disegno 5 Sezione prospettica di uno studio di presa. Lo spaccato mette in evidenza Veduta prospettica del progetto per la torretta serbatoio. La costruzio- sia la struttura reticolare del teatro che i collegamenti previsti con gli altri ne è un chiaro esempio di razionalismo industriale e ha sia una funzio- edifici (camerini, depositi, sartorie, allestimenti scenografici) ne tecnico-strumentale che una funzione artistica per le riprese aeree.

4 SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 16 - 17

ragioni, non ultime la sua attivi- tà produttiva e la presenza delle 5 mura perimetrali che, di fatto, l’hanno protetta dall’esplosione urbanistica e dall’edificazione selvaggia, Cinecittà oggi può es- sere considerata un esempio qua- si incontaminato di architettura industriale razionalista (disegno 1 e disegno 5), un luogo che tro- va senso e specificità nella piena rispondenza tra efficacia estetica ed efficienza pratica: varcando i cancelli di Via Tuscolana, infatti, è ancora possibile percepire quel senso di rigore, ordine, semplifi- cazione e funzionalità degli edifici singoli e dell’insieme che erano alla base del progetto originario. Più precisamente gli stabilimenti indicano un tipo particolare di ra- zionalismo, meno conosciuto di quello monumentale che caratte- rizza tanti edifici dell’Eur, eppure ugualmente significativo perché, data la destinazione produttiva del complesso, qui forse più che altrove è visibile la concreta ri- spondenza tra aspetto formale e funzionalità.

Lo sforzo nella costruzione di un’industria cinematografica nazionale da parte del governo fascista assieme al valore dato alla disciplina architettonica nel Ventennio, e la forte volontà di eguagliare il successo del mo- dello produttivo hollywoodiano, hanno dato Cinecittà come risul- tato, un’opera unica e funzionale da ogni punto di vista. Un luogo, ancora vivo, di quella che in un futuro lontano potrà divenire, per usare le parole di Cosulich, “un al- tro Colosseo, memoria collettiva”4 del nostro cinema.

4. Callisto Cosulich in, Franco Ma- riotti (a cura di), Cinecittà tra cronaca e storia, 1937-1989, Vol 1, Le vicende, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informa- zione e l’editoria, 1990, p. 178. LA CITTÀ DELLE ILLUSIONI di MARCO SPAGNOLI SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 18 - 19

Da Ben Hur al recente Zoolander 2, passando per Gangs of New York, tutti gli stranieri transitati per gli Studi romani. E, come diceva , “Cinecittà è – come Hollywood – un luogo dove puoi fare qualsiasi cosa e farla bene”.

in dal giorno della sua fondazione, il 28 aprile 1937, Cine- La fine dello Studio System e la sua crisi che durerà - con alterne vicen- S città ha attirato immediatamente l’attenzione dei registi de - fino agli Anni ’80 farà sì che il cinema internazionale e la presenza e dei produttori di tutto il mondo. di stranieri in Italia ed in Europa non sia più vincolato alle scelte degli Lavorare in studi attrezzati, circondati da un clima me- executive di Hollywood. Il disastro finanziario di Cleopatra (1963), che diterraneo e da una città accogliente e comoda, era qualcosa di asso- riesce quasi a far andare in bancarotta la 20th Century Fox, può essere lutamente nuovo nel pur giovane mondo del cinema internazionale. considerato come la fine dell’età dell’oro del cinema americano. Il fol- Un modello produttivo ed una serie di circostanze logistico- climati- le amore di Richard Burton ed Elizabeth Taylor, le orde di paparazzi, i che, paragonabili solo al modello californiano degli studi hollywoo- titoli a caratteri cubitali sulle riviste di tutto il mondo, costituiscono i diani, nella città dove i giorni di pioggia si contano sulle dita delle mani primi bagliori di quella globalizzazione mediatica di là da venire. e dove la luce è abbastanza uniforme nel corso delle settimane. E dire che quel film non si sarebbe dovuto girare a Roma, ma ai Pi- Cinecittà, quindi, si propone sin dal suo esordio come un unicum stra- newood Studios di Londra, dove piogge torrenziali e una broncopol- ordinario, popolato di grandi professionisti e circondato dalla bellez- monite quasi fatale alla Taylor, obbligarono lo spostamento del set in za di Roma e della sua provincia. direzione Sud. Lasciati senza contratto dagli Studios al collasso, molti Se, però, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale gli studi lungo attori ed attrici frequentano assiduamente il cinema europeo pur di la via Tuscolana sono appannaggio pressoché esclusivo del cinema continuare a lavorare: Marlene Dietrich, Vincent Price, Stan Laurel e italiano, a dispetto dei tentativi di Vittorio Mussolini di fondare una Oliver Hardy, Buster Keaton sono tra questi, ma il fenomeno è talmen- casa di produzione con Hal Roach, produttore di Stanlio & Ollio e di te vasto che nel 1962 il regista Vincente Minnelli realizza, proprio a Ci- realizzare delle coproduzioni, è nei primissimi Anni ’50 che Cinecittà necittà, Due settimane in un’altra città tratto dal romanzo di Irwin Shaw, diventa una delle capitali del cinema internazionale. che racconta e celebra drammaticamente la vita in Italia da “expats” Quo Vadis (1951) di Mervyn LeRoy con Robert Taylor, Deborah Kerr e per registi e attori americani lontani da casa ed interpretati da Edward Peter Ustinov; Vacanze romane (1953) di William Wyler con Gregory G. Robinson, Kirk Douglas, Cyd Charisse e George Hamilton. Peck, Audrey Hepburn e Eddie Albert; Ulisse (1954) di Mario Cameri- Se negli Anni ‘70 e ‘80 le produzioni internazionali a Cinecittà inizie- ni con Kirk Douglas, Anthony Quinn e Silvana Mangano prodotto da ranno a diradarsi, l’interesse per gli Studi a livello mondiale conti- Dino De Laurentiis e Carlo Ponti; La contessa scalza (1954) di Joseph L. nuerà senza sosta realizzando fino ad oggi – nel corso degli anni – oltre Mankiewicz con Ava Gardner e Humphrey Bogart; Guerra e Pace (1954) 3.000 film tra italiani e stranieri. Questo anche grazie al fatto che un si- di King Vidor con Audrey Hepburn, Henry Fonda, Mel Ferrer, Anita stema di incentivi importante è riuscito ad attirare diverse produzioni Ekberg e – soprattutto – Ben Hur (1959) di William Wyler con Charl- nel corso del tempo: Il nome della rosa (1986) di Jean Jacques Annaud ton Heston segnano la nascita della cosiddetta Hollywood sul Tevere, con Sean Connery, Le avventure del Barone di Munchausen (1988) di facendo di Roma un punto di incontro di tutti i cineasti internazionali Terry Gilliam, Daylight (1996) con Sylvester Stallone, fino ad arrivare che nella città eterna sviluppano collaborazioni, amicizie, amori, ran- ai più recenti Gangs of New York (2002) di Martin Scorsese, La passione cori ed invidie. Tutti ingredienti – evidentemente - fondamentali per di Cristo (2004) di Mel Gibson, Nine di Rob Marshall (2009) e Zoolan- fare un grande cinema e per raccontare storie adatte ad un’epoca nuo- der 2 (2016) di Ben Stiller. Tutti i protagonisti del cinema mondiale va come quella del dopoguerra. hanno lavorato o almeno visitato Cinecittà, e molti altri arriveranno In quel momento, come suggerirà oltre un decennio dopo lo scrittore a trasformare i loro sogni e le loro idee in film, perché – come ha os- Gore Vidal in Roma di Federico Fellini, la Capitale italiana è il luogo servato Francis Ford Coppola – “Cinecittà è – come Hollywood – un dove tutti vogliono venire a stare e lavorare, perché è “la città delle il- luogo dove puoi fare qualsiasi cosa e farla bene”. Una consapevolezza lusioni”; l’unica al mondo dove la politica, la Chiesa e il cinema convi- che unisce tutti i registi che hanno avuto il piacere e l’onore di girare vono (abbastanza) pacificamente. negli Studi a Roma: da Jean Renoir fino ad arrivare a Danny Boyle. IL PROFESSORE E IL MAESTRO A PASSEGGIO PER I VIALI SERGIO RUBINI, di STEFANO STEFANUTTO ROSA che ha incontrato per la prima volta Federico Fellini nel 1982 ed è stato poi il suo alter ego in Intervista, ricorda la vita del cineasta di Rimini nella fabbrica dei sogni.

Quando il critico e scrittore Pietro Citati andava a Cine- “ città a trovare l’amico Fellini, ricordo che li seguivo come uno scolaretto mentre il Professore e il Maestro, così si chiamavano tra loro, camminavano per i viali dei teatri di posa. Federico passeggiava per Cinecittà come fosse un paese, com- mentando la bellezza dei pini: sa, Professore, ho suggerito di mettere delle panchine nei viali, così si può stare comodi”. Per il regista e attore Sergio Rubini l’immagine della fabbrica dei so- gni è indissolubilmente legata proprio a un sogno che si realizza con Fellini. Partito giovane da Grumo Appula, “allora quel lontanissimo Sud”, con l’iniziale aspirazione di fare teatro nella Capitale, Rubini non termina l’Accademia Silvio D’Amico e giovanissimo “casca nel cine- ma quasi naturalmente”, ritrovandosi subito protagonista di Figlio mio, infinitamente caro… di Valentino Orsini. SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 20 - 21

È per Fellini che entra per la prima volta negli studi di via Tuscolana? un cimitero realizzato all’aperto nello spazio oggi occupato dal Probabilmente no. Quando nell’82 centro commerciale. Giravamo lo incontrai nel suo ufficetto al Tea- Pensando alla Cinecittà di di notte, in estate; era una situa- tro 5 mi disse gentile che non aveva quel periodo che cosa le viene zione piacevole, seduti al fresco ruoli per me in E la nave va, se non subito in mente? aspettavamo le riprese. C’era an- quello di un marinaretto. Si compli- che una pista di 100 metri, dove ci per molti anni e lo ha esportato mentò per le fotografie, sostenen- Sul set di Intervista c’era un mon- divertivamo a gareggiare durante nel mondo. Un laboratorio da cui do che ci assomigliavo, a differenza do, ormai scomparso, di com- le pause. Ricordo che mangiava- sono usciti manufatti artigiana- dei tanti attori da lui incontrati: ‘Lei parse e capi comparse che ruo- mo nel camerino di Gassman e li, realizzati da artisti diversi che è tale e quale alle sue foto’. Pensai tavano intorno a Fellini, che il Citti ci parlava di Pasolini. hanno utilizzato le maestranze e che mi stesse prendendo in giro mattino aspettavano i registi per le tecnologie messe a disposizio- e poi sulla soglia mi salutò: ‘Co- poter lavorare, personaggi molto E poi ha girato, nel ruolo del ne. È il cinema che abbiamo fatto munque, signor Rubini, un giorno folkloristici con la loro romanità, madonnaro, Che strano chia- noi, che ha fatto . io e lei lavoreremo insieme’. La a noi noti attraverso il cinema. marsi Federico di Ettore Scola. Cinema che purtroppo non rea- trovai un’affermazione abbastan- ‘Chiodo’ era un capo comparsa lizziamo più. za spericolata, una presa in giro. con baffoni alla messicana, che la Ci incontrammo al Bif&st, di cui mattina aspettava sempre l’arrivo era presidente, e Ettore mi propo- Vede un futuro per questi tea- Quattro anni dopo, nel 1987, di Fellini. ‘Chiodino non posso se il ruolo del narratore nel film. tri di posa? Fellini inaspettatamente la farti lavorare in un film Anni ’40, Poi pensò al personaggio del ma- chiamò, senza alcun provino, che c’entri?’, gli rispondeva Fede- donnaro. Fellini era una persona Con grande dispiacere di Fellini, per Intervista. rico. In quell’ufficetto del Teatro insonne e, quando ancora guida- il futuro, o meglio il presente del 5, dove il Maestro a volte mangia- va, coinvolgeva alcuni amici, tra cinema, è la televisione. Questa Subito gli ricordai che cosa mi va, c’erano due linee telefoniche. cui Scola, a vagabondare in auto nuova televisione che si affer- aveva detto. ‘Ma allora sono un Un giorno la segretaria gli chiese la notte. Una volta si soffermaro- ma, soprattutto quella delle serie mago’, rispose. Ero andato a Ci- con chi volesse parlare perché no su un madonnaro incontrato tv, è rivolta a un pubblico che ha necittà un po’ come lui raccon- su una c’era Woody Allen o un per caso in quei giri notturni, e voglia di starsene a casa con tutti tò in Intervista, dove interpreto suo agente americano e sull’al- s’interrogarono sulla differenza i comfort, e non ha voglia di fre- Fellini che negli Anni ’40 entra tra Chiodo. ‘Passami Chiodino’, tra il loro essere artisti e lui che quentare la sala cinematografica. negli Studios per intervistare una rispose deciso, a conferma che si definiva tale. Ho lavorato nello Il futuro è allora lo schermo te- giovane diva. E quando arrivo al quel mondo di Cinecittà aveva stesso teatro di posa, ma diverso, levisivo che ognuno può gestire cancello d’ingresso il guardiano per Fellini la precedenza su tutto. sempre usato da Fellini, per un come vuole a casa. Gli Studi di subito mi chiede: ‘Ma tu come te film in parte fatto di immagini di via Tuscolana possono avere un chiami?’ e io rispondo ‘Rubini’. È Intervista è un film profetico repertorio, nella sua forma quasi futuro se l’Italia decide di met- strano impersonare Fellini con sul futuro di Cinecittà. irreale, evanescente: un vero ri- tersi al passo con il modello di il mio cognome, in fondo metto cordo. Alla fine ho avuto la forte televisione che ci arriva dai Paesi in scena il me stesso di qualche Ci sono le paure di Federico su sensazione del tempo trascorso, anglosassoni e dal Nord Europa. anno prima, quando mi ero affac- ciò che la televisione avrebbe fat- del modificarsi delle cose, ma Se questo passaggio non avverrà, ciato agli Studios. Non dimenti- to di quel luogo, privandolo della è stato anche piacevole girarlo, i teatri di posa ospiteranno solo chiamo che Rubini è poi il cogno- sua storia autentica. Quando ne- perché c’era una ragione della quel genere di show televisivo me del giornalista/Mastroianni gli anni successivi ho visto quei mia partecipazione. che peraltro è in crisi. È impor- de La dolce vita, nonché quello del teatri trasformati in studi televisi- tante avere progetti lungimiranti. proprietario del cinema Fulgor di vi, ho pensato alla chiaroveggen- Ricorda altri film che, come Rimini. C’è insomma una piccola za di Fellini. Intervista, restituiscono allo trama. spettatore l’anima di Cinecittà? Per quali altri film ricorda di aver lavorato nei teatri di posa Preferisco pensare ai tanti film di via Tuscolana? girati negli Studios che sono por- tatori di fattura e qualità, frutto di Ho girato dei rifacimenti de Il una bottega che ha fatto cinema viaggio della sposa, ricostruendo la scena nella grotta con il sotto- scritto e Giovanna Mezzogiorno. E poi Mortacci di Sergio Citti, con di LAURA DELLI COLLI

Registi, attori, scenografi, costumisti… ricordano con stupore la loro prima volta e il legame profondo con la città del cinema. Da Carlo Verdone bambino a Sabrina Impacciatore, che soffre di mal di Cinecittà come fosse mal d’Africa. E Monica Vitti scherzava: “Una città magica, dove entri col copione ed esci con la pizza”. SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 22 - 23

n centurione che attraversa la Tuscolana in Lambretta. I U viali con l’asfalto gonfiato dalle radici dei pini millenari affollati da antichi romani con l’elmo e il “cestino” del pranzo sulle ginocchia, poi la fabbrica dei “gessi” dove “autentiche” copie di statue di ogni epoca convivono con le riprodu- zioni degli Oscar® destinate a qualche mostra importante. Il Teatro 5 Cinecittà? È il nome e la piscina, il set di Gangs of New York e l’antica Roma della tv… E loro, i veri “padroni di casa”, piccoli e grandi tecnici e artigiani che hanno del cinema italiano scritto la storia del cinema italiano sui titoli di coda di migliaia di film.

“Benvenuti a Cinecittà” dice che condivide sogni e nel mondo… progetti, ma soprattutto il grande spazio del suo studio, con France- sca Lo Schiavo. “Per me casa, studio, laboratorio soprattutto: è come mia madre”. Aveva solo 17 anni quando varcò per la prima volta l’in- Alfredo Bini gresso di via Tuscolana: “Da allora, sempre qui, in questo stesso stu- dio, ‘mio’ ormai da quarant’anni, da quando si chiamava solo attrez- zeria…”. “A Cinecittà sono entrato ragazzino per fare la comparsa” raccontava Alberto Sordi. “C’era la fame e cercavamo di fare le comparse. Poi Di Premio Oscar® in Premio Oscar® anche Vittorio Storaro, che ci sceglievano all’ingresso come in una conta: “Gallo, Romano…Gal- usa le stesse parole quando ne parla: “Non solo è una madre, ma ormai lo, Romano…”. E le schiere degli eserciti, allora che non c’era il pro- per molti anche una nonna, magari chissà anche una bisnonna... Ma gramma di un computer a moltiplicare le “teste” in campo, passavano sempre la città del cinema. Un luogo mitico che ha lasciato il segno all’attrezzeria per i costumi, sperando che non suonasse l’allarme per su tutti gli schermi cinematografici del mondo”. “Una seconda casa”, correre al rifugio antiaereo. Un ricordo lontano, ma come dice Sto- come dice sempre con affetto Stefania Sandrelli? O forse “una bella raro: “Tutti abbiamo in mente la prima immagine in cui l’abbiamo fortezza”, come diceva Marcello Mastroianni immaginandola come vista. Ricordo la mia prima volta come se avessi varcato la soglia che “un luogo protetto dove possano nascere fiabe amare, dolci o diver- delimita il mondo reale da quello della fantasia. È stato l’inizio di una tenti mentre fuori c’è l’inferno”? vera e propria presa di coscienza. La certezza di potermi esprimere nel cinema”. Comunque un luogo speciale, vissuto con un senso di nostalgia, certo, ma anche di appartenenza che ne ha trasformato nel tempo l’etichetta Per tutti c’è Cinecittà in un primo ricordo: Sergio Leone, per esem- in un brand internazionale ma soprattutto in quella “fabbrica di so- pio, raccontava che la prima volta a Cinecittà era entrato appena a 13 gni” che così hanno amato più di tanti altri Fellini, Scola, Monicelli anni per mano a suo padre, il regista Roberto Roberti, e gli era sfuggito e Pupi Avati, che ne ha anche guidato l’impresa. E nell’impresa non per spiare la giovanissima Carla Del Poggio e scoprire se davvero Bla- ci sono solo attori e registi: Maria Grazia Barbera, costumista, per setti aveva gli stivali. E Mario Monicelli? Ventenne sul set di Scipione esempio ricorda l’emozione del set di Sangue pazzo di Marco Tullio l’Africano, un colpo di fulmine per il cinema di fronte a quelle scene Giordana. Ma anche Storia di Piera di Marco Ferreri dove lavorava girate da Carmine Gallone mentre sul set c’era in visita proprio Musso- da assistente costumista: “Ho conservato un ritaglio di giornale con lini. “Tutti i capitoli della mia vita sono scanditi da immagini di Cine- una foto in cui c’eravamo Mastroianni - in vestaglia - ed io. La didasca- città negli anni” racconta Ricky Tognazzi allora ragazzino, attore ma lia diceva “Marcello Mastroianni per le strade di Roma osservato da ancora “figlio” di Ugo, poi autonomamente regista, da più grande. “Le una passante”. Buffo, no? In realtà era un nostro scatto rubato tra i viali prime volte da bambino, con mio padre, quando passavo i pomeriggi a di Cinecittà… Ma a Cinecittà poteva davvero succedere tutto. Ancora staccare pinoli tra quei viali, a guardare gli scenografi che spostavano la Barbera: “Di quegli studi mi ricordo la comodità del nostro del lavo- grandi statue, poi i corridoi interminabili dei camerini e le mani nere ro, certo, c’era da camminare ma avevamo tutto lì: sartoria, camerini, e impiastricciate di resina dopo aver giocato… a pensarci ritrovo su- teatro di posa, mentre oggi siamo sempre in giro sui camion. Viveva- bito il senso dell’amore che continua a legare generazioni diverse ai mo in una cittadella del cinema, ci ritrovavamo al bar a parlare con gli Teatri di posa ormai vicini agli 80 anni. A Cinecittà ho debuttato come amici dei film che stavamo facendo, era una maniera molto più umana regista, ho girato lì anche la mia opera prima, Piccoli equivoci, con Ca- di lavorare, c’era un’atmosfera che oggi dovremmo ritrovare…”. stellitto, Nancy Brilli, Lina Sastri, con le pause pranzo che passavamo usando la cucina sul set ed Ettore che veniva a trovarci. Come scordar- Com’è cambiata a un certo punto negli anni lo abbiamo vissuto sotto si poi del Teatro 5, e del grande appartamento di Scola dove io, durante gli occhi: teatri storici diventati studi televisivi in una mutazione che le riprese de La famiglia, circolavo vestito da Paolino? Ero il figlio di ha visto generazioni più tecnologiche prendere il posto del ruvido po- Vittorio Gassman, un ruolo che mi faceva un po’ impressione ma per polo del cinema, quello che chiama le luci sempre “bruti” e “padelle” me resta un motivo di grande orgoglio”. e non va molto d’accordo con le paillettes della tv. Una piccola rivolu- zione vissuta a tratti come un’indebita occupazione. Anche se tra i Te- Per Carlo Verdone l’incontro con Cinecittà è uno dei momenti più atri storici trovi protagonisti popolari e amati come Lino Banfi: “Beh, belli della sua infanzia. “Quando andavo a trovare papà al Centro Spe- posso dirlo con precisione: Cinecittà è casa mia da ventidue anni, un rimentale mi affidava ad un usciere che si chiamava Trimarco, e un posto in cui forse ho vissuto davvero molto di più che tra le mura del giorno gli chiese di portarmi a Cinecittà, un pianeta straordinario per mio ‘vero’ appartamento”, racconta divertito ricordando mille curio- un bambino. Mi fece tanto ridere vedere l’autorevolezza di un impe- sità fuori scena quando girava con Franco e Ciccio, divertito all’idea ratore romano che camminava mangiando un panino con la morta- che oggi qualcuno varchi quel mitico ingresso pagando un biglietto della e urlava, con un forte accento romanesco: ‘A che ora finisce ‘sta per vedere memorabilia di ieri ma anche per la curiosità di capire dov’è pausa?’. Iniziammo con l’entrare in un grande Teatro di posa: stavano la casa di “nonno Libero a Poggio Fiorito”. girando una sorta di Maciste o di Ercole, e la scena era che l’eroe, con la forza delle braccia, faceva crollare un tempio fatto ovviamente di car- tapesta. Ma un organizzatore mi vide e gridò: ‘Chi è quel bambino là in fondo?’. Tutti si girarono e io diventai rosso come un peperone dal- la vergogna. Trimarco gridò: ‘È il figlio del dottor Mario Verdone del Centro Sperimentale’. Ma il regista disse che sul set non ci potevano essere minori, così fummo cacciati via, costretti a uscire dal Teatro. Altro Studio sempre con Trimarco. Il film era di un altro genere e co- minciai a spiare da un angolino qualcosa del set

Ma anche qui l’urlo: ‘Minore nello studio, portatelo via!’. Fummo cac- ciati fuori ma ero molto affascinato dalle luci, dalla nebbiolina che si alzava dal Teatro, dalla gru dove era stata montata la cinepresa, dagli attori. Forse fu proprio da lì che mi venne voglia di chiedere a mio pa- dre, come regalo di Natale, un proiettore 8mm”. Fu l’inizio di una pas- sione, da quel giorno “un grande regalo della vita e sono orgoglioso di averci girato 12 film”.

Tra gli autori delle ultime generazioni Daniele Luchetti ricorda i suoi anni da studente: “è li che ho frequentato a inizio degli Anni ‘80 la scuola di cinema della Gaumont, un’esperienza fondante per una generazione di futuri produttori, registi, autori, attori, nata con Ren- zo Rossellini al Teatro 15 di Cinecittà, dove abbiamo imparato che il cinema è anche stare insieme. Eravamo increduli, sentivamo, cammi- nando per quei viali, un misto di Anni ‘30, ‘60, ‘70, ‘80 e passavamo le giornate a parlare di cinema”.

Per me è come una casa più grande, la casa delle vacanze…

Stefania Sandrelli SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 24 - 25

Un battesimo c’è stato, in fondo, per tutti. “Il primo ricordo che mi viene in mente pensando a Cinecittà - racconta Giuliana De Sio - è la scenografia di Torino sotto la neve, per Cuore di Comencini, dove io recitavo la maestrina dalla penna rossa. Poi ho girato Cattiva con Liz- zani e molte fiction provando sempre un’emozione fortissima, come quando ci ho messo piede per la prima volta”. Ancora Ferretti: “Arri- vavo dalla Turchia dove giravo con Pasolini Il Vangelo secondo Matteo. A Cinecittà per preparare alcuni interni incontrai Fellini che mi dis- se: ‘ciao Dantino, guarda che il prossimo film devi farlo con me!’. Io conoscendo il suo rapporto con , risposi: ‘Maestro, mi chiami tra 10 anni’. Quando Federico stava girando Casanova ancora un incontro: ‘Dantino, sono passati dieci anni, il prossimo lo fai con me’. Ero pronto, e da allora cominciammo a lavorare insieme, con un rapporto talmente esclusivo che quando preparavo le scenografie per Il Barone di Münchausen di Terry Gilliam, e lui lavorava al Teatro ac- canto, ogni tanto Federico veniva a curiosare nel mio studio. Gilliam aveva grande ammirazione per lui, così accettò divertito quelle picco- le incursioni. Il resto è legato a Martin Scorsese e all’avventura straor- dinaria di Gangs of New York.”

“Ho vissuto a Cinecittà perché è la casa del mio lavoro”, diceva pro- prio Federico Fellini. “La conosco da tutta la vita”, racconta oggi Christian De Sica, che andò per la prima volta sul set per Il generale Della Rovere: “Fui impressionato dalla scena della fucilazione con mio padre che si rotolava a terra, mentre Rossellini commentava mangian- do un gelato”. Un mondo particolare, diverso, ricco di fascino anche nei momenti più difficili della sua storia: “È tonica e stuzzicante”, di- ceva Tinto Brass. “Una città magica dove entri col copione e esci con la pizza”, diceva con ironia Monica Vitti. E se Ugo Tognazzi raccontava di averla vissuta con soggezione la prima volta, Giuliano Montaldo ne parla ancora ricordando gli anni in cui ci si andava col tram, “da Termini un piccolo viaggio della curiosità e della speranza… di arrivarci per farlo noi, un giorno, quel cinema che andavamo a spiare”. E oggi? Vinicio Marchioni ricorda la sua prima volta per un provino con Paul Haggis. “Emozione di un incontro da Oscar®. Non posso dimenticare poi il primo giorno sul set. Era il mio compleanno e Paul lo ha saputo: ricordo un abbraccio e un indimenticabile happy birth- day…”. Sabrina Impacciatore, invece, ogni volta che passa quell’in- gresso pensa sempre a Ettore Scola: “Dicono che si soffra di mal d’Africa. Io ogni volta che penso al set di Concorrenza sleale mi faccio venire il mal di Cinecittà…”.

