Alma Mater Studiorum – Università di

DOTTORATO DI RICERCA IN Politica, Istituzioni, Storia

Ciclo XXVII

Settore Concorsuale di afferenza: SPS / 05

Settore Scientifico disciplinare: 14 / B2

TITOLO TESI

Le valigie dell'anarchia: Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e Brasile nella svolta di fine Ottocento

Presentata da: Jorge Ariel Canales Urriola

Coordinatore Dottorato Relatore

Stefano Cavazza Riccardo Brizzi

Esame finale anno 2016

1 2 Introduzione

Il presente lavoro è il risultato di circa quattro anni di ricerca, svolti intorno alla problematica delle migrazioni degli anarchici italiani in America Latina durante l'ultimo quindicennio del XIX secolo. Si tratta di un periodo particolarmente importante per le «diaspore libertarie» della penisola, così come per la formazione del movimento anarchico nell'America del Sud. Ma non solo, poiché sono anche gli anni in cui l'anarchismo di lingua italiana divenne un movimento di carattere internazionale, presente nelle principali città del pianeta, da New York a Londra e Parigi. Nello stesso periodo, moltissimi altri italiani lasciavano i paesi e le città d'origine per cercare nuovi orizzonti al di là dell'Atlantico. Sono anche gli anni della «grande emigrazione», fenomeno di espatrio massiccio che raggiunse un ingente volume di emigranti mai visto prima. Anche se apparentemente questi due processi furono diversi nella loro origine – cioè, in Italia – si congiunsero poi nelle città d'arrivo, sia al Sud che al Nord delle Americhe. Questa ricerca si è proposta, per l'appunto, di comprendere la relazione dell'emigrazione anarchica con l'emigrazione dei lavoratori che dall'Italia si recarono nelle principali città argentine e brasiliane. Per avvicinarci al problema, evidentemente molto ampio, si è deciso di sviluppare una prospettiva regionale riguardo al processo d'emigrazione anarchica. In questo caso, abbiamo scelto di trattare in specifico l'espatrio degli attivisti libertari dell'Emilia e della , che in ragguardevole numero si sono recati nella sponda sudoccidentale dell'Atlantico. In termini storiografici, l'interesse di questa ricerca si è incentrato, dunque, nella comprensione del ruolo della componente emiliana e romagnola della migrazione anarchica, nella nascita e nello sviluppo del movimento libertario in Argentina e Brasile. Per discutere quest'argomento, il metodo ritenuto più adatto è stato quello di descrivere i percorsi militanti dei singoli attivisti, dalla loro adesione all'ideale anarchico in Italia, al loro inserimento nelle realtà libertarie sudamericane. Ovviamente, lungi da ridurre il fenomeno alle sole esperienze individuali, si è tentato di rilevare i rapporti degli attivisti emiliani e romagnoli con le diverse espressioni dell'anarchismo in Sudamerica e in Europa, con lo scopo di mostrare il legame di questi militanti con le reti e con le correnti del movimento libertario locale e internazionale.

3 Anche se la scelta dell'Emilia e della Romagna è stata ispirata principalmente da questioni d'ordine metodologico, la prospettiva regionale per il trattamento delle migrazioni anarchiche, è diventata un problema a sé stante per questo studio. In primo luogo, perché le esperienze individuali degli attivisti variarono enormemente sia nel momento della partenza, che nelle condizioni in cui essa avvenne, così come nei processi d'inserimento nelle realtà locali, nei gradi di partecipazione politica nella penisola e nei paesi sudamericani, ecc. Gli elementi comuni riscontrabili fra gli attivisti emiliani e romagnoli non sono diversi di quelli che li accomunano ad altri militanti italiani. Questo fatto è diventato il principale ostacolo per riconoscere una migrazione anarchica propriamente emiliano-romagnola. Questa ricerca ha tentato d'individuare alcuni tratti comuni, ma occorre avviare studi specifici sull'immigrazione anarchica in Sudamerica da altre regioni italiane, per poter comparare percorsi e processi, il che eventualmente consentirebbe di riconoscere le particolarità regionali. Sicuramente si rende necessario comprendere in modo più approfondito, il fenomeno globale dell'emigrazione dei militanti anarchici – e anche altri di tipo «politico» – dalle diverse provincie della penisola e, più in generale, anche le diverse manifestazioni regionali della «grande emigrazione». In qualche modo, questa ricerca si è indirizzata in quella direzione, anche se i suoi risultati non ambiscono a contribuirne che come «appunti». Dall'altra parte, la scelta per lo studio del movimento anarchico in Sudamerica è stata motivata dall'evidenza storiografica sul ruolo svolto da esso nella nascita, non solo dei primi movimenti operai nella regione, ma anche – e soprattutto – nell'origine delle prime forme di contestazione esplicita e frontale all'insieme del sistema «oppressivo» locale. Quest'ultimo punto non è secondario, poiché, in un momento successivo, l'espansione dell'ideale anarchico nell'America del Sud contribuì enormemente a dotare di un contenuto apertamente combattivo e «classista», anti-élitista insomma, alla sinistra locale, spostando il suo asse politico, da rivendicazioni riformiste verso prospettive rivoluzionarie di trasformazione sociale, seppur queste fossero rimaste pressoché nel solo ordine del discorso. Responsabili di questo processo furono attivisti europei che accompagnarono le grandi leve migratorie richieste dai mercati locali del lavoro, fra i quali gli italiani svolsero un ruolo sostanziale. È vero che anche socialisti – e, ancora prima, repubblicani – fecero parte dell'immigrazione politica in Argentina e Brasile, tuttavia furono gli anarchici a riscuotere maggior «successo» fra le classi popolari. Gli attivisti italiani, però, non furono gli unici, poiché il contributo di anarchici spagnoli, portoghesi e, in grado minore anche francesi, fu fondamentale per l'espansione delle

4 idee libertarie nel continente. In ogni caso, non è casuale che quest'impostazione rivoluzionaria fosse arrivata nell'America del Sud da oltreoceano, portata da attivisti formati in una tradizione di lotta politica esogena alla logica dei discorsi nazionali locali, costruiti con successo dalle élites per legittimare la loro egemonia politica, economica e culturale nelle repubbliche dell'emisfero Sud. Fu principalmente in Argentina, Brasile e Uruguay che questo processo ebbe luogo. In questi tre paesi, l'arrivo degli anarchici europei – e segnatamente italiani – si collegò con le masse di migranti che dal Vecchio Continente, attraversarono l'oceano alla ricerca di migliori opportunità, creando un nuovo e più complesso panorama sociale che scombussolò le classi dominati locali. In effetti, l'incontro e il progressivo rapporto che si andò verificando fra «sovversivi» e immigrati, diede vita a un fenomeno fino ad allora sconosciuto nell'America del Sud: nacquero molti gruppi libertari, apparvero decine di giornali anarchici e, pian piano, gran parte delle nascenti società operaie, aderirono all'ideale dell'anarchia. La diffusione dell'anarchismo, parallelamente all'espansione del socialismo, dunque, condizionò l'emergenza di un massiccio e consistente movimento operaio di matrice straniera che si rese protagonista delle acute tensioni sociali dei primi anni del Novecento. La presente ricerca non ha considerato i processi vissuti nell'Uruguay, pure per ragioni metodologiche, anche se si ritiene fondamentale considerarli in futuri studi che intendano comprendere il fenomeno della diffusione dell'anarchismo europeo da un punto di vista «latinoamericano». L'inclusione dell'immigrazione anarchica spagnola a Cuba potrebbe offrire una visuale ancora più ampia, anche se, per l'appunto, la componente libertaria italiana nell'isola caraibica, non raggiunse i livelli sudamericani. In ogni caso, l'inclusione dell'Argentina e del Brasile in questo lavoro consente di fare diverse osservazioni di rilievo sul fenomeno libertario. Concesso che questo ebbe le proprie dinamiche in ogni paese – e, anzi, in ogni città –, legate soprattutto alle condizioni di sviluppo delle società locali e ai loro divergenti processi politici, ci sono alcuni tratti simili: da un lato, l'intimo legame della crescita del movimento operaio e dell'espansione delle ondate di scioperi, con la consolidazione del movimento anarchico e, dall'altro, la chiusa risposta delle élites locali alle agitazioni operaie con l'approvazione di leggi di espulsione degli stranieri. Questa ricerca, seguendo i percorsi degli attivisti emiliani e romagnoli, ha cercato di evidenziare sia le caratteristiche comuni che le particolarità della diffusione dell'anarchismo italiano in entrambe le repubbliche sudamericane.

5 Dal punto di vista storiografico, si è tentato di concettualizzare la migrazione anarchica italiana incrociando le nozioni di «migrazione politica» e «migrazione economica», quest'ultima considerata nella sua particolare forma di «migrazione di massa». L'espatrio degli attivisti libertari dall'Italia, in intima relazione con entrambi i concetti, non si risolve però in nessuno dei due. La «migrazione politica», specialmente utilizzata per segnalare l'espatrio di militanti repubblicani mazziniani e garibaldini dalla penisola fin dagli anni '20 dell'Ottocento – soprattutto per espulsioni ma anche motivata per la ricerca di nuovi orizzonti economici e politici all'estero –, ha certe somiglianze con la partenza degli anarchici, motivata prevalentemente dalle persecuzioni del governo italiano. Tuttavia, l'immigrazione repubblicana in Sudamerica trovò un ambiente politico ed economico piuttosto favorevole, il che portò i suoi militanti a mettersi a capo delle nascenti società italiane, diventando poi l'élite italiana in Sudamerica – non a caso alcuni studiosi chiamano la migrazione repubblicana, una «migrazione d'élite». Di tutt'altro genere, fu l'inserimento degli anarchici, che non solo si trovarono di fronte a governi locali alquanto reticenti nei loro confronti, ma anche al rifiuto di una parte importante delle colonie italiane organizzate intorno a repubblicani e monarchici e a condizioni economiche avverse. Quest'ultima caratteristica, infatti, fu quella che li affratellò agli immigrati economici, i quali non avevano reti di supporto – oltre a quelle familiari – che consentissero loro, d'inserirsi nella società locale se non concorrendo con gli alti immigrati per un posto nel mercato locale del lavoro. In ogni caso, sarebbe troppo semplicistico, rimanere su queste generalità, poiché nella realtà dei fatti molte furono le sfumature: alcuni mazziniani dovettero anche essi inserirsi nel mercato del lavoro come qualsiasi altro immigrato, così come alcuni immigrati economici riuscirono a sfruttare legami con le società italiane, procurandosi qualche vantaggio. Nel caso degli anarchici, seppur non ottenessero niente dai sodalizi italiani, sicuramente le reti libertarie costruite nelle repubbliche sudamericane, furono utilissime per la loro integrazione in Argentina e in Brasile, non solo da un punto di vista economico ma soprattutto sociale. L'espatrio degli attivisti anarchici dall'Italia, come si è già menzionato, non ebbe come destinazione soltanto l'America del Sud. Fin dagli anni '70, molti militanti furono costretti ad abbandonare la penisola a causa della sistematica politica repressiva del governo nei loro confronti, recandosi prima in Francia, Inghilterra, Svizzera, Belgio, Egitto e in altri paesi europei e del Mediterraneo, per poi ampliare i loro orizzonti anche verso le Americhe. Tuttavia, il loro interesse per i processi che si vivevano in Italia, non sparì in assoluto e, infatti, la grande maggioranza degli anarchici mantennero un legame

6 permanente con i compagni che restarono nella penisola e anche con quelli che avevano preso la via dell'esilio. Prendendo soprattutto esempio dal caso nordamericano, nel suo articolo Italian as transnational movement, Davide Turcato dimostra come questa rete, facilitò la costruzione di un movimento libertario italiano al di fuori dei confini della penisola, piuttosto attivo grazie alla circolazione di giornali, alle corrispondenze fra gli anarchici residenti nei più sparsi punti del pianeta e, fondamentalmente, grazie allo spostamento fra diverse città di un gran numero di attivisti impossibilitati a rientrare nella penisola. Questo movimento, che mai perse la sua identità – i loro periodici, nella maggior parte dei casi, erano scritti esclusivamente in lingua italiana – e che sempre si dimostrò solidale con i compagni rimasti in Italia, fu capace di costruire legami organici e sistematici fra diversi punti del pianeta, il che gli diede una vera consistenza internazionale.1 Da questo punto di vista, l'anarchismo di lingua italiana non solo fu un fattore sostanziale per la diffusione delle idee anarchiche nelle repubbliche sudamericane, ma fu anche capace di connettere e inserire i movimenti argentini e brasiliani nella sua ampia rete internazionale. Negli ultimi anni, la storiografia sull'anarchismo ha compiuto una svolta interessante, passando dal considerare le manifestazioni libertarie come un fenomeno che si limitava ai confini nazionali, a concepirle come un movimento «transnazionale» che s'inseriva in diverse realtà politiche a prescindere delle frontiere nazionali. Di particolare importanza è il volume curato da David Berry e Constance Bantman, New perspectives on anarchism, labor and syndicalism, apparso nel 2010, che raccoglie una serie di articoli su alcuni problemi, episodi e personaggi riguardanti l'anarchismo europeo durante il XIX e il XX secolo.2 Nella stessa linea si situano anche lo studio di Davide Turcato sul lavoro di propaganda svolto da in Europa durante gli ultimi dieci anni dell'Ottocento, la ricerca di Constance Bantman sull'anarchismo francese a Londra fino alla Prima Guerra Mondiale e quella di Pietro Di Paola sugli anarchici italiani residenti nella capitale inglese nello stesso periodo.3 Le manifestazioni

1Vd. D. TURCATO, Italian anarchism as transnational movement, 1885-1915, in «International Review of Social History», Vol. 52, n. 3, 2007, pp. 407-444. 2Vd. D. BERRY e C. BANTMAN, New perspectives on anarchism, labor and syndicalism. The Individual, the National and the Transnational, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2010. 3Vd. D. TURCATO, Making sense of anarchism: Errico Malatesta's experiments with revolution, 1889-1900, Basingstoke (UK), Palgrave Macmillan, 2012; C. BANTMAN, The French anarchists in London, 1880-1914. Exile and transnationalism in the first globalisation, Liverpool, Liverpool University Press, 2013; P. DI PAOLA, The Knights Errant of Anarchy: London and the Italian Anarchist Diaspora (1880-1917), Liverpool, Liverpool University

7 transnazionali dell'anarchismo italiano sono state studiate anche da Travis Tomchuk, che incentra il suo lavoro sugli Stati Uniti e sul Canada tra le due guerre, e da Kenyon Zymmer, che ha rilevato la componente italiana e yiddish del movimento anarchico negli Stati Uniti dagli inizi fino agli anni '40 del XX secolo.4 Inoltre, Richard Bach Jensen ha pubblicato un libro sulle persecuzioni internazionali contro il movimento anarchico fino agli anni '30 del Novecento, mentre Alex Butterworth ha analizzato l'azione di spionaggio sull'anarchismo europeo e l'infiltrazione di agenti in esso dalla Comune di Parigi fino alla Rivoluzione d'Ottobre.5 Dal canto suo, Benedict Anderson ha collegato alcune manifestazioni di lotta anticoloniale di fine Ottocento a certe espressioni anarchiche, analizzando le reti globali che s'intrecciarono per dare luogo a quest'incontro.6 In una linea leggermente diversa, Steven Hirsch e Lucien Van der Walt, hanno curato l'edizione del volume Anarchism and syndicalism in the colonial and post- colonial world, 1870-1940, una compilazione di articoli che trattano dello sviluppo dell'anarchismo in vari paesi fuori l'Europa, enfatizzando con ciò il carattere globale del fenomeno libertario.7 Per quanto riguarda l'America Latina, il crescente interesse per il fenomeno libertario ha portato alla pubblicazione di un volume curato da Paola Domingo, Alba Lara-Alengrin e Karim Benmiloud, uscito a Parigi nel 2014 e a un altro edito da Geoffroy de Lafourcade e Kirwin Shaffer, uscito negli Stati Uniti nel 2015. Entrambi i volumi hanno raccolto diversi articoli sulle manifestazione anarchiche che si verificarono in molti paesi del continente fin dall'ultimo quarto del XIX secolo, senza mancare quelli riguardanti l'Argentina e il Brasile.8 Press, 2013. 4Vd. T. TOMCHUK, Transnational radicals: Italian anarchists in Canada and the U. S., 1915- 1940, Winnipeg, University of Manitoba Press, 2015; K. ZYMMER, Immigrants against the State. Yiddish and Italian anarchism in America, Urbana, Chicago and Springfield, University of Illinois Press, 2015. 5Vd. R. BACH JENSEN, The battle against anarchist terrorism. An international history, 1878- 1934, Cambridge, Cambridge University Press, 2013; A. BUTTERWORTH, The world that never was: a true story of dreamers, schemers, anarchists and secret agents, London, Bodley Head, 2010 [Il mondo che non fu mai: una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti, Torino, Enaudi, 2011] 6Vd. B. ANDERSON, Under three flags: anarchism and anti-colonial imagination, London, Verso, 2005 [Sotto tre bandiere: anarchia e immaginario anticoloniale, Roma, Manifestolibri, 2008]. 7Vd. S. HIRSH e L. VAN DER WALT (eds.), Anarchism and syndicalism in the colonial and post- colonial world, 1870-1940: the praxis of national liberation, internationalism, and social revolution, Leiden (Netherlands), Koninklijke Brill NV, 2010. 8Vd. P. DOMINGO, A. LARA-ALENGRIN e K. BENMILOUD (coords.), Amérique(s) anarchiste(s). Expressions libertaires du XIXe au XXIe siècle, , Nada Éditions, Éditions Noir et Rouge, 2014; G. DE LAFOURCADE e K. SHAFFER (eds.), In defiance of boundaries. Anarchism in Latin

8 La prospettiva della World History – e in particolare la Global Labor History – che negli ultimi anni ha interessato anche gli studiosi della storia del movimento anarchico, ha contribuito non solo all'approfondimento dei suoi aspetti «transnazionali», ma anche a un relativo superamento dei «pregiudizi storiografici» della Labor History e della storiografia marxista nei suoi confronti. Riuscendo a lasciare dietro le «categorie» di «infantilismo», «volontarismo» e «spontaneismo» – tra le altre – riservate dagli storici marxisti al movimento anarchico, sembra che la storiografia dell'anarchismo internazionale, abbia raggiunto un nuovo status disciplinare. Peraltro, negli Studi sull'Anarchismo hanno confluito diversi metodi, scuole e prospettive storiografiche, che rendono impossibile identificare le ricerche che trattano sull'argomento con qualche particolare approccio disciplinare. Tuttavia, la Storia Sociale, la Storia Culturale e la Microstoria hanno dato un contributo significativo a una conoscenza più completa delle dinamiche all'interno dei movimenti libertari e dei loro rapporti con le realtà politiche e sociali con cui interagivano. Questo tipo d'analisi è ancora più utile per la storiografia dell'anarchismo internazionale, poiché offre strumenti atti a una descrizione esaustiva delle dinamiche di diffusione delle idee e delle pratiche libertarie, così come alla comprensione dei meccanismi attuati per la costruzione e il mantenimento delle reti anarchiche transnazionali, prestando attenzione alle particolari e quotidiane vicende che ne condizionarono le sorti. Nel caso delle ricerche condotte in Italia più recentemente, le prospettive sono alquanto divergenti. Piero Brunello ha studiato le strategie di sorveglianza dei governi italiani sul movimento anarchico durante il XIX secolo, mentre Susanna di Corato Tarchetti ha analizzato il trasfondo politico dei processi giudiziari aperti contro gli attivisti anarchici fino ai primi anni '90 dell'Ottocento, confrontandolo con lo sviluppo del movimento libertario.9 Erika Diemoz, d'altra parte, ha esaminato lo sviluppo del movimento anarchico italiano considerando alcune delle sue reti internazionali, ma riducendolo a un fenomeno unicamente legato alla violenza politica.10 Una visione piuttosto critica circa l'anarchismo, la sviluppa anche Emilio Gianni nel suo volume

American history, Gainesville, University of Florida Press, 2015. 9Vd. P. BRUNELLO, Storie di anarchici e di spie. Polizia e politica nell'Italia liberale, Roma, Donzelli Editore, 2009; S. DI CORATO TARCHETTI, Anarchici, governo, magistrati in Italia, 1876-1892, Torino, Carocci Editore, 2009. 10Vd. E. DIEMOZ, A morte il tiranno: anarchia e violenza da Crispi a Mussolini, Torino, Einaudi, 2011.

9 sull'Internazionale italiana.11 Più interessante, invece, è il recente libro di Antonio Senta, che tratta della storia dell'anarchismo italiano, dalla sua «preistoria» fino agli anni '80 del Novecento, mettendo in luce i suoi episodi più significativi, così come il lavoro di Giorgio Sacchetti, che ripercorre le vicende del movimento libertario nel XX secolo analizzando il punto di vista sostenuto dalla polizia italiana.12 Altrettanto stimolante è il libro di Elena Bignami sull'inclusione della «questione femminile» e sulla partecipazione delle donne al movimento libertario fino alla Grande Guerra, linea in cui s'inscrive anche la ricostruzione dei percorsi militanti delle più note attiviste anarchiche italiane fatta da Massimo Lunardelli.13 Infine, Fabrizio Giulietti si è interessato allo sviluppo del movimento libertario italiano dall'inizio del XX secolo fino alla vigilia della Grande Guerra14 Anche se l'ampia bibliografia sull'anarchismo argentino e brasiliano menziona senza eccezioni la determinante influenza degli attivisti libertari d'origine europea sui movimenti locali, rilevando soprattutto il ruolo svolto dagli anarchici italiani, non sono molti gli studi che hanno affrontato l'argomento in modo esaustivo. Il lavoro paradigmatico continua a essere la tesi di dottorato d'Isabelle Felici – scritta ormai più di vent'anni fa – che esamina l'attivismo degli anarchici italiani nello stato di São Paulo, dalle sue prime espressioni fino al 1920.15 In ogni caso, ci sono altri lavori, tra i quali diversi articoli apparsi in riviste scientifiche e volumi compilatori, che trattano della partecipazione degli anarchici italiani ai movimenti argentini e brasiliani. Uno di questi studi è la biografia di Oreste Ristori, anarchico empolese poi divenuto militante

11Vd. E. GIANNI, L'Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti. I congressi della Federazione Italiana e della Federazione Alta Italia dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (1872-1880), Milano, Edizioni Panterei, 2008. 12Vd. A. SENTA, Utopia e azione. Per una storia dell'anarchismo in Italia (1848-1984), Milano, Elèuthera Editrice, 2015; G. SACCHETTI, Carte di Gabinetto. Gli anarchici italiani nelle fonti di polizia (1921-1991), Ragusa, Edizioni La Fiaccola, 2015. 13Vd. E. BIGNAMI, «Le schiave degli schiavi»: la «questione femminile» dal socialismo utopistico all'anarchismo italiano (1825-1917), Bologna, CLUEB, 2011; M. LUNARDELLI, Dieci pericolossisime anarchiche, Torino, Blue Edizioni, 2012. 14Vd. F. GIULIETTI, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana. Milano, Franco Angelli Edizioni, 2012 15Vd. I. FELICI, Les italiens dans le mouvement anarchiste au Brèsil, 1890-1920. Paris, These pour le doctorat, Universitè de La Sorbonne Nouvelle – Paris III, 1994. D'altra parte, due ricerche di laurea si sono svolte in Italia sull'argomento. Vd. L. Biondi, La stampa anarchica italiana in Brasile: 1904-1915, Roma, Tesi di Laurea di Storia Contemporanea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 1995; E. Cavalieri, Emigrazione italiana in Brasile e movimento anarchico. Propaganda e tecniche comunicative a São Paulo (1892- 1920). Bologna, Tesi di laurea in Storia Contemporanea, Univesità delgi Studi di Bologna, 2003.

10 comunista, scritta da Carlo Romani, che ricostruisce alcune vicende dei gruppi anarchici di lingua italiana di Buenos Aires e São Paulo dal loro legame con Ristori.16 Allo stesso modo, seppur non incentrati propriamente sull'anarchismo, i lavori di Edilene Toledo e Luigi Biondi collegano la costituzione del movimento sindacalista rivoluzionario e dei gruppi socialisti, con i militanti italiani che svolsero la loro attività di propaganda nel Brasile. Particolarmente interessante risulta il lavoro di Biondi, che rileva la prevalente componente emiliano-romagnola fra gli immigrati socialisti.17 Per il caso argentino la situazione non è molto diversa. Il lavoro più recente sul rapporto fra anarchismo e immigrazione è uno studio di James A. Baer, pubblicato nell'ultimo anno, che analizza l'immigrazione di alcuni attivisti libertari spagnoli in Argentina e ne segue il percorso fino al suo rientro nella penisola iberica, ricostruendo allo stesso tempo i rapporti che si stabilirono fra le realtà anarcosindacaliste di entrambi i paesi.18 Di particolare importanza, invece, è il libro di Oscar Greco sugli anarchici calabresi in Argentina, poiché costituisce l'unico studio sulle migrazioni libertarie in Sudamerica che considera come punto di partenza una regione specifica della penisola.19 Fra gli anarchici d'origine italiana che svolsero un notevole lavoro di propaganda nell'America del Sud e che contribuirono in special modo alla costruzione ed espansione dei movimenti libertari locali, ci furono Errico Malatesta e Pietro Gori in Argentina, il dottor Giovanni Rossi e Gigi Damiani nel Brasile e Luigi Fabbri in Uruguay. Molte delle monografie che trattano delle loro esperienze di propaganda e agitazione, infatti, si soffermano anche sulla loro partecipazione ai movimenti sudamericani. Tuttavia, nonostante l'importante ruolo svolto da essi, l'impatto dell'attivismo anarchico delle molte centinaia d'italiani che brandirono le bandiere dell'anarchia in Sudamerica, superò di gran lunga l'azione individuale dei più noti militanti. E non solo. Fra i migranti anarchici europei non esistette un'unica concezione dell'ideale libertario e della sua praxis, anzi, la diversità d'idee e di pratiche concrete portò con sé non poche tensioni

16Vd. C. ROMANI, Oreste Ristori. Uma aventura anarquista, São Paulo, Annablume Editora / Fapesp, 2002. 17Vd. E. TOLEDO, Travessias revolucionárias. Idéais e militantes sindicalistas em São Paula e na Itália (1890-1945). Campinas, Editora Unicampi, 2004; L. BIONDI, Classe e nação. Trabalhadores e socialistas italanos em São Paulo, 1890-1920. Campinas, Editora Unicamp, 2011. 18Vd. J. A. BAER, Anarchist immigrants in Spain and Argentina, Urbana, Chicago and Springfield, University of Illinois Press, 2015. 19Vd. O. GRECO, Da emigranti a ribelli. Storie di anarchici calabresi in Argentina, Cosenza, Klipper Edizioni, 2009.

11 all'interno dei movimenti anarchici sudamericani – come lo fece anche nei paesi europei –, questione che limitò molto, le influenze individuali sull'insieme del movimento. I gruppi anarchici italiani, che si formavano per «affinità» fra gli aderenti, interagirono in modi diversi con gli altri gruppi libertari italiani, con i gruppi anarchici delle altre nazionalità e, infine, con le realtà locali. Anche se vi furono estese e solide reti di solidarietà fra i circoli, queste si manifestarono in forme e gradi diversi, dipendendo dai gruppi coinvolti e delle iniziative intraprese. In generale, sia in Brasile che in Argentina – come successe anche a livello internazionale –, due grandi correnti si formarono all'interno dei movimenti: organizzatori – partigiani dell'organizzazione operaia, degli scioperi e della federazione dei gruppi anarchici – e antiorganizzatori – partigiani della libera associazione e contrari alla partecipazione anarchica nel movimento operaio. Vero è che i loro confini non furono rigidi, di fatto molti attivisti sostenevano posizioni che integravano presupposti dell'una e dell'altra corrente, oppure si schieravano con l'una o con l'altra dipendendo della particolarità degli avvenimenti. Tuttavia, il dibattito teorico-pratico all'interno del movimento s'incentrò nella discussione sulla questione dell'organizzazione, provocando in non poche occasioni, acide polemiche e forti contrasti. La questione non era banale, anche perché accettare l'organizzazione o no, aveva delle conseguenze immediate sulla pratica politica e sul rapporto dei gruppi con le realtà sociali, al punto che definirsi su questi quesiti implicava decidersi sulla collaborazione con i gruppi socialisti e sindacalisti, ad esempio. Fra alcuni gruppi antiorganizzatori, l'apologia dell'uso della violenza fu esplicita ma raramente si materializzò se non nel discorso, particolarmente quello sui mezzi a stampa. Le poche «azioni di forza» che si verificarono in Sudamerica ebbero luogo sopratutto in contesti di scioperi e, in effetti, le loro esiguità non consentono di parlare nemmeno del ricorso sistematico alla «propaganda per il fatto». I presunti complotti orditi da gruppi libertari e denunciati dalla polizia, sia in Brasile che in Argentina, in realtà furono montature poliziesche per incolpare gli anarchici più attivi e mandarli in carcere. Inoltre, gli antiorganizzatori più intransigenti, anche se denominati dai compagni organizzatori come individualisti, non si riconobbero in quella tendenza e, infatti, solo verso la fine del primo decennio del Novecento apparvero i primi giornali che assunsero il termine per autodefinirsi. Allo stesso modo, non esistono evidenze di azioni violente realizzate da attivisti libertari in Sudamerica, almeno fino all'attentato contro il presidente argentino Manuel Quintana nel 1905, compiuto dall'anarchico catalano Salvador Planas.

12 In termini generali, l'interesse di questa ricerca riguarda la nascita e la prima espansione del movimento anarchico in America del Sud, il che, in termini temporali, corrisponde a un periodo di circa vent'anni a cavallo tra i due secoli. Essendo questa una definizione poco precisa, occorreva dotare il periodo in questione di limiti chiari, anche se l'inclusione di tre realtà nazionali diverse – Italia, Argentina e Brasile – rese questo compito alquanto difficile. Infatti, si è deciso di considerare periodizzazioni proprie per ciascuno dei processi di sviluppo del movimento anarchico nei tre paesi, le quali iniziano però con la nascita dei movimenti libertari e si chiudono con eventi che segnano una svolta nei loro percorsi: l'attentato di Monza contro il re Umberto nel 1900 per l'Italia e l'approvazione delle leggi repressive contro gli stranieri – puntata soprattutto contro gli anarchici – nel 1902 in Argentina e nel 1907 in Brasile. Nel caso delle repubbliche sudamericane, anche se queste legislazioni non determinarono in modo sostanziale le sorti dei movimenti libertari locali, rappresentarono una particolare lettura delle élites sulla questione sociale, che l'associarono direttamente a cause «estranee» – cioè, estere – ai sistemi produttivi nazionali e ridussero la sua risoluzione a una questione puramente poliziesca. Per quanto riguarda l'individuazione dei periodi attraverso i quali l'anarchismo si andò sviluppando in ogni paese, la particolarità dei processi interni del movimento, ha costituito il criterio fondamentale per stabilire i limiti temporali fra le singole fasi. Tuttavia, non sfuggono all'analisi i tratti comuni fra i processi che si verificarono in Argentina e Brasile, le cui periodizzazioni ne costituiscono la prova nonostante il divario temporale fra l'una e l'altra – 1885-1902 in Argentina e 1890-1907 in Brasile. Dal canto suo, l'analisi del movimento anarchico italiano e delle sue particolarità emiliane e romagnole, offre un quadro di riferimento utilissimo per comprendere lo stato del movimento stesso e, soprattutto, i percorsi dei singoli attivisti che lungo gli ultimi quindici anni del secolo lasciarono l'Europa per approdare nelle terre dell'Atlantico Sudoccidentale. Il punto di partenza di questa ricerca, dunque, è l'attività svolta dagli anarchici emiliani e romagnoli prima della loro partenza alla volta dell'America del Sud, il che porta a situare l'inizio dello studio nello sviluppo regionale del movimento anarchico. Fra gli innumerevoli lavori dedicati alla storia del fenomeno libertario italiano, l'interessamento a esso da un punto di vista regionale, non ha avuto molto seguito. Recenti sono i volumi che hanno formulato un approccio regionale per la comprensione dell'anarchismo nella penisola, seppur si limitino alla compilazione di biografie degli attivisti nati dentro i confini della regione. Uno di essi, rigaurda gli anarchici calabresi ed

13 è stato curato da Katjia Massara e Oscar Greco, mentre un altro compila le biografie degli anarchici del Piemonte, a cura di Fabrizio Giulietti.20 Riguardo all'Emilia e alla Romagna, oltre a diversi lavori sul socialismo e l'internazionalismo che sono stati condotti fin dagli anni '70, l'unico studio specifico sugli anarchici romagnoli è la tesi di laurea di Chiara Galleati dell'anno 1977.21 Nonostante ciò, più fortuna hanno avuto ricerche sui movimenti libertari che si verificarono nelle provincie e città emiliane e romagnole, come quella di Fabrizio Montanari su Reggio Emilia e quella di Gianni Furlotti su Parma.22 Dal canto loro, gli anarchici modenesi sono stati trattati nel dizionario biografico di Andrea Pirondini e in due volumetti editi dal Centro di Documentazione Libertario di Modena.23 Verso la fine degli anni '70 apparve un volume sulla mostra documentaria Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, tenuta a Reggio Emilia, e a metà del decennio successivo un'altro sulla mostra Il movimento anarchico a Castelbolognese.24 L'Emilia e la Romagna svolsero un ruolo sostanziale nella formazione e nello sviluppo del movimento anarchico in Italia. Fin dagli esordi dell'Internazionale nella penisola, gli attivisti di queste regioni furono protagonisti delle vicende che segnarono il corso dell'anarchismo italiano. L'attività della Federazione Italiana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, si concentrò nell'Emilia e nella Romagna durante i suoi primi anni, mentre attivisti romagnoli furono fra i primi a tentare la sua ricostituzione negli anni '80 e a portare avanti la formazione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario nel decennio successivo. Inoltre, avvenimenti come il passagio di Andrea Costa dall'internazionalismo al socialismo parlamentare, segnarono il corso dello sviluppo del movimento libertario emiliano e romagnolo più che in nessun'altra regione italiana. Indubbiamente, questi processi diedero all'anarchismo regionale una fisonomia

20Vd. K. MASSARA e O. GRECO, Rivoluzionari e migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi, Pisa, BFS Edizioni, 2010; F. GIULIETTI, Dizionario biografico degli anarchici piemontesi, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 2013. 21Vd. C. GALLEGATI, Gli anarchici in Romagna, Bologna, Tesi di laura in Storia Contemporanea, Università di Bologna, 1977. 22Vd. F. MONTANARI, L'utopia in cammino (anarchici a Reggio Emilia 1892-1945), Reggio Emilia, Maestrale Editrice, 1993; G. FURLOTTI, Parma libertaria, Pisa, BFS Edizioni, 2001. 23Vd. A. PIRONDINI, Anarchici a Modena. Dizionario biografico, Milano, Zero in Condotta, 2012; Alle radici dell'Anarchismo modenese: Il XIX secolo (parte I), Modena, Centro de Documentazione Libertario di Modena, 1996; Alle radici dell'Anarchismo modenese: Per un mondo migliore (1900-1950) (parte II), San Possidonio di Modena, Biblioteca Popolare Ugo Fedeli, 2005. 24Vd. Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia. Mostra documentaria, Reggio Emilia, Biblioteca Municipale «A. Panizzi», 1977; Il movimento anarchico a Castelbolognese (1870-1945). Mostra storico- documentaria. Castelbolognese, Biblioteca Comunale «L. Dal Pane», 1984.

14 particolare nel contesto dell'anarchismo italiano, anche se le diversità di tendenze che convivevano all'interno di quest'ultimo si rifletterono anche in Emilia e in Romagna. Per operativizzare gli obiettivi della ricerca, cioè comprendere il ruolo degli anarchici emiliani e romagnoli nella formazione e primo sviluppo del movimento anarchico in Argentina e in Brasile, dunque, si è deciso di stabilire due criteri per la scelta dei singoli militanti sui quali si è svolta la ricerca: anarchici d'origine emilano e romagnola nati prima del 1880 – il primo – e che si sono trasferiti in Sudamerica prima del 1900 – il secondo. Anche se questi criteri sono arbitrari e non rispondono se non a considerazioni di tipo esclusivamemte metoldologico, si ritiene siano utili per dare un limite oggettivo al campione da analizzare, questione indiscutibilmente necessaria per la realizzazione dello studio. In ogni caso, non si sono tralasciate le partecipazioni rilevanti di alcuni militianti che non rientrano nei criteri stabiliti. Per la realizzazione dello studio si sono utilizzate principalmente tre tipi di fonti: stampa anarchica, corrispondenze e fonti ufficiali (diplomatiche, giudiziarie e di polizia). Nella stampa anarchica si considerano manifesti, opuscoli e periodici, questi ultimi raccolti principalmente all'Internaational Instituut voor Sociale Geschiedenis, ad Amsterdam, ma anche in diversi archivi, biblioteche e centri di documentazione di Bologna, Roma, Buenos Aires, São Paulo e Campinas. I giornali consultati, nella sua maggior parte pubblicati in lingua italiana, sia nella penisola come in Brasile e Argentina, hanno permesso di ricostruire la maggior parte delle vicende dei gruppi libertari dei tre paesi ma, soprattutto, si sono resi utilissimi per la ricostruzione dei rapporti e delle reti tessute fra questi gruppi, sia a livello nazionale che «transnazionale». Allo stesso modo, i periodici hanno consentito di comprendere il reale dibattito all'interno dei movimenti anarchici, i temi principali, le priorità, i punti di vista e le polemiche che animarono la stampa libertaria. Dal canto suo, la corrispondenza analizzata riguarda diverse lettere conservate nel fondo Costa della Biblioteca Comunale d'Imola e qualche altra nel fondo Max Nettlau all'IISG, le quali offrono non poche notizie sull'andamento del movimento anarchico e socialista e sui punti di vista che diversi personaggi del mondo socialista e libertario italiano esprimevano su esso. Fra le fonti ufficiali, di particolare importanza sono quelle di polizia, soprattutto quelle conservate nel fondo del Casellario Politico Centrale all'Archivio Centrale dello Stato, perché organizzata in fascicoli individuali per ogni singolo «sovversivo», il che ha facilitato il seguire dei percorsi degli anarchici emiliani e romagnoli dal loro attivismo svolto nella penisola, alle loro esperienze in Sudamerica. Altre notizie di polizia al

15 riguardo si sono trovate nei fondi di Questura e Prefettura degli Archivi di Stato di Bologna, Modena e Forlì. Fondamentali per la ricerca sono state anche le fonti diplomatiche, le quali offorono notizie su alcune delle vicende dei gruppi libertari dell'Argentina e del Brasile e della partecipazione di alcuni attivisti d'origine italiana in essi. Queste fonti sono state raccolte principalmente all'Archivio Storico Diplomatico del Ministerio degli Affari Esteri a Roma, il cui fondo di Polizia Internazionale è risultato il più rilevante per questo studio, anche se altri fondi documentari conservano carte di grande interesse. Anche il fondo della Direzione Generale di Pubblica Sicuerzza all'ACS, contiene diverso materiale riguardante comunicazioni con gli uffici diplomatici italiani in Argentina e in Brasile. L'importante quantità di materiale documentario conservato in questi fondi, come segnala Emilio Franzina, in effetti, non può che implementare e arricchire le ricerche sull'emigrazione italiana in America Latina e sulla partecipazione degli originari della penisola alle vicende politiche locali.25 Tuttavia, non è meno certo che, nonostante il gran volume di carte riguardanti l'Argentina e il Brasile prodotte dalle autorità italiane e conservate all'ACS come all'ASD-MAE, questi documenti non diano notizie esaustive né sistematiche sullo sviluppo dei movimenti anarchici di lingua italiana. Infatti, molte si riferiscono a presunti complotti o notizie allarmiste che poco o niente avevano a che vedere con la realtà dei fatti. Riferendosi al Brasile e accennando la scarsità di notizie d'interesse, Maria Rosario Ostuni considera che la relativa marginalità dell'anarchismo italiano nel paese sudamericano rispetto alle vicende e alle iniziative del movimento in Italia, portarono le autorità italiane a non prestare particolare attenzione ai militanti residenti nel paese sudamericano.26 Riguardo all'Argentina, invece, Ostuni sostiene che, in ogni caso, la mancanza di notizie sugli anarchici italiani, si deve al fatto che non tutti i rapporti degli agenti italiani di Pubblica Sicurezza residenti nella repubblica platense, furono inoltrati dalle autorità diplomatiche al governo della penisola, limitandosi a informare solo sugli attivisiti ritenuti più pericolosi e che avevano rapporti diretti con i compagni in Italia. Inoltre, i rapporti diplomatici sulle attività degli anarchici italiani in Argentina, tacevano quasi completamente il contesto in cui esse si svolgevano, cioè la realtà locale argentina.27

25E. FRANZINA, L'America Gringa. Storie italiane d'immigrazione tra Argentina e Brasile, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2008, pp. 205-206. 26M. R. OSTUNI, Note per la storia dell’emigrazione italiana in Brasile: le fonti archivistiche, in J. L. DEL ROIO (a cura di), Lavoratori in Brasile. Immigrazione e industrializzazione nello stato di São Paulo, Milano, Franco Angeli, 1981, pp. 63-64. 27M. R. OSTUNI, Inmigración política italiana y movimiento obrero argentino. Un estudio a través de los documentos gubernamentales italianos (1879-1902), in F. DEVOTO e G. ROSOLI

16 Nonostante queste considerazioni, le fonti ufficiali che costituiscono la base documentaria di questo lavoro sono quelle d'origine italiana. Purtroppo, la ricerca condotta negli archivi brasiliani e argentini non ha avuto il successo desiderato, in parte a causa della pressocché inesistenza di fondi che conservino nello specifico carte di polizia. All'Arquivo Nacional de Rio de Janeiro, la Serie Intérior-Justiça, conserva fascicoli che riguardano cittadini stranieri, alcuni dei quali furono proposti dalla polizia federale per l'espulsione dal paese fin dal 1907, tuttavia si tratta di alcune decine – fra essi noti anarchici italiani come Oreste Ristori e Gigi Damiani – che non consentono di comprendere in modo esauriente la reale influenza dei sovversivi stranieri nel movimento libertario locale. Più interessante è il fondo Supremo Tribunal Federal, che conserva le richieste di habeas corpus di alcuni anarchici carcerati senza processo giudiziario durante gli anni '90 del Novecento, seppur riguardino soltanto alcuni pochi attivisti. All'Arquivo Público do Estado de São Paulo si conserva il fondo del Departamento de Ordem Política e Social, che custodisce molti fascicoli di singoli attivisti, con documentazione che però inizia nel 1924, con la creazione del detto dipartimento. In Argentina la situazione documentaria è ancora più complessa, poiché carte di polizia non se ne conservano all'Archivio General de la Nación di Buenos Aires e, apparentemente, la Policia Federal Argentina ha come politica archivistica la distruzione del materiale con più di dieci anni che non è considerato di «valore storico», almeno da quanto ci è stato assicurato dal Centro de Estudios Históricos Policiales. Infine, i fondi diplomatici dell'Archivo Histórico della Cancillería Argentina e il fondo del Ministerio del Interior dell'Archivo General de la Nación sono stati organizzati in modo cronologico piuttosto che analitico, il che ha reso alquanto difficile rinvenire documenti pertinenti all'oggetto della ricerca. Nella consapevolezza dei limiti che hanno le fonti utilizzate nella ricerca, il cui carattere fu condizionato dalla soggetività e dall'intenzionalità di ciascuno dei soggetti che le produssero, si è tentato di fare l'analisi considerando le motivazioni dietro la loro produzione e il contesto in cui questa produzione fu attuata. Questo risulta particolarmente importante nel caso delle fonti di polizia, di cui non poche informazioni furono apertamente false, soprattutto quelle che denunciavano presunti complotti. Allo stesso modo, i pregiudizi ideologici degli agenti di polizia, che allora identificavano anarchismo con criminalità e deviazione morale, tendevano a esagerare alcuni aspetti

(eds.), La inmigración italiana en la Argentina, Buenos Aires, Editorial Biblos, 2000, pp. 114.

17 delle personalità degli attivisti e a oscurare altre, così come a interpretare in chiave appunto «complottista» la loro azione politica.28 In ogni caso, anche le fonti d'origine libertaria – stampa e corrispondenze –, come quelle diplomatiche, sono state analizzate considerando il contesto e l'intenzione di chi le aveva prodotte. Per evitare che la soggettività delle fonti portasse ad una ricostruzione inessatta degli avvenimenti, inoltre, ogni volta che la «simultaneità» di esse l'hanno concesso, si sono analizzati i fatti confrontandole. Il presente lavoro si è strutturato in quattro capitoli, il primo dei quali costiuisce l'inquadramento storico della ricerca. In questo capitolo, innanzitutto si discutono i fenomeni italiani della «migrazione politica» – relativa all'espatrio dei militanti repubblicani – e della «migrazione di massa», caratterizzando le manifestazioni di entrambe le migrazioni in Sudamerica. In seguito, si descrive il proceso di «migrazione di massa» ricorrendo alle statistiche migratorie ed enfatizzando le cause, le motivazioni e le condizioni che diedero vita all'«esodo» degli italiani, in particolare verso l'Argentina e il Brasile e con speciale enfasi sugli emiliani e sui romagnoli. Il terzo e il quarto paragrafo trattano dei processi d'integrazione degli italiani nelle realtà argentina e brasiliana, rispettivamente, rilevando i loro aspetti economici, politici e sociali: l'inserimento degli italiani nei mercati locali del lavoro, i loro rapporti collaborativi e conflittuali con le realtà sociali dei paesi d'accoglienza e la dinamica organizzativa, politica e sociale delle colonie italiane. Il capitolo chiude con una serie di considerazioni sull'espatrio libertario dall'Italia, nel panorama generale del movimento operaio in Argentina e in Brasile e, infine, con una piccola caratterizzazione statistica sugli anarchici emiliani e romagnoli che si recarono in entambre le repubbliche sudamericane. Occorre esplicitare che l'uso apparentemente indistinto dei termini «emigranti» e «immigrati», lungo tutto lo scritto, risponde alla doppia identità di chi decide d'espatriare, colui che prima parte da casa e che poi arriva altrove, stabilendo in questo modo un rapporto simbolico e anche pratico con due società diverse, quella che lascia e quella che incontra. Il secondo capitolo della tesi tratta in modo particolareggiato le vicende in Italia degli anarchici emiliani e romagnoli, che in seguito approderanno nella sponda

28Sulla critica delle fonti di polizia per la ricostruzione della storia del movimento anarchico, vd. Voci di compagni, schede di Questura. Considerazioni sull'uso delle fonti orali e delle fonti di polizia per la storia dell'anarchismo, Milano, Quaderni del Centro di Studi Libertari Archivio Pinelli, Eléuthera, 2002, in particolare gli articoli M. FRANZINELLI, Sull'uso (critico) delle fonti di polizia, pp. 19-30; A. GIANNULI, Il trattamento delle fonti provenienti dai serivizi di informazione e sicurezza, pp. 31-72.

18 sudoccidentale dell'Atlantico. Attraverso la ricostruzione dei loro percorsi militanti, il capitolo descrive lo sviluppo del movimento anarchico italiano, segnatamente quello emiliano e romagnolo, dalla fondazione della Federazione Italiana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1872 a Rimini, fino alla ua cessazione nel XIX secolo e di tutto un ciclo per il movimento libertario della penisola, simbolicamente marcata dall'uccisione del re Umberto I per mano dell'anarchico pratese Gaetano Bresci. Il tema si svolge cronologicamente, prestando particolare attenzione alle vicende che ebbero luogo nelle città e provincie della regione emiliana e romagnola e che condizionarono il corso dell'anarchismo regionale: la fondazione della FIAIL, il fallito tentativo insurrezionale del 1874 a Bologna, la svolta parlamentarista di Andrea Costa, la comparsa dell'anarco-possibilismo in Romagna, ecc. Nonostante alcune lacune e lo scarso approfondimento di alcuni episodi piuttosto importanti, poiché il lavoro s'incentra più sulle attività svolte da singoli militanti, il capitolo ha tentato di comprendere lo sviluppo dell'anarchismo in Emilia e in Romagna da una propsettiva propriamente regionale. Con il terzo e il quarto capitolo si entra nella problematica stessa di questa ricerca: l'attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e in Brasile. Come nel capitolo precedente, anche in questi si sono ricostruite le vicende dei singoli attivisti in rapporto con lo sviluppo dei movimenti anarchici locali, dei quali si sono considerati sia il loro carattere «cosmopolita», sia i loro rapporti con i gruppi socialisti e le associazioni operaie. Anche qui il seguire dei percorsi militanti di romagnoli ed emiliani, si è reso utile per comprendere le forme e le dinamiche dei movimenti libertari argentino e brasiliano. In ogni caso, il punto di riferimento, evidentemente, sono i circoli e i giornali libertari di lingua italiana, all'interno dei quali – seppur non esclusivamente – emiliani e romagnoli presero parte alla diffusione dell'Idea e alla costruzione dei movimenti locali. Concretamente, l'analisi s'incentra, da una parte, sulla partecipazione degli originari dell'Emilia e della Romagna ai gruppi anarchici locali e, dall'altra, sulle reti da essi tessute in relazione ad altre realtà anarchiche delle repubbliche sudamericane e dell'Europa, particolarmente l'Italia. Si è cercato di comprendere se i rapporti fra i singoli attivisti – e fra questi e i gruppi – fossero realmente condizionati da identità regionali oppure di altro tipo. Inoltre, un ruolo importante nell'analisi hanno anche la sorveglianza e la repressione dei militanti libertari, così come il loro rapporto con la realtà locale e le cosidette «colonie italiane», il che dovrebbe completare un

19 quadro discretamente esaustivo sullo sviluppo dell'anarchismo italiano in Argentina e in Brasile e il ruolo svolto dagli attivisti emiliani e romagnoli. Nel capitolo riguardante l'Argentina, il periodo analizzato inizia con l'arrivo di Errico Malatesta a Buenos Aires nell'ultimo giorno del 1884, accompagnato da diversi compagni italiani, tra i quali tre romagnoli e finisce con l'applicazione della cosidetta ley de residencia, approvata nel novembre 1902 e che costrinse alcuni emiliani e romagnoli a cercare riffugio in Brasile e in Uruguay e, altri, a tornare in Italia imbarcati dalla polizia argentina. In un periodo in cui l'anarchismo italiano ebbe un'importante diffusione nella repubblica platense, pubblicando decine di giornali nella propria lingua – l'esempio più importante fu «L'Avvenire», uscito fra il 1895 e il 1903, al cui gruppo redazionale parteciparono anche romagnoli ed emiliani –, rilevante fu la partecipazione di alcuni attivisti originari dell'Emilia e della Romagna a diversi circoli, periodici ed episodi che animarono la vita del movimento anarchico locale. Il soggiorno di quattro anni dell'avvocato siciliano Pietro Gori, così come la collaborazione dei militanti italiani alla formazione di un movimento libertario di tipo «cosmopolita», I cui migliori esempi sono il giornale «El Preseguido» (1890-1895) e «La Protesta Humana» (1897-1904) – dal 1904 ribattezzata «La Protesta» –, fanno parte anche della storia degli emiliani e dei romagnoli residenti nell'Argentina. Il capitolo sul Brasile inizia con la creazione della nota Colonia Cecilia nel 1890, comunità rurale anarchica fondata dal veterinario e agronomo Giovani Rossi nello stato del Paraná e alla quale parteciparono alcuni anarchici del parmense e finisce con la legge approvata dal congresso federale brasiliano, agli inizi del 1907, diretta a espellere gli agitatori stranieri. Anche se, come in Argentina, diversi periodici libertari in lingua italiana apparvero nel paese durante questo periodo e le leggi contro gli stranieri furono approvate in entrambe le repubbliche in concomitanza con le più importanti ondate di scioperi visti fino ad allora, ci sono grandi differenze fra i processi vissuti dai movimenti anarchici dell'Argentina e del Brasile. Allo stesso modo, anche i gruppi e i circoli anarchici degli attivisti italiani, ebbero sviluppi divergenti, determinati soprattutto dalle differenze fra le realtà economiche, sociali e politiche dei due paesi. Tuttavia, l'attivismo d'origine italiana svolse un ruolo di rilievo nella formazione e consolidamento dell'anarchismo brasiliano, sia grazie al concorso di attivisti come Oreste Ristori e Gigi Damiani, sia attraverso la propaganda scritta, il cui principale mezzo fu «La Battaglia» di São Paulo (1904-1912). In questo capitolo, così come in quello sull'Argentina, si rende evidente che i contatti e i rapporti fra i gruppi anarchici – segnatamente quelli di lingua

20 italiana – di entrambe le repubbliche fu piuttosto attivo, seppur questo non si materializzasse in azioni concrete svolte dai movimenti libertari argentino e brasiliano. Il tentativo centrale di questa ricerca, sicuramente alquanto ambiziosa, è stato quello di comprendere la continuità fra la «migrazione di massa» italiana e la «migrazione anarchica», incentrandosi su quella sovversiva con origine nell'Emilia e nella Romagna. In poche parole, s'intendeva integrare la storia dell'anarchismo italiano con quella della «grande emigrazione», provando ad andare un po' oltre l'ormai evidente convivenza di entrambi i fenomeni, attraverso l'individuazione dei punti reali e concreti, dei meccanismi e delle manifestazioni che resero possibile l'interazione fra essi e che, a lungo termine, portò l'attivismo anarchico a un relativo successo nel campo sindacale, come in poche altre zone del pianeta. È probabile che l'impostazione «regionalista» dello studio sia stato un ostacolo per arrivare a riflessioni più concludenti al riguardo, tuttavia la scarsità di fonti sulla vita quotidiana degli attivisti, sembra sia stata la difficoltà maggiore. In ogni caso, il tentativo a cui si fa riferimento ha costituito una specie d'«ispirazione spirituale» dello studio, poiché il suo obiettivo è stato quello di comprendere il ruolo svolto dagli anarchici emiliani e romagnoli nello sviluppo dei movimienti libertari argentino e brasiliano. Su questo punto, infatti, si possono identificare alcuni limiti concreti della ricerca: scarso dialogo fra la prospettiva «microstorica» e i processi politici di carattere «nazionale», sia in Italia come in Argentina e in Brasile; l'insufficente uso di fonti brasiliane e argentine che, anche se è vero che scarseggiano quelle di tipo ufficiale, ben avrebbero potuto essere sostituite da quelle giornalistiche; il mancato approfondimento su alcuni fenomi, processi e problematiche a causa dell'ampiezza temporale e geografica della ricerca. Nonostante ciò, eravamo consapevoli fin dall'inizio che questo studio non avrebbe potuto ambire a essere più che uno schizzo, una serie di appunti presentati con un certo ordine, sull'apporto di alcuni anarchici emiliani e romagnoli alla diffusione dell'anarchismo italiano in Sudamerica. Senza dubbio, questa ricerca, che al momento non può che essere lontana da costituire un lavoro definitivo, potrebbe essere arricchita ancora da materiali non considerati, da nuove prospettive e, soprattutto, da domande più precise e specifiche.

21 Capitolo 1 Le migrazioni italiane, l’America del Sud e gli anarchici dell’Emilia e della Romagna alla fine del XIX secolo

1.1. «Migrazione politica» e «migrazione di massa» nella seconda metà del secolo XIX: il caso italiano.

Fino agli anni ’70 del XIX secolo, l’emigrazione politica in Italia ebbe un carattere eminentemente liberale e repubblicano. Questo tipo d’emigrazione, che è stata definita anche come un’«emigrazione d’élite», iniziò con il crollo dell’Impero napoleonico, e fu particolarmente importante dopo i moti liberali nel napoletano e negli Stati Sardi del biennio 1820-1821, quelli di Romagna del 1831 e in seguito alle agitazioni di matrice «carbonara, federata, mazziniana» che ebbero luogo dal 1848 al 1870. Grazie soprattutto alla propaganda svolta dalla Giovine Italia all’estero, già dal 1831, infatti, si può parlare della formazione di una «religione dell’esilio».29 Fin dall’inizio di quest’emigrazione, il Sudamerica fu une delle mete per gli esuli che abbandonavano l’Italia. Nel 1820 il Regno delle Due Sicilie inviò in Brasile alcune centinaia di «facinorosi» come coloni, e negli stessi anni alcuni degli emigrati liberali italiani che erano in Spagna, si diressero in Argentina. Anche dopo i moti romagnoli alcuni mazziniani raggiunsero il Sudamerica. Nel 1836 lo Stato Pontificio, avendo sancito di fatto la «migrazione politica coatta», stabilì un accordo con una società di colonizzazione di Bahia, in Brasile, per trasferire alcuni condannati politici. Nell’aprile dell’anno successivo arrivarono nello stato brasiliano 114 persone – in buona parte

29 S. CANDIDO, Appunti sull’apporto italiano alla storia delle emigrazioni politiche dall’Italia ai paesi iberoamericani durante il Risorgimento, in ASSOCIAZIONE ISPANISTI ITALIANI, Atti del Congresso L’apporto italiano alla tradizione degli studi ispanici. Nel ricordo di Carmelo Sarmonà. Napoli, 30-31 gennaio, 1 febbraio 1992, Roma, Instituto Cervantes, 1993, pp. 187-188. Sulle emigrazioni risorgimentali, vd. anche D. GABACCIA, Italy’s many diasporas, London, UCL Press, 2000, p. 35-57; ID., Class, exile and nationalism at home and abroad: the Italian Risorgimento, in D. GABACCIA and F. OTTANELLI (eds.), Italian workers of the world. Labor migration and the formation of multiethnic States, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 2011, pp. 21-40.

22 romagnoli – con le loro famiglie, espatriati che tempo dopo parteciparono alla rivoluzione separatista di Salvador de Bahia. Complessivamente, dal 1820 fino al 1848 il Brasile ricevette numerosi esuli politici dall’Italia, soprattutto mazziniani.30 Tra essi, nota fu la presenza di , che arrivò a Rio de Janeiro nel 1835. L’anno successivo, il generale organizzò delle truppe per appoggiare l’insurrezione di Rio Grande do Sul contro l’Impero portoghese, e nei primi anni ‘40 creò una legione italiana a Montevideo per combattere i blancos e le forze del governo autoritario argentino di Juan Manuel de Rosas.31 L’emigrazione di esuli carbonari e mazziniani nel Rio de la Plata fece sì che la letteratura, la filosofia e la lingua italiane avessero una certa influenza sulla cultura rioplatense. Fra i primi emigrati politici in Argentina ci fu Livio Zambeccari, carbonaro e mazziniano bolognese arrivato a Buenos Aires nel 1826 insieme al giornalista napoletano Pietro De Angelis, che in seguito però, divenne rosista e perciò dovette lasciare l’Argentina alla caduta del dittatore. Entrambi contattati da Bernardino Rivadavia, Ministro del Governo della provincia di Buenos Aires, si trasferirono nella repubblica sudamericana per impiegarsi come giornalisti nella nella stampa locale, così dare il loro apporto allo sviluppo intellettuale e culturale del paese. Negli anni ’30, l’influenza del mazzinianesimo si fece importante anche nel campo politico sudamericano. Mentre la presenza ideologica della Giovine Italia creò collegamenti con la liberale Generación de Mayo argentina – nota anche come Generación del ‘37, composta da intellettuali argentini influenzati dal romanticismo inglese e francese, tra i quali Domingo Faustino Sarmiento e Juan Bautista Alberdi –, alcuni italiani mazziniani collaborarono con Garibaldi nella guerra dello stato di Rio Grande do Sul contro l’Impero brasiliano. Giambattista Cuneo fu direttore del giornale ribelle riograndense «O Povo», Luigi Rosetti morì in battaglia, e nel 1836 a Rio de Janeiro apparse il giornale «La Giovine

30 Cfr. S. CANDIDO, op. cit., pp. 191-194; R. COSTA e L. A. DE BONI (a cura di), La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile, Milano, Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, p. 399. Sulla presenza degli esuli mazziniani in Sudamerica, vd. soprattutto l’ampia produzione di Salvatore Candido, in particolare S. CANDIDO, Le emigrazioni politiche nell’America Iberica nell’Ottocento, in «Il Veltro. Rivista della Civiltà italiana», a. XXXIV, n. 3-4, maggio-agosto 1990, pp. 261-276; ID., L’emigrazione politica e di élite nelle Americhe 1819-1860, in F. ASSANTE (a cura di), Il movimento migratorio italiano dall’Unità Nazionale ai giorni nostri, Genève, Librairie Droz, 1978, pp. 113-150; ID., La emigración politica italiana a la América Latina (1820-1870), in «Jahrbuch fur Geschichte von Staat. Wirtschaft und Gesellschaft Lateinamerikas», Colonia-Vienna, n. 13, 1976, pp. 216-238. 31 D. GABACCIA, Italy’s many diasporas, cit., p. 49-50. Sulle vicende di Garibaldi in Sudamerica, vd. tra altri, S. CANDIDO, Giuseppe Garibaldi corsaro riograndense (1837-1838), Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1964; ID., Giuseppe Garibaldi nel Rio della Plata, 1841-1848, Vol. I, Dal ritorno a Montevideo alla spedizione «suicida» nel Rio Paraná, Firenze, Valmartina, 1972; P. ZANCARDI, Le operazioni navali di Giuseppe Garibaldi nel Sud America, in «Rivista Marittima», a. CXV, n. 10, 1982, pp. 15-38.

23 Italia». Infine, dopo i moti nel milanese del marzo 1848, molti esuli si rifugiarono in Argentina, dove gran parte di essi partecipò alle Legioni Argentine guidate da Silvino Olivieri, G. B. Ciarlone, Giuseppe Giriboni e altri.32 In ogni caso, e nonostante l’importante presenza repubblicana oltreoceano, le Americhe non attrassero mai più del 10% degli esuli risorgimentali, che preferirono cercare asilo nei paesi europei come la Francia e la Svizzera.33 Parallelamente a quest’emigrazione politica, un’emigrazione di tipo economica cominciava ad allargare i suoi orizzonti. Già nel 1816 alcuni agricoltori, artisti e «girovaghi» del nord d’Italia s’indirizzarono oltreoceano – non senza fare alcune tappe intermedie in Europa – e fra loro non mancarono anche popolani del parmense, del piacentino e di Guastalla nel reggiano. Questi emigranti, «girovaghi» e «lavoratori di strada» che si radunavano nelle grandi città europee e dell’America del Nord, preoccupavano profondamente le autorità italiane e i mazziniani, poiché consideravano loro, parte di un’emigrazione poco decorosa che danneggiava l’immagine degli italiani all’estero. Questo è un precoce esempio della differenza sostanziale che in seguito separò gli emigranti d’élite da quelli plebei, i quali, seppur vivessero in una stessa città o località, fecero parte di «diaspore» diverse.34 In ogni caso, certo è che durante il Risorgimento italiano si operò una trasformazione degli schemi migratori locali e regionali: crebbe il numero complessivo di emigranti e il numero di quelli che scelsero di andare più lontano. In questo modo, secondo Donna Gabaccia, «the Americas were already a popular destination for the poor by 1830».35 Parallelamente, furono quelli gli anni in cui s’avviò l’emigrazione transoceanica dalle campagne europee, il cui numero crebbe negli anni ’40 con la crisi agraria irlandese, e da lì a poco dopo anche inglesi, tedeschi, spagnoli, russi e polacchi scelsero il cammino d’oltreoceano. Il Vecchio Continente iniziava a subire le conseguenze della «transizione demografica» iniziata nella seconda metà del secolo XVIII, soprattutto in Inghilterra e in Francia e che, durante il secolo XIX, si espanse nel resto del continente.

32 Cfr. S. CANDIDO, Appunti sull’apporto italiano alla storia delle emigrazioni politiche dall’Italia ai paesi iberoamericani durante il Risorgimento, cit., pp. 197-199; P. SERGI, Giornalisti italiani per la stampa argentina, in «Giornale di Storia Contemporanea», n. 1-2, 2013, pp. 58-61. Sul giornale carioca «La Giovine Italia», vd. S. CANDIDO, L'azione mazziniana in Brasile ed il giornale «La Giovine Italia» di Rio de Janeiro (1836) attraverso dovumenti inediti o poco noti, in «Bollettino della Domus Mazziniana», a. XIV, n. 2, 1968, pp. 3-66. 33 D. GABACCIA, op. cit., p. 44. 34 Cfr. M. PORCELLA, Premesse dell’emigrazione di massa in età prestatistica (1800-1850), in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, Roma, Donzelli Editore, 2009, pp. 31-39; D. GABACCIA, Ibid. 35 Ivi., p. 42.

24 Mentre la crescita della popolazione faceva pressione sul settore agricolo, la meccanizzazione dell’agricoltura portava alla diminuzione dei posti di lavoro. Allo stesso tempo, lo sviluppo del trasporto marittimo a vapore permise l’arrivo in Europa di grano a basso prezzo proveniente dall’America, dall’Australia e dalla Russia, aggravando così la crisi agraria europea. Accanto a questo fenomeno, si produsse una «migrazione di capitale» dalle città nord europee specialmente verso quelle americane, il che creò milioni di posti di lavoro non specializzati in tutto il mondo e ampliò a scala mondiale il mercato del lavoro, già dilatato con la crisi dell’Europa. In questo modo, la mobilità del capitale nell’economia globale originò una mobilità del lavoro a livello mondiale, la cui manifestazione più chiara fu la cosiddetta «emigrazione di massa».36 In Italia le condizioni che portarono la forza lavoro a integrarsi al mercato mondiale, furono piuttosto drammatiche. Fin dalla prima metà del secolo, la debolezza dell’agricoltura italiana era evidente a causa della scelta per l’espansione delle superfici coltivate invece che per l’aumento della produttività, e dell’inserimento in un capitalismo commerciale invece che in uno produttivo. Questo tipo di modernizzazione della campagna portò a una disgregazione sociale ed economica che colpì duramente le condizioni di vita degli abitanti rurali. Tali condizioni si appesantirono ulteriormente con l’unificazione del Regno a causa, da una parte, della pressione fiscale sui proprietari - sia piccoli che grandi – e dall'altra, a causa della liberalizzazione del mercato esterno e dell’unificazione di quell’interno, che fecero crollare i prezzi e distrussero i produttori meno avvantaggiati. Inoltre, il bracciantato si estendeva nelle aziende capitalistiche, soprattutto nella pianura padana e nell’ultimo trentennio del secolo, particolarmente nel ferrarese e nel ravennate, così che, il crescente processo di proletarizzazione rurale si realizzò a discapito dei mezzadri. Se a tutto questo si aggiunge la mancata domanda di lavoro extra-agricolo, risulta logica la scelta di molti contadini di emigrare verso i paesi dell’Europa e dell’America dove esisteva domanda di manodopera e migliori salari. Di conseguenza, nell’età dello Stato-nazione e del capitale globale, nessun altro popolo emigrò in tali quantità e in così diverse direzioni come quello della penisola italica. Pochi, poi, furono quelli che dall’estero mantennero un legame piuttosto forte con le proprie regioni d’origine ed ebbero un alto tasso di ritorni come gli italiani. Il risultato fu

36 Cfr. P. BEVILACQUA, Società rurale e emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 102-107; H. S. KLEIN, Migração internacional na história das Américas, in B. FAUSTO (org.), Fazer a America. A imigração em Massa para a América Latina, São Paulo, Editora da Universidade de São Paulo, 2000, pp. 14-15; D. GABACCIA, op. cit., p. 59-60.

25 che l’Italia unita costituì il proprio mercato nazionale esportando persone con più successo di qualsiasi altro prodotto.37 Il volume di questa grande emigrazione può essere accertato attraverso alcuni dati statistici – come è stato fatto dai maggiori studiosi del tema. Anche se prima del 1876 questi dati sono piuttosto approssimativi e carenti di sistematicità, si stima che tra il 1869 e il 1875 gli emigranti dall’Italia furono circa 100.000 all’anno, il cui 70 o 80% espatriò dalle campagne, principalmente dalla regione veneta. In questo periodo la maggior parte dei migranti si diresse verso alcuni paesi europei, mentre furono prevalentemente i liguri a preferire mete transoceaniche: già dal 1864 navi a vapore partivano da Genova per l’America del Sud.38 Dopo il 1876, l’elaborazione della statistica dell’emigrazione divenne una politica della Direzione Generale di Statistica italiana, garantendo ai dati una certa sistematicità e attendibilità.39 Questi dati rivelano che fra il 1876 e il 1915, cioè il periodo proprio della «grande emigrazione», espatriarono dall’Italia più di 14 milioni di persone, con 7,6 milioni dirette oltreoceano – 4 milioni circa per il Nord America e 3 milioni per l’Argentina e il Brasile – e 6,1 milioni in Europa. In una prima fase, fino al 1900, gli espatri furono in totale 5,3 milioni, e manifestarono, sin dall’inizio, una progressiva tendenza all’aumento che si approfondì negli anni successivi: dal milione di emigrati oltreoceano nel decennio 1876-1885, si passò al doppio nel decennio successivo e si superarono poi i 4 milioni nel periodo 1896-1905. La maggior parte degli espatriati

37 Cfr. P. BEVILACQUA, op. cit., pp. 104-105; D. GABACCIA, op. cit., p. 60; A. DE CLEMENTI, La «grande emigrazione»: dalle origini alla chiusura degli sbocchi americani, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 192-194; M. SANFILIPPO, Tipologie dell’emigrazione di massa, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 87-88. 38 A. DE CLEMENTI, op. cit., pp. 195-196. 39 Nel 1876 la Direzione Generale di Statistica stabilì una «statistica ufficiale» per l’emigrazione, la quale pretendeva un approccio scientifico dai modelli positivisti. Nonostante ciò, l’assenza di una legge sull’emigrazione, che servisse come guida alle politiche d’espatrio, portò con sé diversi problemi per la definizione dei concetti, particolarmente riguardo alla distinzione fra «emigrazione permanente» o «propria» e quella «temporanea». Soltanto con la legge del 1901, la quale definiva l’emigrante come colui che viaggiava oltre i confini europei con biglietti di terza classe, la statistica dell’emigrazione, elaborata dal Commissariato per l’Emigrazione, poté assumere una definizione standardizzata. In ogni caso, durante l’elaborazione statistica ufficiale, le fonti variarono dall’uso del «nulla osta» – rilasciato dai comuni ai migranti –, ai passaporti rilasciati dagli uffici di Pubblica Sicurezza e poi alle liste di bordo delle navi, queste ultime utilizzate dal Commissariato. Inoltre, probabilmente molte persone migrarono senza essere contabilizzate in questi registri. Vd. D. MARUCCO, Le statistiche dell’emigrazione italiana, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 61-74. Vd. anche COMMISSARIATO GENERALE DELL’EMIGRAZIONE (a cura di), Annuario Statistico dell’Emigrazione italiana dal 1876 al 1925, Roma, Edizioni del CGE, 1926.

26 proveniva dal Norditalia, principalmente dal Veneto, dal Friuli Venezia Giulia e dal Piemonte, ma, dalla metà degli anni ’80, l’Europa non ebbe più il primato e le Americhe divennero la destinazione principe. Il punto di svolta fu il 1887, quando 82 mila italiani si diressero in Europa, mentre 129 mila nelle Americhe. Durante i primi anni prevalsero le mete argentine e uruguaiane, quella brasiliana negli anni '90, con il nuovo secolo invece, gli Stati Uniti concentrarono la maggior parte degli emigranti, almeno fino al 1922, quando l’Argentina riprese la supremazia. Le statistiche dei rientri, invece, non furono elaborate se non con il passaggio del secolo. Tuttavia, è indicativo che nel periodo fra il 1905 e il 1915, nel quale quasi 6 milioni d’italiani emigrarono, circa 2 milioni rimpatriarono solo dalle Americhe, con 500 mila dall’Argentina e 1,3 milioni dagli Stati Uniti, ma la maggior parte tornò nel sud della penisola.40 Il fenomeno dei rientri non fu secondario nell’emigrazione di massa, e meno ancora se si considera che un biglietto di ritorno dalle Americhe costava più della metà della media del salario annuale di un contadino. Nonostante ciò, intorno al 1900 ci furono tassi di rimpatrio da Buenos Aires e da New York fra il 44% e il 53%.41 Nel caso dell’emigrazione nell’emisfero sud, il movimento migratorio degli italiani fu sicuramente condizionato dalla cosiddetta «migración golondrina» – migrazione temporale che approfittava dell’alternanza delle stagioni di raccolta negli emisferi nord e sud –, la quale acquisì particolare importanza in Argentina durante il XX secolo. Nelle Americhe, la mancanza di braccia e la disponibilità di terra favorirono i buoni stipendi e i bassi prezzi dei terreni, questioni che senza dubbio costituirono fattori d’attrazione per i contadini europei. Gli Stati Uniti ricevettero la maggior parte degli immigrati: fino al 1880, arrivarono circa 11,8 milioni d’europei, la maggior parte tedeschi e irlandesi. Dal 1880 in poi, invece, furono prevalentemente europei del sud ad attraversare l’oceano, in concomitanza con la tardiva «transizione demografica» dell’Europa meridionale e con la permissività dei governi riguardo all’emigrazione. Da allora, il ritmo delle emigrazioni europee s’intensificò, raggiungendo il suo climax nei primi due decenni del XX secolo. Fra il 1881 e il 1915, 31 milioni d’europei arrivarono

40 Cfr. M. SANFILIPPO, op. cit., pp. 79-81; A. GOLINI e F. AMATO, Uno sguardo a un secolo e mezzo di emigrazione italiana, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 49-50; P. SILVESTRI, L’emigrazione dall’Emilia Romagna in Argentina, s.l., Regione Emilia-Romagna, Consulta regionale per l’emigrazione e l’immigrazione, Vol. IX, 1992, p. 12; D. GABACCIA, op. cit., p. 58. Gabaccia stima che fra il 1905 e il 1920 i rientri dalle Americhe costituirono il 49% del totale. Vd. Ivi., p. 72. 41 D. GABACCIA, op. cit, 70-73.

27 nelle Americhe. Il 70% giunse negli Stati Uniti, in Argentina il contingente europeo fu di 4,2 milioni di persone, in Brasile di 2,9 milione, mentre fu di 2,5 milioni in Canada.42 Nel caso italiano, la stragrande maggioranza delle partenze fu definita in sintonia con una strategia familiare di sopravvivenza, e spesso la scelta di base consistette nella temporaneità dell’emigrazione, tendente al miglioramento delle proprie condizioni di vita nel paese d’origine. Questa è la ragione per cui gran parte degli espatri fu di uomini soli. Tuttavia, anche molte famiglie intere decisero di emigrare, avviandosi così a una partenza permanente che ritennero la soluzione definitiva alle condizioni della campagna: più del 50% delle partenze corrispose a emigrazioni familiari. Questo fenomeno si fece più evidente nel centro nord della penisola, inclusa l’Emilia, dopo che nel 1888 l’Italia ruppe i rapporti commerciali con la Francia, il che tolse un mercato fondamentale per i prodotti italiani. In ogni caso, che fosse individuale o di gruppo, l’emigrazione oltreoceano costituì una vera impresa per i poveri, giacché implicò un investimento familiare che era finanziato con la vendita di pezzi di terra, con prestiti da privati, con l’ipoteca della casa, con l’unione dei risparmi dei parenti e perfino con il matrimonio, la cui dote si usava per il viaggio.43 Sul totale degli italiani emigrati durante il periodo della «grande emigrazione», il 90% era lavoratori manuali. Fino al 1896 la metà era formata da contadini, in seguito i braccianti aumentarono esponenzialmente, non altrettanto invece, fecero gli operai e gli artigiani. Intanto, le principali «nicchie occupazionali globali» che trovarono gli uomini italiani all’estero furono principalmente nei settori della costruzione – di ferrovie e delle stesse città, nel caso delle Americhe –, del commercio e dell’agricoltura. Girovaghi ed esuli diventavano «agenti di lavoro» grazie alla loro conoscenza del mercato estero e anche il ritorno degli emigrati temporanei offrì efficienti canali d’informazione sulla domanda di lavoro fuori dalla penisola. Allo stesso tempo, nasceva la figura del reclutatore o «padrone», che in Italia arruolava lavoratori senza contratti formali per occuparli all’estero, stabilendo con loro un vero rapporto di dipendenza – in alcuni casi il reclutatore pagava il viaggio in cambio di lavoro. A causa del lento abbandono dello schiavismo durante il secolo XIX, le differenze fra lavoratori liberi e schiavi non furono

42 H. S. KLEIN, op. cit., pp. 15-26 43 Cfr. H. S. KLEIN, op. cit., p. 24; A. DE CLEMENTI, op. cit., pp. 197-199; P. BEVILACQUA, op. cit., p. 109; M. SANFILIPPO, op. cit., p. 91. Sanfilippo offre un’interpretazione alternativa al carattere definitivo delle partenze, catalogandola come una «rinuncia dei vinti», poiché chi non riuscì a consolidare la proprietà terriera in Italia fu chi decise di rimanere all’estero.

28 del tutto chiare in un primo momento, e anche nelle società d’arrivo si guardava positivamente il lavoro «semi-libero». Tuttavia, una volta che i lavoratori migranti riuscirono ad avere qualche risparmio e a conoscere il mercato globale del lavoro, la figura del «padrone» andò scomparendo. Da quel momento in poi, la ricerca di lavoro all’estero iniziò a vincolarsi fortemente alle «catene migratorie», le quali cambiarono anche la natura dell’emigrazione, incoraggiando perfino quella femminile: negli anni ‘80 le donne costituivano il 15% dei migranti e dopo il 1900 erano già il 20%.44 Le migrazioni femminili, già dai primi tempi della crisi agricola, avevano costituito una forza di lavoro considerevole, protagonista soprattutto di migrazioni interne verso le città italiane, ingrossando le fila dell’esercito industriale di riserva. A cavallo del secolo s’intensificò l’emigrazione femminile dalle zone montane all’estero, e le donne si diressero prevalentemente verso le fabbriche, i cantieri e le fornaci dell’Europa continentale. Oltreoceano, gran parte delle immigrate nelle città si impiegarono nell’industria, soprattutto nella manifattura di vestiti, tessili, sigarette e scarpe. Dopo il 1900 le donne italiane erano il gruppo più grande in questo tipo di fabbriche in varie città degli Stati Uniti e dell’Argentina, insieme ai bambini. Infatti, più rapide degli uomini e senza dipendere in grande misura dai «padroni» – perché la loro migrazione era piuttosto legata alle «catene migratorie» – donne e ragazzi fecero la transizione al lavoro industriale e spesso furono essi quelli che costituirono il «proletariato delle diaspore». In ogni caso, generalmente le donne seguirono la destinazione dei maschi della propria famiglia e del proprio paese d’origine che emigravano, il che consente a Gabaccia di affermare che fra uomini e donne non ci furono diaspore diverse.45 Con una grande emigrazione in atto, la quale s’incrementò fin dall’inizio del nuovo secolo grazie all’aumento di quelli provenienti dal sud d’Italia, i risparmi che gli emigrati stessi facevano pervenire alle loro famiglie in patria, o «rimesse», divennero un’importante fonte d’incasso per molti italiani. In questo modo, le rimesse servirono anche a equilibrare il mercato di consumo interno e, inoltre, a finanziare

44 D. GABACCIA, op. cit., pp. 61-75. Negli anni della Grande Guerra, e con l’arresto delle emigrazioni maschili, le donne costituirono il 34% dei migranti. Vd. Ivi., p. 67. Dal canto suo, Sanfilippo suggerisce che fra il 1876 e il 1885 la migrazione femminile costituì il 17% del totale, mentre tra il 1896 e il 1900 la percentuale raggiunse il 25%. Vd. M. SANFILIPPO, op. cit., p. 82. Il concetto di «padrone» è utilizzato da Gabaccia. 45 Cfr. B. BIANCHI, Lavoro ed emigrazione femminile (1880-1915), in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 261-266; D. GABACCIA, op. cit., pp. 72-75. Molte donne italiane lavorarono anche come domestiche, ma solo nel caso latinoamericano e quasi esclusivamente per padroni italiani. Vd. Ivi., p. 76.

29 l’industrializzazione italiana del primo Novecento. Parallelamente, le «colonie» italiane all’estero offrivano mercati sicuri alle esportazioni dalla penisola.46 Tuttavia, difficilmente gli emigrati furono consapevoli del suo contributo all’economia italiana, e, forse, neanche lo desideravano. Donna Gabaccia suggerisce che fra i contadini l’emigrazione ebbe un legame non casuale con un certo rifiuto della costruzione dello Stato nazionale italiano. L’inchiesta agraria condotta dal senatore Stefano Jacini, i cui risultati furono pubblicati nel 1884, evidenziava già allora l’irrilevanza dell’idea di nazione per gli abitanti della campagna, da una parte e la crescente popolarità delle emigrazioni, dall’altra. Infatti, l’emigrazione ebbe una crescita vertiginosa dopo il movimento dei Fasci Siciliani degli anni 1893-1894, il che, secondo Gabaccia, dimostra in qualche modo il rifiuto contadino della politica nazionale verso i settori popolari, soprattutto nella sua variante repressiva. Per fronteggiare questo atteggiamento, i moderati pensavano che la scuola – particolarmente l’insegnamento dell’italiano – e il servizio militare obbligatorio, potessero servire alla costruzione della nazione. Non a caso, per molti italiani dell’élite l’emigrazione rappresentò una minaccia all’unità della nuova nazione, anche perché i forti legami che gli emigrati mantenevano con i propri luoghi d’origine davano un ampio respiro ai «localismi» che i nazionalisti volevano superare.47 In ogni caso, sembra che la nazione italiana si formasse con maggiore facilità fuori dall’Italia piuttosto che al suo interno. Gli attivisti del Risorgimento vissero spesso l’esperienza dell’espatrio che, nonostante le «due diaspore» di cui abbiamo già parlato, risultò fondamentale per legare politicamente quell’élite ai ceti popolari emigrati. Mentre i capi risorgimentali in Italia si mostravano ostili all’inclusione della plebe nella politica, Mazzini e Garibaldi si rivolsero agli emigrati per creare un «nazionalismo della diaspora», una nazione che includesse anche gli italiani poveri residenti all’estero. Sicuramente le differenze regionali e locali fra i peninsulari costituirono un ostacolo per gli esuli, ma il più grande problema che questi dovettero affrontare fu appunto quello delle «due razze d’Italia». Infatti, fra le file risorgimentali i settori popolari erano

46 A. DE CLEMENTI, op. cit., pp. 204-206. Secondo Gabaccia, le rimesse dirette all’Italia dall’estero ebbero un progressivo e sostenuto aumento fin dall’inizio dell’«emigrazione di massa»: nel 1861 contarono 13 milioni di lire, 127 milioni nel 1880, 254 milioni annui dopo il 1890 e, infine, 846 milioni annui dopo il 1906. In questo modo, «emigrations had become one of Italy’s largest industries». Vd. D. GABACCIA, op. cit., p. 92. 47 D. GABACCIA, op. cit., pp. 52-74. Sull’Inchiesta Jacini, vd. S. JACINI, I risultati dell’inchiesta agraria. Relazione pubblicata negli Atti della Giunta per lnchiesta Agraria, Torino, Einaudi, 1976 [1885].

