Gli Allestimenti Scenografici Di Mario Ceroli

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Gli Allestimenti Scenografici Di Mario Ceroli Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici – Facoltà di Lettere e Filosofia Tesi di Laurea GLI ALLESTIMENTI SCENOGRAFICI DI MARIO CEROLI Relatore Ch. Prof. MARIA IDA BIGGI Correlatore Ch. Prof. NICO STRINGA Laureanda MANUELA DEI CAS Matricola 825003 Anno Accademico 2011 / 2012 1 GLI ALLESTIMENTI SCENOGRAFICI DI MARIO CEROLI 1. INTRODUZIONE pag. 4 2. LA SCENOGRAFIA ITALIANA DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI 2.1 IL RINNOVAMENTO DELLA SCENOGRAFIA TEATRALE pag. 7 2.1.1 Gli scenografi a teatro pag. 8 2.1.2 I pittori a teatro pag. 14 2.1.3 Gli scultori a teatro pag. 18 2.2 IL RINNOVAMENTO DELLA SCENOGRAFIA CINEMATOGRAFICA pag. 23 2.2.1 I film e le opere d’arte: dalla citazione, alla allusione, alla ripresa diretta pag. 23 2.2.2 Il cinema d’artista: le esperienze pre-underground pag. 26 2.2.3 Il cinema underground pag. 27 3. MARIO CEROLI: UNO SCULTORE DALL’ANIMA SCENOGRAFICA 3.1 Cenni biografici pag. 30 3.2 Ceroli, scultore tra tradizione e innovazione pag. 36 3.3 La scultura di Ceroli tra arte e spettacolo pag. 39 3.4 1968 o del teatro pag. 47 3.5 Mario Ceroli e il teatro pag. 48 3.6 Mario Ceroli e il cinema pag. 53 4. CRONOLOGIA DEGLI SPETTACOLI 4.1 Cronologia delle prime rappresentazioni pag. 56 4.2 Cronologia per tipologie di spettacolo pag. 57 4.3 Cronologia delle riprese e delle repliche documentate pag. 59 5. ANALISI DEGLI ALLESTIMENTI SCENOGRAFICI PER IL TEATRO, IL CINEMA, LA TELEVISIONE. 5.1 Riccardo III di William Shakespeare pag. 63 5.2 Il Candelaio di Giordano Bruno pag. 80 5.3 Orgia di Pier Paolo Pasolini pag. 87 5.4 Orizzonti della scienza e della tecnica, regia di Giulio Macchi pag. 95 5.5 Orlando furioso di Ludovico Ariosto pag. 99 2 5.6 Addio fratello crudele, regia di Giuseppe Patroni Griffi pag. 101 5.7 Norma di Vincenzo Bellini pag. 108 5.8 Identikit, regia di Giuseppe Patroni Griffi pag. 115 5.9 Lear di Edward Bond pag. 120 5.10 Beatitudines di Goffredo Petrassi pag. 122 5.11 Confessione scandalosa di Ruth Wolff pag. 127 5.12 Aida di Giuseppe Verdi pag. 135 5.13 Sancta Susanna di Paul Hindemith pag. 145 5.14 La fanciulla del West di Giacomo Puccini pag. 155 5.15 Girotondo di Arthur Schnitzler pag. 170 5.16 Assassinio nella cattedrale di Thomas Stearns Eliot pag. 176 5.17 Il trovatore di Giuseppe Verdi pag. 185 5.18 Romeo e Giulietta di Hector Berlioz pag. 200 5.19 Tosca di Giacomo Puccini pag. 207 5.20 Don Carlo di Giuseppe Verdi pag. 216 6 NOTE SUGLI ALLESTIMENTI SCENOGRAFICI DI CEROLI pag. 224 7 BIBLIOGRAFIA pag. 228 3 1.INTRODUZIONE «Per le arti figurative credo che il teatro, proprio il teatro, la lirica, il palcoscenico sia veramente … il palio di Siena»1. Mario Ceroli Questa tesi di laurea verte sullo studio e l’analisi degli allestimenti scenografici di Mario Ceroli, scultore abruzzese che, pur avendo alle spalle mezzo secolo di felice operosità, è dotato di una capacità artistica rigenerativa che lo ha portato a imporsi, fino ad oggi, fra i principali esponenti del panorama italiano. Ceroli nasce scultore. Al contrario di Michelangelo, che sosteneva che «la scultura si fa per forza di levare», lui lavora «per via di porre», ossia sovrapponendo sagome ad altre sagome, che completa coi residui di questi materiali e coi residui dei residui, che trovano sempre posto nelle sue composizioni, in un processo di costante rigenerazione. Ceroli lavora in sintonia con la materia, il pino di Russia principalmente, che esce nella sua forma definitiva dalle sue mani, senza intermediari. Ceroli usa un linguaggio mitico in opposizione al linguaggio scientifico che pretende di svelare razionalmente i misteri della natura. Le caratteristiche salienti del suo operato scultoreo si ritrovano nelle sue scenografie, «tutte […] memorabili, di grande contenuto formale, criptico, psicologico»2: alla scena Ceroli ha donato il proprio segno in modo inconfondibile, in una serie di spettacoli che hanno fatto epoca e che costituiscono un’assoluta eccezione rispetto alle abituali regole produttive della scenografia. I finti paesaggi, le abitazioni in cartapesta, i fondali posticci di certa tradizione drammatica e melodrammatica sono abbandonati con un balzo sicurissimo. Così accade nello spettacolo che segna il debutto di Ceroli in qualità di scenografo, Riccardo III di Shakespeare al Teatro Alfieri di Torino nel 1968, per la regia di Luca Ronconi: il suo allestimento, che riproduce l’intero spazio scenico in un involucro scultoreo, conquista la critica per l’ardimento e la felice realizzazione. Così accade pure nell’allestimento anticonvenzionale dell’opera Norma di Bellini al Teatro alla Scala di Milano nel 1972, con cui Ceroli esordisce nel campo del teatro lirico: la scena, concepita come ideale scultura lignea, si trasfigura, attraverso un movimento a rotazione e tagli di luce, in un tempio o in una foresta. Come si verifica per quello scaligero, tutti i suoi spettacoli fanno sempre scalpore, e vengono quasi unanimemente stroncati