È una città strana, perché ha un’entrata piccola piccola e un’uscita grandissima.

testimonianze raccolte anche da Renato Pozzetto Franco Mariotti e Francesca Pierleoni Ricordi d’archivio da varie interviste pubblicate e da Via Tuscolana,1055 a cura di Adriano Pintaldi (Roma, 2003) E ALLA “MEZZA” TUTTI A PRANZO “AL FICO” di FRANCO MARIOTTI

Ciao Mariottino, cer- “ cavo proprio te, puoi raggiungermi in uf- ficio? Devo parlarti”.

È lui, l’imperatore di Cinecittà. A via Tuscolana 1055 gli umori della gente sono scanditi dalle sue passioni, quanto dalle sue preoccupazioni. Il terrore con- tinuo che gli Studios venissero abbandonati lo assaliva quanto l’impeto creativo, forse era que- sto contrasto sempre in bilico tra estasi e nevrosi che lo rendeva un uomo unico.

“Contaci Federico, ma stai tranquil- lo, tutto andrà bene. Il cinema non farà mai a meno del suo Colosseo”. Ora i passi si fermano all’ombra di questi meravigliosi pini che sfidano le palme di Hollywood, guardandosi con toni di sfida e complicità. Mi vengono incontro i compagni

Maestranze, profughi bambini accampati nei viali, ingegneri, produttori e scultori raccontano quel mondo all’ombra dei pini che sfida le palme di Hollywood. SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 26 - 27

di un viaggio durato oltre qua- confondendomi tra questi illustri suo fantastico documentario In rant’anni. Per un attimo credo di professionisti, mi perdo tra i luo- morte di Federico Fellini, sono ve- essere all’interno di una scena co- ghi segreti della città dei sogni. nuto a conoscenza della psicosi rale in attesa dello “stop”. Perlustro ogni spazio nei teatri di della calvizie che non dava pace I racconti si sommano, uno dopo posa e tra i set di film in lavorazio- a Federico. l’altro. Ora i ricordi assalgono an- ne. Di questi non posso dimenti- Ecco la splendida Sophia Loren che me, sono i più belli scolpiti tra carne uno in particolare: Casa Ri- quando stava girando a Cinecittà queste mura. cordi diretto da Carmine Gallone il film Sabato, domenica e lunedì Giovanissimo e pieno di curiosità e quella scena di pura azione dei diretto da Lina Wertmüller. Le non potevo resistere alla tenta- moti milanesi, girata proprio di scene in cui la Loren e Pupella zione di oltrepassare il cancello fronte allo storico bar. Era il ‘54 e il Maggio venivano ritratte nel pre- che segnava la Soglia, come la cinema italiano aveva già conso- parare pranzi avevano un risvolto chiamava Federico. Il mitico Ga- lidato nel mondo la sua identità. iperrealista. Infatti ciò che prepa- preparazione in materia di arte ai etano Pappalardo non consen- Non importava come fossi entra- ravano veniva poi consumato tra giornalisti, che tentavano di inca- tiva proprio a nessuno, che non to, ma se c’era un pegno da pagare amici e altri protagonisti del film, strarlo con domande di cultura fosse ufficialmente accreditato, lo avrei fatto con entusiasmo, de- in commensale allegria. generale, a cui egli rispondeva di oltrepassare quell’ingresso. dicando proprio a quei luoghi la Altri ricordi mi sorprendono senza esitazione. Ma il ricordo E io non ero ancora tra gli eletti. mia intera vita professionale. come tanti déjà vu. Colazione più singolare riguarda Mel Gib- Girovagando intorno alla roc- Ancora a proposito di Federico, alle 8 in punto con Dino De Lau- son durante le riprese di The Pas- caforte del cinema, in cerca di alla fine di ogni nostro incontro rentiis e sua moglie Marta prima sion. Questo film di grande ricer- un varco, mi accorsi che le ma- mi diceva sempre: ”Mariottino, di recarsi sui set dei film da lui ca esegetica e ipertestuale, tanto estranze accedevano da via di ma tu quando hai perduto i capel- prodotti, e assistiti con impecca- da essere interpretato almeno in Torre Spaccata. “È fatta”, dissi a li?”. La domanda mi stupiva ogni bile presenzialismo. Ecco Francis parte in lingua aramaica (la lingua me stesso, ignorando qualsiasi volta. “Prima che avessi raggiunto Ford Coppola che ogni volta che parlata da Gesù), veniva scandi- rischio, ma determinato a con- i trent’anni” rispondevo. Più tardi mi incontrava, sul set o fuori, mi to giorno dopo giorno dal rituale quistare l’agognato premio. Così, in una conversazione con Sergio apostrofava immancabilmente mattutino della messa in latino, Zavoli, durante il montaggio del “you are my boss”. E poi la divi- che si teneva al Block 8, officiata na Lollo, che in occasione della da un parroco novantenne con la mostra dei cento anni di cinema, immancabile partecipazione del allestita all’interno di Cinecittà, “chierichetto” Mel Gibson. Enzo non soddisfatta del lavoro ese- Sisti, il suo produttore esecutivo, guito dagli architetti esclamava: aveva il compito di organizzare “A Mariò... ma che è sto schifo... por- le attività ecclesiali e garantire la tami martello e chiodi che ce penso presenza della troupe. io”, tutto in fretta e furia nell’at- La magia continua, nel lungo tesa che arrivasse l’allora presi- viale alberato, sotto i famosi pini dente della Repubblica, Oscar riaffiorano gli altri ricordi. Sono Luigi Scalfaro. E il corpulento Syl- gli amici, i colleghi, tutti ansiosi vester Stallone, che negli incontri di raccontarmi gli episodi che stampa mostrò una insospettata hanno costellato il loro “lungo” rapporto con Cinecittà, episodi alcuni divertenti, altri più seri, co- munque incancellabili. ANGELO JACONO - PRODUTTORE

Sono entrato come profugo a Cinecittà nel 1944, fui collocato nel Teatro 6 e dormii per terra nel teatro fino al 1947, quando Andreotti ci disse di andar via perché sarebbe tornato il cinema. In quegli anni si andava a scuola dove poi sorse l’Istituto Luce, il bar era la nostra chiesa, dove ho fatto anche la comunione, il Cinefonico era l’ospedale. Tra i miei compagni di gioco ricor- do con tanto affetto Mario Schifano. All’interno del Teatro 5 la vita veniva organizzata: per esempio all’ora di pranzo si andava con la scodella tutti in fila verso la cucina che si trovava proprio dove sorge ora il nuovo bar. Al Fonico gli americani allestirono una sala di proiezione dove vidi il primo film, Gli invincibili con Gary Cooper e Paulette Goddard. Più tardi tornai a Cinecittà e cominciai a frequentare gli Studios come comparsa per i grandi film americani come Elena di Troia e Cleopatra assieme agli altri ex sfollati. L’attività produttiva iniziò per me negli Anni ‘60 come segretario di produzione. Ricordo a proposito di 8½ di Fellini un particolare riguardante il secondo finale, quella scena che non si è mai vista, che vedeva un treno costruito in teatro e un centinaio di comparse, tutti vestite di bianco. Io ero seduto davanti la mac- china da presa e Fellini dietro di me con l’operatore. Al termine, mi sussurrò che forse quella scena, costata un occhio della testa e preparata in quindici giorni, non l’avrebbe mai montata.

ENZO VITTORI – COSTRUZIONI SCENICHE

Sono arrivato a Cinecittà prima come assistente del capo servi- zio delle costruzioni sceniche, per poi passare a capo servizio. Ricordo un episodio con Dante Ferretti quando tornò dall’A- merica per realizzare le scenografie di Gangs of New York e qui a Cinecittà trovò una realtà completamente nuova con tanti giovani che nel reparto avevano sostituito i più anziani. Gli dissi schiettamente “se il problema sono io posso farmi da parte…”. Ma poi lui si adeguò grazie all’impegno di tutti. Questo fu possi- bile perché l’ingresso mio e quello di tanti altri fu accompagnato da un aiuto delle maestranze di quel tempo che ci trasferirono il loro bagaglio di conoscenze. Il nostro è un tradizionale lavoro di bottega, non solo devi saperlo fare tecnicamente, ma devi anche saper leggere nel pensiero dello scenografo. Devi capire al volo la sua idea già dal primo bozzetto.

MAURIZIO SPERANDINI – DIRETTORE TECNICO Era la metà degli Anni ‘90. Dino De Laurentiis decise di girare anche Dino, il quale era piuttosto perplesso. Alle mie rimostran- a Cinecittà il suo film U-571 per la regia di Jonathan Mostow. ze circa la continua ingerenza e le pressioni di tutti, Dino capì e Nel Teatro 5 avremmo dovuto costruire per lui due sottomari- mi disse: “Da questo momento in poi non avrà più rotture di sca- ni. Uno intero, tedesco, l’U-571 e l’altro americano, il Bull Fish, tole da nessuno. Solo io verrò ogni sera per essere aggiornato sui ma solo in parte. Oltre a questo avremmo dovuto realizzare an- progressi”. E così fu. Dopo qualche giorno trovai la soluzione al che un simulatore di navigazione. Sapevo che sarebbe stata una problema e annunciai a Dino la fine del calvario. Gli scettici ed i sfida durissima contro il tempo e contro i tecnici inglesi nostri “filoinglesi” furono invitati da Dino in persona ad avere maggio- competitor. Ma Dino ci dette fiducia e ci commissionò l’ope- re fiducia in noi italiani. ra. Notte e giorno a lavorare sul progetto, sulla reperibilità dei pezzi, sui tempi di costruzione, sui costi. Ma alla fine il ‘mostro’ pian piano prendeva forma all’interno della piscina del Teatro 5. Una mattina presto venni svegliato dai tecnici che eseguivano il montaggio. La macchina sfuggiva al controllo ondeggiando pau- rosamente. La smontai ma fu inutile, non era più possibile con- trollarla. I giorni passavano e tutti mi chiedevano spiegazioni, SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 28 - 29

ANTONIO SPOLETINI – CAPOGRUPPO COMPARSE E GENERICI Per me Cinecittà è stata la vera casa del cinema. Ho iniziato con Ben Hur ed ero un figurante. Avevo vent’anni e dovevo partire per il servizio militare. A Cinecittà ho partecipato a quasi tutti i film dei più grandi registi e produttori italiani e stranieri. Un ri- cordo divertente? Quando si girava Roma c’era una signora che cercava di mettersi sempre al centro dell’attenzione; alla fine Federico sbottò dicendole “Hai rotto i coglioni!”. Quando poi si girava a Cinecittà Il segreto di Santa Vittoria di Stanley Kramer, alla fine delle riprese il regista mi disse, alla presenza dell’intera troupe: “Abbiamo finito questo film grazie ai fratelli Spoletini, Tony e Pippo”. E Sharon Stone, parlando di me a Pupi Avati gli disse: “quest’uomo lo voglio vicino”.

SILVANO SPOLETINI – CAPOGRUPPO COMPARSE E GENERICI

Per realizzare il sogno di lavorare a Cinecittà lasciai un lavoro stabile in una legatoria di libri. Iniziai facendo il generico in Cle- opatra, all’epoca ci pagavano dalle 8 alle 10 mila lire al giorno. Elizabeth Taylor e Richard Burton spesso si ubriacavano; c’era un vino chiamato Primitivo delle Puglie e il Chianti. Erano dei vini molto forti. Ricordo la generosità di Sordi che, a differenza di quello che si dice non era affatto avaro, voleva soltanto che si rispettassero i patti. Di Gangs of New York ricordo Di Caprio che girava come un pazzo tra i viali di Cinecittà a bordo della sua macchinetta e fotografava qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Fel- lini mi diceva sempre in tono scherzoso: “li vedi tutti questi che mi stanno intorno e che mi chiamano maestro? Se non lavorano con me non mangiano”.

ADRIANO DE ANGELIS – SCULTORE CINEARS

Ricordo con grande piacere la famiglia che era un tempo, in par- ticolare durante la festa della befana che aveva luogo proprio qui. Papà che aveva il brevetto civile da pilota volava su Cinecittà lan- ciando regali per i dipendenti. Questo accadeva negli Anni ‘50. E poi il rapporto con le molte produzioni straniere che venendo a Cinecittà hanno creato una memoria storica importante. Ancora oggi, grazie al lavoro svolto con queste produzioni, vengo chia- mato in causa per film di grande profilo, come nel caso del più recente Ben Hur le cui realizzazioni scultoree erano reclamate dagli americani, senza la partecipazione di artigiani italiani. Ep- pure documentando il lavoro svolto nel primo Ben Hur abbiamo ancora una volta potuto partecipare con grande passione. ROBERTO MANNONI – PRODUTTORE

“Stavamo girando E la nave va al Teatro 4 e c’era anche Sergio Leone che girava C’era una volta in America. Ad un certo momento entrò la Digos, intimandoci di uscire per la presunta presenza di una bomba proprio negli uffici di Sergio Leone. L’esplosione na- turalmente non ci fu e quindi potemmo tutti rientrare. Fellini, che ha sempre preso in prestito dalla realtà le immagini dei suoi film, in seguito si ricordò di questo episodio quando girammo Intervista. Volendo architettare una finzione questa volta ci mettemmo d’accordo con l’ispettore di Polizia, affinché predi- sponesse le macchine per una scena d’azione. Fellini si nascose dentro un camion e io diedi il via all’ispettore che fece azionare le macchine della Polizia, mentre Federico di nascosto ripren- deva tutto. Poi scese dal camion fischiettando. Era soddisfatto perché la scena era venuta bene. La vita di Fellini si svolgeva prettamente a Cinecittà. Per lui do- ver girare al di fuori di queste mura era un problema. Un ricordo indelebile è quello dei suoi funerali che si svolsero qui. Quando tornai dal Policlinico Umberto Primo con il feretro trovammo una situazione strana perché sbagliarono le luci e sbagliarono la posizione del feretro. Sembrava che in quel momento Fellini fosse lì a dover organizzare tutto.

NANDO CACCIAMANI - CAPO DELLA VIGILANZA Sono entrato a Cinecittà nel ‘52 e vi sono rimasto in attività fino al 2002. Quando era un campo profughi c’è un episodio che ri- guarda Ava Gardner: la conobbi nel ‘54 quando si girava il film La contessa scalza, e due anni dopo La Capannina assieme a Walter Chiari. Con Walter lei ebbe una storia legata alla presenza di una bambina che alloggiava ancora a Cinecittà, assieme ad altre po- che famiglie di profughi. Questa bambina aveva perso il papà in guerra e diventò una specie di figlia adottiva di Ava e Walter, che le davano affetto e regali. La Gardner trattava con affetto e sim- patia anche me. In quel periodo i grandi attori avevano un senso di umanità e solidarietà speciali. Posseggo ancora alcune foto un po’ sbiadite che mi ritraggono durante la lavorazione di Guerra e pace. Ne conservo anche altre, il valore di queste foto sta anche nel fatto che in quel tempo era- no in pochi ad avere la macchina fotografica.

CLAUDIO CIOCCA – TITOLARE “IL FICO” “Il Fico” alias Cinecittà, quanta storia del cinema è stata scrit- ta qui da noi! A bordo di una Vespa, e ancora con il costume di scena, dal set di Ben Hur Charlton Heston veniva a mangiare qui. Anche la Taylor e Burton, quando si girava Cleopatra, venivano qui, poi si appartavano in una saletta interna e si ubriacavano fino a sera. I giornali riportavano di sbronze da champagne, in realtà erano delle tradizionali nostre ‘romanelle’. Mio padre, che non amava lo champagne, nel leggere queste notizie si arrabbia- va molto. Quanto gossip del cinema mondiale nato a Cinecittà e messo faticosamente a tacere si è consumato in questo vecchio Fico. Federico era un habitué e ricordo che, non amando i ca- potavola, si fece realizzare dai falegnami di Cinecittà un tavolo tondo per un massimo di otto persone. Quando era lui a girare, SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 30 - 31

lo sciame di giornalisti e curiosi aumentava, anche perché era solito invitare chiunque incontrasse. Lui mangiava per la mezza e il tavolo veniva occupato dai primi che arrivavano. Nell’imba- razzo generale Federico allora mi diceva: “Claudino come hai fatto a invitare tutte queste persone, sai come siamo accampati male…”, e io gli rispondevo: “Federico, li hai invitati tu...”. Sordi, che aveva capito il gioco, quando veniva passava prima in cuci- na per mangiare e poi raggiungeva il Maestro. Qui sono passati proprio tutti, da Frank Sinatra e la Carrà, a Clark Gable e Sophia Loren, da Rock Hudson a Marcello Mastroianni...

ADRIANO TURBIDONE – DIRETTORE DIALOGHI

Stavamo doppiando a Cinecittà il film Miranda di Tinto Brass, e c’era una scena di sesso dove Serena Grandi avrebbe dovuto interpretare dei gemiti che a lei venivano, per così dire, troppo di “testa”. Dissi a Tinto di darle delle indicazioni, e così chiamam- mo Serena in regia. Nel cercare di spiegarle il registro da usare le dissi che stava interpretando troppo di testa, e sarebbe dovuta “andare più di petto”. Mi resi subito conto della gaffe, viste le sue misure, e mi corressi dicendole che avrebbe dovuto usare il dia- framma. Lei mi rispose all’istante che usava la pillola, e ti lascio immaginare le incontenibili risate da parte di tutti.

FAUSTO ANCILLAI – DIRETTORE MISSAGGIO Qui a Cinecittà si lavorava a pieno ritmo, spesso fino a tarda notte. Fellini iniziava dopo il turno di Leone. Quando arrivava, Federico mi chiedeva: “Faustino, mi fai vedere l’ultimo rullo di Sergio?”, poi scriveva sulla consolle: “caro Sergio ho visto un rul- lo del tuo bellissimo film, ho iniziato che c’era un primo piano di Clint Eastwood e poi mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato c’era ancora quel primo piano; come mai questo film è così lento? Ti voglio bene… Federico”. L’indomani Leone legge- va il messaggio e replicava: “L’altro giorno sono andato a vedere un tuo film, ma eravamo solo in tre nella sala; mi sa che i tuoi film non incassano una lira, come mai?”. Era un continuo sfottersi con goliardia. A ora di cena Fellini ci portava tutti a mangiare al Fico. Di ritorno a Cinecittà, invece di riprendere il lavoro, Federi- co mi diceva: “Faustino, ti vedo stanco, vai a casa...”. Si era inne- scato un circolo vizioso, tanto che la produzione dovette pren- dere provvedimenti. Ma non ci fu niente da fare, Mario Milani, a cui era stato dato il compito di organizzare la cena all’interno di Cinecittà, venendoci a chiamare trovò il Cinefonico deserto: Fellini ancora una volta aveva portato tutti al Fico.

Un giorno, appena arrivato a Cinecittà, Federico mi invitò al bar per un caffè, continuando a ridere tra sé durante il tragitto. Gli chiesi la ragione della sua ilarità e lui mi disse di aver ricevuto una lettera in cui un barbiere napoletano gli chiedeva un prestito di venti milioni di lire in cambio di uno sconto in merce. Infatti l’uomo si impegnava a restituire il valore equivalente raggiun- gendo Fellini a Cinecittà ogni mattina per prestare servizi gratu- iti di barberia. R A · A C Le lettere che la gente comune scrive a Cinecittà sono spesso senza indirizzo, · perché basta il nome della fabbrica dei sogni per dare un’identità, anche postale. C Queste missive, oltre 3.000, sono giunte fino a noi grazie all’archivio personale I di Franco Mariotti. N E · C I T T À

di STEFANO STEFANUTTO ROSA SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 32 - 33

è chi scrive dall’Irlanda dove lavora come cuoco italia- A C’ no in un ristorante e chiede di fare l’attore a Cinecittà, · “sempre se c’è l’opportunità con il vostro volere”. Una R 12enne vorrebbe “girare un films (sic) accanto a Romina ed Al Bano o se no anche un altro genere di films”. Il generico cine- matografico, scusandosi per quanto successo, chiede di accedere di A nuovo negli Studi di via Tuscolana, “promettendole di comportarsi bene”. Il maresciallo della Marina Militare in pensione vorrebbe “il recapito della nota attrice Rosanna Schiaffino alla quale debbo inviare un oggetto artistico in omaggio”. C’è chi informa che “in qualunque momento desiderate io posso inoltrarvi 10 mie sceneggiature con C soggetto, colonne sonore e canzoni che si interpretano nelle scene dei films; tutto di mia creazione”. E ancora chi vanta la sua esperienza di generico ne Le quattro giornate di Napoli, Cleopatra e Il processo di Vero- na, “dimostrando a dire dei Sigg.ri Registri (sic), molto attaccamento · al lavoro, dizione e recitazione”. Sono oltre 3.000 le lettere indirizzate a Cinecittà / Direzione , a volte senza via e civico, che sono conservate da Franco Mariotti, conosciuto C e apprezzato nell’ambiente del giornalismo cinematografico, e che in passato ha ricoperto il ruolo di addetto stampa e alle relazioni ester- ne prima per Cinecittà Studios e poi per Cinecittà Holding. In questa preziosa e originale documentazione d’epoca troviamo soprattutto lettere scritte a mano, a volte sgrammaticate, di chi chiede un provino, un piccolo ruolo in qualche film, non importa il regista, ma il genere I quello un po’ sì. Sono accompagnate da piccole e anonime foto tesse- ra, o scattate in famiglia, fotografie artigianali, addirittura c’è chi si fa immortalare travestito da cow boy. Queste lettere, in un arco di tempo N che va dall’inizio degli Anni ’60 fino all’inizio dei ’90, ci dicono quanto il cinema e i suoi teatri di posa di via Tuscolana sono entrati nel cuore di tanti italiani, senza distinzione d’età, istruzione, condizione sociale. Ma anche nell’immaginario di chi scrive da Paesi lontani come Stati E · Uniti, Giappone e Russia. Si rimane stupiti e commossi a leggere questi messaggi indirizzati a un luogo e non a una persona con nome e cognome , che talvolta sono vere e proprie richieste di lavoro o esprimono ingenuamente il sogno C di una vita diversa da quella anonima fin qui vissuta. À Peccato che siano andate perse, a meno di ritrovamenti nell’Archivio I di Stato, o distrutte gran parte le lettere datate Anni ’30 e Anni ’40 in T T una Cinecittà che durante la guerra è occupata dai nazisti i quali, oltre a depredarla delle attrezzature tecniche trasferite in parte in Germania e in parte a Venezia (Cinevillaggio), la utilizzano come luogo di con- centramento di civili rastrellati, come nel caso dei fatti del Quadraro, nell’aprile del 1944. Nella Roma liberata, gli stabilimenti diventano poi ricovero di senza tetto, sfollati e profughi.

Mancano purtroppo anche le lettere scritte negli Anni ’50 , l’epoca dei kolossal e delle produzioni americane, anche queste irrimediabilmen- te andate perse, salvo ritrovarle da qualche antiquario. Per fortuna ri- mane traccia e memoria della fabbrica dei sogni a partire dagli Anni ’60 quando i teatri di posa diventano il luogo del cinema d’autore, de- gli spaghetti western, dei film mitologici e dell’horror. Per arrivare ai primi Anni ’90, quando l’arrivo delle televisioni coincide con casting, provini e rapporto diretto con la produzione, che prendono il posto della scrittura.

SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 34 - 35

SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 36 - 37 Cinecittà è sinonimo di cinema, ma anche altre discipline – arte, musica, televisione – ne hanno subito il fascino e l’influenza. Così Eros Ramazzotti giocava a calcio nel campetto accanto agli Studi e Mario Schifano visse da profugo all’interno dei teatri di posa.

di MARCO MOLENDINI SCENARI La città del cinema: marmi e cartapesta per far sognare il secolo breve 38 - 39

cadevano “come palle di neve” su Roma nel ‘43, evoca quel luo- go mitologico quando immagi- na i pensieri che corrono sotto quella gragnuola di morte: “E un inecittà: e dici subi- giorno credi questa guerra finirà/ giovani talenti come Amici, perfi- C to Fellini, la Dolce ritornerà la pace ed il burro ab- no con quel prototipo della tv dei Vita, Hollywood sul bonderà/e andremo a pranzo la reality che è stato Il Grande fratel- Tevere. Ma non è domenica fuori porta a Cinecit- lo, con la casa dei suoi profughi solo cinema, è un’Italia rimpian- tà”. Amante del cinema, France- accolta proprio dentro le mura ta, spesso evocata, rappresentata sco ha sempre parlato di Fellini della Città del cinema. La Rai ci ha quasi come sogno. E i sogni non come uno dei suoi ispiratori e del fatto pure una serie tv in 13 punta- hanno confini e neppure generi. cinema come luogo incantato, te, ovviamente intitolata Cinecit- A Cinecittà ci sono passati tutti, tanto da raccontare, con un certo tà, un titolo che basta da solo. frequentandola o immaginan- compiacimento, lo stratagem- Christian De Sica, invece, che è dola. C’è chi ci è nato come Eros ma che il proprietario del mitico cresciuto giocando nei prati ac- Ramazzotti, che divideva le sue Folkstudio a Trastevere, Gian- canto agli Studios, mentre suo pa- giornate fra il campo di pallone carlo Cesaroni, aveva escogitato dre Vittorio faceva i film, il mito accanto agli Studios e qualche per fare apparire più numerosi lo ha celebrato con un musical, comparsata. Un giorno finì sul set gli spettatori (scarseggianti) dei La Fabbrica dei Sogni, una serie di di Amarcord, dove faceva parte concerti dei suoi giovani talenti: aneddoti e di musiche sul filo au- del gruppo di ragazzi che pren- “Vennero comprate a Cinecittà tobiografico. dono a pallate di neve Gradisca, un centinaio di sagome – si, sa- prima che magicamente appaia gome come manichini – e fatte Non è ovviamente rimasta insen- un pavone sulla fontana gelata. accomodare sulle sedie a ogni sibile al richiamo del suo fascino Aveva 10 anni, allora, e quella inizio serata tenendo le luci un la pop art. E se Tano Festa e Ma- scena non può che essere rimasta po’ basse. E l’esperimento riuscì: rio Schifano, per un periodo della indelebile nella sua fantasia. Pro- la gente entrava più volentieri”. loro vita, ci hanno anche vissuto a babilmente ci avrà pensato anche Il fatto stesso che quelle sagome pochi metri (la famiglia Schifano, quando, quarant’anni dopo, ha venissero dalla Città del cinema appena arrivata dalla Libia, du- voluto cantare proprio dentro la dava conforto artistico, addirittu- rante la guerra abitò nei teatri di città del cinema per presentare ra solennità e, perfino, credibilità posa, trasformati in campo profu- un suo nuovo album, intitolato per quanto nella penombra. ghi), Mimmo Rotella, esuberante Noi, dove una delle canzoni torna De Gregori a Cinecittà non ci ha artista calabrese, ci aveva anche indietro con la memoria proprio mai suonato. Ci hanno suonato lavorato come artigiano che pre- a quegli anni infantili, Polaroid invece, Paolo Conte, Lucio Dal- parava le scene dei vari set. Alla (“due minuti per sempre/in que- la, Pino Daniele, Ivano Fossati e fine degli Anni ‘50 il cinema di- ste polaroid/sbiadite ormai/ma in Francesco Guccini, in uno show venne oggetto di una sua serie di me il colore non va via”). televisivo che venne battezza- opere diventate famose, i decol- to Grande musica italiana e tra- lage fatti di manifesti strappati, Sono ricordi fatti di immagini, smesso da Rai Uno, proprio dal (da ricordare quello con Anita evocazioni lontane come quelle Teatro 5 caro a Fellini (che, per Ekberg e Marcello Mastroianni richiamate da Francesco Bian- l’occasione, disegnò il manifesto ne La dolce vita e di Sophia Loren coni e i suoi Baustelle in un pez- con l’ immagine di Walt Disney ne La Ciociara). In qualche modo zo sotto forma di dialogo fra un che si inchina davanti a Gelso- Rotella, però, del cinema era stato produttore e un’attrice chiamato mina). La scenografia del palco anche curioso ispiratore. Tornato proprio Cinecittà, con chiare cita- riproduceva l’immagine-simbo- dall’America nei primi Anni ‘50 zioni del grande Federico come lo di grandi film realizzati negli si divertiva ad andare in giro con quando canta: “La la la è la dolce Studi: la maschera di Casanova, grossi cappelli da cowboy e cami- vita/è la sera a cena è Morricone/è la palla di Prova d’ orchestra, la ce yankee, insomma vestito all’a- che noi siamo così”. nave del barone di Münchausen, mericana. E Steno si ispirò a lui Anche Francesco De Gregori, la donna mongolfiera de La città per inventare Nando Moriconi, nella sua bellissima San Lorenzo, delle donne. una delle grandiose macchiette di dove racconta delle bombe che A Cinecittà, per la verità, a un cer- Alberto Sordi. to punto la televisione ha pianta- to le tende, spesso sfruttando il nome di Fellini e del suo amato Teatro 5, usato per infiniti varietà (che provavano ad approfittare del suo magic touch), ma anche con un programma dedicato ai RACCONTI DI CINEMA

I SOLITI IGNOTI · LA RAPINA IMMAGINATA di PAOLO PIZZATO

guardarla sotto questa luce, così fioca, la ricevuta del A Monte di Pietà non si distingue da qualsiasi altro pezzo di carta. Meglio così, perché non è che mi faccia piacere guardarla. È da questo pomeriggio che la tengo in tasca e penso a dove sono stato, a quello che è successo, a come ho fatto a ritrovarmi, una volta ancora, con quel foglio tra le mani.