30 rappresentati solo da alcuni operai e artigiani, mentre il sentimento nazionale non era per niente diffuso fra i più poveri. Contro questa tendenza, Mazzini sosteneva un «nazionalismo spontaneo» che intendeva includere i ceti popolari, ma che tuttavia limitava la loro partecipazione a insurrezioni armate che dovevano essere guidate dalle classi colte. 48 Nonostante ciò, gli esuli furono gli unici che riconobbero gli emigrati come parte della nazione italiana. Ovunque si stabilirono, gli emigrati politici cercarono di creare insediamenti unitari e interclassisti attraverso i quali costruire un’identità nazionale, raggiungendo un discreto successo. In questo modo, l’emigrazione trasformò gli esuli in capi delle «comunità italiane» all’estero, dando origine al «nazionalismo della migrazione». La sua forma organica più nota, alla quale Mazzini diede vita nel suo soggiorno a Londra, fu quella delle società operaie di mutuo soccorso, tuttavia anche le idee insurrezionali diedero il loro contributo a questo processo. Prima del 1850, queste ultime furono particolarmente importanti in Sudamerica, dove l’arruolamento dei lavoratori per l’insurrezione patriottica divenne un «movimento di massa», grazie soprattutto alla carismatica presenza di Garibaldi. Molti plebei incontrarono il Generale nella regione sudamericana e proprio lì diventarono patrioti italiani, combattendo con lui prima oltreoceano e dopo nella penisola.49 Quest’impostazione in chiave nazionalistica dell’attività politica degli esuli si riprodusse durante tutto il secolo, portando la «diaspora del nazionalismo» ad affermare un’identità nazionale fra le molte associazioni e i leaders italiani all’estero. Questa «italianità» in terre straniere, lontana d’essere stata creata dallo Stato italiano, fu prodotta dall’azione di attivisti influenzati soprattutto dalle idee della civiltà italiana e dal Risorgimento, anche se non mancarono quelle del movimento operaio e della Chiesa.50 La diffusione del nazionalismo italiano fra gli emigrati non fu un processo spontaneo e immediato. Molti di essi non si riconoscevano come italiani prima della partenza e difficilmente conoscevano la lingua, condizioni che si protraevano anche nelle terre d’oltreoceano. In quel momento, però, si fece necessario per gli immigrati, attivare un processo di trasformazione della propria identità, con lo scopo di dare a quest'ultima, una certa utilità nel nuovo contesto sociale. Tale trasformazione implicò la rimozione di

48 D. GABACCIA, op. cit., pp. 35-42. 49 Ivi., pp. 42-49. Prima dell’Unità d’Italia, le diaspore di esuli e lavoratori furono piuttosto divergenti, e invece dopo 1861 circa, gli emigrati politici ebbero le stesse destinazioni dei lavoratori. Vd. Ivi., p. 68. 50 Ivi., p. 127.

31 «passaggi inservibili» del passato e la ricerca di origini rassicuranti per affrontare il presente, avviandosi di conseguenza, una progressiva e problematica assunzione del nazionalismo. In questo modo, gli emigrati costruirono un’identità stratificata che si proiettava verso un futuro mistificato e nella quale iniziarono a convivere con un certo equilibrio il nazionalismo, i regionalismi e i diversi localismi.51 In ogni caso, l’idea di nazionalità italiana come punto di riferimento per gli emigrati e in particolare per le associazioni «etniche»52 – soprattutto quelle di carattere regionale e locale –, ebbe anche un senso utilitario e si usò per mantenere buoni rapporti con le autorità italiane, specie con quelle consolari. D’altra parte, anche se è vero che le feste patrie italiane riflettevano uno dei livelli del senso d’appartenenza, è anche vero che per molti queste commemorazioni non ebbero solo un senso nazionalista. Ad esempio, la celebrazione del XX Settembre ebbe per numerosi patrioti un senso anticlericale e a Rio Grande do Sul questa commemorazione festeggiava persino la Rivoluzione indipendentista di Farrapos nella quale aveva preso parte Garibaldi. Infine, nelle zone rurali argentine e brasiliane, le quali ospitarono comunità d’italiani originari delle stesse regioni o provincie, le feste nazionali finivano con festeggiamenti che seguivano i costumi regionali o provinciali dei membri delle dette comunità ma tuttavia una minoranza d’intellettuali e di notabili – incluso il clero – li interpretava in chiave nazionalistica.53 La vita degli immigrati, però, non si restrinse alle sole comunità costruite all’estero. I rapporti economici con la terra d’origine, così come i ritorni e le migrazioni ripetute, marcarono diverse generazioni di una stessa famiglia, dando alle diaspore un lungo respiro e aiutarono a creare uno stile di vita definito da Donna Gabaccia come «transnazionale». Tuttavia, riteniamo più adeguato il concetto di «bilocalismo» o «plurilocalismo», proposto da Franzina, poiché permette di sottrarsi alle difficoltà che

51 E. FRANZINA, L’America Gringa, Storie italiane d’immigrazione tra Argentina e Brasile, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2008, p. 28. 52 Preferiamo utilizzare il termine d’«etnia» piuttosto che quello di «nazione», come fanno diversi autori, poiché il primo termine ci consente di comprendere il fenomeno della costruzione d’identità in accordo con elementi culturali e tradizionali che non necessariamente coincidono con le pretese politiche assegnate dalle élites politiche al concetto di nazione. 53 Ivi., pp. 39-42. Infatti, anche dal punto di vista degli abitanti locali, in molti casi il «tipo nazionale» italiano non fu che la proiezione dei «tipi regionali» dominanti in certi contesti territoriali. Vd. Ivi., p. 36.

32 porta il concetto di «nazione» in un contesto migratorio in cui la nazione stessa sembra non essere che un progetto.54 Questo «plurilocalismo» fu l’alternativa alle difficili condizioni d’esistenza nel luogo d’origine e costituì la base per la costruzione di un’economia familiare oltre i confini nazionali, che cercava di salvaguardare la sicurezza della famiglia nel contesto più ampio del mercato mondiale del lavoro.55 Questa permanente ricerca di sicurezza, infatti, fu la principale preoccupazione degli emigrati e ne condizionò gli atteggiamenti, rendendoli più conservatori, da una parte e portandoli a cercare il rinforzamento dei propri legami sociali e culturali con la famiglia e con i compaesani, dall’altra. In modo supplementare, alcuni emigrati cercarono di costruire legami extra familiari avvicinandosi alla chiesa, al nazionalismo, al mutualismo o, infine, all’attivismo di classe. Questi punti di riferimento identitari, ostili fra loro e molte volte anche escludenti, concorrevano per guadagnare la simpatia e l’adesione delle masse migranti. Fra essi, questa ricerca s’interessa particolarmente a quello che Gabaccia chiama l’«internazionalismo operaio».56 Al loro arrivo nei paesi di destinazione, i lavoratori immigrati dovettero affrontare spesso l’ostilità di quelli locali. Negli Stati Uniti, in Australia e in Europa gli italiani si trovarono di fronte a frequenti proteste, violenze e dimostrazioni operaie anti-italiane, il cui caso più drammatico ebbe luogo in Francia nel 1893, con le insurrezioni e il massacro di Aigues-Mortes. I lavoratori peninsulari furono, di fatto, fra i primi a confrontarsi con un certo «nazionalismo proletario», che inizialmente si manifestò nel tentativo dei movimenti operai nazionali d’escludere gli immigrati per proteggere i lavoratori nativi. Nonostante ciò, i socialisti italiani riuscirono a formare associazioni operaie «nazionali» all’estero e, negli anni ’90, la Società Umanitaria – nata in Italia nel 1882 da un’iniziativa socialista – collaborò con i sindacati europei e fornì informazioni utili ai lavoratori che emigravano. Da parte sua, la Seconda Internazionale promosse la cooperazione multinazionale nei luoghi di lavoro e supportò la libera migrazione e l’unione operaia al di fuori delle nazionalità, seppur non attaccasse le nozioni nazionalistiche sui diritti

54 Cfr. D. GABACCIA, op. cit., p. 80; E. FRANZINA, op. cit., p. 27. 55 D. GABACCIA, op. cit., pp. 82-83. Su un’analisi sociale ed economica dell’«economia familiare internazionale», così come sulla sua organizzazione e le conseguenze che ebbe nei paesi d’origine degli emigranti, vd. Ivi., pp. 83-94. 56 Ivi., p. 105-107. Di fronte alle lotte fra cattolici, regionalisti, nazionalisti e movimento operaio per guadagnare il supporto delle masse migranti, gran parte delle famiglie italiane si mostrarono piuttosto scettiche e preferirono riconoscere la propria famiglia e il proprio quartiere come garanti della propria sicurezza. Vd. Ivi., p. 120.

33 politici. L’internazionalismo militante riuscì a sfidare il nazionalismo proletario creando legami fra i proletari stranieri e i movimenti operai locali, ma questo non bastò per costruire buoni rapporti fra gli immigrati e i lavoratori nativi.57 Particolarmente in America Latina, in Francia e negli Stati Uniti, l’associazionismo operaio prese la forma di movimenti nazionali costituiti da diverse culture. Nel caso degli Stati Uniti, in quasi tutto il paese l’organizzazione di lavoratori fu culturalmente segmentata: ogni gruppo culturale si associò separatamente per formare poi una federazione multietnica. Altrove, invece, dove i militanti erano principalmente francesi, portoghesi, spagnoli e italiani, come a Marsiglia, in Tunisia, a Buenos Aires, a São Paolo e a Tampa – e un po’ dopo anche in seno all’International Workers of the World nordamericana – le diverse culture s’integrarono nelle stesse associazioni, assumendo un carattere cosmopolita e multietnico dalla base. Nel caso particolare dell’Argentina e del Brasile, dove l’apporto degli immigrati italiani fu piuttosto importante, il movimento operaio nazionale ebbe un carattere ostile all’organizzazione dei lavoratori sotto il modello sindacale.58 Fin qui, è chiaro che l’«emigrazione politica» fu solo uno degli aspetti del fenomeno multidimensionale dell’emigrazione italiana. Per quanto riguarda il processo noto come «emigrazione di massa» o «grande emigrazione», situato temporalmente grossomodo fra il 1885 e il 1914, l’emigrazione politica ebbe cause, dinamiche e scopi differenti e, anzi, lo precedette di molti anni. Nonostante ciò, nel periodo in cui convissero, entrambi i processi inevitabilmente s’intrecciarono e si condizionarono vicendevolmente, soprattutto nelle loro manifestazioni urbane e particolarmente riguardo alla diffusione del nazionalismo italiano. Quest’ultimo fu particolarmente importante per la «tappa anarchica e socialista» dell’emigrazione politica, svolgendo un ruolo di rilievo tanto alla partenza dei militanti dalla penisola quanto al loro arrivo nelle terre di destinazione. Questa nuova tappa dell’emigrazione politica, però, ci pone la domanda sulla pertinenza della sua concezione come un’emigrazione d’élite, poiché la 57 Ivi., pp. 111-115. Sulle iniziative del movimento socialista e sindacale riguardo all’emigrazione, vd. A. PEPE e I. DEL BIONDO, Le politiche sindacali dell’emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 275-292; nel volume La riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, Milano, Teti Editore, 1994, vd. gli articoli di A. PEPE, La Confederazione Generale del Lavoro e l’emigrazione tra fine secolo e fascismo, pp. 15-34; Z. CIUFFOLETTI, La Società Umanitaria e l’emigrazione operaia oltreoceano, pp. 35-43; D. MARUCCO, Il Consiglio Superiore dell’Emigrazione: problemi sindacali e sindacalisti nei dibattiti di un quarto di secolo, pp. 44-61. 58 D. GABACCIA, op. cit., 115-117.

34 stragrande maggioranza di quei militanti finirono per integrarsi negli strutturali flussi di manodopera all’interno del mercato globale del lavoro.

1.2. L’emigrazione dall’Italia e dall’Emilia Romagna all’America Latina (1861- 1900)

Il traffico delle emigrazioni, che aveva già una rete transnazionale dal primo Ottocento, ebbe un’intensa attività nei diversi porti europei. Molti italiani, infatti, s’imbarcarono oltre i confini nazionali, Genova poi, ebbe una particolare importanza per la grande emigrazione oltreoceano, almeno fino alla svolta del secolo. Fra il 1876 e il 1901, il porto ligure concentrò il 61% dell’emigrazione transoceanica italiana, prevalentemente verso il Sudamerica, mentre l’aumento esponenziale dell’emigrazione dal mezzogiorno agli Stati Uniti fece sì che nel 1901 il porto di Napoli contasse il doppio degli imbarchi di emigrati oltreoceanici rispetto a Genova. Nonostante ciò, il porto del Nord mantenne il suo primato per l’emigrazione verso l’America del Sud. Gli interessi armatoriali italiani, insieme alle prime e maggiori strutture commerciali del paese con sede a Genova e a Milano, avevano creato le condizioni per attivare il «commercio di emigrati» dal porto ligure, attraverso il quale si collegarono subito con l’Argentina e il Brasile. Grazie alle concessioni fatte dal governo italiano, gli armatori genovesi riuscirono a inserirsi nel mercato internazionale del trasporto e a consolidarsi nei settori emergenti del capitalismo italiano: la siderurgia e la navalmeccanica. Nei primi anni ’80 i traffici fra l’Italia e il Sudamerica s’intensificarono grazie alla creazione di diverse compagnie marittime e qualche anno dopo le misure immigratorie «sbrigative» del Brasile incentivarono ulteriormente le partenze, il che alleggerì in qualche modo la concorrenza delle flotte straniere – soprattutto inglesi e tedesche – che alla fine del secolo erano ancora numerose a fare scalo nel porto genovese. Anche la mancanza di una legge organica sull’emigrazione favorì gli affari degli armatori: questi poterono adattare navi vecchie e desuete, prive delle essenziali condizioni d’igiene e di sicurezza per il trasporto di persone oltreoceano. La precarietà di molte imbarcazioni provocò il decesso di diversi passeggeri durante i viaggi e non di rado il divieto di sbarco nei porti di destinazione agli

35 immigrati infetti da malattie.59 In ogni caso, l’avvio dell’emigrazione di massa rese il trasporto degli emigranti l’affare economico più rilevante per l’Italia all’epoca.60 Mentre il governo si mostrò interessato e disponibile riguardo agli armatori, non si può dire lo stesso a proposito degli emigranti. Le circolari che il governo emanò nel 1868 – Menabrea – e nel 1873 – Lanza – si limitarono a impedire la partenza a chi non aveva assicurato un lavoro all’estero oppure adeguati mezzi di sussistenza ela circolare Lanza dell’aprile 1876 si mostrò più tollerante con l’emigrazione, ma a rischio di chi espatriava. La prima legge in proposito, approvata nel dicembre 1888 e nota come legge Crispi, riconobbe l’emigrazione come positiva, ma la sua azione tendeva ancora alla repressione piuttosto che alla tutela. Il disegno di legge sosteneva che una delle cause dell’emigrazione era l’azione talvolta fraudolenta degli agenti di migrazione e si proponeva perciò di controllare l’attività delle agenzie. Con la nuova legge l’emigrazione continuò a concepirsi soltanto come un problema d’ordine pubblico, limitandosi a regolare i termini dei contratti di viaggio e a reprimere gli illeciti.61 Nelle Indagini sulla nostra emigrazione all’estero del 1889, opera a cura della Società Geografica Italiana, appare chiara la politica di delega che il governo intendeva promuovere riguardo alla tutela degli emigrati. Il documento riferiva che le società di mutuo soccorso delle grandi città ricettrici d’italiani, avevano rifiutato di assumere il ruolo di patronato d’emigranti. Nel 1888, Guglielmo Godio e altri «ragguardevoli» italiani avevano fondato in Argentina una società di patronato per gli emigranti, e offrì loro un supporto morale. Questa società riuscì a istallare dei sotto-comitati in alcune città del paese, ma pochi mesi dopo sparì, nonostante un ulteriore tentativo di rianimarla. Sembra che solo a New York ci fosse una società simile a questa. La mancanza di patronato era supplita dagli asili e dagli ospizi dei paesi ospitanti, come l’Hospedería de Inmigrantes di Buenos Aires, da amici, parenti e talvolta dall’aiuto, seppur scarso, di alcune società di beneficenza. Si riconosceva però che la gran massa dei migranti italiani

59Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 63-64; A. MOLINARI, Porti, trasporti, compagnie, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 238-241. 60 E. FRANZINA, op. cit., p. 180. Su altri particolari del commercio dell’emigrazione, vd. Ivi., capitolo Il commercio dell’emigrazione e le origini dell’esodo di massa, pp. 61-107; A. MARTELLINI, Il commercio dell’emigrazione: intermediari e agenti, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 293-308; A. MOLINARI, op. cit., pp. 237-255. 61 M. R. OSTUNI, Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista, in Storia dell’emigrazione italiana, I. Partenze, cit., pp. 310-311. Sul disegno della legge Crispi, presentata al parlamento nel dicembre 1887 e con le controproposte della Camera, vd. ASD-MAE, Gabinetto Crispi (1870-1891), Carteggio, b. 4, fasc. 3, s/fasc. c Italiani all’estero 1890.

36 restava «abbandonata a sé stessa», a differenza dei migranti di altre nazionalità, che potevano contare sul patronato dei rispettivi paesi. Il documento raccomandava la creazione di uffici di patronato a New York, Buenos Aires, Montevideo e São Paulo, ma calcolando che tutti e quattro gli uffici avrebbero avuto un costo di 100 mila lire circa, si suggeriva di dare priorità alla città nordamericana, perché nelle città del Sudamerica, per quantità di connazionali e ambiente sociale, gli emigrati erano più favoriti e protetti che negli Stati Uniti.62 In quegli anni, le uniche associazioni che tutelarono gli emigrati, almeno per quanto riguarda il viaggio dall’Italia, furono la Congregazione Missionari di San Carlo Borromeo, fondata nel 1888 dal vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini e la Società Umanitaria. Soltanto alla svolta del secolo la legislazione si preoccuperà della protezione degli interessi degli emigrati. Nel gennaio 1901 si creò il Commissariato Generale dell’Emigrazione, mediante una legge che aveva lo scopo di tutelare gli emigrati, riunendo nell’organismo i servizi che fino ad allora facevano capo a diversi ministeri. Nonostante la sua azione fosse proficua sotto alcuni aspetti, gli interessi creati dagli agrari e dai liberisti e perfino del proprio Ministero degli Affari Esteri, ne limitarono i poteri e restrinsero la sua opera soltanto all’Italia.63 Gli ultimi anni ’80 segnarono l’inizio della grande emigrazione: il numero totale degli emigrati italiani salì dai 87.931 registrati nel primo semestre 1886, ai 113.981 in uguale periodo del 1887, essendo aumentati quelli diretti fuori l’Europa dai 31.233 ai 54.197. Per l’Argentina si passò dai 10.862 ai 16.256 emigrati, mentre per il Brasile dai 4.450 si arrivò ai 10.684. Guardando le cifre del primo semestre degli anni precedenti, si nota anche che dal 1882 il totale degli emigrati fu circa 90 mila semestrali – fino al 1881 non si era mai sorpassata la soglia dei 75 mila emigrati –, mentre nello stesso periodo del 1883 si era già raggiunto i 104.151, anche se con un chiaro vantaggio della destinazione europea rispetto a quell’americana. In questo scenario, l’emigrazione specifica dall’Emilia e dalla Romagna fu piuttosto bassa. Nel primo semestre del 1887, occupando il decimo posto fra le sedici regioni o compartimenti italiani, l’emigrazione

62 SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA, Indagini sulla nostra emigrazione all’estero, Roma, s.e., 1889, pp. 5-17. Il documento si trova in ASD-MAE, Gabinetto Crispi (1870-1891), Carteggio, b. 4, fasc. 3, s/fasc. d Colonie italiane all’estero. 63 M. R. OSTUNI, op. cit., pp. 312-314. Su Giovanni Battista Scalabirini, vd. A. PEROTTI, Monsignor Scalabrini, vescovo di Piacenza, e l’assistenza missionaria agli emigrati, in Gli emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana in America Latina: Il caso modenese. Atti del convegno (26-27 ottobre 2001), Modena, Grafica e Centro stampa Provincia di Modena, 2003, pp. 142-152.

37 corrispose a 1.633 persone, cioè l’1,43% del totale della penisola, molto al di sotto dei 47.689 emigrati veneti, dei 13.572 campani, dei 11.507 lombardi e dei 9.653 piemontesi – i gruppi delle quattro maggiori regioni esportatrici di manodopera, che insieme totalizzavano il 72,3% degli espatriati dall’Italia. Fra le provincie emiliane e romagnole, quelle con maggiore quantità di espatri furono Piacenza con 546 persone, Parma con 524 e Reggio Emilia con 327, mentre il resto non superò le centinaia. Risulta interessante che, seppur il numero complessivo di emigrati emiliani e romagnoli non variasse sostanzialmente dal primo semestre 1886 (1639 individui) al primo semestre 1887 (1633 persone), ci fu una notevole differenza nella scelta delle destinazioni. Nei periodi riferiti, gli emigrati diretti in Europa diminuirono da 1.239 a 915, mentre quelli diretti in America videro un aumento da 356 a 694, con almeno 366 con destinazione l’Argentina, 154 negli Stati Uniti e 76 in Brasile.64 Mentre prima del 1884, l’emigrazione emiliana e romagnola per le Americhe non superava le mille persone all’anno, nel 1888 la cifra si elevò ai 10.338, molto al di sopra dei 2.674 individui che si diressero in Europa. Fra il 1887 e il 1900, gli emiliani e romagnoli che abbandonarono i luoghi d’origine alla volta delle Americhe furono 82.848, mentre quelli che si recarono in altri paesi dell’Europa furono 79.365. Le cifre complessive dell’Italia per lo stesso periodo sono concordanti: su un totale di 3.775.393 italiani che emigrarono, 2.108.937 ebbero come destinazione oltreoceano, e 1.613.439 l’Europa. La supremazia delle mete americane fra gli emigrati dell’Emilia e della Romagna, fu costante fra il 1888 e il 1897, mentre dal 1898 in poi l’Europa riprese il predominio come il continente con il maggior numero di destinazioni. È da rilevare che, oltre al 1888, i periodi di maggiore emigrazione da queste regioni verso l’altra sponda

64 DIREZIONE GENERALE DELLA STATISTICA, Statistica dell’emigrazione italiana all’estero nel 1º semestre 1887, in «Estratto della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», n. 289, 9 dicembre 1887. Questo documento si trova in ASD-MAE, Gabinetto Crispi (1870-1891), Carteggio, b. 4, fasc. 3, s/fasc. d, Colonie italiane all’estero. Nello stesso sotto-fascicolo è presente un’altra analisi statistica della DGS (Emigrazione italiana all’estero avvenuta nel 1º trimestre 1887, confrontata con quella del 1º trimestre 1888, in «Estratto della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», n. 162, 10 luglio 1888), che mostra però dati discordanti per il primo semestre 1887 riguardo a quelli citati, mostrando cifre assai minori (59.678 emigranti italiani invece di 113.982, e 908 emigranti emiliani e romagnoli invece dei 1633, ad esempio), seppur entrambi i bollettini includessero migrazioni temporanee e permanenti. Questa discordanza fra i rapporti può dare un’idea della limitata affidabilità delle statistiche dell’emigrazione. D’altra parte, per la nostra analisi abbiamo scelto di considerare solo i dati riguardanti l’emigrazione complessiva, senza distinguere fra temporanea e permanente, poiché questa classificazione si basò solo sulle intenzioni degli emigranti prima della partenza e perché nell’analisi fatta dalla DGS secondo i paesi di destinazione non incluse questa distinzione.

38 dell’Atlantico furono il 1891, con 8.353 emigranti, e il triennio 1895-1897 con 29.618, un 35,7% del totale del ciclo 1887-1900. In ogni caso, in questa fase della «grande emigrazione» il numero complessivo degli emigranti dell’Emilia e della Romagna per le Americhe raggiunse uno scarto 3,9% del totale della penisola.65 L’espatrio dall’Emilia e dalla Romagna per ogni destinazione mostrò tassi molto bassi anche a lungo termine. Nel periodo fra il 1876 e il 1880, 1,86 persone su mille emigrarono annualmente, collocando queste regioni all’ottavo posto fra le sedici italiane. Fra il 1881 e il 1890 il tasso salì a 3,00, tuttavia le regioni occuparono il decimo posto nella classifica nazionale dell’emigrazione, mentre fra il 1891 e il 1890 il tasso migratorio raggiunse 5,59, riportando l’Emilia e la Romagna all’ottavo posto. Solo nel decennio successivo questo tasso superò i 10 emigranti ogni mille abitanti (12,94), tornando nonostante ciò al decimo posto. D’altra parte, in tutto il ciclo della «grande emigrazione», cioè dal 1876 al 1914, il 69% degli emiliani e dei romagnoli si diresse in Europa, mentre non più del 17% si trasferì in Sudamerica. Nel periodo fra il 1880 e il 1884, l’1,1% del totale dell’emigrazione italiana per l’Argentina fu costituita da emiliani e romagnoli, e nel quinquennio successivo la percentuale salì al 3,6%. Nel periodo 1878- 1886 solo il 0,7% dell’emigrazione italiana per il Brasile partì dall’Emilia e la Romagna, mentre fra il 1887 e il 1895, la cifra raggiunse il 5,8%. Sembra che alcuni fazendeiros del Brasile rifiutassero esplicitamente gli immigrati dalla Sicilia, dalle Marche e dalla Romagna, perché erano «ribelli e poco inclini ad accettare ordini».66 Riguardo alle provincie della Romagna e dell’Emilia, l’Annuario Statistico dell’Emigrazione del 1926 analizza comparativamente gli espatri diretti oltreoceano – che includono anche le mete africane e asiatiche – e quelli diretti in Europa e il bacino Mediterraneo. Durante la prima fase dell’«emigrazione di massa» (1887-1900), le provincie che più apportarono emigranti furono Parma con 32.403 persone, seguita da Modena con 27.376, mentre Ravenna fu quella che ebbe il numero più basso di espatri con 8.297. Il resto delle provincie vide emigrare fra 16 mila e 21 mila persone. Riguardo alle destinazioni, i dati mostrano un maggior numero d’emigranti diretti oltreoceano a confronto di quelli diretti in Europa e nel bacino Mediterraneo nella metà delle provincie: con 16.641 persone contro 1.165; Bologna con 12.070 contro 9.264; Forlì con 9.163 contro 7.117, e infine Ravenna con 4.547 contro 3.750. Al contrario, 65 CGE, Annuario Statistico dell’Emigrazione italiana dal 1876 al 1925, cit., pp. 8-17. 66 Cfr. A. MARTELLINI, Marchigiani e romagnoli nella ‘grande emigrazione’, in Gli emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana in America Latina: il caso modenese, cit., p. 189; D. GABACCIA, op. cit., p. 70; P. SILVESTRI, op. cit., p. 14.

39 Modena, Reggio Emilia, Piacenza e Parma ebbero una maggiore emigrazione verso l’Europa e il bacino Mediterraneo e in quest’ultima provincia il numero di persone raggiunse le 21.573 contro 7.055 dirette oltreoceano. In termini assoluti, però, il panorama varia: dopo Ferrara, le provincie che più contribuirono all’emigrazione oltreoceano furono Modena con 12.903 persone, Bologna con 12.070 e Parma con 10.830. Le provincie con un numero minore d’emigranti oltreoceano, invece, furono Ravenna con 4.547 e Piacenza con 7.055. In ogni caso, come abbiamo già accennato, sul totale degli emigranti dall’Emilia e dalla Romagna del periodo, la maggior parte preferì le mete oltreoceaniche, raggiungendo i suoi apici nel 1888 con 10.375 emigrati e nel 1897 con 11.336.67 La poca disposizione degli abitanti dell’Emilia e della Romagna all’emigrazione si spiegherebbe – così come per le Marche – per la diffusione della mezzadria in queste regioni. Questa tipologia produttiva fu particolarmente usuale nell’Emilia e a questa può essere legata la causa dei limitati flussi migratori. I patti mezzadrili furono predominanti in alcune zone, come nella Bassa modenese, seppur questi avessero perso consistenza in concomitanza con l’aumento del numero di braccianti causato dalla crisi degli anni ‘80. In questa zona la forma mezzadrile prevalente fu quella «imperfetta», nella quale il contadino prendeva non la metà, bensì solo un terzo dei benefici del patto e iniziò il suo declino con la crisi e con la contemporanea introduzione del capitalismo nelle campagne: la «monetizzazione» dei rapporti produttivi portò debiti ai mezzadri e la proletarizzazione a molti contadini. A mano a mano che ci si avvicinava alla fine del secolo, la fame, la disoccupazione – soprattutto d’inverno per i braccianti –, l’instabilità e l’insicurezza diventarono più frequenti nelle campagne emiliane.68 È probabile che sia stata la realtà quantitativamente poco rilevante dell’emigrazione emiliana e romagnola a creare una «zona d’ombra» su di essa negli

67 CGE, Annuario Statistico dell’Emigrazione italiana dal 1876 al 1925, cit., pp. 52-54. L’analisi sugli espatri per provincia, elaborata dal Commissariato Generale per l’Emigrazione, distinse due grandi processi d’emigrazione più ampi degli espatri verso l’America e l’Europa, piuttosto che l’individuazione delle destinazioni. Nonostante ciò, i numeri non variarono sostanzialmente rispetto all’emigrazione per entrambi i continenti: per il periodo 1887-1900, mentre i dati segnalano che 82.800 emiliani e romagnoli scelsero destinazioni in Europa e nel bacino Mediterraneo, 79.365 di esse si recarono nel continente europeo e, allo stesso modo, dei 83.322 che espatriarono oltreoceano 82.848 lo fecero nelle Americhe. 68 Cfr. A. MARTELLINI, Marchigiani e romagnoli nella ‘grande emigrazione’, cit., p. 189.; A. OSTI GUERRAZZI e B. VOLPATO PINTO, Una campagna italiana: la Bassa modenese negli anni settanta dell’Ottocento, in Gli emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana in America Latina: il caso modenese, cit., pp. 124-128; M. FINCARDI, Emigrazione temporanea e mutamento sociale tra Emilia e Bassa Lombardia, in Gli emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana en America Latina, cit., p. 86.

40 studi relativi ai movimenti migratori italiani, anche se occorre riconoscere che anche regioni come la Toscana, le Marche, il Lazio, la Sardegna e la Basilicata hanno avuto poco spazio nell’analisi migratoria.69 Nonostante ciò, l’emigrazione emiliana ha vecchie radici. Già nel Seicento e nel Settecento alcuni boscaioli e lavoratori agricoli piacentini e parmigiani andarono in Corsica e nell’Europa continentale, flussi che s’intensificarono verso la metà dell’Ottocento anche con girovaghi e circensi che si recarono nelle principali città europee. Alcuni piacentini, inoltre, partirono da Genova per le Americhe, mentre suonatori d’organetto parmigiani aprirono la strada a camerieri, pasticceri e asfaltatori del centro e nord d’Italia per l’Inghilterra. Nella seconda metà del XIX secolo, mentre la migrazione ravennate verso le paludi d’Ostia risaltava nelle migrazioni interne, molti emiliani emigrarono temporaneamente in Francia e in Belgio, come fece gran parte degli abitanti della pianura padana.70 Nell’area a sud del Po, l’emigrazione massiccia all’estero si avviò verso il 1870, coinvolgendo prevalentemente braccianti. Mentre l’emigrazione temporanea fu più importante nei paesi con un maggior numero di braccianti, l’emigrazione permanente prevalse fra i micro-propietari. Almeno fino agli inizi del XX secolo, i flussi migratori si alternarono con periodi di grande conflittualità sociale: dopo gli scioperi agrari del periodo 1882-1885, l’emigrazione aumentò nella bassa pianura, con i braccianti che partirono per i cantieri e le miniere europee e con famiglie coloniche che si diressero in Brasile e in Argentina. Parallelamente, si creò un legame fra migrazione stagionale e associazionismo classista che permise, da un lato, la diffusione delle cooperative di lavoro dalla metà degli anni ’80 e dall’altro, che diversi braccianti della bassa padana diventassero promotori del movimento socialista fra gli emigrati all’estero.71 Risulta interessante considerare queste caratteristiche produttive della zona come tratti strutturali, poiché in qualche modo riguardarono non solo regioni amministrativamente delimitate, quanto invece aree specifiche che si costituirono anche in modo interregionale. La mezzadria, vista così, fu caratteristica anche delle Marche e, di fatto, ne condizionò in maniera molto simile l’emigrazione. Sia in Emilia che nelle Marche, infatti, solo con l’esaurimento degli effetti dei patti mezzadrili e il conseguente

69 Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 32; M. SANFILIPPO, op. cit., pp. 83-84. 70 M. SANFILIPPO, op. cit., pp. 86-88. 71 M. FINCARDI, op. cit., pp. 84-87. È interessante notare come nell’Appennino emiliano, anche se ci fu un’emigrazione temporanea – sia verso la Bassa padana sia verso l’estero – e i giovani esprimessero idee politiche radicali e anticlericali, come successe nella Bassa Emilia, la tendenza all’associazionismo di classe fu piuttosto scarsa e invece, le relazioni comunitarie si proiettarono ancora nelle parrocchie. Vd. Ivi., p. 88.

41 aumento del numero di braccianti, l’esodo dalla campagna all’estero ebbe una considerevole crescita. Non a caso, particolari reti d’espatrio, come quella diretta a Sunny Side, in Arkansas, fra gli anni 1896 e 1907 – creata da agenti d’emigrazione e poi alimentata da catene migratorie –, fece sì che emiliani e marchigiani fossero piuttosto numerosi fra gli italiani nel sud degli Stati Uniti.72 Già prima che i segni della crisi agraria si facessero notare in Italia, i governi argentino, brasiliano e uruguaiano avviarono politiche d’incentivo all’immigrazione. Nel 1854 si creò a Buenos Aires la Commissione Centrale dell’Immigrazione, attiva dal 1857 e rafforzata durante gli anni ‘60. In Uruguay esisteva una commissione analoga, mentre nel gennaio 1867 l’Impero brasiliano approvò la sua prima legge sull’immigrazione, seppur di mero carattere simbolico. Fu la legge argentina sull’immigrazione dell’ottobre 1876 a dare la spinta definiva ai flussi migratori: questa legge, oltre a promuovere l’immigrazione con passaggi gratuiti nei mesi invernali e primaverili, regolamentò l’attività degli agenti d’immigrazione all’estero. Verso la metà degli anni ‘70, in Italia c’era una quindicina di agenti pagati dal governo argentino e diretti dal mazziniano Giovanni Battista Cuneo – già abitante a Buenos Aires –, che aveva stabilito il suo centro operativo a Firenze. Questa rete crebbe progressivamente con sub-agenti e intermediari e dal 1876 il numero di agenti si moltiplicò a dismisura a causa della concorrenza brasiliana. Fu l’azione di questi agenti – ai quali si aggiunsero in seguito le «catene migratorie» – che permise l’espansione dell’emigrazione verso l’Argentina. In Brasile, fu negli anni ‘70 che il governo avviò la promozione dell’immigrazione su vasta scala, la quale – anche se intermittente e contraddittoria –, insieme alle iniziative dei singoli stati, pretendeva di contribuire alla formazione di una piccola e media borghesia tanto al sud dell’Impero come nello stato di São Paulo, ritenendola strumento di modernizzazione della campagna. Questa tendenza fu poi rimpiazzata, fin dal 1888, dalla politica di sostituzione degli schiavi sostenuta principalmente dalla Sociedade Promotora de Imigração di São Paulo – nata nel 1884 per iniziativa dei fazendeiros e in concomitanza con la legge provinciale sull’immigrazione di quell’anno –, che cercava di dotare la produzione di caffè di manodopera a basso costo.73

72 A. MARTELLINI, op. cit., pp. 188-194. Sull’esperienza migratoria a Sunny Side, vd. Ivi., pp. 192-197. 73 Cfr. E. FRANZINA, op. cit., pp. 65-71; C. VANGELISTA, L’emigrazione femminile in Brasile, in Gli emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana in America Latina: il caso modenese, cit., p. 163. Negli anni ‘80 anche in Brasile erano presenti le «catene migratorie», seppur di piccole dimensioni, nelle quali, come per l’Argentina, importante fu il ruolo che svolsero i previous migrants. Questi, tornati in Italia dal soggiorno oltreoceanico, ripartivano per il

42 Nel periodo fra il 1882 e il 1901, centinaia di migliaia d’italiani arrivarono in Sudamerica: in Argentina il numero d’immigrati dalla penisola raggiunse i 957.386, con un apice di 283.448 nel periodo 1887-1891, secondo le cifre argentine, mentre in Brasile gli immigrati italiani totalizzarono 1.030.988, con un vertice massimo di 344.235 immigranti anche nel lustro 1887-1891, secondo la statistica brasiliana.74 Secondo i dati del Commissariato Generale per l’Emigrazione – che mostra numeri inferiori alle cifre sudamericane – nel periodo 1887-1900 arrivarono in Argentina 589.129 italiani, con un apice nel 1889, quando entrarono nel paese sudamericano 69.008 emigranti, mentre soltanto nel 1887, 1896 e 1901 si superarono i cinquantamila entrati. Nello stesso periodo, in Brasile emigrarono 742.585 italiani, il cui apice fu il 1891 con 108.414 emigranti, mentre nel 1888 e 1895 le cifre arrivarono ai quasi centomila. In Brasile però le variazioni delle cifre da un anno all’altro furono piuttosto oscillanti e comunque dopo il 1901 le cifre non raggiunsero mai più i livelli degli anni ’90. Nell’Argentina l’immigrazione italiana fu molto meno oscillante durante gli ultimi vent’anni del XIX secolo e fu ancora piuttosto importante nel secolo XX fino al 1914, raggiungendo persino più di centomila arrivi annui nel 1906, 1901 e 1913. Per farsi un’idea della consistenza dell’emigrazione verso l’America del Sud fra il 1887 e il 1900, basta mettere in confronto queste cifre con quelle della Francia, il paese europeo con maggiore immigrazione italiana, dove espatriarono 375.138 persone, e con quelle degli Stati Uniti, dove si diressero 657.884.75

Sudamerica portando con sé amici o parenti, viaggiando con le stesse agenzie e talvolta anche senza il sussidio del biglietto concesso dai governi sudamericani, vale a dire come migranti «espontanei». Vd. E. FRANZINA, op. cit., p. 75. 74 Franzina mette al confronto queste cifre con quelle della Direzione Generale della Statistica italiana, che sono sempre inferiori. Nel caso argentino le variazioni oscillano fra -13,1% e -25,4% nel secondo quinquennio, con -16,2% nel complessivo del periodo 1882-1901. Per il Brasile, le differenze variano fra -3,1% e -42,3%, mentre che per tutto il periodo la differenza è di 15,5%. L’unica differenza sostanziale, almeno per l’analisi delle tendenze migratorie, riguarda il periodo di maggiore emigrazione per il Brasile: secondo le cifre italiane, sarebbe stato il quinquennio 1891-1896, con 298.155 individui, invece dei 342.322 immigrati nelle cifre brasiliane, di poco inferiore a quelle del quinquennio precedente. Vd. Ivi., p. 197. Diversi fattori determinarono queste variazioni, ma probabilmente il principale fu che le statistiche italiane si elaborarono in base al numero di passaporti rilasciati – e prima dai «nulla osta» – e non dalle partenze effettive, che inoltre avvennero da diversi porti europei e anche americani. Un esempio lo offre il messaggio del presidente argentino José Evaristo Uriburu all’apertura del Congresso nel 1898, che dettaglia le statistiche argentine sull’emigrazione dell’anno precedente: su un totale di 105.143 immigrati arrivati nel paese, 44.678 erano italiani, ma solo 28.743 s’imbarcarono dall'Italia. Vd. Mensaje del Presidente de la República al Honorable Congreso de la Nación al abrir sus sesiones, Buenos Aires, maggio 1898, ASD-MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1896-1898. Partendo dal presupposto che anche le statistiche sudamericane hanno i propri problemi, si può dire però che siano più indicative degli arrivi effettivi in Argentina e Brasile. 75 CGE, Annuario Statistico dell’Emigrazione italiana dal 1876 al 1925, cit., p. 86-88.

43 La grandezza dell’emigrazione italiana in Argentina e Brasile ebbe come causa diretta il fatto che gli italiani trovavano maggiori opportunità di lavoro in Sudamerica che altrove. Il documento Indagini sulla nostra emigrazione all’estero, del 1889, segnalava l’Argentina, il Brasile e l’Uruguay, insieme agli Stati Uniti, come i migliori paesi per emigrare, specie per la particolare richiesta di agricoltori. Di fatto, il numero più considerevole di agricoltori italiani si trovava nelle provincie di Santa Fe, Buenos Aires, São Paulo, Rio Grande do Sul e nello stato della California, molti dei quali, soprattutto in Sudamerica, diventarono agricoltori sotto il sistema mezzadrile. Anche nelle grandi città sudamericane, come Buenos Aires, Montevideo e Rio de Janeiro – e successivamente São Paulo – i lavoratori manuali e i commercianti italiani trovarono delle «nicchie occupazionali» per svolgere le loro attività. A causa del precario sviluppo industriale, le città latinoamericane erano aperte al lavoro tecnico e specializzato, il che permise a molti artigiani di trasformare le loro botteghe in piccole fabbriche, specie nella produzione tessile e d’indumenti, mentre alcuni investitori della penisola si avviarono all’attività industriale. Nonostante il dominio del capitale locale nelle industrie nazionali e nel settore produttivo – capitale dovuto principalmente a quello finanziario inglese –, alcuni industriali e la maggior parte dei piccoli impresari dell’Argentina e del Brasile erano italiani. D’altra parte, i salari in Argentina e Uruguay erano il doppio di quelli in Italia e anche se in Brasile, la differenza con i salari italiani era minore, risultavano tuttavia più alti. Il costo del «vitto operaio» era minore, ma l’alloggio invece era più costoso e per questa ragione molti lavoratori manuali solevano pernottare in «grandi camerate», in modo da poter risparmiare del denaro. Infatti, già nel 1889 le Indagini segnalavano «alcune fortune» spedite in Italia. In ogni caso, gli italiani costituirono la componente più grande dell’emergente classe operaia industriale argentina e brasiliana e inoltre, a Buenos Aires si creò una sorta di «enclave economico etnica», dove capitale e lavoro avevano origini peninsulari.76

76 Cfr. SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA, op. cit, pp. 9-11; D. GABACCIA, op. cit., pp. 78-79. Durante i primi anni del XX secolo, la crisi dei settori esportatori argentino e brasiliano originò importanti migrazioni interne dalle campagne alle grandi città, che inclusero molti italiani, provocando l’inurbamento della manodopera. Vd. C. VANGELISTA, L’immigrazione italiana in America Latina: 1800-1960, in M. SAIJA (a cura di), L’emigrazione italiana transoceanica tra Otto e Novecento e la storia delle comunità derivate, Messina, Edizioni Trisform, 2003, p. 378. Sui rapporti del capitale inglese con la struttura economica dei paesi latinoamericani durante il periodo 1880-194, vd. M. CARMAGNANI, Estado y sociedad en América Latina, 1850-1930, Barcellona, Ed. Crítica, 1984, pp. 98-121.

44 La preferenza degli italiani per l’Argentina come meta transoceanica fu dominante durante quasi tutto il XIX secolo. Fino al 1889, gli emigrati dalla penisola preferivano il paese sudamericano agli Stati Uniti, e solo episodicamente – negli anni 1888, 1891 e 1895 – la predilezione per il Brasile superò quella per l’Argentina. Nel periodo che va dal 1853 al 1876, gli italiani avevano già un’importante presenza nella repubblica platense, e costituivano il 70% circa dell’immigrazione totale. Fra il 1857 e il 1860, tremila italiani all’anno arrivavano in Argentina e nel 1870 la cifra fu di 23 mila. Nel 1871, 500 mila italiani abitavano all’estero, la maggior parte dei quali in Sudamerica con una chiara prevalenza nelle città del Rio de la Plata. Ad aprire questo tragitto furono i genovesi, che già dalla caduta dell’Impero spagnolo si erano inseriti nelle reti commerciali transoceaniche. Il flusso migratorio ligure – evidenziato dal censimento argentino del 1855 – s’insediò prevalentemente nel quartiere La Boca, ma anche a San Telmo. Tuttavia, gli italiani abitanti a Buenos Aires non si riunirono in specifici quartieri o in particolari «zone etniche».77 Nel 1872, la Legazione italiana a Buenos Aires informò il Ministero degli Affari Esteri che dal censimento degli italiani in Argentina, realizzato grazie alla collaborazione della «parte colta della colonia», si stimava che nella sola capitale ci fossero 60 mila italiani circa.78 Dal 1876 in poi, l’immigrazione italiana in Argentina divenne massiccia, ed ebbe i sui punti più alti nel 1906, nel 1913 e nel 1910, mentre nel XIX secolo il picco fu nel biennio 1887-1888. Per l’Argentina partirono soprattutto contadini, ma sicuramente non i più poveri poiché occorreva un investimento iniziale per il viaggio. Insieme a loro, giornalieri e braccianti furono le categorie più numerose ad arrivare al Plata, seguiti da

77 Cfr. ALICIA BERNASCONI, Imigrantes italianos na Argentina (1880-1930): uma aproximação, in B. FAUSTO (org.), Fazer a America. A imigração em Massa para a América Latina, cit., pp. 61-71; D. GABACCIA, op. cit., pp. 43-49; C. VANGELISTA, op. cit., pp. 371. Secondo il ministro d’Italia in Argentina, nel 1870 un complessivo di circa 150 mila italiani vivevano e Buenos Aires, Montevideo e nel Paraguay. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 14 luglio 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248 Argentina 1867-1873. Nello stesso rapporto, il ministro presentò un’analisi «sociologica» degli italiani nell’Argentina. 78 La comunicazione della Legazione segnalava, inoltre, che seppur alcuni italiani di Buenos Aires si fossero rifiutati di partecipare al censimento, questo si stava realizzando comunque nel resto del paese, intanto il governo argentino si era rifiutato di collaborarvi e persino proibì la raccolta dei dati. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 14 marzo 1872, in cui si allegano le comunicazioni fra la Legazione e il governo argentino al riguardo, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248 Argentina 1867-1873.

45 muratori, calzolai, commercianti, falegnami e marinai. La città di Buenos Aires offriva buone possibilità di lavoro per chi avesse una professione, mentre i braccianti ne trovavano delle migliori solo in campagna, giacché in città i guadagni per loro erano esigui. Nel 1895 gli italiani nella capitale argentina erano 181.693, vale a dire il 27% della popolazione della città e il 37% del totale d’italiani in Argentina, mentre nel resto della provincia di Buenos Aires erano circa 140 mila e nella provincia di Santa Fe, zona di colonizzazione agricola e produzione di cereali, erano 109.634, più numerosi dei nativi.79 Se fra il 1840 e il 1875 l’immigrazione italiana in Argentina fu costituita prevalentemente da liguri nei lavori marittimi, da coloni del nord d’Italia e da un piccolo ma importante gruppo di esuli repubblicani, dal 1876 fino al 1895, gli immigrati provenienti dall’area nord-occidentale della penisola – Piemonte, Liguria e Lombardia – predominarono fra gli italiani, costituendo il 47,2% del totale, essendo anche la componente veneta considerevole. In questo periodo l’immigrazione fu principalmente contadina, familiare e permanente. Successivamente, in concomitanza con la predominanza di emigranti meridionali, l’immigrazione diventò maggiormente bracciantile e artigianale e di maschi soli. Fra i nordoccidentali, che tesero a impiegarsi nel lavoro stagionale, l’emigrazione ligure andò estinguendosi lentamente, mentre quella lombarda e piemontese si mantenne almeno fino allo scoppio della Grande Guerra. Altre regioni, come l’Emilia e la Romagna, non si sentirono particolarmente attratte dall’Argentina.80 Per un breve periodo, che coincise con quello della più alta immigrazione italiana del XIX secolo in Argentina, gli emigranti ebbero dei benefici per insediarsi come coloni. Nel novembre 1887 il parlamento argentino approvò una legge sull’immigrazione che

79 A. BERNASCONI, op. cit., pp. 67-85. Già nel 1888 il governo italiano vide l’opportunità di sfruttare la forte presenza italiana in Argentina a beneficio dei rapporti commerciali con il paese sudamericano, i quali erano piuttosto deboli fino ad allora. Durante il 1886, mentre il 66% degli immigranti erano italiani, gli scambi commerciali fra i due paesi costituì solo il 5,5% del commercio internazionale argentino. Cosa simile successe in Uruguay, dove il 45% degli arrivati avevano origine peninsulare ma il commercio con l’Italia rappresentò solo il 7% degli scambi uruguaiani. Vd. la circolare n. 41 del MAE ai consolati e legazioni americane [bozza], agosto 1888, ASD-MAE, Gabinetto Crispi (1870- 1891), Carteggio b. 4, fasc. 3, s/fasc. c, Italiani all’estero 1890. 80 Cfr. A. BERNASCONI, op. cit., p. 64; F. DEVOTO, Participación y conflictos en las sociedades italianas de socorros mutuos”, in F. DEVOTO e G. ROSOLI (eds.), La inmigración italiana en la Argentina, Buenos Aires, Editorial Biblos, 2000, pp. 146-148. Particolarmente importante fu la migrazione dal Piemonte: fra il 1867 e il 1878, il 58% degli emigrati piemontesi scelse l’Argentina come destinazione e negli anni ’80 costituivano il 16% degli italiani nel paese. Vd. P. AUDENINO E P. CORTI, Un percorso di bibliografia regionale: il caso Piemonte, in M. SAIJA (a cura di), op. cit., p. 187.

46 sussidiava i viaggi per i coloni, concedeva loro l’abitazione, animali da lavoro e razza, utensili e sementi fino al primo raccolto e infine l’esenzione dalle tasse per dieci anni. Nel 1890 però, con la crisi dell’economia Argentina, si abbandonò l’elargizione del sussidio per i biglietti.81 Al suo arrivo a Buenos Aires, l’immigrato passava cinque giorni nell’ospizio degli immigrati e, se non aveva una destinazione prestabilita, era indirizzato a svolgere qualche lavoro. Quelli che arrivarono come agricoltori s’insediavano nelle colonie del governo, delle provincie o di privati, con un contratto d’affitto oppure di tipo mezzadrile e ricevevano una chacra – terreno coltivabile fra 25 e 100 ettari – e l’anticipo di strumenti e capitali, che dovevano rimborsare a partire del secondo anno. Anche se i maggiori interessi agricoli italiani si trovavano nelle provincie di Buenos Aires e di Santa Fe, in altre provincie la presenza degli agricoltori italiani fu ugualmente importante.82 L’immigrazione e il ruolo produttivo che essa doveva svolgere nell’economia argentina costituì uno dei maggiori interessi del governo sudamericano all’epoca. Già nei primi anni ‘80, il presidente Julio Roca sosteneva la necessità di un intervento dello Stato per fomentare l’immigrazione, sia attraverso fondi per i viaggi degli immigrati sia con la creazione di nuove colonie governative. L’immigrazione, di fatto, aumentava leggermente di anno in anno, ma tuttavia era ritenuta ancora insufficiente dal presidente.83 Anche nel 1903, nel suo secondo periodo come presidente della repubblica, Roca manifestò la sua preoccupazione riguardo alla diminuzione del flusso migratorio verso l’Argentina, seppur si mostrasse fiducioso in un’eventuale ripresa dato il miglioramento delle condizioni economiche del paese.84 Nonostante quest’interesse, nel febbraio 1887 l’autorità diplomatica italiana si lamentava della deficienza del paese d’accoglienza nel trovare posti di lavoro per gli arrivati, mentre il governo argentino si era limitato ad assicurare la costruzione di un nuovo asilo per gli immigrati. L’immigrazione italiana, infatti, più di una volta diventò un vero problema per le autorità argentine. Nel 1886, dal quartiere «italiano» de La Boca si diffuse un’epidemia di colera nella capitale argentina e nella città di Rosario, il che portò alla dichiarazione di quarantena. Per evitare il contagio

81 Cfr. P. BEVILACQUA, op. cit., p. 108; A. BERNASCONI, op. cit., p. 62. 82 SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA, op. cit., p. 13. 83 Nel 1884, nonostante l’epidemia di colera in Europa e la chiusura dei porti agli infetti, l’immigrazione continuò la sua tendenza all’aumento. Vd. i messaggi presidenziali di Julio Roca all’apertura del Congresso fra gli anni 1882 e 1885, comunicati al MAE dal ministro d’Italia in Argentina, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250, Argentina 1881-1887. 84 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires inviato al MAE , 11 maggio 1903, ASD-MAE, Serie Politica P, Pos. 58 Argentina, b. 323, fasc. Rapporti politici 1902-1905.

47 massivo, le autorità delle provincie chiusero alcuni porti e altri canali di trasporto e comunicazione, costringendo molti immigrati che volevano arrivare a Santa Fe, a rimanere bloccati a Buenos Aires. L’anomala situazione portò con sé anche abusi e conflitti ma, nonostante tutto, l’immigrazione continuava ad aumentare. La stampa denunciò le compagnie di navigazione che continuavano a portare immigrati incessantemente, anche se queste erano al corrente delle condizioni igieniche e sanitarie dell’Argentina, mentre il governo argentino, ormai consapevole delle deficienze del paese in materia di igiene e sanità pubblica, propose di discutere un progetto di codice sanitario.85 Nonostante le molte difficoltà che gli immigrati italiani affrontarono dalla partenza all’arrivo nel Plata, fu solo nel 1895 che il console italiano in Argentina dispose alcune misure di tipo «informativo». Nel maggio di quell’anno, chiese al ministro degli Affari Esteri argentino di pubblicizzare l’articolo 17 della legge italiana sull’emigrazione consentendo l’affissione di alcune copie nell’Hotel de Inmigrantes di Buenos Aires. L’articolo si riferiva ai diritti dell’emigrato nei confronti di chi lo contrattava e chiariva che il consolato era il canale ufficiale all’estero per fare dei reclami.86 L’Hotel sembrava essere il luogo più adeguato per questo tipo di pubblicità, poiché molti immigrati si fermavano lì, avendo il diritto – sancito per legge – di rimanervi per cinque giorni, oltre a un viaggio gratuito in treno fino al punto di destinazione. Nonostante ciò, soltanto una minoranza approfittò di questi benefici e più della metà dei migranti italiani preferì utilizzare i propri contatti per evitare l’ospizio bonaerense, le cui insufficienti condizioni erano conosciute. Nonostante lo stesso direttore d’immigrazione avesse riconosciuto la precarietà delle installazioni già nel 1890, l’Hotel fu risanato solo nel 1910.87 Fra il 1876 e il 1914 quasi la metà degli italiani lasciò l’Argentina, ma l’alto tasso dei rimpatri sembra non essere stato un risultato diretto delle difficoltà in terra

85 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires inviate al MAE, 17 novembre 1886, 1 e 14 febbraio 1887, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250, Argentina 1881- 1887. 86 In ogni caso, il procedimento per dare corso al reclamo era piuttosto burocratico. Ricevuto questo, il console faceva un’inchiesta che successivamente era inviata al Ministero dell’Interno, che la trasmetteva alla commissione provinciale, la quale infine l’analizzava ed eventualmente poteva fare causa davanti all’autorità giudiziaria. Vd. la comunicazione dal ministro d’Italia a Buenos Aires al Ministro degli Affari Esteri argentino, 7 maggio 1895, Archivo Histórico de la Cancillería Argentina, Asuntos Polìticos (1861-1920), caja 586, fasc. 25. 87 A. BERNASCONI, op. cit., p. 78.

48 sudamericana. Sebbene per molte autorità argentine i ritorni in Italia rappresentassero un fallimento della politica immigratoria, per gli italiani invece furono sinonimo di successo, poiché i legami con la terra d’origine avevano sempre avuto la priorità per loro. Manifestazioni di ciò furono i ritorni periodici, l’invio di rimesse e i matrimoni fra compaesani. Alicia Bernasconi suggerisce, però, che probabilmente questi ritorni fossero ciclici, il che permetterebbe di parlare anche di una «circolarità» dell’emigrazione. Purtroppo, nei registri del porto di Buenos Aires la categoria «residente antiguo» appare solo dal XX secolo, ma può essere indicativo il fatto che già nel 1910 si segnalassero come tali 16 mila immigrati italiani su un totale di quasi 95 mila. E’ probabile inoltre, che il fenomeno dei rimpatri si colleghi anche alla «migración golondrina», che probabilmente si prolungò oltre la stagione di raccolta fino a raggiungere due, tre o addirittura più anni. Quello che è indubbio, invece, è il legame dei rimpatri con le «catene migratorie» che, seppur molteplici e di natura diversa, mantenevano il rapporto con il paese d’origine, da un lato e offrivano una struttura sociale di appoggio all’immigrato, dall’altro. Talvolta in queste reti intervennero anche agenti di viaggi, banche e leader delle «colonie italiane», i quali trasformarono queste reti in comunità funzionali ai meccanismi locali di sfruttamento e controllo.88 In Brasile, il processo migratorio italiano ebbe caratteristiche in parte diverse. Nel censimento brasiliano del 1872, si contabilizzarono soltanto 6 mila italiani in tutto il territorio imperiale. Fin dagli anni ‘50 si erano avviate timide iniziative migratorie e verso il 1861 esistevano in Brasile solo 33 colonie agricole – con circa 33 mila stranieri – mentre nel 1875 il numero di colonie era aumentato a 89, di cui 66 negli stati del sud del paese. Questo scarso successo ebbe la sua origine in una politica migratoria che non fu unitaria, almeno fino il 1880. Ciò nonostante, verso i primi anni ‘80 il Brasile contava circa 455 mila immigrati europei – prevalentemente tedeschi e originari del nord d’Europa – insediati soprattutto negli stati di Rio Grande do Sul e di Santa Caterina, che rappresentavano però solo il 6% della popolazione totale del paese.89 Il numero d’italiani in Brasile, che verso il 1882 si stimava in 82 mila – mentre in Argentina il numero arrivava ai 254 mila nello stesso anno – vide una frenetica ascesa a 88 Ivi., pp. 75-88. 89 Cfr. Z. M. F. ALVIM, O Brasil italiano (1880-1920), in B. FAUSTO (org.), Fazer a America. A imigração em Massa para a América Latina, cit., p. 384; R. COSTA e L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., p. 399; H. S. KLEIN, op. cit., p. 22. Verso il 1880 il numero d’immigrati europei in Argentina era simile a quello del Brasile (440 mila), ma siccome la popolazione totale della repubblica platense era molto inferiore, l’impatto dell’immigrazione nella crescita della popolazione fu molto più importante. Vd. Ibid.

49 partire dal 1887. Fra quell’anno e il 1902, secondo le statistiche brasiliane, entrarono nel paese quasi 950 mila italiani, mentre fra il 1836 e il 1886 la cifra non aveva superato le 150 mila persone. Una particolarità di questo flusso migratorio fu la sua accentuata variabilità di anno in anno, marcando i punti massimi nel 1888 con 104 mila immigrati italiani, nel 1891 con 116.561, e infine nel 1895 con 116.223 arrivi. La percentuale d’italiani nel computo finale degli immigrati ebbe anche un aumento notevole. Nel periodo fra il 1886 e il 1895, su più di 480 immigrati entrati nel solo stato di São Paulo, 353 mila erano italiani, vale a dire il 73%. Nel decennio 1891-1900, sul totale di 1,15 milioni d’immigrati nel Brasile – più del doppio del decennio precedente – il 40% era italiano. Anche se se si tratta di una percentuale assai più bassa di quelle raggiunte nello stato paulista, conferma tuttavia, la predominanza dell’immigrazione italiana rispetto alle altre. Complessivamente, fra il 1887 e il 1900 arrivarono nello stato di São Paulo 564 mila italiani, cioè il 62,1% del totale degli immigrati.90 Già nel 1887, il ministro italiano a Petrópolis comunicava al MAE che l’immigrazione italiana era diventata talmente significativa, da costituire il doppio di quella portoghese.91 Con l’avvio della migrazione di massa, la maggior parte degli italiani arrivati in Brasile si diresse nello stato di São Paulo. Nel 1886, dopo un viaggio nella provincia paulista, l’imperatore brasiliano si congratulava con il console italiano, manifestando grande soddisfazione per il progresso del territorio, dovuto in gran parte agli italiani che allora già si contavano in numero di 50 mila.92 Fra il 1882 e il 1901, l’apporto italiano nello stato di São Paolo fu di 774 mila persone, equivalenti al 70% di tutti gli immigrati. Nel quinquennio 1892-1897, quello con la maggiore quantità d’italiani entrati in Brasile, la regione paulista ricevette più di 290 mila italiani, secondo le cifre brasiliane, cioè il 67% degli immigrati, mentre nel primo quinquennio della grande immigrazione, 1887- 1891, i 232 mila italiani entrati nello stato costituirono il 77,7%. Le cifre riguardanti lo stato di Rio Grande do Sul, anche se mostrano numeri assai inferiori, danno prova di una

90 Cfr. A. TRENTO, Miseria e speranze: l’emigrazione italiana in Brasile: 1887-1902, in J. L. DEL ROIO (a cura di), Lavoratori in Brasile. Immigrazione e industrializzazione nello stato di São Paulo, Milano, Franco Angeli, 1981, pp. 9-10; C. VANGELISTA, L’emigrazione femminile in Brasile, cit., p. 164; Z. M. F. ALVIM, op. cit., p. 395; T. R. DE LUCA, As sociedades de socorros mútuos italianas em São Paulo, in L. A. DE BONI (org.), A presença italiana no Brasil, Vol. II, Porto Alegre, Torino, Escola Superior de Teologia, Fondazione Giovanni Agnelli, 1990, p. 385-386. 91 Rapporto della Legazione d’Italia a Petrópolis inviato al MAE, 7 marzo 1887, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888. 92 Rapporto della Legazione d’Italia a Rio de Janeiro inviato al MAE, 23 novembre 1886, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888.

50 presenza italiana altrettanto rilevante. Fra il 1882 e il 1901, 72.577 italiani s’insediarono nei territori dello stato, costituendo il 74,6% degli immigrati e, seppur nel quinquennio 1887-1891 – quello con maggiori arrivi – i 28 mila italiani costituirono il 47% degli immigrati, nel quinquennio immediatamente antecedente alla grande emigrazione i 18.237 immigrati rappresentarono l’84,6%. Di fatto, dal 1875 al 1894 si affermò il modello della colonizzazione agricola negli stati del Sud – oltre Rio Grande do Sul, anche Santa Catarina e Paraná – grazie soprattutto a emigranti veneti, trentini e lombardi. A causa dell’isolamento e della persistenza dell’agricoltura di sussistenza in queste colonie, gli avventizi riuscirono a riprodurre la propria società patriarcale tradizionale. In altri stati il numero d’italiani fu molto ridotto, ma non per questo sotto valutabile. Nel 1910, sui 38 mila abitanti della città di Juiz de Fora, nello stato di Minas Gerais, 18 mila erano italiani, mentre nello stesso stato, a Ouro Fino, gli italiani erano 8.800 sui 15 mila. Grazie all’impulso dato all’immigrazione dal governo provinciale fin dagli anni ’80, nel periodo 1894-1897, sui 70 mila immigrati arrivati nel territorio, il 92% erano italiani. In ogni caso, la trasformazione demografica più notevole la vide la città di São Paulo, che dal 1872 al 1900, grazie ai flussi migratori, subì un aumento della popolazione dai 31 mila abitanti ai 239 mila.93 I primi dati disponibili riguardo ai rimpatri degli italiani dal Brasile si datano all’inizio del XX secolo, purtroppo un’epoca in cui il processo migratorio dalla penisola si era ribaltato tant'è che il numero di uscite era maggiore di quello d’entrate. Ad esempio, il documento Colonização e migração no Estado de S. Paulo 1827-1907 – riferito da Lucy Mattei Hutter – segnalava che nel 1907 il totale degli italiani arrivati nello stato di São Paulo fu di 31.681, mentre quelli che abbandonarono il paese furono 36.260, creando un flusso migratorio negativo. Allo stesso tempo, i dati della polizia del porto di Santos segnalavano che nello stesso anno, 13.376 italiani arrivarono al porto paulista – con più di 3.500 dal Rio de la Plata – e 22.292 uscirono dallo stesso porto – 5.111 diretti in Argentina e in Uruguay –, tendenza che si mantenne negli anni successivi.94 Come per il

93 Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 197; A. TRENTO, Introduzione a R. COSTA E L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., p. XIII; T. R. DE LUCA, op. cit., p. 383; Z. M. F. ALVIM, Italiani dimenticati, in La Riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacati nell’emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, cit., pp. 434-435. 94 L. M. HUTTER, Entrada e saída de imigrantes italianos em São Paulo em princípios do século XX: análise de dados estadísticos, in L. A. DE BONI (org.), A presença italiana no Brasil, Vol. II, cit., pp. 293-308. Secondo i dati del Ministero della Marina Italiana, nel 1907, 20.271 italiani lasciarono il Brasile per tornare nella penisola. Inoltre, questi dati indicavano che gli italiani che tornarono in Italia dal Brasile furono: 21.224 nel 1901, 29.701 nel 1902, 29.740 nel 1903, 16.667 nel 1904, e infine 15.573 nel 1905. Nel 1906 furono 52.230 i rientri da tutto l’Atlantico Sud. Vd. Ivi., p. 314. Hutter compara i dati raccolti ed elaborati da diverse istituzioni, soprattutto brasiliane, dimostrando che essi non coincidevano poiché ogni istituzione

51 caso argentino, le tendenze al rimpatrio del XX secolo non consentono di fare inferenze per gli ultimi decenni del secolo precedente, tuttavia permettono di dedurre che il fenomeno non fu per niente secondario nella dinamica delle migrazioni italiane nei paesi sudamericani.95 Quello che è chiaro, è che l’immigrazione italiana nel Brasile si caratterizzò per essere familiare. Fino al 1890 circa, sia nel sud del paese, sia nello stato di São Paulo, questa migrazione riguardò prevalentemente grandi famiglie – con più di dieci membri – che s’inserivano nelle colonie agricole come mezzadre o piccole proprietarie. Dopo il 1890 cominciarono ad arrivare soprattutto famiglie più piccole, in concomitanza con la diffusione del lavoro stagionale e l’arrivo di braccianti celibi. In ogni caso, nel periodo 1902-1907 i nuclei familiari costituirono sempre più del 96% dell’immigrazione sussidiata, e fra il 70% e l’80% di quella «spontanea».96 Fin dal 1870 e fino al 1896, diverse famiglie coloniche partirono anche dall’Emilia alla volta del Brasile – mentre poche furono quelle che si diressero in Argentina. Nota è l’emigrazione attivata dal reclutatore Giacomo Grassi nel 1879, che dalla Bassa reggiana, dal modenese e dalla provincia lombarda di Mantova portò un gran numero di famiglie alla colonia Alessandra, nello stato di Paraná, creando una certa commozione a livello locale che si rispecchiò nella campagna che la stampa della zona avviò contro quest’emigrazione. Negli anni successivi i tassi d’emigrazione si abbassarono, ma dopo le agitazioni agrarie del 1882-1885, l’emigrazione tornò a crescere, includendo ancora gruppi familiari colonici diretti in Sudamerica. Anche dalla Romagna, particolarmente da Rimini, alcune famiglie emigrarono per il Brasile fra il 1892 e il 1896, dirette nello stato di Espírito Santo.97 In termini comparativi, nel periodo 1887-1902 l’Emilia e la Romagna occuparono il settimo posto fra le regioni italiane con maggiore tasso d’emigrazione verso il Brasile, con 113 emigranti ogni 100 mila abitanti, al di sotto di quello italiano di 168,9, anche se nel periodo 1895-1897 il tasso registrato per queste regioni superò quello nazionale. Nei faceva il «registro» in modo diverso. Se a questo fatto si aggiunge l’incommensurabilità delle migrazioni clandestine, difficilmente si può arrivare a una conclusione quantitativamente esatta del fenomeno migratorio. Vd. Ivi., p. 318. 95 Secondo la CGE, nel periodo 1902 -1925 emigrarono in Brasile 254.295 italiani e rientrarono da esso 257.956, mentre per l’Argentina e l’Uruguay i dati parlano di 1.251.910 emigranti e 680.552 rimpatri. Nel caso degli Stati Uniti, emigrarono dalla penisola 3.351.529 persone e rimpatriarono 2.095.496. Vd. CGE, Annuario statistico dell’emigrazione, cit., p. 670. 96 Cfr. Z. M. F. ALVIM, O Brasil italiano (1880-1920), cit., p. 396; C. VANGELISTA, op. cit., p. 162. 97 Cfr. M. FINCARDI, op. cit., pp. 84-87; A, MARTELLINI, op. cit., p. 190.

52 flussi migratori regionali verso il Brasile, dominati in assoluto dai veneti, emiliani e romagnoli occuparono il terzo posto nel 1888, nel 1891 e nel 1897. In quest’ultimo anno, gli emigranti dall’Emilia e dalla Romagna furono 8.613, un 10,6% del totale degli italiani. Nel complessivo degli anni 1887-1902, queste regioni inviarono in Brasile 50.262 emigranti, il 5,8% del totale italiano.98 I grandi flussi d’immigrati italiani ed europei furono favoriti dalla politica migratoria del Brasile, che diventò più regolare dal 1875, che fu attuata dal governo attraverso due modalità: con il finanziamento diretto dell’immigrazione o con contratti con privati. Nel 1874 il governo firmò un contratto per introdurre 100 mila immigrati in dieci anni negli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina e poi Paraná. Dal 1881 il governo pagava la metà dei passaggi degli immigrati europei per il Brasile, e dal 1884 anche la tratta fino alle colonie di destinazione. Durante tutto questo periodo la politica migratoria imperiale promosse un’immigrazione selettiva per favorire la formazione di una piccola e media proprietà, e con questo scopo sorse nel 1883, a Rio de Janeiro, la Sociedade Central de Imigração. Successivamente, ogni stato dell’Impero creò propri servizi d’immigrazione, con agenti in Europa e così nel 1886 si costituì la Sociedade Promotora de Imigração dello stato di São Paulo, patrocinatrice dell’introduzione massiva d’immigrati per le fazendas. I fazendeiros, di fatto, fautori della detta società, rifiutavano l’arrivo di piccoli proprietari e sostenevano invece l’importazione di manodopera fin dagli anni ’50 – epoca della fine del traffico di schiavi –, prospettiva che s’impose alla fine degli anni ’80, dopo l’abolizione della schiavitù. Inoltre, una legge del 1894 che trasferì i servizi d’immigrazione ai singoli stati, fece sì che l’importazione di manodopera fosse monopolizzata dagli Stati più ricchi, capaci di pagare le spese del viaggio degli europei, segnando così praticamente la fine della colonizzazione agricola del sud. I fazendeiros, di fatto, attrassero gli immigrati con contratti per cinque anni e viaggio gratuito, benefici stabiliti per intere famiglie agricoltrici con almeno un membro maschio fra 12 e 45 anni.99

98 A. TRENTO, Miseria e speranze: l’emigrazione italiana in Brasile: 1887-1902, cit., pp. 19- 20. Anche nel lungo termine, e cioè nel periodo 1876-1920, l’Emilia e la Romagna occuparono il settimo posto fra le regioni italiane con maggiore emigrazione in Brasile, con 59.877 emigranti in totale. Il Veneto fu la regione con più emigranti nel Brasile per lo stesso periodo, con un totale di 365.710 persone, il 30% dell’emigrazione italiana nel paese sudamericano. Vd. Z. M. F. ALVIM, op. cit., pp. 386-387. 99 Cfr. A. TRENTO, op. cit., p. 19; ID., Introduzione, cit., pp. XXI-XXIII; M. S. B. BASSANEZI, Nascita, vita e morte nella fazenda. Alcuni aspetti del quotidiano dell’immigrato italiano e dei suoi discendenti, in R. COSTA E L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., pp. 89-90; Z. M. F. ALVIM, op. cit., pp. 384-388. Nel periodo dell’esistenza della Sociedade Promotora de Imigração

53 I problemi per gli immigrati italiani nel Brasile, come nel caso argentino, non mancarono. Nel 1888 il ministro d’Italia a Rio de Janeiro inviò un telegramma al Ministero degli Affari Esteri italiano chiedendo d’impedire le agglomerazioni a bordo delle navi, a causa della mortalità che producevano. L’anno precedente si comunicava che 278 italiani erano stati trattenuti al lazzaretto dell’Ilha Grande, a causa delle quarantene decretate per l’epidemia di colera e che dopo furono condotti a Santos per raggiungere São Paulo. A Santos, però, le piogge interruppero la partenza dei treni, dopodiché gli immigrati rimasero alle intemperie per qualche ora e solo dopo l’intervento del vice- console furono provvisti di vitto e alloggio e in seguito inviati a destinazione. Lo stesso rapporto diplomatico faceva notare i continui maltrattamenti patiti dagli immigrati nel Brasile, argomento che veniva affrontato spesso dalla stampa italiana e da quella d’opposizione.100 Nel 1889 un’ordinanza del ministro Crispi sospese l’espatrio verso il Brasile per un periodo di due anni e, l’anno dopo, la nuova repubblica sudamericana approvava la cosiddetta «legge Glycério» per la tutela degli immigrati. Nonostante ciò, il reclutamento monopolizzato dai privati, che usavano anche l’inganno per assicurarsi alti numeri, rese poco efficace la legge. L’immigrazione italiana ebbe un calo importante nel biennio 1889-1890, ma l’anno dopo raggiunse una cifra record, grazie anche alla crisi economica della vicina Argentina.101 La politica migratoria brasiliana di carattere nazionale, intanto, dava segni del suo tramonto. Nel 1893, il governo federale firmò un contratto con la Compagnia Metropolitana per l’introduzione di solo 50 mila immigrati – più di 30 mila in meno in relazione all’anno precedente – a causa della mancanza di fondi, mentre tre stati del nord del paese dovettero costituire le proprie commissioni per promuovere l’immigrazione. L’anno dopo, il presidente dello stato di Espírito Santo, consapevole della necessità dell’immigrazione nella regione, si lamentava delle poche risorse federali che raccoglieva lo stato, poiché erano pochi gli immigrati che da Rio de Janeiro raggiungevano questo di São Paulo, cioè fra il 1886 e il 1895, su un totale di 480.896 immigrati arrivati in Brasile, 220 mila lo fecero grazie alla società paulista. Vd. Ivi., pp. 395. 100 Vd. telegramma dal ministro d’Italia a Rio de Janeiro al MAE, 28 aprile 1888, ASD- MAE, Gabinetto Crispi (1870-1891), Carteggio, b. 4, fasc. 3, s/fasc. D Colonie italiane all’estero; il rapporto della Legazione d’Italia a Petrópolis diretto al MAE, 19 gennaio 1887, in cui si allega anche la nota del ministro italiano al governo brasiliano sui maltrattamenti subiti dagli italiani nel porto di Santos, con la quale chiedeva un’inchiesta al riguardo, in ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888. 101 A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., pp. 12-13.

54 territorio, ma si sperava ancora di trovare un modo per ricevere più mezzi dal governo federale.102 Le tensioni fra i governi del Brasile e dell’Italia rispetto al tema della migrazione italiana divenne un problema nei primi anni del XX secolo. Nel contesto di una campagna giornalistica contro l’espatrio verso il Brasile e in concomitanza con la creazione del Commissariato Generale per l’Emigrazione, il governo della penisola approvò il cosiddetto decreto Prinetti, con il quale si sospese la licenza ad alcune compagnie che reclutavano emigranti con viaggio gratuito per il Brasile e permise l’espatrio solo agli italiani che fossero «chiamati» dai parenti e che pagassero il viaggio da sé. L’emigrazione dall’Italia per il paese sudamericano subì un drastico calo, sia come risultato di ragioni di tipo economico e in particolare a causa della crisi di sovrapproduzione del caffè avviata all’inizio del secolo, sia a causa del provvedimento del governo stessi. Infatti, il decreto non impedì l’emigrazione «spontanea» né l’arruolamento con viaggio a proprie spese. Parallelamente, i fazendeiros chiesero ai loro coloni di inviare «atti di chiamata» ai parenti e agli amici in Italia per attrarre più manodopera, con la promessa del rimborso del viaggio una volta arrivati in Brasile, ma le notizie sugli abusi e sulla crisi che arrivavano in Italia dal paese sudamericano ostacolarono il successo dell’iniziativa.103 Nei primi anni dei grandi flussi migratori italiani in Brasile, gli immigrati appena arrivati potevano trascorrere fino a otto giorni negli ospizi di Rio de Janeiro o di São Paulo finché trovavano un lavoro e poi erano condotti gratuitamente a destinazione. In particolare, nello stato di São Paulo, potevano lavorare per conto proprio, cioè come proprietari, oppure insediarsi nelle colonie create dal governo o in quelle private, sempre con la speranza di diventare proprietari. Chi non aveva abbastanza risorse economiche s’impiegava nelle fazendas, dove però gli abusi dei padroni facevano del «principio di mezzadria una vera illusione».104

102 Vd. il rapporto sul messaggio del vice-presidente della Repubblica del Brasile al Congresso inviato al MAE, 5 maggio 1893, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 280, fasc. Rapporti politici 1893; e la copia del messaggio del presidente dello stato di Espírito Santo al congresso statale, 1894, ASD- MAE, Serie Politica P (1891- 1916), Pos. 35 Brasile, b. 281, fasc. Rapporti politici 1894-1895. 103 Cfr. A. TRENTO, op. cit., p. 13; ID., Introduzione, cit., p. XXXII; M. R. OSTUNI, Note per la storia dell’emigrazione italiana in Brasile: le fonti archivistiche, in J. L. DEL ROIO (a cura di), op. cit., pp. 61-76. Ostuni segnala che il decreto Prinetti, in realtà non fu firmato dal ministro degli Affari Esteri, Giulio Prinetti, ma dal commissario generale dell’emigrazione, Luigi Bodio. Vd. Ivi., p. 61. 104 SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA, op. cit., p. 14.

55 Le fazendas, indirizzate alla produzione del caffè, furono la forma produttiva prevalente nello stato di São Paolo, per cui anche il commercio migratorio per il Brasile, dopo l’abolizione della schiavitù, si collegò direttamente con gli interessi dei fazendeiros. Il sussidio del viaggio, che secondo la legge spettava solo a contadini europei, si estese anche ad altre categorie di lavoratori, grazie all’«elasticità» con cui gli agenti reclutatori interpretarono la normativa. La gratuità del viaggio e quest’arbitrarietà degli agenti fecero sì che nelle fazendas arrivassero gli italiani più poveri, i quali, sia durante il viaggio verso il Brasile, sia durante quello dal porto di Santos fino a São Paulo e da lì alle fazendas, spesso subirono le peggiori condizioni. Infine, all’Hospedaria dos Imigrantes, nella capitale paulista, l’incontro degli immigrati con i fazendeiros faceva rivivere i mercati di schiavi.105 Grazie allo sfruttamento della manodopera «libera», fondamentalmente attraverso le arbitrarietà che permetteva il sistema del «cottimo», la produzione del caffè crebbe dai 200 milioni di piante nei primi anni degli ‘90 ai 700 milioni nel 1905, momento nel quale la sovrapproduzione provocò una crisi vera e propria. L’immigrazione nel Brasile, di fatto, dipese fortemente del costo del caffè: quando il prezzo era alto, l’immigrazione aveva una tendenza all’aumento. Già verso il 1898 i segni di sovrapproduzione, causata dal massiccio afflusso di manodopera negli anni precedenti, fece cadere il valore del caffè, il che causò anche un calo nel numero degli immigrati, un aumento dei rimpatri e una progressiva crescita dell’emigrazione interna diretta alle città – specie a São Paulo.106

105 Cfr. A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., p. 18; M. T. S. PETRONE, Abolizione della schiavitù e immigrazione italiana nello stato di São Paulo, in R. COSTA E L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., pp. 12. 106 Cfr. A. TRENTO, op. cit., p. 14-16; M. T. S. PETRONE, op. cit., pp. 10; R. COSTA e L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., p. 401-402.

56 1.3. Gli italiani in Argentina fra i due secoli.

Nel periodo della «grande emigrazione», gli italiani riuscirono a inserirsi più facilmente in Argentina che altrove, soprattutto grazie alla mancata concorrenza nei lavori specializzati. Inoltre, alcune società di mutuo soccorso e alcuni gruppi d’immigrati che si erano stabiliti in precedenza aiutarono i nuovi arrivati a trovare occupazione, specie a Buenos Aires e a Córdoba.107 Già nel 1870 il ministro italiano in Argentina sosteneva che contadini, braccianti e operai trovavano facilmente lavoro nel paese e raggiungevano anche certi livelli di «agiatezza». Tuttavia l’emigrazione non era consigliata per professionisti e funzionari pubblici, i cui ambiti di lavoro avevano un’offerta piuttosto limitata.108 L’Argentina della seconda metà del secolo XIX offrì agli immigrati una certa possibilità di mobilità sociale, ma nessuno spazio di partecipazione politica. L’ordine «conservatore liberale» e centralista della repubblica platense, basato sull’alleanza fra le gerarchie tradizionali della provincia di Buenos Aires e i nuovi ricchi nativi – e che con difficoltà riusciva a trovare accordi con i governi provinciali, dominati dalle élites locali – attribuì un ruolo ben preciso agli avventizi. La concezione dell’immigrazione come un fenomeno desiderabile fu molto diffusa nell’Argentina del XIX secolo e importanti intellettuali, come Domingo Faustino Sarmiento e Juan Bautista Alberdi, videro in essa la soluzione ai problemi argentini, seppur da punti di vista diversi. In ogni caso, il concetto stesso di immigrato, si realizzò dalla Ley de Inmigración y Colonización del 1876, che definiva chi poteva usufruire dei suoi vantaggi: qualsiasi persona minore di sessant’anni, senza difetti fisici o malattie e arrivata nel paese in nave con un biglietto di seconda o terza classe. In poche parole, un lavoratore manuale. Negli anni successivi, il fenomeno dell’emigrazione di massa collaborò alla cristallizzazione dell’immagine dell’emigrante come quella di un paesano europeo relativamente povero, rappresentazione che aiutò a mantenere vigente la struttura sociale dell’epoca. Per differenziare le classi sociali fra gli arrivati e distinguere i poveri dalla gente con un certo prestigio, si utilizzò il termine

107 J. C. BROWN, The bondage of old habits in Nineteenth-Century Argentina, in «Latin American Research Review», Vol. 21, n. 2, 1986, pp. 15-16. 108 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires direttii al MAE, 14 febbraio e 29 maggio 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867-1873.