dai critici perché spesso rappresentano novità troppo radicali: ma chi li sa capire si accorge che si tratta di alcune delle realizzazioni scenografiche più originali e felici nella storia della scenografia dal dopoguerra in poi. La peculiarità che contraddistingue inequivocabilmente tutte le scenografie di Ceroli è quella di essere plasmate, come spazi e come volumi, esclusivamente con le sue sculture, ossia con opere plastiche frutto di creazioni artistiche preesistenti che vengono rivisitate da un punto di vista dimensionale, traslate sul palcoscenico, fatte muovere e dotate così di una nuova vitalità impossibile da raggiungere all’interno degli ambienti freddi e inerti del museo o della galleria d’arte. Rimanendo fedele alla propria scrittura, Ceroli non adatta semplicemente il lessico scultoreo all’occasione 1 Cfr. Franco Quadri, Questo è il teatro di Ceroli, in Maurizio Calvesi (a cura di), Mario Ceroli, catalogo della mostra, Firenze, Forte del Belvedere, 14 luglio – 16 ottobre 1983, La Casa Usher, Firenze 1983, p. 100. 2 Alessandro G. Amoroso, Mario Ceroli, «L’Acciaio inossidabile», dicembre 1996. 4 teatrale, ma ingloba quest’ultima, le conferisce la propria unità di misura, la propria valutazione spaziale e temporale: la riscrive adoperando la propria sintassi. Più che essere duttili nella propria mutevolezza dimensionale, le opere di Ceroli dettano una misura inequivoca a ciò che le circonda. Una scultura ingrandita non “abita” un palcoscenico, ma stabilisce i confini di questo luogo, ne ridisegna la proporzione. Il canone spaziale non è fornito dall’ambiente che accoglie l’opera di Ceroli, ma dall’opera stessa, rispetto alla quale l’ambiente ritrova una nuova dimensione. Già nel Riccardo III Ceroli l’artista mostra la caratteristica saliente della propria idea di teatro: la capacità dell’impianto scenico di determinare il movimento dei protagonisti, la disposizione dei cori, i rapporti cromatici dei costumi, fino alla significazione esplicita dell’evento poetico e interpretativo. Identificando lo spettacolo teatrale con il movimento dei suoi lavori, Ceroli accorda un ruolo subordinato all’attore, che spesso finisce in secondo piano per lasciare vivere il dinamismo delle forme scultoree nello spazio. La scena, nei suoi lavori per il teatro, si caratterizza come volume soggetto a una scansione ritmica e come spazio costruito plasticamente in funzione di una dimensione simbolica. L’approdo di Ceroli allo spazio scenico è avvenuto con naturalezza, palesandosi come esito spontaneo del costante interesse rivolto, a partire dall’inizio degli anni Sessanta, al rapporto tra lo spazio e le sue sculture. Un interesse, il suo, che si inserisce all’interno di una più ampia e generale tendenza artistica volta a superare i limiti oggettivi propri per tradizione all’opera d’arte e a far sconfinare questa nello spazio, e che ha portato Ceroli ad essere tra i primi fautori in Italia dell’environment. Pregno di significato è anche il fatto che lo scultore si accosta al palcoscenico in un momento particolarmente fecondo di scambio e confluenza fra le arti e il teatro. Infatti, mentre si manifesta un crescente interesse da parte degli uomini di teatro per la pittura e la scultura, una spinta analoga anche se di segno opposto porta gli operatori artistici a orientarsi verso forme espressive proprie del teatro, rendendo così sempre più evanescenti i confini tra spettacolo e arti visive: prova emblematica è il Teatro delle Mostre del 1968, a cui anche Ceroli prende parte. Ceroli rimane sempre fedele a sé stesso e al suo stile, seguendo un’impostazione analoga in tutti i suoi allestimenti per il teatro, il cinema, il balletto e la televisione, ai quali si dedica fecondamente per più di un ventennio, dal 1968 al 1991. Per la costante attenzione rivolta allo spazio sia nelle manifestazioni prettamente plastiche sia negli allestimenti teatrali, si avanza l’ipotesi che scultore e scenografo convivano in Ceroli come manifestazioni diverse ma complementari di una medesima idea progettuale, che anzi si arricchisce e si ampia con il confronto e con lo scambio tra i due ambiti. Dopo essersi soffermata, nel prossimo capitolo, sulla situazione generale della scenografia italiana dal secondo dopoguerra, soprattutto in relazione all’apporto dato dagli artisti per il suo rinnovamento sia in ambito teatrale che cinematografico, l’analisi si è concentrata, nel terzo capitolo, sull’attività artistica di Mario Ceroli. L’attenzione è stata puntata in particolare sulle opere in cui è più evidente la nuova concezione spaziale dello scultore, nonché sulla sua partecipazione a quelle manifestazioni artistiche al limite fra arte e spettacolo che caratterizzano la fine degli anni Sessanta, periodo durante il quale Ceroli trova il suo naturale sbocco in ambito scenografico. Nei capitoli quarto e quinto, infine, si è proceduto all’analisi specifica dei singoli allestimenti scenografici curati da Ceroli, che risultano essere quelli meno studiati dagli storici e dai critici dell’arte.
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