Come ho fatto, volete sapere? Siete curiosi, eh? D’accordo, vi accontenterò. Mettetevi comodi, si comincia.

Non è stato difficile diventare un cliente fisso del Monte di Pietà. È bastato perdere il lavoro, così, da un giorno con l’altro, e poi non riu- scire più a ritrovarlo. La disoccupazione, sapete, e la mancanza di soldi che porta con sé, è una specie di insidioso piano inclinato; ti ci ritrovi all’improvviso, e ti senti come se di colpo ti avessero messo seduto su una sdraio decisamente scomoda. Tu cerchi di rialzarti, ci provi e ci riprovi, ma poco alla volta, senza che te ne accorga, il tuo corpo comin- cia a fare resistenza a, diciamo così, abituarsi alla sdraio, a trovarcisi quasi comodo, e in men che non si dica passi dall’aver perso il lavoro al non aver più voglia - o semplicemente più forza - di trovarne un altro.

Lavorare, mi sono detto? Al diavolo! Lavorassero gli altri! Io per rimediare qualche quattrino avrei fatto quello che altre persone che conosce- vo (e anche qualcuno dei miei amici a dirla tutta) avevano già fatto e continuavano a fare: avrei impegnato parte delle mie cose al Monte di Pietà. Merce in cambio di soldi. Semplice no? E semplice, devo am- mettere, lo fu, almeno all’inizio. Talmente semplice da sembrare qua- si indolore. Anche perché al Monte di Pietà accettavano quasi tutto, dalle lenzuola alle padelle (Cosa? Oggetti preziosi, dite? Oro? Argento? Collane, braccialetti, anelli? Ma dico, volete scherzare? Mai avuto niente del genere, io!). RACCONTI DI CINEMA 40 - 41

La prima volta che ci andai le cose della sua meravigliosa sorella “il- Ho pensato che Mario, Gualtiero, Vincenzo, Giuseppe e io al Monte di si svolsero in modo quasi nor- libata” che sta al paese suo e per Pietà dovremmo tornarci tutti insieme, ma non di giorno a impegnare male; un po’ di timidezza, certo, la quale organizzerà, a tempo de- le nostre cose, bensì di notte, per un furto con i fiocchi. Ho calcolato e l’imbarazzo naturalmente; mi bito, un matrimonio (macimonio tutto, cosa credete? O meglio, avrei calcolato tutto se noi non fossimo guardavo in giro senza vedere dice lui, facendoci piegare in due quelli che siamo… Per esempio, se Gualtiero fosse un vero fotografo I SOLITI IGNOTI nulla a parte la gente che avevo dalle risate) da favola; Giuseppe, potrebbe appostarsi proprio di fronte al Monte, mescolarsi tra la fol- intorno, poveracci come me che soprannominato “peso massi- la e scattare qualche foto mentre gli impiegati aprono e chiudono le si fissavano le scarpe, si mangia- mo” perché il suo sogno è diven- casseforti; Vincenzo invece potrebbe occuparsi di reperire quel che · vano le unghie, sistemavano con tare pugile professionista, anche serve per penetrare al Monte senza far scattare allarmi: lui s’intende cura le cose che di lì a qualche mi- se ha quasi trent’anni e non è mai di queste cose, è un po’ meccanico, un po’ idraulico, un po’ fabbro… nuto non sarebbero state più loro, riuscito a schiodarsi da quella un po’ tutto insomma, solo che anche lui quanto a voglia di lavorare…; che avrebbero dato via in cambio scalcinata palestrina di periferia a Giuseppe, che non fa che prender pugni ma che una certa forza, bi- LA RAPINA di qualche soldo e di una ricevu- che frequenta da una vita e dove sogna ammetterlo, ce l’ha, lascerei fare tutto il lavoro di fatica, mentre ta. Sapevo che qualche difficoltà ha preso soltanto cazzotti; e infi- a Mario, che a tutti i costi vuole essere ladro, darei il compito finale, il l’avrei avuta, per questo avevo ne Mario, che non fa che ripetere più importante: aprire le casseforti utilizzando le informazioni prove- chiesto a Gualtiero, uno dei miei che lui, nella vita, vuole rubare, nienti dalle foto di Gualtiero. Come dite? Volete che vi dica che ruolo avrei amici storici, di accompagnarmi. ma che fino a oggi non ha avuto io in questo affare? Ma che domande fate? Io sono la mente! IMMAGINATA Lui, neanche a dirlo, aveva accet- il coraggio di sfilare nemmeno un tato immediatamente: il Monte portafoglio. La mente, già… e dire che potremmo anche pensare di provarci davve- di Pietà lo conosceva come le sue ro se non fossimo una gang di incapaci, un manipolo di ignoti… buf- tasche, ci aveva impegnato prati- Alla prima volta al Monte, com’e- foni. Peccato, proprio un peccato. E comunque, la sapete una cosa? camente tutto quello che posse- ra più che prevedibile e come cer- Questa bella pensata del furto con destrezza l’ho elaborata mentre deva. Gualtiero, dovete sapere, to avrete già capito, ne seguì una passavo davanti agli studi di Cinecittà. Non credete che sarebbe un ha un sogno, vuole diventare fo- seconda, poi una terza, e poi an- bel soggetto per un film? Quasi, quasi me lo scrivo per bene… tografo; peccato che per le foto, cora e ancora fui in quei locali dal come per qualsiasi altra cosa pe- pavimento lucidato a specchio, raltro, sia negato. Non è tanto che colmi dello stanco trascinarsi di non voglia lavorare, Gualtiero, è derelitti come me. che proprio non sa come si fac- cia! Sapete chi lo mantiene? La Finché ebbi qualcosa da impe- moglie. I soldi per vivere li porta gnare non feci caso alla routine a casa lei contrabbandando siga- nella quale ero caduto. In fon- rette. Vivono così, loro. È così che do, non dovevo rendere conto a si mantengono; moglie, marito, nessuno di quel che facevo; i soli e figlia, una bambina bellissima, affetti che avevo nella vita erano che hanno chiamato Benedetta: i miei amici, e loro vivevano esat- ha compiuto un anno giusto la tamente come me, nello stesso scorsa settimana. identico modo. Come dite? Sto divagando? E dai! Un po’ di pazienza! Cosa vi costa? Oggi però ho portato al Monte Gualtiero, in fondo, è il mio migliore l’ultima cosa che avevo da impe- amico. Comunque riprendo subito gnare. Non mi è rimasto più nien- il filo. Zitti, forza, che si ricomincia! te e adesso sto qui a guardare la ricevuta e a domandarmi: che fac- Dov’ero rimasto? Sì, certo, alla cio adesso? mia prima volta al Monte. Non lo so cosa farò; in qualche Grazie anche a Gualtiero non modo credo riuscirò ad arran- andò poi tanto male. Uscii da lì giarmi, proprio come ci riescono con qualche soldo in tasca, ab- Gualtiero e gli altri, anche perché bastanza per andare a farmi una la sola cosa che mi è venuta in bevuta con lui e gli altri compagni mente per togliermi dai guai è una di vita: Vincenzo, sicilianissimo e tale assurdità… Cosa c’è ancora? fiero delle sue origini, e neanche Volete sapere di che si tratta? C’avrei a dirlo disoccupato di lungo cor- scommesso… so che non sa parlare d’altro che Nascita della Cinecittà di Filippo Sacchi da “Corriere della sera”, 29 aprile 1937, pag.3.

on siamo più abituati a una scrittura giornalistica Direzione Generale della Cinematografia aveva impresso già qual- N tanto appassionata e veemente come la prosa di Fi- che anno prima. L’articolo ha il tono del riscatto: l’afflato sognante lippo Sacchi, con un senso della retorica nazionalista è a tratti potente e vertiginoso. Il cinema italiano e i giovani che fre- evidente, certo, ma calibrata con eleganza. A stare quentano la sala cinematografica, tanto quanto quelli che si avvici- appena attenti, infatti, l’enfasi sull’impresa mussolinana è circo- nano all’industria, non cessano di ricercare una nuova chiave per scritta: non possiamo sbrigare l’articolo di celebrazione dell’even- il cinema italiano e bramano un risveglio: nella visione di Sacchi to come una classica esaltazione fanatica dello spirito fascista. c’è una sterminata e appassionante distesa di possibilità, successi Il ritmo e la potenza immaginifica – persino a tratti sognante – che e fallimenti che non possono che ribadire una vitalità e una volon- attraversa tutto il contributo di Sacchi ci racconta molto altro. tà ritrovata. L’accento sulla funzionalità e la sobrietà (ma anche Filippo Sacchi, per cominciare, è il fondatore della rubrica cine- magnificenza) delle forme di Cinecittà riflettono lo scotto ancora matografica del “Corriere della sera”, sotto la direzione di Aldo bruciante del fallimento della Scuola di Santa Cecilia: sono pesati Borelli: è un intellettuale che non ha nascosto le sue resistenze al la mancanza di un vero e proprio progetto didattico (la mancanza primo fascismo nel corso degli Anni ‘20, a tal punto da scontarne di una visione) e la poco oculata gestione finanziaria e ammini- la pena con un allontanamento forzato dal “Corriere” – dove entrò strativa e si è scontato un entusiasmo a tratti superficiale, specie giovanissimo. Ci rientra nei primissimi Anni ‘30 proprio dalla por- da parte del ministro Bottai. Cinecittà è la seconda possibilità e ta del cinema, su una terza pagina dove ancora infiamma l’annosa l’accento al rigore non è facile cedimento alla retorica fascista o al questione della “Rinascita” del cinema italiano. Ma negli Anni ‘30 fascino rigoroso dell’architettura funzionalista (che pure Sacchi, anche il regime sta cambiando: si passa da un fascismo d’azione assai vicino al gruppo dei razionalisti comaschi, conosceva e ap- a un fascismo di istituzione. Le notizie dal neo fondato Impero si prezzava): si ribadisce anzi un cambio di marcia sostanziale nella rincorrono quotidianamente sulle pagine del “Corriere”: da qui politica del regime e un investimento decisivo e sistemico nel si- un riferimento che è inevitabile anche per Sacchi. E la risposta alla stema della cultura e dell’industria cinematografica da parte dello “Rinascita” non può che essere, per l’appunto, istituzionale. Il 1934 Stato fascista. è l’anno cruciale. La fondazione della Direzione Generale della Ci- Cinecittà è il sistema e l’istituzione. Nello stesso anno, il 1937, an- nematografia sotto la direzione di Luigi Freddi è un segnale decisi- che l’Istituto Luce si sposta al Quadraro: industria produttiva (gli vo: l’organizzazione di una cultura cinematografica e di una nuova studi di Cinecittà), formazione (il Centro Sperimentale di Cine- (rinata) industria produttiva deve passare per lo Stato fascista. Se matografia) e propaganda (il Luce) vanno a sommarsi alle prece- la Scuola Nazionale di Cinematografia di Santa Cecilia – la cui vi- denti soluzioni istituzionali, come la già citata Direzione Generale, cenda è stata riportata alla luce da Alfredo Baldi e Silvio Celli – è ma anche la Mostra del cinema di Venezia (lo star system), i Cine- ancora legata alle iniziative (indipendenti) delle personalità e dei guf (il cinema a passo ridotto) e l’ENIC (la distribuzione e rego- cenacoli culturali (e letterari) che tentarono una prima organiz- lazione dell’import): fondamentali enti regolatori di un discorso zazione della cultura cinematografica, fin dal 1926 (la nascita dei sul cinema che si dissemina anche sulle riviste tra cui, proprio dal primi cineclub, i vari gruppi centrali di cinematografia, associa- 1937, “Bianco e nero”. Le regole del sistema culturale cinematogra- zioni cinematografiche, le sedicenti e truffaldine scuole di cinema fico italiano sono definitivamente riscritte. che proliferavano qua e là), la fondazione di Cinecittà e del Centro Capiamo bene dunque come la “nascita di Cinecittà” sia nella Sperimentale di Cinematografia sancisce un nuovo inizio che la mente di Sacchi e dei suoi lettori, già una ri-nascita.

di Andrea Mariani IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DAL QUOTIDIANO “CORRIERE DELLA SERA”

29 aprile 1937, pag.3. Destino di Cinecittà di Curzio Malaparte da “Prospettive”, n. 2, “Cinema”, s.d. 1937, p. 78.

n questa fase della sua carriera, Curzio Mala- tro quella che egli considera una sopravvalutazione degli parte è nel pieno di un tentativo di riabilita- aspetti tecnici e meccanici del nuovo mezzo” (Costa). Gli I zione sociale e politica dopo l’esilio a Lipari articoli di chiusura lasciano disorientati in questo senso, se (a partire dal 1933) e gli scritti virulenti – non non si accetta di leggere la dialettica tra tradizione strapae- da ultimo il pamphlet Tecnica del colpo di stato, pubblicato in sana, il crocianesimo e il ruolo fondamentale che la tecnica Francia e politicamente indifendibile – che segnano gli Anni (e la tecnologia, e la meccanica modernista e la “stracittà”) ‘20 e i primi ‘30: quelli dell’avventura strapaesana e dell’ide- ha assunto nella cultura artistica e letteraria italiana e nel di- ologia dello squadrismo. Prospettive nasce, neanche troppo battito sul cinema, come una complessa osmosi in costante velatamente, con la precisa intenzione di armare un ritorno ridefinizione. in società (e non è arduo rintracciare una certa piaggeria qua Se da una parte abbiamo un’evidente sottovalutazione del e là), senza tuttavia rinunciare alla consueta sprezzante indi- fatto tecnico (l’idea del cinema come rivoluzione teatrale, a pendenza: apertamente contrario alle Leggi razziali, nel 1939 discapito dell’“invenzione” dei Lumiére), “in cui sembra av- assumerà Moravia tra i collaboratori. La prima serie (ben vertire l’eco delle formulazioni, di chiara derivazione crocia- diversa dalla seconda, a partire dal 1939) accoglie questo ar- na, di Ragghianti”, dall’altra si esalta il modello americano, la ticolo che presentiamo in Reprint, ed è inaugurata nel 1937: perizia della tecnica (sceneggiatura, effetti speciali, fotogra- questa raccoglie dodici numeri monografici (i temi erano i fia, oltre che il comparto recitativo) e la necessità di creare seguenti: Il ragazzo italiano; Il cinema; La radio; Mussolini. attorno alla fantasia degli artisti un’opportuna “atmosfera”, La sua politica estera; Italiani in Spagna; Da Malaga a Ma- fatta di tecnici “in armonia”. drid; Senso vietato; Lei e voi dei paesi tuoi; Prigione gratis). E in questa luce Destino di Cinecittà diventa – in un’apparen- Antonio Costa ha dedicato una dettagliata analisi del secon- te contraddizione – l’esaltazione dell’industria, del proces- do monografico, per l’appunto dedicato al Cinema, che “è so capitalistico alla base della “macchina” (dell’industria) organizzato in modo del tutto funzionale alle tesi sostenute, cinematografica secondo il modello americano: natural- da Malaparte nel suo intervento [Verità sul cinema – NdA], mente con la metafora classica e italianissima della filiera di soprattutto per quanto riguarda il (passato) primato del ci- artigiani alla corte del Brunelleschi. La Direzione Generale nema italiano e la necessità di riconquistarlo attraverso una della Cinematografia è chiaramente la soluzione contro il politica di confronto diretto con gli aspetti più avanzati del “vivacchiare” del cinema italiano dell’affannosa questione cinema americano, preso come costante punto di riferimen- della Rinascita e del “cinematografo è l’arma più forte”. Ci- to. In questa direzione vanno i due articoli che concludono il necittà e il Centro Sperimentale di Cinematografia chiudo- numero, Il Centro Sperimentale di Cinematografia e Destino di no un numero non a caso interamente sbilanciato sui fasti Cinecittà” (Antonio Costa, Studi novecenteschi, 61, 2001). del cinema italiano del passato, con omaggi a Cretinetti, Ro- La fondazione di Cinecittà fa da contraltare a un intervento binet, Satana di Maggi, oltre che Guazzone e Ghione e i fasti militante in difesa – sostanzialmente – dei valori di stam- del grande cinema italiano degli anni del muto; una timida po ancora strapaesano: l’articolo Verità sul cinema apre il apertura è accordata a tre giovani italiani: Blasetti, Camerini monografico a firma di Malaparte. Quella di Malaparte in e Alessandrini, ma qui, ancora una volta, è l’esterofilia (e il Verità sul cinema rientrerebbe a buon diritto nelle posizioni modello americano) a salvarli dalla mediocrità della pro- che testimoniano quella sostanziale tecnofobia che segna duzione nostrana. La riconquista dei passati fasti del cine- il discorso crociano sul cinema in Italia: la sua invettiva è ma italiano passa inevitabilmente dal modello americano di fatto “un’accesa polemica contro l’estetismo, vale a dire (e spettacolare: come l’intervento di Alberto Consiglio, nel contro l’interpretazione intellettualistica del cinema, e con- monografico, conferma).

di A.M. IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DALLA RIVISTA “PROSPETTIVE”

n. 2, “Cinema”, s.d. 1937, p. 78. RICORDI

visione, i suoi stessi standard di moderazione e decenza, con l’in- venzione di Kranz, un conduttore prestigiatore aggressivo, sadoma- (1932-2017) sochista, grottesco e borderline; che ha reinventato la letteratura umoristica con un personaggio che sarebbe piaciuto a Kafka e a Gogol, anche se ha uno storytel- PA O L O ling da Laurel and Hardy; che è stato l’unico a interpretare, da notevole comico, un personaggio inventato dalla sua lingua, che ha disseminato più di qualsiasi altra VILLAGGIO un nuovo lessico nella vita di tutti (dall’arrivo di Fantozzi la seman- tica di parole come nuvoletta, spugnato, merdaccia e soprat- tutto “tragico”, non è stata più la stessa); nessuno prima di lui, E LA VOCE nell’ Italia moderna, aveva saputo generare una maschera popolare come quella di Arlecchino. Vil- laggio ha introdotto lo slapstick del muto nella comicità popolare italiana; ha spinto la sociologia ad occuparsi degli impiegati (De Masi); ha radicalizzato la critica di costume fino agli estremi inaudi- ti di una rappresentazione della bruttezza (la mostruosità della di MARIO SESTI figlia Mariangela, un personaggio alla Tod Browning ), che intacca il tabù dei tabù di questo Paese: l’amore reciproco dei membri Fantozzi si ricor- verse persone che non ne sospet- gni, da Domenico De Masi a Chri- della famiglia; è l’unico, insieme a “ dò che non erano tavano l’esistenza, individui di stian Raimo, da Maurizio Battista Fellini, ad essere diventato un ag- ammessi rumori e generazione più recente di quel- a Neri Parenti, e quasi sempre, ad gettivo, “fantozziano” (non esiste si avventò per un la che, come la mia, che è anche un certo punto, succedeva che neanche “totoiano”: mi ha fatto chilometro nella boscaglia e solo quella di Fabio Ferzetti - che l’ ha iniziassero a imitare quella voce. notare Benigni). Tutto vero, tutto quando fu fuori portata di voce pubblicamente raccontato - face- Durante i funerali laici di Villag- giusto. Ma la profondità e vastità squarciò la notte con un ululato va sega a scuola portandosi dietro gio, alla Casa del Cinema a Roma, dell’effetto della sua creatività si preistorico”. i libri di Fantozzi, per sbellicarsi dal palco, ho fatto un test. Alzi la misura nell’origine primordiale tutti insieme, leggendoli ad alta mano chi, almeno una volta, nel- di questo gesto semplice e inelut- Provate a leggere questa frase. voce). Anche se avete riso almeno la vita, non ha mai rifatto la voce tabile. Non possiamo non imitare Descrive una delle scene più note una volta a quella o ad altre scene, di Fantozzi. Erano centinaia di la sua voce. È un suono prodotto dei film e dei libri da cui sono quasi sicuramente tenderete a persone, solo due mani si sono tra la faringe e il naso, un suono tratti: la corsa a perdifiato dopo rifare quella voce che contiene levate (di persone sorridenti che che sembra nascere da un rantolo la martellata sul dito nel camping allo stesso tempo rammarico e quasi si scusavano di non averlo fatto di terrore e rabbia insieme, dove regna il silenzio imposto dai minaccia, tristezza e rassegnazio- mai fatto). Questa è la ragione per che pretende anche una postura turisti stranieri. Provate a leggerla. ne. È la voce “lupata” (è il nome la quale il film si chiama proprio adeguata: mento schiacciato sul Il suono della voce tenderà inevi- che le hanno dato Benvenuti, De La voce di Fantozzi, ma soprattut- torace, palpebre contratte, sguar- tabilmente a scurirsi, a imitare la Bernardi e Neri Parenti). Quella to questa è, secondo me, la prova do sinistro. Villaggio ha inventato voce fuori campo dei film: se siete che Paolo Villaggio ha inventato flagrante della grandezza di chi qualcosa che significa qualcosa appassionati delle avventure di come insostituibile voce narrante l’ha inventata. di inconfondibile per chiunque, Fantozzi (lo sono moltissimo an- del ragionier Ugo. Ho intervistato Potremmo infatti dire - ed è stato ancor prima di diventare un film, che coloro che non sanno nean- decine di compagni di strada di fatto, giustamente, ancor prima di un libro, una storia o un linguag- che che i film sono tratti dai libri: Villaggio per realizzare un film su ricordarlo dopo la sua scomparsa gio, un’idea o una grammatica. È ho personalmente conosciuto di- di lui, da Dario Fo a Roberto Beni- - che Villaggio ha travolto la tele- proprio quel sostrato intessuto di RICORDI 46 - 47

fisicità e rancore, di terrore e ras- segnazione, comicità esplosiva e destino ostile (quella sensazione inconfondibile che ci ha fatto dire tutte le volte che ci siamo trovati in situazioni analoghe: “Mi sem- bro Fantozzi”), è proprio questo che Villaggio ha indissolubil- mente saldato al suono partico- lare generato da una fonazione. Nessuno può rifare quella voce e quel suono senza che un intero mondo, creato da Villaggio, non fiorisca improvvisamente davan- ti ai nostri occhi come i pop up nei libri per bambini. Vengo al punto. Nell’ultima intervi- abisso genetico e neuronale più sta della sua vita, a casa sua, su antico e indecifrabile: lo stesso in una sedia a rotelle, mi ha par- NUVOLETTAcui si confondono, ancor prima lato più dell’imminenza assurda di dividersi, grazie al linguaggio, della fine (“Perché bisogna la risata liberatoria e il gemito finire? Perché?”) del panico. È il suono di un esse- che del prodigio re gettato nel mondo, del miste- della sua carrie- SPUGNATOro del possesso di un corpo che ra, più di Kafka e più invecchiamo più ci domina Dostoevskij che (siamo sempre adagiati sul dorso di Fantozzi (“Ho di una tigre, dice il filosofo). È la più riletto che letto voce di chi sa che tutti avremo a in vita mia”, “Come il che fare col più grande Megadi- creatore di Arlecchino - mi ha rettore (la triste mietitrice) ed detto Fo – l’inventore di Fantozzi ha il coraggio di prendersene è una persona coltissima: sarebbe gioco con una risata, una tragica il momento di riconoscerlo”). La risata, “una risata alla Kafka”. La moglie Maura mi ha raccontato grandezza di Paolo Villaggio, ex che la letteratura russa e i saggi di impiegato dell’Italsider, respon- Storia sono stati da sempre terri- sabile del reparto servizi, iscritto tori prediletti della sua bulimia di e mai laureato in Legge (“Non ho lettore. Eppure quel suono, quel- mai capito cosa facesse al lavo- la voce, ha una fonte più profon- ro: forse metteva dei timbri”, mi da della letteratura, sgorga da un ha raccontato la moglie), è stata quella di vedere quel mondo, il suo spietato classismo malcela- to, la feroce idolatria del potere e la schizofrenia di sopraffazio- ne e sottomissione dalle quali è interamente dominato, l’accani- TRAGICO mento indifferente del mondo nei confronti dei nostri piani, di scrutarlo e raccontarlo da quella profondità, da quella bosca- glia silenziosa e buia nella quale MERDACCIA si generano i nostri pensieri, dalla quale si le- vano, insieme, le nostre risate, le no- stra urla preistoriche, la nostra voce lupata. MAR CO

E I FERR R

NEL TEMPO DELL’ATTESA

di GIANNI CANOVA RICORDI 48 - 49

Scomparso vent’anni fa, il 9 maggio 1997, Marco Ferreri continua a essere una delle presenze più originali, meno prevedibili e meno incasellabili del cinema italiano. Anche se molti, purtroppo, l’hanno dimenticato troppo in fretta.