57 «straniero» per nominare questi ultimi.109 Eppure, anche gli «stranieri» mancarono di diritti politici, e la naturalizzazione costituì l’unico modo con il quale essi potevano accedere alla partecipazione politica.110 Nell’Argentina rurale molti immigrati riuscirono a inserirsi come proprietari o, almeno, formarono parte della classe media locale, seppur con diversa sorte. Quelli che avevano accumulato qualche capitale in città poterono acquistare terre nella provincia di Buenos Aires, mentre altri furono destinati alle terre pubbliche, lontane dai mercati e dalla linea ferroviaria. Intanto i nativi ingrossavano le file del bracciantato rurale e anche in città l’insediamento straniero ebbe successo. Dal 1882 alla Grande Guerra, i salari crebbero raggiungendo livelli più alti di quelli italiani e spagnoli, il che favorì particolarmente i lavoratori immigrati. Nel 1895 più dell’80% degli operai specializzati e industriali della capitale erano stranieri. Secondo J. C. Brown, sarebbero stati questi vantaggi della struttura sociale produttiva che avrebbero fatto «fallire» le ideologie radicali e anarchiche delle prime organizzazioni operaie fra stranieri.111 La popolazione italiana nelle Americhe ebbe una crescita sostenuta fin dall’inizio della «grande emigrazione» e l’Argentina non fu l’eccezione. Secondo i dati raccolti dal CGE, nel 1871 abitavano nella repubblica platense 56.016 italiani, mentre dieci anni dopo il numero aumentò a 254.388 persone, il che rappresentò rispettivamente il 64,3% e il 43,9% della popolazione italiana nelle Americhe. Nel 1891 la cifra raggiunse i 452.000 e nel 1901 il numero d’italiani in Argentina era di 618.000. Nonostante il permanente incremento del numero d’italiani, in Argentina, la percentuale di essi sul

109 Cfr. F. DEVOTO, Immigrants, exilées, réfugiés, étrangers: mots et notions pour le cas argentin (1854-1940), in F. DEVOTO e P. GONZÁLEZ B. (coords.), Émigration politique, une perspective comparative. Italiens et Espagnols en Argentine et en France XIXe-XXe siècles, Paris, L’Harmattan, 2001, pp. 78-85; J. C. BROWN, op. cit., pp. 21-22. Sulle caratteristiche del regime politico argentino della fine del secolo XIX, vd. N. BOTANA, El orden conservador. La política argentina antre 1880 y 1916, Buenos Aires, Edhasa, 2010 [1977]. 110 Nel dicembre 1881 la Legazione d’Italia a Buenos Aires comunicò al MAE le condizioni sotto le quali uno straniero poteva divenire cittadino argentino: dopo due anni di residenza nel paese, dopo aver prestato qualche servizio alla nazione oppure perché ammogliato con donna argentina e in ogni caso, su propria richiesta. Vd. Il rapporto del 2 dicembre 1881, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1888. 111 J. C. BROWN, op. cit., pp. 7-9. Gli alti livelli dei salari, in ogni caso, ebbero un periodo di decrescita con la crisi argentina del 1890 e, di fatto, fra il 1888 e il 1895 i salari persero il 48% del valore reale, spingendo molti italiani a trasferirsi in campagna, in concomitanza con l’aumento dei conflitti sociali e del lavoro. Vd. F. DEVOTO, Historia de los italianos en la Argentina, Buenos Aires, Cámara de Comercio Italiana en la Republica Argentina, Editorial Biblos, 2006, p. 278.

58 totale americano diminuì progressivamente – 31,2% nel 1891 e 22,2% nel 1901 – soprattutto a causa dell’esponenziale crescita degli immigrati italiani in Brasile. In ogni caso, i numeri dell’Argentina sono piuttosto ragguardevoli, poiché in relazione alla popolazione italiana all’estero, gli emigrati dalla penisola nel paese sudamericano rappresentavano il 24,6% nel 1881, il 22,7% nel 1891 e il 17,11% nel 1901.112 La presenza straniera cambiò la faccia delle città platensi. Fra il 1890 e il 1920 Buenos Aires aumentò la sua popolazione da 630 mila abitanti a 1,6 milioni, mentre Montevideo quintuplicò i suoi 60 mila residenti del 1890. Nella capitale argentina, gli italiani furono il più numeroso fra i gruppi etnici: costituivano il 60% degli stranieri nel 1887 e nel 1895, il 53% nel 1904, il 49% nel 1909 e infine il 41% nel 1914. Nel 1895 gli emigrati dalla penisola erano il 27% della popolazione totale di Buenos Aires e il 37% di tutti gli italiani in Argentina si concentrò in quella città. Con un’alta proporzione di famiglie, i peninsulari erano ben distribuiti in tutti i quartieri, anche se predominavano negli storici La Boca e Balvanera e dalla fine del XIX secolo anche ad Almagro, Chacarita e Caballito, dove inoltre c’era l’Ospedale Italiano. Quest’ampia distribuzione, caratteristica anche di Rosario, rispose alla prospettiva degli immigrati di acquistare casa. Con l’idea che di fronte alla crisi i posti più sicuri per i risparmi erano le proprietà, dalla fine del XIX secolo il numero d’italiani proprietari aumentò incessantemente, mentre diminuì quello degli inquilini. Nel 1909 il 16% degli italiani in Argentina era proprietario, mentre a New York lo era solo l’1%.113 Sicuramente il successo che molti immigrati ebbero grazie ai risparmi accumulati, fu facilitato da una giusta organizzazione dell’economia familiare. Oltre alle economie fatte grazie alla ricerca di affitti a poco prezzo – nonché quelle sul cibo, il cui consumo simboleggiava benessere –, l’apporto della donna fu fondamentale. Nel 1895, a Buenos Aires il 38% delle donne italiane sposate lavorava fuori casa e le nubili che facevano altrettanto erano tra il 60 e l’80%. Inoltre, il 40% delle italiane coniugate offriva ad altri immigrati pasti, posti letto e lavanderia per prezzi modesti.114

112 CGE, Annuario statistico dell’emigrazione, cit, pp. 1533-1541. 113 Cfr. C. VANGELISTA, L’immigrazione italiana in America Latina, cit., p. 380; E. SCARZANELLA, Sani, onesto, latini: gli italiani e le politiche di selezione dell’immigrazione in Argentina, 1890-1955, in M. SAIJA (a cura di), op. cit., p. 399; D. GABACCIA, op. cit., p. 104; F. DEVOTO, op. cit., pp. 278-280. In ogni caso, gran parte degli italiani acquistó delle proprietà nei quartieri meno prestigiosi ma più economici della capitale. Intanto, nel 1895 il 47% dei conventillos era proprietà d’italiani, mentre il 35% delle famiglie peninsulari di Buenos Aires dimorava in questo tipo di abitazioni, il che dimostra l’eterogeneità sociale all’interno del gruppo nazionale. Vd. Ivi., pp. 280-281. 114 Cfr. D. GABACCIA, op. cit., pp. 101-103. Verso la fine del secolo, le famiglie interamente italiane erano molto numerose. Fra il 1893 e il 1897, a Buenos Aires il 67% degli uomini

59 La presenza italiana nell’economia fu altrettanto notevole. Secondo il censimento del 1895, gli italiani costituivano il 34% del settore artigianale e industriale, il 25% delle professioni liberali, il 18% del commercio, il 14,5% del servizio domestico, l’11% dei giornalieri e infine l’8% dei lavoratori del trasporto, il che mostra una grande diversificazione sociale e occupazionale. Il 46,4% dei medi e dei grandi industriali erano italiani – considerando anche gli italiani della Svizzera e dell’Austria – e l’insieme delle industrie italiane occupava il 38,8% di tutti i lavoratori della capitale. Gli imprenditori italiani, che ancora alla fine del secolo XIX si associavano fra loro, ebbero anche un rilevante ruolo nelle organizzazioni industriali, soprattutto dopo il 1900. D’altra parte, senza considerare svizzeri e austriaci, gli italiani costituivano il 25% di tutta la manodopera e il 45% delle «industrie» con meno di dieci dipendenti apparteneva a un italiano. Questo panorama fece sì che molti operai emigrati dalla penisola avessero padroni – sia di casa sia di lavoro –italiani, il che generò frequenti conflitti all’interno del gruppo etnico.115 In ogni caso, le tensioni che dovettero affrontare i peninsulari andarono ben oltre la propria «nazione». Ancora prima della grande emigrazione, gli immigrati italiani vissero delle ostilità da parte dei nativi e degli altri immigrati. Già nel 1870 il ministro d’Italia a Buenos Aires manifestava che nella colonia agricola San Carlos, nella provincia di Santa Fe, gli italiani avevano «qualche rivalità di razza e di religione» con i vicini, non mandavano i figli a scuola per «ripugnanza» e si videro immischiati in «atti di sangue» che non erano stati puniti perché i fautori appartenevano al partito del governo provinciale.116 Le animosità che fin da allora esistettero fra i diversi gruppi etnici, oltre alle differenze culturali, ebbero anche una corrispondenza nella struttura socio-produttiva. Secondo Ricardo Falcón, una certa identificazione che si andò producendo fra alcuni gruppi etnici e alcuni mestieri o attività economiche, fece in modo che, tendenzialmente, italiani sposò una donna della penisola e l’86% delle donne italiane sposò un italiano, mentre nella città di Rosario le percentuali furono ancora più alte per entrambi i casi. Vd. F. DEVOTO, op. cit., pp. 282-283 115 Cfr. F. DEVOTO, op. cit., pp. 281-292; R. GANDOLFO, Las sociedades italianas de socorros mutuos de Buenos Aires: cuestiones de clase y etnia dentro de una comunidad de inmigrantes (1880-1920), in F. DEVOTO ed E. MÍGUEZ (comps.), Asociacionismo, trabajo e identidad étnica. Los italianos en América Latina en una perspectiva comparada, Buenos Aires, CEMLA-CSER-IEHS, 1992, pp. 315-317. 116 Vd. il rapporto della Legazione di Buenos Aires al MAE, 14 febbraio 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867-1873.

60 si stabilisse una scala gerarchica fra le nazionalità. Esecutivi e imprenditori inglesi a capo, italiani - almeno nella seconda metà del secolo XIX - al livello più basso, superiori soltanto ai lavoratori nativi. Con il nuovo secolo però la mobilità sociale portò gli italiani a impadronirsi dei mestieri operai e qualificati, diventando appunto un modello di laboriosità. Al di là dello schematismo, quest’idea potrebbe aiutare a comprendere l’alta conflittualità che esistette fra le diverse etnie e gruppi culturali locali e stranieri.117 Anche il nazionalismo contribuì a vivacizzare i conflitti etnici. Così successe, ad esempio, a proposito della festa nazionale francese del 1881, alla cui celebrazione gli italiani si rifiutarono di partecipare – con la sola eccezione di un circolo repubblicano –, e che suscitò baruffe fra italiani e francesi in un quartiere della capitale con forti polemiche fra alcuni giornali locali di quelle nazionalità.118 Il conflitto inter-etnico più evidente fu quello fra nativi e stranieri. L’arrivo dei migranti spostò gli originari dell’Argentina – specie neri e mulatti – dai loro mestieri, soprattutto nella manifattura artigianale, relegandoli nei lavori meno qualificati. Questo fatto creò un risentimento creolo verso gli avventizi e un’animosità degli stranieri come risposta, tensioni che furono sagacemente amministrate dall’élite per mantenere l’ordine sociale. Creoli furono i crumiri che sabotarono gli scioperi organizzati dai lavoratori stranieri, come successe nel 1901 con lo sciopero della Refinería de Azúcar de Rosario, o con gli scioperi nei porti, dove, all’inizio del XX secolo l’80% dei lavoratori era straniero e il 40% italiano. Nell’altro estremo della scala sociale, solo gli stranieri ricchi e particolarmente quelli d’origine inglese, poterono integrarsi all’élite argentina, mentre il resto degli europei «rispettabili», tra di essi anche italiani, si sposavano fra loro per mantenere la propria «purezza razziale».119 La reazione di certi gruppi italiani all’ostilità che nei loro confronti mostrarono alcuni settori locali, raggiunse momenti piuttosto tesi. Nel 1870 un gruppo d’italiani scese in piazza con una manifestazione contro il giornale cattolico «Los Intereses Argentinos», che aveva criticato aspramente l’immigrazione italiana accusandola di portare banditi e assassini. Solo la mediazione del console e la pubblicazione di un

117 R. FALCÓN, Inmigración, cuestión étnica y movimiento obrero (1870-1914), in F. DEVOTO ed E. MÍGUEZ (comps.), op. cit., pp. 254-259. 118 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 16 luglio 1881, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250, Argentina 1881-1887. 119 Cfr. R. FALCÒN, op. cit., pp. 258-259; J. C. BROWN, op. cit., pp. 9-13.

61 manifesto firmato dai più «notabili» italiani, riuscirono a calmare gli animi.120 Qualche mese dopo un altro giornale emise «giudizi ingiuriosi» contro gli italiani, ma le gestioni del ministro italiano di fronte al proprio presidente della repubblica, fecero sì che i giornali del governo prendessero la difesa degli immigrati dalla penisola.121 In ogni caso, durante gran parte della prima fase dell’«emigrazione di massa», la visione di certi settori argentini sul rapporto fra gli italiani e la criminalità, fu meno importante della visione molto più diffusa che li considerava lavoratori e contadini efficienti e parsimoniosi. Verso la fine dell’Ottocento e inizi del Novecento, fra gli argentini iniziò a estendersi una concezione piuttosto negativa degli italiani, che li concepiva come avidi accaparratori delle ricchezze nazionali, propagatori d’ideologie politiche pericolose e come manovalanza di una criminalità diffusa e aggressiva, assegnando loro la fama di violenti e sovversivi.122 Questa prospettiva si sviluppò in concomitanza con la campagna dell’élite argentina che intendeva «argentinizzare» i figli degli immigrati, principalmente attraverso la legge del servizio militare obbligatorio, il rafforzamento dell’educazione patriottica nella scuola pubblica – e l’ostilità alle scuole comunitarie, specie a quelle giudaiche e italiane – e, infine, con la legge del voto obbligatorio del 1912. In aggiunta, il mondo intellettuale si era volto alla ricerca di una «tradizione nazionale premigratoria» e la Chiesa Cattolica si era opposta agli ordini religiosi stranieri.123 Le tendenze più reazionarie dell’élite nel confronto degli immigrati, sicuramente influirono sulle relazioni non molto amichevoli fra i cittadini argentini e quelli italiani, le quali arrivarono a scatenare particolari episodi di violenza. Già nel 1870, il deputato

120 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 27 febbraio 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867- 1873. 121 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 29 maggio 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867-1873. Una situazione molto più grave successe lo stesso anno ad Asunción del Paraguay, quando una turba di circa duecento italiani assalì la sede del giornale «La Regeneración», che aveva accusato un italiano di aver ucciso una donna paraguaiana. Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretti al MAE, 13 e 29 ottobre 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867- 1873. 122 E. SCARZANELLA, op. cit., pp. 399. Sul legame della criminalità e delle malattie con l’immigrazione, diffuso dalla criminologia e dalla psichiatria argentine agli inizi del XX secolo, vd. E. SCARZANELLA, Italiani malagente. Immigrazione, criminalità, razzismo in Argentina, 1890-1940, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 13-49. 123 F. DEVOTO, op. cit, pp. 307-311.

62 Luigi Sormani-Moretti aveva presentato alla Camera italiana un’interpellanza al ministro degli Affari Esteri riguardante presunti scontri fra italiani e argentini avvenuti a Buenos Aires, i quali furono però smentiti dal ministro d’Italia in Argentina, che tuttavia riconosceva una certa ostilità verso gli italiani.124 La violenza contro gli stranieri era nell’aria e si fece più chiara il primo gennaio 1872 a Tandil, nella provincia di Buenos Aires, quando una banda de gauchos, richiamati dalla ribellione del Tata Dios, assassinò sedici europei, tra essi un italiano.125 La violenza subita dagli immigrati italiani provenne anche dalle autorità del paese sudamericano. Non di rado giudici di pace, magistrati, agenti delle imposte e poliziotti compirono diversi maltrattamenti nei loro confronti, che si fecero frequenti già dal 1876 nella maggior parte dei luoghi con un importante numero d’immigrati. Gli italiani innalzavano proteste e riempivano con denunce i consolati, ma raramente queste ebbero successo.126 Nel dicembre 1884 il socialista Boni Pilade scriveva ad Andrea Costa, chiedendo di dare pubblicità sul giornale «Avanti!» alle arbitrarietà commesse dalle autorità argentine e uruguaiane, che avevano chiuso i porti nazionali, costringendo gli immigrati a rimanere due mesi nella città di Maldonado in attesa della loro riapertura. Qualche mese dopo, lo stesso Pilade insieme ad altri compagni, scriveva ancora al deputato imolese chiedendo d’informare il ministro italiano degli Affari Esteri sulle torture subite da Antonio Masera e Battista Nota nel 1883, nel dipartimento di Coronda, provincia di Santa Fe, e per i quali nessuno aveva fatto niente. Nel 1890 fu il turno del socialista rivoluzionario cesenate Secondo Cappellini, che inviò a Costa un pacco con giornali e articoli sulla situazione degli italiani in Argentina e che raccontava inoltre i particolari dell’uccisione dell’italiano Abramo Rigo, enfatizzando che gli emigrati dalla penisola non erano protetti dal governo. Un anno dopo Cappellini insisteva sull’argomento, inviando nuovi antecedenti che, secondo lui, potevano servire per interpellare la Camera sulla mancata salvaguardia degli italiani nel Plata. Questa però, trovò eco nei soli comitati di difesa formati dai cittadini della penisola stabiliti nella repubblica platense. La critica del cesenate era indirizzata alla rappresentanza

124 Vd. il rapporto de la Legazione d’Italia in Argentina al MAE, 8 giugno 1870, n. 82, ASD- MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867- 1873. 125 Vd. il rapporto del Consolato d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 4 febbraio 1872, in cui si allega la risposta del governo della provincia, datata l’11 gennaio 1872, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867- 1873. Cfr. J. C. BROWN, op. cit., p. 15. 126 E. FRANZINA, op. cit., p. 173.

63 diplomatica italiana in Argentina, sostenendo che il governo doveva, non solo difendere i cittadini italiani, ma anche esigere dal governo sudamericano delle riparazioni.127 Sicuramente le considerazioni di Boni e Cappellini non erano esagerate. Un esempio chiaro della violenza esercitata contro gli emigrati dalla penisola in Argentina è un elenco inviato dalla Legazione italiana al ministro degli Affari Esteri sugli italiani assassinati nella repubblica platense durante il secondo semestre 1880, il quale enumerava diciannove uccisi da pubblici funzionari e undici da privati.128 Nella seconda metà del secolo XIX e ancora agli inizi del secolo successivo, l’Argentina visse un ambiente generalizzato di convulsione politica e violenza che ebbe i suoi momenti più critici, nelle sollevazioni provinciali contro il governo centrale. In questo contesto di agitazioni politiche e militari, gli immigrati divennero ancora vittime delle ostilità. Nel gennaio 1875 il MAE istruiva l’incaricato d’affari italiani a Buenos Aires sulle trattative con il governo argentino riguardo agli italiani vittime della guerra civile dell’anno precedente,129 mentre nell’agosto 1890 una serie di telegrammi della Legazione d’Italia a Buenos Aires dava notizia della «rivoluzione» scoppiata nel paese sudamericano, durata soltanto quattro giorni ma nella quale morirono tredici italiani e ventisette rimasero feriti.130 Alcuni scontri interni in Argentina, videro come protagonisti degli italiani. Ad esempio il 23 agosto 1873, quando i giovani livornesi Pietro e Francesco Guerri, insieme a un tale Casimir, anche lui italiano, attentarono senza successo alla vita del presidente Faustino Sarmiento. L’attentato era stato un’iniziativa del leader ribelle della provincia

127 Vd. BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa, 1872-1910: lettera di Pilade Boni a Costa, Montevideo, 25 dicembre 1884, b. 3, fasc. 522; lettera di Pilade Boni, Eugenio Mazzocchi e altri a Costa, Rosario, 7 marzo 1885, b. 4, fasc. 599; lettere di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, datate a Buenos Aires, 27 dicembre 1890 e 3 dicembre 1891, rispettivamente b. 7, fasc. 1118 e b. 8, fasc. 1264 . 128 Elenco dei sudditi italiani assassinati nella Repubblica Argentina dal mese di Luglio al mese di Dicembre 1880, da pubblici funzionari e da privati, s.d., ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1887. 129 Vd. la minuta del MAE all’incaricato di Affari a Buenos Aires, 31 gennaio 1875, ASD- MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Seconda, Divisione delle Legazioni e Divisioni Consolari, b. 636 Minute 1875. 130 Vd. i telegrammi del 26 e 30 luglio, e del 4 agosto 1890, ASD-MAE, Serie Politica A, 1888-1891, b. 3 Argentina, fasc. 10 Rapporti politici 1890. Anche nel febbraio 1905 la Legazione d’Italia a Buenos Aires comunicò al MAE lo scoppio di un sollevamento armato in diverse città del paese, senza però riferire vittime italiane. Vd. i rapporti del 8 e del 14 maggio 1905, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 323, fasc. Rapporti politici 1902-1905.

64 d’Entre Ríos, Ricardo López Jordán, azione dalla quale i giovani speravano di riscuotere mille franchi.131 Nel novembre 1876, alcuni italiani furono arrestati insieme a vari catalani e argentini seguaci del generale Bartolomé Mitre, accusati di un complotto «comunista» contro il governo nel cosiddetto «affare Bookart».132 Infine, nel febbraio 1891, un quattordicenne figlio d’italiani sparò contro l’allora ministro dell’Interno Julio Roca, ferendolo lievemente. Quest’attentato servì al governo per dichiarare lo stato d’assedio a Buenos Aires in un momento di particolare agitazione politica e di imminente scoppio di una «rivoluzione».133 La partecipazione italiana nelle vicende argentine probabilmente ebbe nei moti stranieri del 1893 nelle provincie di Santa Fe ed Entre Ríos, la più alta visibilità. Nel febbraio di quell’anno, alcuni coloni svizzeri avviarono un movimento di protesta contro le tasse sulla produzione di grani istituite dal governo provinciale di Santa Fe, diretto dai «liberali-conservatori» del Partito Autonomista Nazionale. I coloni si organizzarono e si armarono per affrontare la reazione del governo e anche se il movimento puntò sulle imposte, la vicinanza al programma dell’Unión Cívica Radical e i rapporti che alcuni coloni avevano con essa fin dalla «rivoluzione di luglio» del 1890, diedero al movimento un certo carattere politico. Questo si rese evidente nel luglio, quando riemersero le proteste, le quali acquisirono una rinnovata violenza e, in concomitanza con i moti radicali di Buenos Aires, furono dirette contro il governo della provincia. I leaders del PAN favorirono la formazione di squadre armate fra i lavoratori agricoli nativi, che insieme alle forze militari scatenarono una feroce reazione contro i coloni stranieri e molti italiani furono vittime di arresti arbitrari, rapine e saccheggi. Soffocati i moti, ancora a settembre si rinnovarono i movimenti di protesta armati, anche se questa volta

131 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 25 agosto e 25 settembre 1873, ASD- MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248 Argentina 1867- 1873. 132 Vd. rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 2 dicembre 1875, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1249 Argentina 1874-1880. Gli italiani erano poco implicati e la maggior parte fu rilasciata dopo l’intervento del ministro italiano nella capitale argentina. 133 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 21 febbraio 1891, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1891-1896. Non si conoscono i motivi di quest’attentato, ma il fatto potrebbe collegarsi al preteso «progetto» d’attentato contro il generale Roca alla fine del 1885 e l’inizio del 1886 – quando era presidente della repubblica –, che servì al governo per attuare misure repressive alla vigilia delle elezioni. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 10 gennaio 1886, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1888.

65 il supporto dei coloni non raggiunse i livelli di partecipazione di luglio.134 L’agente consolare italiano a Santa Fe ricevette circa cinquecento reclami e il suo collega a Paraná, capoluogo della provincia d’Entre Ríos, firmò una protesta insieme ai rappresentanti diplomatici di Francia, Inghilterra e Spagna. Mentre il governatore della provincia d’Entre Ríos esaltava i concittadini con discorsi anti-stranieri, il governo argentino assicurava che avrebbe dato ascolto ai reclami dei coloni e avrebbe preso delle misure per ristabilire l’ordine. Di fatto, lo stato d’assedio era stato dichiarato in quelle provincie ed era ancora vigente a Santa Fe verso la fine di febbraio 1894.135 In questo scenario di accesa violenza contro gli stranieri, Tommaso Volpi, originario di Catanzaro, subì gravi maltrattamenti da parte della polizia di Santa Fe dopo essere stato detenuto per l’uccisione di Giuseppe Gras, gerente del Banco Ipotecario Nazionale e redattore del giornale «La Verdad», avvenuta l’11 novembre 1893. Gli abusi della polizia generarono una grande indignazione fra gli italiani della città e alcuni di loro crearono l’Unión de Estrangeros [sic].136 Gli episodi d’abusi da parte della polizia nei confronti di alcuni italiani furono frequentemente giustificati dalle autorità locali come misure necessarie per fare rispettare le normative vigenti. Nel settembre 1899, l’italiano Gabriele Del Buono denunciò la polizia locale per l’assalto e il saccheggio della sua dimora e della sua tipografia a Villa Guay, nella provincia d’Entre Ríos, mentre l’autorità locale rispose che Del Buono era stato denunciato dalla proprietaria dell’immobile per il suo sfratto.137 Un caso più grave successe nell’ottobre 1887. Nell’accampamento operaio di San Roque, provincia di Córdoba, un gruppo di lavoratori italiani cantava e beveva in un almacén, sfidando il regolamento dell’impresa. Dopo un primo avvertimento, gli agenti di polizia caricarono i lavoratori: uno di essi morì, due rimasero feriti, e diciassette furono arrestati.138 È probabile che molte di queste dimostrazioni d’ingiustificata violenza da

134 Vd. E. GALLO, Farmers in revolt. The revolutions of 1893 in the province of Santa Fe, Argentina, London, University of London, The Atholon Press, 1976, in particolare pp. 38- 68. Cfr. E. FRANZINA, op. cit., pp. 162; J. C. BROWN, op. cit., p. 21. 135 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 14 e 16 ottobre, 28 novembre 1893, e infine 25 febbraio 1894, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1891-1896. 136 Vd. il fasc. P 452, Incidente a Santa Fe (Volpi Tommaso), ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Miscellanea, b. 591. Vd. anche i numeri de «La Patria degli Italiani», Buenos Aires, a. 1, giorni 16, 17 e 18 novembre 1893. 137 Sulla vicenda di Gabriele Del Buono, vd. Archivo Histórico de la Cancillería Argentina, Asuntos Polìticos (1861-1920), caja 699, fasc. 80. 138 Vd. il rapporto del’agente consolare italiano a Córdoba diretta al console a Rosario, 19 ottobre 1887, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie

66 parte degli agenti della polizia avessero un particolare tono vendicativo, come suggerisce Jonathan C. Brown, dato che le «forze dell’ordine» che reprimevano le manifestazioni di lavoratori stranieri erano composte maggiormente da indigeni e meticci.139 Le frequenti ostilità da una parte della società argentina verso gli immigrati dalla penisola, contribuì a rafforzare un certo senso di appartenenza etnica fra gli italiani, in quanto vittime della società ospitante, il che – sfruttato dalla stampa nazionalista – giovò all’identità nazionale. Tuttavia, questa condizione non apparve mai esplicitamente come un elemento rilevante dell’italianità nel paese sudamericano. Invece, caratteristiche come l’intraprendenza e lo spirito imprenditoriale, la laboriosità e la disciplina dei lavoratori, la propensione all’associazionismo e la restrizione alle proprie istituzioni e infine la tendenza all’estraneazione della politica locale, furono fra i pilastri dell’immagine che si andò costruendo sulla «comunità» italiana in Argentina. Questi stereotipi dell’italiano furono sostenuti non solo dalla diplomazia e dal giornalismo politico italiani, ma anche de numerosi scrittori di narrativa, concezioni che abbondarono inoltre nei diari di viaggi, memorie, resoconti giornalistici e testimonianze che si diffusero anche nella penisola. Persino osservatori esterni, specie argentini, misero alla luce simili tratti dell’italianità, i quali ispirarono una certa rispettabilità dell’italiano anche fra le autorità argentine.140 Ciò nonostante, l’integrazione degli italiani nella società locale, come si è già accennato, non trovò un cammino facile. La concezione «liberale cosmopolita» che aveva ispirato le politiche immigratorie e che aveva dominato fino alla metà degli anni ’80, parteggiata dai settori dell’élite più aperti all’apporto straniero, retrocesse. L'idea «nazionale essenzialista», sostenuta dai gruppi più conservatori dell’èlite, si rafforzò con l’inizio dei grandi flussi di stranieri e soprattutto con la crisi economica dei primi anni ‘90. Lo stesso Sarmiento rilevò il rischio che supponeva la conservazione di certi tratti dell’identità italiana – particolarmente la lingua – nella costruzione dell’argentinità, giacché potevano creare la coscienza di un’altra nazionalità all’interno della nazione stessa. Riflesso di questa visione fu la legge del 1894 sull'obbligatorietà

Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1887. Vd. anche «Il Risveglio», Córdoba, a. 1, 15 ottobre 1887; «La Patria Italiana», Buenos Aires, a. IX, 16 ottobre 1887. 139 J. C. BROWN, op. cit., p. 21. 140 E. FRANZINA, op. cit., pp. 112-117.

67 dell’insegnamento della lingua «nazionale», cioè lo spagnolo, in tutte le scuole del paese, incluse quelle delle associazioni straniere.141 In ogni caso, l’osservazione sarmientina non era del tutto sbagliata. Fin dall’inizio del XX secolo, la concezione dell’italianità come sinonimo di modernizzazione spinse un certo nazionalismo italiano a pretendere che la presenza peninsulare in Argentina fosse utile all’Italia non soltanto economicamente, ma anche politicamente. I termini «italianità» e «italianizzazione» inglobavano in qualche modo quelle pretese, dunque il suo uso fece progressivamente più tesi i rapporti fra le autorità argentine – che vedevano un certo «espansionismo» peninsulare – e i leader della comunità italiana al Plata.142 Non mancò però, l’utilizzazione politica del discorso della «nazionalità italiana» da parte dell’élite argentina. Assodata era infatti, l’affinità del «rochismo» – tendenza politica all’interno del governante Partito Autonomista Nazionale, che faceva capo al generale Julio Roca – con l’élite italiana nel Plata e con le sue associazioni e non a caso diversi dirigenti del PAN parteciparono a molte delle commemorazioni nazionali italiane. Di particolare importanza fu, in questo contesto, il 1898. Le tensioni diplomatiche fra l'Argentina e il Cile, che facevano temere lo scoppio di una guerra, resero la celebrazione italiana del XX settembre a Buenos Aires, una festa di rilevante importanza per l'incontro fra «italianità» e «argentinità». Alla cerimonia commemorativa parteciparono circa cinquantamila manifestanti, incluse varie personalità locali e molti giovani argentini e si mise la prima pietra del monumento a Garibaldi nella piazza che fu rinominata Italia. In seguito, il supporto italiano alla causa argentina si tradusse in una massiccia iscrizione di peninsulari nei corpi militari della repubblica platense e persino nella creazione di una legione italiana: si parlò allora della «fratellanza italo-argentina».143 Intorno a questi anni l’élite argentina – e particolarmente i suoi settori più conservatori –, sempre preoccupata del rinforzamento dell’argentinità, decise di cambiare la propria strategia discorsiva diretta a «costruire» la nazione. Fu allora che il patriottismo argentino vide nell’integrazione dello straniero, seppur al solo livello dell’immaginario politico, il modo più utile per consolidare la pretesa superiorità della

141 Cfr. Ivi., pp. 223-227; L. A. BERTONI, La hora de la confraternidad. Los inmigrantes y la Argentina in conflicto, 1895-1901, in «Estudios Migratorios Latinoamericanos», a. 11, n. 32, 1996, pp. 62-65. Sul discorso dell'élite argentina riguardo alla costruzione dell'identità nazionale, vd. L. A. BERTONI, Patriotas, cosmopolitas y nacionalistas. La construcción de la nacionalidad argentina a fines del siglo XIX, Buenos Aires, Fondo de Cultura Económica, 2001. 142 E. FRANZINA, op. cit., pp. 123-125 143 Cfr. L. A. BERTONI, op. cit., pp. 69-79; F. DEVOTO, op cit., pp. 304-305.

68 nazione argentina.144 In ogni caso, le diverse concezioni sull’immigrazione che convissero all’interno dell’élite e del mondo intellettuale argentino durante tutto il periodo delle «migrazioni di massa», furono in permanente tensione, oscillando dall’integrazione all’esclusione. In questo modo, si crearono non poche contraddizioni negli atteggiamenti della classe politica e della società locale verso gli stranieri e particolarmente verso gli italiani. Evidentemente, le idee dei settori dominanti locali non furono le uniche e anche l’élite italiana nel paese sudamericano si adoperò a creare e diffondere una propria idea della nazione italiana. La leadership italiana in Argentina fu prevalentemente composta da liberali, repubblicani e classe media. Molti di essi furono esuli risorgimentali che collaborarono con la caduta del dittatore Juan Manuel de Rosas e successivamente supportarono il generale Bartolomé Mitre. Fin dai primi arrivi, questi esuli diffusero l’idea della nazione italiana e già negli anni ’50 trovarono l’appoggio di artigiani e piccoli commercianti: i repubblicani costituirono la prima società di mutuo soccorso italiana nel 1858, Unione e Benevolenza. Il nazionalismo italiano nel paese sudamericano così, diede forma all’italianità attraverso un interclassismo patriottico che non restò indifferente, soprattutto per i dirigenti di classe media, alle condizioni economiche dei connazionali immigrati. E’ vero che i repubblicani ebbero dei contrasti e delle dispute con i monarchici riguardo alla guida della «comunità italiana» dell’Argentina, ma entrambi enfatizzarono l’idea d’unità nazionale e lavorarono strettamente con i rappresentanti diplomatici italiani. Per assicurare la loro posizione, i gruppi dirigenti si avvalsero dell’uso e della diffusione della lingua italiana – espressione dell’«alta cultura» – negli ambiti dove si «attuava» la nazione, vale a dire sui giornali e nelle riunioni sociali. In questo modo, i leaders italiani si trovarono in una posizione confortevole e con canali sufficientemente efficaci per influenzare le decisioni delle autorità argentine che riguardavano gli «interessi italiani» e perciò si mostrarono ostili sia alla partecipazione politica dei connazionali sia alla loro naturalizzazione. Quest’attitudine, però, ebbe come conseguenza una debole presenza dell’«italianità» a livello pubblico, che tuttavia contrastava con la sua grande notorietà a livello quotidiano.145 Anche le autorità italiane s’interessarono alla costruzione dell’identità nazionale e per quegli effetti bastò loro il controllo dei maggiorenti della stampa italiana al Plata –

144 L. A. BERTONI, op. cit., pp. 61-69. 145 Cfr. D. GABACCIA, op. cit., pp. 121-123; E. MÍGUEZ, Tensiones de identidad: reflexiones sobre la experiencia italiana en la Argentina, in F. DEVOTO ed E. MÍGUEZ (comps.), op. cit., pp. 338-339; F. DEVOTO, op. cit., pp. 312- 313.

69 «tutta o quasi tutta occultamente finanziata dall’Italia» –, e l’appoggio indiretto del clero cattolico, il quale svolse un importante proselitismo patriottico e nazionale. Infatti, alcune associazioni religiose abbinarono il lavoro pastorale con una «funzione consolare vera e propria».146 Persino gli industriali italiani promossero il patriottismo, richiamando la «solidarietà etnica interclassista». Quest’impostazione dei rapporti produttivi portò evidenti utilità agli imprenditori, ma anche una certa stabilità alla manodopera italiana e un certo benessere derivato dal modello paternalista. L’identità che si creò fra impresa e operaio – che non si limitò però solo all’italiano e comprese anche identità regionali e culturali – aiutò a sviluppare un «sentimento di orgoglio nazionale».147 Il discorso del nazionalismo italiano in Argentina e particolarmente quello promosso durante i primi anni del secolo XX, cercò di scavalcare i conflitti di classe fra i peninsulari situando il problema, demagogicamente, nell’idea dell’«italianità umiliata». Tuttavia, la numerosissima collettività italiana non era per niente compatta come si pensava in Italia, era infatti divisa de «mille competizioni» e «beghe personali».148 Già nel 1870, nella celebrazione della Festa dello Statuto organizzata dalla Società Italiana Nazionale e alla quale partecipò anche la rappresentanza diplomatica, la parte della colonia che professava «opinioni avverse all’ordine attuale di cose» non volle partecipare.149 Negli anni successivi molti italiani criticarono i diplomatici del Regno in Argentina, perché tutelavano i propri interessi piuttosto che quelli dei connazionali.150 Oltre le differenze fra i settori politicizzati della «comunità italiana», le idee d’identità nazionale e di sentimento patriottico costituirono uno sbocco «quasi razionale e programmato» alla crisi di auto riconoscimento e all’identità frantumata che provarono gli immigrati dalla penisola quando si trovarono in mezzo a una società diversa.151 Infatti, negli anni ’80, in concomitanza con i grandi flussi migratori, il fattore politico andò diluendosi nella creazione d’identità e cominciò ad apparire una definizione «etnica» della nazione, in quanto legami affettivi e culturali alle terre d’origine. Il politico perse forza agglutinante – ma siccome i dirigenti avevano già consolidato la propria leadership

146 E. FRANZINA, op. cit., pp. 155-157. 147 Ivi., pp. 136-137. 148 Ivi., pp. 124-127. 149 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 8 giugno 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248 Argentina 1867-1873. Vd. anche «L’Eco d’Italia», Buenos Aires, a. 1, giorni 4, 6 e 8 giugno 1870. 150 E. FRANZINA, op. cit., p. 151. 151 Ivi., p. 109.

70 continuarono a «guidare» la «comunità italiana» – e invece emersero relazioni primarie e reti di clientelismo, soprattutto fra compaesani, che diedero sostanza all’identità degli immigrati. Progressivamente l’etnicità si rese più solida, soprattutto nella sua forma «campanilista». I lavoratori rurali si riconobbero in diverse identità regionali piuttosto che in una sola identità nazionale, grazie all’affermazione dei modi tradizionali propri favoriti dall’isolamento geografico. Di fatto, l’accentuazione del senso d’appartenenza regionale fu anche il risvolto del superamento della povertà e dell’abbandono dallo Stato vissuti in Italia. Nonostante ciò, la propaganda della nazionalità – seppur considerasse il campanilismo e il regionalismo come atomizzatori dell’identità nazionale – si adeguò alla nuova dinamica e concepì la «comunità italiana» come costituita da diverse identità regionali, riuscendo a mantenere un importante ascendente. In ogni caso, il precedente successo dell’identità nazionale diede passo a un senso di appartenenza affettivo- culturale fra gli immigrati che li legava più ai compaesani che alla costruzione ideologica dell’italianità. L’identità nazionale fu relativamente debole fra le classi più povere e quando lunghi tempi d’insediamento nella società locale esaurirono i rapporti primari e le reti clientelari, cioè i legami campanilistici, l’identità etnica perse vigore.152 Anche le differenze di classe all’interno della «collettività italiana» resero tesi i rapporti fra diversi gruppi peninsulari del Plata e indebolirono la coscienza dell’identità nazionale. Tuttavia, come sostiene Romolo Gandolfo, è probabile che i processi di formazione di coscienza di classe e di coscienza etnica non fossero necessariamente divergenti. E’ vero che la maggior parte dei tentativi di formare sindacati etnici non ebbe successo, ma non ebbero migliore sorte le società etniche create dai padroni italiani. Il socialista Carlo Mauli fu fra i pochi che riuscirono ad abbinare la propria attività nelle società operaie e in quelle etniche, mentre la maggior parte di quelli che tentarono di collegare etnia e classe, come il socialista Orazio Irianni o Alfonso Lozzia, alla fine rimasero legati alla «colonia italiana ufficiale». In ogni caso, le società propriamente operaie e quelle etniche convissero, nessuna riuscì a sconfiggere l’altra, insieme condivisero un processo di mutuo adattamento.153 Durante il XIX secolo, a Buenos Aires il problema della coscienza di classe ebbe un ruolo secondario, poiché il progresso economico e la mobilità sociale che sperimentarono molti lavoratori italiani – specie artigiani e contadini che emigrarono in Argentina fuggendo dalla proletarizzazione – stimolarono l’emergenza di una «coscienza

152 Cfr. E. MÍGUEZ, op. cit., pp. 340-346; E. FRANZINA, op. cit., pp. 160-161. 153 R. GANDOLFO, op. cit., 328-330.

71 di classe media». Le relazioni interpersonali e l’ideologia del self-help che dominarono nelle botteghe degli artigiani immigrati durante gli anni ‘70 e ‘80, insieme all’immagine del buon migrante – bravo e austero lavoratore diffusa dell’élite italiana - rinsaldarono quest’identità e la proiettarono persino oltre la crisi degli anni ’90. Dopo quest'ultima, si consolidò il processo di proletarizzazione, ma l’aspettativa di accedere alla classe media rimase intatta. Questa forma d’identità sociale fu dominante all’interno delle società di mutuo soccorso, le quali furono indirizzate dai loro dirigenti in funzione della propria concezione dell’ordine sociale e la cui importanza, tuttavia, non riuscì a inibire l’emergenza della coscienza di classe, che con il cambio di secolo ebbe un notevole sviluppo. In questo modo, la tensione fra identità di classe e l’aspettativa di mobilità sociale, così come quella fra classe e nazione, costituirono una dimensione centrale nella formazione del proletariato argentino.154 La coesistenza stessa del senso di appartenenza nazionale con quello di appartenenza di classe divenne talmente ambivalente, che in mezzo ai conflitti del lavoro, non solo s’ignorò ma persino si occultò. I leaders operai elusero il conflitto di classe «intra-etnico» perché temevano che riconoscere l’importanza delle etnie implicasse il rafforzamento di legami nazionali che avrebbero debilitato la pretesa di una classe operaia unificata e cosmopolita. Per questa ragione anarchici e socialisti attaccarono individualmente gli industriali italiani, senza fare riferimento alla loro nazionalità o all’eventuale ruolo che svolgevano nelle società mutualiste di carattere etnico. Anche l’élite italiana schivò questo conflitto cercando di evitare divisioni che minacciassero l’ideale di una comunità italiana organica e quando si parlò di lavoratori italiani, lo si fece con lo scopo di richiamare la laboriosità e la moderazione. Soltanto dopo la fine della Grande Guerra, il giornale repubblicano «L’Italia del Popolo» analizzò diversi conflitti del lavoro considerando la variabile «intra-etnica».155 Regionalismo, conflitti del lavoro, eterogeneità sociale e frammentazione sono argomenti più che sufficienti per parlare non di una comunità italiana in Argentina ma di molteplici comunità, il che, nonostante l’elevato numero d’immigrati dalla penisola, rese molto meno influente la presenza peninsulare nella repubblica platense.156 I punti di forza di questa presenza – che sono, allo stesso tempo, i suoi limiti – furono il grande sviluppo della stampa in lingua italiana, da un lato, e l’ampia rete di associazioni

154 E. MÍGUEZ, op. cit., pp. 347-357. 155 R. GANDOLFO, op. cit., 322-324. 156 F. DEVOTO, op. cit., p. 283.

72 mutualistiche – che ebbero una cospicua diffusione dal 1898 –, dall’altro. Nel mettere a confronto il numero delle organizzazioni operaie italiane e i loro affiliati, si nota che il mutualismo ebbe una «superiorità schiacciante». Gli italiani crearono più società mutualistiche nel paese sudamericano e si associarono a esse più intensamente che qualsiasi altro gruppo straniero. La presenza dominante dei settentrionali e particolarmente dei piemontesi, potrebbe spiegare la notevole diffusione del mutualismo italiano in Argentina, indubbiamente superiore a quella d’altri paesi con grande immigrazione peninsulare, come gli Stati Uniti. In ogni caso, anche se queste pratiche associative erano assai diffuse in Italia nel periodo dell’emigrazione di massa, molti immigrati presero contatto con il mutualismo soltanto all’estero.157 Negli anni ‘50 la «colonia» italiana a Buenos Aires si era organizzata per la costruzione dell’Hospital Italiano e nel 1858 i mazziniani fondarono la prima società di mutuo soccorso di solo peninsulari, Unione e Benevolenza. Pochi anni dopo, da una scissione di quest’associazione – promossa dal console – nacque la Società Nazionale Italiana. Entrambe le società avevano circa seimila soci ciascuna e associazioni consorelle in diverse città argentine. Da allora, il mutualismo italiano si espanse nell’Argentina, sopratutto attraverso molte società di carattere regionale che sostenevano un generalizzato divieto delle discussioni politiche e religiose nelle riunioni, anche se si tenevano lo stesso.158 Le associazioni di mutuo soccorso erano già prospere all’inizio della grande immigrazione in Argentina, ma dalla fine degli anni ’80 e specialmente durante l’ultimo decennio, si diffusero in tutto il paese. Le associazioni regionali e provinciali si moltiplicarono, minacciando in qualche modo la leadership precedente, mentre le vecchie società crebbero. Alla fine del secolo, solo a Buenos Aires c’erano 100 società mutualistiche, le quali sommavano un totale di circa cinquantamila membri, vale a dire un terzo dei maschi adulti italiani della capitale. Anche le provincie di Buenos Aires e di

157 Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 134; F. DEVOTO, La experiencia mutualista italiana en la Argentina: un balance, in F. DEVOTO ed E. MÍGUEZ (comps.), op. cit., pp. 169-174. In Italia il mutualismo si diffuse ampiamente dagli anni ’80 e soprattutto dopo la legge di personalità giuridica del 1886. Nel 1885 c’erano quasi cinquemila società nella penisola, concentrate soprattutto in Piemonte e Lombardia e con un importante numero anche in Emilia e in Toscana. Due terzi delle associazioni erano esclusivamente maschili e per lo più si denominavano operaie, seppur il loro carattere fosse più «popolare» che d’associazioni di classe vere e proprie. Vd. D. MARUCCO, Lavoro e solidarietà popolare: forme, modelli, rapporti del mutuo soccorso italiano, in F. DEVOTO ed E. MÍGUEZ (comps.), op. cit., pp. 14-28. 158 A. BERNASCONI, op. cit., pp. 80-90.

73 Santa Fe, pure esse con un’esponenziale crescita dell’immigrazione italiana, ebbero un’imponente presenza mutualistica. Entrambe, insieme alla città di Buenos Aires, concentrarono il 90% di tutti gli italiani dell’Argentina iscritti in una società mutualistica e l’80% delle associazioni, le quali mostrarono una maggiore estensione e concentrazione nella capitale e nelle città provinciali. A Buenos Aires, le società di mutuo soccorso ebbero fra un 60% e un 75% di membri appartenenti alla categoria di lavoratori manuali, seguiti da lavoratori non manuali, un numero minore di grandi e piccoli commercianti e infine impiegati d’affari, industriali e professionisti. La maggior parte delle associazioni furono dirette da individui dei ceti medi. In un’analisi di quattro società di mutuo soccorso appartenenti ai tre epicentri dell’attività mutualistica sopra menzionati, Fernando Devoto sostiene che più del 50% dei membri era originario del nord d’Italia – con un chiaro vantaggio dei nordoccidentali sopra i nordorientali –, mentre il carattere «poli-classista» dei sodalizi, sia di quelli urbani come di quelli rurali, fu dominato da soci artigiani e operai, mentre ci fu poca partecipazione di braccianti, giornalieri e agricoltori. Nei posti direttivi predominarono gli italiani nordoccidentali e i settori medi non manuali, mentre nelle cariche esecutive la presenza dei white collar fu notevole.159 Sembra che le associazioni mutualistiche, ispirate ai valori dei predominanti ceti medi, anziché costituire un meccanismo di preservazione dell’identità culturale che si opponesse all’assimilazione, riuscissero a costruire un’identità che integrò sensi d’appartenenza pre-migratori e dinamiche sociali primarie con alcuni simboli nazionali, utilizzati «strumentalmente» dagli immigrati. In poche parole, le società di mutuo soccorso costituirono uno spazio di risignificazione dell’identità degli immigranti. Non solo furono un prodotto della «comunità italiana» del Plata, ma anche e soprattutto le produttrici di questa comunità, che si concepì come tale nonostante la sua alta stratificazione e i suoi conflitti, particolarmente evidenti nell’industria e nell’abitazione. Il mutualismo fu il principale meccanismo per la diffusione dell’idea di nazione fra i lavoratori e fu nei locali delle associazioni mutualistiche che l’idea di comunità acquisiva la concretezza dell’incontro fra gli emigranti della penisola. Non a caso, gli appelli all’italianità attraverso il mutualismo furono abbastanza frequenti ed ebbero un certo successo, come nel 1890, quando le società di mutuo soccorso si raggrupparono intorno a la Lega Patriottica per opporsi al tentativo del governo argentino di fare approvare una

159 Cfr. Ivi., p. 91; D. GABACCIA, op. cit., p. 122; R. GANDOLFO, op. cit., pp. 312-313; F. DEVOTO, Participación y conflictos en las sociedades italianas de socorros mutuos, cit., pp. 149-156.

74 legge di naturalizzazione automatica.160 Come strumento politico, però, il mutualismo servì anche per rafforzare i legami dell’élite peninsulare con il governo argentino. Nel 1886 si tenne a Buenos Aires un’esposizione italiana dell’arte e dell’industria, promossa dalla Società Unione Operai Italiani e alla cui inaugurazione partecipò proprio il presidente Roca oltre alle più importanti società di mutuo soccorso italiane dell’Argentina.161 I ceti medi utilizzarono queste associazioni a favore dei propri interessi «di classe» e in diverse occasioni i dirigenti mischiarono gli interessi delle società con quelli personali. Alcuni dei leaders erano fra i più ricchi del paese e professionisti e commercianti videro i membri delle società come potenziali clienti. Questo fatto, insieme al carattere conservatore della maggior parte delle associazioni mutualistiche, motivò gli attacchi dei repubblicani radicali durante gli anni ’80. Parallelamente, le associazioni operaie cattoliche criticarono il mutualismo liberale e altrettanto fecero gli anarchici riguardo al patriottismo che le società promuovevano.162 Le società italiane di mutuo soccorso furono prevalentemente guidate da dirigenti mazziniani, poiché molte di esse furono fondate dagli esuli stabiliti in Argentina molto prima dei grandi flussi migratori. I repubblicani controllarono le principali istituzioni etniche, come Unione e Benevolenza e il giornale «La Patria degli Italiani». Inoltre, le associazioni mutualistiche mazziniane del secolo XIX negarono l’attività politica, vietandola negli statuti e, nei fatti, svolsero il ruolo che le società moderate avevano in Italia. In ogni caso, verso la fine del secolo esistettero altri tipi di associazioni mutualistiche: le padronali, le cattoliche – nate soprattutto dopo l’enciclica Rerum Novarum del 1891 per controbilanciare quelle laiche – e le cosmopolite. Queste ultime non si limitarono a un gruppo nazionale o a una professione e alcune assunsero persino un carattere esplicitamente politico, soprattutto di tendenza socialista, ma anche moderate e riformiste. All’aprirsi del XX secolo, le società di mutuo soccorso ebbero un grande e rinnovato sviluppo.163

160 Cfr. F. DEVOTO, La experiencia mutualista italiana en la Argentina: un balance, cit., pp. 177-183; R. GANDOLFO, op. cit., pp. 313-314. 161 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 1 febbraio 1886, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1887. Vd. anche L’Italia in America. L’inaugurazione di domenica, in «L’Operaio Italiano», Buenos Aires, 2 febbraio 1886. 162 R. GANDOLFO, op. cit., pp. 317-322. 163 F. DEVOTO, Participación y conflictos en las sociedades italianas de socorros mutuos, cit., pp. 144-162.

75 Il mutualismo italiano in Argentina mostrò una serie di debolezze che finirono per limitare il suo potere, la sua rappresentatività e probabilmente anche il suo ruolo come veicolo d’inserzione degli immigrati nella società platense. Oltre al disinteresse per la politica locale e alla poca capacità di costituire uno strumento di ascesa sociale, queste associazioni vissero un permanente conflitto all’interno dell’élite dirigente, fondamentalmente fra mazziniani e monarchici. Questo dissidio causò l’indifferenza dei soci – associati alle società mutualistiche principalmente per accedere alla copertura medico-assistenziale e, nei paesi dell’interno, alle attività ricreative e culturali – e, soprattutto, fece del mutualismo una forma organizzativa piuttosto frammentaria. Alla moltiplicazione del numero delle società, in ogni caso, collaborarono anche le tendenze particolariste – localiste e regionaliste – degli immigrati e una certa tendenza a organizzarsi secondo quartiere. 164 Soltanto alla vigilia della Grande Guerra e cioè quando i due momenti di maggiore espansione delle società mutualistiche si erano esauriti, alcune associazioni peninsulari si raggrupparono intorno alla Federazione delle Società Italiane di Buenos Aires.165 Le pretese di democrazia e partecipazione politica che, nella teoria, il mutualismo italiano nel Plata potenzialmente poteva promuovere, si limitò ai ristretti gruppi dirigenti. Di fatto, come dimostra Devoto nell’analisi delle quattro associazioni mutualistiche prima citata, la partecipazione dei membri alle assemblee delle proprie società fu molto scarsa, non superando il 5% nel caso delle bonaerensi e intorno al 10% in quelle di provincia.166 Parallelamente alla formazione delle prime società di mutuo soccorso di carattere etnico – non solo italiane, ma anche spagnole e francesi –, durante gli anni ’50 si fondarono le prime associazioni mutualistiche di mestiere nella capitale argentina. Importante fu la Sociedad Tipográfica Bonaerense, fondata nel 1857 con predominanza

164 Ivi., 149-163. 165 Questa federazione fu fondata nel 1912 con un carattere apertamente anticlericale e, a differenza della maggior parte delle società mutualistiche, accettò e promosse le discussioni politiche e religiose al suo interno, tentando di modellare un’italianità centralizzata nella politica. Vd. A. BERNASCONI, op. cit., pp. 90-91. 166 Cfr. F. DEVOTO, La experiencia mutualista italiana en la Argentina: un balance, cit., p. 182; ID., Participación y conflictos en las sociedades italianas de socorros mutuos, cit., pp. 157-158. D’indubbio interesse è la media del 2,3% di partecipazione nella Sociedad Ligure de Socorros Mutuos, con sede nel quartiere La Boca, dove la maggior parte degli abitanti erano italiani e l’attività delle associazioni operaie fu abbastanza intensa. Infatti, nel 1901 nella sede di questa società si riunì il congresso che fondò la Federación Obrera Argentina, FOA, guidata dagli anarchici. Vd. Ivi., p. 158.

76 di nativi, la prima a stabilire contatto con la Prima Internazionale, negli anni ’60, attraverso la filiale barcellonese dell’AIL. Con il tempo, molte di queste associazioni diventarono poi società di resistenza, mentre il mutualismo etnico, più numeroso e con maggior numero di affiliati, restò indifferente alle rivendicazioni di classe. La solidarietà nazionale fra stranieri, in questo modo, rappresentò una forte concorrenza per le associazioni di mestiere. Anche se il pluriclassismo delle società etniche mise in tensione la solidarietà etnica con l’identità di classe, queste associazioni servirono ai gruppi dominanti – classe media, commercianti e imprenditori – come strumenti di «controllo» della conflittualità fra operai e padroni, promuovendo inoltre i valori che riproducevano l’ordine sociale. Per alcuni industriali il mutualismo rappresentava un modo per affrontare la questione sociale, dopodiché s’adoperarono a creare e finanziare alcune associazioni operaie. Anche gli artigiani divenuti piccoli industriali, si servirono di questo tipo di società, diffondendo al loro interno le idee di selfhelpism e di paternalismo. Socialisti e anarchici le accusarono di costituire una barriera per la partecipazione operaia alle associazioni di classe, da una parte e di rendere disponibili gruppi di crumiri in occasione dei conflitti del lavoro, dall’altra. In ogni caso, il mutualismo etnico e l’associazionismo operaio cosmopolita coesistettero in una complessa relazione di complementarietà e concorrenza.167 Come abbiamo detto un po’ prima, anche la stampa fu uno dei pilastri della presenza italiana in Argentina. Pur con una nota presenza di giornalisti italiani dalle prime immigrazioni politiche nel Plata, fu nel 1856 che l’esule mazziniano Giovanni Battista Cuneo fondò a Buenos Aires il primo giornale italiano, «La Legione Agricola». La stampa italiana successiva, almeno fino all’inizio dei grandi flussi d’immigrati italiani, fu dominata dal giornalismo politico mazziniano, ma già negli anni ‘50 i primi giornalisti peninsulari professionali erano arrivati in Argentina e dall’ultimo quarto del secolo prevalsero fra i pubblicisti italiani. In concomitanza al loro arrivo, molti periodici argentini aprirono delle sezioni in lingua italiana e importanti giornali accolsero giornalisti della penisola come redattori. «La Nación» fu il periodico che ne ospitò di più, ma furono numerosi gli italiani anche in «La Prensa», ed «El País», «El Diario» e tante altre testate della capitale e di diverse provincie ebbero fra i loro redattori giornalisti

167 Cfr. F. DEVOTO, La experiencia mutualista italiana en la Argentina: un balance, cit., p. 180-181; A. BERNASCONI, op. cit., p. 90; R. GANDOLFO, op. cit., pp. 318-331.

77 peninsulari che, nella maggior parte dei casi, provenivano dalla stampa etnica o lavoravano parallelamente anche in essa.168 Le particolari vicende politiche dell’élite italiana in Argentina diedero una peculiare dinamicità alla stampa etnica. Nel febbraio 1873 il giornale moderato «L’Italiano», che da poco si era fondato a Buenos Aires dalla fusione del repubblicano «La Nazione Italiana» con il monarchico «L’Eco d’Italia», si sciolse a causa delle differenze fra gli ex direttori dei vecchi giornali Inoltre era già uscito il «Patriota» – di Basilio Cittadini, ex responsabile de «La Nazione Italiana» –, giornale repubblicano ma di carattere moderato a causa del finanziamento ricevuto dalla Banca Italiana. Infine, «L’Operaio Italiano», diretto da un tale Valtri, annunciava la sua prossima comparsa con un programma antimonarchico, con base democratico-liberale, «che però fondando il diritto di libertà sopra quello di proprietà resterà sempre scevro dagli errori dell’Internazionale».169 Il ruolo dei giornalisti peninsulari nei dibattiti politici della comunità italiana al Plata non lasciò indifferente le autorità consolari e, di fatto, la Legazione d’Italia mantenne il Ministero degli Affari Esteri permanentemente informato sulla stampa e sui suoi redattori. Nel 1876, il Cittadini criticò sull’«Indicatore Italiano» di Milano le politiche migratorie del governo Italiano.170 Nel 1885, Michele Oro, direttore de «La Rassegna Italiana», aveva scritto alla Legazione d’Italia che il suo giornale avrebbe avuto una «tinta spiccatamente monarchica», ma invece già dal primo numero si dichiarò rispettoso di qualsiasi governo adottato in Italia.171 Nel settembre 1894, Edmondo De Amicis, che da tempo scriveva nei giornali radicali argentini «La Prensa» e «La Nación»,

168 P. SERGI, Giornalisti italiani per la stampa argentina, cit., pp. 61-69. Vd. inoltre, F. BERTAGNA, La stampa italiana in Argentina, Roma, Donzelli Editore, 2009, pp. 19-48. Sul panorama della stampa argentina all’inizio del XX secolo e particolarmente di quella politica, vd. la risposta della Legazione d’Italia a una circolare del MAE (settembre 1901), 17 marzo 1902, ASD-MAE, Serie Politica P (1891-1896), Pos. 87 Giornali e giornalisti all’estero, b. 438, 1901-1908. 169 Vd. rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 11 febbraio 1873, che inoltre allega il programma de «L’Operaio Italiano», ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248, Argentina 1867-1873 170 Vd. la copia delle comunicazioni del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires e al Ministero dell’Interno, entrambe del 1 febbraio 1877, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Registri copia-lettere in partenza, b. 1103 Argentina 1874-1888. 171 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 16 luglio e 11 ottobre 1885, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1887.

78 su quest’ultimo pubblicò un articolo critico nei confronti del governo italiano, ritenuto denigrante dell’Italia e perciò contestato da «La Patria degli Italiani» di Buenos Aires, giornale sul quale lo stesso De Amicis chiarì il suo scritto precedente.172 D’altra parte, le autorità diplomatiche italiane intervennero direttamente sulle vicende della stampa etnica, finanziando alcuni giornali. Nel 1870 la Legazione d’Italia pagò alcuni abbonamenti e diede un sussidio a «L’Eco d’Italia», giornale monarchico che controbilanciava la grande influenza de «La Nazione Italiana» e il ministro d’Italia a Buenos Aires proponeva al MAE di aiutarlo con un sussidio ancora maggiore.173 Nel 1876 il ministro degli Affari Esteri autorizzò la Legazione d’Italia a sussidiare con 500 lire a carico del proprio ministero, il giornale «L’Operaio Italiano», somma che doveva però essere presentata come una donazione personale del ministro italiano in Argentina.174 Escludendo i giornali anarchici e socialisti, tre quarti dei giornali italiani in America del Sud erano sostenuti «dietro le quinte», dal governo italiano, dai governi locali o dalle compagnie colonizzatrici. In Argentina ricevettero finanziamento da fonti diverse anche «L’Italia al Plata», «La Patria» e «Il Maldicente», tra altri.175

172 Vd. i rapporti del Consolato d’Italia e della Legazione d’Italia al MAE, 10 settembre 1894, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1891-1896; e inoltre i rapporti del Consolato d’Italia e della Legazione d’Italia al MAE, 8 novembre 1894, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 87 Giornali e giornalisti all’estero, b. 437 1891-1902. 173 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 13 giugno e 14 luglio 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248 Argentina 1867-1873. 174 Vd. la copia del dispaccio del MAE alla Legazione d’Italia, 2 dicembre 1876, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Registri copia-lettere in partenza, b. 1103 Argentina 1874-1888. 175 E. FRANZINA, op. cit., p. 184.

79 1.4. Gli italiani in Brasile fra XIX e XX secolo.

Gli immigrati italiani arrivati in Brasile, nella stragrande maggioranza, si diressero nelle zone rurali. A metà degli anni ’90, sia in Argentina sia in Uruguay, circa la metà degli italiani si dedicava ai lavori agricoli, mentre nel Brasile l’80% degli immigrati peninsulari lavoravano in agricoltura. Gli italiani, attratti soprattutto dalla proprietà della terra, ebbero in Brasile come sbocchi, la colonia agricola o la fazenda del caffè. Con i vantaggi offerti agli immigrati dal 1875, molti peninsulari, specie provenienti dal Veneto, dalla Lombardia e dal Trentino, si stabilirono nelle colonie degli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina e Paraná. In questi insediamenti, che erano privati o governativi, gli arrivati acquistavano il titolo provvisorio della proprietà, che diventava definitivo con un pagamento a rate annuali. Anche se negli stati del sud del paese gli italiani furono meno numerosi che altrove, l’insediamento in piccole proprietà permise loro di costruire «piccole Italie», le quali tuttavia condivisero un’identità più regionale che propriamente nazionale. In ogni caso, l’immigrazione italiana nelle colonie agricole diminuì drasticamente nei primi anni ‘90, sia per le condizioni dell’emigrante in esse, sia per la «concorrenza» delle fazendas.176 La vita dei peninsulari nelle colonie agricole non fu affatto facile. All’arrivo degli italiani nei territori del sud, le terre migliori erano già in possesso d’immigrati tedeschi, mentre quelle consegnate ai peninsulari erano lontane dai centri urbani e con scarse vie di comunicazione e trasporto, il che rese piuttosto difficile la commercializzazione della propria produzione. Gli immigrati italiani si dedicarono soprattutto alla produzione di sussistenza e il ruolo della donna nell’economia domestica – nella cura degli animali, nella coltivazione dell’orto e nella conservazione del cibo – risultò fondamentale. I redditi furono modesti e molti, soprattutto appena arrivati, si videro costretti a impiegarsi nei lavori pubblici, ostacolando così la formazione di classi o personaggi egemoni. Seppur molti peninsulari riuscissero a diventare proprietari, le colonie furono generalmente povere. Nelle terre private i coloni erano più indebitati, mentre nelle governative erano più abbandonati a sé stessi. Le condizioni igieniche furono pessime,

176 Cfr. A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., pp. 18-22; Z. M. F. ALVIM, O Brasil italiano (1880- 1920), cit., p. 396.

80 regnò l’assenza di assistenza e, inoltre, gli italiani dovettero sopportare l’ostilità dei coloni tedeschi.177 La stragrande maggioranza degli immigrati dalla penisola, però, si stabilì nello stato di São Paulo, legandosi all’economia del caffè. Nel 1895 più del 60% degli italiani in Brasile si trovava nello stato e l’esponenziale crescita del numero dei peninsulari fece sì che dai 30 mila italiani che abitavano questo territorio nel 1893, si passasse ai 650 mila nel 1897. Al loro arrivo nella città di São Paulo, gli immigrati erano condotti nell’Hospedaria dos Imigrantes, dove entravano in contatto con i fazendeiros e accordavano le condizioni del loro contratto di lavoro. Nello stato paulista prevalse il sistema di cottimo e in seconda battuta il salario, mentre la mezzadria fu rara nella regione, ma più generalizzata nel vicino stato di Minas Gerais. I contratti si stipularono in base a intere famiglie – poiché l’inclusione di donne e bambini risultava più economica per il fazendeiro che i contratti individuali – e la loro tipologia dipese dalla tappa in cui si trovava la coltivazione del caffè. Una volta finito il processo di piantatura del caffè, gli immigrati firmavano un contratto come coloni, che li obbligava a badare alle piante di caffè, a raccogliere i grani e a prestare servizi occasionali al padrone. Avevano assegnati l’abitazione e un piccolo terreno per la produzione domestica – i cui eccedenti potevano eventualmente commercializzare. A ogni famiglia si affidava un determinato numero di piante di caffè, a seconda della sua capacità lavorativa ed era remunerata in proporzione alla quantità di caffè raccolto.178 Le condizioni materiali e di vita all’interno delle fazendas erano molto precarie: i coloni subirono spesso maltrattamenti e raramente videro denaro. Potevano comprare il necessario con buoni e solo nei negozi di proprietà del fazendeiro, dove i prezzi erano alti. Se volevano lasciare la fazenda, gli immigrati dovevano pagare tutti i debiti e restituire i biglietti del viaggio dall’Italia, ma non avendo i mezzi sufficienti per farlo rimanevano perciò legati al padrone. Inoltre, la libertà di movimento dei coloni era molto limitata – non potevano visitare altre fazendas o andare in città – e i padroni s’assicurarono d’imporre una dura disciplina utilizzando sorveglianti. Anche se non c’è evidenza di discriminazione razziale, è evidente che i fazendeiros dimostravano ancora d’avere una mentalità schiavista. L’apprezzamento del lavoratore italiano fu solo verbale e, di fatto, i padroni si mostrarono ostili all’organizzazione familiare dell’economia

177 Cfr. A. TRENTO, op. cit., pp. 23-25; ID., Introduzione, cit., pp. XXIV-XXV; Z. M. F. ALVIM, op. cit., pp. 389-391; C. VANGELISTA, L’emigrazione femminile in Brasile, cit., p. 164. 178 Cfr. A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., pp. 25-27; Z. F. M. ALVIM, op. cit., pp. 397-399; M. S. B. BASSANENZI, op. cit., pp. 91-92.

81 domestica degli immigrati, alla conservazione delle loro pratiche tradizionali e alle richieste d’istruzione, salute e vita religiosa e persino ebbero la pretesa di disporre del tempo dei membri della famiglia, soprattutto dei figli. Con l’espediente dei viaggi gratuiti dall’Italia, l’élite paulista si aspettava di attrarre manodopera a basso costo e facilmente controllabile, vale a dire poveri che non potessero acquistare terra e che dipendessero totalmente dai padroni. Infine, le condizioni di vita nelle fazendas peggioravano nei momenti di crisi del caffè e, almeno fino al 1904, quando esse fallivano, il colono era costretto ad andare via senza ricevere il denaro che gli spettava.179 Una delle conseguenze più rilevanti dello sfruttamento subito dagli immigrati nelle piantagioni di caffè, fu l’alto tasso di rotazione e mobilità geografica dei coloni. Si stima che circa il 30% delle famiglie abbandonavano la fazenda alla fine dell’anno agricolo. Questa fu la manifestazione più diffusa di «ribellione» contro il sistema delle fazendas, anche se non ne mancarono altre, quali atti di violenza individuale e alcuni movimenti contro mancati pagamenti dei salari o tentativi di ridurne l’importo. Infatti, si produssero diversi scioperi, anche se sempre isolati e limitati a una sola piantagione, che tuttavia miravano più alla restaurazione della situazione «normale» che a un cambiamento del sistema di lavoro. L’isolamento impedì il contatto fra i coloni delle diverse fazendas, che divenne un ostacolo per azioni rivendicative o prese di coscienza comune. Solo nel 1913, nella regione paulista di Ribeirão Preto, ci fu il primo sciopero organizzato nella campagna brasiliana.180 Nonostante la debolezza della resistenza collettiva, i coloni italiani trovarono il modo per scavalcare le ostilità nelle fazendas. Sul piano economico, il ruolo che svolse la donna nella produzione domestica costituì un pilastro dell’economia familiare, mentre la «gestione» delle interazioni sessuali e di genere fatta dal capo famiglia – e non più dal fazendeiro, come succedeva con la produzione schiavista – diede agli immigrati uno spazio essenziale per la riproduzione etnico-culturale. Inoltre, il «colonato» rafforzò la solidarietà all’interno della famiglia e i legami fra gli abitanti della colonia, anche se la

179 Cfr. M. T. S. PETRONE, op. cit., pp. 12-23; A. TRENTO, op. cit., p. 29; E. FRANZINA, op. cit., p. 166; Z. F. M. ALVIM, op. cit., p. 400. Anche le condizioni igieniche e sanitarie furono piuttosto scarse. I bambini rischiavano la morte fin dal parto a causa di malattie infettive e parassitarie, rendendosi i più sensibili ai fattori ambientali e alla mancanza d’igiene. Tuttavia, anche la salute degli adulti era minacciata dalle precarie condizioni sanitarie. Vd. M. S. B. BASSANENZI, op. cit., pp. 106-110. 180 Cfr. B. FAUSTO, Trabalho urbano e conflito social, São Paulo, DIFEL, 1986, p. 21; Z. F. M. ALVIM, op. cit., p. 401; E. FRANZINA, op. cit., pp. 170-171; A. TRENTO, Introduzione, cit., p. XXVIII.

82 vita associativa si restringeva a feste e cerimonie all’interno della propria fazenda – solo occasionalmente i coloni poterono assistere a eventi simili in altre fazendas o in città. Nel limite del possibile, gli immigrati italiani ricrearono le proprie strutture comunitarie, le quali esclusero però il «diverso» – gli schiavi e i suoi discendenti non erano benvenuti nelle fazendas – quale meccanismo di protezione della famiglia e della comunità diretto a impedirne la segregazione.181 D’altra parte, non era abituale che le famiglie riuscissero a risparmiare sufficiente denaro per acquistare della terra e quando ciò accadeva – solo nei primi anni dell’emigrazione – i terreni procurati furono piuttosto piccoli. Lo sfruttamento nelle fazendas e l’assenza di ceti medi nelle aree rurali, fecero dell’ascesa sociale una realtà molto limitata. Tuttavia, secondo l’Estatística Agrícola Zootéecnica del 1905, sul totale di 56.931 proprietà esistenti nello stato di São Paulo, il 9,1% apparteneva a italiani, mentre nel 1920 la percentuale aumentò al 14,6% su 80.921 proprietà.182 Nell’ambito urbano, la presenza italiana si concentrò specialmente a São Paulo, città che cambiò la sua fisionomia grazie all’arrivo degli immigrati. Nel 1890, São Paulo aveva solo 65 mila abitanti e dieci anni dopo, la sua popolazione raggiunse i 240 mila. Secondo il censimento del 1893, quando la sua popolazione era di 130 mila abitanti, il 54% era straniero ed era anche straniero più dell’80% dei lavoratori dell’industria. Nel 1890 São Paulo era la quinta città più grande del Brasile e nel 1900 occupava già il secondo posto, seppur ancora lontana dalla popolazione capitale federale, dove gli immigrati arrivati fra il 1890 e il 1900 però furono soltanto 70 mila. Nella capitale paulista la presenza degli stranieri e particolarmente d’italiani – che ne costituirono la maggior parte –, modificò in tal modo i costumi della città, e nella vita quotidiana s’allargò l’uso del «portuliano», un particolare idioma nato dalla mescolanza fra l’italiano e il portoghese.183

181 Cfr. M. T. S. PETRONE, op. cit., pp. 24-25; M. S. B. BASSANENZI, op. cit., pp. 92; C. VANGELISTA, op. cit., p. 165. Sulla migrazione femminile a São Paulo, vd. MARIA IZILDA S. MATOS e ANDREA BORELLI, Luces y sombras: mujeres inmigrantes italianas, Sao Pãulo 1890-1940, in M. R. STABILI e M. TIRABASSI (a cura di), Donne migranti tra passato e presente: il caso italiano, «Genesis», a. XIII, n. 1, 2014, pp. 49-66. 182 Cfr. A. TRENTO, op. cit., p. XXXI; ID., L’integrazione politica ed economica degli italiani in Brasile, in M. SAIJA (a cura di), op. cit., p. 422-423; Z. F. M. ALVIM, op. cit., p. 402. 183 Cfr. M. HALL e P. S. PINHEIRO, Immigrazione e movimento operaio in Brasile: un’interpretazione, in J. L. DEL ROIO (a cura di), op. cit., p. 39; B. FAUSTO, op. cit., pp. 17-29; Z. F. M. ALVIM, op. cit., p. 414. Nel periodo 1890-1920, mentre Buenos Aires passò dai 630 mila abitanti a 1,6 milioni e Montevideo dai 60 mila ai 300 mila, São Paulo passò da 64 mila a 580 mila persone, aumentando nove volte la sua popolazione, la crescita più vistosa fra le città sudamericane all’epoca. Vd. C. VANGELISTA, L’immigrazione italiana in

83 Verso l’inizio del secolo XX, circa un terzo degli italiani in Brasile era localizzato nei centri urbani, svolgendo i più svariati mestieri, come sarti, calzolai, muratori, barbieri, falegnami, albergatori e camerieri. Nell’artigianato e nel commercio, specie a São Paulo, i peninsulari avevano quasi il monopolio. Soprattutto nella crescente capitale paulista, le occupazioni e i mestieri erano in gestazione, per cui gli immigrati dalla penisola non entrarono in concorrenza con i lavoratori locali. Questo mondo urbano rappresentò il migliore terreno di mobilità sociale, poiché offrì un vasto campo per il lavoro manuale e, grazie all’esiguità dei ceti medi locali, anche per quello non manuale. In ogni caso, oltre al «monopolio» del piccolo commercio e dell’attività artigianale, gli italiani prevalsero largamente anche fra il proletariato di fabbrica. Nel 1901, sui 50 mila lavoratori industriali di São Paulo, il 90% era italiano, inclusi donne e minorenni. Le donne italiane furono impiegate soprattutto nei laboratori artigianali, nell’industria tessile, dell’abbigliamento e nel commercio. Molte di esse arrivarono in città con le loro famiglie emigrando dalla campagna paulista e videro trasformarsi ancora una volta le dinamiche dell’economia domestica, da allora retta dal salario e non più dal lavoro familiare. Anche l’insediamento degli immigrati italiani nella città, acquistò una dinamica propria e i nuovi proletari si stabilirono nelle aree dove precedentemente si erano istallate le industrie, vale a dire in zone di periferia e senza servizi – e perciò più economiche –, dando vita ai «quartieri italiani» della capitale paulista: Mooca, Brás e Bom Retiro.184 Come sostiene Boris Fausto, i flussi migratori non arrivarono nello stato di São Paulo esclusivamente per sostituire la manodopera schiava. Un anno prima dell’abolizione della schiavitù c’erano 107 mila schiavi nella ragione, ma da allora fino al 1900 entrarono nello stato 600 mila immigrati. Questo grande aumento del potenziale lavorativo, che permise anche l’ampliamento del mercato del lavoro e di quello del consumo, favorì la crescita di un’economia in espansione. In concomitanza, l’abbondante offerta di manodopera fece sì che i salari rurali diminuissero, situazione che sicuramente influì sulla migrazione dalla campagna verso la città, rafforzando così la formazione di un esercito industriale di riserva nella capitale paulista. Anche a Rio de Janeiro si creò

America Latina, cit., p. 380. 184 Cfr. A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., pp. 30-31; ID., L’integrazione politica ed economica degli italiani in Brasile, cit., p. 424; Z. F. M. ALVIM, op. cit., p. 404-405; C. VANGELISTA, L’emigrazione femminile in Brasile, cit., pp. 166. Secondo Michael Hall e Paulo Pinheiro, nel 1900 il 92% degli operai industriali nello stato di São Paulo erano stranieri e l’81% d’origine italiana. Vd. M. HALL e P. S. PINHEIRO, op. cit., pp. 39-40.

84 quest’esercito di riserva, grazie però all’arrivo degli ex schiavi che avevano lasciato le fazendas di São Paulo. In questo modo, nei centri urbani si ebbe un meccanismo strutturale che contribuì alla depressione dei salari e alla riduzione della portata delle lotte operaie. I salari urbani, di fatto, furono sempre legati a quelli della produzione del caffè – li superarono di poco – e con i loro bassi livelli, condizionarono la diffusione della manodopera minorile e femminile. Come nelle fazendas, anche nell’industria di São Paulo s’impose il sistema del cottimo, mentre ritardi nei pagamenti degli stipendi, diminuzioni dei salari, libertà di licenziamento e mancanza di previdenze e d’indennità per infortunio, completarono il panorama delle sfavorevoli condizioni del lavoro.185 Nelle città pauliste, come si è già detto, gli immigrati costituirono la maggioranza della classe operaia e furono una parte importante del proletariato di Rio de Janeiro. In particolare, gli italiani prevalsero fra gli operai nei diversi settori dell’industria paulista, mentre spagnoli e portoghesi dominarono nei lavori del porto di Santos. L’eterogeneità etnica della classe operaia rese difficoltosa la cooperazione e l’organizzazione e, infatti, le ostilità fra nazionalità – e anche fra i regionalismi di uno stesso paese –, così come le aspettative degli stranieri di una rapida mobilità sociale, condizionarono l’insuccesso di scioperi e sindacati. Le animosità fra stranieri – e fra questi e i nativi – non furono il risultato però unicamente delle differenze nazionali, ma anche della concorrenza della forza lavoro nel mercato locale. I portoghesi, ad esempio, che erano meno qualificati degli altri immigrati e arrivarono più tardi in Brasile, concorsero in svantaggio per i limitati posti di lavoro, riempendo non di rado le file dei crumiri ed essendo considerati perciò come privi di coscienza di classe.186 Con i loro grandi afflussi, gli immigrati peninsulari furono apprezzati per l’élite italiana non solo perché crearono un grande mercato consumatore, ma anche perché misero i loro risparmi nelle banche italiane, ingrossando la disponibilità di capitale iniziale per gli investitori. Intanto, nelle città brasiliane si andò sviluppando un ceto

185 Cfr. B. FAUSTO, op. cit., pp. 17-28; A. TRENTO, Là dov’è la raccolta del caffè. L’emigrazione italiana in Brasile, 1875-1940, Padova, Editrice Antenore, 1986, pp. 321-323; M. HALL e P. S. PINHEIRO, op. cit., p. 38. 186 Cfr. M. HALL e P. S. PINHEIRO, op. cit., 39-41; B. FAUSTO, op. cit., pp. 35-36. Secondo Fausto, occorre non esagerare sul ruolo delle differenze nazionali quale ostacolo all’organizzazione operaia. L’«omogeneità etnica» della manodopera industriale a São Paulo, prevalentemente d’origine italiana, non implicò un associazionismo operaio più organizzato di quello di Rio de Janeiro ma permise soltanto una maggiore diffusione e influenza delle ideologie rivoluzionarie. Nonostante ciò, lo stesso Fausto mostra come nel 1908, a Rio de Janeiro, il trionfo dei portoghesi nelle elezioni del comitato direttivo della Sociedade de Resistência dos Trabalhadores em Trapiche e Café, fino ad allora sotto il controllo dei brasiliani neri e mulatti, provocò un disordine che finì con un morto, diversi feriti e la diminuzione degli iscritti da quattromila a duecento. Ivi., p. 36-37.

85 medio massoneggiante che ebbe a sua disposizione mezzi finanziari e alcuni giornali, il quale però ebbe poco contatto con i contadini e con i braccianti del caffè. La grande emigrazione aiutò lo sviluppo di un’élite che nel 1902 possedeva 36 fabbriche a São Paulo e circa mille fazendas nello Stato. Intanto, nello stesso anno 12 mila immobili nella capitale paulista erano proprietà d’italiani, cifra che aumentò del 49,4% nel 1910. Nonostante questo apparente successo, la città non fu affatto sinonimo di ascesa sociale per gli emigrati e, infatti, per molti di essi la vita urbana significò la proletarizzazione: numerosi italiani riuscirono a liberarsi dai maltrattamenti nelle fazendas, ma non dalla povertà.187 La prevalenza degli italiani nelle fabbriche pauliste rese praticamente impossibile il loro contatto con i nativi nel luogo di lavoro. Fu nei quartieri popolari in cui s’insediarono i proletari italiani che l’incontro ebbe luogo, soprattutto nelle abitazioni collettive o cortiços. Anche nella ruralità si vide un certo ambiente di multiculturalismo: le circa quaranta colonie agricole dello stato di São Paulo erano abitate da immigrati di diverse nazionalità, i quali erano in rapporto con i nativi. Questo multiculturalismo, però, non fu sinonimo d’integrazione e specialmente nelle colonie ci furono espressioni di razzismo da parte degli italiani nei confronti degli indigeni e in grado minore anche dei negros. I sentimenti di paura e repulsione verso i primi provocarono una netta chiusura nel loro confronto, mentre verso la gente di colore gli atteggiamenti dei peninsulari variarono dalle tensioni ai processi d’integrazione.188 Tra le funzioni che l’élite brasiliana attribuì ai progetti di colonizzazione, quasi tutti d’ordine economico, ci fu anche quella di assicurare un consistente contingente demografico socialmente ideale, cioè una popolazione bianca, europea, latina e cattolica romana, con lo scopo di controbilanciare il peso numerico dei non bianchi. Da una prospettiva multirazziale e «miscelazionista», la pretesa era quella d’eliminare l’«alterità etnica», il che puntava a creare una certa omogeneità razziale, sociale e culturale in cui si potesse riconoscere la «brasilianità». Oltre le pretese ideologiche, si produsse un clima culturale sincretico che creò un codice comunicativo nuovo, rendendo possibile il dialogo fra italiani e nativi. Tuttavia, i peninsulari non riuscirono a percepire l’impostazione

187 Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 154; Z. F. M. ALVIM, op. cit., pp. 411-415; A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., p. 30. 188 Cfr. A. TRENTO, L’integrazione politica ed economica degli italiani in Brasile, p. 427; J. B. B. PEREIRA, L’immigrante italiano nel mondo rurale paulista. Una visione antropologica del processo migratorio, in R. COSTA E L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., p. 141; E. FRANZINA, op. cit., p. 164.

86 assimilazionista della politica culturale dell’élite. Quello che avvertirono, invece, fu la politica repressiva nel campo sociale, il che diede origine a rivendicazioni collettive che costituirono la base della «rivolta» italiana contro la società brasiliana. Fu in questo momento che l’élite locale, bollò gli italiani come un gruppo indesiderato che propagava ideologie minacciose contro l’ordine pubblico.189 La prospettiva assimilazionista dei gruppi dirigenti del paese sudamericano, portò il governo brasiliano, nel dicembre 1889, a firmare un decreto che imponeva agli stranieri la naturalizzazione obbligatoria. Tutti gli immigrati residenti in Brasile prima del 15 novembre 1889 – e quelli arrivati dopo la firma del decreto ma con un periodo di due anni di residenza – erano considerati brasiliani, a meno che chiedessero esplicitamente la conservazione della nazionalità d’origine. Se entro sei mesi gli stranieri non facevano questa richiesta, automaticamente rinunciavano alla propria cittadinanza e diventavano cittadini del Brasile. L’Italia e altri paesi europei protestarono contro la misura del governo brasiliano, tuttavia questo ribadì la sua risoluzione sostenendo che si adattava al diritto internazionale. In ogni caso, il governo italiano non riconobbe mai il detto decreto.190 Oltre alle pretese assimilazioniste del governo, l’ostilità verso lo straniero ebbe diverse manifestazioni di violenza in innumerevoli episodi. Anche se gli italiani che lasciarono la penisola si erano «liberati» dalla fame, nel Brasile trovarono un «netto arretramento sul piano della sicurezza». Nelle fazendas, gli abusi e i maltrattamenti contro gli immigrati, ormai equiparati agli schiavi, si moltiplicarono a dismisura già dal 1885. I padroni utilizzarono uomini di colore, i capangas, per punire le «insolenze» dei coloni e all’interno delle piantagioni di caffè vessazioni e uccisioni non furono inusuali. Queste prepotenze costituirono una delle ragioni che motivarono la firma del decreto Prinetti del 1902, il quale trovò l’opposizione della borghesia italiana a São Paulo – specie negli ambienti commerciali armatoriali –, in identità d’interessi con i fazendeiros. Non a caso alcuni degli agenti consolari italiani nel Brasile – gli stessi che ricevevano i reclami dai coloni delle fazendas – avevano interessi economici e legami commerciali con i padroni del caffè o persino erano diventati proprietari di colonie: è il caso del console

189 J. B. B. PEREIRA, op. cit., pp. 144-149. 190 Sul decreto di naturalizzazione automatica del 14 dicembre 1889 e alcune reazioni diplomatiche, vd. la cartella Naturalità al Brasile, ASD-MAE, Gabinetto Crispi (1870-1891), Carteggio, b. 6, fasc. 3, s/fasc. b Brasile (1889-1890)

87 Pasquale Corte, che a Bento Gonçalves, stato di Rio Grande do Sul, ne aveva acquistate cinquanta di circa trenta ettari l’una.191 L’ambiente di violenza contro lo straniero non si restrinse alle fazendas, ed ebbe moltissime vicende nelle grandi città, ancora prima dell’inizio della grande immigrazione. Nel settembre 1880, un gruppo di capangas – chiamati anche capoeiros – capeggiati da due figli di un visconte brasiliano, provocarono due militari italiani in un luogo pubblico a Rio de Janeiro, senza che la polizia intervenisse. Anzi, il capo di polizia della capitale pubblicò sul «Jornal do Commercio» una circolare ai suoi dipendenti, dichiarando che i delitti contro la sicurezza individuale e pubblica erano «praticados por imigrantes italianos que na maior parte nao vêm para esta cidade exercer industria util andando sempre armados de revorvers e punhaes». Il ministro d’Italia in Brasile fece arrivare il suo reclamo al ministro brasiliano degli Affari Esteri, il quale sostenne che il capo della polizia si riferiva a un gruppo particolare d’italiani e che, in ogni caso, il governo imperiale non riconosceva la circolare come ufficiale.192 Il contegno anti-straniero del governo e della polizia brasiliani, particolarmente nei primi anni ’80, si mischiò con la repressione della propaganda repubblicana. Nel 1883, la sede del giornale repubblicano «Corsario» fu assalita da gruppi di esaltati diretti da agenti segreti, mentre in seguito alcuni dei suoi redattori stranieri furono espulsi dal Brasile. Tempo dopo, il periodico fu ancora una volta assaltato, in quest'occasione, da un gruppo di militari che si erano offesi per alcuni articoli pubblicati dal giornale. Pochi giorni dopo, infine, il direttore del giornale fu ucciso fuori dall’ufficio della polizia, scatenando violente proteste nei giorni successivi. Seppur i protagonisti di queste manifestazioni fossero soprattutto capoieras, il capo della polizia volle approfittare dell’occasione e cercò di fare approvare provvedimenti anche contro gli stranieri, i quali però non ebbero successo.193 L’anno successivo, l’italiano Giovanni Volardi fu arrestato per la vendita del giornale «O Republicano» e, in seguito, con l’accusa di pericoloso sovversivo e collaboratore del detto giornale – nonostante fosse analfabeta – fu decretata

191 E. FRANZINA, op. cit., pp. 172-180. 192 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Benedetto Cairoli, Presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri, 1° ottobre e 30 novembre 1880, e gli allegati, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888. Sulla circolare del capo di polizia di Rio de Janeiro, vd. Uso de armas proibidas, in «Jornal do Commercio», Rio de Janeiro, 21 settembre 1880, e in «Diario Official», Rio de Janeiro, 23 settembre 1880. 193 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 1° novembre 1883 e 7 gennaio 1884, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888.

88 la sua espulsione dal paese. Dopo qualche mese di incarcerazione, Volardi fu liberato con l’intervento del ministro italiano.194 In ogni caso, la violenza contro gli italiani non riguardò soltanto vicende politiche. Nel 1893, a Theresina, nella provincia di Piauhy, l’italiano Biagio Martini subì un tentativo di assassinio dagli uomini di un colonnello brasiliano, dopo aver avuto una lite con il figlio dell’ufficiale per una donna. L’italiano fu anche derubato, poi incarcerato e infine condannato ai lavori forzati. La vicenda fu talmente illegittima e arbitraria, che persino alcuni giornali brasiliani, come «A Epoca» e «Brazil», presero la difesa del peninsulare denunciando una montatura giuridica per incriminare Martini come aggressore, mentre alcuni giornali italiani del Brasile accusarono i rappresentanti diplomatici per la loro inefficienza nella difesa del compatriota.195 Nel febbraio 1893, nello stato di Rio Grande do Sul scoppiò una sollevazione armata contro il governo dello stato a favore di una maggiore autonomia. A maggio dello stesso anno, il governo della repubblica pretendeva che la Rivoluzione Federalista fosse finita, tuttavia il presidente brasiliano riconobbe che nel maggio 1895 il conflitto continuava sotto la forma di guerriglia e che a ottobre si svolgevano ancora negoziati di pace. Durante la rivoluzione, l’azione dei federalisti di Rio Grande fu contrastata da alcune reazioni violente da parte dei coloni, che a loro volta resero più severe le vessazioni dei ribelli. In risposta, fra i coloni emersero alcuni «capipopolo», come il mantovano Dante Maccari, che creò una banda armata con altri trenta italiani per contrapporsi ai maragatos, diventando un eroe popolare dei peninsulari. A Curitiba, nello stato di Paraná, l’italiano Francesco Colombo Leoni organizzò un battaglione di connazionali per combattere il governo federale ma in seguito dovette scappare, prima in Uruguay e poi in Argentina. In ogni caso, non solo il sud del Brasile era in ribellione. Il 6 settembre 1893, a Rio de Janeiro, la Marina brasiliana si sollevò contro il governo, che reagì dichiarando lo stato d’assedio. La sommossa durò solo alcuni giorni, ma il governo mantenne le misure repressive qualche mese e, anzi, lo stato d’assedio fu dichiarato pure 194 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 10 luglio 1884, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888. Secondo il ministro d’Italia, Volardi avrebbe confessato d’essere stato agente del capo di polizia precedente. 195 Sulla vicenda Martini, vd. Para o sr. Ministro da justiça ler, in «A Epoca», Theresina (Piauhy), a. VI, 26 agosto 1883. Inoltre vd. «Brazil», Rio de Janeiro, 25 aprile 1884; «La Voce del Popolo», Rio de Janeiro, 3 e 10 maggio 1884; L’altra campana, in «Giornale Italiano», Rio de Janeiro, a. II, 11 maggio 1884. Gli articoli citati si trovano in ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277, Brasile 1880-1888.

89 negli stati di São Paulo, Santa Caterina, Rio Grande do Sul e Paranà. Fra le varie misure, il governo impose l’espulsione degli stranieri accusati dei reati di stampa e d’impedimento alla libertà di lavoro, e il «facoltativo» divieto di entrata ai forestieri che volessero recarsi nel paese.196 I momenti d’agitazione e convulsione politica, specie quelli che coinvolsero movimenti armati, furono i più critici per gli stranieri, soprattutto per gli italiani, che diventarono i capri espiatori delle crisi del paese. Poliziotti e militari, ma anche cittadini brasiliani, trovarono nella violenza la via per risolvere i conflitti e le tensioni che il fenomeno migratorio aveva provocato nel paese. Durante tutti gli anni ’90 si ripeterono episodi di abusi, maltrattamenti, aggressioni, saccheggi e persino uccisioni di italiani in diverse città brasiliane, soprattutto a Rio de Janeiro, São Paulo e Santos, ma anche in piccoli paesi. Non mancarono nemmeno, arresti arbitrari ed espulsioni irregolari dal paese. Insomma, guardano il materiale conservato nell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, sembra che la violenza subita dagli italiani nel Brasile non fu l’eccezione, bensì la regola.197 Uno dei più grandi conflitti vissuti dagli italiani a São Paulo, ebbe luogo nell’agosto 1896, quando diversi gruppi di studenti della Facoltà di diritto promossero

196 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 5 maggio (con messaggio presidenziale) e 15 ottobre 1893, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 280, fasc. Rapporti politici 1893. Vd. anche il messaggio del presidente dello Stato di Rio Grande do Sul all’assemblea dei rappresentanti, 20 settembre 1895, e il messaggio del presidente della Repubblica al Congresso Nazionale, 8 maggio 1895, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 281, fasc. Rapporti politici 1894-1895. I decreti presidenziali riguardanti lo stato d’assedio, firmati il 13 ottobre 1893, n. 1564 sui luoghi di detenzione, n. 1565 sulla libertà di stampa e n. 1566 sull’entrata ed espulsione di stranieri, si trovano in ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 280, fasc. Rapporti politici 1893. Su Dante Maccari vd. E. FRANZINA, op. cit., p. 163-164; H. DONATO, Dante Maccari: guerrilhero popular, São Paulo, Pannartz, 1983. Su Francesco Colombo Leoni, vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Rio de Janeiro inviato al MAE, 25 aprile 1895, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1891-1896. 197 Oltre al materiale che si trova nelle carte dei rapporti politici dal Brasile (ASD-MAE, Serie Politica P 1891-1896), più di millecinquecento fascicoli – nella loro stragrande maggioranza contenenti i reclami dei cittadini italiani contro ogni tipo di abuso subito nel paese sudamericano –concentrati negli anni ’90 dell’Ottocento, si trovano in ASD- MAE, Serie Z – Contenzioso, Pos. P 35 Brasile, bb. 54-87. Vd. in particolare b. 52, fasc. 936, Riassunti dei reclami italiani contro il Brasile fatto dalla R. Legazione di Rio di Janeiro (1896-1898); b. 54, fasc. 940, Reclami d’italiani al Brasile (1892-1894); b. 57, fasc. 946, Elenchi di reclami di italiani in Brasile; e infine b. 60, fasc.i 954, 957, 958, 961-967, riguardanti avvenimenti in cui gruppi d’italiani furono vittime di violenze e abusi. La quasi totalità dei fascicoli della serie riguarda reclami individuali.

90 alcuni comizi contro l’approvazione del protocollo che stabiliva le indennità per gli italiani vittime della rivoluzione federalista degli anni 1893-1895. Lo stato di agitazione esplose fra i giorni 22 e 26, quando la città – compresi i «quartieri italiani» di Brás e Bom Retiro – vide innumerevoli scontri fra brasiliani e italiani che lasciarono vari morti e feriti. Un ufficio di polizia fu attaccato da un gruppo d’italiani, un gruppo di nativi invase e saccheggiò la sede del giornale italiano «Fanfulla», mentre a Bom Retiro altri brasiliani strapparono la targa della Rua dos Italianos, generando violenti scontri.198 Nel marzo 1904, un nuovo tentativo rivoluzionario a Rio de Janeiro finì per provocare lo stato d’assedio nella città e alcuni italiani furono arrestati. Anche se a São Paulo lo stato d’assedio non era stato dichiarato, alcuni italiani furono comunque detenuti in quella città e poi trasferiti nella capitale federale. Una cinquantina d’italiani, insieme ad altri arrestati – tra essi molti portoghesi – furono trasferiti alla Ilha das Cobras, dove alcuni di loro furono liberati e altri deportati all’Acre, seppur il capo della polizia avesse assicurato che gli stranieri non sarebbero stati espulsi e, in ogni caso, le misure da prendere si sarebbero accordate con le rispettive autorità consolari.199 Secondo Boris Fausto, così come non sarebbe esistita una xenofobia manifesta e permanente all’interno dei gruppi nazionali stranieri, neanche l’élite avrebbe avuto ragioni per incentivare il razzismo, che sarebbe stato contraddittorio con il suo progetto di stimolare l’immigrazione di manodopera «industriosa e dócil». Nonostante ciò, la violenza contro gli stranieri si manifestò in maniera permanente e sistematica. Infatti, la violenza «diffusa e istituzionalizzata» subita nel paese straniero fu uno dei principali segni d’unificazione dell’esperienza immigratoria e contribuì a rafforzare soprattutto l’identità etnico-culturale e, in un secondo momento, la coscienza di classe.200 Gli abusi e i maltrattamenti subiti dai coloni italiani nelle fazendas e nelle città, ma anche lo smantellamento delle strutture sociali premigratorie, permisero che il «vuoto simbolico» fosse sostituito da un «nazionalismo popolare». Tuttavia, per molti anni prevalsero sentimenti regionalisti, ne è un esempio il fatto che ancora nel 1896 a São Paulo, le associazioni etniche degli italiani avevano soltanto basi regionali e non c’era

198 B. FAUSTO, op. cit., pp. 33-34. Vd. anche ASD-MAE, Serie Z – Contenzioso, Pos. P 35 Brasile, b. 60, fasc. 954, 958, 962, 963, 965, 966; b. 83, fasc. 1462. Sul saccheggio della sede del «Fanfulla», vd. ASD-MAE, Serie Z – Contenzioso, Pos. P 35 Brasile, b. 79, fasc. 1372 Rotellini Vitaliano. 199 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 7 e 9 dicembre 1904, e il rapporto del Commissario PS in Brasile alla Legazione d’Italia, 7 dicembre 1904, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 283, fasc. Rapporti politici 1902-1914. 200 Cfr. B. FAUSTO, op. cit., p. 33; E. FRANZINA, op. cit., pp. 69-70.

91 alcun circolo propriamente «nazionale», mentre esistevano già società nazionali di altri emigranti europei. Più tardi, però, l’élite italiana del Brasile si adoperò in modo risoluto all’appello patriottico e del sentimento nazionale, il che, insieme ad azioni paternalistiche, puntava a coadiuvare lo sfruttamento dei lavoratori italiani, come successe in Argentina anni prima. Tuttavia, la consapevolezza dell’«essere italiani» fra gli immigrati era già stata favorita dalla visione globale che l’ostile società brasiliana sviluppò nei loro confronti. Vale a dire che essi scoprirono questa nuova identità nella relazione e nel raffronto con la società ospitante e con gli altri gruppi di stranieri.201 A differenza delle colonie italiane del sud del Brasile, dove la vita associativa fu piuttosto chiusa a causa dell’isolamento degli insediamenti e dell’omogeneità regionale, il contatto con l’altro nelle città – più «obbligato» che spontaneo – spinse molti italiani a rinchiudersi in forme associative etniche. Nel 1906, nello stato di São Paulo, c’erano 150 scuole di lingua italiana con 11 mila studenti, delle quali cinquanta nella sola capitale. Altri progetti di carattere culturale, però, ebbero diversa sorte, come l’insediamento «quasi burocratico» della Società Dante Alighieri, che non sopravvisse a lungo. Maggiore successo, invece, ebbero le società di beneficenza e soprattutto quelle di mutuo soccorso che, non a caso, furono le prime a formarsi fra gli italiani.202 A São Paulo, le prime società di mutuo soccorso si costituirono nel 1859 – la Sociedade Artística Beneficente e la Real e Benemérita Sociedade Portuguesa de Beneficência – ma fu dagli anni ‘90 che aumentarono in numero e importanza. Nei primi anni del secolo XX, la costituzione di un importante mercato interno alla città, permise lo sviluppo del settore dei servizi e una prima espansione industriale. In concomitanza con l’eccesso di forza lavoro e con la svalutazione dei salari, entrambi risultato della crisi del caffè, questo tipo d'associazione trovò uno stimolo definitivo. In questo scenario, le associazioni mutualiste italiane furono predominanti: sulle 73 società straniere fondate a São Paulo fra il 1898 e il 1929, 34 erano italiane, mentre nel periodo fra il 1878 e il 1905 i peninsulari fondarono 23 società di mutuo soccorso nella città. Nel 1906 esistevano nello stato di São Paolo 136 società italiane di mutuo soccorso, 33 delle quali nella capitale, numero che aumentò a 182 in tutta la regione nel 1908, e a 392 nel 1912. Le prime società italiane che si fondarono nella principale città paulista, furono la Società Italiana di Beneficenza de São Paulo nel 1878 e la Società Italiana de Beneficenza

201 Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 177; A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., p. 32; ID., Le associazioni italiane a São Paulo, 1878-1960, in F. DEVOTO ed E. MÍGUEZ (comps.), op. cit., pp. 38-39; T. R. DE LUCA, op. cit., p. 391. 202 Cfr. A. TRENTO, Miseria e speranze, cit., p. 31; ID., Le associazioni italiane a São Paulo, 1878-1960, cit., p. 35.

92 Vittorio Emanuele II nel 1879, quest’ultima dopo una prematura scissione della prima.203 Riguardo a questa divisione, il ministro d’Italia in Brasile sosteneva nel 1885, che non sembrava opportuno proporre la riunione delle associazioni, poiché le divisioni fra loro non erano «vere» ma differenze fra i capi e, infatti, i soci di entrambe le società si «affratellavano» nel Circolo Operaio. 204 Come in Argentina, le società di mutuo soccorso in Brasile, e particolarmente a São Paulo, ebbero caratteristiche e scopi diversi. Ci furono società organizzate secondo categorie professionali, «etnie», quartiere e religione e la maggior parte stipulò restrizioni di carattere politico, morale o ideologico. Alcune associazioni mutualistiche, come si è accennato un po’ prima, furono fondate e dirette da industriali sotto una matrice paternalistica. Molte delle società organizzarono anche attività ricreative e di divertimento, feste, balli e giochi che, oltre a permettere l’autofinanziamento delle associazioni, costituirono momenti eccezionali in cui gli immigrati si trovarono per svago e, allo stesso tempo, per rivivere le proprie tradizioni. Nonostante ciò, anche se le società italiane furono numerose, il numero di soci fu piuttosto basso – sempre al di sotto degli iscritti nelle associazioni italiane in Argentina –, al punto che nel 1896 la media era di 91 iscritti a società, mentre nel 1908 era di soli 57 soci. Soltanto la paulista Società Italiana di Beneficenza ebbe costantemente diverse centinaia di membri.205 In ogni caso, le società mutualistiche costituirono spazi di appoggio per gli immigrati italiani, in cui s’intendeva perpetuare i legami con la terra d’origine, mitizzandola, per rispondere all’ostile accoglienza che gli avventizi trovarono nel Brasile. La maggior parte di queste società ebbe una base provinciale e regionale, ma altre tentarono di modellare un’identità nazionale con lo scopo di materializzare nel campo associativo l’idea di una «comunità italiana». Fecero appello al sentimento patrio da una prospettiva nazionale piuttosto che culturale e tentarono d’imporre una moralità che

203 Cfr. T. R. DE LUCA, op. cit., pp. 383-386; A. TRENTO, op. cit., p. 31-32. 204 Il ministro italiano in Brasile scrisse al MAE dopo aver partecipato alla cerimonia in cui si mise la «pietra fondamentale» dell’Ospedale Italiano a São Paulo, iniziativa promossa dalla Società Italiana di Beneficenza di quella città. Il ministro propose di nominare l’ospedale come Umberto I, mentre il Conte di Três Rios, ricco fazendeiro, fece una grande donazione per la sua costruzione e in conseguenza fu dichiarato «padrino» dell’ospedale. Vd. rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 8 giugno 1885, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277, Brasile 1880-1888. Sulla Società Italiana di Beneficenza, vd. lo Statuto e il Resoconto dell’anno 1887, ASD-MAE, Gabinetto Crispi (1870-1891), Carteggio, b. 4, fasc. 3, s/fasc. D Colonie italiane all’estero. 205 Cfr. T. R. DE LUCA, op. cit., pp. 385-396; A. TRENTO, op. cit., pp. 32-34.

93 servisse alla preservazione dell’immagine del proprio paese, sia attraverso l’ideologia del lavoro, sia attraverso l’ideologia dell’alta civilizzazione straniera, entrambe in accordo con le aspettative che l’élite locale aveva sugli immigrati. Alcune di queste società insegnarono l’uso della lingua italiana – e anche del portoghese –, non tanto per rafforzare il vincolo con l’Italia, quanto per crearlo e, per creare la comunità italiana stessa nel Brasile. In ogni caso, il discorso della «nazione italiana» fu un discorso omogeneizzatore che scuriva la realtà dell’immigrazione dalla penisola. Le divisioni regionali e di classe furono superate dall’identità nazionale solo a «livello dell’apparenza» e molti lavoratori si accostarono a essa cercando d’affrontare le avverse condizioni dell’esistenza in Brasile.206 Esempio delle società promosse dagli immigrati borghesi fu la Società Italiana di Beneficenza. Anche se nacque con lo scopo di creare un ospedale per la comunità italiana a São Paulo, quest’associazione non fu il frutto del lavoro collettivo dei suoi membri e, anzi, costituì un meccanismo di riproduzione e diffusione del dominio dell’élite italiana. Verso il 1904 questa società aveva vissuto diversi cambiamenti al suo interno, ma il suo ruolo nella perpetuazione della supremazia dell’élite aveva ancora piena conferma nel fatto che il console italiano, per statuto, era nominato presidente onorario dell’associazione e poteva partecipare alle assemblee, seppur con solo voto consultivo. Lo stesso anno fu inaugurato l’Ospedale Umberto I, grazie all’apporto finanziario generalizzato della «colonia», ma soprattutto grazie ai contributi degli «eminenti» italiani in Brasile, tra i quali il noto imprenditore Francesco Matarazzo. Nonostante le aspettative, durante i primi vent’anni di funzionamento del centro assistenziale, ebbero luogo numerose polemiche riguardo agli insoddisfacenti risultati.207 In ogni caso, le società italiane di mutuo soccorso erano lontane dal circoscriversi alla sola influenza dell’élite e a São Paulo nacquero anche associazioni costituite quasi esclusivamente da lavoratori manuali, come la Società Guglielmo Oberdan, nata nel 1889, o la Società Operaia Italiana di Mutuo Soccorso Barra Funda, fondata nel 1905. Ci furono anche molti sodalizi localisti e regionalisti, come la Popolare Emiliana, i quali si diffusero in tutto il Brasile e si accomunarono maggiormente sotto un sentimento di fedeltà alla monarchia. Nella capitale paulista le società più importanti furono la Società di Mutuo Soccorso Principe di Napoli e soprattutto la Società Galileo Galilei. I dirigenti italiani, però, vi si insinuarono e portarono il loro paternalismo oltre la fabbrica, finanziando le

206 T. R. DE LUCA, op. cit., pp. 389-395. 207 Cfr. T. R. DE LUCA, op. cit., pp. 396-397 A. TRENTO, op. cit., pp. 36.

94 associazioni mutualiste oppure monopolizzando le loro cariche direttive. Per l’élite, lo scopo delle società di mutuo soccorso, più che organizzativo e unitario, fu quello di allargare la propria influenza sulla «colonia italiana», il che, legato alle ambizioni e alle rivalità dei dirigenti, portò alla frammentazione dei sodalizi e alla debolezza organica dell’associazionismo italiano. Fin dal 1884 ci furono diversi tentativi di unificazione, ma tutti fallirono fino a che, nel 1911, si costituì il Circolo Italiano. Lo sforzo più serio aveva avuto luogo nel 1904, quando 143 delegati di diverse associazioni, inclusi socialisti e anarchici, risposero all’appello della società Galileo Galilei, ma l’accesa discussione sulla preminenza o dell’unità nazionale o della diversità di classe, insieme ai contrasti regionali, condannò la riunione al fallimento.208 Anche se a São Paulo si concentrò il maggior numero di società mutualistiche italiane del Brasile, la cui dinamica escluse schieramenti politici, in altri luoghi del paese queste associazioni potevano assumere posizioni politiche e sociali piuttosto diverse. É quello che suggerisce Zuleika Alvim quando sostiene che alcune società di mutuo soccorso di Minas Gerais sostennero posizioni combattive e politicamente impegnate, come fece la Società Operaia Italiana di Beneficenza e Mutuo Soccorso, fondata a Belo Horizonte nel 1897 e diretta dal falegname anconetano Donato Donati, la quale a poco a poco passò da funzioni assistenziali a quelle di tipo rivendicativo e sindacale.209 Oltre alle società di mutuo soccorso, la «colonia italiana» nel Brasile raggiunse una grande visibilità grazie al sorprendente sviluppo della stampa periodica. Il primo giornale in lingua italiana apparso nel paese, «La Croce del Sud», periodico religioso, nacque nel 1765 a Rio de Janeiro, ma fu dagli anni ’70 del XIX secolo, a São Paolo, che la pubblicistica italiana raggiunse un’importante notorietà. Nel 1870 uscì il primo giornale italiano della capitale paulista, «Garibaldi», e nel 1890 «Il Pensiero Italiano», il primo quotidiano italiano dello stato. Nel 1885, a Rio de Janeiro, apparve il primo quotidiano italiano del Brasile, «L’Italia», di Giovanni Fogliati, che sopravvisse fino al 1889. L’età d’oro della stampa italiana nel paese sudamericano, però, si estese dal 1887 al 1902, in concomitanza con il periodo dell’immigrazione massiccia. Angelo Trento calcola che dalle origini della stampa italiana nel Brasile fino al 1940 furono pubblicate almeno 400 testate – compresi anche riviste e numeri unici –, delle quali più di 250 solo nella città di São Paulo. Secondo l’elenco di Trento, fra il 1880 e il 1906 si pubblicarono 248 giornali in tutto il Brasile, dei quali 150 nella capitale paulista, 20 nello stato di São Paulo, 34 a

208 A. TRENTO, op. cit., pp. 37-41. 209 Z. F. M. ALVIM, Italiani dimenticati, cit., pp. 437-441.

95 Rio de Janeiro, 24 nello stato di Rio Grande do Sul e il resto negli stati di Paraná, Pará, Bahia, Minas Gerais, Espírito Santo e Pernambuco. Nel 1907 si pubblicavano cinque quotidiani in lingua italiana solo a São Paulo e nel 1909 circolavano 43 periodici italiani in tutto il paese, più dei 28 che apparivano nell’Argentina.210 I giornali italiani del Brasile parlavano quasi esclusivamente dell’Italia e in generale i loro gruppi redazionali erano composti di due o tre persone, compreso il direttore. Poche volte i periodici diedero spazio a denunce della colonia e la maggior parte di essi si dichiarò apolitica. Tuttavia, la stampa politica non mancò e raggruppò praticamente tutto lo spettro delle correnti. Risaltano i giornali repubblicani «La Voce del Popolo», fondato nel 1881 a Rio de Janeiro e diretto da Giovanni Luglio e «La Sentinella Italiana», nato a Campinas nel 1901 e diretto da Natale Belli. Oltre a quelli politici, però, i giornali italiani coprirono un'amplissima gamma di temi, tendenze e interessi. Ci furono giornali regionalisti, economici, professionali, artistici-letterari, religiosi, di singole imprese e umoristici-satirici, questi ultimi i più numerosi. Molti cambiarono il proprio oggetto d’interesse e persino alcuni di quelli politici mutarono la propria linea. La maggior parte delle pubblicazioni ebbe breve durata e uscì con irregolarità a causa delle difficoltà finanziare, il che costrinse molti giornalisti a cambiare continuamente posto di lavoro. Tuttavia, diversi giornalisti italiani «nomadi», che si muovevano fra l’Italia, gli Stati Uniti e l’Argentina, furono attratti dai giornali del Brasile. Soltanto pochi periodici, come «La Patria degli Italiani» a Rio de Janeiro, «Il Piccolo», il socialista «Avanti!» e «Fanfulla» a São Paulo, ebbero un certo successo. Quest’ultimo, fondato nel 1893 sotto la direzione dell’ex anarchico Vitaliano Rotellini, fu un periodico di carattere liberale, anticlericale e moderatamente antimonarchico che nel 1894 raggiunse la maggiore tiratura fra i giornali italiani del Brasile, nel 1897 diventò quotidiano – l’unico a otto pagine fra le testate in lingua italiana – e per un periodo, fu il giornale paulista più letto in assoluto. Il suo equilibrio fra notizie dell’Italia, del Brasile e della colonia italiana, incluse anche denunce contro abusi e discriminazioni, lo rese il

210 Cfr. A. TRENTO, Là dov’è la raccolta del caffè, pp. 281-283; P. SERGI, Funzioni pedagogiche, etniche e politiche della stampa italiana in Brasile, in V. Cappelli e A. Hecker (a cura di), Italiani in Brasile. Rotte migratorie e percorsi culturali, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2010, pp. 12-14. Sui giornali in lingua italiana pubblicati nel Brasile, vd. l’appendice in A. TRENTO, op. cit., pp. 453-474; ID., La stampa periodica italiana in Brasile, 1765-1915, in «Il Veltro, Rivista della civiltà italiana», a. XXXIV, maggio-agosto 1990, n. 3- 4, pp. 301-312. Sulla stampa italiana del Brasile nel 1889, vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 21 dicembre 1889, ASD-MAE, Serie Politica A, 1888-1891, b. 14, fasc. 13, Brasile Rapporti Politici, 1889.

96 periodico più prestigioso fra quelli italiani del paese. Inoltre, questo «baluardo dell’italianità» diventò un giornale di riferimento sia per la borghesia industriale sia per la massa d’immigrati, contribuendo in questo modo alla costruzione di una forte identità nazionale.211 In questo senso, i mezzi a stampa in lingua italiana che si pubblicarono in Brasile ebbero un indirizzo «formativo», talvolta esplicito e talvolta sottinteso sotto la forma di difesa identitaria dall’ostilità della società locale. Nella stampa borghese quest’orientamento impose il compito di modellare una comunità coesa che condividesse i valori nazionali, contribuendo così alla costruzione di una coscienza etnica e patriottica – anche in opposizione agli abusi e alle discriminazioni, come fece «Fanfulla». Per gli immigrati dalla penisola, la stampa «nazionale» costituì il «tratto di congiunzione tra due realtà», l’italiana lasciata alle spalle e la brasiliana del presente e dell’avvenire, ma servì anche a collegare le diverse identità regionali che allora erano richiamate all’idea di nazione.212 Il ruolo che svolsero i periodici italiani e i loro giornalisti nella vita politica della colonia costituì una preoccupazione di primo ordine per le autorità diplomatiche, soprattutto se si trattava di propaganda oppositrice alla monarchia e al governo della penisola oppure contro gli interessi italiani nella repubblica sudamericana. Nel 1889, il ministro d’Italia in Brasile comunicava al Ministero degli Affari Esteri che la rivista mensile «Il Brasile», diretta dall’ex agente consolare di Pelotas, riceveva 400 abbonamenti dal governo locale in cambio di buona propaganda del paese sudamericano e che «La Voce del Popolo» di Rio de Janeiro, diretta da Giovanni Luglio, riceveva un sussidio per patrocinare gli interessi brasiliani sull’emigrazione, mentre scartava che il «Corriere d’Italia», diretto da Leo Spandonari, ricevesse qualche aiuto pecuniario a causa della poca importanza del giornale. Il ministro sosteneva, inoltre, che la «Lega Italiana» di São Paulo, di tendenza socialista e diretta da Alessandro Maglia, seguiva la linea dei governanti locali rispetto all’immigrazione e che, tuttavia, i giudizi del professore Ciro De Pasquale – corrispondente del «Corriere di Napoli» a Rio de Janeiro – sulla partigianeria dei periodici italiani erano esagerati, mentre quelli riguardanti l’imparzialità dei giornali brasiliani sull’immigrazione non erano veri.213

211 Cfr. A. TRENTO, Là dov’è la raccolta del caffè, pp. 285-292; P. SERGI, op. cit., pp. 14-19. Sul «Fanfulla», vd. anche A. TRENTO, L’identità dell’emigrato italiano in Brasile attraverso la stampa etnica: il caso del Fanfulla, 1893-1940, in L. Tosi (ed.), Europe, Its Borders and the Others, Napoli, Esi, 2000, pp. 419-437. 212 P. SERGI, op. cit., p. 29-30.

97 1.5. La partenza degli anarchici emiliani e romagnoli per il Sudamerica (1880- 1900).

Nello Garavini, figlio dell’anarchico castellano Pietro Garavini e anarchico anche lui, racconta nelle sue Testimonianze che a Castelbolognese, nel decennio del 1890, le perquisizioni erano cose di tutti i giorni e che diverse volte Pietro e i suoi compagni furono arrestati senza motivo. Garavini afferma che un ministro d’allora sosteneva che le alternative per i sovversivi erano «o galera o emigrazione» e «così molti anarchici per sfuggire ai continui arresti dovettero emigrare, in gran parte nel Sud America».214 Infatti, nell’Emilia e nella Romagna, così come nelle Marche, l’importante presenza di militanti repubblicani, socialisti e anarchici, diede ai movimenti popolari della fine del secolo una «connotazione sovversiva» che, coniugata con i grandi costi della modernizzazione, rese l’emigrazione una «valvola di sicurezza» per lo status quo. L’esilio dei sovversivi, specie

213 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia in Brasile a Francesco Crispi, presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri, 19 ottobre e 21 dicembre 1889, ASD-MAE, Serie Politica A, 1888-1891, b. 14, fasc. 13 Brasile Rapporti Politici 1889. Sui periodici italiani finanziati dai governi locali, cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 184. Nel 1894, il giornale «Corriere Italo-Brasiliano», pubblicato a Rio de Janeiro dal professore De Pasquale, fu proposto dal ministro d’Italia in Brasile per essere sussidiato con 500 lire d'oro, dopo che due deputati italiani l’avevano suggerito al Ministero degli Affari Esteri. Secondo il ministro in Brasile, il giornale poteva rendersi utile alla colonia e alla Legazione – anche se aveva pubblicato articoli critici sulla rappresentanza diplomatica – se diventava «guida commerciali agli italiani» e se si manteneva fuori delle contese politiche, tuttavia il MAE respinse la richiesta di sovvenzione. Vd. la lettera dei deputati al MAE, 30 luglio 1893; il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 1 febbraio 1894; il pro-memoria del MAE, 7 marzo 1894; e, infine, il dispaccio del MAE alla Legazione d’Italia a Rio de Janeiro, 13 marzo 1894, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 87 Giornali e giornalisti all’estero, b. 437, 1891-1902. 214 N. GARAVINI, Testimonianze. Anarchismo e antifascismo vissuti e visti da un angolo della Romagna, Imola, Editrice La Mandragora, 2010, p. 55. Nello Garavini, nato a Castelbolognese il 28 gennaio 1899 da Pietro e Rosina Gamberini, aderì giovanissimo all'anarchismo, diventando un attivo oppositore alla Grande Guerra e, in seguito, al fascismo. Nel 1923 sposò Emma Neri e un anno dopo nacque sua figlia Giordana, con le quali si trasferì a Rio de Janeiro nel 1926. Nella capitale brasiliana aderì al movimento anarchico locale e nel 1933 aprì una libreria che diventò un noto luogo di ritrovo per simpatizzanti della sinistra della città. Rientrò definitivamente a Castelbolognese nel 1947, dove continuò a partecipare del movimento anarchico fino alla vecchiaia. Morì nella sua città natia nel 1985. Vd. Garavini Nello, in DBAI, vol. I, pp. 667-669,

98 quello degli anarchici, fu l’ultimo ma il migliore dei rimedi mesi in pratica dai governi della penisola contro la diffusione delle teorie rivoluzionarie.215 Dagli anni ‘70 dell’Ottocento la persecuzione dei sovversivi, concentrata soprattutto sugli anarchici, consistette nell’esteso uso di spie e infiltrati, agenti provocatori, insomma, che inducevano l’arresto dei militanti per delitti comuni. Negli anni ’90, in aggiunta, si ampliò il ricorso al «domicilio coatto», la cui alternativa per gli attivisti fu l’«esilio volontario» e cioè l’accettazione del passaporto per un determinato paese delle Americhe, offerto dalla polizia italiana in concomitanza con le condanne a prigione. Durante questi anni, il governo italiano tentava di «modernizzare» i servizi d’intelligence e così, verso la metà del decennio, nacque il servizio d’informazioni della polizia internazionale, il quale ebbe lo scopo di sorvegliare in modo più proficuo all’estero gli anarchici e i sovversivi. Prima di quest’iniziativa la circolazione d’informazione passava dalle rappresentanze diplomatiche al Ministero degli Affari Esteri e da qui al Ministero dell’Interno, mentre successivamente si tentò di affinare il servizio disponendo una comunicazione diretta fra i consolati e l'Interno, tuttavia l’efficienza non migliorò sostanzialmente per anni. Dopo i moti di Milano del 1898, il governo italiano s’impegnò nel coinvolgimento dei paesi europei nel controllo e nella sorveglianza degli anarchici e nel settembre di quell’anno si riunì a Roma la Conferenza internazionale antianarchica, alla quale parteciparono delegati di tutti i paesi del Vecchio continente. Il meeting non riuscì a trovare una strategia unica per la repressione dell’anarchismo, tuttavia affinò alcuni perfezionamenti tecnici all'Interpol, stabilendo il contatto diretto fra gli uffici di polizia degli stati aderenti.216

215 Cfr. A. MARTELLINI, Marchigiani e romagnoli nella ‘grande emigrazione’, cit., p. 190; M. R. OSTUNI, Inmigración política italiana y movimiento obrero argentino. Un estudio a través de los documentos gubernamentales italianos (1879-1902), in F. DEVOTO e G. ROSOLI (eds.), op. cit., p. 105. 216 M. R. OSTUNI, op. cit., p. 106; ID., Note per la storia dell’emigrazione italiana in Brasile: le fonti archivistiche, cit., pp. 62-63. Sulla conferenza antianarchica di Roma del 1898, vd. Conferénce Internationale de Rome pour la défense sociale contre les anarchistes, Rome, Imprimerie du Ministère des Affaires Etrangères, 1898, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 49; nello stesso fondo archivistico, vd. bb. 30, 32, 33, relative alla Conferenza anti- anarchica (1898-1901); b. 48, Protocolli della Conferenza internazionale contro gli anarchici; ASD-MAE, Serie Z- Contenzioso, Pos. 8 Anarchici 1898-1901, b. 51, fasc. 918, s/fasc. 2 Conferenza antianarchica; ACS, DGPS Ufficio riservato 1879-1903, b. 1, fasc. 14/71 Conferenza internazionale antianarchica. Sulla disposizione del MAE e del Ministero dell’Interno che stabiliva la comunicazione diretta fra i consolati e la DGPS riguardo a Interpol, vd. la circolare del MAE alle ambasciate e legazioni d’Italia all’estero, 7 giugno 1894, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 24 Ministero dell’Interno, corrispondenza (1894). Una copia del documento si trova nello stesso fondo, b. 29

99 Nel novembre 1901, spinti dal persistere del «problema anarchico», evidenziato dall'attentato che aveva ucciso il presidente statunitense William McKinley solo un mese prima, i governi di Russia e Germania proposero un accordo internazionale con nuove misure contro gli anarchici, tra esse la creazione di uffici d’informazione centralizzati in ogni stato e l’espulsione dei sovversivi nei propri paesi d’origine. Il governo italiano, in principio d’accordo con l’idea stessa di un protocollo e quella degli uffici d’informazione, mostrò le sue riserve sull’espulsione degli anarchici e quando nel marzo 1904 diversi stati europei firmarono il Protocollo segreto di Pietroburgo, l’Italia decise di non aderire. Il governo italiano non ebbe nessuna intenzione d’assecondare la politica di rimpatrio degli anarchici, poiché il loro «esilio volontario» fu diretto precisamente a scaricare le tensioni sociali interne su altre regioni del pianeta.217 Alla vigilia del Primo Maggio 1894 e nell’eventualità di disordini promossi dagli anarchici, il console di São Paulo chiedeva al ministro degli Affari Esteri se gli italiani che fossero stati arrestati dovessero essere deportati o rimpatriati. Il ministro rispose che si doveva avere loro lontani e perciò le autorità diplomatiche non dovevano opporsi alla deportazione. In quegli anni, secondo la testimonianza d’Alessandro D’Atri, il sottosegretario di Nicotera propose a un anarchico romano di andarsene in Brasile a spese dell’erario o di costituirsi in prigione e ovviamente l’attivista scelse di recarsi a São Paulo.218 L’anarchico fabrianese Luigi Fabbri sosteneva nel 1900: «Potrei, se volessi, fare il nome di più di un compagno che ha ottenuto da coatto la libertà solo a condizione di emigrare».219

Provvedimenti, processi contro anarchici. Stati vari (1897). Vd. inoltre R. BACH JENSEN, The International Anti-anarchist Conference of 1898 and the origins of Interpol, in «Journal of Contemporary History», Vol. 16, n. 2, aprile 1981, pp. 323-347. 217 Vd. ASD-MAE, Serie Politica P 1891-1916, Pos. 8 Anarchici 1900-1908, b. 47, fasc. Provvedimenti contro gli anarchici, 1901-1908. Nel 1908, il Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti rispondeva al Ministro degli Affari Esteri sulla possibilità di aderire al protocollo di Pietroburgo in modo parziale, affermando che il governo non farebbe parte del detto protocollo in alcuna forma, dato «lo spirito liberale della sua Legislazione», ribadendo gli accordi della Conferenza di Roma, e cioè il libero scambio d’informazioni fra gli stati. Chiudeva Giolitti: «Reputo che tale forma sia, la sola, conveniente per un Paese, che, come l’Italia, abbia una grande emigrazione anarchica». Vd. il dispaccio del Ministero dell’Interno al MAE, 30 agosto 1908, ASD-MAE, Serie Politica P 1891-1916, Pos. 8 Anarchici 1900-1908, b. 47, fasc. Provvedimenti contro gli anarchici, 1901-1908. Cfr. M. R. Ostuni, Inmigración política italiana y movimiento obrero argentino, cit., p. 107 218 A. TRENTO, Là dov’è la raccolta del caffè, cit., pp. 329-331. Vd. anche il rapporto del Consolato a São Paulo diretto al MAE, 28 marzo 1894, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Consolato a São Paulo. Angelo Trento prende la testimonianza del D’Atri dal suo libro Uomini e cose del Brasile, apparso a Napoli nel 1896. 219 L. FABBRI, L’esportazione della delinquenza italiana, in «El Alba del siglo XX», Buenos Aires, n. u., 31 dicembre 1900.

100 Fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la maggior parte dei militanti che abbandonarono l’Italia era anarchica. Questi, che negli anni ’70 si rifugiarono in Europa mentre, nella decade dell’80 si diressero soprattutto verso le Americhe, condizionati dalle maggiori restrizioni poliziesche a livello europeo. Gli emigrati socialisti, invece, per un 80% si stabilirono in Europa durante gli anni ’90, trovando movimenti socialisti e sindacalisti già organizzati. Gli anarchici, da parte loro, non trovarono alcun movimento nell’America Latina e nel mondo anglosassone e dovettero confrontarsi con movimenti riformisti e moderati ostili alle teorie rivoluzionarie. Tuttavia, l’internazionalismo degli anarchici italiani permise la costruzione di una rete di solidarietà «transnazionale», della quale probabilmente nessun altro gruppo di esuli ebbe tanto bisogno, poiché le persecuzioni costrinsero loro a lunghe e complesse rotte di esilio. Queste rotte e queste reti, che negli anni ‘80 diventarono «globali», crearono le condizioni materiali per la diffusione dell’anarchismo italiano dall’Europa alle Americhe e nei più svariati luoghi del pianeta. La diffusione, si compì anche attraverso la pubblicazione di numerosi giornali in lingua italiana, i cui gruppi redazionali erano in contatto con alcuni gruppi libertari originari della penisola sparsi per il mondo.220 Anche se alcuni attivisti, come il noto Errico Malatesta, diventarono rapidamente organizzatori di associazioni «multietniche» e presero contatto con attivisti di diverse nazionalità grazie ai loro percorsi d’esilio, la maggior parte degli anarchici italiani fecero propaganda all’interno del mondo italo parlante dell’emigrazione. Infatti, la propaganda anarchica italiana ricavò il suo successo all’estero fra gli emigrati dalla penisola che si erano integrati nei paesi ospitanti attraverso il mercato del lavoro. In questo modo, la mobilità degli esuli libertari divenne uno dei più effettivi meccanismi per la diffusione delle idee anarchiche e sindacaliste nel mondo intero. Questa fu sicuramente una delle ragioni che condussero il radicale lucano Francesco Saverio Nitti ad affermare che gli anarchici italiani preoccupavano più fuori l’Italia che nella penisola stessa.221 Negli anni della grande emigrazione italiana verso i paesi sudamericani, il movimento operaio della penisola muoveva ancora i primi passi verso un’organizzazione massiccia e solo le società di mutuo soccorso – e in seguito anche le cooperative di lavoratori – avevano raggiunto un certo grado di sviluppo. Infatti, nel Sudamerica gli anarchici trovarono una massa immigrante che difficilmente aveva avuto qualche

220 Cfr. D. GABACCIA, op. cit., pp. 112-119; D. TURCATO, Italian anarchism as a transnational movement, cit., pp. 431-441. 221 Cfr. D. GABACCIA, op. cit., pp. 119-127; F. S. NITTI, Italian anarchists, in «The North American Review», Vol. 167, n. 504, novembre 1898, p. 603.

101 esperienza associativa in precedenza, oltre a scarse attività mutualistiche e limitate partecipazioni nelle lotte agrarie. Questo fatto rese senz'altro difficile la propaganda e l’organizzazione degli anarchici italiani – soprattutto negli anni ‘80 e nei primi ’90 –, che concentrarono le loro attività nei grandi centri urbani senza riuscire a penetrare se non tardivamente nelle aree rurali. In ogni caso, con il passare degli anni, i loro piccoli circoli e i loro irregolari giornali influirono in modo decisivo sul corso del movimento operaio locale, persino di più di quanto riuscissero a fare le numerose società di mutuo soccorso. Al momento dell’arrivo dei primi grandi flussi d’immigranti nell’Argentina, la «comunità italiana» si trovava organizzata intorno a società mutualistiche sulle quali i mazziniani avevano un’incidenza notevole. Attraverso queste associazioni la loro influenza si estese anche sulle nascenti società operaie, piuttosto legate al mutualismo, analogamente a quello che succedeva in Italia. Il socialismo, invece, nelle sue forme «utopistiche», affiorava timidamente in poche associazioni. Tale era il caso del Club Industrial Argentino, fondato nel 1875 e composto di artigiani e piccoli imprenditori – la maggior parte stranieri –, il quale sosteneva la difesa dell’industria, del lavoro e dei diritti dei produttori nei confronti della «classe oziosa». Antecedente all'Unione Industrial Argentina del 1887 – che alla fine del secolo raggruppò i grandi industriali –, nei suoi primi passi il Club si avvicinò alle idee saintsimoniane sull’armonia fra operai e padroni e, attraverso il suo giornale «El Industrial», propugnò persino alcune idee proudhoniane.222 Manifestazioni modeste, però, per riuscire a controbilanciare l’ascendenza mazziniana fra gli italiani. Nonostante i flussi migratori e l’origine straniera di gran parte della manodopera, durante gli anni ’60 l’avanguardia operaia la costituì la Sociedad Tipográfica Bonaerense, composta quasi esclusivamente da argentini. Questa società, partigiana di un socialismo riformista molto generico e persino contraddittorio, riuscì però a stabilire dei contatti con la sezione barcellonese dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori negli anni ‘60, attraverso uno dei pochi militanti d’origine straniera, il tipografo catalano Bartolomé Victory y Suárez. In ogni caso, seppur lo stesso Friedrich Engels avesse suggerito che la Sociedad Tipográfica avrebbe potuto essere il canale per l’introduzione dell’AIL nel Sudamerica, non si stabilirono rapporti organici fra la società bonaerense e l’Internazionale.223

222 J. PANETTIERI, Modelli ideologici. Immigrazione, lavoro e ciclo economico nelle origini del movimento operaio argentino, in La riscoperta delle Americhe, cit., pp. 203-210. 223 Cfr. R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero (1857-1899), Buenos Aires, Centro Editor de América Latina, 1984, pp. 33-39; J. PANETTIERI, op. cit., pp. 201-202. Bartolomé

102 Fu solo nel febbraio 1872 che nacque a Buenos Aires la prima sezione sudamericana dell’Internazionale, iniziativa di un gruppo di militanti francesi ai quali si aggiunsero poi anche italiani e spagnoli. Nel luglio, l’AIL argentina contava 273 soci e annunciava la creazione di una sezione italiana. Due anni dopo erano tre le sezioni dell’Internazionale a Buenos Aires, quella dei francesi, l’italiana e una spagnola, ognuna delle quali era diretta da un comitato centrale che nominava due delegati al Consiglio Generale argentino, il cui segretario era A. Aubert. La sezione francese aveva centotrenta soci, quell’italiana novanta mentre la spagnola contava quarantacinque militanti. Nel settembre 1872, gli internazionalisti pubblicarono un giornale – del quale non si conservano copie né si conosce con certezza il nome –, che uscito irregolarmente riuscì a stampare sette o otto numeri, mentre nel 1874 costituirono una nuova sezione nella città di Córdoba, questa volta di tipo «cosmopolita». L’Internazionale argentina tentò di stabilire dei legami con alcune società operaie, riuscendo soltanto con quelle dei sarti e dei falegnami ma in modo piuttosto fragile. Infatti, seppur il socialismo internazionalista non fosse per niente uniforme e fosse composto da marxisti, blanquisti, repubblicani e da un’«esigua minoranza» bakuniana, la sua impostazione dottrinale e organizzativa ebbe poco successo fra le associazioni operaie, le quali si richiamavano soprattutto al mutualismo e al socialismo riformista. Testimonianza del «fallimento» dell’AIL nell’Argentina sono i giudizi dell’internazionalista belga Raymond Wilmart, arrivato a Buenos Aires nel 1873, che scrisse a Karl Marx dalla repubblica platense deluso delle condizioni organizzative delle associazioni operaie locali e dell’approccio mutualista di alcuni membri delle sezioni locale.224 Nonostante il poco successo, l’Internazionale fu ugualmente perseguitata. Nel febbraio 1875, una protesta anti-clericale a Buenos Aires degenerò nel saccheggio di una scuola gesuita. La stampa locale associò questi fatti all’Internazionale e a supposti tentativi insurrezionali mazziniani e il 14 marzo il locale dell’AIL fu perquisito, undici

Victory y Suárez fu un tipografo massone e anticlericale che apparentemente non ebbe relazione con le sezioni bonaerensi dell’AIL che si formarono negli anni successivi. Vd. R. FALCÓN, op. cit., pp. 105-106. 224 Cfr. Ivi., pp. 41-45; J. PANETTIERI, op. cit., pp. 206-209. Secondo Fernando Quesada, la presenza internazionalista nell’Argentina datava fin dal 1865: fra quell’anno e il 1880, circoli dell’AIL furono sciolti e riorganizzati diverse volte. Inoltre, Quesada sostiene – seguendo José Ingenieros – che la prima sezione dell’Internazionale fu fondata nel 1871, quella di Córdoba nel 1874 o 1875 e, infine, quella di Montevideo nel 1875, anno in cui si fondarono diverse sezioni anche in Brasile. Infine, nel 1881 si sarebbero create due sezioni anche in Cile, una a Valparaíso e l’altra a Santiago. Vd. F. QUESADA, Argentine anarchism and La Protesta, New York, Gordon Press, 1979, pp. 7-8.

103 internazionalisti furono arrestati e torturati in carcere. In seguito, i militanti dell’Internazionale furono vincolati a presunte cospirazioni dei partigiani del generale Bartolomé Mitre, che nel 1874 capeggiò una sollevazione contro il governo di Nicolás Avellaneda. La «rivoluzione mitrista» ebbe il supporto di massoni, anticlericali e mazziniani e la simpatia dei settori liberali delle colonie spagnola e italiana. È probabile, come suggerisce Ricardo Falcón, che alcuni repubblicani mazziniani che aderivano all’Internazionale partecipassero ai movimenti mitristi, questione che non vuol dire però che fosse stato un indirizzo dell’AIL. Infatti, all’interno delle sezioni internazionaliste non solo coesistettero le diverse correnti del socialismo, ma ci furono anche forti contrasti e una permanente lotta fra esse. Queste divergenze, nonostante il miglioramento delle comunicazioni con il Consiglio Generale di New York grazie al lavoro di Wilmart, contribuirono al crescente isolamento politico delle sezioni argentine, condizione nella quale si trovavano al momento della loro dissoluzione nel 1876, attuata secondo le direttive del Consiglio newyorkese.225 Parallelamente all’ultimo periodo delle sezioni dell’Internazionale, fra il luglio 1875 e il gennaio 1876, apparve a Buenos Aires il giornale in lingua francese «Le Révolutionnaire», di tendenza repubblicana e anticlericale, diretto dall’ex-comunardo Stanilas Pourile, detto «Blanchet», il quale ebbe un approccio vago e confusionario al socialismo. Infatti, in seguito gran parte della letteratura operaia che iniziò a circolare nella capitale argentina, almeno fino alla metà degli anni ’80, rispecchiò una tendenza vagamente socialista o social-repubblicana ma, in ogni caso, «pre-marxista» e «pre- bakuniana».226 Durante questo periodo, le idee repubblicane e mutualiste erano le più diffuse fra artigiani e operai, come quelle mazziniane fra i lavoratori italiani. Nel 1870, l’autorità consolare italiana appurava che il partito repubblicano reclutava i suoi aderenti fra operai e braccianti immigrati e che, inoltre, screditava il governo d’Italia attraverso il giornale «La Nazione Italiana». Nell’ottobre dello stesso anno la sezione italiana del comitato dell’Alleanza Repubblicana Universale di Buenos Aires realizzava un meeting nel Teatro Argentino a favore della proclamazione della Repubblica francese, nel quale parlarono, oltre al generale argentino Bartolomé Mitre, gli

225 R. FALCÓN, op. cit., pp. 45-52; J. PANETTIERI, op. cit., pp. 209-210. Falcón sostiene che le sezioni argentine dell’AIL ebbero un vincolo innegabile con il Consiglio Generale di Londra, ma che questo non è argomento sufficiente per sostenere una loro definizione marxista. L’influenza blanchista risulta ben nota, secondo egli, dall’esistenza dei comitati centrali che guidavano ogni sezione. Vd. R. FALCÓN, op. cit., pp. 48-49. 226 Cfr. Ivi., pp. 92-93; J. PANETTIERI, op. cit., pp. 211.

104 italiani Basilio Cittadini, redattore di quel periodico e Gaetano Pezzi, «emigrato Romagnolo ora impresario di questo Teatro», fra altri oratori, la maggior parte stranieri. Inoltre, «La Nazione Italiana» promosse la creazione di una «Società dei Reduci» con a capo un maggiore garibaldino.227 Fra i repubblicani italiani dell’Argentina, di fatto, il richiamo garibaldino ebbe un forte influsso e nel 1877 si costituì a Buenos Aires un comitato composto soprattutto da ex militari garibaldini, con lo scopo di studiare i mezzi per accudire l’Italia nell’eventualità di una guerra.228 La figura di Garibaldi fu talmente importante – non solo per i repubblicani ma per tutta la «comunità italiana» – che alle sue onoranze funebri, tenute il 25 giugno 1882, parteciparono più di 35 mila italiani, il ministro d’Italia in Argentina, rappresentanti delle legazioni estere e persino, anche se non ufficialmente, il presidente Julio Roca e il suo ministro dell’Interno.229 L’anno dopo, il 16 settembre ebbe luogo a Buenos Aires una dimostrazione del Club Político Liberal – composto da vari stranieri, inclusi molti italiani –, in protesta contro la manifestazione clericale di rifiuto all’insegnamento laico e nella quale parteciparono 20 mila persone circa, fra studenti e società operaie e di mutuo soccorso di varie nazionalità.230 Il repubblicanesimo italiano continuò ad agire nella realtà argentina durante gli anni successivi, tuttavia il suo sviluppo iniziò a mostrare segni d’indebolimento fin dalla seconda metà degli anni ’80. Nel dicembre 1889, a proposito dell’eventuale adesione del Centro Repubblicano di Buenos Aires al Comitato Trento e Trieste con sede a Roma, il ministro d’Italia in Argentina sosteneva che l’associazione mazziniana contava pochi aderenti e non aveva alcuna influenza nella repubblica platense, che le manifestazioni antimonarchiche del XX settembre non trovavano ecco e, infine, che il giornale «L’Amico del Popolo» non era importante, poiché dopo la morte del suo principale sostenitore, 227 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 14 luglio e 29 ottobre 1870, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1248 Argentina 1867-1873. 228 Vd. la copia del dispaccio del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, del 26 luglio 1877, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Registri copia-lettere in partenza, b. 1103 Argentina 1874-1888. 229 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 29 giugno 1882, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1887. Vd. anche Onoranze all’eroe, in «La Patria Italiana», Buenos Aires, a. IV, 24 giugno 1882; il manifesto Comitato esecutivo per le onoranze e monumento a Giuseppe Garibaldi, Buenos Aires, 24 giugno 1882; e La gran dimostrazione, in «La Patria Italiana», Buenos Aires, a. IV, 27 giugno 1882. 230 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 23 settembre 1883, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1250 Argentina 1881-1887.

105 Gaetano Pezzi – secondo il ministro, un «ricco nostro connazionale appartenente al partito repubblicano» –, le sue risorse erano scarsissime.231 Nonostante ciò, negli anni ’90 i mazziniani continuarono a organizzarsi o, per meglio dire, a riorganizzare le proprie fila, poiché il cambiamento della realtà argentina compiuto in seguito alla crisi economica del 1890, aveva fatto emergere delle differenze al loro interno. In questo modo, nel 1893 rinacque il Centro Repubblicano Italiano di Buenos Aires, molto probabilmente legato al giornale dei mazziniani radicali «L’Amico del Popolo» che ne pubblicò il programma.232 Durante la prima fase della «grande migrazione», con il predominio delle idee repubblicane fra gli italiani dell’Argentina, i conflitti di classe non furono particolarmente intensi, anche se le idee «classiste» erano già presenti nel paese, sostenute però soltanto dagli attivisti «operaisti». Sicuramente anche la struttura produttiva del paese determinò l’atteggiamento delle classi lavoratrici. Fino ai primi anni ‘90 l’industria argentina s’organizzò sotto la forma di un «capitalismo di piccola impresa», in cui la maggior parte dei padroni erano piccoli produttori o artigiani, non pochi, simpatizzanti delle idee radicali. Superata la crisi del ’90, il predominio della piccola impresa fu progressivamente sostituito dalla produzione a grande scala e da una maggiore concentrazione del capitale e da una generalizzazione delle relazioni produttive tipicamente industriali, che favorì la propagazione di forme associative classiste guidate da socialisti e anarchici. Molti italiani s’inserirono nelle organizzazioni di classe e alcuni ne divennero «spontaneamente» dirigenti, in contemporanea con l’importante afflusso di militanti marxisti e anarchici dall’Europa – particolarmente notevole nel 1898. Infatti, i «partiti sovversivi» erano composti soprattutto da immigrati e solo verso la fine del secolo, a poco a poco, equilibrarono l’elemento migratorio con quello originario del paese. In ogni caso, la partecipazione degli stranieri nel movimento operaio fu sempre importante. Secondo Gabaccia, alla svolta del secolo fra il 25% e il 50% dei lavoratori italiani immigrati nell’Argentina si mosse nei i circoli d’influenza «classista».233

231 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 2 dicembre 1889, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 232 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 15 dicembre 1893, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1891-1896. Cfr. R. FALCÓN, op. cit., p. 103. 233 Cfr. D. GABACCIA, op. cit., pp. 122-123; E. MÍGUEZ, op. cit., pp. 351-353; E. FRANZINA, op. cit., p. 134.

106 Le relazioni fra le società mutualistiche e il movimento operaio furono molto tese e, in talune occasioni anche ostili. Ciò nonostante, non mancarono particolari episodi in cui il mutualismo partecipò al «classismo». Alla prima commemorazione del Primo Maggio in Argentina, promossa dai socialisti e celebrata nel 1890, aderirono le società di mutuo soccorso Italia Unita, Figli del Vesuvio, Unione Calabrese e Società Italiana di Barrancas. Il congresso operaio del 1901, in cui si fondò la Federación Obrera Argentina, si realizzò nel locale della Società Ligure, mentre quello del 1907 nel locale della Società Giuseppe Verdi. Questi fatti mostrano l’ambiguità del rapporto fra mutualismo e movimento operaio ed eventualmente anche fra il repubblicanesimo e il movimento operaio. Quest’ultimo, di fatto, seppur criticasse le società di mutuo soccorso in generale, si concentrò soprattutto su quelle dirette da imprenditori e religiosi. Quest'ambiguità ha portato alcuni studiosi a ipotizzare che le «associazioni mutuali etniche» avrebbero avuto un doppio carattere, difendendo sia interessi etnici sia interessi di classe. Tuttavia, sono rarissimi i casi in cui nazione e classe s’intrecciarono. Un caso singolare fu quello del socialista Carlo Mauli, arrivato a Buenos Aires dall’Italia a metà degli anni ’80, che partecipò parallelamente a società comunitarie e società cosmopolite di sinistra. Invece, i «sindacati etnici» italiani furono pochi ed effimeri, con la sola eccezione della Società Marittima Italiana e della Società Cuochi e Camerieri Italiani.234 L’ostilità del movimento sindacale e di sinistra verso le società di mutuo soccorso ebbe come fondamento il rifiuto dell’«associazionismo etnico», poiché le differenze nazionali e culturali creavano divisioni all’interno della classe operaia. Al di là di quello, sodalizi mutualistici di base etnica e organizzazioni di classe concorsero per il «reclutamento» degli immigrati, persino nel campo ricreativo. Con le trasformazioni economiche attuate dopo la crisi del ‘90, l’animosità di socialisti, anarchici e sindacalisti rivoluzionari verso il mutualismo etnico, si rese più evidente. Tuttavia, la minore rigidità «classista» del movimento libertario – che s’ispirava alla figura dell’oppresso piuttosto che a quella del proletario – rese gli anarchici attivisti più aperti a riconoscere le differenze etniche e ad ammettere la formazione di sezioni operaie secondo nazionalità o lingua d’origine. Questo però non fece loro accettare la costituzione di sindacati esclusivamente etnici, ma soltanto gruppi e circoli etnico-linguistici che facilitassero la propaganda fra gli immigrati. Nel primo decennio del Novecento, gli anarchici non si

234 Cfr. F. DEVOTO, La experiencia mutualista italiana en la Argentina, cit., p. 170; ID., Historia de los italianos en la Argentina, pp. 292-294; R. GANDOLFO, op. cit., p. 328; E. FRANZINA, op. cit., p. 203.

107 opposero alla tendenza degli ebrei russi a organizzarsi etnicamente e nel marzo 1908 il giornale anarchico «La Protesta» informava sulla costituzione del Centro de Agitación Gremial fra gli operai israeliani, il quale ebbe lo scopo di facilitare i compiti di propaganda. In particolare, nel periodo 1902-1910, momento d’intensa convulsione sociale nell’Argentina, la «questione nazionale» non costituì un ostacolo all’associazionismo di classe e, anzi, l’eterogeneità etnica determinò forme specifiche d’organizzazione operaia, come giornali bi o trilingue e associazioni basate su criteri etnolinguistici. Tuttavia, il rapporto fra la persistenza dell’identità etnica e il crescente sviluppo dell’identità di classe, costituì una delle principali tensioni nella formazione della classe operaia argentina.235 Al contrario degli anarchici, i socialisti si resero portavoce di una politica di «argentinizzazione», anche se erano maggioritariamente immigrati. I noti dirigenti Juan B. Justo, Nicolàs Repetto e Jacinto Oddone avevano radici genovesi, ad esempio. Questa linea politica puntava a promuovere la partecipazione degli stranieri al sistema politico locale, al quale il partito aspirava a inserirsi per la via riformista. Fin dalla costituzione del Partito Socialista, nel 1894, la nazionalizzazione fece parte del suo programma e fu questa la ragione per cui il Fascio Italiano dei Lavoratori non volle aderire e più tardi un gruppo d’italiani del Centro Socialista di Barracas si allontanò da esso. Fino al congresso costitutivo del 1896, il PS si era organizzato in gruppi etnolinguistici, come facevano gli anarchici, ma in seguito la sua struttura divenne centralizzata e organizzata territorialmente. L’opposizione all’interno del partito persistette e, nel 1898, il gruppo collettivista si scisse dall’organizzazione – seppur temporaneamente – poiché si era deciso che i militanti dovevano naturalizzarsi per partecipare alle decisioni importanti. Nonostante tutto, verso il 1903 appena poco più della metà dei militanti socialisti affiliati al partito erano cittadini argentini.236

235 Cfr. F. DEVOTO, op. cit., pp. 294-298; R. FALCÓN, Inmigración, cuestión étnica y movimiento obrero (1870-1914), cit., pp. 260-266. 236 Cfr. F. DEVOTO, op. cit., p. 295; R. FALCÓN, op. cit., p. 260. Vale la pena ricordare che nel settembre 1890 il giornale repubblicano «La Patria Italiana» aveva promosso l’idea di convocare un meeting straniero per chiedere al governo argentino la cittadinanza e i diritti politici per gli immigrati, iniziativa alla quale aderirono i giornali «La Nazione Italiana», «L’Operaio Italiano» e «Roma», la società Fascio Operaio Italiano e il Centro Político Extranjero. Nonostante ciò, il resto delle società italiane si mostrò indifferente e, attraverso le colonne del giornale «L’Eco delle Società Italiane», la «miglior parte della colonia» manifestò contro l’idea. Apparentemente, alla fine il meeting non ebbe luogo. Vd. i rapporti del Consolato d’Italia al MAE, 10, 22 e 29 settembre 1890, ASD-MAE, Serie Politica A (1888-1891), b. 3 Argentina, fasc. Rapporti politici 1890. Sul Partito Socialista argentino, vd. H. CAMARERO e C. M. HERRERA (eds.), El Partido Socialista en Argentina.

108 Riguardo all’immigrazione e particolarmente a quella «artificiale», la posizione del movimento operaio fu piuttosto critica. Già negli anni ‘70 il giornale «El Industrial», organo del Club Industrial, criticava la politica dell’immigrazione artificiale e difendeva quella spontanea, per il cui incoraggiamento, secondo il periodico, occorreva una politica protettiva dell’industria che aiutasse a creare lavoro. Fu con la crisi del ’90 però, che la stampa operaia fustigò duramente le politiche governative al riguardo, poiché furono attuate in un momento di depressione economica. Il giornale «El Obrero» promosse la diffusione in Europa di manifesti sulle condizioni d’arrivo in Argentina, gli anarchici sostennero la necessità di fare agitazione fra i futuri emigranti, mentre più tardi il giornale socialista «La Vanguardia» realizzò una campagna giornalistica contro l’immigrazione artificiale. Essa, riprese continuativamente almeno fino al secondo decennio del Novecento. Nel 1909, però, il periodico anarchico «La Protesta» difese l’immigrazione spontanea smentendo che il governo volesse nuovi immigrati e perché voleva evitare di unirsi alla campagna xenofoba. In ogni caso, il continuo afflusso di masse immigranti era considerato dal movimento operaio stesso un ostacolo per l’associazione della classe lavoratrice, giacché aumentava artificialmente l’offerta di manodopera, il che, a sua volta, creava disoccupazione, abbassava i salari, comprometteva i livelli d’organizzazione operaia e quindi le proprie conquiste.237 Dal canto suo, l’élite argentina rafforzò la concezione dell’immigrante come lavoratore europeo povero e, allo stesso tempo, iniziò a operare un cambiamento nella sua visione sugli immigrati politici. L’immagine benevola degli esuli italiani costruita durante la seconda metà dell’Ottocento, legata ai militanti repubblicani che avevano creato stretti rapporti con l’élite liberale argentina, diventò sospettosa, soprattutto alla svolta del secolo, a causa della crescente visibilità della questione sociale e perciò dell’attivismo anarchico. Infatti, questa visione negativa dell’immigrante politico servì come giustificazione ideologica per l’approvazione della cosiddetta «ley de residencia» del 1902. Dalla fine del XIX secolo, i mazziniani di tipo liberale – in concorrenza politica con i socialisti – si affidarono completamente all’idea della laboriosità degli italiani, in un misto fra «paternalismo aziendale» e «selfhelpismo modernizzante», abbandonando qualsiasi vicinanza alle idee rivendicative del movimento operaio. La radicalizzazione del conflitto sociale e il rinvigorimento della visione antianarchica fece sì che non pochi italiani moderassero le loro posizioni. Orazio Irianni, ad esempio, repubblicano-

Sociedad, políticas e ideas a través de un siglo, Buenos Aires, Prometeo Libros, 2005. 237 Cfr. J. PANETTIERI, op. cit., pp. 212-218; R. FALCÓN, op. cit., pp. 262-264.

109 socialista che collaborò con il giornale anarchico «Il Socialista» negli anni ’80 e che, insieme a Malatesta, sembra avesse partecipato alla scissione di un Circolo Napoletano nel 1888, nei primi anni del Novecento passò con i moderati e così anche Emilio Zuccarini, un ex anarchico che nello stesso periodo diventò un «appassionato nazionalista».238 Lo stato di convulsione sociale che colpiva la repubblica platense nei primi anni del secolo portò il parlamento argentino ad approvare la «ley de residencia» alla fine del 1902, la quale prevedeva l’espulsione di stranieri senza tramite giudiziario, costituendo di fatto, un procedimento anticostituzionale. Molti italiani, non solo anarchici, patirono l’applicazione arbitraria della legge, la quale si guadagnò l’antipatia di giornali come «La Patria degli Italiani» e «La Nación», nonostante quest’ultimo fosse piuttosto critico nei confronti dell’anarchismo, sia sull’uso della violenza, sia sul richiamo allo sciopero generale rivoluzionario. Nonostante la legge, i conflitti del lavoro non si arrestarono e, anzi, una volta finito il momento più algido della repressione, anche le donne iniziarono ad avere un importante ruolo nelle lotte operaie e nelle società di resistenza dei settori tessile e d’indumenti, con una rilevante partecipazione delle italiane. Il movimento anarchico, anziché indebolirsi, ebbe un particolare momento di espansione e nel 1904 si contava una cinquantina di circoli libertari solo a Buenos Aires – numero ragguardevole a confronto dei 15 centri socialisti e delle 62 società mutualistiche italiane del 1906 –, molti dei quali costituiti da militanti italiani, oltre a diversi gruppi di teatro, biblioteche popolari e scuole libertarie.239

238 Cfr. F. DEVOTO, Immigrantsm exilées, réfugiés, étrangers: mots et notions pour le cas argentin, cit., pp. 87-92; E. FRANZINA, op. cit., p. 135; R. GANDOLFO, op. cit., pp. 319, 330. Riguardo alla visione che si andò costruendo intorno all’anarchismo, è interessante la lettura che fece «L’Operaio Italiano» sull’assassinio dell’italiano Antonio Petrucci nel giugno 1894 a Saladero (dipartimento di Garay, provincia di Santa Fe). Il giornale qualificò l’accaduto come una vendetta per l’uccisione del presidente francese Marie François Sadi Carnot per mano dell’anarchico italiano Sante Caserio. In realtà, la lite che finì con la morte di Petrucci ebbe origine in una discussione fra ubriachi e, inoltre, l’assassino, Luigi Gutier, era un genovese che aveva vissuto soltanto qualche mese della sua giovinezza in Francia. Nonostante ciò, il giornale volle insinuare un dissidio fra nazionalità che supponeva l’italianità come vittima, ma non dalla «francesità» bensì dall’anarchismo che suscitò il preteso dissenso. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 3 ottobre 1894, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 322, fasc. Rapporti politici 1891-1896. Vd. anche «L’Operaio Italiano», Buenos Aires, 5 luglio 1894. Cfr. E. FRANZINA, op. cit., p. 195. 239 F. DEVOTO, Historia de los italianos en la Argentina, cit., pp. 294-297. Negli anni successivi alla «legge di residenza», anche l’anarchismo «attentatore» ebbe un maggiore sviluppo. Nell’agosto 1905, il tipografo catalano Salvatore Planes y Virella di Sitjes tentò un attentato contro il presidente Manuel Quintana, e nel febbraio 1908 l’anarchico

110 Dal canto loro, i repubblicani italiani nel Brasile s’adoperarono a dare un’organizzazione unitaria alla comunità peninsulare. Il 21 settembre 1884, a São Paulo, si tenne un comizio convocato dal giornale «La Voce del Popolo», il quale approvò un programma e costituì un comitato centrale per la formazione di una confederazione delle società italiane nel paese sudamericano. L’iniziativa, che si proponeva di accordare «convenzioni reciproche fra tutte le colonie italiane all’oggetto di conservare l’omogeneità, l’unità e il decoro», fu inizialmente percepita come una minaccia dalle autorità consolari. Tuttavia, nel marzo 1885 il ministro d’Italia in Brasile accettò la carica di presidente onorario, nello stesso momento però in cui i leaders delle colonie italiane di São Paulo e di Rio de Janeiro iniziavano una forte polemica fra loro.240 In ogni caso, i repubblicani italiani non furono molti attivi nel Brasile e, oltre alla loro probabile partecipazione alla formazione di logge massoniche – fra le quali risaltò la loggia Italia, che nel 1895 aveva 113 soci e 200 nel 1900 –, la loro presenza si ridusse al Circolo Repubblicano Sociale e al Circolo Repubblicano IX Febbraio, fondati all’inizio del XX secolo. Nell’ultimo decennio del XIX secolo, i repubblicani fecero parte della Lega Democratica di São Paulo, composta anche da socialisti e anarchici, poiché essa intendeva raggruppare gli italiani antimonarchici che cercavano di controbilanciare il monarchismo predominante nelle associazioni italiane della città.241 Nel 1900, la Lega Democratica pubblicò il giornale «Avanti!», che a sua volta diede un’importante spinta alla costituzione di associazioni socialiste nello stato di São Paulo. Di fatto, la Lega diventò Circolo Socialista, mentre in alcuni quartieri della città e in altre città e paesi dello stato paulista si fondarono altri circoli. Qualche tentativo per organizzare il socialismo nel Brasile si era già tenuto. Nel 1890 si realizzò un congresso salteño Solano Regis attentò con una bomba alla vita del presidente José Figueroa Alcorta, senza raggiungere il suo obiettivo. Sull’attentato al presidente Quintana vd. il rapporto della Legazione d’Italia al MAE, 15 agosto 1905, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 323, fasc. Rapporti politici 1902-1905. Sull’attentato al presidente Figueroa Alcorta vd. il rapporto della Legazione al MAE, 1 marzo 1908, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 58 Argentina, b. 323, fasc. Rapporti politici 1906-1908. 240 Vd. il rapporto del Vice-Consolato a São Paolo diretto al Consolato a Rio de Janeiro, 26 settembre 1884, e i rapporti della Legazione d’Italia al MAE, 6 ottobre e 6 dicembre 1884, e 10 gennaio e 18 maggio 1885, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1277 Brasile 1880-1888. Vd. anche Statuti delle Colonie Italiane Confederate al Brasile, São Paulo, Typ. Do “Correio Paulistano”, 1884. 241 Cfr. A. TRENTO, Là dov’è la raccolta del caffè, cit., p. 328; ID., Le associazioni italiane a São Paulo, 1878-1960, cit., pp. 33-34.

111 socialista a Rio de Janeiro, con una presenza italiana poco significativa e tuttavia l’iniziativa non ebbe successo. Soltanto nel 1902 i socialisti riuscirono a costituire il Partido Socialista Brasileiro, a São Paulo, in un congresso al quale parteciparono 28 delegati italiani su un totale di 45, dove furono rappresentate 40 associazioni di cui 32 della capitale paulista. Il PSB non ebbe un’operatività effettiva e non sopravvisse nemmeno un anno, tuttavia il Circolo Socialista continuò la sua attività e tempo dopo vide affiancarsi il Centro Socialista Paulista, di maggioranza italiana e di tendenza riformista. I gruppi anarchici di São Paulo non ebbero migliore sorte e circoli come Aurora, La Battaglia, Ponte Grande, Pensiero ed Azione, Gruppo Libertario del Brás, Circoli di Studi Sociali, La Propaganda, Studio e Diletto e il Circolo di Studi Sociali Francisco Ferrer, ebbero scarsa longevità. Nonostante ciò, il lavoro di propaganda anarchica ebbe un interessante sviluppo con la diffusione della cultura libertaria attraverso «scuole moderne» – o «razionali» – e gruppi teatrali. Questi ultimi furono probabilmente il più efficace strumento di propaganda libertaria, al punto che, dagli anni ’90 in poi, sorsero numerose filodrammatiche anarchiche che rappresentarono le opere di Pietro Gori, Errico Malatesta, Gigi Damiani e altri militanti. In sostanza, i primi fermenti di lotta sociale degli anni ’90 – che raramente scappavano alla logica della protesta vaga e isolata – e l’impulso alla nascita del movimento operaio, ebbero nei militanti italiani – politicizzati già in patria – i primi protagonisti. Senza dubbio, alla cosa, contribuì anche il fatto che la stragrande maggioranza del proletariato industriale, specie a São Paulo, fu per lungo tempo originaria della penisola.242 In ogni caso, il processo d’associazionismo del lavoro fra gli italiani in Brasile ebbe come precedenti, diverse manifestazioni di «violenza spontanea», soprattutto nelle aree rurali. Particolarmente interessante è la vicenda della colonia Bologna-Ferrara, costituita nel 1888 a São João del Rei, nello stato di Minas Gerais. Nel maggio 1889 si scatenò una rivolta nell’hospedaria di Largo do Carmo, luogo di passaggio per gli immigrati che s’indirizzavano verso la colonia – e dove solo fra novembre e dicembre 1888 si fermarono 203 bolognesi e 200 ferraresi su un totale di 639 persone – poiché le condizioni materiali, alimentari e igieniche nell’asilo erano pessime. Queste condizioni non erano diverse nell’insediamento coloniale dove, inoltre, gli utensili per il lavoro

242 A. TRENTO, Ibid.; ID., Miseria e speranze, cit., pp. 32-33. Nel 1890, a Rio de Janeiro, tre iniziative diverse tentarono la formazione di partiti operai, i quali però furono concepiti in subordinazione allo Stato e agli industriali, con una politica di rifiuto degli scioperi e favorevole all’arbitrato come meccanismo di risoluzione dei conflitti del lavoro. Vd. A. TRENTO, Là dov’è la raccolta del caffè, cit., p. 326.

112 erano scarsi e l’assistenza sanitaria inesistente. La vicenda finì con il tumulto soffocato dai militari, dopodiché gli immigrati furono imbarcati per essere identificati.243 Angelo Trento sostiene che le masse rurali non furono passive e che, dalla fine del secolo XIX, ci fu un’intensa presenza di scioperi nelle campagne brasiliane, anche se si trattò di movimenti vaghi e isolati. In ogni caso, nelle città la situazione fu piuttosto simile. Soltanto alla svolta del secolo si formarono le prime leghe operaie, soprattutto fra cappellai, sarti, calzolai e tessitrici, i cui membri erano prevalentemente immigrati italiani. Da questo momento d’ascesa del movimento operaio, militanti socialisti, anarchici e soprattutto sindacalisti rivoluzionari, cominciarono a guidare le organizzazioni proletarie, e il loro predominio perdurerà fino al 1920.244 Con l’inizio del XX secolo, particolarmente nello stato di São Paulo, gli scioperi diventarono più frequenti e la partecipazione straniera e italiana in essi fu notevole. Uno dei più grandi fu lo sciopero ferroviario del 1906, capeggiato dall’italiano Manuel Pisani e iniziato a Jundiaí contro la Companhia Paulista de Estradas de Ferro, movimento che, dopo alcuni giorni, si espanse in tutto l’interno provocando 54 scioperi simultanei nella regione. Anche le donne furono protagoniste dei conflitti del lavoro: fra il 1901 e il 1914, ventisei industrie dei settori tessile, d’indumenti e alimentare, nelle quali la manodopera femminile e italiana era predominante, dichiararono lo sciopero nella capitale paulista. Nel febbraio 1901, seicento operaie della fabbrica tessile Sant'Anna, proprietà di Antônio Penteado, si astennero dal lavoro a causa della riduzione dei salari, mentre l'anno dopo le lavoratrici della fabbrica Anhaia, dello stesso settore industriale e situata nel quartiere di Bom Retiro, dichiararono lo sciopero per maltrattamenti.245 Nel gennaio 1903, ancora una volta le operaie della fabbrica Sant'Anna dichiararono lo sciopero, nel cui contesto un gruppo di trecento manifestanti si diresse al Consolato italiano a São Paulo portando le bandiere italiana, portoghese e brasiliana, dopo essere stati aggrediti e dopo l'impedimento ad entrare nella fabbrica. I dimostranti chiesero al console d’intervenire a favore della reintegrazione degli scioperanti al lavoro, della liberazione di Mariannina Modica, portatrice della bandiera italiana al momento dello scontro e, infine, per esigere dal padrone una «riparazione» per aver offeso la bandiera tricolore. Nella sua

243 J. P. LOPES, Immigranti italiani a São Joao del Rei: scontro politico e protesta, 1888-89, in R. COSTA E L. A. DE BONI (a cura di), op. cit., pp. 128-134. 244 Cfr. A. TRENTO, Le associazioni italiane a São Paulo, 1878-1960, cit., pp. 33-37; ID., Là dov’è la raccolta del caffè, cit., pp. 326-327. 245 Z. M. F. ALVIM, O Brasil italiano (1880-1920), cit. pp. 405-407. Secondo Alvim, nei congressi operai paulisti dei primi anni del secolo, il 70% dei convenuti era di ascendenza italiana. Vd. Ivi., p. 405.