ine dicembre 1996. partire, vado a Milano anch’io”. sto del nostro volo lui – il cinico ricordato Marcello Mastroianni, F Enrico Ghezzi, allo- Silenzio. Imbarazzo. Ho da poco sfrontato provocatorio nichilista scomparso giusto da una decina ra direttore del Fe- visto il suo ultimo film, Nitrato sbeffeggiante Marco Ferreri – co- di giorni, il 19 dicembre, a Pari- stival di Taormina, d’argento, ne ho anche scritto mincia a parlare. Pacato, aperto, gi. A un certo punto gli chiedo di convoca tra Natale e Capodanno sulla piccola rivista “militante” stranamente mite. Restiamo lì, lui, e lo ricordo nel film di Ferreri un convegno dal titolo “Si può che dirigo in quegli anni, “Duel”. io e lui, per qualche ora. Tempo che forse amo di più, L’uomo dai fare ma si può anche non fare, Lui per me è un Maestro, uno dei vuoto, tempo dell’attesa. Tempo cinque palloni, feroce metafo- il cinema: desideri e poetiche più grandi. Avrei tante cose da del vulcano. Parliamo anche di ra di una società capitalista che del cinema italiano fine secolo chiedergli. Sto per chiedergliele cinema, certo, ma non solo. E di annichilisce chiunque smetta di e fine millennio”. Ci andiamo quando mi anticipa e parla lui. Mi quelle ore ciò che ricordo più ni- essere produttivo. La parole che in tanti, a quell’appuntamento chiede che rapporto ho con i vul- tidamente è il suo tono di voce. dice su Marcello, e sul film, mi anomalo, in giornate solitamente cani. Non capisco se fa sul serio Il ritmo strano, quasi a scatti, confermano nella convinzione proibite per festival e convegni. o sta elegantemente ironizzando del suo discorrere. L’irrequieta che Ferreri è davvero un cineasta È un convegno bello, ricco, di oltre che con me con la categoria mobilità degli occhi, in aperto del presente. Uno capace di es- quelli che fanno pensare. Ma al che io rappresento ai suoi occhi: contrasto con la massiccia im- sere presente al proprio tempo in ritorno, all’aeroporto di Catania, i critici. Cerco di ricordare se per mobilità del corpo. Nei suoi film tutti i suoi lavori, anche in quelli tutti i voli sono bloccati: l’Etna caso ho usato metafore o simili- ho sempre adorato la convinzio- apparentemente meno riusciti, sta spargendo sulla città quella tudini vulcaniche nell’intervento ne che gli uomini siano animali più ostici, più ruvidi, più scostan- cenere nera che a volte ricopre del giorno precedente, ma non idioti, da analizzare con distacco ti (e sono tanti…). Il tempo scorre tutto e conferisce al paesaggio un mi pare. Prendo tempo. Mi sem- e con sarcasmo, con uno sguardo assieme alle parole e ai discorsi. aspetto fascinosamente sinistro. bra di ricordare che rispondo con a metà fra quello dell’etologo e Poi tutto si interrompe brusca- Gli aerei non partono e io sono una di quelle frasi interlocutorie quello dell’antropologo. Ricordo mente. Emergenza finita. I voli lì, al gate del volo per Linate, in che non vogliono dire nulla ma che mentre parla e mi incalza a ripartono. Il nostro è il primo che attesa che riprendano i voli. Lui, consentono di rilanciare la palla volte mi chiedo se per caso stia imbarcano. Alzandosi, mi dice: Marco Ferreri, si siede accanto all’altro: “In che senso?”. Figura usando anche me come l’ennesi- “Scrivi!”. Mi detta il suo numero a me. Imponente. Non ci siamo di merda. Neanche capace di ri- mo animale idiota da studiare ap- di telefono e mi dice di andarlo a mai parlati prima. Ci siamo solo spondere a tono. So che dicono profittando del tempo dell’attesa. trovare nel nuovo anno. Io quasi ascoltati nei nostri rispettivi in- che ha un caratteraccio, ora sono Già mi vedo protagonista della non credo alle mie orecchie. L’e- terventi al convegno di Ghezzi quasi certo che mi insulterà e mi sua prossima favola per adulti, mozione mi divora. Ci salutiamo il giorno prima. “Vai a Milano azzannerà, trasformandomi nel sadica e crudele, che racconta la così, mentre sulla pista il movi- anche tu?”, mi chiede con il suo capro espiatorio di una categoria crisi identitaria del maschio con- mento degli aerei solleva da terra tono solo in apparenza burbero. professionale che probabilmen- temporaneo scisso fra la pulsione la cenere nera. Non ci saremmo Anche se sono seduto, sento che te non gli sta particolarmente al suicidio (Dillinger è morto, La più rivisti. Marco Ferreri sarebbe mi tremano le gambe. Ferreri, simpatica. Invece no. Mentre il grande abbuffata) e quella all’au- morto di infarto a Parigi, come proprio lui, marcoferreri, che par- tabellone elettronico aumenta toevirazione (L’ultima donna). Mastroianni, il 9 maggio del 1997. la con me! “Sì, se l’Etna ci lascia di altre due ore il ritardo previ- Al convegno, il giorno prima, si è MARCO, I LOVE YOU

di NICOLE BIANCHI

Intervista a Nicoletta Ercole, amica fraterna e produttrice del docufilm dedicato al regista e diretto da Anselma Dell’Olio. RICORDI 50 - 51

Come nasce l’idea di dedicare un progetto a Marco Ferreri?

Per me Marco rappresenta tutto: ho praticamente iniziato la mia car- riera di costumista con lui, un autore di fama internazionale, da me adorato. Lo conobbi a una cena a Parigi, a cui fummo portate da Mar- cello Mastroianni io e sua figlia Barbara, durante la lavorazione de La grande abbuffata e ne rimasi folgorata. Essere chiamata – fu una telefo- nata surreale: “me serve ‘na costumista che me vesta ‘na scimmia co’ una pelliccia de giaguaro” - avere la sua fiducia, fu un privilegio e da allora Marco ed io non ci siamo mai più lasciati, sia nella vita profes- sionale che personale: lui e sua moglie Jacqueline sono stati la mia se- conda famiglia, le prime persone a sapere che aspettavo un bambino. Quando lavoravo con lui, erano 24 ore su 24, tutta la settimana, con l’enorme piacere di gustare l’intera lavorazione del film. Adesso vole- vo ringraziarlo, dopo vent’anni, perché per me Marco è ancora vivo.

Due donne per Ferreri, lei e Anselma Dell’Olio, una costumista e una giornalista che hanno, per l’occasione, deciso di vestire altri ruoli.

Poco prima che iniziassimo la lavorazione di Ciao maschio (1978) a C’è un apporto significativo di girato d’archivio. Quanto è stato New York avevo incontrato Elio e Paola Petri, che mi avevano parlato imprescindibile e come lo avete gestito nell’economia del rac- di una loro cara amica, che viveva tra Los Angeles e New York, femmi- conto? nista, americana che parlava perfettamente italiano, e così pensammo subito di suggerirla a Marco come dialogue coach. Era Selma. Lei poi È stato anche questo un aspetto abbastanza faticoso. Dapprima sia- venne a Roma, girammo anche a Cinecittà, fece un piccolo ruolo ol- mo andati al Luce, poi a Rai Teche. Esiste, all’Istituto Luce, il Fondo tre che la coach e la revisione dei dialoghi. Fu davvero bistrattata da Canale: Mario Canale, un mio caro amico, un giorno mi chiese di pre- Marco, come lui faceva con le persone di cui non poteva fare a meno, sentarlo a Ferreri, voleva intervistarlo, lui era molto restio, ma con il e a fine lavorazione, periodo in cui io mi ero appena separata, la invi- modo dolce di Mario, e in virtù della nostra amicizia, negli ultimi anni tai a rimanere a casa mia e così lei è rimasta in Italia. Ora ho pensato: sono riuscita a persuadere Marco, per cui Canale ha messo insieme un chi meglio di Selma - straordinaria giornalista, cinefila accanita, che po’ di materiale, che però sapevo essere già stato utilizzato più volte da adora il cinema e adora Marco, che la trovava una donna intelligente lui stesso. Al Luce, Roberto Cicutto ci ha subito messo in contatto con – poteva fare il film con amore? Io ho una piccola casa di produzione, l’Archivio. Oltre a questo, la parte francese arriva da INA, Institut Na- Nicomax Cinematografica, nata una decina d’anni fa, con cui abbiamo tional dell’Audiovisuel, ‘il Luce francese’, e quella inglese dalla BBC. prodotto anche un documentario importante, Dante Ferretti: scenogra- fo italiano, dunque per questo docufilm sono produttrice. Produttivamente, quando è iniziato il lavoro, come lo avete organizzato, cosa ha comportato da un punto di vista esecutivo? Cosa avete deciso di raccontare di Marco Ferreri, qual è il cuore della narrazione? Abbiamo fatto tutto molto di corsa, una corsa spericolata. Non so nemmeno io come. Una cosa a cui tenevo era che fosse ricordato Il taglio che abbiamo scelto – mi è piaciuta la proposta di Selma – è a Cannes, perché lui ha dato la vita per l’Italia ma anche molto alla stato quello di raccontare il suo cinema attraverso le immagini dei Francia, che gli deve molto, ma la cosa è reciproca, anche perché la suoi film. Siamo riusciti a trovare chicche inedite, come la conferenza sua morte è avvenuta proprio il 9 maggio ’97, giorno di apertura del stampa di Cannes subito dopo La grande abbuffata, che fece scandalo a Festival di Cannes quell’anno. Così abbiamo corso perché lì ci fosse suo tempo, o interviste di Marco produttore di Michelangelo Antonio- un primo ricordo, abbiamo presentato un trailer del film, le cui riprese ni. Poi abbiamo avuto l’onore delle testimonianze di Sergio Castellit- sono iniziate a gennaio. to, Isabelle Huppert, Hanna Schygulla, Dante Ferretti, Andrea Ferreol, Ornella Muti e Roberto Benigni che, con una grandissima generosità, Quale destino avete immaginato per il vostro progetto? Si po- facendo qualcosa che credo nessuno abbia mai fatto per un regista o trà vedere in sala, oppure preferite destinazioni più specifiche un attore, ha scritto per Marco una poesia in endecasillabi, recitata nel come festival o rassegne? film. Di personale non si racconta assolutamente nulla: qui è lui che parla di se stesso; abbiamo trovato interviste con Costanzo o con un Il film deve andare in sala! Lo vogliamo ardentemente. Il film non è Gigi Marzullo ante litteram, in cui lui parla di sua madre, suo padre, del un documentario, è un docufilm, un film sull’arte di Marco, La lucida voler fare il veterinario. Ci sono frasi sublimi come “aho’ me so’ rotto follia di Marco Ferreri, quella lucida follia che anticipava i tempi, i sen- le palle, tu vuoi che uno faccia sempre il ragioniere dei sentimenti!”. timenti: eravamo nell’86 e in I Love You con Christopher Lambert ha Il film si struttura sul cinema di Marco con quattro temi: redenzione inventato l’amore virtuale. Tutto è nato perché Marco perdeva sempre e distruzione, come vita e morte, la donna, il cibo e l’amore, infinito, le chiavi di casa: una volta lessi su un giornale in lingua inglese di un anche per tutto quello che è immagine. Quello che si evince è che lui oggetto che se tu fischiavi rispondeva suonando, gliene parlai come ha saputo anticipare di trent’anni tutti i temi più attuali. sistema per le sue chiavi e lui da lì diede vita al film, che ricorda storie di trent’anni dopo come Her (2013). Ferreri aveva fatto costruire una testina di bambola perfetta come una Barbie che rispondeva, al ma- schio castrato e frustrato, “I love you”. INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano?

LA SCENOGRAFIA ITALIANA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

LA STRADA, IL TEATRO O IL COMPUTER? di GIANNI CANOVA

L’avvento del digitale e delle nuove tecnologie computerizzate mette in crisi la tradizionale dicotomia fra scenografia di studio e scenografia di strada ed apre nuove prospettive (oltre che nuove metodologie produttive) per la costruzione di quei mondi effimeri in cui si svolgono le azioni e vivono i personaggi dei film. INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 52 - 53

n tempo lo scenografo era quel membro della troupe a U cui era affidato il compito di costruire o simulare qualsi- asi ambiente, dal porto di Marsiglia alla hall di un hotel di Casablanca. In poco tempo, lavorando con bozzetti, tele dipinte, fotografie ingrandite e prospettive stilizzate, lo scenografo creava mondi finti che dovevano dare una parvenza di realtà all’arti- ficio del cinema. Al contempo architetto e designer, carpentiere e arredatore, progetti- sta ed esecutore, lo scenografo disegnava spazi e luoghi che dovevano prendere il posto della realtà e funzionare come surrogati del mondo. Poi, a partire dal Neorealismo e dalla Nouvelle Vague, si è sviluppa- to un culto del cinema basato sulla scenografia naturale, sul rifiuto dell’artificio scenografico, sulla preferenza per le scene “dal vero” rea- lizzate in set fatti con fette, spicchi e frammenti di mondo. Lo scenografo è diventato allora l’esploratore del cinema: colui che fra location e sopralluoghi scova nel mondo cosiddetto “reale” gli spazi adatti per far vivere quel dato personaggio o per ambientarvi quel tale film. Da “illusionista scenotecnico”, lo scenografo è diventato un tour operator e un talent scout ambientale, sempre restando però, in sostan- za, l’art director del film: assieme al direttore della fotografia, in fondo, proprio lo scenografo è il primo responsabile dell’immagine. Se è vero che il cinema è l’arte di esprimere l’interiore attraverso l’este- te, lo scenografo è un architetto che nega le caratteristiche essenziali riore, una delle funzioni principali della scenografia – come ha scritto dell’architettura: la durabilità, la stabilità, la resistenza. Su un set, nes- Michel Chion – è quella di tradurre in spazi o in ambienti il mondo in- suna di queste categorie ha diritto di cittadinanza: tutto ciò che viene teriore di un personaggio. Di fatto è lo scenografo a stabilire il clima costruito è destinato ad essere distrutto di lì a poco, dopo aver lasciato generale di un film, a segnarne e a definirne la spazialità, a connettere una traccia o un’impronta di sé solo nel film. Officina di mondi impal- in modo credibile gli interni e gli esterni, i set artificiali e le scene in pabili, la scenografia cinematografica usa la materia per produrre spa- location. A capo di una squadra di operai (falegnami, stuccatori, deco- zi virtuali che tuttavia devono dare la sensazione di poter essere (o di ratori, muratori, fabbri, pittori, elettricisti, carpentieri, zincatori, e così essere stati) veri: è qui, in questa contraddizione, in questa vocazione via) lo scenografo è un artigiano-demiurgo che crea mondi destinati a al contempo costruttiva e dissipativa, che la scenografia sprigiona il suo non durare oltre il tempo di un ciak. Perché questo affascina nel lavoro fascino, la sua forza simbolica, il suo senso. dello scenografo: il carattere effimero delle sue creazioni. Il fatto che Ma come cambia oggi il lavoro dello scenografo nell’era dei location ogni scena sia destinata a essere distrutta in quanto realtà tangibile manager, del mapping, della computer graphic? Che ruolo svolgono le subito dopo essersi impressa nelle immagini del film. Paradossalmen- nuove tecnologie nel superare la vecchia dicotomia fra la scenografia di strada e la scenografia di studio? E come si ridefinisce l’eccellenza della scuola italiana (quella – per intenderci – che ha prodotto non solo Dante Ferretti e , ma maestri di fama e pre- stigio internazionale del calibro di , Bruno Cesa- ri e Osvaldo Desideri) nell’impatto con la rivoluzione in atto? C’è una nuova generazione in grado di raccogliere l’eredità della vecchia e di rilanciarla nel mondo digitale? Come si articola e dove si esprime l’in- novazione nella scenografia contemporanea? Questo servizio di 8½ prende le mosse da questi interrogativi e cerca di formulare qualche risposta. A partire dalla consapevolezza che lo scenografo non neces- sariamente deve saper “costruire”: deve piuttosto saper “immagina- re”. A suo modo, è anch’egli uno scrittore o un narratore: colui che dà al racconto il suo habitat, e che rende visibili i mondi in cui azioni e passioni possono aver luogo. Lo diceva già qualche anno fa, con la consueta e provocatoria chiarez- za, un grande critico come Serge Daney: se il cinema classico ha avuto come protagonista la folla e il cinema moderno ha posto al centro di tutto l’individuo, il cinema contemporaneo è caratterizzato invece dal- la centralità dello spazio e dal protagonismo del décor: dalla necessità cioè di rendere visibile, prima di tutto, l’imprescindibile significanza dell’ambiente umano. ARCHITETTI di NICOLE BIANCHI INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 54 - 55

Breve storia della scenografia in Italia, da Cabiria a Il racconto dei racconti.

iovanni Pastrone mento Liberty, momenti astratti G con La caduta di e surreali per creare un sincreti- Troia (1911) speri- smo formale. menta costruzio- ni prospettiche, ma è Cabiria La commedia dei “telefoni (1914), kolossal del muto - sce- bianchi” compone le proprie nografie di Luigi Romano Bor- scenografie con gli oggetti della gnetto e Camillo Innocenti - modernità e alcuni luoghi: grand che fa cadere la fissità dei quadri hotel e locali notturni. Questo animati. La varietà delle riprese, cinema si fa banco di prova per sia in cartapesta che in esterni – le Guido Fiorini (poi Nastro d’Ar- Alpi, il deserto africano - si rivela gento per Miracolo a Milano), straordinaria. Cabiria usualmen- Gino Sensani, Antonio Va- te viene considerato l’esordio lente che, per le riuscite inven- della scenografia cinematografi- zioni grafiche, contribuiscono a ca italiana, pur se si rintraccia nel rendere queste produzioni una 1905 il primissimo scenografo ac- sintesi dell’estetica piccolo-bor- creditato, Augusto Cicognani, ghese del tempo. In questo con- per La presa di Roma di Filoteo Al- sesso anche Pietro Ascheri, sue berini. È il periodo del Futurismo, le scenografie di Scipione l’Afri- che però non riesce a far proprio il cano (1937), che inaugurano uffi- cinema. L’influenza avviene, piut- cialmente gli studi di Cinecittà, e tosto, in senso contrario. I film Virgilio Marchi, che trasforma riconducibili al movimento sono il décor in architettura cinema-

pochissimi: Thaïs (1917) di Anton tografica e privilegia lo studio DEL CINEMA Giulio Bragaglia, con le scene di della verità ambientale, anche Enrico Prampolini. Effetti di in collaborazione con Roberto “scenografia fotografica”, arreda- Rossellini. È proprio dal periodo post bellico che viene la rivolu- Dalle ambientazioni in studio zione: Mario Chiari, allievo di della commedie Anni ’30 si pas- Marchi, costruisce le scene de I sa al naturalismo del Neoreali- vitelloni, Le notti bianche – per la smo. La svolta è Roma città aperta nebbia non sono usati i fumoge- (1945): a livello scenografico, con ni ma il tulle -, cimentandosi poi la cura di Rosario Megna, c’è nel realismo di Una vita difficile, Il grande e consapevole utilizzo dei giardino dei Finzi Contini, anche in luoghi all’aperto, l’architettura Guerra e Pace di King Vidor, occa- della Città eterna è protagonista. sione per coinvolgere, come assi- Altro caposaldo Germania anno stenti, quelli che saranno poi tra zero (1947), in cui, sempre Rossel- i migliori scenografi del futuro: lini, con la scenografia di Piero Gianni Polidori, , Filippone, muove la macchina Piero Gherardi. Polidori, il più da presa tra le macerie di Berlino giovane a farsi notare, si diploma distrutta dai bombardamenti. al CSC e raggiunge il successo con , solo parzial- Bellissima (1952), curando il pri- mente riconducibile al movimen- mo Antonioni de La signora senza to, apre la strada alla riscoperta camelie, collaborando con Pie- della realtà con Ossessione (1943), trangeli, Lattuada e Corbucci nel peplum Maciste contro il vampiro. INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 56 - 57

ma raggiunge i vertici con La terra trema (1949), summa di tutte le sue influenze artistiche e cultu- rali. Con la scenografia di Mario Garbuglia realizza Il Gattopardo (1963) e L’innocente (1976). Alla maestria di Visconti si appaia anche il nome di Ferdinando Scarfiotti, con Dante Ferretti considerato l’esportatore della scenografia italiana nel mondo: sue le scene, colme di suggestio- ni pittoriche, di Morte a Venezia (1971).

Dalla metà degli Anni ’50 il cine- ma italiano lascia il Neorealismo per tematiche esistenziali, stili e punti di vista più introspettivi

che descrittivi. è il primo ad imporsi con Deserto Rosso (1964), film che concorre alla sua definizione di “architetto del cinema”, che il re- gista conquista con la complicità scenografica di Piero Poletto. Sono gli indimenticabili Zabrin- skie Point (1970) – scenografia di - e Professione: reporter (1974), scenografato an- cora con Poletto. Negli Anni ’60 s’impone anche l’assistente scenografo Dante per L’età dell’innocenza, la collabo- quel C’eravamo tanto amati (1974) Danilo Donati, il cui tratto ri- Ferretti, che sempre con lui fir- razione con Scorsese conosciu- in cui, insieme, osano passare dal mane la dichiarata costruzione ma Medea (1969), suo primo la- to anni prima a Cinecittà sul set bianco e nero al colore nello stes- dell’artificio, che lo scenografo voro in proprio. de La città delle donne, una colla- so film. concerta con Fellini a partire dal borazione che consente a Ferret- Satirycon (1969), in cui stravolge Centrale del periodo lo stile per- ti di liberare la propria fantasia: È ancora grazie a Pier Paolo Pa- completamente l’immaginario sonalmente immaginifico di Fe- Casinò (1995), Kundun (1997), solini che anche Bernardo Ber- dell’antica Roma, come anche derico Fellini, esaltato dai soda- Gangs of New York (2002) - per tolucci si avvicina al cinema: per nella visione della nostalgia in lizi con Piero Gherardi (Le notti il quale ha ricostruito la New lui è fondamentale l’opera prima Amarcord o nella decadenza del di Cabiria, La dolce vita, 8½…), con York di fine ‘800 nei teatri di posa Accattone, in cui è assistente sul Settecento veneziano per Il Ca- Danilo Donati, ma anche da quel- di Cinecittà - The Aviator (2004), set. Bertolucci non resta però sanova di Federico Fellini (1976), lo con Dante Ferretti, durato Hugo Cabret (2012), la più parte connesso al mondo pasolinia- Oscar per i costumi. Pier Paolo cinque pellicole, da Prova d’orche- condivisi con la moglie, l’arreda- no, segue piuttosto lo studio an- Pasolini ne Il Vangelo secondo stra (1979) all’ultimo La voce della trice Francesca Lo Schiavo. Dalla tropologico dell’individuo e del Matteo (1964) racconta la vita luna (1990). Le imponenti sceno- collaborazione Fellini-Gherardi suo relazionarsi ai mutamenti di Cristo abbandonando gli or- grafie del maestro marchigiano si si definisce anche il profilo di Lu- sociali. In Novecento (1976) cari- pelli dell’iconografia tradizio- rivelano complici della fantasia ciano Ricceri, accanto a Gherar- ca le immagini con luci e colori nale, avvalendosi di una forma onirica delle atmosfere felliniane. di sin da La dolce vita (1960), fede- propri di certa “pittura agreste” che alterna camera a mano a Ferretti deve in qualche modo la le a Dino Risi per otto pellicole, - Miller, van Gogh e Pellizza da immagini proprie della pittu- propria fama internazionale pro- ma identificato come “lo sceno- Volpedo -, con una scenografia ra quattrocentesca: esordisce prio a Fellini: nel ’93 prende vita, grafo di Ettore Scola”, anche per a sei mani di Maino, Quaranta INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 58 - 59

e Frigerio. Anche per lui impre- scindibile Ferdinando Scarfiot- ti, che dopo Ultimo tango a Parigi (1972) espatria negli Stati Uniti e esordisce curando American Gi- golò (1980), anche se la collabo- razione con Bertolucci non s’in- terrompe, trionfando ne L’ultimo imperatore (1987).

Sulla fine degli Anni ‘50 si svi- luppa il genere della Commedia all’italiana, con effetto domino sul filone comico-teatrale, quello sociale, politico, dell’animazione, ma è il cinema di genere a con- ferire significativa visibilità alla scenografia: La decima vittima di Elio Petri (1965), scenografato da quel Piero Poletto già fedele collaboratore di Antonioni, met-

te in scena opere di Alberto Biasi cura le scene più pionieristiche dall’effetto bicromatico, psiche- della “nuova” scenografia: Nirva- delico, fortemente identificativo; na (1997), La leggenda del pianista poi, tutto il cinema di Leone, per sull’Oceano (1998). S’approda così la quasi totalità creato con le sce- agli anni più recenti, con film di nografie di Carlo Simi. Con una intensa potenza visiva: Il racconto carriera iniziata poco più che ven- dei racconti (2015), scenografia di tenne ne La grande guerra (1959), Dimitri Capuani e Alessia An- , dagli Anni ’80, fuso, e Lo chiamavano Jeeg Robot collabora con Bellocchio, An- (2015), scenografie di Massimi- tonioni, Zeffirelli, ma la grande liano Sturiale: entrambi sono sintonia nasce con Giuseppe Tor- piena espressione di una visio- natore per Nuovo cinema Paradiso ne che ha cambiato pelle, figlia (1988) e stringe un’altra fraterna dell’ibridazione tra tradizione e collaborazione con Ferzan Ozpe- scenografia computerizzata nata tek. L’ultimo decennio del Nove- nell’ultimo decennio del secolo cento vede il trionfo internazio- scorso. nale di Roberto Benigni con La vita è bella (1997), scenografie e costumi di Danilo Donati, che torna con il regista toscano per Il mostro (1994). Ma questo è anche il momento della sperimenta- zione digitale: Giancarlo Basili PITTURA E VELOCITÀ di OSCAR COSULICH

8 scenografi raccontano il mestiere e guardano al futuro: Giancarlo Basili, Ludovica Ferrario, Sonia Peng, Marta Maffucci, Tonino Zera, Paola Bizzarri, Maurizio Sabatini, Dimitri Capuani.

Com’è cambiata la scenogra- scelto: un modo di lavorare uni- fia nel cinema italiano? co, da vero maestro. Così abbia- La CGI non l’affascina? mo ricostruito un’architettura Io ho cominciato con il teatro: immaginaria, funzionale al rac- Che sia impegnato o meno in un opera e prosa. Con Ronconi e i conto. film d’epoca, io non posso pre- grandi registi sono entrato nella scindere dall’arte: la mia ricerca scenografia visionaria del pal- Quanto è importante l’inter- estetica è sempre sui pittori. Per coscenico. Con Marco Ferreri vento sulle location? Nirvana, ad esempio, ho attinto (Chiedo Asilo, 1979) e Marco Bel- da Bruegel, Bosch ed Escher. An- locchio (Gli occhi, la bocca, 1982) Se non fai vivere il luogo non ser- che ora, che sto lavorando con poi, ho compreso le differenze ve uno scenografo, basta il loca- Giordana su Nome di donna, l’arte col cinema. Oggi il cinema ha tion manager! C’è da fare prima rimane per me l’elemento fonda- preso un’altra piega: prima rico- una grande ricerca del luogo e, mentale. Facendo solo film d’au- struivamo nei teatri, ora si va in subito dopo, del luogo attraver- tore, ho la possibilità di dedicar- ‘location’. Il cambiamento dal so la storia. Questo si può fare mi a un cinema con la sensibilità cinema felliniano è stato tornare con registi che abbiano la giusta di curare dettagli e particolari. al Neorealismo, su set naturali sensibilità, come Moretti, Mazza- con l’intervento scenografico. La curati, Salvatores, Giordana, solo Come vede il futuro del suo mia base teatrale aiuta ad entrare per citarne alcuni. Io lavoro coi lavoro? in spazi dove intervenire per tra- colori, i toni e le atmosfere, sugli sformare un luogo già esistente spazi reinventati per il racconto. Lavoro ancora con le mani, tutto nel set della sceneggiatura, in col- ciò che si può manipolare nell’ar- laborazione col regista. Che rapporto ha con la com- te è essenziale. Lo scenografo è puter grafica? chiamato sempre più spesso a Ci fa un esempio? fare grandi allestimenti. Io ho cu- Ho fatto Nirvana partendo da rato il padiglione italiano all’Expo Ne La tenerezza mostriamo Na- zero, mi sono inventato questo di Shanghai e il padiglione zero a poli in location reinventate, la luogo all’interno di una struttura Milano. L’arte mi affascina di più scenografia è quasi surreale. abbandonata e lì gli effetti spe- se la si può toccare: penso che la All’interno di quel progetto c’è ciali erano appena un 2%. Uso scenografia cinematografica sarà Giancarlo Basili: Giancarlo le mani” con ancora “Lavoro un lavoro importante di geografia il computer e gli effetti solo se sempre più spesso a disposizione del luogo, in rapporto alla sto- hanno una vera funzione, ma nel dello spettatore, per poterla ‘at- ria. Gianni Amelio ha riscritto la nostro cinema sono usati poco: traversare’. 1 storia in base ai luoghi che avevo spesso i registi ne hanno terrore. INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 60 - 61

Esiste una nuova scenografia diversi. In me c’è la ricerca di nel cinema italiano? proporzioni non solo estetiche, ma estetico/emotive, in rapporto Il nostro cinema è legato al Ne- con la luce e l’architettura. Poi c’è orealismo e al realismo magico: anche la ri-rappresentazione: la il bagaglio culturale italiano e la pittura, la fotografia, la compo- capacità delle nostre maestran- sizione e quindi anche la musica. ze nel ricostruire dal vero ha un po’ rallentato il ‘nuovo’. Con The Scenografia cinematografica e Young Pope c’è stata la pre-visua- televisiva, cosa cambia? lization su quanto ricostruire e La mia esperienza dice che non vi quanto realizzare in post. Gli ef- è differenza, se non nella tenacia fetti speciali non negano le nostre di mantenere lo stesso rapporto tradizioni, ma danno la possibili- di qualità del racconto, come in tà di creare un linguaggio diverso, un lungo film. L’approccio e il intervenendo in post-produzio- metodo non cambiano. Non mi ne. Mi piace mischiare le tecni- sento diversa se lavoro in un film, che. Il progresso tecnologico va o in una serie tv, cambiano solo i accolto come appropriazione ita- rapporti di scala temporale, saper liana della fantasia. vedere di volta in volta le priorità per curare il lavoro. Questo ha cambiato il suo ap- proccio? Cosa non le piace nel cinema italiano? Io sono un diesel: ho bisogno di metabolizzare. Le possibilità del Credo che il gusto sia soggettivo, cambio di prospettiva, viaggiare non sopporto la sciatteria, o l’e- e vedere mondi nuovi attraverso sigenza di raccontare senza una la tecnologia, non debbono far vera urgenza. Quando c’è signi- dimenticare l’urgenza di contat- ficato, anche semplice rispetto e to con la realtà. Nel nostro lavoro cura, emerge il privilegio di uti- questo è indispensabile per dare lizzare questo strumento per fare significato. L’immediatezza fun- cultura. ziona con internet e il computer per l’associazione di idee, ma i Com’è la sua scenografia ide- sopralluoghi con fotografie ser- ale? vono a riprendere la realtà e farla mia. Trovo assurdo che oggi non Non credo ci sia un ‘come deve ci facciano più stampare le foto essere’, mi piace pensare esista attaccandole al muro e ci si limi- una figura come il regista che con ti alla loro visione sul computer: polso, come un direttore d’orche- quelle pareti di foto servivano a stra, guidi le scelte che ognuno di metabolizzare la ricerca. Il pro- noi come ‘strumento’ interpreta, gresso e la tecnologia devono es- modula, armonizza in ascolto e sere lo strumento per un contatto con l’altro. ulteriore, non minore. Immagini il futuro del suo la- Quali sono i suoi riferimenti voro. Ludovica Ferrario: Ferrario: Ludovica la ricerca” “Metabolizzare estetici? Mai uguale e sempre in movi- mento, di pari passo con il cam- 2 M’interessa la novità di sguardo biamento dell’uomo e l’urgenza che ogni nuovo progetto dà l’oc- di raccontarsi ed esprimersi con i casione di esplorare. Per metter- mezzi a disposizione. mi a servizio del racconto i rife- rimenti sono mutevoli e sempre Com’è cambiato il suo approc- Quali sono i suoi riferimenti cio alla scenografia? stilistici?

Ora mi avvicino al lavoro con Più pittorici sui colori che non molta più sicurezza che nel 1992, architettonici, anche perché io ai tempi di Un’anima divisa in due non costruisco quasi mai: il mio di Soldini, la prima scenografia è un percorso nato nelle location. firmata da me. La tecnologia ha Ci sono scenografi che hanno la rivoluzionato non solo la nostre fortuna di costruire e gli affidano vite, ma l’approccio a tutto, velo- queste cose: io invece, lavoran- cizzando il modo di lavorare. Con do spesso in location, faccio un WhatsApp puoi vedere in diretta lavoro di ‘adattamento’. Pittura l’avanzamento del lavoro senza e fotografia sono di grande sup- recarti necessariamente sul luo- porto come riferimento visivo. go. Forse in questo si può trova- Certo l’ambizione sarebbe fare un re una similitudine su come ci Barry Lyndon, o un film sull’anti- si avvicinava alla scrittura prima ca Roma. Non biasimo la comme- dell’avvento del computer, visto dia, mi viene facile farla, ma mi che oggi si può manipolare ogni piacerebbe tanto misurarmi su testo senza per questo stracciare un progetto dove devi costruire, i fogli scritti a macchina: tutto è disegnare le cose, i mobili, fare più fluido. lunghe ricerche, misurarmi con la ricostruzione storica. Al fan- La maggiore velocità è un han- tasy non oso nemmeno pensare, dicap? è troppo per me: in Italia c’è solo Garrone che può affrontarlo, lui Sonia Peng: Sonia veloce” troppo “Oggi è tutto Oggi hai talmente tanta fretta che è un artista completo, con occhio non c’è più tempo per quelle lun- da pittore, riesce a dare poesia ghe preparazioni che davano la persino a un esterno su deserto. 3 possibilità di lavorare al meglio. Quando ho iniziato questo lavoro Come vede il suo futuro? per i film avevamo nove settima- ne, ora ci sono casi in cui magari Immediatezza e poco tempo, te ne danno solo tre o quattro, il supportata dalla tecnologia, con che vuol dire che il tempo per la un assistente che manda a stretto preparazione è inesistente. Il ri- giro quello che sta facendo, senza sultato è che dobbiamo sbrigarci incontri in ufficio per esaminare e abbiamo meno tempo per pen- materiali e progetti. Ma se non sei sare. su un film da cinque settimane e puoi preparare tutto per bene, al- Quindi la qualità ne risente? lora si può tornare a fare i model- lini e giocare con tutto quello che Tutto diventa un escamotage per appartiene al nostro mestiere. ottimizzare al meglio le minori risorse a disposizione: in questo modo l’obiettivo diventa dare il massimo coi mezzi che hai. Sul set (e non solo sul set) oggi è il tempo ad essere la cosa che ha maggior valore, perché solo se hai abbastanza tempo puoi otte- nere di più con pochi mezzi. Na- turalmente questo è il mio punto di vista, perché le prossime ge- nerazioni saranno nate con poco tempo e non avranno problemi, perché per loro sarà normale la- vorare così. INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 62 - 63

La scenografia italiana è cam- problema è che si fa l’occhiolino biata? agli inglesi per la ricostruzione storica e agli americani per l’azio- L’avanzamento della tecnologia ne e la psicologia dei personaggi. impone tempi diversi di lavoro, Per questo non vedo una ‘nuova’ ma le modalità sono le stesse: scenografia italiana, ma la sco- leggi il copione, cerchi le imma- piazzatura dell’estero: non c’è gini e devi essere creativo sulle autonomia. Nel caso dei film di Quali sono i problemi maggio- richieste del regista. Ambienti Sorrentino, invece, se non fosse ri del suo lavoro? virtuali e chroma key sono un esistito Fellini non credo ci sa- avanzamento, non un’aggiunta: rebbe l’immagine che lui ora rico- Vorrei dei tempi di preparazione in postproduzione c’è qualcun struisce. giusti per arrivare alla realizzazio- altro e in questo senso sono una ne delle scenografie, invece sono limitazione. Quali sono i suoi modelli este- sempre più forzati. Ora è vero tici? che sotto stress puoi essere più Quindi la tecnologia può di- creativo, ma a tutto c’è un limite. ventare un handicap? Le ricerche d’immagine e le in- Oggi lo sforzo è doppio, perché tuizioni arrivano dalla musica, la le possibilità che abbiamo non le Miscelare il virtuale e il reale è fotografia, i documentari: non c’è dobbiamo sprecare: noi diven- per me sicuramente un vantag- un unico campo d’esplorazione. tiamo gli occhi del regista, da soli gio, una possibilità in più. Ad La pittura è colonna portante, non esistiamo e bisogna lavorare esempio, se su Diaz – non pulire ma lo stimolo può arrivare da in buona compagnia. questo sangue non avessimo avuto qualunque cosa. Noi cerchiamo la possibilità di utilizzare la co- di rimandare immagini con lega- Com’è un regista ‘di buona struzione in digitale, allora non me al passato, magari in maniera compagnia’? avremmo nemmeno potuto co- subliminale, rielaborato in forma struire fisicamente 250 metri di moderna. C’è chi è in grado di lavorare in- strada a Bucarest. Diversamente sieme allo scenografo e chi gli si da 30 anni fa, scenografia ed ef- In che senso moderna? affida ciecamente. Io preferisco fetti speciali sono due mondi che quelli con cui interagisco, sennò si uniscono: devi conoscere chi Io, che mi avvicino ai 60, ho il pia- gli stimoli non arrivano. Se doves- realizza i set in 3D. Siamo diventa- cere di vedere e capire Antonioni, si fare solo quello che mi viene in ti più ‘tecnici’, consci di ogni fase ma è tutto molto lento, ci sono i mente non sarebbe stimolante e della lavorazione. vuoti per l’elaborazione dell’im- non ci sarebbe crescita. magine. Oggi tutto è suggerito Questo crea difficoltà? e sbattuto in faccia, la fruizione

Marta Maffucci: Marta Maffucci: in cima a una montagna” “Non puoi vivere è completamente diversa. Non I tempi di lavorazione hanno puoi fare scenografia vivendo in preparazioni molto contratte ri- cima a una montagna: da parte 4 spetto a dieci anni fa: tutto è più mia cerco di sperimentare sem- veloce e devi essere all’altezza di pre cose nuove, forzando cose governare questi meccanismi. Il provate nel lavoro precedente. Il suo lavoro è cambiato con la Integrare il lavoro di tutti è dif- tecnologia? ficile?

Credo proprio di sì: la computer C’è un cambio di approccio tec- grafica dà un’impostazione diver- nico di costruzione tra la visione sa a livello visivo. Ricordo che la- artigianale e quella tecnologica, vorando su una pubblicità diretta perché ci sono varie componenti. da Spike Lee, preparavo bozzetti È un lavoro più lento e difficol- e plastici e lui mi ha subito detto: toso di ricostruzione perché la ‘Ma hai visto Troy e The Day After tecnologia necessita di una forte Tomorrow? Inizia a concepire preparazione e postproduzione. cose così’. È chiaro che ora si af- Per Wonderwell di Vlad Marsavin, frontano gli aspetti scenografici ad esempio, ho ricostruito tutti in maniera totalmente diversa dal i boschi a Cinecittà e questo vo- passato e questo accade quoti- leva dire avere discussione e cre- dianamente. atività continua coi tecnici CGI americani e il direttore della fo- Anche sui film italiani? tografia. Ora il film è finito, ma ci scuola della scenografia italiana: vorranno ancora otto/nove mesi Ferretti, Crisanti, Baraldi, Frigeri In questi giorni sono in giro per di postproduzione: è un lavoro e Scaccianoce. location con Matteo Rovere per più lungo, anche se il modello è un film sulla storia di Romolo e sempre la ricostruzione pittorica. È ottimista sul futuro del no- Remo. È chiaro che essendo am- stro cinema? bientato nella pre-Roma servirà Il passaggio dal reale al virtua- la CGI per ricostruire i villaggi: or- le la disturba? Il futuro lo immagino positivo: ci mai il cinema si vede in maniera sono giovani molto bravi, attenti diversa rispetto anche solo a un Scambiarsi dati in tempo reale e preparati anche sul CGI e poi decennio fa. accelera molto il processo, anche questo è il Paese di Fellini, Ger- se io amo il sistema tradizionale mi, Rosi, Sorrentino, Garrone: c’è A livello pratico cosa è cambia- di costruzione. Comunque ora sempre stato un grande cinema to? siamo tutti abituati a lavorare in nel nostro Paese. questo modo. Direi che si è per-

Tonino Zera: Zera: Tonino di Fellini” è il Paese che questo “Non dimentichiamo Pensiamo solo ai bozzetti: io ero sa un po’ di verità e che a volte abituato ai Dante Ferretti, con mancano gli equilibri visivo/pit- grandi disegnatori pittorici. Ora torici. Pensi al fascino dei cieli e 5 tutti i ragazzi, gli assistenti, gli dei mari della pittura di William sketch artist e i concept artist, ar- Turner, non ritroverà più quelle rivano da diverse parti del mon- suggestioni nelle ricostruzioni di do e affidi loro lavori ‘sezionati’ oggi, che hanno perso la natura- rispetto alla totalità del film: uno lezza di qualche anno fa. Si gioca fa il villaggio medievale, l’altro il più sulla sorpresa e la meraviglia castello, c’è chi cura la strada. Co- che non su stimoli artistici, ma c’è munque si parte sempre da una sempre una base pittorica, perché base pittorica, su cui subentra il tutti fanno riferimento ai grandi matte painting digitale e la com- artisti del passato. Personalmen- puter grafica. te poi, guardo sempre alla grande INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 64 - 65

Esiste una ‘nuova scenografia’ Quali sono i suoi principali ri- nel cinema italiano? ferimenti estetici?

Non credo, penso sia sempre esi- Arte, pittura, fotografia, archi- stita un’importante scuola della tettura, cinema, elaborazioni di scenografia italiana, con illustri atmosfere letterarie: sono molto maestri teatrali e cinematografi- interessata alle nuove ricerche ar- ci. L’Umanesimo all’origine della tistiche nelle performance e nelle nostra cultura ha determinato installazioni. un linguaggio visivo particolare, in alcuni casi colto e originale, in Differenze tra le scenografie altri intuitivo, basato sull’inter- per il cinema, la televisione e pretazione. La tecnologia non è il teatro? un linguaggio, è una tecnica mol- to efficace con infinite possibilità Premesso che tutto dipende dalla per realizzare un’idea. Spesso con regia, la scenografia cinemato- la tecnologia e la smania degli grafica necessita di un punto di effetti speciali scimmiottiamo vista, di un linguaggio visivo per linguaggi che non ci appartengo- raccontare e interpretare ‘quella’ no e, soprattutto, non sappiamo storia. Sono molto importanti i gestire. La forza della nostra cul- particolari, i colori, per dare at- tura è nella nostra storia artistica mosfere e dettagli, interpretazio- e umanistica, nelle nostre origini ni realistiche, psicologiche, o oni- artigianali: potremo avere grandi riche. La scenografia teatrale può potenzialità usando questo baga- essere molto più astratta e anche glio culturale per ricercare nuovi simbolica, ha una visione oggetti- linguaggi contemporanei, al pas- va, è un mondo a parte, un micro- so con queste trasformazioni. La cosmo che vive di vita propria. In scenografia non è ricerca a sé, è alcuni casi consente possibilità di un linguaggio complementare a ricerche visive sperimentali, oggi fotografia e costume e al servizio ha anche molte possibilità tecno- del regista che interpreta una sce- logiche. La scenografia televisiva, neggiatura. purtroppo, è spesso considerata di servizio, anche perché sono La tecnologia ha cambiato il poche le sceneggiature televisi- suo lavoro? ve non populiste e superficiali e piene di luoghi comuni. Potrebbe Tutto si è velocizzato ed econo- essere un linguaggio molto inte- mizzato. Io mi avvalgo di collabo- ressante se si osasse di più: nei ratori tecnologici, amo mischiare casi migliori oggi si avvicina al tecniche pittoriche materiche e cinema. digitali. Continuo a dipingere e fare modellini. Sono insofferente Come immagina il futuro del all’asetticità e all’omologazione suo lavoro? dell’immagine computerizzata. Se non c’è l’idea di un grande ar- Spero di poter continuare a con- Paola Bizzarri: Bizzarri: Paola di rispetto” è mancanza “La bruttezza chitetto si riconoscono un pa- taminare il mio ‘sapere artigiana- lazzo, o un quartiere, disegnati le’ con lo sviluppo dei nuovi lin- al computer: non hanno nessun guaggi, mantenendo sempre viva 6 carattere, sono luoghi alienanti, la mia curiosità. insignificanti e brutti. La bruttez- za, soprattutto nelle strutture so- ciali, è una mancanza di rispetto dell’uomo. Esiste una nuova scenografia gere le estensioni di scenografia. italiana? Allora erano quelle le tre princi- Difende il suo diritto di pensa- pali tecniche: ora tutto è sosti- re? Direi piuttosto che la scenogra- tuito dalla CGI, che è più veloce fia deve stare al passo del nuovo e realistica, ma anche priva del Io non sono nemmeno capace cinema, per dare il suo contribu- fascino di un risultato più artigia- di lavorare su due film alla volta. to alla sceneggiatura e al regista. nale e artistico. Quando affronto lo studio del È una strada che continuerà ad film non penso ad altro e mi ri- essere sempre diversa di volta in Oltre alla velocità, che vantag- volgo a tutto quello che può es- volta rispetto all’argomento che gi ha il digitale? sermi utile: pittura, architettura, si tratta. fotografia, ma anche cartoline Rispetto ai vecchi sopralluoghi e copertine di dischi. Raccolgo Il digitale ha cambiato il suo con macchina fotografica, rullini tutto, me lo attacco davanti e da lavoro? da stampare e foto da montare, lì nascono le idee. Anche in un ora non devi preoccuparti del film contemporaneo (ho finito Le nuove tecnologie cambiano il numero di scatti: puoi anche far- da poco Brutti e cattivi di Cosimo modo di fare le scenografie, ma ne 300.000 e scaricare tutto sul Gomez), l’atmosfera congrua non il fine. Con l’avvento del di- computer. Sto preparando un me la può suscitare una pittura gitale è cambiato il modo di risol- film su Michelangelo con Andrej dell’Ottocento. vere tutte le estensioni e i matte Končalovskij: faccio sopralluoghi painting. Ho avuto la fortuna di a Carrara e a Firenze, poi gli man- Come vede il futuro della pro- lavorare nel 1984 su A. D. - Anno do i bozzetti su WhatsApp men- fessione? Domini di Stuart Cooper e lì agli tre lui un giorno è in Giappone e effetti visivi c’era Albert Whit- l’altro a Mosca. Ma in fondo sul Vedo che si producono bei film, lock, che aveva la sua metodo- Francesco di Liliana Cavani ero a ma non ci sono più i grandi pro- logia per realizzare meravigliosi Perugia, per La vita è bella ad Arez- duttori di un tempo. Questo fa fondi su pellicola utilizzando i zo, con Danilo Donati a Cinecittà: parte del cambiamento, però c’è mascherini. In Yado di Richard il lavoro è lo stesso. Ora ci arrivi uno stato di ‘ritorno in salute’ del Fleischer, invece, Emilio Ruiz del prima e spendi meno, ma con lo nostro cinema. La desolazione è Rio lavorava con modellini fatti scambio immediato di mail non a Cinecittà: ora ti prende male se in proporzione e traguardati col c’è la sedimentazione delle idee. pensi a quanto lavoro si faceva. ‘punto macchina’. Quando nel Il nostro è un lavoro dove devi All’epoca di Momo avevamo tutti i 1986 Johannes Schaaf ha girato studiare, ci sono tempi che ti devi teatri presi, era una città che vive- Momo a Cinecittà, la scenografia prendere: io a volte non rispondo va, ora non è più così. È triste, ma Maurizio Sabatini: Maurizio Sabatini: su WhatsApp” i bozzetti “Ci scambiamo era costruita in teatro fino a 4/5 alle mail, proprio perché le rispo- il cinema va avanti. metri, il resto lo abbiamo lavorato ste immediate non sempre sono coi cristalli, le lastre su cui dipin- quelle giuste. 7 INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 66 - 67

La tecnologia ha cambiato il di Roccascalegna in Abruzzo, che suo approccio? era circondato da edifici contem- poranei. Il progresso tecnico ha cambiato Su altri set abbiamo usato i VFX moltissimo il modo di lavorare per esaltare la bellezza di alcune Differenze nella scenografia nella scenografia. I tempi si sono atmosfere o per dilatare gli spazi, per il cinema, la televisione e il ridotti notevolmente e questo aggiungendo o incrementando teatro? ha tagliato i costi del film, dando elementi naturali come muschio, maggiore libertà alla scrittura, fumo e nebbia. Una volta questi Anche se si parte sempre da un’i- ma ha anche tolto riflessione e effetti si creavano direttamente dea, un soggetto o una sceneg- poesia. È fondamentale il tipo di sul set: erano difficili da control- giatura, le differenze sono enor- utilizzo dei nuovi mezzi, perché è lare, però davano un’atmosfera mi. Nel teatro, per esempio, lo molto facile lasciarsi prendere la unica, irripetibile e condivisa da spettatore è libero di guardare la mano: usati con discrezione sono tutti al momento dello shooting. scenografia dove vuole, è tutta lì un grande aiuto. a sua disposizione, come se fosse Nel Il Racconto dei Racconti di Gar- Quali sono i suoi riferimenti di fronte a un quadro. Quindi è rone c’è moltissima computer estetici? libero di soffermarsi sui dettagli grafica ma nella maggior parte che desidera o sull’insieme. Nel dei casi non si nota. I set dove- Sicuramente la pittura ha rap- cinema è il regista che decide vano tutti possedere qualcosa di presentato da sempre una delle cosa deve guardare, come e per magico e teatrale, identificarsi il fonti più potenti ed evocative, quanto tempo. Chiaramente que- più possibile con il carattere dei ma questo può cambiare molto sto comporta una tecnica e un personaggi, ecco perché li abbia- a seconda del tipo di film che si metodo di lavoro completamen- mo manipolati e trasformati. Ab- sta facendo e in ogni caso ritengo te diversi a seconda del settore in biamo cancellato le contamina- indispensabili tutte le espressioni cui si lavora. Dimitri Capuani: Dimitri Capuani: dalla musica” ispirare “Mi lascio zioni ambientali facendo tornare artistiche visive. Mi ritengo molto i luoghi al loro stato originario, fortunato a svolgere questa pro- Cosa non sopporta nel cinema alla magia che avevano un tempo. fessione che ci porta a scoprire italiano? 8 Castel Del Monte, ad esempio, ha sempre nuove cose in ambito subito un fortissimo intervento artistico e ci fa vivere delle espe- Mi dispiace solo che si produca- di ‘decontaminazione digitale’, rienze uniche. Il nostro è un la- no pochi film di genere. Per noi cancellando pali della luce, tra- voro che stimola continuamente scenografi sono molto più diver- licci dell’alta tensione, edifici li- la fantasia e la creatività. Anche tenti. mitrofi, strade asfaltate e così via. la musica è un’arte che può dare Il risultato restituisce al castello il grande ispirazione al nostro lavo- suo carattere esoterico. Lo stesso ro. Non ho mai affrontato un film intervento è stato fatto al Castello senza una musica. I FOLLI DI OGGI SONO I GENI DI DOMANI

di STEFANO MARIA ORTOLANI

La testimonianza di uno scenografo di Iñárritu. digitale. Tra le sue esperienze Carne y Arena INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 68 - 69

evo premettere che non amo particolarmente il digitale: realistica sarebbe costata più del resto delle navi. Erano scafi di 60 me- D preferisco il cinema “tradizionale”, senza effetti speciali. tri e noi le avevamo “tagliate” a 45 metri, perché la poppa sarebbe stata Detto questo, è innegabile che ormai nel cinema la CGI aggiunta in CGI e gli alberi arrivavano solo al primo pennone, perché si applichi quasi sempre, così ho superato, o meglio ho per i campi lunghi l’attrezzatura e le vele si dovevano aggiungere di- dovuto superare, la mia ritrosia verso la tecnologia, imparando a sfrut- gitalmente. Poi però questo non è avvenuto e il risultato non è stato tarne e apprezzarne i vantaggi e le potenzialità creative e di espressivi- all’altezza del resto delle scene. Come ha dimostrato Iñárritu il segreto tà. In questa mia ritrosia ho avuto il conforto di un regista importante è l’integrazione tra diversi mezzi, ma se l’integrazione non è curata al- e di successo come Wes Anderson, con cui ho collaborato più di una lora si vede subito qualcosa che non funziona. Con la VR il discorso si volta, ma che poi ha capitolato anche lui all’uso del digitale… con par- fa ancora più articolato: in Carne y Arena non ho curato la scenografia simonia. delle riprese (sono state fatte col green-screen in CGI), ma mi sono I FOLLI DI occupato dell’allestimento a Milano e Cannes dello spazio fisico dove Prima sono intervenuto, come molti di noi, su scenografie digitali, lo spettatore/visitatore si immerge, provando un’esperienza sensoria- e poi mi sono cimentato su film girati in VR, come il Virtual Jesus di le che deve essere scoperta di volta in volta. La cosa più importante da David Hansen del 2016 e Carne y Arena, l’installazione di Alejandro capire nelle riprese in VR è che non è l’dea di scenografia a cambiare, González Iñárritu che, dopo essere stata presentata in anteprima allo ma il fatto che non ci sia il limite dell’inquadratura della macchina da OGGI SONO scorso Festival di Cannes, è visitabile alla Fondazione Prada a Milano presa. D’altra parte per uno scenografo è istintivo non limitare la co- fino al prossimo 15 gennaio. struzione della scena alla sola inquadratura. Con la VR lo spettatore è lanciato in un mondo reale che diventa virtuale: durante la ripresa Per capire quanto il digitale aiuti il lavoro di noi scenografi basti ricor- in VR si vede tutto, inclusi i piedi dell’operatore (verranno poi can- I GENI DI dare quando, nel 1998, Anthony Minghella ha girato Il talento di Mr. cellati in post produzione) che porta la macchina da presa in testa su Ripley e noi abbiamo dovuto smontare ad una ad una tutte le antenne un casco che, a seconda delle esigenze, contiene dalle due alle cinque televisive dai tetti delle case ad Ischia Ponte, per non averle “in cam- camere digitali. DOMANI po”. Un lavoro che ora sarebbe impensabile: con pochi click cancelli digitalmente dal fotogramma tutto quello che non serve, o disturba la In Virtual Jesus c’erano sempre cinque macchine da presa (a volte solo composizione dell’immagine. due, ma con il grandangolo estremizzato al massimo): è una filoso- fia diversa, ogni spettatore ha una percezione individuale (e non più A me la tecnologia affascina soprattutto se non la “vedi”. Un esempio collettiva), che segue le sue intuizioni e desideri. Ricordo che a David perfetto è l’uso che ne ha fatto Iñárritu in The Revenant. La prima cosa Hansen dicevo di cercare situazioni e movimenti che spingessero lo che gli ho chiesto, quando ho lavorato con lui, è come avesse girato spettatore a voltarsi: con la VR servono gli “attraversamenti di cam- la lotta tra Leonardo Di Caprio e l’orso. In quella sequenza il regista po”, le urla da dietro, bisogna spingere lo spettatore a guardare a 360° ha mescolato diverse tecniche: c’è un uomo di due metri e dieci con e, nelle riprese, tutto l’ambiente deve essere reale (o realistico) per addosso una pelle d’orso, c’è l’orso in digitale ma, soprattutto, c’è Di funzionare, quindi bisogna trovare il modo di non mostrare i mezzi Caprio ripreso su un fondale in green-screen, legato a cavi tesi dietro tecnici (cioè i cavi, i riflessi e l’illuminazione). la schiena che lo strattonavano violentemente (a rischio di procurar- gli danni alla spina dorsale), per simulare la lotta. Questa fusione di Anni fa ho fatto un’esperienza simile, anche se più primitiva, con un diversi espedienti visivi è intelligente e funzionale alla narrazione: lo filmato per Disneyland Paris nella sala circolare a nove schermi. Lì spettatore non è distratto dalla meraviglia dell’immagine “impossi- c’erano le macchine volanti di Leonardo da Vinci che attraversavano bile”, ma calato in un realismo estremo, anche se nulla di quello che la scena e gli spettatori in piedi al centro della sala guardavano il film si vede sullo schermo è “vero”, e persino l’appannamento della lente appoggiati a un corrimano. Ora la VR è la nuova frontiera, ma è anche della cinepresa, causato dall’alito dell’orso, è ricostruito. Questa se- un’esperienza solitaria: indossi il casco e sei calato in un mondo dove quenza straordinaria ci fa riflettere su quale sia il più grande handicap non c’è più il vicino di poltrona. Questo mi dispiace perché il cinema utilizzando computer grafica e scenari virtuali: il buon risultato dipen- è aggregativo, mentre così sei solo, solo come i ragazzi davanti al com- de sempre da chi lo fa, da quanti soldi si spendono e dal tempo che si puter. Il problema è dei registi, che dovranno affinare le loro tecniche dedica alla post-produzione. di ripresa: ora, ad esempio, c’è sempre la stessa profondità di campo, non cambi la lente, si è minimizzato il montaggio e alla fine si rischia la In prima battuta, ovviamente, dipende tutto dal regista: se vuol fare noia. Però bisogna ricordare che quelli che oggi sembrano folli sono i tutto col mezzo tecnico si potrebbe anche non girare, affidando tutto geni di domani e quindi, forse, vedremo presto la gente per strada coi al computer. Ma quando sono stati fatti gli effetti ottici i produttori più visori in testa. avveduti hanno sempre chiesto che gli scenografi seguissero la post produzione, per non lasciarla in mano solo ai tecnici. La collaborazio- ne tra scenografia ed effetti speciali è fondamentale per evitare errori. Per renderla operativa però serve tempo, tempo concesso solo dall’a- pertura mentale dei produttori. Basti pensare a un film come Gangs of New York dove la parte ricostruita è perfetta, ma poi si vede che il fiume in CGI è “finto”. Ricordo che avevamo costruito le navi con l’al- beratura che immaginavamo fosse provvisoria, perché se fosse stata

(la testimonianza è stata raccolta da Oscar Cosulich) VIDEO MAPPING, NUOVA FRONTIERA DELLA SCENOGRAFIA URBANA

di SILVIA BORSARI

icola Gastaldi, classe 1979, vive a Londra e fa il lead 3D N artist. Dopo la laurea inizia a lavorare nella redazione di Magnolia Tv, quindi videomaker e regista, collabora con Fiorello. Scopre con successo le opportunità del video editing applicato alle performance dal vivo. Ma è grazie alla Mua Fac- tory che si accendono i riflettori sul video mapping, Il concetto di Architectural dressing di Pasquale Direse eviden- zia sempre di più il tentativo profondo di ‘rivestire la città’. Quali sono i primi passi da compiere in un progetto di video Siamo a una cena di gala, che vestito indossano il Colosseo e il mapping? Jockey Club Innovation Tower di Hong Kong di Zaha Hadid?