113 comunicazione diretta a Roma, il console a São Paulo sosteneva che gli scioperi avrebbero continuato, poiché erano animati dalla stampa sovversiva, specie dal giornale socialista «Avanti!» – il cui direttore era in carcere per calunnie. Lo stesso console, speculò inoltre sul fatto che gli scioperi urbani e quelli nelle fazendas avrebbero potuto accomunarsi e che quello stato d’agitazione, eventualmente, avrebbe portato all'approvazione di una legge contro gli stranieri.246 Al di là dell'opinione del console, l’«Avanti!» ebbe una notevole influenza all’interno del movimento operaio, soprattutto dopo che nel 1902 diventò quotidiano, essendo l’unico giornale socialista in tutte le Americhe a uscire ogni giorno e arrivando ai 6 mila abbonamenti. Anche il foglio anarchico «La Battaglia», apparso nel 1904, ebbe una certa influenza fra i lavoratori e non a caso nel 1908 raggiunse una tiratura di cinquemila copie. Entrambe le testate sono esempi dell’importanza della stampa operaia in lingua italiana apparsa a São Paulo, ragguardevole anche nel suo numero.247 Secondo Zuleika Alvim, fra gli anni '80 del XIX secolo e gli anni '20 del XX, i periodici operai in lingua italiana furono ben 55 su 60 in lingua straniera, su un totale di 149 pubblicati nello stato paulista. Anche i dirigenti sindacali originari dell’Italia furono dominanti a São Paulo. Se a Santos quasi non avevano presenza perché predominavano fra i leaders gli spagnoli e i portoghesi, a Rio de Janeiro ci fu un maggiore equilibrio nel numero di nativi e stranieri. Particolarmente nella capitale paulista, fra il 1890 e il 1920 i dirigenti operai italiani costituirono praticamente il 50% del totale, il che rese predominante anche la lingua, questione che, di conseguenza, diventò un ostacolo all’emergere di una leadership brasiliana. In ogni caso, questa predominanza nella capitale paulista fu la causa logica della maggioritaria composizione italiana del proletariato locale.248 La risposta del governo brasiliano all'allargamento del movimento operaio e le sue lotte non fu altro che la repressione poliziesca. Non fu inconsueto, infatti, che agenti invadessero le redazioni e gli uffici dei giornali operai, rompessero le macchine, confiscassero il materiale già stampato e che, in seguito, arrestassero le persone coinvolte con le pubblicazioni. Ad esempio, nel 1904 furono arrestati i direttori

246 Vd. i rapporti del Consolato d’Italia a São Paulo diretti al MAE, 21 gennaio e 15 aprile 1903, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 283, fasc. Rapporti politici 1903. 247 A. TRENTO, op. cit., pp. 287. 248 Cfr. Z. M. F. ALVIM, op. cit., pp. 409-410; A. TRENTO, op. cit., pp. 331-333. Sulle cifre riguardanti gli attivisti stranieri nel movimento operaio brasiliano, vd. S. L. MARAM, Anarquistas, imigrantes e o movimento operário brasileiro, 1890-1920. Rio de Janeiro, Editora Paz e Terra, 1979, pp. 20-22.

114 dell’«Avanti!» e de «La Battaglia», mentre nel 1911 finirono in prigione tutti i redattori di quest’ultimo giornale. Anche contro gli scioperi il governo rispose in modo piuttosto severo e, oltre agli arresti e maltrattamenti, collaborò persino con gli industriali consentendo l’intervento della polizia per l’introduzione di crumiri in mezzo agli scioperi,. Inoltre, non si oppose nemmeno, all’intimidazione contro gli scioperanti, al licenziamento degli attivisti né alla minaccia della chiusura delle fabbriche. Particolarmente repressivi furono i momenti di alta partecipazione militante e adesione sindacale – come nel 1906-1907, nel 1912 e nel 1917-1919 –, quando riduzione dell’immigrazione, espansione economica e diminuzione della disoccupazione favorivano la crescita della resistenza e dell’organizzazione operaia. Anche il governo italiano collaborò con la persecuzione del movimento operaio e soprattutto degli anarchici, quando 1901 decise d’inviare a Rio de Janeiro l’agente PS Francesco Rughini che, con la facciata di agente d’emigrazione, organizzò una rete d’informatori stipendiati per la sorveglianza dei sovversivi.249 L’apice del primo periodo di repressione contro il movimento dei lavoratori fu l’approvazione, nei primi giorni del 1907, del decreto 1641, noto come «lei Alfonso Gordo» in onore al deputato e rappresentante dell’oligarchia paulista che la propose. Questo decreto stipulava l’espulsione degli stranieri pericolosi per la sicurezza pubblica e la deportazione dei brasiliani attraverso un procedimento rapido e con poco spazio per la difesa. Un verbale della polizia era l’unica prova di cui aveva bisogno il Supremo Tribunale Federale per dettare sentenza. La legge Gordo diede sostegno giuridico a una prassi già in vigore da anni e, seppur lo stesso Supremo Tribunale dichiarasse l’incostituzionalità del decreto nel 1913, dalla sua approvazione fino al 1921 furono espulsi un totale di 556 stranieri, tra i quali 121 italiani e 181 portoghesi. Nel solo 1907 furono 132 gli espulsi, compresi 25 italiani e 47 portoghesi. In aggiunta, nello stesso 1907 un altro decreto obbligò i sindacati a ufficializzare gli statuti e la nomina dei dirigenti, i quali potevano essere solo brasiliani o stranieri naturalizzati residenti nel paese almeno da cinque anni.250

249 Cfr. A. TRENTO, op. cit., pp. 324-339; Z. M. F. ALVIM, op. cit., p. 410; M. HALL e S. PINHEIRO, op. cit., pp. 39-44. 250 Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 41-44; A. TRENTO, op. cit., pp. 335-339; Z. M. F. ALVIM, op. cit., p. 409. Fra gli italiani espulsi dopo il 1907 ci fu il socialista Vincenzo Vacirca, allontanato del Brasile nel 1908 per aver collaborato con l’«Avanti!» e per aver organizzato una manifestazione. Vd A. TRENTO, op. cit., p. 335. Nel novembre dell'anno successivo, il sindacalista rivoluzionario Edmondo Rossoni fu espulso dopo aver partecipato allo sciopero della vetreria Santa Marina. Vd. il fasc. Rossoni Ed. sindacalista, 1909-1910, ASD- MAE, Serie Politica P (1891-1916), Pos. 35 Brasile, b. 283.

115 Come in Argentina, nel Brasile l’attuazione di misure politico-giuridiche contro gli stranieri sovversivi non riuscì a fermare l’azione del movimento operaio e neanche quella degli anarchici. Nel 1909, l’agente italiano di P.S. nel paese sidamericano, trasferitosi a São Paulo due anni prima, sosteneva che i repubblicani erano piuttosto pochi, che i socialisti non erano pericolosi poiché erano riformisti e che invece anarchici e sindacalisti rivoluzionari avevano un certo peso. L'agente, tuttavia, riteneva che i lavoratori avevano difficoltà a organizzarsi oltre le rivendicazioni immediate e i disordini che si producevano erano opera dell’azione provocatoria della polizia locale piuttosto che dell'iniziativa degli scioperanti.251 Non a caso l’aumento della conflittualità sociale, la diffusione degli scioperi e la crescita del movimento operaio organizzato, ebbero come prima gran risposta da parte dei governi argentino e brasiliano l’approvazione di provvedimenti giuridici diretti a colpire gli stranieri. Oltre all’innegabile predominanza degli immigrati nel proletariato locale, le autorità sudamericane ritennero gli stranieri e le loro ideologie sovversive la causa dello stato di convulsione sociale, dopodiché decisero di colpire militanti e agitatori europei per risolvere la «questione sociale». È vero che questi provvedimenti non arrestarono l’agitazione operaia e nemmeno poterono smontare l’associazionismo «sovversivo», ma è anche vero che riuscirono a schierare le élites locali intorno a un grande consenso politico che, accettando le premesse più reazionarie emerse alcuni anni prima, indicò particolarmente il «cosmopolitismo» anarchico come il principale nemico della società locale e, in conseguenza, dello Stato. Questo «consenso» fra le classi dominanti argentina e brasiliana, anche se non implicò necessariamente un momento di svolta per il movimento anarchico nella regione, cristallizzò una visione ideologica specifica sulla «questione sociale» con la quale l’anarchismo dovette fare i conti da allora in poi, almeno fino agli anni ’20. D’altronde, l’espatrio di sovversivi dall’Italia durante l’ultimo quarto del XIX secolo ebbe una certa continuità con l’esilio dei capi risorgimentali, in particolar modo, perché molti anarchici decisero di sfuggire alla repressione nella penisola e dare continuità alla propria attività politica all’estero. Soltanto verso la fine del secolo il governo italiano iniziò a utilizzare sistematicamente l’«espulsione velata» di anarchici e socialisti, proprio nel momento in cui l’intreccio fra attività sovversiva e questione

251 A. TRENTO, op. cit., pp. 339-340. Trento raccoglie la testimonianza del commissario Cesare Alliata-Bronner, che aveva sostituito Rughini nel 1907, da S. PINHEIRO e M. HALL, A classe operária no Brasil: documentos (1889-1930), São Paulo, 1979-1981, 2 voll., giacché il rapporto lì citato non è più reperibile nell’ACS di Roma. Vd. Ibid

116 sociale era ormai evidente. Donna Gabaccia stima che almeno un terzo dei più importanti leaders operai dell’anteguerra, pressoché tutti uomini, andarono in esilio, e circa il 90% rientrò in Italia. Durante gli anni ‘90 e i primi del Novecento, il 74% degli emigrati politici era socialista, mentre solo il 21% era anarchico. I militanti libertari, invece, costituirono il 57% degli esuli negli anni ‘70 e il 63% negli anni ‘80.252 Per quanto riguarda, nello specifico, gli anarchici emiliani e romagnoli emigrati in Argentina e Brasile, certe cifre mostrano alcune caratteristiche della loro migrazione. Da un campione di 64 militanti immigrati in questi paesi prima delle leggi contro gli stranieri, sappiamo che il 65,6% si stabilì definitivamente in terre sudamericane.253 Sui 22 di cui si ha la certezza del rimpatrio, 3 lo fecero prima dei due anni di soggiorno, 6 dopo un periodo fra i due e i cinque anni, 6 rimasero in Sudamerica fra i cinque e i dieci anni e 3 per un periodo fra i dieci e vent'anni. Infine, 4 attivisti ritornarono in Italia dopo essere rimasti più di vent'anni in Sudamerica. Sui rimpatriati, il 59% di essi rientrò nel Regno prima dell’approvazione delle leggi repressive contro gli stranieri, le quali furono responsabili di due rimpatri forzati. La maggior parte degli anarchici immigrati in Sudamerica dall’Emilia e dalla Romagna provenne da quest’ultima regione, rappresentando il 68,7 %. Secondo il luogo d’origine dei militanti, la provincia che più partecipò all’emigrazione libertaria fu Forlì con 19 militanti, seguita da Ravenna con 17, Bologna con 11 – 8 dei quali originari d’Imola –, Reggio Emilia con 7, Modena con 6 e Parma con 4. Del totale di questi emigrati, 35 soggiornarono in Brasile, mentre 44 lo fecero in Argentina, vale a dire che 13 di essi, cioè un 20% del totale, ebbero un periodo di residenza in entrambi i paesi – uno visse anche in Uruguay. Inoltre, 27 vissero solo in Argentina e 21 conobbero soltanto il Brasile, mentre 3 si stabilirono in Uruguay dopo aver avuto residenza in Argentina.

252 D. GABACCIA, op. cit., p. 109. L’analisi statistica di Gabaccia si basa sulla compilazione di biografie fatta da Franco Andreucci e Tommaso Detti (vd. F. ANDREUCCI E T. DETTI, Il movimento operaio italiano. Dizionario Biografico, 5 voll., Roma, Editori Riuniti, 1975- 1978), per cui la riteniamo un’analisi «tendenziale», poiché, ad esempio, sui circa duecento anarchici emiliani e romagnoli individuati nel presente lavoro, nemmeno il 5% appare nel lavoro di Andreucci e Detti. 253 Vd. Appendice 1, Tabella degli anarchici emiliani e romagnoli emigrati in Argentina e Brasile prima dell’approvazione delle leggi contro gli stranieri del 1902 e 1907 rispettivamente. La tabella considera i militanti dei quali è stato possibile raccogliere tutti i dati necessari per costruire le statistiche. Per un elenco più completo, anche se approssimativo, vd. Appendice 2, Elenco degli anarchici emiliani e romagnoli emigrati in Argentina e Brasile prima dell’approvazione delle leggi repressive. In entrambi i documenti si hanno considerato solo i militanti nati prima del 1880.

117 Riguardo alla data d’espatrio, possiamo dire con certezza, che 9 anarchici partirono per il Sudamerica prima del 1890, 27 lo fecero fra il 1890 e il 1895, mentre 20 fecero altrettanto nel periodo 1896-1900. Soltanto 4 anarchici arrivarono oltreoceano fra il 1900 e le leggi contro gli stranieri, mentre non conosciamo la data d’arrivo di 4 di essi. Non è un dato minore che il 73,4% dei militanti emigrassero negli anni ’90, con almeno 28 espatri (43,7%) nel periodo 1894-1898, il quinquennio della più severa repressione contro gli anarchici in Italia e della generalizzazione del domicilio coatto. L’ultima caratteristica che ci sembra opportuno considerare è quella dell’occupazione degli attivisti libertari. Anche se non è facile stabilire una sola attività per ogni militante, poiché molti svolsero diversi mestieri sia nella penisola sia in Sudamerica, azzardiamo a formulare uno schema approssimativo in base all’informazione raccolta dalla polizia italiana – in particolare quella segnalata nei fascicoli del CPC. Dal nostro campione, apprendiamo che 40 militanti, cioè il 62,5%, erano lavoratori manuali, occupati in attività artigianali e/o come operai specializzati, vale a dire operai meccanici, falegnami, pittori, cappellai, sarti, tipografi, ecc., mentre 6, inclusa una casalinga, erano lavoratori senza specializzazione. D’altra parte, 7 erano impiegati, 5 commercianti e 4 artisti. Infine, solo 2 militanti del totale furono segnalati come proprietari. Anche se presocché nessuno degli anarchici emiliani e romagnoli non appartenne alla categoria di bracciante o contadino e qualcuno fu ritenuto dalla polizia italiana come «benestante», risulta difficile caratterizzare la loro emigrazione come un’emigrazione d’élite, poiché la maggior parte dei loro mestieri rientra nella categoria di artigiano, operaio o lavoratore manuale. Inoltre, quasi tutti i militanti di cui è stato possibile conoscere il tipo di biglietto utilizzato per il viaggio in Sudamerica, lo fecero in terza classe, cioè la più economica e questo è il criterio fondamentale con il quale le autorità sudamericane segnalarono gli arrivati sotto la categoria di «immigrante». Per caratterizzare le migrazioni anarchiche da un punto di vista economico sembra più giusto parlare di una «emigrazione urbana» – seppur alcuni militanti libertari partissero anche da piccoli centri urbani molto legati alla produzione agricola –, poiché le attività professionali degli anarchici si collegarono soprattutto a occupazioni sviluppate nelle città. Non a caso, nel nostro campione non c’è neanche un militante che si fosse occupato, né in Italia né in Sudamerica, di attività agricole. È vero che alcuni esuli repubblicani furono artigiani e operai, come gli anarchici, ma è anche vero che l’élite italiana nell’America del Sud fu costituita da mazziniani

118 provenienti dalla borghesia e dalla classe media e fu nelle loro reti sociali e politiche che s’inserirono i nuovi repubblicani arrivati. Non fu il caso degli anarchici – e probabilmente neanche dei socialisti –, che invece dovettero «costruirsi» una vita integrandosi nella dinamica del mercato locale del lavoro, come qualsiasi altro immigrato dall’Italia. A nostro avviso, questa fu una questione piuttosto rilevante poiché fu proprio nel mercato del lavoro – particolarmente in quello urbano – che s’incontrarono migranti economici e migranti anarchici e, proprio qui, si creò l’associazionismo anarchico e operaio italiano come spazio di collegamento fra le due realtà. In principio, quest’idea sembra contrastare con l’associazionismo di carattere «etnico», soprattutto con quello di richiamo nazionale. Tuttavia, risultò inevitabile che gli anarchici italiani, seppur come un bisogno apparentemente solo linguistico, utilizzassero l’italianità come «significante», cioè come un segno utile per convocare gli emigrati dalla penisola e dal quale tentarono di rimuovere il suo «significato» borghese e nazionalista. Volente o nolente, l’idea della nazione italiana costituì la base della costruzione del soggetto politico italiano, anche se, sicuramente, gli anarchici emigrati dalla penisola concepirono sé stessi come soggetti politici «internazionali» e internazionalisti. La domanda che rimane è come e in quale misura, gli attivisti libertari riuscirono a coniugare nazionalismo e internazionalismo nella propria attività propagandistica e se questa «strategia» riportò il successo previsto. Dall’altra parte, invece, gli anarchici dell’Emilia e della Romagna, come quelli delle altre regioni della penisola, nei loro ruoli di lavoratori, di militanti e anche di persone comuni che vivevano la propria quotidianità in territori diversi e lontani, videro convivere e incrociarsi le proprie identità politica, sociale, regionale e nazionale in un modo probabilmente piuttosto differente da come accadeva prima dell’espatrio. Ecco due dimensioni fondamentali, a nostro avviso, per capire le dinamiche sociali con le quali i militanti libertari riuscirono a costruirsi una o più comunità di riferimento nell’esilio.

119 Capitolo 2. Internazionalisti e anarchici in Emilia e Romagna (1871-1900).

2.1. L’esordio dell’anarchismo in Emilia e Romagna: Gli internazionalisti emiliani e romagnoli e la Federazione Italiana dell’Internazionale (1871-1879).

La sera del 6 agosto 1872, nei pressi di Rimini, al grido di «Viva la Rivoluzione sociale!» si chiuse la conferenza che vide nascere la Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la quale segnalava l’esordio del movimento anarchico nella penisola su scala nazionale. La conferenza era iniziata il pomeriggio del 4 agosto, nella sede del Fascio Operaio di Rimini, con venticinque delegati rappresentanti ventun sezioni e con una massiccia presenza delle associazioni emiliane e romagnole: vi furono Ravenna, Bologna, Rimini, Imola, Lugo, Fusignano, Mirandola, San Giovanni in Persiceto, Sant’Arcangelo e Forlì. Con Carlo Cafiero alla presidenza e Andrea Costa come segretario dell’incontro, la Conferenza di Rimini deliberò – fedele ai principi di autonomia locale delle sezioni – la costituzione della Federazione Italiana dell’Internazionale, da una parte e di rompere ogni solidarietà con il Consiglio Generale dell’AIL – con sede a Londra e diretto da Carlo Marx – dall’altra, astenendosi d’inviare delegati al congresso indetto dal Consiglio Generale a L’Aia per il settembre e sostenendo invece l’iniziativa di un congresso internazionalista antiautoritario parallelo, da tenersi a Neuchâtel. Si elesse Costa nella Commissione di Corrispondenza, fissando la sua sede a Imola, mentre il garibaldino mirandolese Celso Ceretti, assieme a Errico Malatesta e Carlo Terzaghi, si fece carico di quella di statistica, con sede a Mirandola, commissioni che sarebbero le uniche strutture organizzative di «rappresentanza» nazionale dell’Internazionale italiana. Finalmente, si decise che il prossimo congresso della Federazione Italiana avrebbe avuto luogo a Mirandola nel marzo 1873.254

254 Il resoconto e le risoluzioni della Conferenza di Rimini, così come il programma e il regolamento della FIAIL, furono pubblicate in «La Rivoluzione Sociale», s. l. [Svizzera], a. 1, n. 1, settembre 1872. Questi documenti sono riprodotti in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori: Atti ufficiali 1871-1880, Milano, Edizioni Avanti!, 1963, pp. 30-41. Cfr. M.

120 Questo evento permise all’internazionalismo italiano di fornirsi di un’organizzazione nazionale, seppur decentrata e rispettosa dell’autonomia delle sezioni e schierarsi con l’antiautoritarismo che propugnava nel confronto con i marxisti all’interno dell’AIL. Sarà quest’antiautoritarismo la base dei principi della FIAIL – oltre a quelli genericamente socialisti tali come «l’emancipazione del lavoro deve essere opera dei lavoratori stessi» – che rese possibile l’incontro fra bakuninisti e garibaldini socialisti a Rimini. Certo è che non si può parlare di una conferenza propriamente bakuninista e quindi propriamente anarchica, quando Garibaldi aveva già sostenuto la tesi dell’autonomia delle sezioni e il Bakunin, che voleva difendere le sue posizioni a L’Aia, era contrariato dalla risoluzione italiana di non parteciparvi255. Non c’è molto consenso fra gli storici nel segnalare chi fossero i venticinque convenuti a Rimini. Dei delegati dell’Emilia e della Romagna, oltre a Costa e Ceretti, si coincide nella presenza di Ludovico Nabruzzi per Ravenna e Giuseppe Picciacci per Lugo256. Ad ogni modo, quello che ci interessa adesso è che alla conferenza vi furono

NETTLAU, Bakunin e l’Internazionale in Italia, dal 1864 al 1872, Roma, La Nuova Sinistra, Edizioni Samonà e Savelli, 1970 [Ginevra, Edizioni del Risveglio, 1928], pp. 357-365; S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna (1870-1872), Cesena, Edizioni La Squilla, 1978, pp. 296-311; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani di Bakunin a Malatesta, Milano, Rizzoli Editore, 1969, pp. 65-66; N. PERNICONE, Italian Anarchism, 1864-1892, Princeton, Princeton University Press, 1993, pp. 57-59; G. MANACORDA, Il movimento operaio italiani attraverso i suoi congressi (1853-1892), Roma, Rinascita, 1953, pp. 82-86; E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, Milano, Edizioni Pantarei, 2008, pp. 192-195; L. FAENZA, Marxisti e «riministi». La Conferenze di Rimini e k'Internazionale italiana: vent'anni di storia del movimento operaio (1872-1892), Rimini Guaraldi Editore, 1972, pp. 7-10. 255Di fatto, la conferenza non ebbe una dichiarazione di principi che andasse oltre all’antiautoritarismo e al federalismo che allora condividevano anarchici e garibaldini, e piuttosto che affermare l’anarchia, la conferenza segnò l’alleanza fra i seguaci del russo e quelli del Generale. Vd. S. SOZZI, op. cit., p. 311-315. 256Max Nettlau conobbe solo nove nomi, e lanciò alla posterità la domanda «chi potrà ricostruire i nomi dei 25 delegati?». Vd. M. NETTLAU, op. cit., p. 365. Pier Carlo Masini ci prova ma arriva a solo diciotto nomi, tra di essi Alfonso Cottafava (San Giovanni in Persiceto), Temistocle Silvagni (Forlì), Napoleone Balbi (Fusignano) ed Erminio Pescatori (Bologna) per l’Emilia e la Romagna. Vd. P. C. MASINI, op. cit., p. 65. D’altronde, Sigfrido Sozzi sostiene che gli agenti di polizia identificarono diciannove nomi, tra i quali menziona Alceste Faggioli (Bologna), Teobaldo Buggini (San Giovanni in Persiceto), Caio Zavoli (Rimini), Giuseppe Capaccini e Germanico Piselli (Forlì), e smentisce la presenza di Erminio Pescatori, che all’indomani del congresso del Fascio Operaio di Bologna nel marzo precedente si era allontanato dalla militanza. Vd. S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., pp. 297-299. Sull’allontanamento di Pescatori, vd. Ivi., pp. 243-247.. In un altro saggio, lo stesso Sozzi segnala che non tutte le sedute della Conferenza si sono tenute nella sede del Fascio Operaio riminese, ragion per cui il napoletano Gambuzzi e i deputati Fanelli e Friscia sono riusciti a sfuggire al controllo della polizia. Vd. S. SOZZI, La sezione riminese dell’Internazionale nei documenti riservati del gabinetto della prefettura di Forlì, in L. FAENZA (a cura di), Anarchismo e socialismo in Italia (1872-1892). Atti del Convegno di studi «Marxisti e “riministi”» Rimini 19-21 ottobre 1972, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 133. La versione di Sozzi sembra la più plausibile, se si considera che si basa su fonti della polizia locale, la quale avrebbe sorvegliato l’incontro. Tuttavia, sia Sozzi che Masini considerano un fatto la presenza di Malatesta, questione che egli stesso smentisce in una lettera a Max Nettlau del novembre 1928. Vd. N. PERNICONE, op. cit., p. 58. Dal canto suo, Emilio Gianni segnala il ravennate Claudio Zirardini come membro degli internazionalisti che prendono parte alla conferenza. Vd E. GIANNI, La parabola romagnola del “partito intermedio”. I congressi del Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo (1881-1893), Milano, Edizioni Pantarei, 2010, p. 411. Vd. inoltre L. Faenza, Marxisti e «riministi», cit., pp. 33-34. In ogni caso, la domanda di Nettlau, purtroppo, è

121 anche due romagnoli che sicuramente non sapevano che in futuro sarebbero andati in Sudamerica: Caio Zavoli e Germanico Piselli257. Purtroppo, oltre alla loro presenza alla conferenza, non si hanno notizie sul ruolo che vi avrebbero svolto. Sozzi presume che lo Zavoli avesse partecipato senza essere d’accordo con quanto si deliberò e che, anzi, fosse più interessato agli incontri fra internazionalisti e repubblicani.258 Si sa, però, che egli collaborò alla preparazione dell’incontro, giustamente essendo il rappresentante della sezione riminese. L’organizzazione della conferenza s’avviò nel giugno 1872 con gli incontri a Locarno fra Bakunin e Cafiero, una volta che quest’ultimo decise di interrompere i propri rapporti con Engels, chi fin dal 1° agosto 1871 era diventato il segretario dell’AIL per l’Italia e aveva in Cafiero un suo collaboratore. Il contegno autoritario del Consiglio Generale dell’Internazionale e l’atteggiamento accusatorio di Marx ed Engels nel confronto di Bakunin, portò l’uomo della Puglia a staccarsene e a schierarsi con l'anziano agitatore russo. Fu allora che si mise in moto e iniziò una campagna fra diverse sezioni italiane, specie a Milano, Firenze, Roma, Napoli e Bologna, per promuovere l’incontro che avrebbe fatto nascere la Federazione Italiana. Tuttavia, fu soprattutto il rapporto che Bakunin stabilì con Celso Ceretti e Ludovico Nabruzzi quello che rese possibile la conferenza di Rimini, giacché facilitò l’intesa tra gli internazionalisti emiliani e romagnoli e quelli napoletani, questi ultimi spinti dal desiderio di rompere ogni rapporto con il Consiglio Generale, questione che non si dava affatto per scontata fra i socialisti di Emilia e Romagna. Così fu che il 23 giugno 1872 il Fascio Operaio di Bologna convocò la conferenza, in sintonia anche con le risoluzioni del I Congresso del Fascio locale.259 Non a caso si scelse Rimini come sede dell’incontro internazionalista. La forte presenza di sezioni in Romagna e la vicinanza della Toscana, Le Marche e Umbria, regioni ancora da rispondere. 257 Vd. S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., p. 297. L’autore segnala anche che lo Zavoli ottenne dei voti per la presidenza della conferenza assieme a Ceretti, Castelli, Cafiero, Nabruzzi e Costa, ma furono gli ultimi tre a sedersi a capo del convegno. Vd. Ivi., p. 299. 258 S. SOZZI, La sezione riminese dell’Internazionale, cit., p. 132. Sozzi sostiene che, laddove l’Internazionale ebbe una base di massa, come in Romagna, non fu totalmente acquisita dall’anarchismo, e che probabilmente nell’agosto 1872 i romagnoli non convenissero con quanto deliberato alla conferenza. Comunque, è lo stesso Sozzi a mostrare come Zavoli, appena uscito dal carcere – era stato arrestato qualche giorno dopo la conferenza – si mise in contatto con il consiglio regionale ricevendo l’invito di James Guillaume per il congresso internazionale antiautoritario, al quale dette l’adesione della propria sezione. Vd. Ivi., p. 129-130. 259 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., p. 62-64; N. PERNICONE, op. cit., p. 57; M. NETTLAU, op. cit., pp. 348-352; G. MANACORDA, op. cit., pp. 82-83. Sul carteggio fra Bakunin e Pescatori, Ceretti e Nabruzzi, iniziato nel novembre 1871, cfr. M. NETTLAU, op. cit., pp. 285-307; S. SOZZI, op. cit., pp. 138-143. L’appello convocando la conferenza fu pubblicato in «La Favilla», Mantova, a. VII, n. 124, 26 giugno 1872; riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 27-28.

122 dove c’era anche una considerevole quantità di associazioni, fece della città la sede adatta. Tuttavia, a luglio lo stesso Caio Zavoli, avendo ottenuto un permesso speciale per uscire da Rimini – era stato ammonito – si diresse a Bologna per persuadere il consiglio a cambiare la località della conferenza, proponendo Cesena, città della più forte organizzazione militare garibaldina, pensando si potesse coinvolgere il suo capo Eugenio Valzania e raggiungere un accordo con i repubblicani per un’eventuale insurrezione. Ma siccome gli altri internazionalisti erano più interessati alla rottura con il Consiglio Generale di Londra, lo Zavoli non riuscì a convincere i bolognesi, dopodiché avrebbe rinunciato ad assumere la presidenza dell’assemblea.260 Caio Zavoli261 e Germanico Piselli262 furono tra i pionieri dell’internazionalismo in Romagna, entrambi provenienti dal repubblicanesimo. Mentre nel forlivese il Piselli, Camillo Amadio e il tipografo Antonio Danesi staccavano dalle consociazioni repubblicane alcune decine di operai che in seguito aderirono all’Internazionale – come altrettanto fecero Francesco Piccinini e Ludovico Nabruzzi nel ravennate –, la propaganda internazionalista svolta dallo Zavoli e altri nel riminese otteneva successo grazie al prestigio che Garibaldi e i suoi seguaci avevano in città, soprattutto fra il popolo più politicizzato263. Sicuramente questo passaggio alle fila internazionaliste fu favorito dalle delusioni che provarono molti dei repubblicani romagnoli al ricevere notizie scoraggianti sulla guerra franco-tedesca e sulla sconfitta della Repubblica francese. Inoltre, seppur non fossero in tanti i romagnoli che accompagnarono a Garibaldi in quelle campagne, i pochi che tornarono in patria non ebbero assistenza dal governo – anzi, molti furono ammoniti quali oziosi e vagabondi – e nemmeno dalla mazziniana Alleanza Repubblicana Universale.264

260 S. SOZZI, La sezione riminese dell'Internazionale, cit., pp. 130-131; ID., Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit. pp. 291-295. 261 Nato a Rimini il 18 maggio 1841, Zavoli disertò dalla marina italiana durante la leva e poi seguì Garibaldi nel 1867. Fece anche la campagna dei Vosgi con Garibaldi, dove risultò gravemente ferito da una pallottola al polmone. Dopo la battaglia di Digione tornò a Rimini, dove abbandonò il lavoro di scrittore vedendosi costretto alla disoccupazione e vivere a carico dei parenti. Vd. ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio; ASFo, Gab. Pref., b. 55, 1875, fasc. 243. 262 Germanico Piselli, impiegato e pubblicista, nacque a Ravenna il 26 aprile 1850. Verso il 1866 e 1867 fu con Garibaldi e si avvicinò al repubblicanesimo radicale. Nel 1871 vinse un concorso per ufficiale d’ordine in prefettura. Vd. Piselli Germanico, in DBAI, vol. II., p. 359. 263 S. SOZZI, La sezione riminese dell'Internazionale, cit., p. 124. 264 S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., pp. 66-69. Nel novembre 1870 il volontario garibaldino e fratello maggiore di Caio Zavoli, Marco, scrisse una lettera da Lione a Eugenio Valzania sostenendo che in Francia c’era una grande confusione. Marco Zavoli morì qualche settimana dopo, nel gennaio 1871, nella seconda battaglia di Digione. Vd. Ivi., p. 68.

123 In ogni caso, quello che precipitò i dissidi all’interno delle file repubblicane fu l'aspra critica che lanciò contro la Comune di Parigi e con essa anche contro l’Internazionale e i principi socialisti, dividendo in forma definitiva i socialisti garibaldini dai mazziniani.265 Dal canto suo, Giuseppe Garibaldi, che aveva combattuto per la Repubblica francese, dopo l’armistizio con la Prussia si schierò apertamente con la Comune parigina – ne fu nominato capo della Guarda Civile – e a favore dell’Internazionale.266 Questi due fattori influirono in modo decisivo sull’ambiente politico repubblicano e sulla svelta diffusione delle idee internazionaliste in Italia e particolarmente in Romagna. La nascita e la diffusione dei gruppi internazionalisti romagnoli ed emiliani, in pratica, si dovette più all’indirizzo di Garibaldi contro la tattica e la strategia rivoluzionaria di Mazzini, che all’adesione dei socialisti alle direttive bakuniane. Sono i garibaldini dell’ARU, come Pescatori a Bologna, Ludovico Nabruzzi a Ravenna, Francesco Piccinini a Lugo e i fratelli Zavoli a Rimini, a creare le basi dell’internazionalismo nella regione. Di fatto, il giornale democratico ravennate «Il Romagnolo», diretto dal Nabruzzi, sarà il primo in Romagna ad assumere pubblicamente posizioni divergenti da quelle dell’ARU e appoggerà l’interpellanza fatta da «La Plebe» di Lodi nel maggio 1871 al partito repubblicano sulla propria definizione riguardo alla questione sociale.267 Tuttavia, il fattore Michele Bakunin svolse comunque un importante ruolo nella formazione dell’internazionalismo italiano. È proprio Germanico Piselli a riferire che sui primi del 1871, «infiammati» dagli scritti del russo, alcuni repubblicani romagnoli si dichiararono internazionalisti.268 Particolarmente importanti furono i suoi articoli in

265 Sul confronto critico di Mazzini verso la comune parigina, vd. N. ROSELLI, Mazzini e Bakunin, dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Torino, Einaudi Editore, 1967, pp. 241-255 266 Ivi., 269-272. Vd. anche L’Internazionale e Garibaldi, in «Il Fascio Operaio», Bologna, a. I, n. 2, 3 gennaio 1872. 267 S. SOZZI, op. cit., p. 13, 59-60. Sul giornale «Il Romagnolo», Vd. R. ZANGHERI, «Il Romagnolo» (1868-1874). Un giornale ravennate dal mazzinianesimo al socialismo, in «Studi Romagnoli», 1950, n. I, pp. 363-371. Questo periodico, nato a Ravenna nel 1868 come organo repubblicano locale, cessò le sue pubblicazioni alla fine dell’ottobre 1871, dopo due mesi sotto la direzione di Ludovico Nabruzzi, periodo in cui il periodico si avvicinò alle idee socialiste. Nel numero 13 dell’agosto, con l’articolo Solidarietà, iniziò la polemica contro Mazzini e, poco tempo dopo, Nabruzzi entrava in corrispondenza con Bakunin. Collaborarono il lughese Francesco Piccinini, i cinque fratelli Zirardini di Ravenna e il loro conterraneo Francesco Pezzi. Vd. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., p. 55. 268 G. PISELLI, Sempre sull’organizzazione, in «La Rivendicazione», Forlì, a. 2, n. 50, 1º ottobre 1887. In quest’articolo, Piselli fa riferimento a un «congresso» tenuto a Lugo, nel quale, secondo Sozzi, avrebbero partecipato, oltre al locale Francesco Piccinini, il proprio Piselli, Pescatori, Nabruzzi, Caio Zavoli e altri. Secondo Sozzi, questa riunione farebbe risalire gli inizi del movimento socialista romagnolo al meno all’autunno 1870. L’incontro sarebbe rimasto nascosto nelle ombre perché, essendo tutti i suoi partecipanti repubblicani, e forse attuando anche dall’interno dell’ARU, temevano delle rappresaglie da parte dei capi mazziniani. Di fatto, questo convegno sarebbe stato una delle ragioni per cui Francesco Piccini fu assassinato da «fanatici repubblicani» il 2 maggio 1872. Cfr. S. SOZZI, Gli inizi del movimento

124 difesa della Comune di Parigi e l’Internazionale di fronte ai persistenti attacchi fatti da Mazzini, soprattutto perché sicuramente aiutarono ad incoraggiare i più azzardati repubblicani socialisti a cercare una propria linea d’azione, al di fuori dell’ARU e del mazzinianesimo. 269 Ad ogni modo, durante questo periodo l’influenza del russo in Romagna si limitò soltanto ai suoi scritti e solo dalla fine del 1871 prenderà contatto epistolare con Nabruzzi e Ceretti, questione che sarà fondamentale per la realizzazione della Conferenza di Rimini e la fondazione della FIAIL. Intanto, i dissidi fra i repubblicani dell’ARU e i socialisti s’inasprivano, come dimostra la riunione dei repubblicani di Romagna, tenuta a Forlì il 4 settembre 1871, con a capo Aurelio Saffi. In quell’occasione si confermò la propria adesione ai principi mazziniani, si decise di separarsi in maniera definitiva dai repubblicani socialisti, senza possibilità di dialogo e si richiamarono le associazioni locali del partito alla disciplina. In questo modo, i mazziniani si schierarono «a quadrato contro l’eresia internazionalista».270 Questa rottura sul piano locale ebbe anche un riflesso sul piano nazionale. Al XII Congresso delle Società Operaie, convocato dai mazziniani e tenuto a Roma dal 1° al 6 novembre 1871, non parteciparono i socialisti romagnoli, con la sola eccezione di una società ravennate. Eppure, nessuno tra gli internazionalisti della Romagna prese delle iniziative contrastanti. Tuttavia, altri internazionalisti vi parteciparono, tra di essi Carlo Cafiero, i quali distribuirono uno scritto di Bakunin in difesa dell’Internazionale, la Circolare agli amici d'Italia. Tuttavia, dopo che fu approvata l’adesione del congresso ai principi mazziniani da una stretta maggioranza, gli internazionaoisti abbandonarono l’incontro riconfermando la rottura fra mazziniani e socialisti.271 Come risposta al congresso mazziniano Celso Ceretti organizzò un incontro con gli internazionalisti romagnoli che ebbe luogo a Forlì il 19 novembre. In questa riunione, socialista nella Romagna, cit., p. 11-12, 36 e 60; ID., La Comune di Parigi nelle carte riservate del Gabinetto del Prefetto di Forlì, in Bollettino del Museo del Risorgimento: Atti del Convegno di studi su «La Comune di Parigi e la crisi delle formazioni politiche del Risorgimento», Bologna, anni XVII-XVIII-XIX, 1972-1973-1974, p. 360-366. 269 Sulla polemica fra Mazzini e Bakunin riguardo alla Comune di Parigi, cfr.. M. NETTLAU, op. cit., pp. 204- 216; N. ROSELLI, op. cit., pp. 273-284. Sulle polemiche successive vd. M. NETTLAU, op. cit., pp. 246-261. 270 S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., pp. 107-108. 271Vd. Il congresso operaio, Una nobile protesta e Il movimento sociale, in «L’Eguaglianza», Girgenti, a. I, 1871, n.18 (12 novembre), n. 19 (19 novembre) e n. 20 (26 novembre) ripsettivamente. Cfr. Il XII Congresso delle società operaie tenuto a Roma, in «La Rivoluzione», Forlì, a. I, n. 8, 9 e 12 (novembre- dicembre 1871). Sul congresso vd. MANACORDA, op. cit., pp. 65-71. La Circolare di Bakunin distribuita nell'adunanza repubblicana era la prima parte di un opuscolo scritto dal russo a proposito del congresso di Roma e le manovre di Mazzini, la cui versione completa fu pubblicata in italiano solo nel 1886. Sulla Circolare, vd. M. BAKUNIN, Circolare agli amici d'Italia (a cura di M. Catucci), Roma, Robin Edizioni, 2013.

125 dove parteciparono ventotto delegati delle sezioni romagnole di Bologna, Imola, Ravenna, Forlì, Faenza, Lugo, Rimini, Cesena, San Potito e Cesenatico, si decise di accrescere il numero di sezioni, aderire al congresso democratico promosso da Garibaldi per la primavera 1872 a Bologna – con lo scopo di non perdere il contatto con le società operaie sulle quali l’Internazionale avrebbe voluto allargarsi –, e far rivivere il giornale «Il Romagnolo» di Ravenna ma, da quel momento, con un indirizzo schiettamente socialista. Questa riunione, che conterà sulla presenza del Nabruzzi tra altri ravennati e del giovanotto Germanico Piselli, fu la prima di carattere regionale fra i socialisti romagnoli che intesero aderire all’Internazionale, condividendo le riserve di Garibaldi nei confronti del Consiglio Generale, ma non ancora schierati con Bakunin.272 Intanto, la tensione fra socialisti e mazziniani non si arrestava, al punto che la violenza coinvolse i repubblicani ai danni degli internazionalisti. A Rimini, la sera del 7 ottobre 1871 Caio Zavoli fu aggredito con un revolver da Clodomiro Pratelli, dirigente dell’Associazione Democratica del Saffi, risultando ferito abbastanza gravemente.273 Non a caso il riminese ne fu vittima. La polizia lo considerava, con Giuseppe Ferri, uno dei capi internazionalisti. Del 4 settembre 1871 è il primo documento che accenna l’esistenza di un gruppo internazionalista, con a capo i fratelli Zavoli, e a novembre si parlava di un migliaio d’internazionalisti a Rimini, sempre sotto la guida di Caio274. Seppur questo numero rappresenti un’esagerazione, già durante il 1871 le autorità attuarono misure repressive nel confronto degli internazionalisti. Sembra che le autorità temessero che i reduci della Francia, molti dei quali si erano schierati con l’Internazionale, soprattutto a Rimini, fossero in relazione con gli internazionalisti della Francia meridionale, ancora disposti ad insorgere. Per questa ragione i prefetti reprimono secondo opportunità, lasciando da parte i capi e perseguitando soprattutto

272 Associazione Internazionale degli Operai Regione Romagnola, in «L’Eguaglianza», Girgenti, a. I, n. 22, 10 dicembre 1871. Vd. anche S. SOZZI, op. cit., pp. 125-33. 273 ASFo, Gab. Pref., b. 55, 1875, fasc. 243. Vd. anche S. SOZZI, op. cit., p. 165. Anche se questi episodi di violenza da parte repubblicana furono particolarmente drammatici soprattutto a Ravenna, Forlì e Lugo, Sozzi nota, però che l’ARU di Cesena, capeggiata da Eugenio Valzania, si mostrò particolarmente indulgente con gli internazionalisti. Vd. Ivi., p. 109. In ogni caso, i tentativi di trovare l’unità non mancarono, e così fu che gli internazionalisti parteciparono a Rimini nel novembre 1871 a un’attività commemorativa dei caduti di Digione, con Zavoli a capo, e nella quale prenderanno parte anche Valzania e la Consociazione democratica riminese. Vd. Ivi., p. 169. 274 S. SOZZI, La sezione riminese dell'Internazionale, cit., p. 120-129. Suo fratello è Bruto Zavoli, nato a Rimini nel 1843. Il numero di mille internazionalisti, dato dai Carabinieri, sembra piuttosto esagerato, soprattutto se si considera che a marzo 1872 il sottoprefetto parla di una cinquantina di internazionalisti, di cui nessuno “pennaiuolo”. Vd. Ivi., p. 120-121. A corroborare l’importante ruolo dello Zavoli a Rimini è Carlo Terzaghi, che scrisse a Engels nel gennaio 1872: «Caio Zavoli ex ufficiale dei Vosgi, fondò a Rimini una numerosa sezione». Vd. M. NETTLAU, op. cit., p. 240.

126 socialisti, operai e alcuni repubblicani considerati pericolosi, essendone vittime Valzania e Lucchi a Cesena, Resta a Ravenna e i fratelli Zavoli e i loro compagni a Rimini.275 Dopo la riunione di Forlì la spinta internazionalista romagnola prese forma a Bologna, dove il 27 novembre 1871, in un'adunanza di numerosi operai presieduta dal garibaldino Erminio Pescatori, si costituì il Fascio Operaio.276 In seguito, i socialisti della Romagna, seguendo l’esempio dei bolognesi, formarono analoghe associazioni locali. Il 1° gennaio del 1872 si costituì a Ravenna il Fascio Operaio, con cinque società locali e circa 500 soci, che con un Patto di Fratellanza si definirono come Sezione dell’Internazionale.277 Uno dei promotori, oltre a Nabruzzi, fu Claudio Zirardini, fratello maggiore di Gaetano, Giovanni e Odoardo, il cui esempio indurrà i suoi fratelli a impegnarsi con l’internazionalismo fin dalla costituzione della sezione locale.278 Qualche settimana dopo la sua fondazione, la sezione ravennate fece arrivare un saluto alla recentemente costituita sezione internazionalista milanese, con la firma del suo presidente, Ludovico Nabruzzi e del suo segretario, Francesco Pezzi.279 Quest’ultimo, oltre a svolgere un centralissimo ruolo nella FIAIL negli anni successivi, con la sua compagna Luisa Minguzzi, Errico Malatesta e altri andranno in Argentina.280

275 S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., p. 109, 208. Caio Zavoli era stato incarcerato per minacce contro la pubblica autorità, dal 14 agosto denunziato quale contravventore all’ammonizione, e ai primi del 1872 perquisita la casa di suo padre. Vd. S. SOZZI, La sezione riminese dell'Internazionale, cit., p. 129. Ad ogni modo, dal 1869 Zavoli aveva già sulle spalle alcuni arresti, condanne e ammonizioni per disordini, grida sediziose e oltraggio a persone investite di pubblica autorità. Il 31 agosto 1871 sarà ammonito per reati di sangue e come accoltellatore, e il 31 febbraio 1872 arrestato per contravvenzione all’ammonizione. Vd. ASFo, Gab. Pref., b. 55, fasc. 243; ACS, CPC, b. 5556., fasc. Zavoli Caio. Cfr. S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., pp. 206-207. 276Statuto generale del Fascio Operaio di Bologna, Bologna, Stabilimento Tipografico di G. Monti, 1872. Vd. anche Il Fascio Operaio, in «L’Eguaglianza», Girgenti, a. I, n. 22, 10 dicembre 1871. L’associazione bolognese decise di pubblicare un giornale proprio, «Il Fascio Operaio», diretto da Pescatori e il cui primo numero uscì il 27 dicembre 1871. Su questo giornale vd. G. PENDOLA, Il ‘Fascio Operaio’ di Bologna (1871-1872), in «Volontà», n. 4, luglio-agosto 1978, pp. 271-281; L. ARBIZZANI, La Stampa periodica socialista e democratica nella provincia di Bologna 1860-1926, Bologna, Editrice Compositori, 2014, pp. 52-56. 277 Associazione Internazionale degli Operai, Sezione Ravennate, Patto di Fratellanza, Bologna, Stab. Tip. Monti, s. d. [1872]; Statuto generale della Associazione Internazionale dei Lavoratori, sezione ravennate, Forlì, Tip. Soc. Democratica, 1872. Vd. Anche Nostra corrispondenza, in «Il Fascio Operaio», Bologna, a. 1, n. 2, 3 gennaio 1872. Nello stesso numero, nell’articoletto A Ravenna si parla però di 200 soci. 278 Vd. E. GIANNI, La parabola romagnola del «partito intermedio», Milano, Edizioni Pantarei, 2010, p. 411; Zirardini Claudio, in DBAI, vol. II, p. 721; F. CARDELLINI, Gaetano Zirardini, una vita per il socialismo, Ferrara, Istituto di Storia Contemporanea del movimento operaio e contadino, annuario n. 1, 1976, p. 18. Particolare interesse ha Giovanni, detto «Giannetto», pittore e decoratore nato a Ravenna il 27 dicembre 1853, che anni dopo partirà per l’Argentina. Vd. Zirardini Giovanni, in DBA, vol. II, p. 723. 279 La lettera, datata a Ravenna il 24 gennaio 1872, fu pubblicata in «Il Martello», Milano, 4 febbraio 1872, e riprodotta in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., p. 224. 280 Francesco Pezzi, computista, nacque il 30 agosto 1849 a Ravenna da Paolo e Vitginia Bonelli, mentre Luisa Minguzzi, sarta, nacque nella stessa città il 21 luglio 1852 da Michele e Chiara Raddi. Vd. ACS, CPC, b. 3302, fasc. Minguzzi Luisa; b. 3920, fasc. Pezzi Francesco.

127 A Forlì, nel febbraio 1872, fu Germanico Piselli a diventare il segretario della locale sezione internazionalista di Forlì.281 Da parte sua, nel mese di gennaio Caio Zavoli divenne il principale militante del Fascio Operaio riminese, che presto si costituirà come sezione dell’AIL.282 Durante i primi mesi del 1872 l’organizzazione dei fasci e degli internazionalisti si allarga rapidamente in tutta la Romagna e anche nelle Marche. Il 5 marzo si forma il Fascio Operaio di Sant’Arcangelo e sono anche di questo periodo quelli di San Potito, Fusignano e Faenza, che probabilmente hanno aspettato l’indirizzo di Garibaldi. Tutti si accorpano con l’Internazionale regionale, con la sola eccezione di Cesena, che preferì mantenersi a margine, secondo Sozzi, temendo delle persecuzioni poliziesche.283 Il primo appello pubblico degli internazionalisti romagnoli uscì dall’assemblea dei soci dei fasci operai della bassa Romagna, tenuta a Gambellara il 18 febbraio 1872, dove sono presenti socialisti di Ravenna, Lugo, Carpinello, Forlì e associazioni della campagna ravennate come Madonna dell’Albero, Santo Stefano, San Bartolo, Bastia, Campiano, Coccolia e San Pancrazio, e al quale Bologna, Senigallia, Imola e Ferrara inviarono dei saluti. L’adunanza, celebrativa anche di Garibaldi, sancì una dichiarazione che non andò oltre ad un generico socialismo, ma l’importante è che, seppur sostenendo la definizione internazionalista e giustificando la scissione dai mazziniani, si dichiarò favorevole a «qualunque tentativo di conciliazione fra operai che non richieda l’impossibile sacrificio delle nostre convinzioni».284 L’assenza dei fasci di Bologna e Imola rispose, secondo Sozzi, al loro rifiuto di questo tentativo di conciliazione promosso dal Piccinini, il Nabruzzi e il Piselli. Gli imolesi erano intransigenti e i bolognesi non volevano la collaborazione con i mazziniani, posizione che fu ribadita dallo stesso Pescatori. I bolognesi, spinti dalle critiche venute dal napoletano e dal torinese, ruppero con i mazziniani e con il proprio giornale, «Il Fascio Operaio», polemizzando inoltre con i repubblicani nonché con lo stesso Garibaldi.285 Nel mese successivo, a Bologna si tenne il I Congresso regionale dell’AIL, nel quale parteciparono venti delegati che rappresentavano tredici sezioni affiliate e quattro aderenti, tra di esse Bologna, Rimini, Ravenna, Lugo, San Potito, Fusignano, Forlì, Faenza,

281 E. GIANNI, L’Internazionale italiana, cit., p. 587 282Ivi., p. 642. 283 S. SOZZI, Gli inizi del movimento socialista nella Romagna, cit., pp. 205-207. 284Primo meeting internazionale romagnolo, in «Il Fascio Operaio», Bologna, suppl. al n. 8, 21 febbraio 1872, riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 12-14. Cfr. S. SOZZI, op. cit., pp. 214-215; G. MANACORDA, op. cit., pp. 80-81. 285 S. SOZZI, op. cit., pp. 216-217.

128 Sant’Arcangelo Imola e alcune sezioni delle Marche, più Mirandola come aderente. Con la presenza del Piccinini, Pescatori, Nabruzzi, oltre a quella di Zavoli e Piselli, l’adunanza deliberò di sostenere la propria neutralità nel confronto del Consiglio Generale dell’AIL e della Federazione del Giura e di convocare un congresso nazionale per maggio.286 Il 2 maggio 1872, con l’ambiente sempre più caldo fra internazionalisti e repubblicani, a Lugo fu assassinato Francesco Piccinini, il più attivo degli internazionalisti locali e uno dei più noti socialisti della Romagna, assalito da due individui ritenuti mazziniani.287 Gli internazionalisti, commossi dall’evento, organizzarono a Lugo una commemorazione in omaggio al compagno morto. Aurelio Saffi intervenne perché i repubblicani non disturbassero la manifestazione, anche se ormai i manifesti affissi dai socialisti erano stati tolti. Nell’atto parlarono Nabruzzi, Piselli, Francesco Pezzi e finalmente Andrea Costa. Questa sarebbe la prima manifestazione pubblica degli internazionalisti romagnoli.288 L’associazione Internazionale di Romagna, che ebbe una veloce diffusione nei primi mesi dell’anno, è già pronta per ricevere la conferenza che darà vita alla Federazione Italiana dell’Internazionale. Tuttavia, alla vigilia della conferenza solo due sezioni della regione ebbero delle riunioni preparatorie: la sezione riminese di Zavoli e la sezione imolese del Costa. Quest’ultima si riunì il 14 luglio e approvò la costituzione definitiva del fascio imolese e l’invio della quota a Londra, oltre alla propria adesione alla conferenza nazionale e all’elezione di un comitato direttivo di cinque membri. Un manoscritto del Costa, sequestrato dalla polizia, mostrava un’azzardata definizione, fino ad allora non assunta dai romagnoli: il Fascio Imolese si sarebbe dichiarato anarchico.289 Ad ogni modo, nei mesi successivi alla Conferenza di Rimini la FIAIL si diffuse in gran parte dell’Italia, sorgendo una sezione a Modena in seguito ad uno sciopero di lavoranti fornai, un’altra a Parma, dove si fondò inoltre il giornale internazionalista «Il Miserabile» nel 1873, altra anche a Piacenza della mano del giovane Prospero Crescio, e diverse altre nelle località minori dell’Emilia. Sicuramente divenne fondamentale il ruolo

286Primo congresso regionale. Sunto del processo verbale, in «Il Fascio Operaio», Bologna, a. I, n. 13, 24 marzo, 1872, riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 15-27. Cfr. S. SOZZI, op. cit., pp. 496-497; NETTLAU, op. cit., pp. 346-348; G. MANACORDA, op. cit., p. 81. 287 Per un assassinato, in «La Plebe», Lodi, a. V, n. 54, 8 maggio 1872. Sulla vicenda dell’assassinio di Piccinini vd. S. SOZZI, op. cit., pp. 261-265. Vd. anche Piccinini Francesco, in DBAI, vol. II, pp. 346-347. 288 S. SOZZI, op. cit,, pp. 421-423. 289Ivi., p. 301. Tuttavia, un opuscoletto della sezione imolese datato nel 1872 parla dell’adesione ai «principii della Democrazia Sociale» (Associazione Internazionale degli Operai, sezione imolese, Bologna, Stab. Tip. Di Giacomo Monti, 1872). Probabilmente si tratta di un documento pubblicato nei primi mesi dell’anno.

129 di Andrea Costa come segretario della commissione di corrispondenza, che dall'ottobre 1872 a marzo 1873 fu molto attivo e, attraverso un’intensa attività epistolare, collaborò alla formazione di molte nuove sezioni.290 Alla fine del 1872 la sezione forlivese era piuttosto forte e contava 172 soci e altri nove a Carpinello. Sicuramente Germanico Piselli fece parte della commissione di corrispondenza, poiché la sua dimora era recapito della commissione stessa, ma nel dicembre si trasferì a Milano alla ricerca di lavoro lasciando il suo posto a Temistocle Silvagni.291 Tuttavia, alla fine del gennaio 1873 l’ufficio di Pubblica Sicurezza forlivese comunicava al prefetto che la sezione internazionalista non si era più organizzata da quando era stata disciolta, di cui prova ulteriore era che il Piselli non dimorava più nella città.292 A Rimini l’Internazionale prosperava come in nessun’altra città romagnola. Aveva conquistato gran parte degli operai repubblicani e aveva una forte presenza fra gli addetti alla centrale della società ferroviaria. Inoltre, a dicembre si formò un’altra sezione internazionalista a Riccione. In concomitanza, nell’ottobre Caio Zavoli fu arrestato, ancora una volta, come contravventore all’ammonizione e rinchiuso nelle carceri del Castello Malatestiano riminese, da dove sarà rilasciato solo dopo la sua assoluzione del 16 novembre.293 In ogni caso, il fatto che la sezione riminese fosse l’unica della Romagna diretta da ufficiali garibaldini, l’avrebbe portata a mostrarsi favorevole al comizio per il suffragio universale – promosso dai garibaldini e tenuto al Colosseo verso fine del 1872 –, da un lato e a mantenere il rapporto con gli internazionalisti bolognesi vicini al Pescatori, dall’altro. Inoltre, gli internazionalisti riminesi tesero a interagire con la consociazione democratica locale, atteggiamento che indubbiamente era in forte contrasto con la linea della sezione imolese.294 Il 15 marzo 1873 iniziò il secondo congresso della FIAIL. L’incontro era stato fissato a Mirandola, ma siccome Celso Ceretti era stato arrestato e la locale sezione

290 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., p. 74-75; N. PERNICONE, op. cit., 72. Sull'Internazionale a Parma e a Piacenza, vd. GIUSEPPE BERTI, Gli inizi del socialismo parmense-piacentino (1870-1875), in «Rassegna Storica del Risorgimento», a. LI, fasc. III, luglio-settembre 1964, pp. 369-406. 291 S. SOZZI, op. cit., pp. 427-428 292 Nota dall’Ufficio di Pubblica Sicurezza della Prefettura di Forlì al Prefetto, Forlì, 31 gennaio 1873, ASFo, Gab. Pref., b. 49, 1872, fasc. 39. Da allora, si perdono le tracce di Piselli almeno per dieci anni, periodo in cui si sarebbe spostato in diverse città, quali Ferrara, Forlì, Mondovì, Lanciano e persino con destinazioni punitive in Sicilia e Sardegna. Vd. Piselli Germanico, in DBAI, vol. II, p. 359. 293 S. SOZZI, op. cit., pp. 429-430. Il 5 novembre, Zavoli inviò dalle carceri una lettera al giornale mantovano «La Favilla», sostenendo che si sarebbe allontanato dalla sua «patria» appena dimesso dal carcere per sottrarsi alle continue persecuzioni. Vd. C. ZAVOLI, Persecuzioni, in «La Favilla», Mantova, a. VII, n. 242, 9 novembre 1872. 294 S. SOZZI, op. cit., pp. 430-431.

130 disciolta dall’autorità qualche giorno prima con lo scopo d’impedire la realizzazione dell’adunanza, la Commissione di Corrispondenza trasferì la sede a Bologna. Non potendo essere avvisati in tempo alcuni delegati, arrivati a Mirandola furono anche loro arrestati. Allo stesso modo, a Bologna altri delegati furono arrestati – tra di essi Enrico Malatesta, Carlo Cafiero ed Andrea Costa – la sera del giorno 16 e quindi disciolte anche la Federazione bolognese e le sezioni di San Giovanni in Persiceto, Modena, Parma ed Imola. I delegati che scapparono alla repressione riuscirono ad adunarsi clandestinamente e ad approvare delle risoluzioni che esplicitavano il carattere anarchico della Federazione, dichiarandola atea, materialista, anarchica e federalista. Inoltre, si condannò il Consiglio Generale dell’AIL, si rifiutò il «comunismo autoritario» e si confermò il Patto di Amicizia e Solidarietà Universale approvato al congresso internazionale antiautoritario tenuto nell’agosto dell’anno precedente a Saint-Imier. Finalmente, si raccomandava alle sezioni di organizzarsi secondo mestiere e di costituire le Federazioni Regionali della FIAIL.295 Sembra che al congresso, fra la sessantina circa di delegati, ci siano stati anche Caio Zavoli per Rimini e Claudio Zirardini per Ravenna.296 D’accordo con le risoluzioni del Congresso di Bologna, le sezioni locali si adoperarono per realizzare i loro congressi regionali e costituire le loro federazioni. Così fu che il 21 giugno 1873 la commissione di corrispondenza di Bologna inviò alle sezioni romagnole una circolare convocando il congresso, in giorno e luogo da definire.297 Claudio Zirardini, avendo ricevuto la circolare, avrebbe proposto Ravenna come sede del congresso, mentre il Piselli avrebbe scartato la possibilità di realizzarlo a Forlì, secondo gli agenti di pubblica sicurezza perché non c’era una sezione e gli internazionalisti erano realmente in pochi. Alla fine, il congresso si tenne nella campagna di San Pietro in Vincoli, provincia di Ravenna, il 20 luglio, presieduto da Andrea Costa e con la presenza delle Federazioni di Bologna, Ravenna e Rimini, più le sezioni di Forlì, Faenza, Imola, Lugo, Sant’Arcangelo, San Potito, Fusignano, Carpinello, Madonna dell’Albero, Santo

295 Atti del 6° Congresso Universale di Ginevra e del 2° Congresso Regionale Italiano di Bologna, s. l., s. d. [settembre 1873], pp. 17-32, riprodotto parzialmente in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 55-70. Cfr. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, cit., pp. 77-80; G. MANACORDA, op. cit., pp. 89-93. Nel congresso furono rappresentate le federazioni romagnole di Ravenna e Rimini, e quelle emiliane di Mirandola e Modena, tra altre, oltre a ventiquattro sezioni, incluse Forlì, Faenza, Lugo, San Potito, Fusignano, Imola, Sant’Arcangelo, Santo Stefano, Campiano, San Piero, Madonna Dell’Albero e Carpinello. Il numero di delegati sarebbe stato fra i cinquantatré e i sessanta, e il numero totale di sezioni fra 24 e 150, a seconda dei rapporti. Vd. N. PERNICONE, op. cit., p. 72. 296 Vd. S. SOZZI, op. cit., p. 207; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 411. 297 La circolare è riprodotta in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 73-74. Una copia manoscritta si trova in ASFo, Gab. Pref., b. 49, 1872, fasc. 39.

131 Stefano, Coccolia, San Piero in Campiano, San Bartolo e Budrio, le quali costituirono la Federazione Romagnola della Regione Italiana dell’AIL, eleggendo Claudio Zirardini, Francesco Pezzi, Giacomo Lega e Pirro Rivalta alla Commissione Federale, la quale fissò la sua sede a Ravenna. Con la partecipazione di oltre 30 delegati, si approvarono il programma e lo statuto della nuova federazione, si decise la creazione di casse di resistenza in ogni sezione, si nominò il delegato al Congresso Internazionalista di settembre a Ginevra e si accordò un nuovo congresso quindici giorni dopo il rientro del delegato dalla Svizzera. Al pomeriggio, finito il congresso, si tenne un'adunanza all’aperto con alcuni contadini delle vicinanze.298 Secondo le informazioni arrivate al Ministero dell’Interno, in questo congresso si sarebbero lette le statistiche delle sezioni romagnole, le quali mostravano che a Bologna l’Internazionale aveva 329 soci, a Forlì 198, a Lugo 107, a Fusignano 88, a Imola 139, a San Bartolo 41, a Santo Stefano 38, a Carpinello 81, a Ravenna 252, a Rimini 261, a San Potito 65, a Faenza 184, a Campiano 105, a San Pierino 56, a Madonna dell’Albero 60 e a Coccolia 28. Questi numeri furono contestati sia dal prefetto di Ravenna sia dal prefetto di Forlì, giacché le informazioni ottenute dai carabinieri, agenti di pubblica sicurezza e sotto-prefetti parlavano di una presenza numerica molto inferiore, con 15 internazionalisti a Forlì, 150 a Rimini e 8 a Carpinello, ad esempio.299 È molto probabile, però, che i prefetti parlassero dei militanti noti e attivi, mentre le statistiche interne dell’AIL si riferissero ai soci nominalmente iscritti nelle locali sezioni. In ogni caso, quello che ci interessa al momento sono gli internazionalisti realmente attivi. Pochi giorni dopo il congresso, le autorità di Forlì parlavano di solo 6 internazionalisti in città, fra di essi Sesto Fortuzzi e altri 9 sospetti, aggiungendo che si

298 Iº Congresso Romagnolo dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in «La Favilla», Mantova, a. VIII, n. 154, 27 luglio 1873, riprodotta in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 75-77. Altri particolari, anche se confusi e persino contraddittori, si trovano nelle carte della Prefettura di Forlì fra il 29 giugno e il 30 luglio 1873, ASFo, Gab. Pref., b. 49, 1872, fasc, 39. In queste carte si afferma che il congresso si sia tenuto nella Villa Bondi a Santo Stefano in Campiano, vicino a Carpinello, e che la sezione di Parma fu invitata. Secondo il prefetto di Ravenna avrebbero partecipato quasi una quarantina di persone, mentre da Bologna si disse che furono trentadue. Il Nabruzzi sarebbe stato eletto come delegato al congresso internazionalista di Ginevra, all’incontro avrebbe partecipato anche Piselli e, scartando la conciliazione fra mazziniani e garibaldini, l’adunanza sarebbe finita dopo il pranzo. Secondo il Ministero dell’Interno, invece, informato dalla prefettura di Bologna, il Piselli non ci sarebbe stato, il delegato per la Svizzera sarebbe stato il Costa e avrebbero partecipato anche dei mazziniani, con i quali si sarebbero trovate delle differenze, ragione per la quale il congresso sarebbe finito così presto. Si aggiungeva che ci furono quattro delegati per Ravenna, quattro per Forlì, due per Rimini, due per San Potito e uno per ognuna delle sezioni restanti. 299 Nota del Prefetto di Ravenna al Prefetto di Forlì, Ravenna, 30 luglio 1873, e bozza di nota al Ministero dell’Interno, [Prefettura di Forlì], 12 agosto 1873, in ASFo, Gab. Pref., b. 49, 1872, fasc, 39.

132 riunivano anche per passare del tempo, in una casa di proprietà comunale in piazza Garibaldi300. Fortuzzi sarà un altro forlivese che conoscerà le terre d’oltreoceano.301 Secondo la prefettura di Forlì, «in questa Provincia, là dove il mazzinianismo è più potente, ivi l’internazionale è più debole, e viceversa» e così a Cesena la presenza del Valzania e di un forte partito repubblicano faceva che dell’internazionale non si udisse parlare, a Forlì c’erano degli internazionalisti ma impotenti e invece a Rimini, dove non c’erano capi mazziniani, gli internazionalisti erano numerosi, avendo dato mostra della loro forza con “disordini” contro la libertà di contrattazione.302 A Rimini, di fatto, l’Internazionale aveva un carattere schiettamente popolare e prosperava per gli errori dei repubblicani e il prestigio dei dirigenti, quali Caio e Bruto Zavoli, Augusto Aducci, Giovanni Donati e altri, piuttosto che per il lavoro propagandistico e le proposte di programma. Di fatto, quali garibaldini, Zavoli e amici si mostrano ancora ignari di dottrine.303 In concomitanza, nell’Emilia l’Internazionale iniziò ad avere più presenza. A Reggio Emilia, dalla fine del 1873 gli internazionalisti locali agivano all'interno del Circolo Popolare Repubblicano – su posizioni garibaldine già dal 1871 – fra i quali Giovanni Ferrarini e Angelo Canovi, altri due militanti dell'Internazionale che andranno in Sudamerica e che avranno un ruolo di rilievo nella formazione dei primi socialisti e poi anarchici della città304 Nel corso dello stesso anno, anche a Ferrara gli internazionalisti diedero mostra della sua attività pubblicando un opuscoletto di propaganda in cui si parlava a grandi tratti dell’Internazionale e dell’emancipazione economica della classe operaia, ma con delle definizioni piuttosto ambigue. Di fatto, anziché parlare di sciopero si parlava del partito operaio, il che potrebbe ricondurre alla

300 Nota dell’Ufficio P.S. al prefetto di Forlì, lì 3 agosto 1873, in ASFo, Gab. Pref., b. 49, 1872, fasc, 39. Questa nota accennava che i repubblicani in realtà non erano così ostili all’Internazionale. 301 Sesto Fortuzzi, figlio di oste e in futuro possidente, negoziante e locandiere, nacque il 17 aprile 1853 a Forlì, e gestirà l’Osteria del Sole in Borgo San Pietro di quella città, il quale diventerà luogo di ritrovo abituale degli internazionalisti. Vd. Fortuzzi Sesto, in DBAI, vol. I, p. 626. 302 Nota dal Prefetto di Forlì al Ministero dell’Interno, Forlì, 9 ottobre 1873, ASFo, Gab. Pref., b. 49, 1872, fasc, 39. 303 S. SOZZI, op. cit., p. 432. Secondo quanto riferisce Sozzi, ancora nel 1874 almeno quattro degli internazionalisti riminesi avevano fatto parte del corpo di volontari garibaldini in Francia, tra di essi Caio Zavoli, capitano della compagnia egiziana che sotto Garibaldi combatte in Borgogna. Vd. S. SOZZI, La sezione riminese dell'Internazionale, cit., p. 121. 304Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 306. Angelo Canovi, detto «Budel», nacque a Reggio Emilia l’8 marzo 1846, città in cui gestiva un negozio di rivendita di liquori in Piazza Duomo. Giovanni Ferrarini, dapprima conciapelli e poi negoziante di vini, nacque a Castelnuovo di Sotto, Reggio Emilia, il 27 gennaio 1863. Vd. ACS, CPC, b. 1010, fasc. Canovi Angelo; b. 2025, fasc. Ferrarini Giovanni. Vd. inoltre E. GIANNI, L’internazionale i taliana fra libertari ed evoluzionisti, p. 476; T. MARABINI, Internazionalisti reggiani ed emiliani, Imola, Gruppo di Studi Sociali Errico Malatesta, s.d.

133 vicinanza di alcuni ferraresi con il giornale «La Plebe» di Enrico Bignami.305 Finalmente, il 9 luglio uscì a Parma il primo numero del periodico socialista «Il Miserabile» – che nel settembre, dopo dieci numeri, cesserà le sue pubblicazioni – e a Piacenza «L'Avvenire Sociale» nell'aprile 1873.306 La fine dell’anno 1873 è piuttosto importante per la linea politica che va disegnando l’Internazionale italiana in questo periodo. Dopo la sua partecipazione al congresso internazionale di Ginevra del settembre, Andrea Costa si recò a Locarno per trovare Bakunin, che nei mesi addietro aveva ricevuto Malatesta e poi discusso con Cafiero i piani per acquisire una villa nei pressi di Locarno, nota come «La Baronata», la quale doveva servire come rifugio agli internazionalisti europei. Il russo e l’imolese, in quest’incontro, misero le basi per la formazione del Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale, organo clandestino che doveva accompagnare l’attività pubblica della FIAIL.307 Questo comitato fu definitivamente organizzato nel dicembre 1873, da Costa e Cafiero, ed ebbe la partecipazione di diversi internazionalisti, fra di essi Francesco Pezzi e Giovanni Zirardini insieme ai suoi quattro fratelli.308 Nel frattempo, il 7 febbraio del ’74 riprese le pubblicazioni «Il Romagnolo» di Ravenna, cui gruppo redazionale era composto da Claudio Zirardini, Francesco Pezzi, Giuseppe Santandrea e Pirro Rivalta. La nuova serie prese posizioni apertamente bakuniane, finché non fu sequestrato nell’aprile, dopo nove numeri e lo Zirardini arrestato e inviato a Lampedusa.309 In questo periodo, secondo Pier Carlo Masini, «Il Romagnolo», fra altri giornali internazionalisti italiani come il «Sempre Avanti!» di Livorno, «La Fame» e «La Canaglia» di Genova e «Lo Schiavo Bianco» di Torino, collaborò con la propaganda clandestina del Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale.310 Fra la fine del 1873 e gli inizi del 1874, l’Internazionale contava 129 sezioni e ventiseimila aderenti in tutta Italia, con circa settemila solo in Toscana. In concomitanza, la crisi economica in Italia fece si che le agitazione contro il caro vita si moltiplicassero in campagna e in città, soprattutto nei centri urbani toscani ma anche in Emilia e in Romagna: a Ravenna, Rimini, Forlì, Imola e Parma. Questo scenario ingrandì il clima di

305Associazione Internazionale dei Lavoratori. Federazione Italiana, Sezione Ferrara, Ferrara, Propaganda Socialistica, Tip. Sabbadini, 1873. Ringrazio Tomaso Marabini per segnalarmi quest'opuscolo. 306 P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, p. 81. 307 Cfr. N. PERNICONE, op. cit., 73-75; P. C. MASINI, op. cit., p. 82-83. 308 Cfr. N. PERNICONE, op. cit., p. 85; P. C. MASINI, op. cit., p. 83. 309 R. ZANGHERI, «Il Romagnolo», cit., p. 370-371. La notizia sulla ripresa delle pubblicazioni fu comunicata su «La Favilla», Mantova, a. VIII, n. 195, 18 dicembre 1873 e in una lettera di Claudio Zirardini alla Commissione di Corrispondenza della FIAIL in data 3 gennaio 1874. Vd. Ibidem. 310 P. C. MASINI, op. cit., p. 86.

134 paura fra la classe dirigente e offrì una grande opportunità al Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale di mettersi in moto e provare un tentativo insurrezionale. Il momento propizio era arrivato e s’avviò la raccolta di soldi e armi, da un lato e la preparazione psicologica, dall’altro.311 Nel gennaio 1874 uscì il primo manifesto del Comitato rivoluzionario e in seguito le autorità, temendo un’alleanza pro insurrezione fra internazionalisti e repubblicani, arrestano diversi internazionalisti a Firenze e ad Ancona e restringono i loro movimenti in Romagna. Questa persecuzione portò l’Internazionale ad organizzarsi in clandestinità. Nel febbraio, riuniti a , Costa e Natta con Bakunin e alcuni veterani francesi della Comune di Parigi, discutevano i piani per l’insurrezione, mentre l’AIL antiautoritaria, con sede a Bruxelles, si rifiutava di supportare il movimento. Ma i piani erano già in marcia e Costa assunse il comando del movimento insurrezionale nel marzo, intanto che Malatesta s’incaricava di organizzare le file nel Mezzogiorno. Mentre alcuni romagnoli, come Francesco Pezzi e Celso Ceretti – che aveva cercato la collaborazione dei mazziniani e dei garibaldini – si mostravano aperti ad un’intesa tattica con i repubblicani per il moto, nel marzo usciva il secondo bollettino del Comitato, scritto dal Costa, in cui si affermava l’intransigenza del Comitato stesso e l’impossibilità di un’intesa, criticando aspramente oltre che i mazziniani anche Garibaldi. Così, dopo un giro di organizzazione fatto nel centro e nord d’Italia, il Costa giunse a Bologna alla fine di luglio, dove lo raggiunse Bakunin il giorno 30.312 Anche il Pezzi, che partecipò fin dalla preparazione del moto insurrezionale, avrebbe incontrato Bakunin in Emilia.313 I fratelli Zirardini, intanto, erano pronti in Romagna per il moto e di fatto dalla tipografia che gestiva Claudio, uscirono i proclami e i bollettini annunciando la guerra alla borghesia e al governo.314 I piani, però, si scompaginarono dopo l’arresto dei capi repubblicani a Villa Ruffi, presso Rimini, il 2 agosto, con la soppressione delle associazioni internazionaliste e repubblicane di Bologna, Forlì, Imola e Ravenna i giorni successivi e con l’arresto dello stesso Andrea Costa il giorno 5 a Bologna. Poi, seguirono ancora altri arresti. Allora Bakunin e i suoi compagni improvvisarono un piano: il terzo manifesto del Comitato, scritto da Cafiero, con un appello ai proletari ad insorgere e ai militari a disertare e

311 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., pp. 84-86; N. PERNICONE, op. cit., p. 82. 312Ivi., pp. 85-88. Secondo Pernicone, dopo la rottura dei rapporti fra Bakunin e Cafiero in Svizzera qualche settimana prima dell’insurrezione, il vecchio russo si diresse a Bologna senza essere convinto del moto ma mosso da un sentimento di obbligo morale. Vd. Ivi., pp. 88-90. 313 Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 339. 314 F. CARDELLINI, op. cit., p. 25.

135 supportare la sollevazione, si affisse la notte del 6 in diverse città dalla Romagna alla Puglia, mentre due giorni dopo bande armate provenienti da diversi punti della Romagna dovevano raggiungere Bologna ed assaltare gli arsenali d’armi. Ma la notte dell’8 niente di questo successe. Bakunin, fermo a Bologna, aspettò invano le colonne romagnole e rimase nascosto alcuni giorni finché il 14, travestito da prete di paese, poté scappare in treno verso la Svizzera. Gli imolesi che dovevano raggiungere Bologna erano stati fermati presso Idice: alcuni internazionalisti furono arrestati, altri riuscirono a scappare. Né a Firenze né in Puglia le cose andarono meglio. Molti gli arrestati – fra loro Malatesta, che fu fermato mentre cercava di scappare in Svizzera – e non furono tanti i fortunati che riuscirono a lasciare l’Italia.315 Uno di quei fortunati fu Francesco Pezzi, che insieme a Luisa e al fiorentino Gaetano Grassi raggiunse Lugano, dove si stabilirà fino al suo rientro a Firenze nell’ottobre 1876. In questo periodo d’esilio, con Cafiero, Nabruzzi e altri, il Pezzi fece parte del tentativo di riorganizzare la FIAIL in Svizzera, formando il Consiglio della Federazione. Nell’esilio ticinese incontreranno anche Bakunin, il pugliese Emilio Covelli, Andrea Costa ed Enrico Malatesta.316 In Romagna la situazione degli internazionalisti è compromessa. Quelli che riuscirono, si diedero alla via dell’esilio, mentre altri furono incarcerati dopo il fallito tentativo insurrezionale. Quelli che rimasero non si fermarono. Non conosciamo i particolari, ma si sa che il 17 aprile 1875 Caio Zavoli fu condannato dal Tribunale di Forlì a due anni di carcere per ferimento volontario.317 Nonostante tutto, gli internazionalisti provarono ad andare avanti. Durante lo stesso anno, il forlimpopolese Vittorino Valbonesi diventerà il capo della locale sezione, che conta sui 180 soci.318 Molti degli scappati dalla repressione successiva al moto dell’estate ripararono in Svizzera. Seppur essendoci Bakunin, che comunque pensava al ritiro dalla vita politica dopo il dissidio con Cafiero e il fallimento del sollevamento, un gruppo d’internazionalisti che si recarono nel ticinese, iniziò a maturare una riflessione critica nei confronti dell’indirizzo insurrezionalista. Questa è l’origine della sezione chiamata del Ceresio, che si costituì il 20 novembre del 1875, con la partecipazione di Nabruzzi e

315 Sul moto insurrezionale dell’agosto 1874 vd. N. PERNICONE, op. cit., pp. 90-95; P. C. MASINI, op. cit., p. 87-89. 316ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco. Vd. anche l’articolo necrologico su Luisa Minguzzi, La morte di Luisa Pezzi, in «Il Libertario», La Spezia, 16 marzo 1911. Cfr. Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 339. 317 ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio. 318Valbonesi Vittorino, in DBAI, vol. II, p. 642. Valbonesi nacque a Forlimpopoli il 2 dicembre 1855, di professione scrivano, compì gli studi universitari a Bologna. Sarà un altro degli internazionalisti romagnoli che andranno in Argentina, seppur rimanesse lì pochi mesi.

136 , ma anche dello svizzero Joseph Favre e, dal gennaio 1876, del francese Benoît Malon, che da mesi erano già attivi. Dall’agosto all’ottobre 1875, questo gruppo riuscì a pubblicare a Lugano cinque numeri de «L’Agitatore» e poi, una volta costituita la sezione, pubblicarono L’Almanacco Proletario per il 1876, nel quale criticarono apertamente il Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale. Nel 1876 la sezione del Ceresio si staccò della Federazione giurassiana dell’AIL, influenzata da Bakunin e si costituì come Federazione autonoma seppur stabilendo uno stretto rapporto con la Federazione dell’Alta Italia, organizzata intorno all’ormai longevo giornale «La Plebe» di Enrico Bignami. Insieme si proposero di ricostituire la FIAIL con un indirizzo socialista di tipo evoluzionistico, guardando a saldare le basi del movimento socialista nella costituzione di un partito operaio. Tuttavia, seppur riuscirono a concretizzare un incontro degli evoluzionisti a Lugano nell’aprile, la sezione del Ceresio farà la sua ultima apparizione pubblica al II Congresso della Federazione dell’Alta Italia del febbraio 1877, dopodiché il gruppo si sciolse.319 Nonostante Francesco Pezzi, anche lui a Lugano durante tutto il 1875 e gran parte del 1876, non prese parte alle iniziative dei revisionisti e anzi, sosteneva i suoi rapporti con gli anarchici italiani che passavo da Lugano, questo non impedì che apparisse nella Guida storico-descrittiva-commerciale della città di Lugano-Bellinzona-Locarno del 1875, compilata da Zanardelli e Nabruzzi, come professore di contabilità e calligrafia con indirizzo in via Nassa.320 Nel frattempo e malgrado il colpo ricevuto, in Italia le cose non erano messe del tutto male per gli anarchici. Dopo mesi di arresto, gli internazionalisti che avevano partecipato al tentativo insurrezionale affrontavano i loro processi difronte ai tribunali. Inaspettatamente, questi processi diedero spazio a un’ampia propaganda delle idee internazionaliste. Tra il maggio e l’agosto 1875 si svolsero i processi di Roma, Firenze e Trani (Puglia), con una generale assoluzione degli imputati, tranne per uno, condannato a Firenze per furto con violenza.321 Il processo più grande fu quello di Bologna, contro Andrea Costa e una settantina d’imputati, che iniziò il 15 marzo 1876. Intervennero

319 Sulla Sezione del Ceresio cfr. F. DELLA PERUTA, Il socialismo italiano dal 1875 al 1882. Dibattiti e contrasti, in «Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli», a. 1, 1958, Milano, pp. 15-104; R. BROGGINI, Un gruppo internazionalista dissidente: la sezione del Ceresio, in L. FAENZA (a cura di) Anarchismo e socialismo in Italia, cit., pp. 187-208; P. C. MASINI, Le relazioni europee degli internazionalisti italiani (1871-1881), in Bollettino del Museo del Risorgimento, cit., p. 315. In una lettera a Nabruzzi del maggio 1876, Florido Matteucci scrisse da Pavia che si stavano facendo dei contatti con alcune sezioni italiane della Lombardia e della provincia di Piacenza. Vd. R. BROGGINI, op. cit., p. 204. 320 R. BROGGINI, op. cit., p. 189. 321 P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, cit., pp. 92-95.