Il primo passo è quello di rendere la superficie invisibile ricostruen- I chiaroscuri sono gli abiti tailor made delle architetture: i serrati e dola completamente in 3D e poi negandola, tramite opportune di- concatenati contrasti luce/ombra di archi e volte del Colosseo, o le al- storsioni. Bisogna essere molto precisi e non sbagliare il modello. ternanze di bianco e nero senza soluzione di continuità definite dalle Per fare questo si possono usare delle fotografie architettoniche che linee fluide della Innovation Tower, rendono nuda la struttura archi- raddrizzano la prospettiva oppure scansionare l’ambiente in manie- tettonica e, allo stesso momento, vestita di tutto punto per una gran ra tridimensionale. Si inizia quindi a giocare con le forme, riempire e soirée. svuotare gli spazi. Meglio mascherare o smascherare il reale? Nel progetto che ha realizzato nel 2012 per Estée Lauder, per la lotta al cancro al seno, aveva come superficie il British Museum Perché non costruire la realtà? Mattone su mattone, pixel su pixel, e come elementi il rosa, il fiocco e la peonia. Superficie reale e quello che disegno per i vostri occhi è reale ma la luce sa trasformare virtuale, come dipingere il confine? la realtà velocemente, a 299.792.458 metri al secondo.

La mia sfida quotidiana è cancellare il confine fra superficie reale e virtuale, sfumare i bordi fra quello che accade e quello che viene per- cepito. Cent’anni dopo, le regole fissate dalle mezzetinte di Escher per illudere l’occhio sono ancora valide: elementi reali come scale, archi- tetture o elementi geometrici che diventano mondi impossibili in cui lo sguardo si arrende all’impossibile, sovvertendolo in virtuale. INNOVAZIONI Esiste una nuova scenografia del cinema italiano? 70 - 71

In passato si costruivano scenografie urbane che restavano, oggi siamo nell’epoca dell’effimero… cosa resta del video mapping?

YouTube: un video resiste al guano dei piccioni, alle intemperie, all’in- curia delle amministrazioni comunali. Non siamo un’epoca fragile, la nostra immortalità ha solo un’altra unità di misura.

A chi s’ispira, se si ispira a qualcuno?

Nei progetti in cui sono libero di mettere in scena la mia visione, mi piace citare le geometrie organiche in bianco e nero di Franco Grigna- ni e incastri e sovrapposizioni di colori di Fortunato Depero.

Ci sono immagini che non sono fatte per la luce?

Ho passato notti intere a trovare un modo per illuminare le ombre, mischiare le carte del nero e ogni volta arrivano l’alba e una soluzione: Intervista a Nicola Gastaldi su There is a crack in everything/That’s how the light gets in (Leonard Cohen, Anthem). una disciplina che ha visto i suoi Il cinema è la scrittura moderna in cui l’inchiostro è la luce, che albori nel 1969 con Disneyland storia le piacerebbe proiettare? e la Haunted Mansion e che da Il cinema è un altro linguaggio, quando proietti amplifichi la realtà, il sperimentazione artistica oggi video mapping è come una performance con una durata di massimo viene sempre più utilizzata a fini 5 minuti. Tante produzioni teatrali hanno usato il mapping a supporto delle storie. Credo che la tecnologia sia schiava della storia ma che una commerciali. storia non abbia necessità del video mapping per essere rappresentata.

Se dico ombra…

Fiat lux!

Ha paura del buio?

Esiste davvero il buio? Non ne ho ricordo. Il buio urbano totale dei black out, momentaneo ed istantaneo, di certo, è un evento meravi- glioso che, in qualche modo, avvicina le persone, come un improvvi- so, gratuito carnevale. Ad ogni mapping richiediamo che i lampioni, le insegne, i neon siano spenti. L’operazione, che richiede lunghe pianifi- cazioni e permessi, trasforma profondamente la forma del reale.

Che emozioni prova davanti alle sue performance?

Osservare le reazioni del pubblico è ogni volta la parte più eccitante delle mie installazioni video perché è la cartina al tornasole di quanto è efficace quello che ho progettato: suggestionare con un certo ritmo, anticipare un battito di ciglia, sorprendere cambiando il passo.

“Quello che mi interessa è la profonda relazione che esiste tra superficie con- creta e ciò che ne è nascosto in ogni ombra.” Nome ufficiale United States of America Forma di governo Repubblica presidenziale federale Lingua ufficiale Inglese Capitale Washington D.C. Numero abitanti 325.146.000 (stima del 2017) Densità 35 abitanti per km quadrato Superficie 9.833.520 km quadrati Valuta United States dollar, equivalente a 0,8919 euro (al 13 giugno 2017) Prezzo medio del biglietto (2016) 8,65 dollari Numero di biglietti venduti (2016) 1,32 miliardi Numero schermi O cinematografici (2016) 43.531 Incasso box office annuale (2016, compreso Canada; fonte: MPAA) 11,4 miliardi di dollari FOCUS FOCUS USA|1 Il cinema a Hollywood 72 - 73

Box Office 2016 – Top 10 statunitense* Box Office 2016 – Top 10 mondiale* Alla ricerca di Dory – 486.295.561 dollari Captain America: Civil War – 1.153.300.000 dollari Rogue One: A Star Wars Story – 408.235.850 Rogue One: A Star Wars Story– 1.056.100.000 Captain America: Civil War – 408.084.349 Alla ricerca di Dory – 1.028.600.000 Pets – Vita da animali – 368.384.330 Zootropolis – 1.023.800.000 Il libro della giungla – 364.001.123 Il libro della giungla – 966.600.000 Deadpool – 363.070.709 Pets – Vita da animali – 875.500.000 Zootropolis – 341.268.248 Batman vs Superman: Dawn of Justice – 873.300.000 Batman vs Superman: Dawn of Justice – 330.360.194 Animali fantastici e dove trovarli – 814.000.000 Suicide Squad – 325.100.054 Deadpool – 783.100.000 Star Wars: The Force Awakens – 284.694.956 Suicide Squad – 745.600.000

* Fonte: Box Office Mojo H O L L Y W O O D FOREVER YOUNG? DI ALBERTO ANILE

In questa industria, “ facciamo alcuni film di merda e alcuni grandi film. Il vero problema è che tra fare un gran- de film che nessuno va a vedere e un brutto film che tutti vanno a vedere, il modo migliore per con- tinuare a tenersi il lavoro è fare un brutto film. Non ottieni nulla con il bel film che nessuno va a vedere”. La filosofia tutta eco- nomica del cinema statunitense è così sintetizzata da Ron Meyer, presidente e direttore generale delegato degli Universal Studios e cofondatore di Creativ Artist Agency, da un’intervista in Sedotti e abbandonati di James Toback. Il film di Toback è del 2013 ma la morale è la medesima da mol- ti anni. La natura mercantile di Hollywood è sempre stata chia- ra, esplicita, in questo sincera quant’altre mai: a dominare è la legge degli incassi. È il risultato di una lunga evolu- zione, non del tutto lineare. Nei cineasti, gli Stati Uniti hanno avu- primi anni di vita, nella sua in- to due grossi vantaggi di partenza, fanzia e in quella giovinezza che che sono insieme due importanti culminò nell’epoca d’oro degli condizionamenti, rispetto alle Anni ‘30, la storia del cinema sta- aderivano fedelmente ai valori cinematografie di altri Paesi: l’e- finito per schiacciare la ricerca di tunitense ha proceduto per spe- propri del capitalismo e agli ideali norme estensione del suo territo- una qualità che non fosse mera- rimentazioni e strappi. Chi iniziò politici conservatori”. rio, e il collegamento a tutti quei mente tecnico-artigianale. a fare cinema dovette battersi Il punto di partenza fu infatti de- Paesi ai quali gli USA sono vicini Il risultato di oltre cent’anni contro grandi poteri economici, cisamente “democratico”: il ci- per ragioni storiche, culturali e di cinema statunitense è oggi ma anche contro il pensiero do- nema statunitense si è sviluppato coloniali, a cominciare dalla co- qualcosa di gigantesco e di enor- minante, cercando di intercetta- a partire dalle classi sociali più mune lingua inglese. Con queste memente sclerotizzato. Attual- re le imprevedibili aspettative di basse, e si è più volte rimodulato a prerogative, il neonato cinema mente i cinque maggiori Studi di un pubblico tutto da costruire. seconda dei loro desideri, dei loro americano è riuscito in pochi produzione sono i Marvel, la Dre- Come ha scritto Robert Sklar nel capricci, dei loro ideali. Per un po’ anni a surclassare cinematografie amworks, Legendary Pictures, suo monumentale Cinemameri- di tempo il potere del cinema e più fertili e creative, come quelle Pixar e Lucasfilm, che realizzano ca (in Italia per Feltrinelli, 1982), quello politico-economico ri- francesi, italiane e tedesche, che blockbuster alleandosi o semplice- “il cinema fu il primo mezzo di masero distanti, a volte anche su dominavano all’inizio del Nove- mente lavorando per conto delle divertimento e di informazione lati opposti della stessa barrica- cento. Il grande giro di danaro ge- “Big Six”, le sei maggiori compa- culturale a venire controllato da ta, vedi Orson Welles vs William nerato ha messo in moto l’indu- gnie di distribuzione di Hollywo- persone che non condividevano Randolph Hearst, o la follia mac- stria della distribuzione e quella od. Buona parte del mercato (tra la provenienza etnica o religiosa cartista che cercò di sottomettere delle sale di proiezione: alla fine 80 e 90%) è sempre nelle loro delle tradizionali élite culturali: l’indipendenza degli Studios. Ma della prima guerra mondiale, gli mani: a macinare più profitti è il questo fatto ha dominato tutta in seguito le cose andarono diver- USA possedevano oltre la metà colosso Disney, seguita da Uni- la loro storia, coinvolgendole in samente, anche per ragioni molto delle sale cinematografiche del versal, 20th Century Fox e Warner lotte su molti fronti, e talora con- pratiche. mondo (monopolio poi infranto Bros., con Paramount e Colum- testando l’apparente vantaggio Senza nulla togliere alla genialità nel ’48 con una legge antitrust). bia-Sony più defilate. Il successo goduto da coloro che altrimenti e all’intraprendenza dei singoli Ma alla lunga il peso dei dollari ha Disney si deve in gran parte all’in- FOCUS USA|1 Il cinema a Hollywood 74 - 75

globamento della Pixar e all’ac- Prendiamo in esame il box office pure l’indotto, sia in termini di adpool, Trolls, Suicide Squad) da- quisto di Marvel e LucasFilm, ol- dell’ultimo anno: tra la classifica tasse sia di lavoro. ranno vita a nuove saghe, e uno (Il tre al fatto che si tratta dell’unica 2016 dei primi 10 incassi in Patria Gli schermi cinematografici sono libro della giungla) è un remake; major a non dipendere da altri e quelli in tutto il mondo c’è giu- decisivi per far arrivare il pro- l’unica produzione Sony (Gho- soci o proprietari; la Fox appar- sto qualche saliscendi ma i titoli dotto-cinema nei vari Paesi, e gli stbusters), arrivata 21esima, è pure tiene infatti alla News Corpora- sono gli stessi. La vera grossa dif- USA ne seguono lo sviluppo con un remake. Scarsità di fantasia? tion di Murdoch, la Paramount è ferenza sta nelle cifre: raramente comprensibile attenzione: il 2016 Spremitura ossessiva del limone? controllata da Viacom, la Warner un film statunitense raccoglie in ha registrato un aumento dell’8% Paura del nuovo? Più semplice- fa parte di Time-Warner, Colum- USA oltre la metà dei suoi introi- delle sale a livello globale (circa mente, è il tentativo, come diceva bia è dentro la giapponese Sony, ti; il grosso, dal 60 al 70% e oltre, 164.000 in più), e un incremento in modo colorito Ron Meyer, di la Universal è gestita con la rete gli arriva dallo sfruttamento nel degli schermi digitali conservare il proprio posto di la- tv NBC da Comcast. La settima resto del globo. (+17%) che ha portato al 95% la voro riproponendo formule con- gloriosa major, la Metro Goldwyn Nelle sale la supremazia cinema- percentuale delle sale in cui si siderate sicure. Mayer, è stata acquistata da Sony tografica americana è suppergiù proiettano film senza più pellico- Dopodiché, al di là della quan- e Comcast e oggi produce cinema uguale a tutte le latitudini, da la. Anche gli schermi in 3D con- tità di sequel e remake, colpisce in collaborazione con la prima. Roma a Tokyo, da Bombay a Ca- tinuano ad aumentare, con un l’abbondanza di film d’animazio- Gli ultimi anni hanno visto cam- racas. E il segreto non è solo la incremento globale del 17% (nel ne e d’avventura con supereroi, biamenti importanti. Il mercato maggior spettacolarità o i budget 2015 era il 15%). Se le sale sono fantascienza ed effetti speciali, Home Video ha creato a partire stratosferici stanziati per ogni in crescita, ci sono tutti i presup- il cui pubblico d’elezione sareb- dalla fine del ’900 enormi mar- sperabile blockbuster (dai 100 ai posti per continuare a inondare be quello giovanile o, tout court, gini di guadagno: nel 2004 gli 500 milioni di dollari), ma anche il globo di prodotti destinati in- infantile. Ma l’analisi del tipo di introiti per le vendite di DVD ge- la politica di crediti d’imposta, le nanzitutto al grande schermo. La pubblico rimette tutto in discus- neravano addirittura il doppio dei agevolazioni fiscali, le esenzioni e produzione statunitense resta in- sione; i segmenti di popolazione ricavi dalle sale; è seguito un dra- i vari incentivi garantiti, con mec- fatti importante, con un numero chiamati a banchettare al desco stico declino, che il meccanismo canismi diversi, dai singoli Stati di film distribuiti notevolmente cinematografico sono infatti tut- del video on demand non è ancora americani a partire dal nuovo salito negli ultimi anni (all’ini- ti presenti, e in modo piuttosto riuscito a colmare. L’ultima crisi millennio per frenare l’emorragia zio del 2000 erano circa 500, nel omogeneo. Non solo il genere economica non è passata senza di produzioni verso il più conve- 2016 sono stati 718, l’1% di più ri- maschile e quello femminile mo- conseguenze: nei cinque anni dal niente Canada. Nel 2014, secondo spetto al 2015). strano di spartirsi al millimetro 2007 al 2011 le sei major hanno la MPAA, il cinema statuniten- Il problema è che cosa si proietta. le poltrone (con un secco 50 e visto una riduzione di profitti del se ha portato all’economia USA Dei primi 20 incassi del 2016, la 50 ciascuno), ma le varie fasce di 40%. Anche gli investimenti nel quasi un miliardo di dollari; di metà dei film sono sequel, pre- età sono tutte ben rappresentate: 3D, i movimenti societari, il pre- conseguenza è notevolissimo quel o spin-off, quattro (Pets, De- sempre nel 2016, i bambini tra i 2 dominio del digitale, la minaccia della serialità televisiva, lo svilup- po dei franchise, l’arrivo di nuovi giganti come Amazon e Netflix sono tutti fattori recenti da tene- re presenti. Messe insieme, queste variabili avrebbero potuto sconvolgere in modo significativo il ruolo eco- nomico e culturale di Hollywood ma in realtà lo hanno solo scalfi- to: gli Stati Uniti d’America sono ancora dominatori del cinema a livello globale. La MPAA (Motion Picture Asso- ciation of America), l’associazio- ne dei produttori statunitensi, macina gli ultimi dati con trion- falismo, a cominciare dal fatto che mentre il box office comples- sivo dei film distribuiti in tutto il mondo ha avuto nel 2016 un in- cremento dell’1% rispetto all’an- no prima, quello di Stati Uniti e Canada è invece salito del 2% (anche se il numero di biglietti e di spettatori è rimasto sostanzial- mente stabile). confrontano i loro ricordi con le versioni 2.0 (e 3.0, 4.0, etc.) de- gli stessi soggetti. Il grande cine- ma americano che ai suoi albori captava come un rabdomante i e gli 11 anni rappresentavano l’11% vani frequentatori cinematografi- desideri degli spettatori, oggi li la successiva cascata di seguiti al degli spettatori, quelli tra i 12 e i 17 ci considererebbero antidiluvia- manipola come burattini ripro- cinema o di nuove stagioni in tv) il 13%, i giovani tra i 18 e i 24 il 16%, ne. Rogue One (al secondo posto ponendogli le medesime portate, condiziona decisamente il bilan- gli spettatori tra i 25 e 39 il 24% (è negli incassi) e The Force Awakens ogni volta un poco più speziate. cio di chi lo ha prodotto. il dato più alto), tra i 40 e i 49 si (al decimo) traggono origine La televisione manderà all’aria Una conseguenza del successo ridiscende all’11%, tra i 50 e i 59 è da quello Star Wars che esplose tutto questo? I motivi per cui dei telefilm però c’è: parte della il 13%, dai 60 anni in su è ancora nell’ormai lontano 1977. Il nuo- preferire i serial televisivi ai film serializzazione del cinema ame- il 13%. E rispetto al numero reale vo Libro della giungla è il remake cinematografici sono teorizzati ricano odierno si deve evidente- degli individui, i suddetti grup- di un film del lontanissimo 1967. e dibattuti continuamente: si ci- mente a una rincorsa del grande pi di spettatori si distaccano per La saga Star Trek o quella dei vari tano le maggiori possibilità della schermo rispetto al piccolo. I un incremento visibile solo nella supereroi Marvel arrivano da una serialità di sviluppare storie e per- vari Star Wars, Star Trek, Pirati dei categoria dei 12-17enni (8% la po- serie tv e da fumetti nati pure ne- sonaggi, il noioso predominio del Caraibi, Bourne, Hunger Games, polazione, 13% gli spettatori) e in gli Anni ‘60. Perfino Finding Dory, franchise al cinema, le straordina- Avatar sono prodotti pensando ai quella dai 18 ai 24 (10% di popola- primo incasso assoluto, è il segui- rie performance di attori – a volte capitoli successivi, realizzandone zione e 16% di spettatori). È vero, to di una pellicola, Finding Nemo, star cinematografiche – nei tele- diversi contemporaneamente, gli spettatori più assidui hanno di ben quattordici anni fa. film. Ma altrettanto dibattuto è o almeno con l’accortezza di la- tra i 12 e i 24 anni, ma la natura I ragazzi di oggi e i loro genitori il tema sulla maggiore redditività sciare un finale sufficientemente del cinema come fonte di diverti- (spesso anche i loro nonni) si tra i due mezzi: a fronte di Netflix, aperto da permettere un prose- mento richiama ovviamente l’età nutrono insomma degli stessi che produce anche film che van- guimento, come si fa in tv produ- più verde; la buona presenza di miti che avevano già divertito i no in competizione a Cannes, o cendo le stagioni di un serial. tutte le altre fasce d’età dimostra genitori (spesso anche i nonni) Amazon che mette sotto contrat- La serializzazione (peraltro già piuttosto la sagacia dei produtto- quando erano più giovani. Da to Woody Allen, c’è una HBO che utilizzata ampiamente nel cine- ri nel riuscire ad agganciare ogni mezzo secolo le vicende di ven- dopo la chiusura di serie storiche ma fino agli Anni ‘30) è parente possibile cliente pagante. dicatori mascherati e astronavi come Sopranos e Sex and the City stretta del sequel. Pure le parodie Per giustificare l’enorme quantità nello spazio profondo sono più ha visto abbassare sensibilmente (come quella dei supereroi di De- di cartoni animati e rutilanti im- spettacolari, più rumorose (e, per il numero degli abbonati, per poi adpool), in quanto tali, non fanno prese di supereroi che ingolfano carità, a volte anche più ambigue risollevarsi con Game of Thrones. altro che insistere su meccanismi il mercato statunitense (e quindi e problematiche) ma sono sem- E c’è il colosso cinematografico di ripetizione e riconoscimento. globale) va allora ricordato che se pre le stesse. Pur modernizzata, Sony, che nel 2007 ha finanziato Gli scantonamenti dal prevedibi- una famiglia porta al cinema uno tecnologizzata, remakizzata o una serie rivoluzionaria come le e dal già visto sono rarissimi: tra o più minori, uno o due biglietti prequelizzata, la minestra è anco- Breaking Bad. In realtà né il cine- i primi 20 incassi del 2016 ce n’è vengono staccati per i relativi ge- ra quella ed è uguale per tutti, con ma né la tv possono contare su in fondo uno solo, The Revenant nitori. Ma poi va considerata la nuove Guerre stellari, Spiderman formule certe; la legge del gra- (al 14º posto), peraltro diretto quantità di riferimenti culturali aggiornati e Superman rivisitati: dimento del pubblico rimane da un autore non statunitense che parecchi di questi blockbuster i giovani e giovanissimi hanno di imponderabile per entrambi, e il (il messicano Iñarritu), nonché tributano a epoche che i più gio- che divertirsi, mentre i più maturi trionfo di un singolo titolo (con unico titolo insieme a Deadpool FOCUS USA|1 Il cinema a Hollywood 76 - 77

ad essere bollato con la R di Re- registi dei grandi campioni d’in- Spielberg, Coppola, Scorsese, De ruolo vitale nelle nostre esistenze stricted. casso sono raramente degli “au- Palma, Cimino, Lucas) non esi- e nelle nostre culture”, ha detto In tutto questo il cinema d’autore tori”: si tratta sempre più spesso ste più, è costretto (come Nolan) Christopher J. Dodd, chairman e quello indipendente appaiono di funzionari abili e volenterosi, a dare il proprio contributo alle della MPAA, commentando gli ininfluenti. La La Land, per fare tecnologicamente preparati e fa- supersaghe, o rimane comunque ultimi dati. “In tutto il mondo, il un esempio, malgrado Oscar e cilmente interscambiabili. di nicchia (i fratelli Coen); e i racconto di storie – e l’esperienza nomination e festival interna- Nella quantità, è matematico, rinnovatori di un tempo, se sono dell’andare al cinema che dà vita a zionali, è all’87° posto. È vero, è qualche perla si trova sempre. ancora in attività, si sono lasciati grandi storie – è decisamente viva uscito a settembre, il suo sfrut- Esiste anche un cinema ameri- inglobare dal mercato (Lucas, e in buona salute”. Peccato che tamento è andato poi oltre il 31 cano più piccolo e pensante che Spielberg) o fanno sempre più fa- questo ruolo vitale nelle esisten- dicembre 2016; ma The Hateful va ai festival (Jackie), conquista tica a proporre progetti personali ze e nelle culture, non solo ame- Eight di Tarantino, che ha esor- Oscar (Moonlight, Manchester by (come Scorsese con Silence). ricane ma di tutto il mondo, sia dito il Natale dell’anno prima, è the sea), a volte crea un piccolo Non è un caso che l’Europa, con la esercitato soprattutto attraverso comunque solo 73º. L’unico film caso sulla stampa (Scappa – Get sua influenza artistica, sia sempre mutanti, supereroi e alieni. Nel d’autore di successo dell’anno Out): ma il suo potere è sempre meno presente nelle sale USA: tentativo, perfettamente riuscito, è stato il già citato The Revenant, minore. L’autore che sapeva spa- fra i primi 100 incassi americani di mantenere i propri spettatori trainato dalla presenza di Leo- rigliare le carte e rinnovare miti del 2016 se ne intravede pochis- per sempre giovani, giovanissimi, nardo DiCaprio, raro esempio di e grammatica del cinema (come sima, perlopiù in coproduzione. anzi bambini. star system ancora funzionante. I fecero tra Anni ‘70 e ‘80 i vari L’unico film davvero europeo (e neanche fino in fondo) è l’inglese Florence, protagonista l’america- na Meryl Streep, al 95º posto. “I film continuano a esercitare un IL DISPREZZO PER LO SPETTATORE