137 Aurelio Saffi e Giosuè Carducci in difesa di alcuni degli imputati e il giorno 16 Costa pronunciò la sua autodifesa, facendo a sua volta una grande apologia delle idee internazionaliste. Anche qui il processo finì con una generale assoluzione. Come risultato, gli internazionalisti del processo di Bologna, dopo quasi due anni di reclusione, ma rinvigoriti dalla propaganda che i giornali avevano aiutato a svolgere informando sui processi, si adopereranno più decisamente alla riorganizzazione delle file dell’Internazionale.322 Costa venne rilasciato dal carcere il 17 giugno 1876 e qualche giorno dopo si convocò il II Congresso delle sezione internazionaliste dell’Emilia e della Romagna, tenuto il 16 luglio a Bologna. Presieduto dall’imolese, l’incontro radunò le sezioni in via di formazione e ricostituzione di Bologna, Forlì, Modena, Reggio Emilia, Ravenna, Rimini, Imola, Mirandola, Faenza, Forlimpopoli, Medicina, Budrio, Castel San Pietro, Castel Guelfo, San Giovanni in Persiceto, San Leonardo, Sant’Andrea, Carpinello, San Pierino in Campiano, Campiano, San Zaccaria, San Stefano, Coccolia e Sant’Arcangelo, le quali prima onorarono la memoria di Michele Bakunin, morto due settimane prima a Berna e poi ricostituirono la Federazione dell’Emilia e della Romagna dandole uno statuto e un programma, ribadendo con esso i concetti d’anarchia, collettivismo e federalismo.323 Anche la Federazione Toscana e quella Marchigiano-Umbra ebbero i suoi congressi fra luglio e agosto e sin da allora s’iniziò a preparare il III Congresso della Federazione Italiana, convocato in principio per il 24 settembre a Firenze ma rinviato poi al 22 ottobre a causa delle misure repressive del governo.324 Circa due anni prima, Francesco Pezzi e la sua inseparabile Luisa avevano si erano recati Lugano, dove ancora la colonia di esuli italiani era importante, e nell’estate li raggiunse Andrea Costa. In quel periodo, Anna Kuliscioff, rivoluzionaria russa che aveva lasciato definitivamente la terra degli zar, si trasferiva in Svizzera, dove incontrò l'internazionalista imolese per la prima volta, facendo conoscenza anche dei Pezzi.325 Secondo Claudia Bassi, Francesco rientrò clandestinamente in Italia nel 1875, tenendosi

322 Ivi., pp. 95-97. 323Atti del congresso delle Sezioni e Federazioni delle Romagne e dell’Emilia tenuto a Bologna il 16 luglio del 1876, in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 105-120; Comunicazioni, in «La Plebe», Milano, a. IX (nuova serie), n. 8, 23 luglio 1876, riprodotto in Ivi., pp. 104-105. Vd. anche P. C. MASINI, Gli internazionalisti. La Banda del Matese (1876-1878), Roma, Edizioni Franco di Sabatonio, 2009 [Milano-Roma, Edizioni Avanti!, 1958] p. 16-18. 324 P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., p. 100. 325 Cfr. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 129-130; Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 340; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 364; Kuliscioff Anna, in MOIDB, vol. III, p. 8. Secondo Masini, Costa incontra Kuliscioff proprio nella casa dei Pezzi ma altri autori segnalano il loro primo incontro al congresso di Verviers.

138 nascosto a Firenze, dove prese domicilio insieme a Luisa verso metà 1876. Nella capitale toscana, entrambi i ravennati svolsero un'intensa attività. Francesco entrò a fare parte della Commissione di Corrispondenza della FIAIL, che fissò la sua sede a Firenze, mentre Luisa prese parte attiva alle riunioni delle sigaraie della fabbrica del borgo San Frediano e alle asemblee della sezione femminile fiorentina della FIAIL – nata nel marzo 1872. Il loro attivismo era notevole, al punto che molte delle riunioni degli internazionalisti si tennero nella casa dei Pezzi, ragione per la quale passò a essere nota come «Il Vaticano», sede che se aprì anche come luogo di ritrovo per i compagni.326 Frutto delle riunioni che Luisa tenneva con le sue compagne fiorentine, il 16 ottobre apparve un manifesto della sezione femminile fiorentina, considerato il primo manifesto del movimento femminista in Italia. In questo documento le internazionaliste facevano un appello alle operaie ad organizzarsi, analizzavano il male della prostituzione collegandolo alla questione sociale, e dichiaravano: «Vogliamo amare: essere compagne affettuose agli uomini, cui la nostra inclinazione ci spinge; essere loro alleate nelle lotte che avranno a sostenere contro ai privilegi; ma non esserne le schiave»327. Fu propria all'uscita della casa dei Pezzi che, alla vigilia del III congresso internazionalista, la polizia arrestò Andrea Costa. Nello stesso giorno furono detenuti anche Gaetano Grassi e Francesco Natta, e nei giorni successivi si attuò l'arresto di altri attivisti. Con la minaccia di nuovi arresti, gli internazionalisti decisero di anticipare di un giorno l’inizio dell’incontro e cambiare la sede a Tosi e iniziano i lavori in numero di quaranta delegati, fra di essi Enrico Malatesta, Napoleone Papini, Fortunato Serantoni, Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi. Furono rappresentate le federazioni Marchigiano- Umbra, Emiliano-Romagnola, Napoletana, Pugliese, Toscana, del Lazio e del Molise, più alcune sezioni lombarde, venete, siciliane e della Campania. Vi fu anche la sezione femminile fiorentina, sicuramente rappresentata dalla Minguzzi. Complessivamente parlando, ci furono cento sezioni circa. In mezzo al convegno, temendo un eventuale arrivo della polizia, Pezzi con alcuni fiorentini propose di spostare l’incontro nei boschi

326 Cfr. C. BASSI ANGELLINI, Amore e anarchia. Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi, due ravennati nella seconda metà dell'Ottocento, Ravenna, Longo Editore, 2004, pp. 50-51; E. BIGNAMI, «Le schiave degli schiavi»: la «questione femminile» dal socialismo utopistico all'anarchismo italiano (1825-1917), Bologna, CLUEB, 2011, pp. 158-159. 327 Comunicazioni, in «La Plebe», Milano, a. IX (nuova serie), n. 20, 16 ottobre 1876, riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 271-273, e in A. DADÀ, L’anarchismo in Italia: fra movimento e partito. Storia e documenti dell’anarchismo italiano, Milano, Teti Editore, 1984, pp. 175-176. Il manifesto fu firmato da Luisa Minguzzi, Assunta Pedoni e Amalia Migliorini. Vd. anche Minguzzi Luisa, in DBAI, vol. II, p. 189; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 111.

139 di Pontassieve, dove finiranno l’incontro. Ripresi i lavori, il conclave ribadì il rifiuto del parlamentarismo e deliberò di passare da un indirizzo collettivista ad uno di tipo comunista anarchico. Finito il congresso, Pezzi, insieme a Malatesta, Serantoni, Papini, Cafiero, il forlivese Temistocle Silvagni e altri, firmò un manifesto contro gli arresti.328 Probabilmente questo manifesto si redasse nella casa del Pezzi, dove dopo il congresso si commentarono le risoluzioni e dove avrebbe parlato per la prima volta di un nuovo moto a bande armate, a cui avrebbe dovuto fare capo Carlo Cafiero.329 Nel dicembre 1876 la sede della Commissione di Corrispondenza della FIAIL si trasferì a Napoli e con essa anche Cafiero, Grassi e Pezzi. Nella città partenopea Francesco Pezzi avrebbe iniziato a collaborare più da vicino con Malatesta, che vi si era trasferito in quei giorni. Nel gennaio gli internazionalisti di detta commissione ebbero un violento scontro con quelli napoletani, ma mentre Grassi riuscì a sfuggire, Francesco Pezzi fu individuato – anche se aveva cambiato il suo nome in Francesco Forni – e in seguito incarcerato e accusato di mancato omicidio sull’internazionalista Tommaso Schettino. Il 7 maggio 1877 sarà processato, condannato e finalmente amnistiato. Questo fatto lo terrà lontano dell’attuazione del moto insurrezionale. Tuttavia, sembra che Luisa, trasferitasi anche lei a Napoli, abbia partecipato attivamente all’organizzazione della nuova sollevazione.330 Intanto, durante il 1876 si era costituito a Reggio Emilia il Circolo di Studi Sociali, di tendenza ampiamente socialista, nel quale parteciparono Angelo Canovi, Giovanni Ferrarini e Pietro Artioli. Alla fine di quell’anno, Canovi e il Circolo aderirono alla Lega Democratica di Reggio Emilia, un’associazione ibrida promossa da Artioli che

328 Rapporto del Congresso della FIAIL, in «Il Martello», Jesi, 19 novembre 1876, riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 135-141, e Dadà, op. cit., pp. 184-187. Il manifesto contro gli arresti fu incluso nel resoconto del congresso. Vd. anche P. C. MASINI, Gli internazionalisti, cit., pp. 27-34; ID., Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 99-100; G. MANACORDA, op. cit., pp. 105-107; Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 339. Per la preparazione del congresso, alcune sezioni fecero arrivare dei quesiti da includere nell’ordine del giorno: Reggio Emilia propose la pubblicazione di un libro sulla dottrina socialista, cosa che fu accettata, mentre Imola propose di fondare un bollettino della federazione, di continuare con la propaganda malgrado le persecuzioni e di assumere come principio la collettività dei prodotti del lavoro (“Lettera di Carmelo Palladino a Francesco Natta”, 18 ottobre 1876, pubblicata in Della Peruta, Op. cit., pp. 59-65). Sul cambio dell’orientamento dal collettivismo al comunismo, vd. P. C. MASINI, Gli internazionalisti, cit. pp. 35-41. 329 Cfr. Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 340; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 112; P. C. MASINI, op. cit., p. 50. 330 Cfr. Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 340; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 112; Minguzzi Luisa, in DBAI, vol. II, p. 189; ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco. Secondo la biografia scritta dal prefetto di Firenze, Pezzi avrebbe avuto la libertà provvisoria nel marzo e avrebbe partecipato all’organizzazione del moto di Benevento.

140 comprendeva repubblicani, progressisti e internazionalisti.331 Conforme a questa presa di posizione, nel marzo 1877 il Circolo si propose di pubblicare una rivista mensile informativa e di propaganda da distribuire gratuitamente fra gli operai, la quale doveva considerare i «principii socialisti da tutti i punti di vista».332 Ormai, le file dell’Internazionale mostravano diverse crepe che in poco tempo, finirono per spaccarle. Il gruppo del giornale «La Plebe», intorno al quale si radunavano i settori critici dell’indirizzo insurrezionalista, come la già citata Sezione del Ceresio o il ferrarese Oreste Vaccari, costituì la Federazione Alta Italia il 15 ottobre 1876, formalmente aderente alla FIAIL ma nella pratica una sua dissidente. Anche il giornale «Il Povero» di Palermo – diretto da Salvatore Ingegnieros, che andrà poi in Sudamerica –, che aveva ripreso le sue pubblicazioni nel settembre del ’76, essendo vicino alle posizioni di Malon, si accostò alle posizioni evoluzionistiche e «anti-anarchiche» de «La Plebe». Come risultato, al II Congresso della Federazione dell’Alta Italia del febbraio 1877 a Milano, gli evoluzionisti, contestati soltanto da Florido Matteucci, proclameranno la propria autonomia, portando la federazione alla rottura definitiva con la FIAIL.333 Parallelamente, anche se gli anarchici si prodigarono nel condurre cautamente la polemica con i dissidenti tentando di evitare la rottura, i giornali «Il Martello» – che era stato l’organo ufficiale della Federazione Marchigiano-Umbra fino al novembre del ’76, quando si trasferì a Bologna sotto la direzione di Andrea Costa – e «L'Anarchia» di Napoli, progressivamente iniziarono ad attaccare apertamente l’indirizzo evoluzionista.334 In concomitanza, nei primi mesi del ’77 i piani per l’insurrezione si approntavano. Con Cafiero, Malatesta e il romagnolo Pietro Cesare Ceccarelli a capo, si sperava di

331Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia. Mostra documentaria, Reggio Emilia, Biblioteca Municipale «A. Panizzi», 1977, p. 65. Pietro Artioli fu il delegato del Circolo di Studi Sociali di Reggio Emilia al congresso regionale emiliano-romagnolo della FIAIL del ‘76 e uno degli arrestati in occasione del congresso di Firenze e Tosi. Artioli, iscritto alla massoneria e sostenendo rapporti ambivalenti con i circoli democratici, romperà con l’Internazionale dopo il fallimento del moto del Matese passando alle fila del socialismo moderato. Vd Artioli Pietro, in DBAI, vol. I., p. 52-54; T. MARABINI, op. cit. 332 Il manifesto, datato a Reggio Emilia il 4 marzo 1877 e firmato da Ferrarini, è il resoconto di una seduta del circolo. Vd. P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 274-275. 333 Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 108-114; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 101-103; ID., Gli internazionalisti, pp. 24-25; F. DELLA PERUTA, op. cit., p. 21. L’opuscolo con il resoconto del congresso, pubblicato a Milano nel 1877, è riprodotto totalmente in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 152-194. 334 Cfr. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 101-102; F. DELLA PERUTA, op. cit., p. 20. Questo giornale, che aveva assunto un indirizzo schiettamente socialista nel luglio 1876 e si era fuso con il giornale della bassa Emilia La Cronaca nell’agosto, ebbe come collaboratori ancora nella sua fase marchigiana Enrico Malatesta e Francesco Pezzi. Vd. P. C. MASINI, Gli internazionalisti, cit., pp. 23-24. Sul periodo a Fabriano e Jesi del giornale vd. anche L. BETTINI, Bibliografia dell’anarchismo, vol. 1, tomo 1. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, CP Editrice, 1972, pp. 13-15.

141 contare su un centinaio di uomini per iniziare l’insurrezione a San Lupo, nella provincia di Benevento. Per attuare l’iniziativa, il 3 aprile un gruppo d’internazionalisti arrivò nel paese fingendo di essere una coppia borghese con i suoi servi al seguito e, in una casa che avevano affittato per le «vacanze», disposero il centro delle operazioni. Due altri gruppi dovevano insediarsi in dei paesi vicini per accompagnare la sollevazione. Eppure, tutto precipitò due giorni dopo, quando una pattuglia di carabinieri incontrò un gruppo d’internazionalisti nei monti. Da lì, alcuni arresti e l’inizio inaspettato della spedizione rivoluzionaria, con circa 25 uomini che riusciranno a «liberare» due paesi della provincia prima di essere catturati praticamente nella loro totalità.335 Non ci sembra ridondante mettere in rilievo che la maggior parte degli internazionalisti insorti nel Matese era d’origine romagnola: soltanto dell’imolese erano dieci, con Antonio Cornacchia e il giovane conte Ginnasi fra essi; due erano di Savignano, i fratelli Pietro Cesare e Domenico Ceccarelli; uno di Rimini e uno di Ravenna, ai quali si aggiungevano due bolognesi.336 Anche Domenico, allora di 27 anni, sarà uno che andrà in Argentina.337 Fallita la sollevazione, il governo fece cadere una nuova ondata repressiva sul movimento internazionalista, con molti arresti e decreti di scioglimento delle federazioni regionali e delle sezioni locali della FIAIL.338 Il colpo cade anche in Romagna e in Emilia. A Reggio Emilia il Circolo di Studi Sociali fu sciolto e suoi capi, Angelo Canovi, Pietro Artioli e Giovanni Ferrarini, arrestati con l’accusa di reato di stampa per aver pubblicato nel marzo un manifesto dell’Associazione Internazionale del Lavoratori. Saranno processati dal Tribunale di Reggio Emilia il 18 luglio 1877 e assolti dalle imputazioni. Poco dopo, dall'iniziativa del Canovi, già compiuta la rottura con Artioli – ormai passato ai legalitari –, il Circolo sarà ricostituito come Fratellanza reggiana.339

335 Sulla Banda del Matese, vd. P. C. MASINI, op. cit., pp. 69-102; L. GASPARINI, La «Banda del Matese», la guerriglia nell’Italia post-unitaria, Salerno, Giuseppe Galzerano editore, 1983, pp. 75-100. Vd. anche B. TOMASIELLO, La Banda del Matese, 1876-1878. I documenti, le testimonianze, la stampa dell’epoca, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 2009. 336 Cfr. GASPARINI, op. cit., p. 86-87; P. C. MASINI, op. cit., pp. 71-72. Il giornale «L’Avvenire Anarchico» di Pisa, ricordando il Pezzi dopo la sua morte, lo volle nella Banda insieme alla Minguzzi. Vd. Una morte che rivendica la vita: Francesco Pezzi, in «L’Avvenire Anarchico», Pisa, 27 luglio 1917. Dal canto suo, James Guillaume vide Luisa Minguzzi nella donna borghese che arrivò a San Lupo con gli internazionalisti travestiti, ma in realtà si trattava di una russa della cerchia di Sergio Kravcinskij, anche lui partecipante all’insurrezione. vd. P. C. MASINI, op. cit., pp. 82-83. Andrea Costa non partecipò al moto, anche se dopo, al congresso internazionale di Verviers nel settembre del ’77, ne prese le difese. Vd. Ivi., p. 53-54. 337Domenico Ceccarelli, negoziante, nacque a Savignano di Romagna, provincia di Forlì, nel 1850 da Pellegrino. Vd. E. GIANNI, L'Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit., pp. 427-428. 338 P. C. MASINI, op. cit., p. 103-105. 339 Cfr. Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, p. 65; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I., p. 306; E. GIANNI, L’internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit., p. 415, 476; Artioli Pietro, in DBAI, vol. I, p. 53; T.

142 Nelle file evoluzionistiche, colpite anche quelle dalle misure repressive, le critiche ai fatti di Benevento non si fecero attendere. «Il Povero» criticò aspramente la vicenda, negando qualsiasi solidarietà con i protagonisti. Dal Belgio Malon sosteneva che il movimento anarchico era ormai sparito, con l’eccezione di quello romagnolo e quello toscano, mentre giornali come il «Vörwarts» di Lipsia, «Tagwacht» di Zurigo e il «Radical» di Parigi, oltre a «La Plebe», rimproverarono gli internazionalisti anarchici per l’accaduto. All’estero, la difesa la fece solo il Costa – a quel punto rifugiato a Berna – soprattutto sul «Bulletin» della Federazione del Giura. La frattura fra anarchici ed evoluzionisti era ormai insanabile e i «moderati» si adoperarono a formare una federazione di circoli socialisti, alla quale avrebbero aderito però soltanto il Circolo di Studi Sociali di Reggio Emilia – secondo Della Peruta – e il Circolo Socialista di Piacenza più altri due. Ad ogni modo, alla linea de «La Plebe» e «Il Povero» si affiancò il nuovo giornale socialista riminese «Il Nettuno», apparso nel luglio 1877. Dal canto loro, gli anarchici riuscirono a mantenere le proprie sezioni soprattutto nella Toscana a Napoli e in Romagna.340 D’altronde, a Reggio Emilia si mise in moto la ricostituzione del disciolto Circolo di Studi Sociali. Il 30 ottobre del ’77 si realizzò una delle prime – se non proprio la prima – sedute della Fratellanza reggiana, aderente all’AIL. Con diciassette internazionalisti presenti, tra di essi Giovanni Ferrarini e Angelo Canovi, l’assemblea deliberò sulla necessità di riprendere il contatto con le sezioni di Romagna e del Meridione, dovendo scrivere a Costa che si trovava a Berna. Si decise anche di costituire una commissione che presentasse un’affermazione di principi, nominando Angelo Canovi insieme a Luigi Bondavalli e Giovanni Cigarini. Finalmente, si accettarono le deliberazioni del congresso di Bologna, dichiarando che la Fratellanza seguiva il socialismo anarchico.341 Nel 1878 solo a Firenze e nelle Romagne il movimento socialista affondava salde radici, grazie all’instancabile attività svolta principalmente da Pezzi, Natta, Grassi e Costa, mentre nel resto dell’Italia la presenza internazionalista consisteva in alcuni nuclei dispersi.342 In Romagna, di fatto, il 6 gennaio di quell’anno a Forlì, si tenne il

MARABINI, op. cit. Ancora il 27 luglio 1877 Artioli e Canovi scrivono insieme un manifesto giustificando l’impossibilità di iniziare la pubblicazione della rivista del movimento operaio e continuano la polemica contro il direttore del giornale L’Italia Centrale. Vd. Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, cit., pp. 65- 66. Su un discorso pronunciato dal Canovi riguardo all’allontanamento dell’Artioli, Vd. Ivi., p. 66. 340 F. DELLA PERUTA, op. cit., p. 30-32. Sul giornale riminese «Il Nettuno», vd. R. ZANGHERI, «Il Nettuno» (1873- 1877) e il suo direttore Domenico Francolini, in Studi riminesi e bibliografici in onore di Carlo Lucchesi, Faenza, F.lli Lega, 1952, pp. 227-256 341 Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, p. 99. 342 F. DELLA PERUTA, op. cit., p. 41.

143 congresso delle sezioni romagnole, essendone rappresentate trentadue. Questo congresso ribadì la sua adesione al socialismo anarchico-rivoluzionario, nominò una commissione federale – di cui non conosciamo i membri né la sede –, decise di fondare un giornale socialista anarchico e, oltre a sostenere la solidarietà con i detenuti per i fatti del Matese raccomandando l’apertura delle sottoscrizioni a loro favore in ciascuna delle sezioni romagnole, si mostra solidale con gli internazionalisti che subiscono attacchi dai partiti borghesi, come successe a Forlimpopoli dove alcuni anarchici furono vittime di «brutali insulti» da parte di alcuni repubblicani.343 Dal canto loro, dopo la parentesi napoletana, nel 1878 i Pezzi rientrarono a Firenze e intensificarono la loro attività politica. Mentre Francesco, con Natta e Grassi, si reintegrava alla Commissione di Corrispondenza trasferita nuovamente a Firenze, Luisa, nel febbraio, insieme a una quarantina di compagne, tra di esse Ildebranda Dell’Innocenti – moglie di Gomez e coinquilina dei Pezzi –, Caterina Serafini, Annunziata e Serafina Frittelli e altre anarchiche, ricostituì la sezione femminile fiorentina, disciolta dall’autorità come tante altre dopo i fatti del Matese, fondando il Circolo di Propaganda Socialista fra le operaie di San Frediano. Anche se il titolo de «Il Vaticano» era stato acquistato allora dalla casa di Francesco Natta, diverse adunanze si tennero nella casa dei Pezzi, che condividevano con i Gomez. In questo periodo Francesco e Luisa si recarono spesso a Livorno e Pisa potenziando l’attività internazionalista e a Massa Carrara incontrarono i capi dei lavoratori del marmo per promuovere un nuovo tentativo di sollevamento, ma furono espulsi dalla città nel marzo.344 L’11 aprile 78 a Pisa si ebbe il IV congresso della FIAIL, con la presenza di Francesco Pezzi, Grassi, Natta e altri dieci delegati, la maggior parte toscani. Della Romagna furono rappresentate le sezioni di Forlì, Faenza, Forlimpopoli, Cesena, Rimini, Lugo, Imola e Sant’Arcangelo e altre sezioni di campagna. In ragione dell’ambiente repressivo che si viveva in Toscana, il congresso fu clandestino e per la stessa ragione i suoi delegati decisero di trasferire la sede della Commissione di Corrispondenza a Genova e continuare in modo energico con la propaganda rivoluzionaria.345 In seguito,

343 L’Internazionale in Romagna, in «Il Nettuno», Rimini, 15 gennaio 1878, riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori, cit., pp. 197-199. Sembra che al congresso non presero parte le sezioni emiliane. 344 Cfr. E. BIGNAMI, op cit., pp. 166-167; Minguzzi Luisa, in DBAI, vol. II, p. 189; N. PERNICONE, op. cit., p. 138- 139. Secondo Pernicone, ricostituita la Commissione di Corrispondenza, che si adoperò a ricostruire il tessuto organizzativo della FIAL, questa si propose anche di progettare nuovi moti insurrezionali in concomitanza con un’eventuale generalizzazione in Europa della guerra fra Russia e Turchia. 345Associazione Internazionale dei Lavoratori, Federazione Italiana, in «Il Nettuno», Rimini, 14 aprile 1878, riprodotto in P. C. MASINI (a cura di), La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei lavoratori,

144 altri congressi regionali si tennero nelle Marche, in Umbria e ancora in Romagna, in quest’ultima come risposta a una nuova ondata repressiva che aveva colpito la riorganizzazione regionale ripresa dopo il congresso di gennaio. Parallelamente, a Modena era sorto il giornale «L’Avvenire» – diretto da Arturo Ceretti, fratello di Celso –, supportato dalla FIAIL, il quale riuscì a pubblicare tredici numeri fra maggio e luglio di quell’anno, mentre ad aprile si era pubblicato l’ultimo numero di «Il Nettuno».346 In Campania, intanto, il 25 agosto del ’78 gli internazionalisti della Banda del Matese – che ebbero fra i loro avvocati il giovanissimo Francesco Saverio Merlino – furono assolti dalla Corte d’Assise di Benevento dopo più di 15 mesi di carcere.347 Per la Federazione Italiana fu un trionfo. Varie sezioni avevano già dimostrato la loro solidarietà con gli imputati, come fece anche il Circolo Socialista di Reggio Emilia, che con una lettera del 1 agosto 1878 firmata da Angelo Canovi, Giovanni Cigarini e Luigi Olivi, inviò a «L'Avvenire» di Modena, quale organo della FIAIL, 800 lire per la sottoscrizione che aveva aperto la Federazione Napoletana in favore degli insorti incarcerati.348 La liberazione della Banda del Matese fece si che il governo preparasse una nuova ondata repressiva sul movimento internazionalista. In settembre Malatesta partì in esilio per l’Egitto e Cafiero fece altrettanto diretto a Lugano. Molti altri saranno arrestati con l’accusa di attentare contro la sicurezza interna dello stato e come appartenenti ad «associazioni di malfattori». In quest’ambiente, il 3 ottobre, qualche giorno dopo una riunione degli internazionalisti fiorentini tenuta a casa di Francesco Natta – nella quale, con la presenza dei Pezzi, si discusse sull’organizzare un nuovo moto rivoluzionario – furono arrestati Luisa Minguzzi, lo stesso Natta e Anna Kuliscioff, arrivata nella capitale toscana il 30 settembre su invito di Matteucci. Alcuni giorni dopo sarà arrestato anche Francesco all’uscita di una riunione. Tutti resteranno in prigione preventiva per più di un anno.349 cit., pp. 202-203. Vd. anche il manifesto della Commissione di Corrispondenza, datato a Genova il 20 maggio 1878, riprodotto in Ivi., pp. 204-206. Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 118-119; N. PERNICONE, op. cit., p. 139. 346 Cfr. N. PERNICONE, op. cit., p. 140; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., p. 140. Sul giornale «L'Avvennire» di Modena vd. L. BETTINI, op. cit., pp. 19-20. 347 Sul processo alla Banda del Matese, vd. P. C. MASINI, Gli Internazionalisti, cit., pp. 120-127. 348 Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, p. 66. Sembra che la Fratellanza Reggiana, sezione internazionalista, nel corso del 1878 si sia rinominata Circolo Socialista. 349 Cfr. C. BASSI ANGELLINI, op. cit., pp. 69-72; Minguzzi Luisa, in DBAI, vol. II, p. 189; Pezzi Francesco”, in DBAI, vol. II, p. 340; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 112; ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., p 136; N. PERNICONE, op. cit., p. 148. L’arresto dei Pezzi e gli altri ha diverse versioni a seconda della fonte. Dall’altra parte, Francesco Pezzi, l’11 settembre 1878, era già stato assolto dal Giudice Istruttore di Firenze dall’imputazione di manifestazioni sediziose per mancanza di

145 La persecuzione contro gli internazionalisti si estese anche a Genova, dove furono arrestati i membri della Commissione di Corrispondenza e a Napoli. Proprio nella città partenopea, il 17 novembre il lucano Giovanni Passanante attentò alla vita del re Umberto I munito di un pugnale. Senza raggiungere il suo obiettivo, Passanante fu in seguito arrestato e condannato all’ergastolo. Il giorno dopo all'attentato, manifestazioni monarchiche ebbero luogo in alcune città italiane. In mezzo a quella di Firenze, su via Nazionale, esplose una bomba che uccise quattro persone e ne ferì altrettante. Due giorni dopo, anche in una manifestazione monarchica, esplose un’altra bomba a Pisa, seppur senza vittime. Immediatamente l’Internazionale fu ritenuta responsabile. La mano repressiva del governo non solo trovò una giustificazione per la sua attuazione precedente, ma ebbe licenza per inasprire l‘aperta persecuzione contro gli anarchici, arrestando ancora centinaia di militanti, in modo che, per tutta la prima metà dell’anno 1879, l’Internazionale sembrò virtualmente scomparsa.350 In Emilia e in Romagna diversi internazionalisti furono arrestati e poi sottoposti a processi giudiziari. Dal dicembre 1878 e durante i primi mesi dell’anno successivo, furono arrestati in Romagna Caio Zavoli, Secondo Cappellini, Sesto Fortuzzi, Vittorino Valbonesi e i più noti Domenico Francolini, Alceste Cipriani, Alceste Faggioli e Ferdinando Valducci, coinvolti in uno stesso processo per associazione di malfattori e cospirazione contro la sicurezza interna dello stato. Il processo di Forlì contro i ventiquattro internazionalisti si chiuderà il 7 ottobre 1879 con una generale assoluzione.351 In Emilia, con la stessa accusa di associazione di malfattori e cospirazione contro la sicurezza interna dello stato, furono arrestati Arturo Ceretti, direttore de «L’Avvenire» e alcuni collaboratori e propagandisti modenesi e reggiani di detto giornale, tra di essi Angelo Canovi. Le accuse contro il Canovi, potevano contare anche sul fatto che nel suo negozio di rivendita di liquori, fu trovato un ritratto di Passanante che alla scritta di «assassino del re» compariva quella di «amico». Tuttavia, in una dichiarazione prove. Vd “ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco, in particolare la scheda biografica compilata dalla prefettura di Firenze datata il 19 gennaio 1897. 350 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., p. 151-153; N. PERNICONE, op. cit., p. 149; DELLA PERUTA, op. cit., p. 41. Su Giovanni Passanante e sull'attentato contro re Umberto, vd. G. GALZERANO, Giovanni Passanante: la vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia 'regale' e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 2004. 351Vittorino Valbonesi, segnalato nel 1879 come uno dei capi del partito internazionalista di Forlimpopoli e collaboratore durante il 1878 del giornale L’Agitatore di Siena, era stato ammonito il 14 aprile 1879 e poi arrestato il 17 maggio. Cfr. Valbonesi Vittorino, in DBAI, vol. II, p. 642; Cipriani Alceste, in DBAI, vol. I, p. 410; Francolini Domenico, in DBAI, vol. I, p. 636. Vd. anche Il processo di Forlì, in «La Plebe», Milano, a. XII, n. 39, 5 ottobre 1879 e n. 40, 12 ottobre 1879.

146 dell’internazionalista reggiano sequestrata dalla polizia nel 1879, egli si dichiarò «socialista rivoluzionario» e criticò l’attentato contro il re ritenendolo assurdo e inutile alla causa del proletariato. Ma soprattutto rimproverò «la bassa e vile cortigianeria della genia monarchica», tacciando le dimostrazioni a favore del re di «pagliacciate ridicole» e criticando il fare dell’attentato una tragedia: «la morte di un re non è al dì d’oggi, più di peso nell’equilibrio nazionale ed europeo che la morte dell’ultimo dei cretini». Il processo si svolse a Modena fra il 15 e il 20 settembre 1879 e finì anch’esso con una generale assoluzione degli imputati.352 Oltre ai processi per detonazioni di bombe a Firenze e a Pisa, svoltisi fra marzo e giugno, nei quali gli accusati furono condannati e al processo contro Passanante, tutti i processi con l’accusa di «associazione di malfattori» che durante il 1879 si tennero in diverse città italiane, quali Genova, Massa, Napoli, Ancona e Perugia, finirono sempre con l’assoluzione degli imputati, con la sola eccezione del processo che si svolse a Bologna. Diciotto furono gli imolesi processati e alla conclusione dello processo, il 7 settembre, quattro furono assolti e quattordici condannati a pene detentive, provocando forti proteste degli internazionalisti, ma anche dei democratici e dei repubblicani. Quando gli internazionalisti condannati furono condotti al carcere di San Giovanni in Monte, una folla li accompagnò alle grida di «Viva l’Internazionale! Viva i malfattori!».353 Ad ogni modo, anche se le assoluzioni diedero un certo respiro all’Internazionale, in pratica essa era già quasi sparita a causa degli arresti, delle persecuzioni, dell’esilio, delle ammonizioni e della campagna diffamatoria della stampa. Dopo la fine dei processi e con un’organizzazione abbattuta e uno stato d’animo piuttosto scoraggiante, si chiuse l’epoca d’oro dell’Internazionale e dall’interno si aprì la porta sia al revisionismo legalitario, sia alle tendenze individualistiche.354

352Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, p. 46, 67 e 99-100. Vd. anche Il processo di Modena (Appunti), in «La Plebe», Milano, a. XII, n. 38, 28 settembre 1879. Cfr. Ceretti Arturo, in A. PIRONDINI, Anarchici a Modena. Dizionario biografico, Milano, Zero in Condotta, 2012, p. 90; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 306; Ceretti Arturo, in DBAI, vol. I, p. 375. 353 P. C. MASINI, op. cit., p. 159-166. Dopo un appello del Pubblico Ministero al Tribunale di Genova per il processo contro gli internazionalisti Covelli, Grassi e altri membri della commissione di corrispondenza, il giorno 16 marzo 1880 gli imputati – quasi tutti latitanti – sono condannati a dieci mesi di carcere. Vd. ivi., p. 163. 354 Ivi., p. 166. Sull'espansione delle tendenze cosiddette individualiste, vd. M. ANTONIOLI, L'individualismo anarchico, in M. ANTONIOLI e P. C. MASINI, Il sol dell'avvenire. L'anarchismo in Italia dalle origini alla Prima Guerra Mondiale, Pisa, BFS Edizioni, 1999, pp. 55-84.

147 2.2. Fra legalitari e intransigenti: gli anarchici dell’Emilia e della Romagna dalla svolta Costa al Congresso di Capolago (1879-1891).

Nel giugno 1879, dopo quattordici mesi nelle carceri parigine, Andrea Costa fu finalmente rilasciato. In seguito, trasferitosi a Lugano scrisse la sua celebre lettera «Ai miei amici di Romagna», la quale segnò la sua «svolta» verso le posizioni evoluzionistiche lasciando alle spalle quelle insurrezionali. Sicuramente l’esperienza del carcere parigino, ma anche la conoscenza che fece delle realtà socialiste europee – soprattutto in occasione del congresso socialista universale di Gand nel settembre 1877 –, lo convinsero che era arrivato il momento di cambiare l’indirizzo del movimento socialista. Questa convinzione l'aveva già maturata prima della lettera e, di fatto, era stata ventilata in un'altra missiva a Serafino Mazzotti qualche mese prima, quando l’imolese era ancora in carcere. Inoltre, Costa era già in contatto con Malon e con il gruppo de «La Plebe» di Milano.355 Le mutate posizioni di Costa ebbero importanti conseguenze per il movimento anarchico in Italia. Mentre in Romagna la confusione faceva presa nelle fila socialiste, a Napoli si fece sentire la critica intransigente al nuovo indirizzo costiano attraverso «Il Movimento Sociale» di Merlino, giornale che contestò anche la sua proposta del partito unitario. Intanto, Costa lavorava da Lugano con i legalitari milanesi, con Bignami e con Gnocchi-Viani, per un futuro congresso socialista. Egli, insieme alla Kuliscioff, si recò a Milano nel febbraio 1880 e il 14 marzo partecipò a un convegno clandestino con socialisti dell’Emilia e della Romagna, tenuto a Bologna, in cui si decise di costituire un ampio partito socialista che si avvalesse di tutti i mezzi per attuare il suo programma. Tuttavia, l’indirizzo intransigente e i suoi difensori non furono sconfitti del tutto, né respinto il metodo insurrezionale. Poco dopo, nell’aprile, Costa e Kuliscioff furono

355 Cfr. F. DELLA PERUTA, La «svolta» di Andrea Costa, in A. BERSELLI (a cura di) Andrea Costa nella storia del socialismo italiano, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 101-104; ID., Il socialismo italiano dal 1875 al 1882, cit., pp. 47-48; V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, Storia del Partito Socialista Rivoluzionario, 1881-1893, Bologna, Odoya, 2013 [Bologna, Cappelli, 1981], pp. 21-27; G. MANACORDA, op. cit., pp. 124-125. Manacorda accenna che il Costa, avendo preso le posizioni dell’anarchismo intransigente al congresso di Gand, dopo la svolta ne difese le risoluzioni. Vd. ivi., p. 124. Per la lettera, vd. Ai miei amici di Romagna, in «La Plebe», a. XII, n. 30, 3 agosto 1879.

148 arrestati a Milano e il congresso nazionale socialista che era stato fissato per il maggio nel capoluogo lombardo non ebbe luogo.356 Il congresso che sì poté realizzare fu il terzo della Federazione Alta Italia, convocato a Chiasso per il 5 dicembre 1880. Vi parteciparono i socialisti sia della tendenza anarchica, con Cafiero a capo, sia di quella evoluzionistica, capeggiata da Bignami e Gnocchi-Viani. Inoltre, vi furono Nabruzzi, Florido Matteucci e Gaetano Grassi fra altri, la maggior parte esuli in Svizzera. Senza riuscire a stabilire un programma comune, il congresso diventò un contraddittorio fra anarchici ed evoluzionisti sulle questioni del collettivismo e della lotta elettorale. Si arrivò soltanto ad accettare le agitazioni per il suffragio universale unicamente come occasione di propaganda e finalmente si sancì il «comunismo anarchico» come fine. Tuttavia, seppur da questa risoluzione si potesse pensare a un trionfo degli anarchici, il congresso condusse invece a un ulteriore spartiacque fra evoluzionisti e intransigenti.357 Di conseguenza, aggiunto il fatto che gran parte degli uomini più rappresentativi dell’anarchismo si trovava nell’esilio, durante il biennio 1881-1882 l’attività anarchica si concentrerà particolarmente a Napoli, guidata da Francesco Saverio Merlino. In Romagna, già centro dell’attività anarchica in Italia, Costa e i suoi seguaci stabiliranno stretti rapporti di collaborazione con i democratici delle diverse gradazioni e parteciperanno ad alcune manifestazioni pubbliche con i repubblicani.358 In tutto ciò, nel settembre 1879 i Pezzi con la Kuliscioff e i suoi altri undici compagni, incarcerati ormai da undici mesi, scrissero una lettera dal carcere protestando per la lentezza del loro processo e per le condizioni in cui erano rinchiusi. Il processo iniziò solo il 9 novembre e finì il 5 gennaio 1880 con una generale assoluzione. Un paio di giorni prima della risoluzione della Corte d’Assise di Firenze, il gruppo pubblicò in «La Lega della Democrazia» una lettera di ringraziamento ai loro difensori, poiché difendendo loro avevano difeso anche la causa dei sofferenti.359

356 Cfr. F. DELLA PERUTA, Il socialismo italiano dal 1875 al 1882, cit., pp. 51-53; G. MANACORDA, op. cit., p. 126- 128; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 176-178. Secondo Masini, «tranne alcuni amici bolognese e romagnoli, Costa non ha molti seguaci». Vd. Ivi., p. 178. Inoltre, Manacorda sostiene che siccome il gruppo de «La Plebe» non aveva raccolto sufficienti adesioni per il congresso di maggio, montò una campagna propagandistica per screditarlo e provocare così la proibizione, la quale finalmente fu comunicata dalle autorità ai primi di maggio. Vd. G. MANACORDA, op. cit., 127-128. 357 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., pp. 180-181; G. MANACORDA, op. cit., pp. 132-135. Sulle contrastanti letture che ebbero evoluzionisti e intransigenti sul congresso di Chiasso, cfr. Il Congresso dei socialisti dell’Alta Italia, in «La Plebe», Milano, a. XIII, n. 50, 12 dicembre 1880; Il Congresso di Chiasso, in «Il Grido del Popolo», Napoli, a. I, n. 13, 24 dicembre 1880. 358 F. DELLA PERUTA, op. cit., pp. 57-58. 359 P. C. MASINI, op. cit., pp. 164-165; C. BASSI ANGELINI, op. cit., p. 77. Per lettera di protesta vd. Protesta dei socialisti detenuti nelle carceri delle Murate di Firenze, per Processo di Cospirazione, in «La Plebe», a. XII, n.

149 Usciti dal carcere, i Pezzi si trovarono addosso la sorveglianza speciale, le difficoltà economiche, ma soprattutto erano disorientati dalle prese di posizione di Costa. Di fatto, in una lettera dell’aprile 1880 a Costa e Kuliscioff, Francesco riconobbe di essersi emarginato dopo la ricostruzione del movimento socialista a Firenze, così come avevano fatto anche Luisa, Natta e altri, perché, in uno stato confusionale tale, ritenevano il gesto, la miglior cosa per evitare delle scissioni fra i socialisti.360 Tuttavia, l’impegno politico del ravennate non si arrestò affatto. Nel novembre, riaffermandosi un intransigente, Pezzi insieme a Natta e altri costituirono a Firenze un comitato segreto che era in contatto con gli esuli in Svizzera, tra di essi Cafiero e Grassi, con lo scopo di ricostituire le associazioni internazionaliste, seppur senza successo.361 Intanto, sempre nel novembre, i reduci della Comune di Parigi confinati in Nuova Caledonia, tra di essi Louise Michel e il riminese Amilcare Cipriani, tornavano alla capitale francese. Cipriani, appena giunto a Parigi, fu espulso e si recò in Svizzera, dove a gennaio incontrò Carlo Cafiero. Qualche settimana prima aveva sottoscritto un manifesto internazionalista intitolato Agli oppressi d’Italia, che annunciava prossimi tentativi insurrezionali. Questo manifesto, che era stato redatto a Parigi e che fu letto al congresso di Chiasso, fu firmato inoltre da Giovanni Zirardini, Ludovico Nabruzzi e Tito Zanardelli con altri tre compagni. Il proclama, criticando la svolta di Costa, faceva un appello all’unità dei rivoluzionari italiani per attuare l’insurrezione. Non è un caso che, con gran parte degli anarchici e internazionalisti profughi all’estero, fossero esuli coloro che pretendevano di promuovere una sollevazione. In ogni caso, Zanardelli fu incaricato di preparare il terreno in Italia per la realizzazione del moto, ma recandosi a Milano e Torino la sua missione finì nel nulla e, anzi, i compagni con cui prese contatto furono in seguito arrestati. Ciò gli valse l’accusa di agente provocatore e così si dissipava l’iniziativa rivoluzionaria di Cipriani.362 37, 21 settembre 1879. Per la lettera di ringraziamento vd. “I processati di Firenze ai loro difensori”, in La Lega della Democrazia, Roma, 6 gennaio 1880, riprodotta in P. C. MASINI, op. cit., pp. 317-318. 360 La lettera di Francesco, datata a Firenze il 19 aprile 1880, che si accompagnava di una riga di Gaetano Zirardini e di una lettera di Luisa ad Anna Kuliscioff, si trova in nelle carte del Processo Costa-Kuliscioff del 1880 conservate all'ASBo, ed è riprodotta in P. C. MASINI (a cura di), Lettere inedite di anarchici e socialisti a Andrea Costa (1880), in «Movimento Operaio e Socialista», a. XIII, n. 1, gennaio-marzo 1867, pp. 62-63. Cfr. C. BASSI ANGELINI, op. cit., pp. 77-79. Secondo Bassi Angelini, Gaetano Zirardini, ancora nel maggio 1881, era incaricato insieme a Pezzi di tenere i collegamenti fra la federazione anarchica fiorentina e quella ravennate di Santandrea, ma solo fino alla fondazione del PSRR, quando Zirardini seguì l’indirizzo costiano. Vd. Ivi., p. 84. 361 “Pezzi Francesco”, ACS, CPC, b. 3920. Cfr. E. CONTI, op. cit., pp. 233-237; C. BASSI ANGELINI, op. cit., p. 80-81; “Pezzi Francesco”, in DBA, vol. II, p. 340. Sulla corrispondenza di Pezzi con Cafiero e altri esuli in Svizzera vd. E. CONTI, op. cit., pp. 235-236 362 Cfr. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 195-199; E. SANTARELLI, Il socialismo anarchico in Italia, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 57-58; N. PERNICONE, op. cit., pp. 183-185. Una riproduzione parziale del

150 Il movimento centrifugo degli internazionalisti intransigenti verso l’estero, ormai si era scatenato. Anche Caio Zavoli iniziò una serie di peregrinazioni fuori dall’Italia. Alla fine del 1880 si recò in Francia per far valere i suoi diritti a una pensione vitalizia per essere stato ferito nella battaglia a Digione, come avevano fatto altri italiani. Essendo rimasto a Parigi, fece parte del comitato esecutivo della Lega Rivoluzionaria Internazionale che si costituì nella capitale francese durante il 1882, associazione composta di socialisti provenienti da diversi paesi e mantenne corrispondenza con alcuni militanti in Italia e all’estero.363 Quel che rimaneva in Italia, comunque continuò ad agitarsi. Durante i primi mesi del 1881 la polizia scoprì che a Bologna si era formata la Lega dei Volontari della Libertà, che era composta da quindici internazionalisti, tra di essi Angelo Canovi. Questo era già stato segnalato dagli agenti di P. S. nel gennaio di quell’anno come uno dei più influenti internazionalisti di Reggio Emilia insieme ad altri dodici compagni, tra di essi anche Giovanni Ferrarini, che nel maggio 1881, però, era segnalato a Genova. Canovi era descritto come uno «zelante organo della setta» che faceva propaganda fra il basso popolo con discreto profitto e che aveva diversi processi e condanne per ribellione sulle spalle, mentre Ferrarini era indicato come presidente della Società di Conciapelli, ed era stato processato nel 1877 per «attentato tendente a distruggere l’attuale forma di governo».364 Nel corso dello stesso anno, Francesco Pezzi scrisse un libro sull’attentato del novembre 1878 in via Nazionale, noto come Un errore giudiziario, il quale prese la difesa degli accusati e includeva un compendio storico dell’Internazionale in Italia e della sua federazione fiorentina. Il libro fu pubblicato però un anno dopo, a richiesta dei familiari degli imputati, poiché temevano che la sua pubblicità potesse danneggiare la loro causa. Questo sarà l’unico libro conosciuto del Pezzi, ma lui sarà un assiduo collaboratore dei giornali anarchici, come lo fu in passato di quelli internazionalisti. Nel 1882 il giornale fiorentino La Lanterna, diretto da Fortunato Serantoni e del quale Pezzi fu collaboratore, darà un’ampia pubblicità al libro del ravennate come parte dell’agitazione per la revisione del processo, campagna che fu capeggiata dallo stesso Pezzi.365 Dal canto suo, il manifesto fu pubblicata come Un proclama socialista in «Il Grido del Popolo», Napoli, a. I, n. 13, 24 dicembre 1880. 363 ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio. 364 Cfr. Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, cit., p. 103; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, pp. 306. 365 Vd. F. PEZZI, Un errore giudiziario ovvero un po’ di luce sul processo della bomba di via Nazionale, Firenze, Tipografia Birindelli, 1882, 172 pp. Vd. anche P. C. MASINI, op. cit., p. 207; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 113; Batacchi Cesare, in MOIDB, vol. I, pp. 203-204.

151 27 ottobre dell’81, Luisa Minguzzi fu processata ma assolta insieme ad altri compagni per ingiurie qualificate contro agenti di P. S., dopo che il 7 settembre osò chiamare vigliacchi gli agenti che invasero l’anfiteatro Umberto I di Firenze quando si teneva un comizio unitario – era proprio il repubblicano Federico Campanella che parlava quando irruppe la forza pubblica – contro le guarentigie. Anche Francesco e altri furono arrestati, ma rilasciati con cauzione qualche giorno dopo.366 Sul piano internazionale, intanto, ebbe luogo un evento che segnerà la sorte del movimento anarchico europeo in generale e di quell’italiano in particolare. Fra il 14 e il 20 luglio 1881, a Londra, si tenne un congresso anarchico internazionale al quale parteciparono quarantacinque delegati, tra di essi i noti Piotr Kropotkine e Louise Michel e dell’Italia Enrico Malatesta e Francesco Saverio Merlino. Grazie allo sforzo di Malatesta, che aveva propagandato l’incontro fra i socialisti italiani invitandoli ad aderire, diversi circoli italiani si fecero rappresentare dallo stesso Malatesta, tra di essi i gruppi socialisti di Forlì e Forlimpopoli. Con la presenza delle tre grandi correnti dell’anarchismo internazionale, cioè comunisti, collettivisti e individualisti, il congresso deliberò, come la sua più importante risoluzione, la definizione degli anarchici per la propaganda a mezzo dei fatti e per l’azione insurrezionale. Quest’indirizzo, in conseguenza, contribuirà alla crescita delle tendenze terroristiche e individualiste e a un certo declino dell’anarchismo organizzato e organizzatore.367 In Italia, gli anarchici si erano raccolti principalmente attorno al giornale napoletano «Il Grido del Popolo» e alla figura di Merlino. Di fatto, anche gli esuli di Alessandria d’Egitto, fra i quali si contavano soprattutto romagnoli, toscani e marchigiani, avevano aderito a quest’organo di stampa. L’indirizzo merliniano, in concordanza con le risoluzioni del congresso londinese, radicalizzò le sue posizioni, proponendo un sistema di corrispondenza svincolato dai servizi dello Stato per evadere la sorveglianza poliziesca e una stampa completamente clandestina. Fu da questi presupposti programmatici che gli anarchici si confrontarono con la posizione di Costa. Le polemiche, che pian piano diventeranno attacchi diretti contro l’imolese e la sua declinazione evoluzionista, s’intensificheranno dopo il luglio 1881, in concomitanza con

366 Vd. Nostre corrispondenze dall’Italia, «Avanti!», Cesena, a. 1 n. 17, 11 settembre 1881; Nostre corrispondenze”, in «Avanti!», Cesena, a. 1 n. 23, 30 ottobre 1881; I romanzi dell’anarchia. Chi sono i coniugi Pezzi?, in «La Gazzetta dell’Emilia», Bologna, 15 settembre 1894. Vd. anche C. BASSI ANGELINI, op. cit., p. 84. 367 Sul congresso di Londra vd. N. PERNICONE, op. cit., pp. 191-195; P. C. MASINI, op. cit., pp. 204-206; E. SANTARELLI, op. cit., pp. 59-60. Dal punto di vista di Santarelli, con questa definizione per i metodi violenti nacque un movimento anarchico «autonomo, distinto, separato da ogni altra scuola o corrente» e segnò «la delimitazione netta e precisa del campo anarchico in Italia».

152 l’incontro anarchico internazionale e con la costituzione del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna a Rimini.368 Il congresso dei socialisti romagnoli guidati dal Costa, tenuto a Rimini nell’estate 1881, vide la partecipazione di trentotto delegati venuti da una cinquantina di località. Con la presenza di qualche anarchico, l’assemblea decise di ricostituire il partito internazionale con il nome di Partito Socialista Rivoluzionario, seppur con il voto contrario di pochi delegati, tra di essi l’anarchico Vittorino Valbonesi. Di programma non si parlò, ma invece si affidò la sua elaborazione a una commissione nominata apposta. Costa era riuscito ad adunare gran parte dei socialisti della Romagna intorno alla sua proposta d’unificazione, ma non riuscì a sottomettere tutte le voci dissidenti. La persistenza dell’astensionismo fra vari gruppi romagnoli condizionerà ancora l’atteggiamento del PSRR e, inoltre, l’adesione di alcuni gruppi della regione al programma di Londra, quali quelli Forlì e Forlimpopoli – in quest’ultimo sicuramente importante fu il ruolo di Valbonesi – faranno si che parallelamente all’organizzazione del partito costiano, emergano le prime opposizioni al nuovo programma.369 L’ambiente degli internazionalisti romagnoli era piuttosto eclettico. Alcuni di loro si avvicinarono a Costa. È il caso di Giovanni Zirardini che, insieme ai suoi fratelli, nei primi anni degli ’80 divenne uno degli esponenti del PSRR a Ravenna. Di fatto, con il fratello Gaetano fondarono in quella città il giornale «Il Sole dell’Avvenire», stampato nella tipografia del fratello Claudio, la cui prima serie uscì fra settembre 1882 e dicembre 1883. Alla fine del 1882 il periodico si fuse con l’«Avanti!» d’Imola e con il primo numero del 1883 apparve come l’organo ufficiale del partito di Costa.370 Altri socialisti romagnoli, invece, mantennero il rapporto e il dialogo con i costiani sostenendo un indirizzo intransigente, come ad esempio Vittorino Valbonesi. Il secondo numero del giornale «Catilina» di Cesena, vicino alle posizioni costiane, fu sequestrato a causa di un articolo a cui aveva collaborato Valbonesi. Egli, riferendosi a detto articolo, nel numero successivo del periodico si definì collettivista-anarchico e riaffermò la sua critica alla lotta elettorale dei socialisti, seppur sempre in termini cordiali.371 Valbonesi,

368 E. SANTARELLI, op. cit., pp. 56-61. 369 Congresso dei socialisti di Romagna, in «Catilina», Cesena, a. I, n. 14, 7 agosto 1881. Cfr. V. EVANGELISITI e E. ZUCCHINI, op. cit., pp. 42-47; E. SANTARELLI, op. cit., p. 56; 370 Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; Zirardini Claudio, in DBAI, vol. II, p. 722. Vd. anche Avvisi, in «Il Sole dell’Avvenire», Ravenna, a. II, n. 1, 6-7 gennaio 1883. Con questo numero, di fatto, il giornale assunse il sottotitolo di «organo ufficiale del Partito Socialista-Rivoluzionario di Romagna». 371Secondo sequestro, in «Catilina», Cesena, a. I, n. 3, 1 maggio 1881. In questo stesso numero si pubblicò la lettera del Valbonesi, datata a Forlimpopoli il 27 aprile 1881.

153 infatti, oltre ad aver votato contro la costituzione del PSRR, durante il 1881 fondò a Forlimpopoli, insieme ad altri compagni, il circolo Sofia Perowskaja – in omaggio alla rivoluzionaria russa che partecipò all’attentato che uccise lo Zar Alessandro II a San Pietroburgo il 13 marzo 1881 e che fu impiccata il 15 aprile di quell’anno – e s’impegnò a ridare vita all’Internazionale italiana e ad affrontare la svolta Costa. Nell’ottobre fu arrestato a Forlimpopoli contemporaneamente ad altri compagni del circolo e in seguito furono trasferiti a Forlì, dove rimasero in carcere preventivo per nove mesi circa. Poi vi si aggiunsero altri forlimpopolesi, arrestati nel febbraio 1882. Nel luglio si tenne il processo davanti al Tribunale di Forlì contro tredici imputati con l’accusa di cospirazione contro la sicurezza dello stato, associazione di malfattori e per essere stati in possesso di un ritratto della Perowskaja con la scritta «martire e santa». Francesco Saverio Merlino, uno dei cinque avvocati degli accusati, difese il socialismo dopo che essi si dichiararono socialisti. Finalmente, seppur l’avvocato Vendemini affermasse che Costa aveva manifestato la sua solidarietà con i forlimpopolesi e poi argomentasse che Valbonesi era già stato assolto nel ’79 con la stessa accusa, questa volta Vittorino fu condannato a due anni di carcere e ad uno di sorveglianza insieme a un altro, mentre gli altri ebbero pene dai sei ai dodici mesi, sentenze che causarono grande indignazione fra i socialisti.372 Nei primi anni ottanta la repressione contro gli anarchici e i socialisti, inclusi i costiani, si era intensificata. Il castellano castellano, Raffaele Cavallazzi, rivenditore di giornali che vivrà qualche anno in Argentina, era stato ammonito nel maggio 1879 e nel settembre 1881 fu arrestato a Brisighella con altri due compagni perché non gli riconobbero il permesso di transito dato dal sindaco di Castelbolognese in quanto ammonito. Al perquisirlo gli trovarono una lista di sottoscrizione per il giornale «Avanti!» di Cesena e quindi fu processato per cospirazione e attentati contro la sicurezza interna dello Stato. Tuttavia, nel novembre fu uno degli oratori alla commemorazione di Mentana tenuta al cimitero di Castelbolognese e organizzata da socialisti e repubblicani.373 Nell’aprile 1882, come risultato dell’«arbitrio nei piccoli

372 Vd. «Avanti!», Imola, a. I (1881): n. 23 (30 ottobre ), n. 24 (13 novembre), n. 25 (27 novembre), n. 27 (26 dicembre); a. II (1882): n. 4 (19 febbraio). Vd. anche Valbonesi Vittorino”, in DBA, vol. II, p. 643. Sul processo in particolare, vd. Il processo di Forlì, in «Avanti!», Imola-Bologna, a. II, n. 17, 15-16 luglio 1882 e n. 18, 23 luglio 1882. Secondo Renato Zangheri, nei primi anni degli ’80 Vittorino Valbonesi era uno dei romagnoli con cui aveva contatto Merlino. Vd. R. ZANGHERI, Storia del socialismo italiano, vol. II. Dalle prime lotte nella Valle Padana ai Fasci Siciliani, Torino, Einaudi Editore, 1997, pp. 174-175. 373ACS, CPC, b. 1195, fasc. Cavallazzi Raffaele. Raffaele Cavallazzi, nato a Castelbolognese il 25 dicembre 1852, aveva fatto parte del primo nucleo internazionalista della sua città, e successivamente passò al socialismo rivoluzionario (vd. E. GIANNI, op. cit., p. 362). Vd. anche Il movimento anarchico a Castelbolognese (1870-1945). Mostra storico-documentaria, Castelbolognese, Biblioteca Comunale «L. Dal Pane», 1984, pp. 85-88, dove si riproduce la scheda biografica del suo fascicolo nel CPC. Sull’arresto a Brisighella vd.

154 paesi» Cavallazzi era di nuovo in prigione, essendo stato incarcerato tempo prima, poiché aveva consigliato a qualcuno di sporgere una querela al maresciallo dei carabinieri dopo averlo preso a pugni. La sera prima del dibattimento del maresciallo di fronte al pretore, Cavallazzi fu arrestato per una supposta contravvenzione all’ammonizione e il 1° maggio fu inviato nelle carceri di Ravenna. Il processo si tenne il 20 di quel mese e il Tribunale riconobbe l’illegalità dell’arresto, poiché l’ammonizione era scaduta il 21 maggio 1881 e comunque un arresto come quello sofferto dal Cavallazzi si sarebbe potuto attuare sui sottoposti a sorveglianza speciale e non sugli ammoniti, quindi il castellano fu rilasciato in libertà. Ma non contento, nei primi di giugno il pretore di Castelbolognese chiamò Cavallazzi per riammonirlo. Seppur l’anarchico ricorresse alla Corte di Cassazione e alcune «egregie» persone facessero pratica alla pretura in suo favore, il castellano fu pure sanzionato con l’ammonizione.374 In ogni caso, il disorientamento nell’indirizzo anarchico si manifestò non solo nei rapporti con i socialisti rivoluzionari, ma anche nella sua azione politica concreta. Risulta interessante guardare l’attività del Pezzi durante il 1882 al riguardo. Nel febbraio scrisse cordialmente ai «compagni carissimi di Romagna» contestando però un appello del Costa ai socialisti italiani che era stato pubblicato a gennaio sull’«Avanti!» e che proponeva la costituzione di una commissione nazionale che portasse alla formazione di un partito socialista italiano. Pezzi, riconoscendo la grande divergenza fra «intransigenti» e «innovatori», si rifiutava di rispondere all’appello perché s’inizierebbe una discussione «dannosissima per la causa della rivoluzione». Criticò l’abbandono che i socialisti romagnoli fecero del nome dell’Internazionale e l’evoluzionismo del partito costiano e poi sostenne che era meglio che ognuno seguisse la propria strada. Inoltre, Pezzi affermava che, riguardo all’allargamento del voto per le elezioni, come privati anziché come partito, avrebbero consigliato agli operai di iscriversi ed eventualmente di formare comitati operai elettorali, ma sempre come mezzo di agitazione, di protesta ed esigendo un’attitudine rivoluzionaria dai candidati, dovendosi essi rifiutare di prestare giuramento. Tutto, però, al di fuori di un lavoro insieme ai costiani. Scriveva Pezzi:

Movimento operaio e socialistico, in «Avanti!», Cesena, a. I, n. 17 (11 settembre 1881), n. 19 (25 settembre 1881); sulla commemorazione di Mentana, vd. Movimento operaio e socialistico, in «Avanti!», Cesena, a. I, n. 24, 13 novembre 1881. 374 Vd. Ultima ora, in «Avanti!», Imola-Bologna, a. II, n. 8, 29-30.4.1882; la nota datata a Castelbolognese del 3 maggio 1882, Nostre corrispondenze, in «Avanti!», Imola-Bologna, a. II, n. 9, 6-7 maggio 1882; la nota da Castelbolognese del 27 maggio 1882, Nostre corrispondenze e Ultima ora, in «Avanti!», Imola-Bologna, a. II, n. 12, 4 giugno 1882; la nota da Castelbolognese del 2 agosto 1882, Nostre corrispondenze, in «Avanti!», Imola-Bologna, a. II, n. 19; Dalle nostre corrispondenze, in «Avanti!», Imola-Bologna, a. II, n. 16, 9 luglio 1882.

155 «sciogliamoci pure e procediamo spediti».375 Due mesi dopo Pezzi scrisse ad Andrea Costa mostrandosi incredulo dell’eventuale svolta che avrebbe compiuto anche Carlo Cafiero, messo in contatto con il Bignami e con il cerchio de «La Plebe»: «per ammettere cotesto, bisognerebbe credere che Carlo sia diventato pazzo». Comunque, Pezzi si lamentava ancora del cambiamento d’indirizzo del Costa e dell’impossibilità di lavorare insieme, ma non per quello risparmiò parole di amicizia nei suoi confronti, augurando anche buona fortuna al giornale «Avanti!».376 Pezzi, che era stato incarcerato alcuni giorni nel settembre 1882 dopo un incidente con il provocatore Ulisse Romei – in cui era presente anche Serantoni ma che riuscì a scappare rendendosi latitante –, «protagonista della commedia della bomba di via Nazionale»,377 mise in moto la partecipazione degli anarchici alle elezioni politiche con la candidatura operaia di Francesco Natta e la candidatura protesta di Carlo Cafiero, quest’ultima come mezzo per permettere il rientro del barlettano dalla Svizzera. In una lettera al giornale La Lega della Democrazia di Roma, Pezzi smentiva che i socialisti avessero aderito a un programma repubblicano per sostenere le candidature democratiche e che invece il Fascio degli elettori democratici, al quale inizialmente partecipavano gli internazionalisti fiorentini, si era scisso a causa dell’esclusione della candidatura operaia e socialista del Natta, la quale fu strenuamente difesa da Pezzi. Di conseguenza, i socialisti decisero di supportare le candidature di Campanella e di Del Greco, insieme a quelle di Cafiero e del Natta, quest’ultima al posto di quella del repubblicano Del Corso.378

375Lettera di Francesco Pezzi ai «compagni carissimi di Romagna», Firenze, 16 febbraio 1882, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 2, fasc. 153. L’appello del Costa fu pubblicato con il titolo Organizziamoci!, in «Avanti!», Cesena-Imola, a. II, n. 2, 22 gennaio 1882. Un commento critico sulla lettera del Pezzi, in quanto manifesta un anarchismo contraddittorio e impotente di fronte «all’evolversi della realtà storica», si trova nell’articolo Francesco Pezzi, lettere ad Andrea Costa e ad Anna Kuliscioff, a cura di g. b. [Gianni Bosio], in Movimento Operaio, a. II, n. 7-8, aprile-maggio 1950, p. 196. In quest’articolo si riproduce anche la lettera del Pezzi, vd. Ivi., pp. 197-198. Vd. anche C. BASSI ANGELINI, op. cit., pp. 85-86. 376Lettera di Francesco Pezzi ad Andrea Costa, Firenze, 7 aprile 1882, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 2, fasc. 154. La lettera è riprodotta in Francesco Pezzi, lettere ad Andrea Costa e ad Anna Kuliscioff, cit., pp. 198-199. 377 Provocazioni, in «La Lanterna», Firenze, a. I, 10 settembre 1882. 378 Lettera di Francesco Pezzi ai redattori della «Lega della Democrazia»di Roma, Firenze, 15 ottobre 1882, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b.2, fasc. 210. Vd. anche Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 341. I dissidenti fiorentini alla partecipazione alle elezioni erano capeggiati da Gaetano Grassi, vd. I romanzi dell’anarchia. Chi sono i coniugi Pezzi?, in «La Gazzetta dell’Emilia», 15 settembre 1894. Le differenze fra Grassi e Pezzi-Natta erano progressivamente cresciute. Una particolare polemica si scatenò da una nota critica del Grassi sul «Tito Vezio» riguardo alla presenza di Costa a Firenze ai primi del 1883, alla quale risposero Pezzi e Natta smentendo la sua versione e contestando coloro che lanciavo attacchi contro Costa invece di discutere «serenamente sui principi». Vd. la nota de Grassi del 2 febbraio 1883, Nostre corrispondenze da Firenze, in «Tito Vezio», Milano, a. II, n. 15,

156 Anche se molti anarchici continuarono a rifiutare la propria partecipazione alle elezioni, altri decisero di partecipare ai comitati elettorali socialisti, seguendo l’indirizzo di Merlino, come fece ad esempio Francesco Pezzi. A Reggio Emilia, Angelo Canovi, che nel 1882 era riuscito a ricostituire il circolo socialista locale e ad iniziare la pubblicazione de «Lo Scamiciato» – anche finanziandolo –insieme a Camillo Prampolini, il quale prese un indirizzo socialista rivoluzionario, partecipò alla costituzione del Comitato Operaio Elettorale, seppur egli non fosse considerato un legalitario sincero.379 Anche Valbonesi, che scrisse dal carcere di Forlì a Costa, si mostrò favorevole a un trionfo dei candidati socialisti – anche se con chiare riserve riguardo all’utilità del parlamento nella lotta sociale – in quanto avrebbero potuto combattere alla Camera le leggi repressive che colpivano i socialisti.380 Alle elezioni, tenutesi il 29 ottobre, i candidati socialisti non ebbero successo. Le candidature protesta di Cafiero, Natta ed Emilio Covelli, supportate da alcuni anarchici, presero pochi voti. Solo Amilcare Cipriani riuscì a prendere più di duemila voti a Forlì, ma senza risultare eletto. Quest’ultima candidatura, anche essa di protesta e supportata dagli anarchici, era stata proposta dopo che Cipriani fu condannato dal Tribunale di Ancona a venticinque anni di carcere per un triplo omicidio volontario commesso anni addietro ad Alessandria d’Egitto. L’incarceramento del riminese attivò una larga campagna di agitazione che coinvolse dai democratici agli anarchici e che avrà vita finché il Cipriani non sarà scarcerato.381 L’unico candidato socialista eletto in quelle elezioni fu Andrea Costa, votato per il collegio di Ravenna. Tuttavia, restava ancora un problema che i socialisti rivoluzionari consideravano di primo ordine, cioè la questione del giuramento. Anche se molti costiani rifiutavano la possibilità che l’imolese giurasse di fronte alla Camera, il gruppo de «La Plebe» e lo stesso Carlo Cafiero chiesero a Costa di giurare e accettare il posto in parlamento. Finalmente, il 19 di novembre a Ravenna una conferenza del PSRR approvò la proposta di Gaetano Zirardini, assecondata da Ludovico

10 febbraio 1883, e la lettera di risposta di Pezzi e Natta, datata a Firenze il 20 febbraio e indirizzata alla redazione di «Tito Vezio» – ma non pubblicata da questo giornale – in Nostre corrispondenze, in «Il Sole dell’Avvenire», Ravenna, a. II, n. 7, 24-25 febbraio 1883. 379Canovi Angelo, in DBAI, vol I., p. 307. Sia nel comitato socialista che sul giornale, il giovane Camillo Prampolini faceva già vedere le divergenze con l’indirizzo intransigente. 380 Frammenti di questa lettera furono pubblicati sul giornale anarchico «Proximus Tuus», Torino, a. I, n. 18, 23 settembre 1882. 381Amilcare Cipriani, rientrato in Italia dopo la sua espulsione da Parigi, fu arrestato alla stazione di Rimini quando andava a trovare suo padre malato. Trasferito al carcere di Milano, nel febbraio 1882 il Tribunale di Ancona deliberò la sua sentenza. Vd. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 199-201.

157 Nabruzzi e dal fratello Giovanni, di permettere al Costa di giurare ed assumere la carica di deputato.382 È indubbio, ad ogni modo, che l’azione anarchica non si ridusse ai suoi soli avvicinamenti alle elezioni. L’attività di organizzazione delle fila intransigenti non si arrestò affatto. A Firenze, l’instancabile impegno dei coniugi Pezzi in questi anni portò alla costituzione della Confederazione Socialista Internazionale fiorentina e inoltre Francesco insieme a Natta tentò di costituire anche la Confederazione delle Società Operaie, la quale però non ebbe sufficienti adesioni. Nel luglio 1883, con Francesco Natta e il costiano Ranieri Martini, Pezzi organizzò una conferenza socialista a Pisa che si tenne il 22 di quel mese e in seguito collaborò con il giornale «Il Popolo»e poi con «La Questione Sociale», usciti a settembre e a dicembre 1883 rispettivamente, entrambi pubblicati nella capitale toscana.383 Quest’ultimo giornale fu diretto da Malatesta, che seppur fosse arrivato a Firenze nell’inverno 1883 tornato dall’esilio ad Alessandria d’Egitto, con il suo arresto a maggio e il successivo trasferimento nelle carceri di Roma, soltanto nel novembre riuscì a stabilirsi nel capoluogo toscano e collaborare alla ripresa del movimento anarchico locale e nazionale, intensificando inoltre la polemica con Andrea Costa, ormai onorevole deputato.384 Nella primavera 1883, Francesco Pezzi sosteneva ancora un rapporto cordiale con Costa e Anna Kuliscioff. Nel maggio scrisse a quest’ultima raccontando dell'arresto di Malatesta avvenuto a Firenze a causa dell’imprudenza di Gaetano Grassi, che lo visitava frequentemente nonostante sapesse che la polizia lo stava cercando. Questo fatto, si aggiunse ad ulteriori disaccordi che portarono il Pezzi e altri a rompere ogni rapporto con Grassi e a chiedere alla russa di far visitare Malatesta nelle carceri romane da qualcuno, tramite Costa, per sapere cosa fare con il denaro dell'anarchico campano. Raccontava anche che Cafiero era stato ricoverato nel manicomio di San Bonifacio a Firenze nel febbraio e che la sua pazzia era certa – aveva dei deliri con i gesuiti – e che i

382Inmediatamente dopo le elezioni, Gaetano Zirardini si era mostrato contrario al giuramento del Costa e probabilmente lo stesso imolese lo spinse a cambiare opinione. Vd. V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, op. cit., p. 70- 72. Sulla posizione di Cafiero, vd. la sua lettera a Andrea Costa, s. l., 1 novembre 1882, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 2, fasc. 219. 383 ACS, CPC., b. 3920, fasc. Pezzi Francesco. Vd. anche Martini Rainieri, in MOIDB, vol. IV, p. 332; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 377. Il giornale «Il Popolo» fu un’iniziativa di Malatesta per contestare le posizioni legalitarie del Costa. Francesco Pezzi annunciò la sua uscita su «L’Ilota» di Pistoia nel maggio, ma l’arresto di Malatesta ritardò la sua comparsa. I pochi numeri che riuscirono a essere pubblicati, con un gruppo redazionale diverso da quello originale, furono tutti sequestrati. Vd. L. BETTINI, op. cit., pp. 32-33. 384 Cfr. GIAMPIETRO BERTI, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, 1872-1932, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 99-100; E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit., pp. 305-306.

158 medici non credevano che potesse guarire. Il mese successivo Pezzi scriveva a Costa confermando che Cafiero peggiorava, che faceva dei gesti minaccianti verso il cielo parlando in francese e insisteva sul denaro del Malatesta. A questa lettera Pezzi ne allegava una del giovane Arturo Mazzanti, che era a Firenze alla ricerca di lavoro e per appoggiarlo Francesco aveva scritto pure ai compagni di Pisa. Entrambe le lettere del ravennate si chiudevano con cari saluti, anche da parte di Luisa e del Natta.385 Arturo Mazzanti,386 cappellaio ravennate che fra qualche anno conoscerà anche lui l’Argentina, si trasferì per lavoro a Pisa proprio nel giugno 1883, grazie all’aiuto prestato dal Pezzi e dal Costa. Infatti, il rapporto di Mazzanti con Costa sembra che fosse stato abbastanza vicino, tanto che in una lettera del luglio il ravennate, dopo aver ringraziato l’imolese di tutto l’appoggio prestato e riconoscendolo come «capo creditore», gli scriveva raccontando della situazione dei socialisti pisani, chiedendogli anche dei consigli e una sua prossima visita. Inoltre, raccontava che aveva scritto a Giovanni Zirardini chiedendo 100 copie del «Il Sole dell’Avvenire» per i compagni di Pisa.387 Giovanni aveva assunto la carica di redattore responsabile del giornale dal numero 5 al 28 della seconda annata, cioè dal febbraio ai primi di settembre 1883, in sostituzione del direttore titolare del giornale, il fratello Gaetano.388 Giovanni Zirardini, che il 5 luglio 1883 era stato condannato con altri redattori de «Il Sole dell’Avvenire» dal Tribunale di Ravenna a dodici giorni di carcere e a una multa per reato di stampa – anche se la pena poi fu condonata –, partecipò al II Congresso del PSRR tenuto a Ravenna il 5 agosto dello stesso anno. Fra un’ottantina di delegati ci furono anche gli anarchici Giovanni Domanico, Francesco Pezzi e Francesco Natta, gli

385 Vd. la lettera di Francesco Pezzi ad Anna Kuliscioff, Firenze 15 maggio 1883, Carte Costa, b. 2, fasc. 259, e la lettera di Pezzi al Costa, Firenze, 11 giugno 1883, Carte Costa, b. 2, fasc. 265. Nella lettera a Costa, inoltre, Pezzi raccontava che con Luisa avevano cambiato casa, trovandosi adesso in via del Sole 1, e in un tono di amicizia gli diceva: «saremo felicissimi quel giorno che ti potremo qui riabbracciare». Sullo stato di salute di Carlo Cafiero, Francesco Pezzi scrisse due articoli su «Il Sole dell’Avvenire», vd. Ultima ora, Carlo Cafiero”, in «Il Sole dell’Avvenire», Ravenna, a. II, n. 6, 17-18 febbraio 1883, e Nostre Corrispondenze, Carlo Cafiero, in «Il Sole dell’Avvenire», Ravenna, a. II, n. 7, 25-26 febbraio 1883. Pezzi era segnalato dallo stesso periodico come uno dei suoi collaboratori, vd. Avvisi, in «Il Sole dell’Avvenire», Ravenna, a. II, n. 2, 13-14 gennaio 1883. 386 Arturo Mazzanti nacque a Ravenna il 23 marzo 1859 da Giuseppe e Angela Trombetti. Fra la fine 1880 e inizio del 1881 si trovava a Trieste, ma tornò in Italia sembra prima di essere formalmente espulso dall’Impero Autro-Ungarico, espulsione di cui la prefettura di Ravenna non seppe i motivi. La scheda biografica redatta da detta Prefettura, datata nel 1901, diceva che Mazzanti era un anarchico pericolossisimo, ma che prima appartenne al partito socialista, quel che ci fa suporre che almeno nei primi degli anni ’80 fosse più vicino ai costiani che agli anarchici. Vd. ACS, CPC, b. 3173, fasc. Mazzanti Arturo. 387Lettera di Arturo Mazzanti ad Andrea Costa, Pisa, 18 luglio 1883, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 2, fasc. 275. 388 Gaetano riprese la direzione del giornale con il numero 29 del 16 settembre 1883, vd. F. CARDELLINI, op. cit., p. 39.

159 ultimi due in rappresentanza della Federazione Socialista Fiorentina, la quale aveva deciso di parteciparvi proprio nella riunione di Pisa del luglio scorso, malgrado il rifiuto all'adesione delle altre associazioni toscane. Il congresso era stato indetto come riunione privata per evitare lo scioglimento da parte delle autorità, ma appena iniziata l’assemblea la polizia irruppe e nonostante le proteste di Costa, riuscirono a impedire la riunione. Come segno di protesta, Giovanni Zirardini salì su una sedia gridando «viva la rivoluzione sociale», assecondato dalle grida dei delegati, ci fu una grande confusione che finì con il suo arresto e quello di altri due delegati, finendo così anche l’adunanza. Zirardini fu rilasciato poche ore dopo e il giorno successivo l’assemblea si tenne comunque, costituendosi una commissione che doveva convocare un prossimo congresso socialista di carattere nazionale.389 La partecipazione di Pezzi e Natta al congresso del PSRR accese ancora di più gli animi degli anarchici intransigenti e le le critiche ai socialisti rivoluzionari si inasprirono. Già nell’aprile 1883, sulle colonne de «L’Ilota» di Pistoia aveva avuto luogo una polemica fra Malatesta e Pezzi-Natta. Questi, seppur polemizzarono con Costa, evitarono di aprire uno scontro diretto e accusarono Malatesta di personalizzare in Costa la diatriba politica, negando che esistesse il «costianesimo» e che ci fosse qualche differenza di principi, bensì di metodi e allo stesso tempo rifiutavano che i romagnoli potessero essere considerati «un branco di stupidi e di imbecilli» che seguivano acriticamente un leader. Malatesta rispose ancora, ma la polemica finì con il suo arresto nel maggio. Egli voleva isolare il deputato socialista ma Pezzi e Natta, che condividevano con l’imolese la necessità degli sforzi riorganizzativi, non vollero seguirlo.390 Nell’autunno 1883, con il ritorno di Malatesta a Firenze dopo la sua detenzione a Roma e con l’affermarsi dell’atteggiamento ultra parlamentare di Costa a cui si aggiunse la sua adesione al Fascio della Democrazia, Pezzi e Natta si persuasero della necessità d’isolare l’imolese e si schierarono con il campano. Nell’ottobre si riavvicinarono anche a Gaetano Grassi e con lui fondarono la Federazione Socialista Fiorentina di tendenza

389 Cfr. Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; E. GIANNI, op. cit., p. 119-120; V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, op. cit., pp. 86-90; G. MANACORDA, op. cit., pp. 166-168; R. ZANGHERI, op. cit., pp. 171. Il Congresso ebbe una seconda parte, tenuta a Forlì il 18 novembre, nella quale si approvarono definitivamente il programma e il regolamento e si decise di convocare un congresso operaio internazionale a Torino. In quella sede si discusse una lettera scritta dai circoli socialisti anarchici di Rimini e, dopo l’approvazione del programma socialista rivoluzionario, una parte del circolo socialista d’Imola, capeggiata da Adamo Mancini, si staccò del PSRR. Nonostante ciò, quel congresso salutò lo scarceramento del Malatesta e gli altri anarchici a Roma. Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 168-169; V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, op. cit., pp. 96-98. 390 Cfr. E. GIANNI, op. cit., p. 121; L. BETTINI, op. cit., p. 30; Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 340; R. ZANGHERI, op. cit., p. 167-168; P. C. MASINI, op. cit., pp. 208-210.

160 comunista anarchica, la quale pubblicò «La Questione Sociale» con a capo Malatesta. Questo riaccorpamento degli anarchici fiorentini permise un rinnovamento della polemica contro Costa in termini ancora più duri. Nel gennaio 1884, sulle colonne de «La Questione Sociale», Malatesta accusò Costa di ingannare e utilizzare i suoi compagni di partito e la reazione dei socialisti rivoluzionari non si fece aspettare. Costa respinse esplicitamente di entrare nella polemica e fu Secondo Cappellini a rispondere che il popolo romagnolo era per natura rivoluzionario e indipendente, dopodiché saprebbe perfettamente ribellarsi se qualcuno volesse scommetterlo.391 La polemica che avevano iniziato i redattori de «La Questione Sociale» doveva essere discussa in una riunione della federazione ravennate del PSRR. Venuti a conoscenza di quel ordine del giorno, vi si presentarono Malatesta e Francesco Pezzi, senza sapere però che si trattava di una riunione locale, dopodiché anche Costa fu contattato telegraficamente per assistere. Riuniti la sera di domenica 20 gennaio con un gran numero di assistenti, Costa riuscì a rimandare l’incontro per il giorno successivo. Nella riunione di lunedì, alla quale parteciparono poche persone, Malatesta interpellò il Costa: doveva rinunciare al Fascio della Democrazia, denunciarla come associazione borghese e farsi cacciare dal parlamento lasciando il posto per l’elezione di Cipriani. Tuttavia, l’imolese riuscì a respingere l’interpellanza e a ottenere la fiducia dei pochi presenti al dibattito. Anche se apparentemente vittorioso, Costa ebbe alcune disapprovazioni dai compagni, specie da Secondo Cappellini, per il rifiuto a dibattere la prima sera dell’incontro con gli anarchici e rimandare sapendo che così avrebbero assistito poche persone.392 Con alcune sfumature, non tutti ebbero la stessa opinione. Il fratello maggiore di Giovanni Zirardini, Claudio, scrisse a Costa sulla partenza del Pezzi e del Malatesta per Forlì, affermando che «la sera non fecero che pettegolezzi» sul deputato ma che nessuno gli diede ascolto e invece avevano perso il loro prestigio.393

391 Cfr. Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 341; Minguzzi Luisa, in DBAI, vol. II, p. 189; E. GIANNI, op. cit., p. 126-127; V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, op. cit., pp. 104-107. Vd. anche Ai nostri amici del «partito socialista rivoluzionario di Romagna», in «La Questione Sociale», Firenze, a. I, n. 3 e 4, del 5 e 12 gennaio 1884 rispettivamente; Andrea Costa ai compagni della Locale Federazione e S. CAPPELLINI, Ai redattori della «Questione Sociale» Firenze, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 12, 23-24 gennaio 1884. 392 Vd. A Ravenna, in «La Questione Sociale», a. I, n. 6, 27 gennaio 1884; Cose locali, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 12, 23-24 gennaio 1884; Ultime parole, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 19, 16-17 febbraio 1884. Cfr. E. GIANNI, op. cit., p. 127; V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, op. cit., pp. 107-108. 393 Lettera di Claudio Zirardini a Costa, Ravenna, 23 novembre 1884, pubblicata in Carteggio C. Zirardini – A. Costa, a cura di g. b. [Gianni Bosio], in «Movimento Operaio», a. III, n. 17-18, giugno-settembre 1951, p. 627. Claudio Zirardini e Francesco Pezzi, che erano stati compagni fin dalla fondazione della sezione ravennate dell’Internazionale – di fatto avevano fatto parte insieme della commissione di corrispondenza della Federazione Romagnola nel 1873 –, sostenevano ancora dei rapporti nella primavera del 1884, nonostante lo scontro con Costa di gennaio. In una lettera dell’aprile Zirardini raccontava a Costa che si era scritto con Pezzi e che questo gli aveva detto che sarebbe andato a Lugo, dove sarebbe andato anche Costa

161 Alla fine di quel gennaio si tenne a Roma un processo contro Errico Malatesta, Francesco Saverio Merlino e altri anarchici, tra di essi l’incisore ravennate Antonio Biancani – trasferitosi a Roma con la famiglia d’origine fin dal 1874 –, tutti coinvolti nell’affissione di manifesti commemorativi della Comune di Parigi nella vigilia del 18 marzo 1883 e nella riorganizzazione dell’Internazionale nella capitale e come tali, accusati di cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato. Il 1° febbraio 1884 si chiuse il processo con le condanne a quattro anni di presidio per Merlino, tre per Malatesta e due per il resto, incluso Biancani. Malatesta e Merlino riuscirono però ad avere ancora qualche mese di libertà, mentre Biancani si era già reso latitante prima dell’ordine di cattura dell’aprile 1883.394 Antonio Biancani è un altro anarchico che fra qualche anno andrà oltreoceano.395 Dopo la sentenza, nello stesso febbraio, cinquantacinque anarchici di Firenze firmarono un manifesto di solidarietà contro la condanna dei compagni dal Tribunale di Roma. Il proclama criticava lo stato e la magistratura e faceva voto perché «il popolo derubato e tradito insorga una buona volta contro quest’ammasso di fango, corruzione ed iniquità che costituisce la società moderna», chiudendo con un richiamo all’AIL. Fra questi anarchici c’erano anche Francesco Pezzi, Luisa Minguzzi e Arturo Mazzanti, oltre a Natta e Grassi. Qualche mese dopo e precisamente il 19 settembre, i firmatari furono processati e condannati dalla Corte d’Assise di Firenze a trenta mesi di carcere e 3.900 lire di multa per i reati di «offesa al rispetto alle leggi fondamentali dello Stato, apologia di fatti qualificati delitti, offesa contro il diritto d’inviolabilità della proprietà e di manifestazione di voto di distruzione dell’ordine monarchico costituzionale» per mezzo della stampa. Pezzi riuscì a fare sparire le sue tracce e con Malatesta, Luisa e altri si recò a Napoli in aiuto delle vittime del colera. La sentenza fu poi ratificata dalla stessa corte il 13 febbraio 1885 e, nel marzo, Mazzanti si recò con nome falso a Trieste, da dove però

– presumiamo alla commemorazione della morte dell’internazionalista Francesco Piccinini. Zirardini aggiungeva che aveva chiesto a Pezzi il favore di copiare una lettera dalla biblioteca di Firenze, poiché lui gli aveva già dato «un simile disturbo» poco tempo prima. Vd. la lettera di Claudio Zirardini a Costa, del 27 aprile, in Ivi, p. 630. 394 P. C. MASINI, op. cit., pp. 215-216. Vd. anche ACS, ACS, CPC, b. 610. fasc. Biancani Antonio. Nella notte del 17 marzo 1883, gli anarchici, oltre ai manifesti affissi, erano riusciti a innalzare a Roma tre bandiere nere con la scritta «viva la comune»: una al Campidoglio, una al Quirinale e un’altra nel Vaticano. Antonio Biancani e sua sorella riuscirono a scappare prima delle perquisizioni. Vd. Nostra corrispondenza da Roma, in «Tito Vezio», a. II, n. 19, 1.4.1883. 395 Antonio Biancani nacque il 13 aprile 1856 a Ravenna. Appena trasferitosi a Roma nel 1874, si mise a fabbricare biglietti falsi da 10 lire, dopodiché nel marzo 1875 fu condannato a cinque anni di carcere, ma graziato uscì nel 1877. Da allora in poi iniziò a collaborare con l’Internazionale, e negli anni successivi, casa sua sarebbe stata luogo di ritrovo degli anarchici romani. Nell’aprile 1881 fu denunziato per l’ammonizione, ma il pretore respinse la proposta. Vd. ACS, ACS, CPC, b. 610. fasc. Biancani Antonio.

162 partì presto temendo di essere scoperto. Alla fine, il 31 agosto 1885 fu arrestato ad Imola.396 Sebbene alcuni anarchici riuscirono a chiarirsi e a riprendere la propria strada, la decade dell’80 fu segnata per l’ambiguità di molti anarchici emiliani e romagnoli riguardo all’indirizzo socialista segnalato da Costa. In questo scenario, ebbe particolare importanza la «ricomparsa» di Germanico Piselli. Nel 1883 si stabilì a Forlì avendo ottenuto un posto nell’ufficio annonario del comune grazie all’aiuto del deputato radical repubblicano Alessandro Fortis, che probabilmente lo favorì cercando di avvicinarsi a Costa per un accordo in vista delle prossime elezioni. Piselli, che rientrava così nella vita politica del socialismo italiano, fin dall’inizio lo fece da posizioni ambigue.397 Anche il reggiano Angelo Canovi, ebbe un periodo confusionario, partecipando come rappresentante del giornale «Lo Scamiciato» al congresso dei radicali tenutosi a Bologna nell’agosto 1883 da cui nacque il Fascio della Democrazia, associazione fortemente contestata dagli anarchici intransigenti e a proposito del quale questi intensificarono i loro attacchi a Costa.398 Ad ogni modo, la vita di Canovi era lontana dall'essere tranquilla. Il 15 ottobre 1883 il Tribunale di Reggio Emilia lo condannò a 45 giorni di carcere e a una multa di 60 lire per «perturbamento con vie di fatto in odio della religione dello Stato», dopo aver partecipato a una contromanifestazione liberale in protesta per una processione religiosa. Altri tre compagni furono pure condannati e nell’aprile successivo la Corte di Cassazione confermerà la condanna come aveva già fatto la Corte d’Appello.399 In questi anni, come si è potuto intravvedere, la repressione contro gli anarchici e socialisti non si calmò affatto. Gli arresti e i processi avuti nei primi anni degli ’80 convinsero molti rivoluzionari a prendere la via dell’esilio. Raffaele Cavallazzi, vedendo che la persecuzione poliziesca si intensificava contro di lui, soprattutto dopo la sua partecipazione alle conferenze contro le leggi eccezionali e forse anche prevedendo le condanne del marzo 1883 a quattro mesi di carcere per resistenza e violenza contro i carabinieri e quella del giugno a un anno per «detenzione di armi insidiose e contravvenzione a regolamento ferroviario», decise d'espatriare.400

396 Vd. ACS, CPC, b. 3173, fasc. Mazzanti Arturo; ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco; Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 341. Il manifesto degli anarchici di Firenze è riprodotto in P. C. MASINI, op. cit., pp. 331-333. 397Piselli Germanico, in DBAI, vol. II, p. 359. 398Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307. 399ACS, CPC, b. 1010, fasc. Canovi Angelo. Vd. anche Nostre corrispondenze dall’Italia, in «Avanti!», Roma, a. III, n. 4, 27 aprile 1884. 400Nostre corrispondenze, in «Il Sole dell’Avvenire», Ravenna, a. II, n. 6, 16-17 febbraio 1883. Vd. anche ACS, CPC, b. 1195, fasc. Cavallazzi Raffaele. Nell’aprile 1883 la ricerca del Cavallazzi era ancora infruttuosa, e il Ministero degli Affari Esteri si limitava a informare il Ministero dell’Interno che né Cavallazzi né Antonio

163 A Parigi si trovava Caio Zavoli, che nel maggio 1883 scrisse a un compagno di Napoli, insieme al romagnolo Gaetano Lombardi, chiedendo notizie sull’arresto di Malatesta e Merlino e manifestando la loro intenzione di rientrare in Italia. Tuttavia, nell’ottobre assistette a una conferenza aperta del partito operaio socialista rivoluzionario francese, tenuta a Parigi il 29 ottobre 1883, alla quale partecipò anche Andrea Costa fin dalla sua preparazione. Con un gruppo di anarchici italiani si recò alla conferenza per contestare il deputato socialista e l’accusò di tradimento. Zavoli e Lombardi nel novembre erano ancora segnalati nella capitale francese come membri del Circolo anarchico italiano di Parigi, ma ai primi di dicembre lo Zavoli fu espulso dalla Francia e si recò a Londra.401 Non è chiaro quando di preciso, ma è in questo periodo che, rientrato diverse volte in Francia, il riminese partecipò nel 1886 alla costituzione a Parigi di un gruppo anarchico individualista del quale fecero parte anche i reggiani Luigi Parmeggiani e Vittorio Pini. Questo gruppo, che attaccò tenacemente Costa, i democratici e anche gli anarchici organizzatori, teorizzò l’espropriazione come strumento rivoluzionario e riuscì a pubblicare «Il Ciclone», numero unico del 1887 e «Il Pugnale» nel 1889, grazie al denaro che riuscivano a ricavare dalle loro rapine. Nell’ottobre 1888 pubblicarono il Manifesto degli anarchici di lingua italiana al popolo d’Italia, in cui incitavano gli operai all’insurrezione e attaccavano Amilcare Cipriani, ritenuto un impostore, per aver tradito l’ideale della rivoluzione sociale. I paragrafi contro Cipriani furono scritti da Alessandro Marocco con la collaborazione di Caio Zavoli e altri romagnoli.402

Biancani si trovavano a Nizza. Vd. la nota riservata datata a Roma il 16 aprile 1883, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 14 Ministero dell’Interno, Corrispondenza 1883. 401 ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 14, Ministero dell’Interno, Corrispondenza, 1883. Vd. anche Zavoli Caio, in DBAI, vol. II, p 642. Nella scheda biografica dello Zavoli, redatta dalla prefettura di Forlì il 26 giugno 1901, si assicura che il riminese sarebbe stato espulso dalla Francia nei primi del 1885, anche se non si seppe se l’espulsione fu eseguita. Vd. ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio. Sulla contestazione al Costa vd. R. ZANGHERI, op. cit., p. 149; P. C. MASINI, op. cit., p. 186. Secondo un articolo pubblicato nel giornale napoletano «Humanitas», che a distanza di quattro anni si riferiva a quel congresso, Caio Zavoli sarebbe stato espulso un giorno dopo l’attacco al Costa, mentre Emilio Covelli, che partecipò anche lui alle accuse anarchiche contro l’imolese, dovette scappare dalla Francia perché perseguitato dalla polizia dei Brousse e Joffrin, «amicissimi del Costa e rinegati come lui». Vd. Ragioniamo, in «Humanitas», Napoli, a. I, n. 18, 17 luglio 1887. 402 Vd. Zavoli Caio, in DBAI, vol. II, p. 642; Pini Vittorio, in DBAI, vol. II, pp. 354-355; Parmeggiani Luigi, in DBAI, vol. II, p. 297. In quest’ultima biografia si sostiene che anche Gaetano Zirardini avrebbe fatto parte del gruppo individualista, cosa che però ci sembra molto improbabile dato il rapporto con Costa e il suo ruolo nel PSRR. Vd. anche E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, pp. 574, 587 e 642. Secondo un rapporto di Virgilio – spia della polizia italiana infiltrato fra gli anarchici esuli a Londra agli inizi del XX secolo –, datato a Londra il 25 ottobre 1902, Zavoli avrebbe parlato a lungo con Malatesta, raccontandogli dettagli della sua vita e come venticinque anni fa aveva incontrato Pini, Parmigiani, Rocco e De Martis a Parigi. Vd. ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio.

164 Anche Antonio Biancani si rifugiò a Parigi dopo un breve soggiorno a Genova, in seguito agli avvenimenti del marzo 1883 a Roma.403 Dalla capitale francese aveva tentato d’iniziare una polemica con i socialisti costiani sulle colonne de «Il Messaggero» Roma. Il cesenate Alfredo Turci gli rispose inviando una lettera a «Il Comune» di Ravenna nel febbraio 1884, consigliandogli di coprire il suo «nome macchiato» e di farsi dimenticare, la quale però non fu pubblicata sul giornale ravennate, probabilmente su consiglio di Costa e in consonanza con la politica dei socialisti rivoluzionari di evitare le polemiche con gli anarchici.404 Anche il ravennate Giovanni Zirardini era a Parigi in questo periodo, dopo aver abbandonato l’Italia in seguito al suo arresto al congresso del PSRR di Ravenna. Il suo soggiorno parigino, comunque, non fu stabile e rientrò in Italia diverse volte. Di fatto, gran parte del 1884, se non tutto, lo passò a Ravenna. Nel gennaio fu in carcere per alcuni giorni insieme a altri dieci redattori de «Il Sole dell’Avvenire», condannati per reato di stampa. Nell’aprile Andrea Costa gli inviò una busta attraverso il fratello Claudio e nel maggio quest'ultimo comunicava a Costa che «Gianetto» aveva confermato che la circolare anarchica L’Urlo della Canaglia – che attaccava Costa e che era stata distribuita a Ravenna – veniva da Forlì. Infine, Giovanni partecipò anche al II Congresso del PSRR che si tenne a Forlì nel luglio. Nel febbraio 1885 però era già a Parigi e partecipò ai funerali dello scrittore anarchico ed ex comunardo Jules Vallès assieme a Carlo Monticelli. Fu proprio in questi anni che Giovanni Zirardini ritornò a militare fra le file anarchiche, anche se qualche anno dopo si riavvicinerà ai socialisti rivoluzionari, mantenendo però una forte simpatia per l’anarchismo.405 Nel dicembre 1885 scrisse a Costa da Parigi e oltre a fargli dei complimenti – «tu sei uno dei Garibaldi dell’avvenire» –, enfatizzava la necessità dei socialisti di restare uniti senza distinzione di scuole e

403Secondo le comunicazione del Ministero degli Affari Esteri al Ministero dell’Interno, già nel maggio Biancani aveva raggiunto la capitale francese. Vd. ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 14 Ministero dell’Interno, Corrispondenza 1883. 404 Vd. la lettera di Claudio Zirardini a Costa, datata a Ravenna il 9 febbraio 1884, pubblicata in Carteggio C. Zirardini – A. Costa, cit., pp. 628-629, e anche la nota apparsa su «Il Comune» riguardante la lettera del Turci, Corrispondenze, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 19, 16-17 febbraio 1884. 405 Cfr. Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; Monticelli Carlo, in DBAI, vol. II, p. 213; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 413; Cose locali, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 12 (23-24 gennaio) e n. 13 (26-27 gennaio 1884); lettera di Andrea Costa a Claudio Zirardini, Roma, 7 aprile 1884, e lettera di Claudio Zirardini a Costa, [Ravenna] 13 maggio 1884, entrambe pubblicate in Carteggio C. Zirardini – A. Costa, cit., pp. 630-632. Secondo Cardellini, Giovanni raggiungerà suo fratello Gaetano a Parigi, che vi si era stabilito alla fine di gennaio 1884, «con la speranza di un buon lavoro». Gaetano fece riferimento a suo fratello Giovanni in una lettera del 1885 scritta da Parigi a Costa. Vd. F. CARDELLINI, op. cit., pp. 47.

165 chiudeva dicendo: «come anarchico ti saluto, ti voglio bene e ti stimo, vivi lungo tempo per la rivoluzione sociale […] sono per la vita il tuo compagno».406 Molti sovversivi di diversi paesi si recarono a Parigi in questi anni, specie provenienti dalla Spagna, dalla Russia e dall’Italia, i quali, insieme ai reduci della Nuova Caledonia, dettero una certa aria di «vivacità rivoluzionaria» all’urbe francese. Questa nuova caratteristica parigina ebbe come conseguenza l’aumento della sorveglianza dalla polizia francese sui rivoluzionari, ma anche l’intervento di agenti stranieri, questione che si potenziò dopo l’attentato del marzo 1881 a San Pietroburgo che vide la morte dello Zar.407 Forse questa fu una delle ragioni per cui i rivoluzionari italiani iniziarono a cercare altre vie per l’esilio. Nell’agosto 1884 molti anarchici, ma anche socialisti rivoluzionari, accorsero ad assistere i colerosi di Napoli, tra di essi Malatesta, Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi. Ma la situazione giudiziaria di Malatesta lo costrinse a cercare rifugio all’estero. Nel settembre 1884 fu promulgata la prima sentenza contro i firmatari del manifesto di solidarietà con i processati a Roma, a cui abbiamo già accennato, fatto che persuade i Pezzi e il Natta a fuggire all’estero. Il 21 novembre lasciarono Firenze in direzione di Marsiglia, dove incontrarono Malatesta, scappato un paio di settimane prima e il giorno 23 s’imbarcarono per l’Argentina. Con loro già oltreoceano, il 13 febbraio 1885 la Corte d’Assise di Firenze confermò la sentenza contro Pezzi e gli altri, pena alla quale il 30 luglio la stessa Corte aggiunse altri ventitré mesi e 1400 lire contro il ravennate, sempre per reato di stampa.408 Nel frattempo, gli anarchici continuavano a sostenere le polemiche con i socialisti rivoluzionari. Dopo lo scontro del gennaio 1884 fra Malatesta e Costa, rimase fra gli anarchici l’idea di esigere le dimissioni del deputato socialista dal parlamento per lasciare il posto ad Amilcare Cipriani. La proposta fu formalizzata dal circolo anarchico rivoluzionario di Forlimpopoli nel marzo 1884 e sostenuta da «La Questione Sociale» di Firenze, aderendone molti circoli e sezioni della Romagna, di tutt’Italia e anche da Alessandria d'Egitto e da Barcellona.409 Durante quell’anno, Francesco Pezzi «fu il primo

406Lettera di Giovanni Zirardini a Costa, Parigi, 4 dicembre 1885, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 4, fasc. 614. 407 G. BERTI, op. cit., pp. 85-86. 408 Vd. ACS, CPC, b. 3920, fasc, Pezzi Francesco; Minguzzi Luisa, in DBAI, vol. II, p. 189; Pezzi Francesco”, in DBAI, vol. II, p. 341; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 113. Vd. anche le lettere di Arturo Mazzanti a Tullo [Farina], datate a Firenze il 22 e 23 novembre 1884, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 3, fasc. 499 e 500 rispettivamente. 409 P. C. MASINI, op. cit., pp. 213-214. A Barcellona si trovava Fortunato Serantoni, da dove aveva scritto a Francesco Pezzi nell’agosto 1883 inviandogli il proprio indirizzo. Vd. ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 14

166 a caldeggiare nelle due provincie di Romagna l’elezione di Amilcare Cipriani coadiuvato dall’altro anarchico Mazzanti Arturo».410 La candidatura Cipriani, a causa della campagna spinta dai forlimpopolesi, fu discussa anche al III Congresso del PSRR, tenuto a Forlì il 20 luglio 1884. Di fronte alla presenza di sessantun delegati e tre anarchici romagnoli ammessi con solo voto consultivo, Giovanni Zirardini con suo fratello Claudio e altri, argomentarono contro la candidatura di Cipriani nel collegio di Ravenna e difesero Costa dagli attacchi degli anarchici. Secondo Cappellini propose di portare la candidatura Cipriani a Forlì, poiché lì aveva ottenuto un buon risultato nelle elezioni del 1882, mozione che fu in seguito approvata. Inoltre, il congresso decise di cambiare il nome del partito – da Romagnolo a Italiano –, di sostenere le posizioni socialiste nel prossimo congresso del Fascio della Democrazia, di utilizzare bandiere verdi invece di quelle rosse per sottrarsi alle persecuzioni della polizia e, infine, di adottare «Il Comune» come organo ufficiale del partito.411 Importante anche per i socialisti reggiani fu questo congresso, poiché avendovi partecipato divisi fra collettivisti e «uno sparuto gruppo anarchico», decisero di non aderire al PSRI. Nonostante ciò, i socialisti di Reggio Emilia si fecero coinvolgere anche loro nella campagna pro Amilcare Cipriani. Angelo Canovi scriveva ad Andrea Costa nel novembre invitandolo a partecipare ad una riunione al riguardo, poiché alcuni compagni avevano manifestato dei dubbi sulla candidatura del riminese. Nonostante la non adesione reggiana al partito costiano, il rapporto fra Canovi e l’imolese sembrava essere più che cordiale. Di fatto, il reggiano scriveva a Costa: «la tua venuta ci colmerebbe di gioia e a quest’ora e già disposto in modo che ti troverai come in famiglia».412 La decisione sulla candidatura Cipriani risulterà lo snodo per l’incontro delle diverse tendenze politiche dell’estrema sinistra romagnola. Gli anarchici Germanico Piselli e Romeo Mingozzi, insieme ai costiani Ludovico Nabruzzi, Claudio e Gaetano Zirardini e il repubblicano Caio Renzetti, saranno fra i più importanti promotori della

Ministero dell’Interno, Corrispondenza 1883.

410 ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco. 411Atti del Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 44, 26-27 luglio 1884. Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 185-189; V. EVANGELISTI e E. ZUCCHINI, op. cit., pp. 121-124; R. ZANGHERI, op. cit., pp. 181-182. Nella commissione di corrispondenza furono eletti Sesto Fortuzzi, Secondo Cappellini e Rito Balducci, tre socialisti rivoluzionari che pure andranno in Argentina. Vd. anche Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723. 412Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307 Vd. anche la lettera di Canovi a Costa, Reggio Emilia, 11 novembre 1884, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 34, fasc. 394. La lettera era firmata anche da alcune società operaie e politiche locali.

167 candidatura del riminese. Di fatto, Cipriani risulterà eletto alle elezioni politiche del 1886, le quali però saranno annullate. Nonostante la rielezione per successive tre volte, i risultati non saranno mai riconosciuti, ma gli sarà concessa un’amnistia che gli permetterà di uscire dal carcere di Portolongone nel luglio 1888. In libertà, fece un viaggio da Milano a Rimini che fu inteso come un vero trionfo della coalizione delle forze della sinistra. Il successo della candidatura di Cipriani, infatti, rinvigorì le forze degli anarchici in Romagna, i suoi maggiori promotori e in qualche modo contribuì alla crisi del PSRI, che ebbe in Costa non più che un tiepido sostenitore della causa Cipriani.413 Anche gli anarchici ebbero il loro congresso, il primo dall’incontro a Chiasso nel dicembre 1880. Raccogliendo l’idea dei socialisti veneziani, che avevano lanciato la proposta di un convegno di unificazione di tutte le correnti socialiste, gli anarchici romagnoli guidati da Mingozzi presero l’iniziativa e convocarono un congresso che ebbe una chiara impronta intransigente. Con delegati emiliani e romagnoli, toscani, marchigiani, umbri e veneti – alcuni dei quali rappresentarono anche circoli di Piemonte, Lombardia, Roma, Liguria, Napoli, Puglia e Sicilia – l’assemblea riunita segretamente il 15 marzo 1885 a Forlì, decise di costituire la Branca Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, di stabilire Ravenna la sede della commissione di corrispondenza e scelsero il giornale «L’Intransigente» di Venezia come organo dell’associazione – il quale però sarà sostituito in seguito da «Il Paria» di Ancona. La linea che s’impose al congresso fu quella del Mingozzi, che sosteneva la necessità di combattere il partito del Costa rivolgendo la propaganda anarchica verso i suoi militanti e proponeva inoltre d'inserirsi nelle organizzazioni operaie e dare un carattere insurrezionale agli scioperi. Tuttavia, c’era fra gli anarchici un gruppo capeggiato dai romani che rifiutava questa linea e che invece si richiamava alla propaganda del fatto e dopo il congresso, anche il gruppo antiorganizzatore napoletano raccolto attorno al giornale «Il Piccone», criticò il tentativo di Forlì e lo stesso Mingozzi. L’iniziativa, così, non ebbe lungo respiro e dopo qualche mese la Branca Italiana dell’Internazionale esisterà solo di nome.414

413 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., pp. 197-201; N. PERNICONE, op. cit., pp. 229-230; E. GIANNI, op. cit., pp. 189. Sul riminese, Masini sostiene: «Il nome di Cipriani realizzava il miracolo di una difficile coalizione, dai radicali agli anarchici, associando ed esaltando i sentimenti antidinastici, anticlericali e antistatali che fermentavano nel fondo dell’anima popolare». Vd. P. C. MASINI, op. cit., p. 201. Vd. anche Mingozzi Romeo, in DBAI, vol. II, p. 187. La terza serie del giornale Il Lupo, fondato nel 1885 a Ravenna da Claudio Zirardini in sostituzione de «Il Comune», fece parte della campagna elettorale di Cipriani e vi collaborarono sia Piselli che Mingozzi. Vd. Carteggio C. Zirardini – A. Costa, cit., pp. 625. 414 Cfr. G. MANACORDA, op. cit., p. 197-199; N. PERNICONE, op. cit., pp. 214-216; P. C. MASINI, op. cit., pp. 218-219. Su un rapporto del congresso, vd. Congresso internazionale italiano, in «Il Paria», Ancona, a. 1, n. 1, 26

168 Né Malatesta né Merlino parteciparono al congresso, entrambi fuggiti dalla sentenza per i fatti di Roma. Mentre Malatesta partì per Buenos Aires «nascosto in una cassa di macchine da cucire», insieme ai Pezzi e Natta, come avevamo detto, Merlino si diresse a Londra, dove inizierà il suo studio del marxismo collaborando sempre con i giornali anarchici. Malgrado queste assenze, dal 1885 fioriscono diversi gruppi anarchici in Italia, con scarso coordinamento tra loro ma molto attivi localmente. Compaiono in scena militanti come Luigi Galleani e Pietro Gori e anche la stampa ebbe una ripresa. All’uscita de «Il Paria» di Ancona nel maggio 1885, si aggiunse nell’agosto il reggiano «Lo Scamiciato», che si presentò come continuità della serie socialista cessata nei primi mesi del 1884 ma con un indirizzo esplicitamente comunista anarchico e di cui Angelo Canovi fu uno dei redattori. In seguito apparvero «Il Demolitore»di Napoli, «Sempre Avanti!» di Livorno, «Combattiamo!» di Genova e «L’Ottantanove» di Venezia.415 Come parte di questa ripresa e in qualche modo facendosi interprete delle risoluzioni del congresso di Forlì, iniziava a prendere forma in Romagna quello che sarà conosciuto come l’anarco-possibilismo. Il suo principale promotore fu il ravennate Germanico Piselli, ormai stabilito a Forlì. A darci un’idea di cosa fosse l’anarco- possibilismo sta il fatto che Piselli partecipò al IV congresso del PSRR (II del PSRI), tenuto il 25 aprile 1886 a Mantova, dirigendo le discussioni. Proposta ancora una volta la candidatura di Cipriani alle elezioni politiche, Piselli argomentò in favore della sua presentazione nel collegio di Forlì, proposta che fu approvata dal congresso. Gli anarchici, invece, decisero di portare la propria candidatura anche a Ravenna, cercando di sottrarre la prevalenza a Costa. Come abbiamo già menzionato, Cipriani risultò eletto ma le elezioni furono annullate, dopodiché si attivò una campagna che coinvolse dagli anarchici alle forze democratico repubblicane, alleanza che fece più acuta la crisi di cui soffriva il partito socialista rivoluzionario. A guidare la campagna fu la tendenza capeggiata da Piselli, che fino ad allora coesisteva all’interno del PSRR.416 Piselli, che era membro della Federazione Forlivese del partito costiano, iniziò la sua ascesa politica approfittando della crisi dei socialisti rivoluzionari e nel novembre 1886 fondò il giornale «La Rivendicazione» a Forlì, divenendo uno dei militanti più noti della provincia. La sua proposta politica, che si muoveva ambiguamente fra continuità e aprile 1885. 415 P. C. MASINI, op. cit., pp. 219-223. Su «Lo Scamiciato» d’indirizzo comunista anarchico, vd. L. BETTINI, op. cit., pp. 42-43. Vd. anche Lo Scamiciato 1882-1884, Reggio Emilia, Tecnostampa, 1992, p. XXX. 416 E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, pp. 185-189, 391. Sul congresso del PSR di Mantova e la crisi del partito, vd. G. MANACORDA, op. cit., pp. 210-220.

169 discontinuità dell’indirizzo costiano, si espresse nelle colonne del giornale. Pubblicò alcuni articoli del Costa, ma allo stesso tempo sostenne un atteggiamento di rottura con i repubblicani, in contrapposizione all’imolese, interpretando in qualche modo la sensibilità dei socialisti rivoluzionari forlivesi. Contribuì al suo successo anche la resurrezione della società cooperativa Associazione Generale degli Operai Braccianti di Forlì (AGOBF) – che era stata fondata da Mingozzi nel 1884 riproducendo l’esempio dell’associazione ravennate –, della quale fu artefice verso la fine del 1886. Incoraggiato dal suo nuovo «status» fra i socialisti di Forlì, Piselli iniziò a polemizzare in un tono più duro contro Costa dopo la quarta elezione suppletiva di Cipriani e socialisti rivoluzionari della federazione forlivese, fra essi Cappellini e Fortuzzi, seppur in disaccordo con l’atteggiamento del ravennate, preferirono sottrarsi alle polemiche e non contestare il suo indirizzo. Secondo Cappellini, in una lettera indirizzata a Costa, diceva di lui: «è un buon compagno ma è assolutista, non chiede né vuole consigli».417 La strategia di Piselli ebbe i suoi frutti, malgrado o grazie al fallimento dei socialisti rivoluzionari nelle elezioni amministrative del luglio 1887 a Forlì, dopo che, con liste separate, i repubblicani conquistarono la stragrande maggioranza dei seggi comunali. Piselli, che si era proposto d’includere i gruppi anarchici Carlo Pisacane e Amilcare Cipriani nella Federazione forlivese, in una riunione di detta federazione del 8 settembre 1887, riuscì a far eleggere una nuova commissione, capeggiata da lui stesso e composta da altri otto membri, tra cui Achille Sendi, esponente del circolo Pisacane e Amadio Ghetti, del circolo Cipriani. La mossa finale avvenne il 20 ottobre, quando la federazione approvò a maggioranza l’adesione al comunismo anarchico e, richiamandosi all’Internazionale, decise di cambiare il proprio nome in Federazione Internazionale Forlivese. «In un solo colpo il PSR perdeva l’intera organizzazione nella seconda provincia romagnola, relegandosi così nella sola ridotta ravennate».418 Amadio Ghetti, fonditore di metalli che aveva dato vita con il padre Pellegrino e il fratello Giuseppe al circolo Amilcare Cipriani nel febbraio 1885, sarà un altro anarchico che partirà per l’Argentina.419

417 E. GIANNI, op. cit., pp. 190-191. 418 Ivi., pp. 192-194. Vd. anche Organizzazione, in «La Rivendicazione», Forlì, a. II, n. 47, 10 settembre 1887. Dopo questa sconfitta alcuni socialisti rivoluzionari forlivesi, come Sesto Fortuzzi e Secondo Cappellini, partiranno per l’Argentina seguendo l’esempio di alcuni ravennati come Rito Balducci, Antonio Petrignani e altri, partecipando oltreoceano alle vicende del movimento operaio locale. Vd. E. GIANNI, op. cit., p. 193 419 Amadio Ghetti, indicato talvolta come Amadeo e Amedeo, nacque a Forlì il 16 febbraio 1865. Partecipò come delegato al II (1883) e al III (1884) congresso PSRR. I membri del circolo Cipriani, che fondò con il padre e il fratello, faceva propaganda soprattutto fra gli operai della fonderia del sobborgo Mazzini nella quale Amadio lavorava. Cfr. Ghetti Amadio, in DBAI, vol. I, p. 692; E. GIANNI, op. cit., p. 358. Vd. anche ASFo,

170 La linea di condotta di Piselli, anche se mantenne una critica permanente al moderatismo di Costa, ebbe come controparte i suoi rapporti clientelari con alcune autorità politiche, in particolare con il deputato Alessandro Fortis, dai quali ricavò mezzi finanziari per la cooperativa bracciantile che dirigeva. Forse non fu un caso che l’apparente intransigenza di Piselli servisse alla strategia dei radicali di avvicinarsi ai democratici e allargare le basi del partito. Inoltre, il ravennate collaborò con la campagna elettorale di Fortis in modo velato. Anche nel comune, dove lavorava, Piselli aveva stretto amicizia con diverse personalità della politica locale. È vero che il ravennate s’impegnò nella ricerca di finanziamenti e lavori per l’AGOBF viaggiando spesso anche a Bologna e Roma, ma è altrettanto vero che i suoi metodi non erano affatto trasparenti. Nel 1888 la società bracciantile forlivese ricevette 5.000 lire dal re e 2.000 da Crispi, dopo che Piselli promise di mantenere un atteggiamento moderato a proposito della visita regia a Forlì.420 Il successo che ebbe Piselli negli ultimi anni della decade dell’80, si dovette soprattutto al discorso massimalista con il quale interpretava il sentimento contestatario dei socialisti forlivesi, discorso che però si riduceva quasi esclusivamente alla critica del Costa. Intanto, continuava a sostenere la necessità dell'unione delle tendenze anarchiche e socialiste. Così almeno spiegava a Celso Ceretti, il cui giornale, «Il Sole dell’Avvenire» di Mirandola, aveva pubblicato alcune lettere critiche contro «La Rivendicazione». Piselli rispondeva: «Io sono e sarò sempre comunista anarchico, non sdegnando però di discutere ed accettare il collettivismo se ciò fosse necessario per conseguire il fine ultimo. Ecco ciò che scrivo e che scriverò; ecco ciò che sono e che sarò». Il ravennate si dichiarava sostenitore della fusione delle scuole comunista anarchica e collettivista e chiudeva la lettera domandando spiegazioni al giornale modenese su quale fosse il loro schieramento in tutto ciò.421 In ogni caso, nel complesso del movimento anarchico italiano le posizioni di Piselli e «La Rivendicazione» non erano affatto maggioritarie. A quest’indirizzo, di tipo eclettico e, nonostante tutto, vicino alle tendenze costiane, si oppose una linea «assolutamente intransigente e tendenzialmente individualista», rappresentata dal Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68. Il padre Pellegrino, che «quasi sempre firma i manifesti» sarà processato per reato di stampa ma assolto con non luogo a procedere nell’aprile 1887. Vd. ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68 . 420 Cfr. Piselli Germanico, in DBAI, vol. II, p. 359; E. GIANNI, op. cit., p. 161. 421La lettera a Ceretti, datata il 11 settembre 1888, è stata pubblicata in Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, pp. 96-97. Sulla critica a Costa, vd. Ritiratevi!, in «La Rivendicazione», Forlì, a. III, n. 9, 3 marzo 1888, citato in E. GIANNI, op. cit., p. 195, articolo con il quale chiedeva all’imolese di dimettersi dal parlamento.

171 giornale anconetano «Il Paria» e dal napoletano «Humanitas».422 In un articolo del luglio 1887, di fatto, criticando aspramente Costa, dopo che egli aveva sostenuto che repubblicani e socialisti erano divisi solo da semplici parole e perciò lo dichiarava non più un socialista, interpellava il giornale di Piselli: «In tutto questo tafferuglio ciò che ci preme è il silenzio della Rivendicazione. Perciò le domandiamo: Senti o non senti? credi anche tu che fra socialisti e repubblicani è solo differenze di parole? Su, svegliati e parla».423 A Reggio Emilia, invece, gli anarchici erano ancora legati ai socialisti, seppur i dissidi esistessero. Come abbiamo già accennato, nell’agosto 1885 uscì il giornale «Lo Scamiciato» con Angelo Canovi come uno dei suoi principali animatori. Durante quell’anno, oltre alla fondazione del giornale, il reggiano fece un altro tentativo di staccarsi dai socialisti legalitari costituendo un circolo anarchico di cui la polizia lo riteneva il capo, definendolo come «banditore indefesso delle teorie anarchiche». Come tale, nella notte del 20 ottobre affisse ai muri di Reggio un volantino che chiamava i siciliani all’insurrezione. Il manifesto era firmato dal Partito Anarchico Internazionale, con cui il Comitato rivoluzionario il Canovi era in contatto.424 Tuttavia, la «precarietà» del gruppo anarchico della città, li obbligava a restare ancora uniti ai socialisti. Di fatto, nel gennaio 1886 Canovi organizzò con Camillo Prampolini una conferenza di Costa a Reggio Emilia nella quale partecipò anche Luigi Musini. La successiva sconfitta elettorale però accelerò lo scontro fra anarchici e «collettivisti», anche se ancora nel febbraio 1887 Canovi e Prampolini erano segnalati dalla polizia come i capi del Circolo di Propaganda Socialista, sorto un mese prima. Ormai cessato definitivamente «Lo Scamiciato», Canovi si adoperò per ridare forza alla propaganda anarchica diffondendo dei manifesti. Nella notte fra il 17 e il 18 maggio 1887 fu sorpreso ad affiggere dei volantini commemorativi della Comune di Parigi, ma riuscì a sottrarsi all’arresto e nell’ottobre divulgò il manifesto “Parole di un contadino”, estratto da «Il Ciclone» – giornale individualista che gli anarchici italiani di Parigi riuscirono a pubblicare in un solo numero. Sul piano organizzativo, nell’agosto tentò di ricostituire il gruppo anarchico con il nome de Gli Insorti, ma il tentativo non ebbe successo.425

422 E. SANTARELLI, op. cit., p. 73. 423 Ragioniamo, in «Humanitas», Napoli, a. I, n. 18, 17 luglio 1887. 424 Cfr. Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, p. 70; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307. 425 Cfr. L. MUSINI, Da Garibaldi al socialismo. Memorie e cronache per gli anni dal 1858 al 1890, Milano, Edizioni Avanti!, 1961, p. 273; Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, pp. 35, 72; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307.

172 In Romagna, invece, l’attività anarchica ancora alla fine degli anni ’80 era piuttosto ambigua. Almeno quella a cui faceva capo Germanico Piselli. Gli anarco- possibilisti parteciparono ai convegni che si ebbero nel 1889 con lo scopo di ricostituire il disgregato partito del Costa. In quello tenuto a Castelbolognese il 22 agosto, Piselli fu nominato nella commissione per redigere il programma del PSR, insieme a Gaetano Zirardini e altri socialisti rivoluzionari come Alessandro Balducci, che collaborava con «La Rivendicazione» e sul quale Piselli aveva una certa influenza. Il programma, diviso in un «massimo» e un «minimo», si mostrava grandiloquente e rivoluzionario nel primo, ma si riduceva alla politica della conquista dei comuni nel secondo. Importante fu anche il convegno tenuto due mesi prima a Forlì, nel quale gli anarco-possibilisti riuscirono a includere due esponenti propri nella commissione di corrispondenza. Entrambi i fatti ci fanno capire l’importanza di questa corrente nella ricostruzione del socialismo rivoluzionario. Non a caso, Piselli si fece eleggere dal convegno forlivese come delegato ai congressi internazionali che si dovevano tenere a Parigi nel luglio. Con il mandato di unità per la ricostruzione dell’Internazionale, fra i cinque nominati ci furono anche Costa e Cipriani.426 Nella capitale francese, il 14 luglio iniziarono i due congressi internazionali: uno nominato «marxista» – dal quale nacque la Seconda Internazionale – e l'altro chiamato «possibilista». Qualche giorno prima, Costa e Cipriani si erano adoperati per riunirli in una sola adunanza, ma il loro tentativo non ebbe successo. Così, i rappresentanti italiani, fra i quali si contarono anche due toscani, gli anarchici Francesco Saverio Merlino ed Ettore Molinari e l’operaio Giuseppe Croce, si divisero per partecipare a entrambe le assemblee, ma senza intervenire alle discussioni. Merlino partecipò a entrambi, come fece anche Giovanni Zirardini seppur come spettatore, mentre Cipriani e Piselli assistettero solo a quello «marxista». Senza avere avuto una partecipazione di sorta oltre al fallito tentativo unitario, uno dei fatti polemici che ci resta dalla presenza italiana, fu che Piselli ricevette finanziamento dal deputato Fortis per assistere ai congressi internazionali e ci fa capire l’importanza che aveva il loro rapporto di clientelismo nell’attività politica del ravennate.427

426 E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit. pp. 200-207. 427 Cfr. R. ZANGHERI, op. cit., pp. 438-439; G. BERTI, op. cit., p. 146; Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; Piselli Germanico, in DBAI, vol. II, p. 359. Per due rapporti di Piselli sui congressi vd. Il mandato dei delegati italiani ai congressi di Parigi e Congressi socialisti Internazionale di Parigi, in «La Rivendicazione», Forlì, a. IV, n. 29, 27 luglio 1889.

173 Giovanni Zirardini, dopo aver partecipato agli incontri di Parigi, con la moglie e i figli partì da Ravenna alla volta dell’Argentina. Il 3 novembre s’imbarcarono da Genova per Buenos Aires con la nave Nord America. Così scrisse a Piselli un giorno prima della partenza. Giovanni affermava che sarebbe andato all’incontro di Rito Balducci e altri compagni e salutando Piselli affettuosamente, gli augurava di «rimanere a lungo sempre in mezzo alla forte falange per il bene dei santi principi nostri».428 In questo periodo anche Amadio Ghetti partì per l’Argentina e, anche se non è chiara la data precisa della sua partenza, è databile nell’inverno 1888-1889.429 Finalmente, pure Vittorino Valbonesi lasciò Forlimpopoli per dirigersi verso le terre d’oltreoceano, anche se il suo soggiorno sudamericano fu piuttosto breve. Il 1º maggio 1889 partì per l’Argentina e già nell’agosto dello stesso anno era segnalato dalla prefettura come ritornato alla città d’origine.430 Mentre alcuni anarchici partivano, altri rientravano in Italia. Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi lasciarono l’Argentina nel settembre 1889, due mesi dopo Errico Malatesta, per recarsi a Nizza, dove il campano aveva fondato il giornale «L’Associazione» e nell’ottobre partirono insieme a egli e altri per Londra, portando con sé anche il giornale. Essendo stati beneficiati dall’amnistia del 1887, Francesco rientrò a Firenze nel febbraio 1890 e Luisa fece lo stesso nel gennaio dell’anno dopo.431 Pure Caio Zavoli rientrò in Italia, stabilendosi a Rimini nel settembre 1890. Dopo un soggiorno all’estero che lo portò a Parigi, Londra e Marsiglia, avendo tenuto «rapporti intimi con rifugiati italiani e coi più noti socialisti anarchici», a Rimini si attivò per unificare le forze anarchiche in una sola associazione. Appena rientrato, il 19 novembre fu condannato dal Tribunale di Forlì a un mese di carcere per oltraggio. Il suo soggiorno nella città di nascita però non durerà a lungo e nell’ottobre dell’anno successivo partirà per Londra fermandosi prima a Nizza.432

428Dal Nord America, in «La Rivendicazione», Forlì, a. IV, n. 43, 10.11.1889. La nota parlava di Gianetto come un anarchico intransigente. Vd. anche Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; E. GIANNI, op. cit., p. 413. 429 Cfr. E. GIANNI, op. cit., p. 358; Ghetti Amadio, in DBAI, vol. I, p. 692. Secondo il cenno biografico del DBA, Ghetti sarebbe partito per l’Argentina il 1° dicembre 1888. 430 ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68. 431 C. BASSI ANGELINI, op. cit., pp. 114-120. Vd. anche ACS, CPC, b. 3920, fasc, Pezzi Francesco; Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 341. Secondo un articolo del giornale «Cronaca Sovversiva» che comunicava la notizia della sua morte, Pezzi avrebbe partecipato al congresso di fondazione della Seconda Internazionale a Parigi. Vd. «Cronaca Sovversiva», Lynn Massachusetts, a. XV, 18 agosto 1917. Da un’altra parte, il giornale «Il Libertario»che dedicava un articolo alla morte della Minguzzi, diceva che durante il 1889 Luisa sarebbe stata a Parigi e Londra, e che avrebbe collaborato all’organizzazione di giornali e circoli rivoluzionari. Vd. La morte di Luisa Pezzi, in «Il Libertario», La Spezia, 16 marzo 1911. 432ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio.

174 La mobilità degli anarchici attraverso le frontiere europee, incluse quelle italiane, causò un particolare episodio che mette di rilievo le tese relazioni che esistevano all'interno del movimento anarchico, particolarmente fra gli anarchici organizzatori e gli individualisti. Durante il 1888 Amilcare Cipriani aveva diffuso un programma per l’Unione dei Popoli Latini, di fronte all’eventuale conflitto fra Italia e Francia, raccogliendo ampi consensi – e anche molti dissensi – in Italia. Intanto, gli individualisti del gruppo parigini, come abbiamo accennato un po’ prima, risposero duramente a Cipriani, infuriati anche dalle accuse di collaboratorazione con la polizia francese. Celso Ceretti, attraverso il giornale mirandolese «Il Sole dell’Avvenire», sostenne le posizioni del riminese, dopodiché i reggiani Pini e Parmeggiani da Parigi si recarono a Mirandola, e il 4 febbraio 1889 aggredirono l’ex garibaldino con un pugnale. Volevano fare lo stesso a Reggio Emilia con Camillo Prampolini, ma scoperti dalla polizia riuscirono a fuggire facendo fuoco e in seguito rifugiandosi in Francia. A Parigi pubblicarono «Il Pugnale», che giustificava l’aggressione a Ceretti e attaccava Merlino e gli organizzatori, specie Germanico Piselli e il suo giornale. Angelo Canovi venne sospettato di essere stato un fiancheggiatore del doppio attentato, ma fu lo stesso Prampolini a smentire la sua partecipazione – dopo che proprio il Canovi glielo aveva chiesto – scrivendo a Ceretti un paio di cartoline. Secondo Prampolini, in un primo momento Canovi decise di giustificare l’azione dei reggiani e, infatti, era stato lui ad avvertire Pini e Parmeggiani dell’arrivo della polizia – ragione che, all’avviso del socialista, sarebbe stata sufficiente per rompere ogni rapporto con gli anarchici –, ma in una cartolina successiva Prampolini sosteneva che i rapporti con Canovi si erano ristabiliti e che anche l’anarchico reggiano condannava l’accaduto. Scriveva Prampolini: «egli – anarchico – è tutto con noi a protestare contro quei due miserabili. Meglio così».433 In mezzo alle polemiche, nel frattempo, gli anarchici romagnoli continuavano a organizzarsi. Secondo il prefetto di Forlì, verso il 1889 tutti i socialisti della provincia – tranne alcuni pochi legalitari –, che si contavano in un numero approssimativo di duemila, appartenevano al «partito anarchico», e anche se tendevano alla crescita, si riteneva che non rappresentassero un pericolo poiché avevano un’organizzazione imperfetta e non avevano i mezzi necessari. Germanico Piselli era riconosciuto come uno

433 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., pp. 230-231; N. PERNICONE, op. cit., pp. 240-241; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307. Le cartoline di Camillo Prampolini a Celso Ceretti, datate il 21 febbraio e 26 marzo entrambe a Reggio Emilia, sono riprodotte in Bakunin e la Prima Internazionale in Emilia, cit., p. 104. Il giornale genovese «L’89», organo ufficiale della Sezione Latina della Federazione Universale dei Popoli, difenderà Cipriani, Ceretti, Prampolini e Piselli dagli attacchi degli individualisti. Vd. Ivi, p. 48.

175 dei socialisti più influenti, insieme a Temistocle Bondi e Pellegrino Ghetti, padre di Amadio. L’associazione più importante era la Federazione Socialista Forlivese, con circa trecento militanti, della quale facevano parte i Ghetti, Germanico Piselli e Temistocle Bondi, ma si contava anche un Circolo di Studi Sociali. Nell’agosto 1889 nacque il circolo Sempre Avanti, a cui aderirono una trentina di giovani socialisti che erano stati esclusi della Federazione Internazionale, mentre nello stesso periodo Vittorino Valbonesi era segnalato come uno dei principali promotori della Branca Anarchica. Il Sempre Avanti promosse la formazione del circolo giovanile La Comune, il quale si costituirà nel settembre 1890 con una cinquanta di membri con meno di 20 anni. All’inaugurazione della sua bandiera parteciparono circa duecentocinquanta persone da tutta la provincia e anche da Ravenna. Con la presenza di Piselli, ormai il più noto anarchico della provincia, Temistocle Bondi affermava che gli ideali dei giovani non «trovano attuazione in provvedimenti legislativi, ma potranno raggiungersi soltanto colla violenza». Sulla situazione degli operai e sulla «necessità di uscirne ad ogni costo» parlò anche l’operaio Antonio Giusti, un altro forlivese che andrà in Sudamerica.434 Secondo i documenti della Prefettura di Forlì, nel marzo 1889 a Rimini si contavano il gruppo Avanguardia Internazionale, la Lega Anarchica e inoltre un giornale simpatizzante anarchico locale chiamato «L’Alfabeta», diretto da Pellegrino Bagli. Si segnalano inoltre i noti anarchici residenti a Parigi, Caio Zavoli e Amilcare Cipriani. Lo stesso anno a Forlimpopoli, in un elenco di venti anarchici, era segnalato Vittorino Valbonesi, di cui si asseriva che prendeva parte alle lotte elettorali amministrative. Inoltre, in un elenco di tredici anarchici di Cesena del 1888 circa, si segnalava l’oste Giuseppe Gozzi, un altro romagnolo che lascerà l’Italia per andare in Sudamerica.435 Anche se non esisteva più un’associazione regionale che aggruppasse gli anarchici, ci furono delle occasioni in cui essi si coordinarono in campagne di agitazione. A proposito della visita del deputato repubblicano Felice Cavallotti a Faenza, fissata per il

434Sui profili dei circoli anarchici della provincia e dei suoi militanti, vd. ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68, Partito Socialista. Sull’inaugurazione della bandiera de La Comune, oltre ai documenti conservati nel citato fascicolo, vd. anche Propaganda socialista, in «La Rivendicazione», Forlì, a. V, n. 32, 6 settembre 1890; Forlì, inaugurazione della bandiera del gruppo anarchico «La Comune», in «La Rivendicazione», Forlì, a. V, n. 34, 20 settembre 1890. Antonio Giusti, operaio del gasometro e poi facchino di piazza, nacque a Forlì il 24 maggio 1861 da Vincenzo e Lucia Dell’Agata. Nel gennaio 1882 fu condannato a dieci giorni di carcere e a tre mesi nel marzo 1883, entrambe le volte per ferimento. Vd. ACS, CPC, b. 2463, fasc, Giusti Antonio. Vd. anche Giusti Antonio, in DBAI, vol. I, p. 735. 435 Vd. ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68, Partito socialista. La nota del sotto-prefetto di Rimini è data il 17 marzo 1889, mentre gli elenchi di Forlimpopoli e Cesena non sono datati. Giuseppe Gozzi nacque a Cesena il 19 settembre 1862 da Angelo e Paola Pirazzoni. Nel 1885 era stato condannato a tre anni di carcere per ribellione alle guardie di P. S., ma nel 1887 fu amnistiato. Vd. ACS, CPC, b. 2493, fasc. Gozzi Giuseppe; ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68, Partito socialista.

176 5 ottobre 1890, gli anarchici di quella città e di Forlì iniziarono un’agitazione contro l’onorevole, ritenendolo un diffamatore poiché aveva sostenuto che gli operaisti arrestati a Milano erano collaboratori della polizia. I repubblicani lanciarono un’offensiva contro gli operaisti e gli anarchici, e il 23 settembre comparvero delle scritte sulle mura di Forlì a favore di Cavallotti e la repubblica e contro i socialisti e la monarchia. Gli anarchici risposero alle accuse di «cagnotti della monarchia» lo stesso giorno con un manifesto che sfidava ai repubblicani a uscire dalle ombre, firmato da 18 militanti, tra cui Piselli per la Federazione Socialista, Pellegrino Ghetti per il Circolo Carlo Pisacane di Forlì, Antonio Giusti per il Sempre Avanti, Vittorino Valbonesi per il Circolo Né Dio né Padroni, oltre a dirigenti dei gruppi Ribelli e La Comune. Mentre Cavallotti rimandò la sua visita al giorno 19, l’agitazione si allargava e anarchici di tutta la provincia aderivano. Anzi, anche gli anarchici ravennati decisero di partecipare e inviare un centinaio di compagni a manifestare contro il deputato, cosa che avrebbero fatto anche gli anarchici di Conselice. Anche Forlì organizzò il viaggio degli anarchici a Faenza, sia in treno che in vettura, con a capo Piselli, Giusti e Valbonesi fra altri e secondo il prefetto sarebbero andati armati per «provocare disordini sotto pretesto di fare sfregio al Deputato di Milano». Finalmente, Cavallotti sospese la sua visita a Faenza e la manifestazione non ebbe luogo.436 Anche il 1° maggio 1890 offrì un’occasione per l’agitazione anarchica, ma la giornata fu piuttosto tranquilla nella provincia di Forlì, tranne per il guasto di due linee del telegrafo prodotte da tagli intenzionati. I lavoratori delle principali città del forlivese sospesero il lavoro e i negozi chiusero e qualche conferenza di carattere privato si ebbe presso alcuni circoli operai. A Rimini il 27 aprile era uscito un manifesto diretto agli operai che chiamava all’unione dei lavoratori, dai quali ci si poteva aspettare la propria emancipazione. Era un manifesto generico di tipo operaio più che una dichiarazione di principi di alcune delle correnti socialiste. Tra più di un centinaio di firmatari, c’erano anche quattro lavoratori che negli anni successivi attraverseranno l’oceano: il cordaio Luigi Perazzini, il falegname Luigi Ghinelli, il fabbro Italo Fornari e il macellaio Attilio Zanni.437 Perazzini e Ghinelli, durante lo stesso mese, parteciperanno alla ricostituzione del circolo riminese 18 Marzo, che era stato fondato nel dicembre 1883 e che nella sua 436 Vd. i rapporti della prefettura di Forlì del 23 settembre e 19 ottobre 1890, e il rapporto del Ministro dell’Interno al Prefetto di Ravenna del 16 ottobre in ASFo, Gab. Pref., b. 139, 1890, fasc. 55 Partiti sovversivi. Vd. anche «La Rivendicazione», Forlì, a. V (1890): n. 34 (20 settembre), n. 35 (4 ottobre), supp. al n. 36, (16 ottobre) e n. 38 (1 novembre), 437 ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68, Partito Socialista. Luigi Perazzini, detto «Cavallino», segnalato anche come oste, nacque a Rimini il 27 gennaio 1859 da Giovanni e Geltrude Severi, nell’ottobre 1886 fu condannato dal Tribunale di Forlì a pagare due multe per porto d’armi e per contravvenzione alle leggi sulle concessioni governative. Vd. ACS, CPC, b. 3849, Perazzini Luigi.

177 nuova versione contava su una sessantina di soci. Il circolo, a sua volta, faceva parte della Federazione Socialista riminese.438 Il 30 aprile 1890, invece, un manifesto che chiamava gli operai a insorgere e a respingere coloro che volevano un 1º maggio pacifico, usciva a Forlì, firmato dagli anarchici. Attribuito a Vittorino Valbonesi, il Giudice Istruttore di Forlì ordinò il sequestro del manifesto e lo accusò di «istigazione a delinquere», dato che ormai era considerato il capo dei socialisti anarchici di Forlì, e dopo partì il procedimento penale. In seguito, l’11 novembre, Valbonesi fu uno dei responsabili dell’uscita a Forlì del numero unico «Spartaco», foglio commemorativo dei Martiri di Chicago pubblicato dal circolo Sempre Avanti e pochi giorni dopo la polizia scoprì che il forlimpopolese era anche uno dei destinatari degli stampati anarchici sequestrati a Torino, insieme a Temistocle Biondi e Caio A. Zavoli – probabilmente un figlio del noto internazionalista –, quest’ultimo abitante a Forlì.439 Mentre gli anarchici «intransigenti» provavano a costruire un cammino proprio, senza molto successo, Germanico Piselli e gli anarco-possibilisti continuavano a muoversi fra socialisti legalitari e democratici. Il 21 gennaio 1889, dopo riunirsi con l'appena rientrato Gaetano Zirardini a scopo di ripristinare il Partito Socialista Rivoluzionario, Piselli strinse un patto di pacificazione con i capi repubblicani e, attraverso «La Rivendicazione», si attivò alla ricostruzione del partito costiano. Questo riavvicinamento degli anarco-possibilisti alle forze radicali, ebbe un grande successo a Cesena, dove alle elezioni comunali la lista democratica raggiunse trentadue dei quaranta consiglieri. Sette degli eletti appartenevano alla Federazione Socialista, fra i quali tre erano vicini alle posizioni dell’anarco-possibilismo. Uno di loro era Giuseppe Gozzi. Presto, però, si produsse un conflitto fra i socialisti rivoluzionari e i repubblicani, il quale portò i fratelli Battistini a dimettersi dal consiglio comunale e in seguito i repubblicani riuscirono a cooptare gli anarco-possibilisti, affidando a Gozzi la deputazione dell’annona e nominando Ferdinando Valducci assessore del comune. Piselli provò a intervenire in favore della riappacificazione dei socialisti attraverso una riunione che si tenne a Forlì nella primavera 1890, nella sede del circolo Sempre Avanti ma,

438 ASFo, Gab. Pref., b. 141, 1890, fasc. 69, Partito Socialista. 439 Vd. la corrispondenza della prefettura di Forlì del 1 maggio 1890, ASFo, Gab. Pref., b. 141, 1890, fasc. 69, Partito Socialista. Il manifesto anarchico del 30 aprile 1890 è conservato nello stesso fascicolo.

178 nonostante le sue aspettative, il meeting non raggiunse il suo scopo e, anzi, la tensione fra le parti s’accentò.440 La scissione spinse Valducci e i suoi seguaci a fondare il Fascio Operaio Socialista, il quale si schierò subito con gli anarchici possibilisti. Allora Piselli, che si era avvicinato ai socialisti rivoluzionari, compì una nuova giravolta e, seppur definendosi un socialista rivoluzionario, aderì al congresso socialista antiautoritario di Faenza del 13 ottobre 1890, dal quale nacque la Lega d’Azione Socialista Rivoluzionaria che aveva fra i suoi scopi quello di contrastare il convegno elettorale convocato dal Costa. Tuttavia, Piselli apparve fra i firmatari di un manifesto per la candidatura socialista di Alessandro Balducci, che fu firmato anche da Giuseppe Gozzi e più di un centinaio di persone da tutta la provincia. Pure i fratelli Battistini e Valducci figuravano fra i firmatari. Ad ogni modo, Piselli aveva già fatto saltare l’accordo fra socialisti, anarchici e repubblicani, favorendo con ciò la candidatura dei radicali progressisti e di fatto raccolse voti per Alessandro Fortis, sottosegretario del Ministero dell’Interno, anche se formalmente appoggiava Balducci. Intanto, i socialisti anarchici, in concordanza con la posizione astensionista, avevano distribuito il manifesto Non Votate! firmato da settantatré militanti, tra di essi i noti Malatesta, Saverio Merlino, Amilcare Cipriani, Luigi Galleani e l'antiorganizzatore Paolo Schicchi. Anche a Rimini fu diffuso un manifesto astensionista, datato 22 novembre 1890 e firmato dai «socialisti anarchici di Rimini e circondario». Secondo la polizia, il riminese sarebbe arrivato a proporre l’invasione dei locali di votazione per spaccare le urne, ma poi desistette per deferenza all’avvocato Balducci, che l’aveva difeso di fronte al Tribunale di Forlì.441

440 E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, p. 197, 289-291. Sulla riunione di conciliazione vd. ASFo, Gab. Pref., b. 140, 1890, fasc. 68, Partito Socialista 441 Vd. E. GIANNI, op. cit., p. 235; Piselli Germanico”, in DBA, vol. II, pp. 359-360; “Zavoli Caio”, ACS, CPC, b. 5556. I manifesti riferiti sono conservati trovano in ASFo, Gab. Pref., b. 139, 1890, fasc. 49, Elezioni politiche.

179 2.3. Gli anarchici dell’Emilia e della Romagna dal Congresso di Capolago alla fine del secolo (1891-1900)

Come abbiamo già menzionato, il 13 ottobre 1890 si tenne il congresso dei socialisti antiautoritari romagnoli a Faenza. Oltre a ricostituire un’organizzazione regionale degli anarchici romagnoli, La Lega d’Azione Socialista Rivoluzionaria Internazionale, si propose di convocare un congresso socialista italiano che andasse oltre a quello «restrittivo» proposto dai ravennati per il 19 ottobre e quindi che riunisse tutte le sezioni socialiste «senza distinzione di scuola o di metodo». La riunione faentina approvò anche la mozione d’astensione alle lotte elettorali e finalmente si lessero una lettera di Malatesta, una di Merlino e inoltre un telegramma di Piselli. Un gruppo di attivisti di Lugano, già ai primi d’ottobre, aveva aderito all’idea degli anarchici ravennati, promossa anche dal Piselli, di convocare a un congresso unitario da tenersi in Svizzera, favorendo con ciò la partecipazione dei socialisti espatriati. Successivamente, il gruppo di Lugani si coordinerà con la commissione romagnola nata a Faenza per l’organizzazione dell’evento. Sicuramente anche gli scritti di Malatesta apparsi su «L’Associazione» – pubblicato prima a Nizza e poi trasferito a Londra – e altri giornali, contribuirono a promuovere il congresso, così come le riunioni che mantenne nella capitale inglese con Cipriani, Merlino e altri anarchici, tra di essi anche Luisa Minguzzi. Di fatto, questi incontri si svolsero a casa sua e aiutarono a fissare posizioni riguardo all'ordine del giorno del congresso. Finalmente, il 4 novembre uscì il manifesto che convocava il congresso a Lugano per la seconda settimana di gennaio, il quale era firmato da alcuni romagnoli, incluso Germanico Piselli.442 La preparazione del congresso non era stata esente da polemiche. Malatesta aveva contestato sia le posizioni degli anarco-possibilisti, sia quelle degli individualisti. Consapevole però dell’influenza di Piselli in Romagna – ma anche oltre i suoi confini –e della sua impronta organizzatrice, aveva provato a recuperarlo su posizioni di chiarezza. Facendo riferimento a questa polemica, Francesco Pezzi scriveva a Domenico Francolini:

442Sul resoconto della riunione, firmato da 37 persone tra cui Antonio Giusti per Forlì, vd. Riunione dei Socialisti Antiautoritari a Faenza, in «La Rivendicazione», Forlì, supp. al n. 36, 16 ottobre 1890. Sull’adesione dei socialisti di Lugano, vd. «La Rivendicazione», Forlì, a. V (1890): Congresso, n. 35, 4 ottobre 1890; Pel prossimo congresso Socialista Italiano, n. 38, 1 novembre 1890. Cfr. P. C. MASINI, op. cit., p. 240; E. GIANNI, op. cit. p. 237; C. BASSI ANGELINI, op. cit., p. 119.

180 «Cosa ne dici tu di quel diavolo del Piselli? Pare incredibile la sua pochissima coerenza!», manifestandosi in attesa della risposta del Malatesta. Inoltre, Pezzi assicurava che si faceva di tutto per inviare al congresso qualche delegato toscano.443 Il congresso socialista si ebbe finalmente a Capolago, nelle vicinanze di Lugano, fra il 4 e il 6 gennaio 1891, con la partecipazione di un’ottantina di delegati che rappresentavano praticamente tutta l’Italia e inoltre gruppi della Corsica, d'Alessandria d’Egitto, di Buenos Aires, di New York e del Brasile – la Colonia socialista sperimentale Cecilia, dello stato brasiliano di Paranà – e diverse città europee, si contano anche alcune associazioni operaiste e socialiste. Oltre alla partecipazione di noti anarchici come Malatesta, Merlino, Pietro Gori e Amilcare Cipriani, ci fu una larga rappresentanza della Romagna capeggiata da Piselli. Luisa Minguzzi partecipò come rappresentante di alcuni gruppi di espatriati. L’idea di un congresso che rappresentasse tutte le tendenze socialiste antiautoritarie si realizzò con la presenza delle tre grandi correnti dell’anarchismo italiano d’allora. Furono presenti la tendenza individualista antiorganizzatrice che propugnava la «propaganda del fatto»; quella eclettica degli anarco-possibilisti rappresentata da Piselli, che cercava l’avvicinamento ai socialisti rivoluzionari di Costa; e infine quella organizzatrice di Malatesta e Merlino, che prevalse nella sintesi. L’assemblea discusse sui rapporti con i socialisti del Costa, rifiutando ogni partecipazione alle elezioni e pronunciandosi a favore delle agitazioni antiparlamentarie, questione sulla quale posero le loro riserve i rappresentanti del Fascio di Cesena e lo stesso Piselli. Quest’ultimo propose, invece, che ogni gruppo si pronunciasse su questo punto in accordo con la propria realtà locali. Un’importante decisione presa dal congresso, fu quella di partecipare ai movimenti operai per fare agitazione dei principi e di cogliere il 1º maggio con quel proposito, per cui si propose di dichiarare uno sciopero generale. Gli anarchici, infine, deliberarono di fondare un giornale a Roma, partecipare al congresso socialista per difendere la tattica rivoluzionaria e costituire la Federazione Italiana del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario.444

443 E. SANTARELLI, op. cit., p. 80. 444Vd. «La Rivendicazione», Forlì, a. VI (1891): Congresso socialista rivoluzionario italiano, n. 2, 10 gennaio 1891; Atti del Congresso Socialista di Capolago, n. 3, 17 gennaio. Vd. anche l’opuscolo Il Congresso di Capolago, ai socialisti ed al popolo d’Italia, Castrocaro, 1891. Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 283-288; N. PERNICONE, op. cit., pp. 254-257; E. SANTARELLI, op. cit., p. 78-80; P. C. MASINI, op. cit., p. 241; E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit. p. 315; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 141. Vd. anche Minguzzi Luisa, in DBA, vol. II, p. 189. Secondo Santarelli, la costituzione di un partito anarchico sarebbe stato un segno della forza di attrazione creato dal movimento socialista classista. Vd. E. SANTARELLI, op. cit., p. 78.

181 In seguito al congresso, il 2 febbraio una trentina di sezioni della Romagna formarono a Ronco, provincia di Forlì, la Federazione Romagnola del PSAR, animata da Piselli e con Ferdinando Valducci come uno dei suoi principali promotori. Alcuni mesi dopo, con l’uscita di scena di Piselli, la federazione sarà presa in mano da Romeo Mingozzi, che costituirà il Comitato Internazionalista di Ravenna e rinnegherà l’astensionismo accettato a Capolago.445 A Firenze, anche Francesco Pezzi si adoperò per attuare le risoluzioni del congresso e nello stesso febbraio si ebbe il congresso toscano che, seppur in scarso numero a causa di un malinteso nella sua preparazione, approvò le risoluzioni di Capolago, dopodiché il ravennate si mise in moto per la riorganizzazione del partito e per la commemorazione del 1° maggio. 446 Il relativo successo del congresso di Capolago, che vide la sconfitta delle tendenze antiorganizzatrici, contribuì ad alimentare i loro attacchi contro gli organizzatori. Paolo Schicchi, uno dei suoi principali esponenti, dalle colonne dei giornali ginevrini «Pensiero e Dinamite» e «Croce di Savoia» lanciò un’offensiva propagandistica principalmente contro Malatesta, Merlino e Pietro Gori e inoltre contro Piselli, il congresso di Capolago e la celebrazione del 1° maggio. Come risposta, sia Merlino che Malatesta svilupperanno una riflessione teorica di difesa e riqualificazione dell’anarchismo socialista e organizzatore, che consentirà una più acuta differenziazione dagli anarchici individualisti soprattutto nel campo delle idee. Occorre sottolineare che, anche se proprio nella decade del ’90 l’individualismo anarchico vedrà la sua massima espressione, la quale s’alimenterà ancora con la repressione crispina alcuni anni più tardi, questa tendenza non riuscirà a mettere radici profonde in Italia. Nel caso del Malatesta degli anni ’90, seppur egli si mostrasse solidale con alcuni degli «atti di protesta» degli antiorganizzatori, la sua linea politica s’inclinava per la presenza anarchica nelle organizzazioni operaie, nelle agitazione e negli scioperi. Il congresso di Capolago, di fatto, respingendo le posizioni più radicali degli individualisti, significò il rilancio di un anarchismo ancora dialogante con il socialismo. In seguito, Malatesta e Merlino, tenendosi fermi alla linea del congresso, tentarono anche di sviluppare le sue risoluzioni.447

445 Cfr. G. MANACORDA, op. cit., p. 288; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., pp. 249, 407. 446Vd. la lettera di Pezzi a Domenico Francolini, datata a Firenze il 25 febbraio 1891, BGR, Fondo Lettimi- Francolini. Ringrazio Tomaso Marabini per la segnalazione del documento. Vd. anche Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 341. 447 Cfr. E. SANTARELLI, op. cit., p. 86, 175; P. C. MASINI, op. cit., pp. 242-246

182 In accordo con le risoluzioni di Capolago, gli anarchici si disposero a preparare lo sciopero generale del 1° maggio. Fra il marzo e l’aprile, uscirono a Napoli cinque numeri del giornale «1 Maggio», al quale collaborarono i più noti militanti anarchici, inclusi Merlino e Malatesta. A Roma, dove Cipriani si recava clandestinamente proveniente dalla Sicilia, gli anarchici organizzarono la manifestazione in coordinamento con i disoccupati. Anche se la sera del 30 aprile gli anarchici si erano convinti dell’impossibilità di attuare qualche tentativo insurrezionale, nella capitale italiana, particolarmente in Piazza Santa Croce di Gerusalemme, la protesta raggiunse i più alti livelli di violenza della giornata e gli scontri finiranno con diversi feriti, almeno un dimostrante e un poliziotto morti e centinaia di arrestati, tra essi lo stesso Cipriani. Pure in diverse città d’Italia si ebbero manifestazioni, anche se non con le caratteristiche di quella romana. A Bologna ci furono scontri e fra gli arrestati della giornata figurarono i socialisti Guido Podrecca e Gabriele Galantara, direttore e collaboratore del giornale locale «Bononia Ridet». A Parma, Modena e Forlì – con millecinquecento persone – ci furono delle dimostrazioni. Anche a Firenze ebbero luogo degli scontri, in mezzo ai quali Luisa Minguzzi fu arrestata rimanendo in carcere 15 giorni, insieme a Santina Papini, mentre altri arrestati ebbero pene più pesanti.448 Nell’agosto 1891, Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi fecero un giro di propaganda lungo la Romagna, fermandosi a Ravenna, Imola e Bologna e altri paesi della regione prendendo parte all’agitazione anarchica contro l’arresto e il processo di Amilcare Cipriani e tanti altri anarchici a proposito dei fatti di Roma del 1º maggio. Qualche mese dopo, Luisa fece un altro giro di propaganda nelle Romagne, sempre in solidarietà con i condannati per i fatti di Piazza Santa Croce di Gerusalemme. Dopo essere stata a Ravenna, il 22 novembre Luisa si recò a Faenza accompagnata da Serafino Mazzotti, successivamente a Imola da Adamo Mancini e il giorno 27 arrivò a Bologna, dove rimase due settimane presso l’amica Ersilia Cavedagni, sposa dell'anarchico Giulio Grandi. La sera del giorno 28 ebbe un incontro con cinque compagni al circolo Alceste Faggioli, in via del Pratello, dove «si meravigliò della poca strada fatta in Bologna dalla idea anarchica, affermando che nelle Romagne, da cui proveniva, le cose procedevano ben altrimenti». La sera successiva, nella stessa sede, ebbe una conferenza su principi

448 Cfr. P. C. MASINI, op. cit., pp. 256-260; N. PERNICONE, op. cit., pp. 262-263; Minguzzi Luisa, in DBAI, col. II, p. 189. Secondo un articolo apparso ne «La Gazzetta dell’Emilia» qualche anno più tardi, in mezzo agli scontri accaduti nella manifestazione fiorentina, Luisa avrebbe preso dal petto un ispettore di P. S., urlandogli in faccia «Vergognatevi!». Vd. I romanzi dell’anarchia. Chi sono i coniugi Pezzi?, «La Gazzetta dell’Emilia», Bologna, 15 settembre 1894.

183 dell’anarchismo davanti a dodici persone. Il 10 dicembre, Luisa Minguzzi partì col treno per Firenze. Intanto, in questo periodo la sarta ravennate mantenne corrispondenza con Errico Malatesta, allora a Londra. In una sua lettera dell’aprile 1892, l'agitatore campano rifletteva sulle propire differenze con il «ravacholismo» e chiedeva a Luisa di aiutarlo a diffondere il suo ragionamento in Italia.449 Mentre alcuni anarchici romagnoli prendevano parte alle agitazioni in solidarietà con i compagni incarcerati a Roma, Germanico Piselli era impegnato con le vicende della società cooperativa degli operai braccianti di Forlì. L’anno prima, nel maggio 1890 a Ravenna, si era tenuto il congresso delle cooperative emiliano-romagnole. Piselli vi partecipò sostenendo una posizione apolitica riguardo alla partecipazione e conduzione socialista degli scioperi agrari, rifiutando la proposta in proposito di Gaetano Zirardini, che sosteneva che le cooperative dovessero assumere i compiti della resistenza. Piselli, invece, si era schierato con un cooperativismo neutro e appoggiava la prospettiva imprenditoriale dei cooperativisti. Su questa linea riuscì ad ottenere, in collaborazione con l’AGOB di Ravenna, la costruzione della linea ferroviaria fra Larissa e Atene, nella regione greca di Tessaglia. Il consorzio si costituì nel giugno 1891 e il 4 agosto partì la prima colonna di braccianti. Nell’autunno partì Piselli e la pubblicazione de «La Rivendicazione» cessò con il numero 34 della sesta annata, il 26 settembre 1891. Con il ravennate già in Grecia, si scoprirà che delle cambiali che egli aveva emesso a nome della cooperativa erano scoperte. Solo grazie a Fortis, che coprirà le cambiali di Piselli, la vicenda non finirà in un grande scandalo. Per Piselli, però, la vicenda segnò la fine della sua carriera politica. Nel giugno 1892 scriveva a Costa che la sua espulsione dal direttivo del consorzio segnava la sua «morte civile». Le conseguenze di questo episodio però, aggravarono ulteriormente la crisi del consorzio romagnolo e portarono il movimento cooperativo della regione ad una acuta crisi che si manifestò poi nella sfiducia dei soci nelle proprie associazioni. I braccianti organizzeranno persino degli scioperi contro le cooperative e la crisi dunque sboccherà nella mancanza del principale corpo sociale di riferimento ai socialisti rivoluzionari romagnoli .450

449 Vd. ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco; ASBo, Gab. Pref., 1891, b. 798. Fra le frequentazioni più assidue dell’anarchica Cavedagni vi era Luisa. Vd. Cavedagni Ersilia, in DBAI, vol. I, p. 360. La lettera di Malatesta a Luisa Minguzzi, datata a Londram 29 aprile 1892, è pubblicata in R. BERTOLUCCI (a cura di), E. Malatesta, Epistolario 1873-1932. Lettere edite ed inedite, Carrara, Centro di Studi Sociali, 1984, pp. 65-69. 450 E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, pp. 162-255; Piselli Germanico, in DBAI, vol. II, p. 359-360. Vd. anche La Rivendicazione sospende le sue pubblicazioni, in «La Rivendicazione», Forlì, a. VI, n. 34, 26 settembre 1891. La lettera di Piselli a Costa, datata Lamia il 23 giugno 1892, è conservata in BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 9, fasc. 1337. Dopo la fine politica del Piselli fu Alessandro Balducci a sostituirlo a capo dei socialisti rivoluzionari forlivesi e come segretario

184 Senza Piselli in scena, sparì anche uno dei principali artefici nei rapporti fra anarchici e socialisti, rapporti che nel corso del 1892 avranno un momento decisivo. Il 14 agosto s’iniziava a Genova, nella sala Sivori di via Roma, il congresso socialista italiano, con circa trecento delegati che rappresentavano associazioni operaie e gruppi socialisti di tutta l’Italia e che appartenevano a tutta l’ampia gamma di tendenze: operaisti, repubblicani collettivisti, evoluzionisti, socialisti rivoluzionari, democratici-sociali e anarchici. Ci furono Andrea Costa, Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Camillo Prampolini, l’operaista Alfredo Casati e gli anarchici Pietro Gori e Luigi Galleani, tra gli altri. Gli anarchici, anche se parteciparono con poche forze, si erano proposti di fare prevalere la loro linea tentando d’impedire l’affermazione di un socialismo politico di tipo parlamentarista. Galleani, che già prima dell’evento aveva concordato con Gori la tattica degli anarchici per contrastare i legalitari, s'impegnò per impedire l'approvazione dell'ordine del giorno dei socialisti. Durante la prima giornata di lavori, di fatto, Turati accusò gli anarchici di ostacolare la discussione, dopodiché Prampolini propose la separazione fra anarchici e socialisti, soluzione che fu avversata da Gori. Questo scontro portò alla scissione del congresso, con i socialisti che, dal giorno successivo, spostarono la loro sede nel locale della Società dei Carabinieri Genovesi in via della Pace. Questa rottura convinse Costa e Carlo Monticelli, fra gli altri, di abbandonare entrambi le adunanze, in disaccordo con il metodo promosso da Turati per compiere la separazione. Gli anarchici, che il giorno precedente si erano opposti ai socialisti insieme agli operaisti di Casati, deliberarono unitamente nella sala Sivori la costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani – mentre i socialisti fondavano il proprio Partito dei Lavoratori. Questo partito «anarchico-operaista» non doveva prendere parte alle lotte politiche, ma solo a quelle economiche e potevano appartenervi soltanto operai salariati. Con l’opposizione degli individualisti, Gori aveva condiviso quest’idea come mezzo per contrattaccare i socialisti e assicurare che gli operaisti non si sarebbero ulteriormente schierati con Turati. Questo partito, però, non avrà il supporto degli anarchici e morirà sul nascere. Ad ogni modo, l’anarchismo risentirà della scissione, sia perché saranno privi della coscienza organizzativa dei socialisti, sia perché, principalmente, perderanno contatto con il movimento operaio reale. 451 dell’AGOBF. Vd. E. GIANNI, op. cit., p. 261. 451 Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 314-329; P. C. MASINI, op. cit., 268-271; N. PERNICONE, op. cit., pp. 278-281. Vd. anche Il congresso operaio di Genova, in «L’Ordine», Torino, a. I, n. 3, 20 agosto 1892. Secondo quest’articolo, mentre in via della Pace si riunirono centocinquanta delegati circa, lo stesso numero si sarebbe radunato in via Roma. Secondo Manacorda, Andrea Costa, che aveva criticato entrambe le adunanze ma riconoscendo le risoluzioni di quella guidata da Turati e Kuliscioff, sarà un altro degli

185 Al congresso di Genova partecipò un pittore socialista di Novellara come rappresentante della Società Lavoranti Panettieri di Bologna e della Società Operaia della stessa città. Il suo nome era Felice Vezzani, collaboratore del giornale satirico e di arte bolognese «Bononia Ridet», diretto da Guido Podrecca e apparso nel marzo 1888 come organo «non ufficiale» dell’VIII centenario dell’Università e dell’Esposizione bolognese. Parallelamente alla sua collaborazione con questo giornale, Vezzani divenne prima presidente della Società di Mutuo Soccorso e Resistenza fra i Pastai e poi vice-presidente della Società Generale Operaia di Bologna e fu uno dei principali organizzatori della manifestazione del 1° maggio 1891 a Bologna. Anni prima aveva aderito al radicalismo democratico, ma poi divenne socialista e come tale prese parte ai lavori del Congresso di Genova. Tuttavia, le posizioni antianarchiche ivi espresse dai propri compagni spinsero Vezzani a passare fra gli anarchici. Secondo la polizia italiana, alcuni mesi dopo, nel gennaio1893, il novellarese emigrò in Brasile.452 Vezzani non fu l’unico che partì per il Sud America in questi anni. Caio Zavoli, dopo il suo soggiorno a Rimini, nell’ottobre 1891 si trasferì a Londra, passando prima da Nizza, con il progetto di aprire un’osteria per gli operai italiani. In seguito rientrò in Italia da Nizza e, avendo ottenuto il passaporto nell’ottobre 1892, partì da Genova per Marsiglia con lo scopo di trasferirsi nelle Americhe. Tuttavia, ancora in Francia, nel gennaio 1894 Zavoli era condannato a un mese di carcere per infrazione all’ordine di espulsione, datato il 21 novembre 1893, dopodiché la polizia francese lo accompagnò fino a Ventimiglia, dove giunse il 20 febbraio. Finalmente, il 19 giugno 1894 Zavoli fu imbarcato a spese del governo e con il piroscafo Attività partì per il Brasile.453 Altri anarchici si muoveranno nella stessa direzione. Nel settembre 1890, dopo essere stato scarcerato nel giugno 1887 grazie dall’amnistia, Arturo Mazzanti partì per Buenos Aires. Durante quell’anno, il reggiano Giovanni Ferrarini si stabiliva per una sconfitti del congresso: il suo compagno Alessandro Balducci partecipò all’adunanza in via della Pace seppur Costa avesse protestato, e nei mesi successivi diversi circoli romagnoli, malgrado Gaetano Zirardini, aderiranno al partito turatiano. Così, l’indirizzo del socialismo italiano rimarrà definitivamente a Milano, con a capo Turati. Vd. G. MANACORDA, op. cit., p. 326. 452 Felice Vezzani, pittore e decoratore, nacque a Novellara, provincia di Reggio Emilia, il 26 maggio 1855, da Alessandro e Giuseppa Rossi. Vd. ACS, CPC, b. 5392, fasc. Vezzani Felice; ASBo, Gab. Ques., Cat. A-8 Persone pericolose per la sicurezza dello stato, Radiati, b. 163, fasc. Vezzani Felice; Vezzani Felice, in DBAI, vol. II, p. 673. Vd. anche F. MONTANARI, Felice Vezzani, pittore reggiano, militante anarchico, in «L’Almanacco, rassegna di studi storici e di ricerca sulla società contemporanea», a. XX, n. 36, maggio 2001, p. 140. Secondo Montanari, Vezzani sarebbe emigrato dopo le leggi eccezionali del luglio 1894, stabilendosi negli Stati Uniti, dove avrebbe collaborato attivamente al giornale anarchico «La Questione Sociale» di Paterson, per poi recarsi in Brasile. Montanari riproduce un articolo del Vezzani, pubblicato sulla rivista parigina «Veglia» nel 1926, sul congresso di Genova del 1892. Vd. Ivi., pp. 143-145. 453 ACS, CPC, b. 5556, fasc. Zavoli Caio.