DI JONATHAN ROSENBAUM

uando mi chiedono tare sistematicamente i film di Q cosa penso del cine- supereroi, la maggior parte degli ma americano con- horror e dei film di guerra, i film 3) temporaneo, la mia di argomento sportivo, i blockbu- 1) prima risposta è una domanda: ster e la maggior parte delle uscite l’industria americana del cinema persino sulla tv via cavo, la critica cinema americano di chi? Perché, rivolte ai teenagers e ai bambini. guarda al suo pubblico con asso- sociale è in genere ritenuta ac- vista la frantumazione del pubbli- Analogamente il mio gusto ri- luto disprezzo cettabile solo quando fa finta di co e dei luoghi di fruizione, non è guardo agli stili di recitazione ri- essere qualcosa d’altro oppure è più possibile descrivere il cinema flette la mia età: sono più attratto rivolta al passato. Esempio recen- americano come una singola en- dalla relativa apertura emotiva di te: il documentario e la miniserie tità omogenea. attori di mezza età come Annette di fiction, entrambi eccellenti, Bening in 20th Century Women di sul processo per omicidio di O.J. Forse è sempre stato errato de- Mike Mills, o come Tracy Letts 2) Simpson, che sono in effetti per scriverlo così, ma quando mi e Debra Winger in The Lovers di buona misura delle riflessioni in- stavo formando, negli Anni ‘50, Azazel Jacobs, piuttosto che dal- la critica sociale è in genere dirette sulle distorsioni politiche c’era ancora un cinema ameri- la relativa inespressività (o ciò più accettata sulla tv via cavo apportate dalla cultura della ce- cano che sembrava appartenere che mi sembra tale) di attori più rispetto ai film per il cinema, lebrità di Donald Trump con un a tutti. Oggi abbiamo solo una giovani come Casey Affleck in con l’eccezione di alcuni vin- sottotesto razziale serie di nicchie di mercato sepa- Manchester by the Sea di Kenneth citori dell’Oscar (di solito i rate e diversi luoghi di fruizione Lonergan, oppure Emma Stone film che vanno agli Oscar sono che sembrano esistere gli uni in- e Ryan Gosling in La La Land di privi di questi aspetti, con l’ec- dipendentemente dagli altri. Per Damien Chazelle. (Forse, signi- cezione di periodi ecceziona- amor di chiarezza e onestà, devo ficativamente, questa relazione li come quello attuale, in cui confessare che dal 1987 al 2007 tra età e apertura emotiva è rove- l’industria si sente obbligata a 4) sono stato il primo critico del sciata nell’eccellente Indignation dichiarare la sua alterità rispet- principale quotidiano alternativo di James Schamus, ambientato to ai valori di Donald Trump le migliori speranze per il futuro di Chicago, il “Chicago Reader”, nei primi Anni ’50, in cui il perso- e lo fa celebrando Moonlight riposano sugli indipendenti (o il che significa che ero per pro- naggio molto controllato di Tracy di Barry Jenkins e La La Land almeno tendenzialmente tali), fessione obbligato a tenermi al Letts è in netto contrasto con di Damien Chazelle) e i pochi scrittori-registi come Azazel passo con ciò che veniva consi- l’emotività esibita dei personaggi casi in cui viene introdotta di Jacobs (Terri, The Lovers), Jim derato, a torto o a ragione, come giovani interpretati da Logan Ler- contrabbando in film di genere Jarmusch (Only Lovers Left Ali- “il cinema americano contempo- man e Sarah Gadon.) popolari (per esempio, Get Out ve, Paterson), Richard Linklater raneo”. Da quando mi sono riti- Basandomi sui film visti di re- di Jordan Peele, che si occupa (Bernie, Everybody Wants Some!!), rato volontariamente da questo cente, sono arrivato ad alcune del razzismo che infetta persi- Kenneth Lonergan (Margaret, incarico, sono stato un cinefilo conclusioni generali sullo stato no i liberal americani ma lo fa Manchester by the Sea) e Kelly senza obblighi professionali e la attuale del cinema americano. Ve all’interno delle convenzioni Reichardt (Night Moves, Certain mia scelta è stata quella di evi- le elenco: tipiche degli horror) Women). FOCUS USA|1 Il cinema a Hollywood 78 - 79

Nota: nonostante la sua fuorvian- te reputazione come filmmaker indipendente, Quentin Tarantino non appartiene realmente a que- sta categoria perché non ha il final cut sui suoi film. La confusione sulla sua presunta indipendenza può fondamentalmente essere ascritta alla falsa reputazione del Sundance come Festival “in- dipendente”, mentre è in effetti un’impresa condotta dagli Stu- dios e lanciata da una star come Robert Redford. È un classico che al Sundance il “successo” di un film indipendente sia misurato da uno contratto con uno Studio, che comporta la perdita dell’indi- pendenza. Alcune veloci spiegazioni sulle conclusioni su riportate:

La più chiara dimostrazione di 1) è nella forma standardizzata data oggi ai trailer – nello spe- cifico all’ultima inquadratura in Filo diretto da Los Angeles. tutti i trailer dedicata ai credits Il punto di vista critico. principali (regista, sceneggia- tore, cast, etc.) che appare sullo schermo così rapidamente che nessun essere umano può re- gistrarne i contenuti. Il fine di questa inquadratura lampo è le- gale, più che umano (in questo contesto, gli avvocati sono per- cepiti non come esseri umani ma come funzioni analogamen- te alle funzioni delle macchine), che è un altro modo per dire che è dato per scontato che l’iden- tità di chi ha scritto o diretto un certo film interessi solo alle banche e non agli spettatori. Un altro fattore rilevante: gli Stati Uniti possono essere l’uni- ca nazione sul pianeta che inco- raggia un’attiva avversione per l’arte (o le arti) in generale – un atteggiamento peculiare che de- riva in parte da una confusione di arte e classe sociale, in parte da una paura e diffidenza verso il piacere che può essere attri- buita alla tradizione puritana. Senza dubbio è per questo che c’è un così scarso sostegno sta- tale per le arti negli USA; è signi- ficativo che il governo federale dia maggiori finanziamenti alle bande militari che a tutte le arti messe insieme. CINEMA ESPANSO

S T O R I A D I _ U N A M A M M A

di ALICE BONETTI

Abbiamo visitato la mostra “Tv 70, Francesco Vezzoli guarda la Rai”, una monumentale esposizione alla Fondazione Prada di Milano fino al 24 settembre che ripercorre il momento anarchico e d’avanguardia della televisione di Stato. CINEMA ESPANSO 80 - 81

iene in mente il rendere contemporanee imma- L’ultima sezione della mostra, produzione culturale riuscendo a V “dolce naufragar” gini venute dal passato e prende “Intrattenimento e Televisio- sperimentare, a fare avanguardia, di Leopardi, men- forma all’interno di ben tre spazi ne”, è la più leggera e divertente talvolta in maniera sovversiva e tre ci si perde in della Fondazione: la galleria Nord, e propone una lettura parallela provocante (pensiamo a Danie- quel mare immenso di ricordi il Podium e la galleria Sud. La pri- tra Tv, arte e spettacolo, con un le Piombi che conduceva C’era che è “Tv 70, Francesco Vezzo- ma sezione, “Arte e Televisio- focus particolare sul ruolo della due volte con Cicciolina, all’apice li guarda la Rai”: la più grande e ne”, si concentra sul rapporto tra donna. Forse è proprio qui che si della sua carriera di porno star o a monumentale mostra finora mai televisione pubblica e arte, acco- comprende a pieno il carattere Grace Jones che canta seminuda ospitata dalla Fondazione Prada gliendo il visitatore con Paesaggi anarchico e rivoluzionario del- Anema e core uscendo da una maxi di Milano e che resterà “in scena” TV (1970) del pittore Mario Schi- la produzione televisiva italiana coppa di champagne) e a creare fino al 24 settembre. Un viaggio fano (una selezione di stampe degli Anni ‘70. In nessun Paese un luogo dove costruire una cul- immersivo e quasi onirico nella fotografiche a colori e dipinti, sul in quegli anni, né in Inghilterra, tura collettiva. memoria di Vezzoli e nell’imma- tema del sistema mediatico) per né in Francia, né tantomeno ne- ginario collettivo di una genera- poi catapultarlo tra i lavori di Ali- gli Stati Uniti, si vedevano infatti Al termine di un viaggio così zione la cui sensibilità artistica e ghiero Boetti, Alberto Burri, Gior- delle donne alla conduzione di un intenso e surreale, viene quasi intellettuale si è formata proprio gio de Chirico, Renato Guttuso e late show. In Italia, invece, nel 1974 spontaneo chiedersi se fra 50 davanti alla Tv. Michelangelo Pistoletto, fino ad “mamma Rai” mandava in prima anni qualcuno si prenderà la briga arrivare alle opere di autori come serata Raffaella Carrà e Mina a di realizzare un progetto del gene- Attraverso opere d’arte, immagi- Giulio Paolini (Apoteosi di Omero, condurre Milleluci, il varietà del re sulla televisione di oggi. Viene ni e documenti degli archivi Rai, 1970-71), Fabio Mauri (Il televisore sabato sera che per otto punta- quasi da ridere a pensarci, vero? l’artista bresciano racconta gli che piange, 1972) ed Eugenio Car- te celebrò un diverso genere di Eppure, se è vero che la Tv di oggi anni di una grande trasformazio- mi (C’era una volta un re, 1973). spettacolo, con la partecipazione non è nemmeno lontanamente ne sociale e culturale visti e rivisi- Proseguendo attraverso una lun- di famosi ospiti, di volta in volta comparabile a quella di allora, è tati attraverso la televisione pub- ga scalinata si approda nell’area sempre diversi. Nell’ala sud si al- vero anche che non deve nemme- blica italiana che ebbe, in quegli “Politica e Televisione”, che ternano così le icone femminili no essere paragonata. Se c’è una anni, il duplice ruolo di specchio indaga l’informazione politica del della nostra televisione: a Mina e cosa che questa mostra rende più e motore dei cambiamenti e delle tempo: in un lungo tunnel scuro, alla Carrà si affiancano le gemelle che mai evidente è quanto oggi contraddizioni socio-culturali di illuminato solo dalle luci dei pic- Kessler, Iva Zanicchi, Patty Pravo siano diversi, rispetto ad allora, il un Paese sospeso tra la radicalità coli schermi nei quali scorrono e Adriana Asti che, circondata da pubblico e le sue esigenze e quan- degli Anni ‘60 e l’edonismo degli estratti dei telegiornali dell’epo- pecore (vere solo nella sigla) nel to sia cambiato, grazie alla rivolu- Anni ‘80, tra moralismo e rivolu- ca, il visitatore assiste rapito e programma Sotto il divano, in- zione digitale, il modo stesso di zione, tra austerità e innovazione. impotente ai violenti fatti di cro- tervista altre importanti signore intendere la televisione e di es- naca di allora (il ritrovamento della Tv. serne spettatore. E allora sì, la Rai Decisamente accattivante è il del corpo di Aldo Moro, la strage è stata sicuramente un orologio percorso espositivo della mostra. di piazza Fontana, la morte di Il racconto si conclude, infine, nel che con le sue lancette ha scandi- Ideato dallo studio M/M Paris e Pasolini, l’assassinio del giorna- cinema della Fondazione dove to le ore, le emozioni e i dolori di realizzato con il supporto curato- lista Walter Tobagi, ecc.), le cui viene proiettato il film di Vezzoli intere generazioni ma, con sguar- riale di Cristiana Perrella, punta a immagine traumatiche risultano Trilogia della Rai, una sorta di “su- do più critico e oggettivo, possia- indelebili negli occhi degli italiani per –blob” che celebra la storia mo certamente dire che il digitale di ieri e di oggi. In una suggestiva della rete televisiva e il laborato- sta già scandendo il tempo e la sala rossa (impreziosita dalle in- rio d’arte, cultura e pensiero che memoria di quelle nuove. stallazioni colorate della signora fu. In fondo, tutta questa impo- dell’astrattismo italiano, Carla nente opera di Vezzoli vuole es- Accardi) vengono invece proiet- sere un vero e proprio omaggio tate immagini di lotte femministe alla televisione di Stato degli Anni e docufilm tra cui Un processo per ‘70 che, unendo intrattenimento stupro (1979) di Loredana Dordi, e formazione, ha saputo trasfor- il primo a essere mandato in onda marsi in una sorta di macchina di dalla Rai e a scuotere l’opinione pubblica relativamente al dibat- tito sulla Legge contro la violenza sessuale. TOTÒ. IL COMICO ASSOLUTO. di CRISTIANA PATERNÒ

La lettura della biografia dedicata al principe della risata da Alberto Anile sfata alcune leggende ma ne conferma una: l’inafferabilità del suo stile e della sua persona.

Ho capito chi fosse Totò nei cineclub romani, alla fine anche solo a guardarlo, prima ancora che apra bocca. Una speciale “ degli Anni ‘60: all’epoca mio padre mi aveva regalato il grazia, la vis comica. Ma anche, e in più di un senso, una maledizione. tesserino del Filmstudio, dove si organizzavano prege- È quanto emerge da Totalmente Totò. Vita e opere di un comico assoluto, voli rassegne monografiche dedicate a registi e attori. Al il libro di Alberto Anile, edito dalla Cineteca di Bologna, che si pone Filmstudio, come al Cineclub Tevere, ho avuto così l’opportunità di come biografia “definitiva” di Antonio De Curtis. Nelle straripanti 300 scoprire tutti i film con Totò e sono state continue ore di divertimen- e più pagine del volume il critico ripercorre la carriera e l’esistenza di to: non mi aspettavo nulla dalla trama dei film, ma la sua performance quest’uomo geniale e tormentato, afflitto da una patologica gelosia, era sempre sufficiente per garantire risate”. La testimonianza, appar- dall’ossessione di conquistarsi (e comprare a suon di milioni) un bla- sa sul quotidiano “Il Mattino”, si deve a Carlo Verdone, altro straor- sone nobiliare per compensare le circostanze irregolari della sua na- dinario comico naturale della nostra tradizione, capace di far ridere scita e dallo stigma di guitto che certa critica intellettuale gli affibbiò CINEMA ESPANSO 82 - 83

e che dovette portarsi addosso i titoli al suo attivo, da Fermo con multiple sorgenti artistiche, alle a lungo. “Scrivere di Totò non è le mani di Gero Zambuto (1936) a sue umili esperienze teatrali, alle semplice. La sua forza anarchica Il padre di famiglia di Nanni Loy sua disordinate esperienze cine- sembra farsi beffe di ogni rigore, (1967) e si arriva a cento tondi matografiche. E un poco ripar- di ogni pretesa analitica. Le risate aggiungendo doppiaggi, serie tv e tendo anche dai drammi del figlio che suscita lo hanno incatenato al camei non accreditati - lo studio- di nessuno, dal giovanotto emar- ruolo di buffone, dispensare alle- so tenta anche di demolire una gria lo ha messo a rischio di esser serie di luoghi comuni che han- preso alla leggera”, scrive Anile, no imperversato e continuano che dedica il libro a Franca Fal- a volte a trovare credito. La non dini e Goffredo Fofi. Quelle stes- esportabilità della sua cifra comi- se risate incontenibili lo hanno ca, ad esempio, o la proverbiale reso evidentemente “sospetto” a indolenza. Non è vero che si pre- certi recensori. E deve aver gio- sentò volontario per combattere cato anche la sopravvalutazione nella prima guerra mondiale. Non degli aspetti registici dell’opera è vero che la sua relazione con Li- rispetto alla preponderanza della liana Castagnola, la sciantosa che performance attoriale che nel suo per lui si suicidò, e che forse volle propria esegesi. Offriva scarsi caso è lampante e persino schiac- ricordare nel dare lo stesso nome appigli, perché convinto che su ciante: si andava - e si va - a vedere alla sua unica figlia, fosse così ro- certi argomenti non si possa te- un film “di” Totò, al di là di qual- mantica come è stata dipinta. orizzare. Quando un interlocu- siasi costruzione e con la parziale Molti sono stati gli omaggi recen- tore cercava di radiografarlo, lui eccezione di alcune incursioni ti, a cinquant’anni dalla scompar- cambiava discorso. La sua è la ginato e deriso che ha cercato con autoriali, specie Uccellacci e uccel- sa avvenuta il 15 aprile 1967, ma verità dei bambini e dei pazzi, di tutte le forze di diventare Antonio lini. Ma anche naturalmente La nessuno ha messo a fuoco con al- un io senza sovrastrutture, ve- de Curtis, con esiti incerti, ma che terra vista dalla luna, Che cosa sono trettanta precisione la grandezza nuto a reclamare attenzione alle è riuscito ad essere certamente, le nuvole? e il Rossellini di Dov’è la dell’artista (spesso vilipeso dalla proprie esigenze corporali, agli totalmente Totò”. libertà. critica dell’epoca, come ricorda- appetiti egoistici, e a ricordare i va nel nr 31 di questa rivista Gian- precipizi dell’esistenza, i crepac- ni Canova). Anile porta avanti in ci della follia e della morte: una parallelo il discorso storico-bio- verità sfrontata, che viene a fare grafico e l’analisi teorica di quello scandalo mostrandosi nuda”, che definisce “un comico asso- scrive l’autore. Che nel volume luto”. Il suo non conformismo, ospita anche quattro brani d’epo- l’istinto di morte, la particolarità ca poco noti: un ricordo del Totò fisica e fisiognomica che fin dagli degli esordi tratto da un volume esordi saltò agli occhi con quel di Dino Falconi e Angelo Frattini, corpo marionetta perfettamente una recensione di Orio Vergani, snodato e quel volto irregolare, un ritratto affettuoso di Vincenzo quasi cubista. “Antonio de Cur- Talarico e un’intervista di Mauri- tis collaborava malvolentieri alla zio Ponzi apparsa sui “Cahiers du cinéma”. Insomma, “il geroglifico Totò si decifra risalendo alle sue

Lo stesso de Curtis ha messo molte trappole sul cammino dei suoi biografi disseminando intor- no al suo passato e alla sua per- sona stralci di verità romanzata. Anile, che di Totò si era già occu- pato in passato in vari saggi tra cui Totò proibito edito da Lindau nel 2005, aggira i trabocchetti. Attra- verso un percorso cronologico che parte dall’infanzia “futuri- sta” del figlio di NN, passando attraverso gli anni della gavetta, la rivista e il varietà, il cinema po- polare e quello d’autore - sono 96 METTITI AI PIEDI LA STORIA DEL CINEMA di MARIANNA REDAELLI

Una collezione di calzature s’ispira ai grandi autori, da Antonioni a Fellini, per realizzare una campagna. Ce la racconta l’art director.

è un termine usato è nato dall’idea di legare la ma- C’ nel mondo della estria italiana con un elemento, creatività che espri- un’arte e un’estetica riconosci- me il processo di bile in tutto il mondo, cercando valorizzazione di un marchio di una via democratica in un discor- moda nella stagionale crociata so aulico e di valori. Il cinema, alla conquista del Graal della visi- quindi. I registi, i filoni storici, i bilità: lo storytelling. topoi, i personaggi. Si è studiato, rimesso mano e occhio su molte Ogni qual volta un art director, nozioni acquisite e ricercato con novello cantastorie, riceve un metodo deduttivo e sperimentale brief, si innesca un processo di certe somiglianze, codici estetici collegamenti per cui si “mette e di genere, trame e caratteri: nel ordine” alle molteplici sfaccet- Neorealismo si è trovata la chiave tature dell’identità della marca e di lettura del “discorso narrativo” questo “vissuto” prende forma. della campagna. Immaginate di trovarvi con tutta questa saggia consapevolezza di Genere controverso per l’essenza intenti in riunione. Tante teste, stessa del suo manifesto d’inten- diversi obiettivi, un budget vinco- ti, disarmante nei richiami alla lante e sei paia di scarpe che per contemporaneità socio-econo- essere lì davanti hanno superato mica, problematico nella ricerca mille vicissitudini. Molte mani e di un compromesso di appeal più competenze le hanno accompa- fresco e visionario che lo potes- gnate sin lì con il fine ultimo di se legare al “pensiero di moda”. vederle diventare oggetto del de- L’attenzione si è raffinata e ha siderio. Il compito ora è quello di giustificato il giusto intuito nella rendere giustizia. “geo-localizzazione”: non solo italiana, ma più specificatamen- Nando Muzi è un nome marchi- te marchigiana. Terra verace che, giano - calzature di ottima fattura lì in prossimità, ha dato i natali e dal carattere articolato. a Federico Fellini. Abbracciare Il concept della nuova campagna il suo mondo fantasmagorico, CINEMA ESPANSO 84 - 85

estroso, umoristico, una sorta sviluppo/ingrandimento (“blow di realismo magico, onirico, che up”) del negativo di stampa e le ha “ritratto” una piccola folla di prospettive di un punto di fuga personaggi memorabili in decine sfuggente, come il finale del film. di lungometraggi ricchi di satira Tutto si staglia su un fondale di e di velature malinconiche, è sta- rosso campito e saturato. ta l’intuizione discriminante. Ha permesso di vedere nelle caratte- Percorrendo le immagini di Maria ristiche estetiche di una calzatura Callas in Medea di Pier Paolo Pa- un rimando semantico allegge- solini si è riscontrata una vicinan- rito e mostrare la moda come un za tra i costumi di scena - possen- mondo di possibilità, invenzione, ti monili in mitologico metallo e cambiamento. vesti ieratiche - e il sandalo in pel- le a specchio e tacco a colonna ri- Che linguaggio però utilizzare coperto di boules effetto borchia. per tradurre queste osservazio- Nella composizione un tocco di ni? Quando è l’oggetto ad essere viola drammatico, uno spicchio il protagonista di un’immagine si di occhio bistrato nero, il mar di usa un metodo fotografico deno- Grecia e una invocazione teatrale: minato still life. Si è pensato che Oh! (tu) Medea. te e piccole catene applicate. Gel- In fase di brainstorming si è pen- il collage, assemblaggio surreale somina, gioviale e ingenua, non sato ai supporti materiali delle di materiali visivi in apparenza Nell’opera di Federico Fellini c’è può che calzare una scarpa un po’ pellicole, alla celluloide, agli discordanti, avrebbe permes- una ricchezza di piccoli accadi- “matta”. E quelle catene sono un strumenti di ripresa, ai fotogram- so la realizzazione di locandine menti, una coralità di volti, luoghi, legame indissolubile con il bur- mi e ai montaggi che sembrano cinematografiche, veri e propri finezze e divertimenti, malinco- bero Zampanò. comporre uno studio dinamico spoiler di un successivo e auspi- nie e suggestioni. Anche le figure della figura. Si è realizzato uno cabile progetto fotografico e di di contorno sono tipi universali, I toni neutri della sneaker color shooting focalizzato sulle gambe comunicazione dall’imprint fil- immortali e poetici, per questo carne con para e piume tono su della modella e sui movimenti mico. Sei modelli di scarpe, sei apprezzati in tutto il mondo. La tono hanno condotto a ragiona- dei piedi vestiti dalle sei scarpet- protagoniste per sei pellicole “co- Gradisca di Amarcord ha regala- menti intorno all’uso dei viraggi te. La finalizzazione del progetto ming soon”. Scegliere il collage to dettagli per la scarpa di vernice e delle sovraesposizioni sui po- è stata ottenuta immaginando ha permesso di sperimentare, ha rossa, tacco stiletto e piumaggio sitivi di stampa della pellicola di che le locandine prendessero vita concesso di realizzare un “pen- spumeggiante. C’è il Grand Hotel 8½. Guido Anselmi si muove in in maniera surreale, ironica, ina- siero narrativo” di ampio respiro, di Rimini sullo sfondo, sgranato e un mondo tra il sognato e l’imma- spettata. lasciando al fruitore una persona- sfocato come un ricordo, appun- ginato, complesso e sfaccettato, le aspettativa in attesa dell’uscita to. Ne La strada si è individuato da cui le manipolazioni in sep- La grande sfida di ogni progetto del film. il connubio tra il mondo dei sal- pia, azzurrato e successivamente di direzione artistica è quello di timbanchi e il mocassino verde bianco e nero, colori dominanti riuscire a coniugare i diversi pia- Ecco cast, sceneggiature e ruoli: acido in pelle a specchio roboan- della locandina. ni temporali in gioco. Il passato, con il corollario di concetti che una elegante décolleté nera, fem- gravitano intorno a termini quali minile e affascinante come Karin heritage e tradizione; il presente, in Stromboli di Roberto Rossel- con la consapevolezza di mec- lini, ha portato alla sabbia nera caniche e tecniche di advertising dell’isola, fatta di lava e ossidiana sempre più capillari e sociali; il sbriciolata e luminescente. Là, futuro, la visione in prospettiva di Stromboli, ad indicare come si cosa, quanto, chi, come e perché, guardi a Iddu, isolato e stupefa- ciò che si è idealizzato e realizzato cente segnale della presenza divi- possa influenzare, colpire, stimo- na sospeso in lontananza. lare. È un agire sempre in bilico. È un po’ essere, come si definiva Istantanea associazione quella Federico Fellini, “un artigiano tra il sandalo dal tacco basso e che non ha niente da dire, ma sa solido, in pelle oro e sottili gab- come dirlo”. bie di listini e la ricca e raffinata Swinging London. Blow-Up di Michelangelo Antonioni ha for- nito i riferimenti per comporre il “quadro”: il parco in cui Thomas scatta, l’optical ad effetto fish eye di un obiettivo fotografico, lo INTERNET E NUOVI CONSUMI

DA MEME A FILM IL PASSO È BREVE

di CARMEN DIOTAIUTI INTERNET E NUOVI CONSUMI 86 - 87

lzi la mano chi non ha mai fatto quell’esercizio dell’im- maginazione che spinge a fantasticare sulle vite degli A altri, cercando di cogliere, spesso con un buon grado di ironia, la storia che c’è dietro a espressioni o movenze di perfetti sconosciuti. “Ricorda un insegnante di letteratura in pen- sione che ha appena incontrato il suo peggior vecchio studente, ora chirurgo”. Oppure: “Si muove come un conducente di autobus a fine CONSULTA IL MOTORE turno che torna a casa a dipingere quadri”. O ancora: “Sembra una la- DI RICERCA ME.ME: dra specializzata nell’imbrogliare gente ricca, insieme alla sua amica https://me.me/ esperta informatica che la aiuta ad organizzare i colpi”. Quest’ultimo, però, non è solo un innocente giochino rivolto a due sconosciute, ma è la didascalia parodistica di uno dei memi del momento, che un uten- te della Rete ha postato sulla piattaforma di microblogging Tumblr insieme a una foto della pop star Rihanna immortalata affianco all’attrice Lupita Nyong’o, premio Oscar per 12 anni schiavo. Le due sono state ritratte durante una sfilata di moda parigina, con un abbi- me alla sceneggiatrice Issa Rae, autrice della serie comedy americana gliamento che effettivamente risalta per le contrapposizioni: vistosa di successo Insecure. Tutta questa attenzione non è sfuggita al gigante pelliccia con avvolgenti occhiali da sole per l’una, austero completi- dello streaming Netflix che, durante lo scorso Festival di Cannes, si è no collegiale e rigorosi occhiali da vista per l’altra. Il post è diventato accaparrato i diritti per farne un film con un’offerta molto aggressiva, improvvisamente celebre e si è trasformato presto in un meme virale, a quanto rivela il magazine “Entertainment Weekly”. Proprio come ripreso anche su Twitter e sui profili personali delle star, dove è stato suggerito dagli spettatori online, il film, che dovrebbe essere pronto rilanciato e commentato a ritmo serrato. Un coinvolgimento del pub- per il 2018, sarà diretto da Ava DuVernay, sceneggiato da Issa Rae e in- blico della Rete che si è spinto fino a suggerire anche regia e sceneggia- terpretato dalle stesse Rihanna e Lupita Nyong’o, rispettivamente nei tura ideali dell’ipotetico film: Ava DuVernay, regista di Selma, insie- panni di ladra e hacker.

Innestato nel contesto della cultura popolare, il meme è un elemento virale creato da un utente che arricchisce un contenuto originale ren- dendolo proprio; creando così un elemento nuovo che decostruisce È bastato il prodotto culturale preesistente. Su internet prende spesso forma di video, immagine o testo, caratterizzati dall’alta capacità di propaga- uno scatto stravagante zione e dall’unità di significato. Questo vuol dire, come suggerisce il della pop star Rihanna filosofo Brent Silby in Che cos’è un meme, che costituiscono un’unità memetica, in quanto elemento minimo di significato, le prime quat- insieme all’attrice Lupita tro celebri note della Quinta Sinfonia di Beethoven, ma non le prime Nyong’o, ritratte durante tre. Sebbene non sia fondamentale la presenza in Rete, sicuramente la struttura stessa della comunicazione online - costituita da una costel- una sfilata di moda parigina, lazione interconnessa di blog, siti, mail e social network - ne favorisce fortemente l’eco diffusivo. Un fenomeno che negli anni ha preso sem- a far scatenare i commenti pre più piede, tanto che un gruppo di ricercatori americani ha creato virali della Rete che le un database con relativo motore di ricerca specializzato nei contenuti virali, Me.me, che esplora e classifica gli oggetti più condivisi online. hanno immaginate come le “La maggior parte delle persone crede che i memi siano solo stupide protagoniste di un buddy immagini con del testo, pensate per evocare una reazione viscerale. Ma a livello più profondo, il meme è il vero tramite per trasmettere le film al femminile, nei panni attuali credenze, opinioni e pensieri della nostra cultura”, dichiarano gli autori, sottolineando come nel corso del 2016 i memi si siano for- rispettivamente di una scaltra temente politicizzati, con picchi di conversazione attorno all’hashtag truffatrice e di un’esperta MAGA (acronimo dello slogan elettorale di Donald Trump “Make America Great Again”). informatica sua aiutante. La vera novità del meme di Rihanna e Lupita Nyong’o non sta tanto, Tutta questa attenzione non quindi, nell’incredibile capacità diffusiva di un elemento a prima vista è sfuggita al gigante dello banale, quanto nel fatto che l’industria cinematografica si sia piegata ai gusti e alla satisfaction del pubblico, tanto da investire, certa di un streaming Netflix, che si è ritorno, per esaudire un suo gioco d’immaginazione. Un’inversione accaparrato i diritti per farne di rotta che affida la creazione di significato alla sfera emotiva dello spettatore, che emerge dall’essere anonimo e si staglia al di sopra del un film, con le stesse Rihanna processo creativo. e Lupita Nyong’o nel cast. GEOGRAFIE

2 3 LA MAPPA DELLA 1 (CINE)CITTÀ 4 di NICOLE BIANCHI set antica Roma

set Firenze del ‘400

set tempio di Gerusalemme

a città del cinema, Teatro 5 nella Città Eterna, L quasi non ha biso- set Un medico in famiglia gno di un indirizzo: come Hollywood è Hollywood, Cinecittà è Cinecittà. Il civico 1055 di via Tuscolana corrisponde ad una cittadina di sulla Tuscolana, appena passati questo caso del sogno possibile, rie tv I Borgia, le esibizione della 400.000 mq di Studi, tra i più sotto la “scritta” Cinecittà, che come solo il cinema può donare, band inglese Coldplay, videoclip grandi d’Europa (22 teatri di posa, campeggia in alto all’edificio vive nella Roma Antica, set alle- di vari artisti come Ligabue. 2 strutture tensostatiche, 300 ca- esterno, si apre il parco nel cui stito per Rome, serie tv della HBO, Altro tempo, altra storia, quello merini ed uffici, 21 sale trucco, centro emerge la testa della Ve- una costruzione monumenta- del Tempio di Gerusalemme, una piscina di 7.000 mq). Come nusia, non un set ma un pezzo im- le. La scenografia riflette il Foro qui realizzato da Francesco Fri- ogni “città” che si rispetti, anche portante d’uno d’essi, Il Casanova romano, con strutture portanti geri - anche scenografo in The Cinecittà ha la propria geografia di Federico Fellini (1976). rivestite con pannelli in legno e Passion di Mel Gibson – per il “urbana”, la propria mappa della Le tre scene complete e peren- vetroresina. Un elemento sceno- film The Young Messiah (2016) città, seppur, a differenza di qua- ni sono il set della Roma Antica, grafico molto palese sono i colori di Cyrus Nowrasteh. Questo lunque altra, nella sua “architet- il Tempio di Gerusalemme e la della repubblica: spiccano rossi, Tempio è stato costruito con tura” continuamente mutevole Firenze del Quattrocento, oltre blu, verdi, che nell’insieme so- un’ampia libertà creativa, senza dal 1937, quando fu creata. a porzioni di altre storie da gran- stengono chi guarda, e cammina filologia, mescolando stili, in- Sono appunto 22 i teatri di posa de schermo, come l’America di in mezzo a questa Roma Antica, fluenze e architetture diverse: interni, oltre a quelli temporanei Gangs of New York e il più nostra- aiutandolo ad immergersi davve- babilonese, assira, dello Yemen 5 allestiti all’occasione: permanen- no, ma riconoscibilissimo per gli ro in quel tempo. Il set, oltre alla settentrionale. La struttura è in ti invece quelli di tre monumen- spettatori televisivi, Poggio Fiori- produzione principale, ha ospita- vetroresina, dà un effetto molto tali produzioni, anche visitabili to, quartiere d’ambientazione di to anche altre storie per piccolo e realistico, soprattutto per il lavo- per il pubblico. Un medico in famiglia. grande schermo: gli spot di Victo- ro sui dettagli decorativi e sulle Entrando dall’indirizzo ufficiale La macchina del tempo, e in ria’s Secret (2015) e Smart, la se- forme scultoree, con la realizza- GEOGRAFIE 88 - 89

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zione dei calchi di pietra capaci spazio urbano, che però, oltre alle di donare verosimiglianza. scene ancora fruibili, non riesce a Ancora una serie tv per il terzo farne dimenticare di altrettanto grande set permanente, quello mitiche: Quo vadis? (1951), il plu- della Firenze del Quattrocen- ripremiato Ben-Hur del ’59, così to: Francesco (2002) di Michele Cleopatra (1963), ma anche Le av- Soavi, con Raoul Bova nel ruo- venture del barone di Münchausen 4 lo del santo umbro, è realizzata (1988) di Terry Gilliam, Il paziente dallo scenografo Marco Dentici. inglese (1996), oltre a Bellissima Dopo le riprese, il set è stato ria- di Visconti o all’Habemus Papam dattato diverse volte. Nel 2010 è (2011) di Nanni Moretti, fino ad stata modificata la facciata della una delle più recenti produzioni chiesa per le riprese di Amici miei USA, Zoolander 2 (2015). – Come tutto ebbe inizio, diretto da Entrare a Cinecittà è una passeg- Neri Parenti, prequel dell’Amici giata dentro il cinema, una mac- miei di Mario Monicelli. Due anni china del tempo a cielo aperto e dopo, una parte della scenografia dentro storie oniriche, che rende ha fatto rivivere la città di Verona archeologi, ammiratori, forse per le riprese di Romeo and Juliet, soprattutto, in fondo, attori (per diretto da Carlo Carlei. Nel 2015 finzione del cinema, per realtà il set ha subito un ulteriore cam- della vita). biamento per The Young Messiah e una parte della scenografia è stata trasformata in un’ambientazione del tempo di Gesù. Del set di Un medico in famiglia sono invece costruiti la villetta della famiglia Martini, l’intera via di accesso e percorso del quartie- re, e quella che per alcune punta- te fu la cioccolateria. Non un set nel senso canonico, ma un ventre strutturale che ha accolto in sé alcune tra le sce- nografie più indimenticabili del cinema nostro e non solo, il Tea- tro 5, quello “di Federico Fellini”, 5 anch’esso, quando non occupato, aperto al pubblico. Cinecittà fu e sarà molte altre storie. Una “città” percorribile, visitabile come qualsiasi altro VIA TUSCOLANA TRAILER ANATOMY

IL NOSTRO COMPITO È SALVARE IL MONDO!di MARTINA FEDERICO

film, che apre a un susseguirsi di azione in senso puro. Infine, ver- so la conclusione, compare una intensa voce narrante maschile che chiarisce i termini in gioco a mo’ di premessa, e che delinea al contempo la cornice e l’orizzonte entro cui lo stato di cose sarà evi- dentemente modificato dall’a- il turno del trailer zione: “Benvenuti in un mondo È dei film d’azione. nuovo, di dei e di mostri”. Il mo- Stando ai più im- tore della storia fa capolino nelle portanti database, intenzioni: “la principessa Ahma- scegliamo come testi La Mum- net rivendicherà quello che le è mia, Wonder Woman e Pirati dei stato negato”. Ecco che l’azione Caraibi - La vendetta di Salazar. trova la sua giustificazione, la sua La Mummia, il cui primo - dei spinta, la sua ragione d’essere; tre - trailer pubblicato dalla Uni- sappiamo qual è la missione da versal Pictures è emblematico e, compiere (dal punto di vista della come vedremo a breve, esempli- donna e di chi le si opporrà). È qui ficativo di due punti centrali, che che vengono poste le condizioni vanno a caratterizzare in maniera di un conflitto che, per questo decisiva la tipologia di trailer in motivo, riusciamo a prefigurarci. questione. Questo inizia e pro- segue muto: i personaggi, pur essendo presenti nella scena, condividono un silenzio ricco di tensione. Quello che vedia- mo è uno dei momenti clou del TRAILER ANATOMY 90 - 91

Lo stesso meccanismo è presente un conflitto di cui conosciamo le sua epica intrinseca. Il soggetto anche in Pirati dei Caraibi: “E poi premesse e le future conseguenze lotta (mette in piedi l’azione per è arrivato quel ragazzo, Jack Spar- ma che soprattutto vediamo fin ottenere qualcosa ) sulla base row, mi ha portato via tutto, e mi da subito. La vera particolarità del di una cornice, di una premessa ha riempito di rabbia”, “trova trailer dei film d’azione è allora (inizio), cioè di un “mandato” Jack Sparrow per me e dagli un questa: vediamo esattamente ciò che si pone a sigillo di garanzia messaggio da parte del capitano di cui si parla e – reciprocamente per la sua stessa “competenza” (la Salazar: la morte verrà a prender- – si parla esattamente di ciò che competenza è già nel mandato: se lo”. Come se non bastasse l’intri- riusciamo a identificare. In ballo qualcuno commissiona al perso- go è già presente nel sottotitolo c’è un sistema di interdefinizione: naggio un compito, vuol dire evi- (la vendetta di Salazar), ecco una le parole vanno a legittimare quel- dentemente che lo ritiene capace IL NOSTRO premessa che innesca l’azione re- lo che è mostrato e quello che di svolgerlo) e, infine, per far pro- stituendocela in maniera chiara: vediamo è esattamente ciò che le gredire la storia, che conduce alla come è ovvio che sia, la ricerca parole hanno lasciato che imma- “sanzione” finale. Quel che è certo di Jack Sparrow comporterà una ginassimo, in accordo con le pre- è che una delle due parti nella col- COMPITO serie di cose. messe iniziali. “La scazzottata”, luttazione soccomberà. È un con- dirà – a sproposito – un personag- flitto di cui sono chiari fin dall’i- In Wonder Woman due battute gio femminile nel trailer di Won- nizio, e senza equivoco, il bene e di dialogo si pongono sulla stessa der Woman; “scappa!”, dirà Tom il male (l’eroe e l’antieroe), dove linea: “Il nostro compito è salvare Cruise alla bella bionda per salva- gli attori sono due forze opposte, È SALVARE il mondo”, “chiunque tu sia, sei re la quale alla fine si sacrificherà. di cui solo una alla fine risulterà più in pericolo di quanto credi”. Scappare da qualcuno, ovvero vincitrice. L’epilogo ci appare nel- Da qui in poi riusciamo a preve- l’inseguimento come “ABC” dell’ la sua inevitabilità: come nei miti dere le devastanti conseguenze azione. Ciò che ha luogo è, allora, più comuni, il trionfo dell’eroe. IL MONDO! che ne deriveranno, in un senso o un’illustrazione del conflitto. Non in un altro. ci sono misteri e tutto quello che In secondo luogo, c’è ancora ci limitiamo a fare è prepararci a qualcosa di specifico che si lega vederne semplicemente “di più”. nuovamente all’azione in sé. Nel trailer dei film d’azione, la Quest’ azione che ci figuriamo trama è nell’azione; anzi, la trama grazie alla premessa, oltre ad ave- è l’azione, e nelle sue varie forme re il privilegio di essere immagi- si esaurirà. Tutto il resto deriva da nata, ha in realtà - per giunta - luo- questa per deduzione. Dunque, go sotto i nostri stessi occhi: in un indiscutibilmente e necessaria- tripudio di musica e movimento, mente, buona parte del contenuto effetti sonori e tagli di montaggio di un trailer di un film d’azione è che rappresentano la coreografia a essa dedicato. L’ azione è, come di una trasformazione, l’azione ci abbiamo visto, mostrata nella sua sfila davanti nel momento stesso “performanza”, nel mezzo della in cui, sulla base delle premesse, sua essenza, nel momento della cerchiamo di prevederla. Dunque sua occorrenza, nell’attimo della PUNTI DI VISTA

AD di GIANMARIA TAMMARO PIATTA- FORMAM

La polemica tra Netflix e il Festival di Cannes riletta a mente fredda, qualche mese dopo, ci rivela qualcosa sul futuro della sala: che rimane importante per la vita delle persone. PUNTI DI VISTA 92 - 93

a una parte c’è D Netflix e dall’altra c’è il Festival di Can- nes. Da una parte c’è sul televisore; se su smartphone o la novità, la rivoluzione assoluta, su tablet. E bisogna anche capire la voglia di cambiare le regole del se una di queste modalità ne pre- gioco (e, poi, di stabilirne altre); e clude qualcuna, o ne avvantaggia dall’altra c’è la tradizione, la sala, qualcun’altra. Suona come un di- Facciamo un passo indie- c’è un certo modo, un modo at- scorso definitivo: e invece si trat- tro: “Questa – ci dice Alberto tento, di fare – e di mostrare, so- ta di trovare un equilibro. Crespi, conduttore di “Hol- prattutto – cinema. In mezzo, ter- Partiamo da quello che sappia- lywood Party” su Radio3 Rai – è ritorio di conquista, il pubblico. mo. Come dice Paola Jacobbi, una storia piena di paradossi. Per- All’ultima edizione del Festival giornalista di “Vanity Fair”: “Oggi ché o si va verso un sistema dove francese, questi due Golia dell’in- la stragrande maggioranza delle tutte le opportunità vengono trattenimento se le sono date di persone guarda i vari prodotti au- salvaguardate oppure difender- santa ragione. Oggetto del con- diovisivi – chiamiamoli così – su ne una sola può diventare ri- tendere: la distribuzione in sala device, non in sala. Non si può schioso”. E cioè rischi di perdere dei film prodotti – e rilasciati – da tornare indietro da questo. Ini- di vista il dito e la Luna, e di non Netflix. Per Cannes (e per gli eser- ziare una battaglia in difesa della sapere più che cosa sta succeden- centi francesi), i film in concor- sala rischia di essere di retroguar- do. E se sei un Festival come Can- so nella Selezione Ufficiale devo- dia”. Il problema, che c’è, è “un nes, rischi pure di perdere un’oc- no passare anche nei cinema. Per problema culturale. Siamo in un casione e di darla, invece, ai tuoi Netflix, invece, che ha fatto dello momento di passaggio sia dal competitor: “È un po’ come il cal- streaming il proprio core busi- punto di vista di chi i film li scrive, ciomercato – suggerisce Crespi ness, dopo un passato da servizio dirige, produce e interpreta, sia – cerchi di prendere i calciatori di noleggio di DVD, i 36 mesi che dal punto di vista di chi li guar- che non possono andare da nes- la Legge francese prescrive prima da”. E per inciso: di film, oggi, se sun’altra parte. Mentre Cannes si della release in Home Video (e ne vedono molti di più rispetto a chiude in una battaglia così uni- in altro formato) sono troppi: e i quando non c’erano piattaforme laterale, altri festival ne approfit- quasi 100 milioni di abbonati non di streaming come Netflix. “E se teranno. Venezia, per esempio, ha possono aspettare così tanto. guardi i conti degli Studios scopri già messo in selezione dei film Per dovere di cronaca: Netflix che non hanno mai fatto tanti sol- prodotti da piattaforme. Nel 2015 ha provato a trovare un compro- di come in questi anni”. in concorso c’è stato Beasts of messo, cercando un distributore “Che differenza c’è – insiste la Ja- No Nation di Cary Fukunaga, pro- francese e una deroga “ad piatta- cobbi – tra un film e le prime due dotto proprio da Netflix”. formam” della legge. Ma non c’è puntate, per esempio, di Il problema, insomma, è un al- stato nulla da fare. E Cannes, alla Big Little Lies? Siamo in una fase tro: è la pirateria. “Non so come fine, ha deciso: dal 2018 si cam- completamente diversa, e proba- vada negli altri Paesi, ma qui da bia, e per partecipare al Concorso bilmente l’operazione televisiva noi sembra che sia consolida- ufficiale bisognerà passare per le della serialità potrebbe anche ta – dice Crespi –. È considerata sale francesi. cambiare, potrebbe tornare in- assolutamente accettabile. Co- Dire chi ha ragione – dire, cioè, chi dietro. La gente a un certo punto nosco un sacco di persone che ha più o meno legittimità in que- si stuferà delle serie televisive, fanno il nostro mestiere, e che sta discussione – è difficile. Forse perché hanno questo difetto: più scaricano illegalmente senza sen- nessuno ha ragione o forse, molto hanno successo, più durano; e più tirsi in colpa. Esistono ancora dei più probabilmente, nessuno ha rischiano di peggiorare”. E quin- prodotti cinematografici che van- torto. Bisogna riflettere su come i di? “Quindi secondo me in futuro no visti in particolari condizioni”. film, oggi, vengono visti: se in sala ci saranno sempre più prodotti Eccola, forse, la divisione di com- o a casa, se sul grande schermo o che potranno andare sia in tv, sia petenze: l’ago della bilancia su in streaming e sia al cinema. Ci cui trovare l’accordo. “Io però ho sarà un grande rimescolamento come l’impressione che in Italia di formati”. questo concetto si sia perduto. Voglio sperare che la sala non sia andata, ma temo che possa anda- re in tempi molto rapidi, se non passa l’idea di difendere tutti i gradini - tutte le possibilità di fru- izione. Se in Francia c’è un ecces- so di protezionismo, qui da noi c’è un eccesso di deregulation, in cui nessuno sembra avere un po- tere vero per cambiare le cose”. Tornando per un momento ai paradossi: “A Cannes – ci rac- conta Crespi – ho visto le prime due puntate di Twin Peaks sul grande schermo, e sono uscito dalla sala con molti dubbi. Ho pensato: “questa è televisione, ma è anche cinema all’ennesima potenza”. Lynch è il più grande sound editor del mondo, l’ha inventato lui questo mestiere; e quando vedi una cosa sua, che sia Twin Peaks o un suo film, se hai il giusto supporto tecnico, ti rendi conto che sul computer o sul te- levisore di casa perdi molte cose. Quindi rieccoci: presi tra due fuo- E gli interrogativi che pensavamo chi, alla ricerca del Nord grazie di aver eliminato dicendo ‘ognu- alla bussola del pubblico e alle in- no veda quello che vuole dove dicazioni della mappa del merca- vuole’ ritornano quando ti ritrovi to. Ma la polemica – quella che ci- davanti a prodotti del genere” tavamo all’inizio – è una polemica “Registi come Lynch – continua isolata o è rivolta contro ogni tipo Crespi – fanno cinema quasi in- di piattaforma? Dice Gabrie- consciamente, anche quando la- le Niola, critico cinematogra- vorano con le piattaforme come fico, che: “È solo tra Cannes e Netflix o con i network televisivi. Netflix, assolutamente. Non tra Cercano la giusta inquadratu- Cannes e lo streaming. Il Festival ra, delle storie potenti. Forse, al- era pieno di film di Amazon e nes- cuni di questi registi usano questi suno ha detto niente. Forse per- mezzi per fare il cinema che han- ché a nessuno interessa: Amazon no sempre voluto fare. Capiremo non si contrappone alle sale, ma tra qualche anno come si esce da anzi fa fare ai film tutto il percor- questi paradossi, e lo capiremo so prima di renderli disponibili su dalla forza del mercato e da quel- Prime. Non è un tipo di business lo che la gente vuole o non vuole distruttivo”. Quello di Netflix, in- vedere”. vece? “Quello di Netflix sì. Punta proprio a cambiare le finestre, e l’ha già fatto in America. Per Can- nes, contrapporsi così a Netflix è una mossa totalmente contro- producente. Ma non credo che PUNTI DI VISTA 94 - 95

abbiamo abbandonato la pro- duzione dei film di genere, e ci siamo affidati al cinema d’autore e alla commedia. Ma non siamo più in crisi di altri Paesi. Gli in- cassi non calano più da noi che altrove. Provando a fare un di- lando: “Sono interessati in quello scorso onesto, non credo che la che fa soldi. Amazon ci ha prova- sala morirà”. Quello che salva il to con Woody Allen, gli è andata cinema, inteso come luogo, e che malissimo; ma è questo quello le piattaforme di streaming non che vogliono fare”. avranno mai è un ruolo preciso: Il nocciolo della questione, dun- “Le sale occupano un posto ben que, è un altro. Provando ad definito nell’urbanistica delle cit- allargare il quadro, e ad allonta- tà. Sono un ritrovo, sono quello narci per un momento dalla po- che facciamo; le sale hanno im- lemica tra il Festival di Cannes e portanza per la vita sociale delle Netflix, appare chiaro che il bene persone”. Ed è qui, forse, che si ri- conteso, qui, non è la finestra solve – o si dovrebbe risolvere – lo distributiva, o il diritto di prela- scontro tra Netflix e Cannes: nel zione su un film: “È l’attenzione rispetto di quello che, alla fine, il del consumatore. L’unica risorsa pubblico vuole. scarsa, anche in digitale, dove è tutto più economico. La televi- sione non è in concorrenza con il cinema, ma l’attenzione degli spettatori resta limitata, ed è quella che si contendono”. E il si possa definire stupida: Cannes pubblico, con il tempo, è cam- viene da un certo tipo di storia, è biato: “Una volta – dice Niola coerente con se stessa”. – il blockbuster era Il Padrino. È parere comune, però, che Oggi un film come Il Padrino non Netflix dia spazio a film che, al- sarebbe considerato un blockbu- trimenti, non vedrebbero mai ster. E non perché alla gente non la sala. Nemmeno grazie a fe- piaccia, ma perché non lo vanno stival come Cannes. “Alle volte a cercare al cinema. L’equivalen- ho l’impressione che viviamo te, oggi, è Breaking Bad. Sono I nell’illusione che quello che pia- Soprano. Tutto quel pubblico ce a noi arrivi a tutti – commen- che pagava il biglietto per andare ta Niola –. In realtà, queste cose, a vedere Il Padrino oggi lo aspet- questo genere di film, incassano terebbe in televisione. Chi va in sempre meno. Anche lo stesso sala va a vedere o film-evento o Scorsese incassa sempre meno. E film talmente piccoli che forse incassano sempre meno perché il non passeranno in televisione. pubblico assetato di quel tipo di Dopotutto, il film medio è mor- audiovisivo lo trova nelle serie tv. to”. Ovunque ma non in Italia, a Smette di cercarlo al cinema. Non quanto pare: “A un certo punto vedo Netflix come porto franco per un certo tipo di film. Inizia- no con questi, perché hanno un budget più accessibile. Se Netflix potesse farebbe direttamente gli Avengers”. Dopotutto è sem- pre di produttori che stiamo par- BIOGRAFIE

FRANCO SARA PAOLO MARIANNA JONATHAN MARIOTTI MARTIN VITALIANO REDAELLI ROSENBAUM PIZZATO È stato segretario di reda- Ricercatrice presso l’U- 47 anni, milanese, laure- Laurea in Comunicazio- Curatore di un sito web zione di “Bianco e Nero” e niversità degli Studi di ato in Lettere e Filosofia. ne e Semiotica, con spe- che archivia la maggior “Filmlexicon”. Assistente Parma. È caporedattore di Si guadagna da vivere cializzazione in Design e parte del suo lavoro: jo- dei direttori e ha curato il “Cinergie. Il cinema e le al- come impiegato ma so- Marketing del lusso. Gior- nathanrosenbaum.net. cerimoniale alla Biennale tre arti”. È autrice di Sceno- gna di fare lo scrittore. Ha nalista e art director, una Le sue pubblicazioni: di Venezia; autore di libri grafia e Scenografi (2013), pubblicato due romanzi – lunga esperienza come Moving Places, Placing sul cinema: Cinecittà tra di Gino Peressutti. L’archi- Quella solitudine immensa stylist e fashion editor per Movies, Midnight Movies cronaca e storia 1937-1989 tetto di Cinecittà (2013), d’amarti solo io e La logica testate nazionali e inter- (con J. Hoberman), Film: e l’opera in 4 volumi Roma di Streghe, pagliacci, mu- del mammifero – storia di nazionali (“Marieclaire”, The Front Line 1983, Greed, capitale del cinema; ha col- tanti. Il cinema di Alex de la una madre: il terzo, Ripa- “Cosmopolitan”, “Vogue Dead Man, Movies as Poli- laborato con riviste e gior- Iglesia (2015). Ha curato ferdine - Storie di cortile, in Gioiello” …). Ha coordi- tics, Movie Mutations (con nali di cinema; è direttore alcuni volumi, tra cui La uscita a settembre 2017, nato e sviluppato progetti Adrian Martin), Essential artistico di “Primo piano costruzione dell’immagi- è pubblicato da Giraldi per grandi marchi della Cinema, Movie Wars, Abbas sull’autore” e di varie ras- nario seriale contempora- Editore. È titolare del blog moda, tra cui Panerai, Kiarostami (con Mehrnaz segne cinematografiche neo. Eterotopie, personaggi, di suggerimenti letterari Il Bulgari, La Perla. Insegna Saeed-Vafa), Discovering in Italia; dal 1985 al 2010 è mondi (2014), Game of Consigliere Letterario (ht- e tiene conferenze: IED, Orson Welles, The Unquiet stato capo ufficio stampa Thrones, una mappa per tps://ilconsiglierelettera- Università La Sapienza, American, e Goodbye Cine- di Cinecittà Studios e Ci- immaginare mondi (con rio.com), aperto a febbra- HFFA – Haute Future Fa- ma, Hello Cinephilia. necittà Holding e curatore Valentina Re, 2017). io 2012. shion Academy di Milano di vari eventi per promuo- e Città del Messico. Il suo articolo è a pag. 78 vere il cinema italiano in Il suo articolo è a pag. 12 Il suo articolo è a pag. 40 Italia. Vicepresidente del Il suo articolo è a pag. 84 Sngci. È autore del docu- film Alcide De Gasperi il mi- racolo incompiuto.

Il suo articolo è a pag. 26 SUL PROSSIMO NUMERO IN USCITA A NOVEMBRE 2017

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ANNIVERSARI A 50 anni da Edipo re di P.P.Pasolini - Duevolte peggio che arrivare acompierne 40... - effetto Che fa arrivare a80anni? le delusioni diventano ordinaria amministrazione Questo èunodeipochi vantaggi dell'età: (William Powell inCome sposare unmilionario, 1953, diJean Negulesco)

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