186 seconda volta a Genova – l’aveva già fatto nei primi degli ’80 – e nel 1893 si trasferisce nella capitale argentina, lo stesso anno fece Germanico Piselli, poco dopo essere rientrato in Italia dalla Grecia. In questo periodo Antonio Biancani aveva già fatto sparire le sue tracce e le ultime notizie che aveva la polizia italiana sul ravennate, erano che egli era stato a Parigi nel 1886 e poi si era trasferito a Nizza, dopodiché non si ebbero più informazioni di lui.454 In Italia, l’attività svolta dagli anarchici durante questo periodo continuava a essere persistentemente perseguitata. La Pretura di Reggio Emilia nell’aprile 1891 condanno Angelo Canovi ad una multa per contravvenzione della legge di P. S. e nel marzo dell’anno successivo il Tribunale di Reggio Emilia lo condannò a sei mesi di carcere e ad una multa per affissione di manifesti incitanti all’odio di classe. Il 10 novembre 1893 fu arrestato come sospetto complice di Alfredo Gobbi per attentato con bomba, seppur inesplosa, alla sede dell’Unione Liberale Monarchica, ma poi fu scarcerato per mancanze di prove. Nel gennaio di 1894 denunciò sulle colonne del giornale socialista reggiano «Punto Nero»la perquisizione che quarantotto poliziotti eseguirono a casa sua. Parallelamente era processato per incitamento all’odio di classe e a delinquere per mezzo stampa, a causa della pubblicazione del numero unico «Lo Scamiciato», apparso il 10 settembre 1893 in occasione del congresso socialista di Reggio Emilia, ma sarà assolto nel giugno 1894.455 Anche Raffaele Cavallazzi fu processato. Nel 1893 fu accusato insieme ad altri anarchici della decapitazione di una figura della madonna, accaduta il 21 maggio di quell’anno nella chiesa di San Francesco a Castelbolognese, seppur non ne fossero i responsabili. Il processo coinvolse anche Antonio Garavini, Giuseppe Minardi e Michele Fantini e con sentenza del 2 ottobre furono condannati dalla Pretura di Faenza a tre mesi di reclusione. Fantini fu assolto in un primo processo, mentre gli altri furono prosciolti il 22 novembre dopo aver fatto appello.456 Garavini, Minardi e Fantini saranno altri tre castellani che emigreranno in Sudamerica.457

454 Vd. ACS, CPC, b. 3173, fasc. Mazzanti Arturo; E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, p. 476; Piselli Germanico, in DBAI, vol. II, p. 360; ACS, CPC, b. 610, fasc. Biancani Antonio. Germanico Piselli scrisse a Costa da Savignano di Romagna il 15 giugno 1893, ringraziandolo per la sua collaborazione [per partire per l’Argentina?] prima di lasciare la Romagna. La lettera è conservata nel BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 10, fasc. 1462. 455 Vd. ACS, CPC, b. 1010, fasc. Canovi Angelo; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307. Vd. anche «Lo Scamiciato», Reggio nell’Emilia, numero unico, 10 settembre 1893. 456 Vd. “Cavallazzi Raffaele”, ACS, CPC, b. 1195; “Cavallazzi Raffaele”, in DBA, vol. I, p. 356. 457 Antonio Garavini, detto Ansèna, falegname, nacque a Castelbolognese il 28 febbraio 1872, da Simone e Francesca Scardovi, fratello di Pietro (1869), anche lui noto militante anarchico castellano. Vd. ACS, CPC, b. 2277, fasc. Garavini Antonio. Giuseppe Minardi, detto Moghet, falegname, nacque a Castelbolognese il 10

187 Cavallazzi, inoltre, visse sulla propria pelle, i dissidi fra socialisti e anarchici. L’anarchico castellano partecipava al Circolo di Studi Sociali di Castelbolognese, fondato il 1º maggio 1891 e composto da socialisti, repubblicani e anarchici, questi ultimi i più numerosi. Ancora prima dello scontro «nazionale» fra socialisti e anarchici al congresso di Genova, ne fu espulso accusato dai socialisti di «comportamento autoritario». Gli anarchici più «temperati», temendo che il circolo si sciogliesse con l’eventuale dimissione dei socialisti, appoggiarono l’espulsione e il Cavallazzi fu costretto ad abbandonare il gruppo, ma una decina dei suoi compagni solidarizzarono con lui e anche loro lasciarono il circolo. Comunque, quest’associazione non avrà lunga vita e sarà sciolta nel 1894.458 Durante il 1893, Francesco Pezzi tentò senza successo di formare un gruppo d’azione che seguisse i passi di quello che, secondo le fonti di polizia, Malatesta e Merlino avevano costituito a Barcellona. Dalla città catalana e successivamente da Londra, Pezzi ricevette alcune circolari di propaganda dirette a promuovere in Italia un’agitazione pre- insurrezionale in concomitanza con il movimento dei Fasci Siciliani scoppiati a gennaio. Nel 1894 la repressione si farà sentire sulla sua pelle e su quella di Luisa. Nel giugno di quell’anno, l’anarchico lughese Paolo Lega attentò con revolver contro il presidente del Consiglio Francesco Crispi, ma fallì il tentativo. Emidio Recchioni, anarchico di Russi ritenuto complice di Lega, era stato ospite a casa dei Pezzi a Firenze qualche giorno prima dell’attentato, ragione che risultò sufficiente per coinvolgere la coppia nell’affare. Francesco e Luisa furono arrestati il 3 luglio a Firenze e poi trasferiti alle carceri di Roma, dove rimasero fino all’agosto 1895, quando si tenne il processo. I Pezzi, che dichiararono di non avere conosciuto le intenzioni dell’attentatore, furono finalmente prosciolti dalle imputazioni ma, in parallelo, una sentenza del 5 aprile 1895 li assegnò al domicilio coatto. Luisa fu destinata ad Orbetello, in provincia di Grosseto e vi rimarrà un anno circa, aggravando in quel periodo la sua progressiva cecità. Pezzi, invece, «individuo pericoloso e temibile», fu inviato all’isola siciliana di Favignana, da dove tentò la fuga con altri compagni, tra essi Galileo Palla, nel maggio 1896. Gli evasi furono catturati a Tunisi – dove avevano cercato di prendere contatto con il gruppo di anarchici italiani che vi risiedeva – e poi riconsegnati alla polizia italiana. Il 1° agosto sarà dicembre 1866 da Antonio e Paola Ravaglia. Vd. ACS, CPC, b. 3294, fasc. Minardi Giuseppe. Michele Fantini fu Andrea, meccanico, nacque nella stessa città il 5 marzo 1864. Vd. ACS, CPC, b. 1951, fasc. Fantini Michele. 458Sull’espulsione di Cavallazzi dal Circolo di Studi Sociali di Castelbolognese, vd. il rapporto della Sotto- Prefettura di Faenza del 3 giugno 1892, BMRB, Fondo Gollini, fasc. 1c. Ringrazio Tomaso Marabini per la segnalazione di questo fascicolo.

188 condannato dal tribunale di Trapani a quattro mesi e cinque giorni di carcere per l’evasione, ma nel novembre sarà prosciolto condizionalmente e tornerà a Firenze, dove troverà Luisa, prosciolta anche lei dall’agosto.459 La politica repressiva del governo aveva iniziato a inasprirsi già nel 1893 con la dichiarazione dello stato d’assedio in Sicilia, a proposito dei movimenti dei Fasci Siciliani che scoppiarono nel gennaio e si prolungarono per tutto l’anno. Questa rivolta popolare, che Masini chiama «anarchia spontanea», anche se collegata in un certo senso con l’organizzazione dei Fasci e con l’eterogeneo indirizzo socialista, sorpassò i suoi limiti e, di fatto, né anarchici né socialisti ebbero un ruolo fondamentale nella vicenda, seppur avessero contribuito al clima d’agitazione con la loro propaganda. Malatesta e Merlino provarono a incitare all’insurrezione dall’estero e alcuni anarchici come Pezzi s’impegnarono nel compito, ma la mancanza di capacità organizzativa e l’isolamento dal movimento sociale reale, tra l'altro, impedirono agli anarchici di collegare la lotta spontanea a un indirizzo propriamente rivoluzionario. La risposta anarchica, però, si ebbe a Carrara, quando nel gennaio del 1894, come protesta per la dichiarazione di stato di assedio in Sicilia e in solidarietà con gli arrestati dei fasci, si dichiarò uno sciopero che nei giorni successivi diventò rivolta. Anche se gli anarchici ebbero un’attiva partecipazione al movimento nella Lunigiana, pure qui non esistette una pianificazione dal punto di vista organizzativo e si trattò invece di un sollevamento piuttosto spontaneo. L’ambiente pre-insurrezionale, però, aveva spinto Malatesta e Merlino, insieme all’anarchico siciliano-francese Charles Malato, a rientrare in Italia. Mentre Malatesta visitò Milano, Bologna ed Ancona e Malato girò per il Piemonte e la Lombardia, Merlino fu catturato alla fine di gennaio a Napoli dopo la delazione di uno studente universitario. Intanto, Francesco Crispi, che un mese prima aveva assunto la carica di

459Cfr. ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco; Pezzi Francesco, in DBAI, vol. II, p. 341; Minguzzi Luisa”, in DBAI, vol. II, p. 189-190; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, pp. 113.114; C. BASSI ANGELINI, op. cit., pp. 126-136; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Milano, Rizzoli Editore, 1981, pp. 67-68. Nel marzo 1896, Pezzi scriveva ad Andrea Costa da Favignana, dopo lunghi anni, chiedendogli di farsi copiare da qualche avvocato tutte gli interrogatori di Luisa e del Recchioni, oltre a quelli propri, e manifestando che avrebbe chiarito pubblicamente le accuse di tradimento – che alcuni anarchici posero su di loro per non avere appoggiato le dichiarazioni di Recchioni – una volta che si trovasse in salvo. La lettera, del 10 marzo 1896, si trova in BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 13, fasc. 1837. Sul processo al Tribunale di Trapani per l’evasione, vd. Processo Palla, Pezzi e Co., in «La Questione Sociale», Patterson, 15 agosto 1896. Secondo quest’articolo, Pezzi si guadagnò le simpatie del pubblico con la sua dichiarazione, con cui aveva criticato le deplorevoli condizioni d’esistenza nel coatto, riferendo anche la disintegrazione di casa sua e il fatto che sua moglie era nel coatto in Toscana, ragioni per cui si erano spinti alla fuga. Dal canto suo, Galileo Palla aveva già tentata la fuga da Porto Ercole due mesi prima, con un gruppo di altri sei compagni tra i quali Oreste Ristori. Vd. anche P. C. MASINI, op. cit., pp. 61-62. Sull'attentato di Paolo Lega vd. G. GALZERANO, Paolo Lega. Vita, viaggio, «complotto» e morte dell'anarchico romagnolo che attentò alla vita del primo ministro Francesco Crispi, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 2014.

189 presidente del Consiglio, dichiarò lo stato d’assedio anche nella Lunigiana, scatenando una repressione smisurata in relazione alla dimensione dei fatti.460 Spento il movimento, la persecuzione non si fermò. Mentre alcuni anarchici erano processati nella primavera, quattro bombe esplosero a Roma fra marzo e maggio, la prima delle quali finì con due vittime fatali. Gli anarchici non rivendicarono questi attentati, ma comunque furono attribuiti a loro. Anche se è vero che dal congresso di Capolago l’individualismo anarchico aveva preso il sopravvento – e si rinforzò ulteriormente con i fallimenti insurrezionali e la successiva repressione statale –, il profitto che il governo Crispi e la sua proposta di leggi repressive trassero da questi fatti, inducono a pensare che si trattasse di atti provocatori. Se a questi fatti si aggiunse il frustrato attentato Lega, non risulta strano che Crispi guadagnasse un grande supporto e le leggi repressive un rinnovato consenso. Così, nel luglio 1894 la camera approvò tre leggi «anti-anarchiche» o «anti-socialiste»: la n. 314, che inaspriva le pene per reati commessi con materie esplosive e ne puniva l’incitamento e l’apologia; la n. 315, che puniva i reati commessi con mezzo stampa, specie l’incitamento dei militari all’insubordinazione e la propaganda antimilitarista; e la n. 316, denominata «provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza», la quale ampliava le cause per l’assegnazione del domicilio coatto, soprattutto a tutti coloro che manifestassero il «deliberato proposito di commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali» e che partecipassero ad «associazioni e riunioni che abbiano per oggetto di sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali». Queste leggi entrarono immediatamente in vigore.461 Molti anarchici furono condannati a domicilio coatto nelle colonie che il governo dispose per tali effetti.462 Vittorino Valbonesi, che tra il 1890 e il 1893 aveva collaborato ai numeri unici pubblicati a Imola da Adamo Mancini e che, fra giugno e dicembre 1894 era riuscito a pubblicare a Forlì quindici numeri del giornale «Lo Staffile», fu inviato al domicilio coatto. Nel marzo 1895 era all’isola d’Ischia, ma poco dopo fu rilasciato in libertà condizionale. Nel marzo 1896 scrisse ad Andrea Costa chiedendogli di protestare in parlamento contro le misure di sorveglianza speciale a cui l’ufficio di P. S. sottopose gli

460 P. C. MASINI, op. cit., pp. 17-33. 461 Ivi., p. 35-56. Sulle leggi repressive del 1894, vd. A. SENTA, “Siam coatti e baldi”. Le leggi antianarchiche del 1894, in G. SACCHETTI (a cura di), “Nel fosco fin del secolo morente”. L'anarvhismo italiano nella crisi di fine secolo, Milano, Biblion Edizioni, 2013, pp. 35-52. 462 Sulle condizioni nelle colonie destinate al domicilio coatto, vd. P. C. MASINI, op. cit., pp. 59-68.

190 ex coatti, seppur le leggi eccezionali fossero finite da febbraio ed egli stesso fosse in libertà condizionale da un anno circa.463 Anche Angelo Canovi fu assegnato al domicilio coatto. Nel luglio 1894 la prefettura di Reggio Emilia lo considerava capo degli anarchici reggiani e affermava che era in relazione epistolare con i «capi nazionali ed esteri» e inoltre sussidiava gli anarchici che passavano da Reggio Emilia, ma allo stesso tempo sosteneva che dopo l’arresto, accusato di complicità in attentato con bomba nel 1893 e dopo la perquisizioni fatte a casa sua nel gennaio 1894, Canovi manteneva «regolare condotta» e anzi, stava cercando di liquidare i suoi beni per partire con la moglie e i figli in America. «È anarchico, ma apparisce ora non tanto pericoloso come in passato». Tuttavia, il 30 settembre fu arrestato e condannato al domicilio coatto per 30 mesi. Tenuto in carcere per oltre quattro mesi, nel febbraio 1895 fu inviato a Porto Ercole, dove rimase fino a che gli fu consentita la libertà condizionale, dopodiché tornò a Reggio. Lì poté avviare i suoi piani e il 15 marzo 1897 lasciò la sua terra d’origine insieme alla moglie e ai suoi otto figli, tra di essi il ventiduenne Paride, diretti a San Paolo del Brasile.464 Il nipote di Angelo, Alfredo Canovi, s’imbarcherà il 10 gennaio 1898 da Genova per la città paulista, con lo scopo di raggiungere lo zio. Alfredo era stato arrestato a Milano, dove lavorava, insieme a altri la notte del 25 febbraio 1895 con le accuse di grida sediziose – «Viva l’Anarchia!» – e violenze contro gli agenti P. S. Il Tribunale di Milano lo condannò a venticinque giorni di carcere e, scontata la pena, fu rinviato a Reggio Emilia dai genitori. Prima di partire per il Brasile, durante il 1896 fu alcuni mesi in Svizzera per lavoro.465 Chi subì permanentemente persecuzioni, fu Raffaele Cavallazzi. Fra il maggio 1893 e il giugno 1894, secondo la Prefettura di Ravenna, l’anarchico castellano era stato il promotore principale di ben quindici manifestazioni pubbliche che gli anarchici avevano tenuto a Castelbolognese. Ai primi del 1894 aveva partecipato ai tentativi di costituire i fasci dei lavoratori in Romagna, seguendo l’esempio della Sicilia e il 31 maggio partecipò a una manifestazione solidale con i fasci siciliani, per la quale fu

463Valbonesi Vittorino, in DBAI, vol. II, pp. 643-644. La lettera di Vittorino Valbonesi a Costa, datata Forlì il 15 marzo 1896, è conservata in BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa (1872-1910), b. 13, fasc. 1840. 464 Vd. ACS, CPC, b. 1010, fasc. Angelo Canovi; Canovi Angelo, in DBAI, vol. I, p. 307; Cronaca, Canovi e Storchi a domicilio coatto, in «La Giustizia», Reggio nell’Emilia, a. X, n. 453, 24 febbraio 1895. 465ACS, CPC, b. 1010, fasc. Canovi Alfredo. Alfredo Canovi, venditore ambulante di posaterie, nacque a Reggio Emilia il 1º settembre 1876, da Guido e Teresa Pancaldi. Nella sua scheda biografica compilata dalla Prefettura di Milano, si segnalava che in quella città aveva frequentato anarchici e socialisti, ma lo si riteneva più un socialista. Tuttavia, la scheda della Prefettura di Reggio diceva su di lui che «odia a morte la borghesia e lo manifesta pubblicamente», e inoltre lo si definiva un seguace di Alfredo Gobbi e lo si voleva associato al giornale «L’Agitazione»di Ancona, del quale era un promotore fra i giovani braccianti. Ibid.

191 accusato di incitamento a delinquere e il 18 agosto condannato dal Tribunale di Ravenna a tre mesi di carcere più una multa di 100 lire e un'ammenda di 50 lire insieme ad altri anarchici. Il 21 luglio era stato arrestato e denunciato per associazione a delinquere e il 25 agosto denunciato per l’assegnazione al domicilio coatto. Il giorno 11 ottobre fu denunciato per grida sedizione nel giorno precedente mentre era trasferito al carcere di Bologna. Infine, il 7 dicembre 1894 fu condannato dal Tribunale di Ravenna, come altri anarchici, a 19 mesi di reclusione, 400 lire di multa e due anni di sorveglianza speciale per associazione a delinquere. Scontata la pena nel carcere di Faenza, ne uscì l’11 aprile 1896, ma il 20 fu ancora arrestato per contravvenzione alla vigilanza speciale e il 16 maggio condannato a 32 giorni di carcere, a cui se ne aggiunsero altri 55 come commutazione delle pene pecuniarie a cui era stato condannato in precedenza. Uscito finalmente dal carcere il 17 luglio 1896, il 29 ottobre s’imbarcò sul piroscafo Gergovia da Genova diretto a Buenos Aires.466 Un compagno vicino a Raffaele Cavallazzi era Antonio Garavini. Socialista dapprima, Ansèna – com’era soprannominato – fu anche un attivo militante castellano. Il 18 marzo 1887, con altri compagni, espose una bandiera rossa e nera al municipio di Castello in commemorazione della Comune di Parigi. Nel 1890 partecipò a un paio di azioni anticlericali, asportando una croce dalla chiesa di San Petronio nell’aprile e sporcando la porta della stessa chiesa nel giugno. Abbiamo già accennato al processo presso la Pretura di Faenza dell’ottobre 1893 contro Garavini, Cavallazzi, Minardi e Fantini per attentato contro una statua religiosa. Ansèna, che era emigrato nel 1894 a Santa Fé, in Argentina e che era rientrato a Castelbolognese nel dicembre 1896, partì ancora una volta da Genova per il Sudamerica, stavolta diretto a Santos, in data 15 maggio 1897, sembra dopo aver ricevuto un’eredità.467 Altri compagni anarchici castellani furono Giuseppe Minardi e Michele Fantini. Minardi, detto anche Mosghet, era stato volontario in Africa, ma rientrato in Italia aveva lasciato la carriera militare. Fu segretario della società che accomunava gli anarchici e i socialisti di Castelbolognese – che supponiamo si tratti del circolo di studi sociali – e inoltre fu anche consigliere comunale, carica da cui si dimise però quando avvenne la rottura fra anarchici e socialisti. Fantini, invece, secondo la scheda biografica redatta dalla prefettura di Ravenna, voleva «atteggiarsi a capo» degli anarchici, perciò non

466 Vd. ACS, CPC, b. 1195, fasc. Cavallazzi Raffaele; Cavallazzi Raffaele, in DBAI, vol. I, p. 356. 467ACS, CPC, b. 2277, fasc. Garavini Antonio.

192 sarebbe andato d’accordo con Cavallazzi. Entrambi espatriarono per Santa Fé verso l’ottobre 1894.468 Un altro che partì in questo periodo per l’America del Sud fu l’anarco-possibilista Giuseppe Gozzi. Il 16 ottobre 1896, insieme alla famiglia, Giuseppe emigrò a Buenos Aires alla ricerca di lavoro. Con lui viaggiò anche il fratello minore, Antonio, che era diventato anarchico a 15 anni. Il soggiorno di Antonio in Argentina, però, non durò a lungo: nel dicembre 1897 tornò a Forlì, in seguito si trasferì a Losanna e poi a Milano, dove si stabilì con la moglie. Nella capitale lombarda fu raggiunto dal fratello Adolfo nell’agosto 1901, il quale sperava nel suo aiuto per imbarcarsi per il Brasile. Adolfo non ottenne il biglietto gratis, quindi un mese dopo tornò a Cesena e solo nel novembre riuscì a imbarcarsi da Genova per Santos con la moglie e i due figli. Adolfo aveva fatto parte della Federazione Socialista di Cesena e nel 1896 apparteneva alla Società di Mutuo Soccorso fra i fonditori di Forlì. Inoltre, aveva collaborato ad alcuni numeri unici, essendo di fatto condannato due volte per reato di stampa e nel 1885, per ribellione ed oltraggio.469 Nel marzo 1897, intanto, Felice Vezzani rientrava in Italia. Recandosi dalla madre a Bologna, prese parte attiva alle agitazioni anarchiche. Collaborò con il giornale anconetano «L’Agitazione» e con il numero unico «Il Domicilio Coatto», uscito a Forlì e trascorse un paio di mesi a Venezia, dove la polizia gli rinvenne della corrispondenza riguardante le agitazioni contro il domicilio coatto. In seguito alla repressione scatenata contro anarchici e socialisti dopo i moti del 1898, Vezzani fu costretto a fuggire. Prima si diresse a Lugano ma già nel giugno si trovava a Parigi, continuando però a collaborare con la campagna anarchica contro il coatto, soprattutto attraverso articoli apparsi nei giornali. Inoltre, nel 1899 pubblicò a Bruxelles l’opuscolo antimilitarista Alle madri d’Italia.470

468 Vd. ACS, CPC, b. 3294, fasc. Minardi Giuseppe; ACS, CPC, b. 1951, fasc. Fantini Michele. 469Vd. ACS, CPC, b. 2493, fasc. Gozzi Giuseppe; fasc. Gozzi Antonio; fasc, Gozzi Adolfo Ugo. Antonio, fornaio e cameriere, nacque a Cesena il 22 novembre 1875 da Angelo e Paola Pirazzani, mentre Adolfo Ugo, fonditore, nacque a Gambettola il 24 maggio 1864. 470Vd. ACS, CPC, b. 5392, fasc. Vezzani Felice; ASBo, Gab. Ques., Cat. A-8 Persone pericolose per la sicurezza dello stato, Radiati, b. 163, fasc. Vezzani Felice; Vezzani Felice, in DBAI, vol. II, p. 673. Vd. anche F. MONTANARI, op. cit., pp. 140-141. Secondo quest’autore, nel 1898 Vezzani si sarebbe recato a Londra. Per gli articoli di Vezzani contro il domicilio coatto, vd. Gli anarchici e la legge sul domicilio coatto, in «Il Domicilio Coatto», Forlì, n. u., 14 novembre 1897; Causa ed effetti, in «Pro-Coatti», Genova, a. I, n. 6, 12 novembre 1899; I partiti popolari e il domicilio coatto, in «Pro Justitia», Imola, n. u., 17 febbraio 1900. Vd. anche F. VEZZANI, Alle madri d’Italia, Bruxelles, Bibliotèque des «Temps Nouveaux», 1899, 23 pp. Sulla propaganda libertaria contro il domicilio coatto, vd. T. MARABINI, Periodici, numeri unici e propaganda orale contro il domicilio coatto, in G. SACCHETTI (a cura di), “Nel fosco fin del secolo morente”, cit., pp. 53-56

193 Alla fine del secolo, mentre molti anarchici dell’Emilia e della Romagna – soprattutto di quest'ultima – si trovavano in Sudamerica, quelli rimasti in Italia ebbero diversa sorte. La più tragica, forse, fu quella di Francesco Pezzi. Uscito dal coatto e tornato a Firenze, dopo il 1898 fu uno degli ispiratori del Comitato pro vittime politiche e collaborò al giornale «La Rivendicazione», edito in quell’occasione. Fin lì, la vita del ravennate risulta tranquilla. Tuttavia, il 25 aprile 1900 l’anarchico Lisandro Marchini si presentò a casa sua, fuori di sé e con un trincetto tentò di aggredire l’amico e compagno Francesco, minacciandolo di morte, convinto che il Pezzi volesse ucciderlo. Francesco reagì e con un colpo di revolver uccise il compagno. Subito si costituì in questura, rimanendo in carcere fino al 29 maggio, quando la Corte d’Appello di Firenze l’assolse e ne ordinò la scarcerazione. Dopo quest’incidente, Pezzi si ritirerà dalla propaganda attiva.471 Il ciclo ottocentesco dell’anarchismo italiano, che nei suoi ultimi anni vide l’incremento delle persecuzioni a causa dei moti del ’98, si chiuse simbolicamente con una vicenda che porterà ulteriormente il movimento anarchico a ripensarsi e a cercare nuove vie di sviluppo. La sera del 29 luglio 1900, nei pressi di Monza, l’anarchico pratese Gaetano Bresci, rientrato in Italia da Paterson, New Jersey, sparò tre colpi di rivoltella contro il re Umberto I, che morì poco dopo. Arrestato subito, Bresci fu sottoposto a processo e difeso da Francesco Saverio Merlino, ormai allontanato dall’anarchismo, fu condannato all’ergastolo e a sette anni di segregazione cellulare.472 La persecuzione contro il movimento anarchico si scatenò ancora una volta e fu in quest’ambientazione, che Raffaele Cavallazzi – rientrato a Castelbolognese nell’ottobre 1899 – firmò con altri una pubblica protesta, apparsa sul giornale anconetano «L’Agitazione» nel luglio 1900, in solidarietà con gli anarchici processati nel capoluogo marchigiano.473 Una volta superato quest’ulteriore momento repressivo, la nascita del Novecento segnerà l’inizio dell’età giolittiana e l’avvio di un periodo di relativa tolleranza alle libertà civili, che includerà la fine del domicilio coatto. Ciò permetterà al movimento anarchico di rielaborarsi e in qualche modo, di superare la «deviazione terroristica e dispersiva del decennio precedente». Anche la forma tradizionale dell’anarchismo conosciuta fino

471 Vd. Una morte che rivendica la vita, Francesco Pezzi, in «L’Avvenire anarchico», Pisa, 27 luglio 1917; ACS, CPC, b. 3920, fasc. Pezzi Francesco; Pezzi Francesco e Luisa, in MOIDB, vol. IV, p. 114. Sull’omicidio del Marchini, vd. La tragedia di Firenze, in «L’Agitazione», Ancona, a. 1 nuova serie, n. 8, 3 maggio 1900. 472 E. DIEMOZ, A morte il tiranno. Anarchia e violenza da Crispi a Mussolini, Torino, Giulio Einaudi editore, 2011, pp. 210-236. Su Gaetano Bresci, vd. G. GALZERANO, Gaetano Bresci. Vita, attentato, processo, carcere e morte dell'anarchico che «giustiziò» Umberto I, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 2001. 473 ACS, CPC, b. 1195, fasc. Cavallazi Raffaele.

194 allora, cioè organizzato federalmente, andrà estinguendosi, sviluppandosi invece una maggiore diversità di «filoni» teorici e pratici che progressivamente andranno riconoscendosi in una definizione poco diffusa nel periodo precedente e cioè nel termine «libertario». Tuttavia, nei primi anni del nuovo secolo il movimento anarchico risentirà di una certa dispersione di energie. In ogni caso, gli anarchici continueranno a essere controllati e sorvegliati e ci vorrà ancora qualche anno perché il movimento – piuttosto ridotto e isolato a causa delle emigrazioni e delle condanne che avevano colpito molti dei suoi militanti – riesca a riattivarsi e reinserirsi nella nuova realtà del paese, attivando anche una metamorfosi identitaria che porterà a una diversificazione delle prospettive e strategie libertarie.474

474 Cfr. G. CERRITO, Dall’insurrezionalismo alla settimana rossa, per una storia dell’anarchismo in Italia (1881- 1914), Firenze, CP editrice, 1977, pp. 51-53; F. GIULIETTI, Storia degli anarchici in età giolittiana, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 17-19; E. SANTARELLI, op. cit., pp. 177-179.

195 Capitolo 3. Emiliani e romagnoli nel movimento anarchico argentino (1885-1903).

3.1. Nascita e formazione del movimento libertario in Argentina e gli anarchici italiani (1876-1889)

Il primo gruppo anarchico dell’Argentina del quale si hanno notizie, nacque a Buenos Aires nel 1876, dopo che la sezione bonaerense dell’AIL decise di sciogliersi. I pochi internazionalisti bakuniani presenti nella capitale argentina, soprattutto spagnoli e italiani, formarono il Centro de Propaganda Obrera. Negli anni precedenti, l’attività propriamente anarchica, persino all’interno delle sezioni internazionaliste, sembra non aver avuto visibilità, come dimostrerebbe l’assenza di proteste nell’Argentina riguardo all’espulsione di Bakunin e Guillaume dall’AIL nel 1872 e le lettere del belga Raymond Willmart a Marx, le quali negavano l’esistenza di collegamenti fra gli antiautoritari bonaerensi e quelli del Giura. Tuttavia, sembra che ci fosse stato qualche contatto fra alcuni internazionalisti della capitale argentina e gli anarchici spagnoli ed è anche probabile che i libertari della capitale ricevessero supporto dagli internazionalisti di Montevideo, i quali consideravan l’Internazionale argentina come di tipo marxista. In ogni caso, sembra che le file anarchiche si fossero incrementate fin dal 1875 con l’arrivo di attivisti esuli dalla Spagna e dall’Italia e che oltre al Centro de Propaganda Obrera, avessero continuato le loro attività nelle società operaie e nei giornali socialisti apparsi fino alla metà degli anni ‘80.475 L’attività del primo gruppo anarchico bonaerense si rese evidente solo nel 1879 con la pubblicazione dell’opuscolo Una Idea, sul quale si riprodussero le deliberazioni del congresso antiautoritario di Saint Imier del 1872 e probabilmente gli anarchici erano fra i promotori dell’iniziativa per ricostruire l’AIL argentina lo stesso anno nel Teatro Goldoni, idea promossa dal giornale diretto da Eduardo Caamaño, «La Vanguardia» – apparso nell’ottobre 1879 ma sparito poco dopo. Nel medesimo anno uscirono anche «El

475 Cfr. G. ZARAGOZA, Anarquismo argentino (1876-1902), Madrid, Ediciones de La Torre, 1996, pp. 73-74, 81; R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero (1857-1899), cit., pp. 48-52.

196 Descamisado» di Pedro Sarraru a gennaio e «La Voz del Obrero» a maggio, mentre l’anno dopo videro la luce «El Obrero» e «La Anarquía», nel 1882 «Lucha Obrera» e fra il marzo e il settembre 1884 un quasi omonimo, «La Lucha Obrera», che riuscì a pubblicare ventinove numeri.476 Nel 1882 apparve il giornale di lingua francese «Le Proletaire», intorno al quale si organizzò un gruppo di socialisti, ma il periodico ebbe vita corta. Contemporaneamente, il primo gennaio di quell’anno, un gruppo di esuli socialdemocratici tedeschi formò il Verein Vörwarts, che aderiva al programma del Partito Socialista Operaio Tedesco e che nel 1886 iniziò a pubblicare il giornale «Vörwarts». Questo gruppo svolse un ruolo importante durante gli anni ’80 nella formazione del primo movimento sindacale dell’Argentina.477 Dai primi scioperi degli anni '70 fino al 1887, si produsse un periodo di accumulazione di forze da parte del movimento operaio che scoppiò con le agitazioni del 1888, in concomitanza con i primi sintomi della crisi economica che perdurò fino ai primi anni ’90. Nel settembre 1878, circa mille operai tipografi avevano dichiarato lo sciopero nella capitale, il primo sostenuto da un’associazione specifica sindacale, l’Unión Tipográfica, che dopo pochi giorni finì con un grande successo. Nonostante ciò, l’Unión, che era nata dalla scissione dell’ala radicale della mutualista Sociedad Tipográfica Bonaerense nel 1877, si sciolse l’anno successivo allo sciopero con l’intervento di questa. Nel 1879 si verificò uno sciopero dei sigarai, che contò sulla partecipazione anarchica e dal 1881 i blocchi del lavoro si moltiplicarono fra i diversi mestieri, seppur ancora a un ritmo lento, estendendosi a città come La Plata e Rosario e ad alcune località dell’interno. Nel 1887 si produssero diversi scioperi parziali e uno generalizzato fra gli operai telefonici di cui più del 60% ebbe successo. L’agitazione operaia del periodo facilitò, dunque, la nascita di numerose società di resistenza, prevalentemente nei settori economici di maggiore qualificazione.478 Secondo Maria Rosaria Ostuni, il 1879 è l’anno in cui l’interesse delle autorità italiane sull’espatrio dei sovversivi repubblicani in Argentina decade, ma è anche quello in cui si inaugura l’interesse nei confronti degli esuli internazionalisti. Il documento che

476 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 81-82; R. FALCÓN, op. cit., pp. 93-94; R. MUNCK (with Ricardo Falcón and Bernardo Galitelli), Argentina: from anarchism to peronism. Workers, unions and politics, 1885-1985, London, Zed Books, 1987, pp. 35-36; El anarquismo en el Río de La Plata, in «Caras y Caretas», Buenos Aires, a. III, n. 97, 11 agosto 1900. 477 R. FALCÓN, op. cit., p. 95. 478 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., pp. 78-81; F. QUESADA, Argentine anarchism and La Protesta, cit., p. 12; G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 76-77. Su alcuni esempi di società operaie costituite nel decennio 1880, vd. Ivi., pp. 3-4; R. FALCÓN, op. cit., p. 118.

197 marca questo cambiamento è del giugno di quell’anno e segnalava l’arrivo del repubblicano Angelo Malfassi a Buenos Aires, dove già si trovavano repubblicani come Gaetano Pezzi, romagnolo, esule nell’America del Sud ed espulso dall’Italia qualche tempo prima.479 Negli anni successivi, la corrispondenza fra i rappresentanti consolari al Plata, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero dell’Interno riguardanti i sovversivi, si concentrò sui militanti dell’Internazionale italiana. Uno di loro fu Salvatore Ingegneros, ex direttore del giornale «Il Povero» di Palermo che partì con la famiglia per Montevideo nel settembre 1880, dove aprì un negozio di merceria. Accolto dalle associazioni massoniche, sembra che, oltre a un manifesto affisso nella capitale uruguaiana poco dopo il suo arrivo, non avesse svolto propaganda.480 Un altro che attirò l’attenzione delle autorità italiane fu Napoleone Papini, internazionalista fabrianese che nel dicembre 1881 partì da Londra per Buenos Aires, dove si dedicò al commercio con grandi aspettative per il futuro dei suoi affari. Intanto, la Legazione italiana chiedeva al governo argentino di sorvegliare i soggetti sospetti, come lo stesso Papini, raggiungendo un compromesso con le autorità sudamericane.481 Nel 1883, la rappresentanza diplomatica italiana a Buenos Aires segnalava l’attività che svolgeva il repubblicano siciliano Salvatore Nicosia, detto «Totò», arrivato nella capitale argentina nel giugno e che si era integrato al Circolo Repubblicano Italiano, collaborava con «L’Amico del Popolo» diretto da Gaetano Pezzi e poi si era trasferito a

479 M. R. OSTUNI, Inmigración política italiana y movimiento obrero argentino. Un estudio a través de los documentos gubernamentales italianos (1879-1902), in F. DEVOTO e G. ROSOLO (eds.), La inmigracion italiana en la Argentina, Buenos Aires, Editorial Biblos, 2000 [1985], p. 107-108. Il documento a cui fa riferimento Ostuni, un rapporto del Consolato italiano a Buenos Aires diretto al MAE, del 20 giugno 1879, si trova in ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1249 Argentina 1874-1880. Una nota del Ministero dell’Interno al MAE, del 20 luglio 1879, contiene un manifesto del Centro Repubblicano Italiano, firmato l’11 giugno 1879 dai membri del Comitato provvisorio, fra i quali compaiono il Malfassi e il Pezzi, vd. ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Rapporti in arrivo, b. 1249 Argentina 1874- 1880. Malfassi appare segnalato come residente in Argentina nel luglio 1879 in una rubrica dei sorvegliati politici del 1880, nella quale comparvero anche il dottore Giuseppe Foschini, firmatario del manifesto sopra citato, segnalato in Argentina nella stessa data, Teresa Lavarello segnalata in Uruguay nel maggio 1878, Descalzi in Paraguay nel settembre 1879, e Berbestein in Brasile nello stesso mese. Vd. ASD-MAE, Serie Z Contenzioso, Pos 33 Anarchici, b. 49 (1910-1918), fasc. Rubrica sorvegliati politici, 1877-1880. Per altre comunicazioni su Malfassi, vd. la copia dei rapporti spediti dal MAE il 30 aprile e 28 luglio, in ASD- MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Registri copia-lettere in partenza, b. 1103 Argentina 1874-1888. 480 Vd. la nota del Ministero dell’Interno al MAE, 29 settembre 1880, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 11 Ministero dell’Interno, corrispondenza spedita (1880); i rapporti della Legazione d’Italia a Montevideo diretti al MAE, 5 novembre 1880 e 7 luglio 1881, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo. 481 Vd. le note del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 12 dicembre 1881, 3 marzo e 25 settembre 1882, e le note dalla Legazione al MAE, 6 maggio e 6 novembre 1882, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires.

198 Montevideo per dedicarsi alla redazione di un giornale italiano in formazione.482 Alla fine dell’anno, la Legazione italiana in Argentina indicava che l’internazionalista Giuseppe Cattellani, originario di Reggio Emilia, accusato di aver scritto una lettera minatoria all’Imperatore Francesco Giuseppe di Austria, era arrivato a Buenos Aires nell’ottobre, stabilendosi presso Giuseppe Gilardoni. Il ministro d’Italia in Argentina commentava che il Cattellani doveva accettare che in quelle terre non c’era spazio per le agitazioni socialiste, poiché l’esclusiva preoccupazione della stragrande maggioranza degli immigrati era quella di arricchirsi, come aveva fatto Gaetano Pezzi, che accumulò una certa fortuna grazie ai suoi affari con una società del gas e lo stesso Papini, che si dedicava al traffico di vini e liquori con un certo successo.483 Questa prospettiva sul successo economico dei sovversivi, però, ebbe alcune sfumature e nel febbraio 1884 le autorità italiane si mostravano preoccupate delle «grosse somme di denaro» che avrebbe ricevuto in eredità l’internazionalista napoletano Elviro Ciccarese mentre era a Montevideo. Egli, quando raggiunse Marsiglia nel novembre 1883, avrebbe dichiarato infatti, di essere pronto ad inviare 25 mila lire agli internazionalisti italiani, per «fare un buon colpo contro la monarchia».484 L’idea che i sovversivi italiani potessero accumulare ingenti quantità di denaro in Sudamerica per utilizzarle con fini rivoluzionari nella penisola, divenne un vero fantasma nell’immaginario delle autorità italiane. Durante i primi anni ’80, mentre le autorità italiane nella penisola e in Argentina scambiavano corrispondenza su alcuni internazionalisti che eventualmente si sarebbero recati a Buenos Aires, internazionalisti e anarchici provenienti da altri paesi europei, raggiungevano la capitale argentina. Gli spagnoli Zacarías Rabassa e Gabriel Abad

482 Nota della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretta al MAE, 7 febbraio 1883, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Cfr. M. R. OSTUNI, op. cit., p. 109. Nel maggio 1884, Nicosia era segnalato dalla Prefettura di Napoli come direttore del giornale montevideano L’Indipendente, ritenuto di «tendenze anarchiche». Vd. copia del rapporto del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 12 maggio 1884, ASD-MAE, Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia, 1861-1887, Serie Terza, Divisione Politica, Registri copia-lettere in partenza, b. 1103, Argentina 1874-1888. Sulle vicende uruguaiane del Nicosia, vd. la corrispondenza fra l’agosto 1883 e l’agosto 1884, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo e in particolare quella del 30 novembre 1883, in cui si manifesta che su di lui avrebbe avuto un grande ascendente «un tale Ingegneros» e che sarebbe stato amico e corrispondente di Napoleone Papini. 483 Il ministro aggiungeva che il Papini sarebbe stato il padrino di «Totò» in un duello con un giornalista di Montevideo, nel quale Nicosia risultò lievemente ferito e poi arrestato. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretta al MAE, 1 dicembre 1883, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Sul Cattellani, vd. anche la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 15 ottobre 1883, stessa collocazione. 484 Nota del MAE alla Legazione d’Italia a Montevideo, 20 febbraio 1884, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo. Qualche mese dopo, la Legazione rispose che le indagini sul Ciccarese non avevano avuto risultati positivi. Vd. la nota dalla Legazione d’Italia a Montevideo diretta al MAE, 8 maggio 1884, stessa collocazione.

199 arrivarono nel 1883, anno in cui arrivò anche il belga Émile Piette, che aprì una libreria libertaria nel quartiere di Barracas al Sur, e nella quale lavorarono gli anarchici di lingua francese Gerard Gerombou, Alex Sadier e Jean Raoux, giunti a Buenos Aires negli anni successivi. Il livornese Ettore Mattei, esule a Marsiglia nel 1874 e poi passato a Barcellona, città nelle quali svolse attiva di propaganda, arrivò a Buenos Aires nel 1883 o 1884. Nel giugno 1884, Mattei insieme ad altri 16 italiani, tra essi il panettiere Marino Garbaccio, l’ebanista Michele Fazzi e l’incisore Washington Marzoratti, fondò nella capitale argentina il Circolo Comunista Anarchico, sezione dell’AIL, associazione che organizzò alcune conferenze e distribuì giornali anarchici europei come «La Questione Sociale» di Firenze, «Il Paria» di Ancona e «La Révolte» di Parigi.485 Verso la fine 1884, i ravennati Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi, in compagnia di Errico Malatesta, Francesco Natta, il savignanese Domenico Ceccarelli, Cesare Agostinelli, Galileo Palla e forse qualcun altro, partirono da Marsiglia con destinazione Buenos Aires, sul piroscafo Savoie e sbarcarono nel porto platense il 31 dicembre, probabilmente con i falsi nomi di Francesco e Luigia Gersi.486 Secondo Gonzalo Zaragoza, la scelta dell’Argentina per scappare dalle persecuzioni europee fu motivata dall’esistenza di un ambiente meno repressivo, dalla possibilità di guadagnare dei soldi che potessero servire alla propaganda in Italia, e dalla conoscenza dell’esistenza di un gruppo anarchico italiano a Buenos Aires – il quale, infatti, riceveva il giornale diretto da

485 Cfr. G. ZARAGOZA, op. Cit., p. 80-82; O. BAYER, L’influenza dell’immigrazione italiana nel movimento anarchico argentino, in O. BAYER, Gli anarchici espropriatori e altri saggi sulla storia dell’anarchismo in Argentina, Cecina (LI), Edizioni Archivio Famiglia Berneri, 1996, p. 96; R. FALCÓN, op. cit., pp. 94-121. Su Ettore Mattei, vd. Ibidem.; E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit., p. 537,; Mattei Ettore, in H. TARCUS (dir.), Diccionario Biográfico de la Izquierda Argentina. De los anarquistas a la «nueva izquierda», Buenos Aires, Emecé Editores, 2007, pp. 403-404. Dal canto suo, Leonardo Bettini sostiene che Mattei sarebbe arrivato nella capitale argentina nellautunno 1885 e che non ci sono evidenze sull'esistenza del detto Circolo Comunista Anarchico di Buenos Aires se non solo nel 1887. Vd. L. BETTINI, Bibliografia dell'anarchismo, vol. I, tomo 2: Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all'estero (1872-1971), Firenze, CP Editrice, 1976, p. 3. 486 Nella lista di sbarcati a Buenos Aires dal Savoie provenienti da Marsiglia, Francesco e Luigia Gersi sono segnalati entrambi con 35 anni, sposati e agricoltori analfabeti. Compaiono anche i nomi di Francesco Natta (40 anni, sposato, agricoltore, analfabeta) e Domenico Ceccarelli (34 anni, sposato, agricoltore), mentre Malatesta, Palla e Agostinelli sicuramente usarono dei nomi falsi. Vd. Listado de pasajeros: 1882 a 1920, in S. LAMPERTI (coord.) e M. RISANI (autor), Website «Barcos de Agnelli», [online]: https://sites.google.com/site/barcosdeagnelli/Listado, consultato per l'ultima volta il 30 settembre 2015. Nella nota con cui il MAE notificava la Legazione d’Italia a Buenos Aires della partenza degli internazionalisti, manifestava che quest'ultimi si dirigevano in Argentina «coll’intenzione di far danari e ritornare in Italia provvisti di armi e munizioni, e mandar così a effetto i loro criminosi progetti», 30 dicembre 1884, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 88.

200 Malatesta a Firenze, «La Questione Sociale»– e, probabilmente, anche della Librarie Internationale di Émile Piette e del gruppo libertario spagnolo.487 Nel marzo 1885, la polizia italiana sapeva che Malatesta e Francesco Natta avevano aperto un laboratorio meccanico in via Corrientes 384, sotto il nome di «Malatesta e Natta», grazie all’aiuto prestato da un sarto di cognome Lombardi, al cui fratello – residente a Londra, ed espulso diverse volte dalla Francia – Malatesta scrisse nei primi giorni dell’anno, secondo il Ministero dell’Interno, facendogli sapere che i suoi fratelli si erano adoperati per formare questo atelier e lo invitava a Buenos Aires «per un affare politico serio».488 In realtà, l’atelier meccanico degli anarchici ebbe il nome di «Malatesta, Natta, Pezzi e Cia.», il quale accerta la partecipazione di Francesco Pezzi nella società. Tuttavia, la partecipazione di Malatesta all’officina non durò a lungo e, inoltre, un anno dopo, Pezzi era segnalato dalle autorità consolari come «venditore di macchine da cucire». Dal Ministero dell’Interno italiano, l’avvio di attività produttive indipendenti di anarchici e socialisti fu vista come una strategia per accumulare i mezzi finanziari sufficienti, approfittando delle facilità di credito, per tornare in Italia «alla testa di una spedizione» accordata con gli anarchici della penisola. Il ministro d’Italia nel paese sudamericano rispondeva però, che gli anarchici non avevano fortune e che cercavano soltanto «di sustentarsi, di divertirsi e anche di fare alcuni risparmii, ma non vistosi per ora, né tali probabilmente neppure pel seguito, che nelle loro immaginazioni». Inoltre, sosteneva sempre il ministro, neanche le oblazioni raccolte dai periodici sovversivi, quali il repubblicano «Amico del Popolo», erano così sostenute da poter pensare che potessero aiutare ad avviare una spedizione in Italia.489

487 G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 89-90. In ogni caso, Malatesta scriveva a Max Nettlau nel 1931: «nous n’avions nullement l’intention d’emigrer. Nous nous réfugions là-bas pour échapper è des condemnations et nous pensions retourner en Europe le plus tôt possible», vd. la lettera di Errico Malatesta a Max Nettlau, Roma, 12 gennaio 1931. IISG, Max Nettlau Papers, General correspondance, fasc. 786 Errico Malatesta. Un frammento della lettera è riportato in G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 465-466. Vd. anche, G. BERTI, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, cit. p. 134. 488 Vd. le note del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 19 marzo e 4 aprile 1885, e il rapporto della Legazione al MAE, 19 aprile 1885, ASD-MAE, Polizia Internazionale, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 90; F. QUESADA, op. cit., p. 36. 489 Vd. la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 5 maggio 1886, e i rapporti della Legazione al MAE, 14 aprile e 8 giugno 1886, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Già nel novembre 1885 il ministro dell’Interno comunicava alla Legazione italiana, attraverso il MAE, sul presunto furto a una banca che Malatesta preparava a Buenos Aires, attendendo l’arrivo dall’Europa di Domenico Bozzi e di un tale Parini di Livorno, sempre con lo scopo di accumulare del denaro utile per l’insurrezione nella penisola. Vd. nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 29 novembre 1885, stessa collocazione.

201 Una volta stabiliti a Buenos Aires, i Pezzi e i loro compagni s’integrarono al Circolo Comunista Anarchico fondato l’anno precedente da Ettore Mattei e altri italiani e successivamente diedero vita al Circolo di Studi Sociali – sembra che fosse stato chiamato anche Circolo Socialista –, che si riuniva nel café Grütli, in via Cerrito 168, e grazie al quale Malatesta e alcuni dei suoi compagni ebbero le prime conferenze comuniste anarchiche. Molte di queste conferenze si tennero in un locale in via Piedad 601, dove ebbe pure la sede il giornale creato dal gruppo, «La Questione Sociale», che già dal nome si postulò come continuità della pubblicazione di Firenze. Questo giornale fu il primo periodico anarchico in lingua italiana pubblicato in Sud America e Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi collaborarono direttamente con la sua edizione, insieme a Malatesta e Francesco Natta. Il primo numero uscì nella capitale argentina il 22 agosto 1885, mentre l’ultimo numero di cui abbiamo notizia, il decimo, uscì il 29 novembre dello stesso anno – anche se Zaragoza e altri affermano che furono 14 numeri e che si pubblicò fino al 1886. In ogni caso, sembra che il giornale non avesse avuto grande successo, seppur diffuso anche all’estero.490 Dalle pagine del periodico si apprende che uno degli obiettivi del Circolo Socialista e del suo organo, fu quello di polemizzare con i repubblicani e in particolare con il loro giornale «L’Amico del Popolo», con uno scopo ben preciso. Nel terzo numero, il giornale anarchico si rivolgeva ai repubblicani dichiarando: «noi vorremmo accattivarci i vostri animi ed avere la forza di conquistare alla nostra causa difensori devoti ed appassionati come lo saprete essere voi».491 Sembra che gli anarchici avessero visualizzato nei repubblicani, come circa quindici anni fa aveva fatto Michail Bakunin e i suoi compagni in Italia, la base per la costruzione del movimento socialista che mancava ancora di salde radici in Argentina. Infatti, l’assemblea del Circolo Socialista del 23 novembre decise che «La Questione Sociale» sarebbe stata sostituita dalla pubblicazioni di opuscoli, ritenuti più utili alla propaganda, poiché il periodico comunista anarchico non era riuscito a raggiungere il suo fine, e cioè «trascinare i nostri avversari, ed in ispecie i repubblicani ad una polemica seria, che non avrebbe potuto non produrre utili risultati pel nostro partito».492 In ogni caso, il gruppo dei Pezzi, che si dichiarò indistintamente come socialista o comunista anarchico, piuttosto che costruire un vero e

490 Cfr. G. ZARAGOZA, op. Cit., p. 90-91; O. BAYER, op. cit., p. 293; R. FALCÓN, op. cit., pp. 94-121; C. BASSI, Amore e anarchia, cit., p. 109; G. BERTI, op. cit., pp, 135; L. BETTINI, op. cit., pp. 3-4. 491 Al giornale L’Amico del Popolo, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. I, n. 3, 11 ottobre 1885. Cfr. G. BERTI, op. cit., p. 136. Nel secondo numero, a proposito dell'imminente conferenza organizzata dal Circolo Socialista, s’augurava che il tema trattato «attrarrà indubbiamente molti operai, specialmente repubblicani». Vd. Cose locali, in «La Questione Sociale», n. 2, 4 ottobre 1885.

202 proprio movimento di emancipazione degli oppressi nella nazione sudamericana, si propose di radunare «un forte nucleo di socialisti, che [potessero] a suo tempo apportare un concorso efficace, sia morale che materiale, ai nostri compagni d’Europa che si preparano alla riscossa».493 Questa prospettiva non fu esclusiva del periodico malatestiano e di fatto si mantenne, con alcune sfumature, durante i primi anni ‘90 fra i giornali anarchici in lingua italiana. Il panorama del movimento libertario in Sudamerica di quegli anni era ancora agli esordi. Nonostante ciò, nel novembre 1885 il Circolo Socialista riuscì a convocare e costituire un comitato, al quale dovevano aggiungersi delegati francesi, spagnoli e tedeschi, per l’organizzazione del I Congresso Internazionale Socialista, proposto per la metà del 1886 e al quale dovevano prendere parte socialisti e anarchici sparsi per il continente americano.494 I legami fra i militanti e i loro circoli nei diversi paesi latinoamericani, infatti, erano molto deboli nel 1885. Nonostante ciò, Malatesta aveva partecipato alle riunioni di diverse associazioni operaie e gruppi anarchici e socialisti di Buenos Aires, compreso il Vörwarts, e «La Questione Sociale» aveva stabilito dei contatti con il giornale anarchico-colletivista «Federación de Trabajadores» di Montevideo, diretto dallo spagnolo Zacarias Rabassa.495 È probabile che sia stata la precarietà di questi rapporti, piuttosto che il viaggio di Malatesta, Palla e altri in Patagonia a metà del 1886, la ragione principale del fallimento dell’iniziativa. Infatti, oltre a quella prima riunione di novembre, non abbiamo reperito più notizie al riguardo.496

492 Avviso, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. I, n. 10, 29 novembre 1885. Secondo Fernando Devoto, Errico Malatesta, come molti altri militanti anarchici e socialisti, tentò di stabilire rapporti con le associazioni repubblicane italiane e parallelamente mobilitare il nascente movimento operaio locale. Vd. F. Devoto, Historia de los italianos en la Argentina, cit., p. 293. 493 Cose locali, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. I, n. 2, 4 ottobre 1885. 494 Vd. Cose locali, «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. I, n. 8, 15 novembre 1885; Sección Internacional, in «Federación de Trabajadores», Montevideo, n. 13, 21 novembre 1885. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 91; G. BERTI, op. cit., p. 137. 495 Nell’ottobre 1885, il giornale «Federación de Trabajadores» ringraziava le «visite»ricevute alla redazione del giornale da parte di diversi periodici, fra i quali «La Questione Sociale» ed «El Artesano» di Rosario, oltre ad alcuni altri periodici uruguaiani. Vd. Les agradecemos, in «Federación de Trabajadores», Montevideo, a. I, n. 7, 17 ottobre 1885. Probabilmente, queste «visite» riferivano solo lo scambio di giornali. Infatti, a mettere in dubbio la solidità dei rapporti fra «La Questione Sociale» e «Federación de Trabajadores» c'è il fatto che l’unico riassunto pubblicato da questo giornale su una conferenza di Malatesta nella sede di via Piedad a Buenos Aires – particolarmente quella del 20 settembre nella quale Malatesta parlò di cristianesimo e socialismo criticando l’idea che Cristo sia stato il primo socialista, essendo contestato dal professore Alejo Peyret – sia stato trascritto dal periodico bonaerense «L’Italia». Vd. Círculo Socialista, in «Federación de Trabajadores», Montevideo, a. I, n. 5, 3 ottobre 1885. Cfr. G. ZARAGOZA, op. Cit., p. 91; G. BERTI, op. cit., p. 137. 496 L’anarchico campano sarebbe partito per il Cabo de las Islas Vírgenes, nell’estremo sud argentino, insieme a Galileo Palla, Cesare Agostinelli, un certo Meniconi e un altro non identificato, alla ricerca d’oro. I cinque gold seekers tornarono a Buenos Aires a metá del 1887, senza niente fra le mani e dopo aver sofferto le durissime condizioni della Patagonia. Vd. la lettera di Malatesta a Max Nettlau, Roma, 12

203 Durante l’anno che Malatesta e compagnia si recarono in Patagonia, non si hanno praticamente notizie sui coniugi Pezzi. Supponiamo che Francesco avesse continuato con il suo commercio di macchine da cucire e che in qualche modo Luisa l’abbia assecondato, essendo lei una sarta. Sappiamo che Francesco Natta fece trasferire i suoi giovani figli, Ezio e Temistocle, a Buenos Aires per lavorare con lui nell’officina meccanica.497 Da parte sua, Domenico Ceccarelli rimpatriò in Italia nei primi mesi del 1886 e interrogato dalla polizia italiana rivelò che Malatesta, Rey, Serantoni e Matteucci pubblicavano «La Questione Sociale» e speravano di venire presto in Italia «coi mezzi necessarii per tentare un movimento repubblicano», attraverso «uno sbarco clandestino in qualche porto della penisola con centinaia di armati».498 Sicuramente Ceccarelli tentò di confondere la polizia con la sua dichiarazione, poiché Serantoni si trovava in Spagna e probabilmente il giornale bonaerense aveva già finito le pubblicazioni prima della partenza del Ceccarelli. Ma soprattutto, gli anarchici non avrebbero sprecato le loro risorse in un moto repubblicano. In ogni caso, nel luglio 1886 sembra che il savignanese avesse preso domicilio a Montevideo, in via 25 de Mayo.499 Secondo Emilio Gianni, Marsilio Ceccarelli, socialista rivoluzionario romagnolo e cugino di Domenico, si trasferì nel 1886 in Argentina, stabilendosi per due anni a Santa Fe, dove avrebbe perso un occhio a causa di un colpo d’arma di fuoco.500 Il 30 settembre dello stesso anno, un altro gennaio 1931, IISG, Max Nettlau Papers, General correspondance, fasc. 786 Errico Malatesta, ed E. MALATESTA, Galileo Palla e i fatti di Roma, in «La Rivendicazione», Forlì, a. VI, n. 20, 23 maggio 1891. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 93-95; G. BERTI, op. cit., p. 137; F. QUESADA, op. cit., pp. 37-38. 497 Temistocle Natta, di 19 anni, arrivò al porto di Buenos Aires il 13 novembre 1885 con la nave La France, partita da Marsiglia, mentre Ezio, diciottenne, arrivò il 19 di febbraio 1886 con il piroscafo Roma, partito da Genova. Vd, Listado de pasajeros: 1882 a 1920, in S. LAMPERTI (coord.) e M. RISANI (autor), Website «Barcos de Agnelli», [online]: https://sites.google.com/site/barcosdeagnelli/Listado, consultato per l'ultima volta il 30 settembre 2015. Vd. anche le note del MAE al Ministro d’Italia a Buenos Aires su Ezio e Temistocle, 4 dicembre 1885 e 9 febbraio 1886 rispettivamente, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Cfr. C. BASSI, op. cit., p. 110. 498 Nota del MAE al Ministro d’Italia a Buenos Aires, 9 marzo 1886, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Florido Matteucci partì da Genova per Buenos Aires con tutta la famiglia, nei primi di settembre del 1885, dopo essere stato dimesso dal carcere. Vd. La nota del MAE al Ministro d’Italia a Buenos Aires, 8 settembre 1885, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Anche se è molto probabile che Matteucci collaborasse con Malatesta e compagni una volta nella capitale argentina, l’informazione disponibile sulla sua attività in Sudamerica riguarda sopratutto la sua partecipazione alla massoneria, la direzione del giornale «Il Progresso» e la sua collaborazione nei giornali italiani di Buenos Aires «La Scintilla» e «La Rivendicazione». Vd. Matteucci Florido, in DBAI, vol. II, pp. 128-129. 499 Vd. le note del MAE all’Incaricato d’Affari d’Italia a Montevideo, 13 luglio, 18 e 21 settembre 1886, e il rapporto inviato da Montevideo al MAE, 15 agosto 1885, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 - Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo. Anche Napoleone Papini, secondo il Ministro d’Italia a Buenos Aires, aveva cambiato domicilio a Montevideo dopo il fallimento del suo almacén. Vd. rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 11 gennaio 1887, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 500 E. GIANNI, La parabola romagnola del «partito intermedio», cit., p. 342.

204 socialista rivoluzionario, Pompeo Brunelli di Cesena, con mandato di cattura per sedizione e ribellione alla forza pubblica, s’imbarcò da Genova insieme a Maria Totti, e a Buenos Aires s’impiegò presso il Dr. José Negri.501 Brunelli e Marsilio Ceccarelli furono fra i primi socialisti costiani che si recarono in Argentina, il cui numero crebbe dal 1887, in seguito alla crisi del PSRR, quando noti militanti forlivesi come Sesto Fortuzzi e Antonio Petrignani, i cesenati Rito Balducci e Secondo Cappellini, il ravennate Cesare Golfarelli e altri romagnoli, iniziarono il loro «pellegrinaggio» verso Buenos Aires.502 Durante il 1886, mentre nella capitale argentina si organizzavano nuovi circoli e gruppi di studi sociali comunisti anarchici nei quartieri d’immigrati, particolarmente a La Boca, alla fine dell’anno alcuni dei gruppi libertari esistenti a Buenos Aires lanciarono un manifesto criticando le disposizioni sanitarie delle autorità per combattere il colera, per la cui affissione sui muri della città furono arrestati Ettore Mattei, Vittorio Cavola, E. Grandi ed E. Malnatti, rimanendo in carcere per cinque mesi. Questo fu il primo dei quattro manifesti anarchici che si distribuirono nella capitale argentina prima del 1890. Il secondo uscì nel novembre del 1888 in commemorazione dei Martiri di Chicago e gli altri due nel corso del 1889.503 L'entrata in carcere di Mattei costrinse il Gruppo Comunista Anarchico a rimandare di qualche mese l’uscita della sua nuova iniziativa, il giornale «Il Socialista», il quale apparve a Buenos Aires nel luglio 1887 come un foglio bilingue in italiano e in spagnolo.504 Analogamente a «La Questione Sociale», «Il Socialista» dedicò poco spazio alle vicende locali del movimento operaio e socialista e invece promosse la propaganda dottrinaria pubblicizzando anche molti opuscoli in lingua italiana in vendita presso l’amministrazione del periodico e diversi giornali europei, in particolari italiani, quali «Humanitas» di Napoli, «La Montagna» di San Remo, «La Lotta» di Mantova, «Paupertas» di Piedimonti d’Ulife, «La Gazzetta Operaia» di Torino e «Il Fascio Operaio» di Milano, oltre ai fogli locali «El Tipógrafo» e «Vörwarts». Secondo la rubrica Piccola posta, il giornale era distribuito in Argentina, oltre a Buenos Aires, anche a Córdoba, Villa Luján e Rosario, e arrivava inoltre a Montevideo, São Paulo

501 Vd. Le note del MAE all’Incaricato d’Affari d’Italia a Montevideo, 1 ottobre 1886 e 30 gennaio 1887, e il rapporto della Legazione al MAE, 3 novembre 1886, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo; la nota del MAE al Ministro d’Italia a Buenos Aires, 20 gennaio 1887, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 502 E. GIANNI, op. cit., p. 193 e 274. 503 Cfr. G. ZARAGOZA, op. Cit., p. 92; R. FALCÓN, op. cit., p. 95. Vd. anche Raffaele Rocca, in «Lavoriamo», a. I, n. 6, 1 luglio 1893. 504 Rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 22 luglio 1887, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Cfr. L. BETTINI, op. cit., pp. 4-5; M. R. OSTUNI, op. cit., p. 109.

205 e Milano, e forse anche Firenze e Torino.505 Come il giornale del circolo dei Pezzi, sembra che neanche «Il Socialista» avesse dei contatti con gruppi o singoli militanti dell’Emilia e della Romagna. È probabile che i coniugi Pezzi non abbiano collaborato alla redazione de «Il Socialista», almeno seconda la corrispondenze apparsa nella Piccola posta del numero 6 del giornale, nella quale si rispondeva a un compagno di Córdoba: «L’amico Err… Ma… non collabora nel Socialista, nemmeno gli altri di cui mi domandi ci fanno pervenire i loro scritti». Supponiamo che fra quegli altri ci fosse anche la coppia ravennate. Molto più probabile è la loro partecipazione, invece, all’unica collaborazione conosciuta fra i gruppi di Malatesta e di Mattei e cioè la formazione della Sociedad Cosmopolita de Resistencia y Colocación de Obreros Panaderos, costituita ufficialmente il 18 luglio 1887 grazie all’azione svolta da Ettore Mattei – che ne fu il segretario gerente per nove anni, pubblicando nel 1894 il giornale «El Obrero Panadero» – e dagli anarchici panettieri Francesco Mommo, Marino Garbaccio e Rafael Torrents, i cui statuti e regolamenti furono redatti da Malatesta, i quali servirono come modello per la costituzione di nuove società di resistenza di orientamento anarchico negli anni successivi e in particolare quelle dei calzolai, degli zincatori, degli operai meccanici e dei falegnami.506 Nell’Argentina di quegli anni, infatti, il movimento operaio stava muovendo i suoi primi grandi passi. Oltre alla società di resistenza fra panettieri, si costituirono diverse associazioni di mestiere, tra esse la Sociedad Internacional de Carpinteros, Ebanistas y Anexos (1885), La Fraternidad, società di mutuo soccorso fra macchinisti ferroviari e fuochisti (1887), l’unica di carattere nazionale del periodo e la Societad Cosmopolita de Zapateros (1888). La stragrande maggioranza delle società erano composte da lavoratori immigrati e la maggior parte di esse ebbe breve durata. Già nel 1887 s’iniziò a percepire un cambio nelle condizioni economiche del paese e progressivamente i salari reali cominciarono a diminuire, portando con sé un’ondata di scioperi che arrivò sulla trentina nel biennio 1888-1889, la maggior parte di essi a Buenos Aires. Un 30% dei conflitti riguardarono i ferrovieri e ci furono inoltre scioperi di calzolai, falegnami, muratori, operai metallurgici, panettieri e soprattutto operai portuali, la maggior parte dei quali vinsero Non mancarono però, certi episodi di repressione e arresti di alcuni

505 Vd. «Il Socialista», Buenos Aires, a. I (1887): n. 6, 28 agosto 1887; n. 7, 4 settembre 1887; n. 8, 11 settembre 1887, in particolare le rubriche Opuscoli e giornali e Piccola posta. 506 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 93-98; R. FALCÓN, op. cit., p. 94; G. BERTI, op. cit., 139. Il programma e il regolamento della società furono pubblicati in tre numeri di «El Obrero Panadero». Vd. «El Obrero Panadero», Buenos Aires, a. I, n. 17, 31 agosto 1895 e successivi.

206 attivisti. Socialisti e anarchici si coinvolgevano più esplicitamente e attivamente nei conflitti del lavoro, la stampa si occupava degli scioperi, lo Stato non interveniva se non per reprimere «selettivamente» alcuni agitatori, soprattutto anarchici, mentre i padroni diedero vita nel 1887 a una propria associazione, l’Unión Industrial, che sistematicamente non riconobbe le associazioni operaie.507 Quest’ambiente fu fondamentale per l’attivismo di Errico Malatesta e compagni. Tornato a Buenos Aires dalla sua avventura patagonica, Malatesta riprese il suo lavoro di meccanico elettricista, la sua attività nel Centro di Studi Sociali e più tardi aprì una tipografia dove si stamparono alcuni manifesti. Alcuni autori segnalano che l’anarchico campano si dedicò inoltre a studiare la vita contadina dell’Argentina e a fabbricare e commerciare del vino – compiendo diversi viaggi a Montevideo –, e infine che diresse la rivista agricola «La Granja Blanca».508 La cosa più importante, però, è che Malatesta concentrò la sua attività propagandistica soprattutto in «direzione sindacale», dando vita alla «prima formulazione malatestiana fra movimento politico e movimento economico», con la quale si concepiva il ruolo del sindacato come esclusivamente economico, costruito in un senso «internazionalistico», lasciando fuori dell’ambito rivendicativo l’azione propriamente politica. Infatti, Malatesta partecipò allo sciopero dei panettieri del gennaio 1888 e a quello dei calzolai nel novembre dello stesso anno, essendo anche uno dei redattori del manifesto degli scioperanti, insieme a Mattei e allo spagnolo Rabassa. Inoltre fu uno dei promotori dell’avvicinamento ai socialisti nei contesti di sciopero e d’agitazione sociale.509 Dopo il fallimento della strategia di diffondere le idee anarchiche fra i repubblicani, Malatesta e i suoi compagni si rivolsero agli operai, ai i quali non bastava la pura e semplice propaganda libertaria, ma il titanico compito di creare la base sociale della rivoluzione: l’organizzazione dei lavoratori.

507 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., p. 80-82; G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 98-101, 117-120; F. QUESADA, op. cit., pp. 4-12; A. BELLONI, Del anarquismo al peronismo. Historia del movimiento obrero argentino, Buenos Aires, Punto de Encuentro, 2011, pp. 20-21; R. MUNCK, op. cit., p. 36. 508 Cfr. G. ZARAGOZA op. cit., p. 90; F. QUESADA, op. cit., pp, 36-38; G. BERTI, op. cit., pp. 139. In ogni caso, come suggerisce Zaragoza, non esistono fonti sufficienti per assicurare nemmeno l’esistenza della detta rivista. 509 Cfr. G. BERTI, op. cit., p. 140; I. OVED, El anarquismo y el movimiento obrero en Argentina, Buenos Aires, Imago Mundi, 2013 [México D. F., Siglo Veitiunio Editores, 1978], pp. 45-46. Malatesta partecipò a una riunione dei calzolai in sciopero, tenuta nella sede del Verein Vörwarts nel novembre 1888, insieme a socialisti e anarchici, nella quale polemizzò con un rappresentante degli industriali e fu eletto per la commissione che redasse il manifesto degli scioperanti. Vd. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 102-103; R. FALCÓN, op. cit., p. 82. Questa riunione fu riferita anche dal Ministro d’Italia in Argentina, che sosteneva che l’immigrazione aveva portato molti operai socialisti ed anarchici e che il malcontento nella repubblica platense era fomentato da un «nucleo socialista, pieno di audacia», la cui agitazione fra agli operai era la causa degli scioperi avvenuti nel corso dell’anno. Vd. Il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 27 novembre 1888, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires.

207 In concomitanza, anche il movimento anarchico vide accrescere la propria attività. Secondo il giornale «Il Socialista», all’inizio di settembre 1887 si costituiva un nuovo gruppo comunista anarchico nella capitale, mentre nel novembre si tenne una riunione commemorativa dei Martiri di Chicago a Buenos Aires, convocata dal Club Internacional Socialista, dal gruppo L’Etincelle di Verviers e dal Circolo Operaio di Barrancas.510 La formazione di gruppi anarchici iniziava ad oltrepassare i confini della metropoli platense: nel 1888 a Rosario esistevano già due gruppi libertari, il Circolo Socialista e il Círculo Socialista Anárquico, mentre i socialisti bonaerensi del Verein Vörwarts avevano stabilito dei rapporti con alcuni militanti rosarini.511 Nel settembre 1889, a proposito della ricorrenza «patriottica» della Breccia di Porta Pia, si pubblicò a Buenos Aires, «a cura di alcuni giovani», il numero unico «Venti Settembre», il cui gruppo redazionale si dichiarò comunista anarchico e si scagliava contro il nazionalismo repubblicano. Il foglio salutava inoltre l’uscita del giornale montevideano «Il Socialista» e chiedeva ai compagni d’inviare articoli e denaro a Galileo Botti per la pubblicazione di un numero unico commemorativo del’11 novembre.512 Verso la fine degli anni ’80, anche i militanti libertari di Montevideo erano piuttosto attivi e nel 1888 pubblicarono una serie di manifesti diretti ai lavoratori, fra essi uno bilingue, in memoria dei Martiri di Chicago.513 L’anno dopo, il 18 agosto, apparve nella capitale uruguaiana il primo numero del giornale in lingua italiana «Il Socialista», che dopo i primi numeri prese il sottotitolo di «Organo comunista-anarchico redatto dai lavoratori». Il periodico prestò particolare attenzione ad alcuni fatti accaduti nella vicina Argentina, come le dimostrazioni di violenza dei «sedicenti monarchici» contro repubblicani e socialisti e l’arresto di tre redattori del giornale «Cosmopolita», accusati di essere socialisti. Soprattutto pero, si occupò delle persecuzioni sofferte dagli anarchici

510 G. ZARAGOZA, op. cit., p. 92. Vd. anche Piccola posta, in «Il Socialista», Buenos Aires, a. I, n. 7, 4 settembre 1887. Nel settembre doveva realizzarsi, inoltre, una riunione nel restaurant Duca di Genova, nella capitale argentina, per trattare i mezzi con cui collaborare all’agitazione e alla propaganda anarchica in Europa. Vd. Avviso agli amici, in «Il Socialista», Buenos Aires, a. I, n. 8, 11 settembre 1887. 511 R. FALCÓN, La Barcelona argentina. Migrantes, obreros y militantes en Rosario, 1870-1912. Rosario, Laborde editor, 2005, p. 69. 512 «Venti settembre», Buenos Aires, numero unico, 20 settembre 1889. Cfr. L. BETTINI, op. cit., pp. 5-6. La pubblicazione annunciava anche la prossima uscita del giornale «Demoliamo», «organo degli straccioni», il cui indirizzo era lo stesso di Galileo Botti, via San José n. 9, ma segnalato come recapito di Angelo Careghini. Il giornale, però, non comparve se non nel 1893 a Rosario, sotto la direzione del Careghini. Vd. L. BETTINI, op. cit., pp. 7-8. 513 11 noviembre 1888, firmato Gli Anarchici di Montevideo, in IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3410 Uruguay 1880-1924. Nello stesso fascicolo si trovano anche i manifesti in lingua spagnola del 1888, El Grupo Anárquico de Montevideo a todos los trabajadores de América del Sud; A los obreros de Montevideo; Hasta el fin.

208 e particolarmente dell’arresto di Ettore Mattei, Émile Piette, Indalecio Cuadrado, Victorino San José e altri militanti libertari, in concomitanza con il sequestro di un manifesto comunista anarchico diretto ai lavoratori – nel contesto degli scioperi dei muratori e dei falegnami –, accaduto il 23 settembre 1889 nella tipografia di Barracas al Sur – dove si trovarono alcuni esemplari del giornale di lingua italiana edito a Parigi «Il Pugnale», che raccomandava l’uso di bombe. Lontano dal dipingere la polizia argentina come «la migliore fra le polizie del mondo», come suggeriva un giornale bonaerense, non facevano che aiutare la propaganda dell’ideale libertario.514 Gli anarchici di Buenos Aires e quelli di Montevideo iniziavano a creare dei rapporti più saldi, che nei fatti portarono alla pubblicazione del numero unico trilingue – italiano, spagnolo e francese –, «11 de Noviembre», opera dei gruppi Tierra y Libertad, 11 de Noviembre e Circolo Socialista Internacional di Buenos Aires, Los Miserables di Rosario di Santa Fé, e Grupo Anárquico, Luisa Michel e Juventud Revolucionaria di Montevideo, foglio nel quale, inoltre, il Centro Socialista di Montevideo convocava una riunione pubblica – anche essa trilingue – nella capitale uruguaiana il 10 novembre per commemorare gli impiccati a Chicago.515 Intanto, alcuni anarchici di Buenos Aires riuscivano ad approfondire i rapporti collaborativi anche con i socialisti attraverso alcune riunioni nelle quali il ruolo di Malatesta sembra fosse stato fondamentale. Il 18 marzo 1888, socialisti e anarchici organizzarono insieme una conferenza tenuta al Verein Vörwarts per commemorare la Comune di Parigi, la quale fu sciolta dalla polizia, che arrestò sei anarchici, i quali tuttavia furono rilasciati il giorno successivo. Un mese dopo nasceva la proposta di creare una federazione operaia, argomento che fu ripreso dal gruppo di Malatesta in una riunione tenuta al Café Grütli. Nei primi di giugno, in una adunanza nel Vörwarts, in cui parteciparono Malatesta e Mattei fra altri anarchici, l’idea della federazione fu finalmente concordata e stabilita l’autonomia delle sezioni come uno dei suoi principi. In seguito, il Circolo Socialista Internazionale continuò a riunirsi periodicamente – ogni quindici

514 Vd. Confutazione dell’articolo Efectos de la Crisis, Socialismo e polizia e Notizie varie, in «Il Socialista», Montevideo, a. I, n. 5, 13 ottobre 1889; lettera di Victoriano San José [ottobre 1889] dalla Penitencieria di Buenos Aires, in «Il Socialista», Montevideo, a. I, n. 6, 27 ottobre 1889. Cfr. L. BETTINI, op. cit., pp. 269-270; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 120-121. Secondo Zaragoza, la perquisizione fu realizzata nella libreria del belga Émile Piette. Il Manifesto Comunista-Anárquico. A los Trabajadores de la República Argentina, Buenos Aires, settembre 1889, firmato dai gruppi El Once de Noviembre e Tierra y Libertad, per il quale la polizia arrestò Mattei e gli altri, si trova in IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3389 Argentina Anarchism 1884-1924. 515 Vd. «11 de Noviembre», Buenos Aires–Montevideo, numero unico, novembre 1889. Un esempio precedente della costruzione dei rapporti ed eventuale collaborazione fra gli anarchici delle due capitali sudamericane, si trova ne «Il Socialista» di Montevideo, che alla fine di settembre 1889 salutava la pubblicazione del numero unico «Venti Settembre» a Buenos Aires e raccomandava i compagni di quella città d’inviare articoli per il proprio giornale scrivendo a Felice Vigliano. Vd. Piccola posta, in «Il Socialista», Montevideo, a. I, n. 4, 29 settembre 1889.

209 giorni - secondo l’autorità diplomatica a Buenos Aires. Durante l’inverno sudamericano indirizzò una lettera di saluto al recentemente scarcerato per grazia, Amilcare Cipriani e aprì una sottoscrizione permanente a favore dell’azione e della propaganda socialista in Europa, mentre in una riunione tenuta al Grütli nel settembre, alla quale parteciparono circa settanta persone, il Circolo trattò il tema della sorveglianza poliziesca di cui erano vittime gli anarchici. Il ruolo del Circolo Socialista Internazionale e di Errico Malatesta in particolare, che riteniamo fosse stato assecondato dai coniugi Pezzi e altri, favorì la collaborazione fra socialisti e anarchici con lo scopo di fomentare la formazione di società di resistenza e di ampliare il movimento scioperante che ebbe luogo verso la fine degli anni ’80. Cercò inoltre di evitare le scissioni fra i gruppi anarchici, come quelle avevano già avuto luogo in Spagna fra collettivisti e comunisti, questi ultimi, nel caso spagnolo, contrari alle organizzazioni federative.516 Intanto, le nuove ondate di anarchici arrivati dall’Europa aiutavano a rafforzare le file libertarie. Secondo la corrispondenza fra il Ministero degli Affari Esteri d’Italia e la Legazione a Buenos Aires, nel maggio 1889 si accertava la presenza a Buenos Aires del calzolaio Guglielmo Marocco e di Piedimonte d’Alife, ad agosto si confermava che il sarto Gaetano Grassi, vecchio compagno dei Pezzi nell’Internazionale fiorentina, si trovava nella stessa città, mentre un mese dopo il calzolaio livornese Galileo Botti era segnalato al Plata, seppur non si sapesse con certezza se a Buenos Aires o a Montevideo e, infine, nell’ottobre il calabrese Giovanni Domanico era rintracciato nella capitale argentina come gestore di un negozio di vino.517 Anche alcuni romagnoli furono segnalati dalle autorità italiane, quali il calzolaio socialista Domenico Ravajoli, di Castrocaro, che verso l’agosto 1888 prese domicilio a Córdoba presso il medico chirurgo tale Piccinini, grazie al quale s’impiegò nella banda provinciale.518 Più interessante è la vicenda di Luigi

516 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 103-105; G. BERTI, op. cit., pp. 139-141. Vd. Anche il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 5 agosto 1888, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Secondo questo documento, le riunioni del Circolo erano tenute in calle Comercio 336, ed erano presiedute dall'ex farmacista Otto Recke. Dall’altra parte, «Il Socialista» di Montevideo, nel settembre, salutava la buona accoglienza che aveva avuto l’idea di formare «una grande associazione internazionale di lavoratori in Buenos Ayres”. Vd. Echi Bonaerensi, in «Il Socialista», Montevideo, a. I., n. 4, 29 settembre 1889. 517 Vd. la corrispondenza fra il MAE e la Legazione d’Italia a Buenos Aires dell’anno 1889, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Nel febbraio 1890, si confermava la presenza di Guglielmo Marocco e Giovanni Domanico a Buenos Aires, entrambi in rapporti con i socialisti. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Montevideo diretto al MAE, 4 febbraio 1890, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo. 518 Vd. la corrispondenza fra il MAE e la Legazione d’Italia a Buenos Aires, fra il 14 aprile e il 25 giugno 1888, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires.

210 Angelini, detto Bigion, riminese condannato in Italia ai lavori forzati a vita per omicidio, che arrivò nella città di La Plata verso l’ottobre del 1887, cercando Malatesta raccomandato dall’anarchico riminese Caio Zavoli. Malatesta, che secondo le autorità consolari effettivamente si trovava a La Plata in quel periodo – in via Calle 61 –, l’avrebbe incontrato e ancora nel febbraio 1888 si sarebbero trovati in un caffè del porto. Angelini avrebbe cambiato il proprio cognome, prima con Benedetti e poi con Guidi e nel 1889 si trovava ancora a La Plata dove, fin dal suo arrivo, s’era impiegato in una birreria.519 Non tutte le partenze di anarchici e socialisti dall’Italia furono comunicate alle autorità consolari argentine. Molti attivisti arrivarono in Sud America senza che legazioni e consolati fossero avvertiti, nonostante le prefetture nella penisola fossero al corrente. In un elenco della Prefettura di Forlì del 1889, si segnalava che Amedeo Ghetti era partito nel gennaio per l’Argentina, mentre in una lista degli anarchici di Forlimpopoli, Vittorino Valbonesi era segnalato come partito per la stessa destinazione il 1° maggio dello stesso anno. Non è chiaro perché Valbonesi rimpatriò dopo un breve soggiorno di qualche mese nel paese sudamericano, reinserendosi subito nel movimento anarchico forlimpopolesi, mentre del Ghetti non si ebbero più notizie, probabilmente perché smise di svolgere attività politiche di rilievo.520 Anche il ravennate Giovanni Zirardini partì per l’Argentina nel 1889, arrivando a Buenos Aires con la moglie e i figli verso la fine dell’anno, città nella quale riprese il suo lavoro come pittore decoratore e partecipò al movimento socialista e anarchico animato dagli emigrati italiani.521 Altri due romagnoli raggiunsero il paese sudamericano durante l’ultimo anno della decade. Uno fu il forlivese Giovanni Ragazzini, in patria un «fervente socialista», che lasciò la sua città nel 1887 per imbarcarsi verso il Sud America, anche se non è chiara la data di arrivo nella capitale argentina.522 L’altro anarchico fu il forlivese Luigi Brunini, che approdò nel

519 Vd. le note del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 10 novembre, 6 dicembre 1887 e 24 marzo 1888, e i rapporti della Legazione, 7 febbraio 1888 e 23 aprile 1889, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 520 Su Amadio Ghetti, vd. Relazione statistica sugli anarchici della città di Forlì, s.d. [1889], ASFo, GP, b. 140 (1890), fasc. 68. Cfr. E. GIANNI, op. cit., p. 358; Ghetti Amadio, in DBAI, vol. I, p. 692, dove si segnala però la sua partenza il 1° dicembre 1888. Su Vittorino Valbonesi, vd. Affiliati al partito anarchico del comune di Forlimpopoli, s.d., ASFo, GP, b. 140 (1890), fasc. 68. Cfr. Valbonesi Vittorino, in DBAI, vol. II, p. 643. 521 Vd. Dal Nord America, in «La Rivendicazione», Forlì, a. IV, n. 43, 10 novembre 1889. Cfr. Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; E. GIANNI, L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit., pp. 645. 522 Nota della Pref, di Forlì alla DGPS, 18 luglio 1901, ACS, CPC, b. 4199, fasc. Ragazzini Giovanni. Giovanni Ragazzini, pittore decoratore, fu Giovanni e Vittoria Mezzanoti, nacque a Forlì il 20 luglio 1859 e nonostante si mostrava un «fervente socialista», ebbe «sempre condotta regolare» e non riportò condanne. Secondo la base di dati Barcos di Agnelli, la moglie di Ragazzini, Anna, sarta di 28 anni e le sue figlie Alcea di 3 anni e Vittoria di 11, arrivarono con il pirsocafo Perseo a Buenos Aires il 10 agosto 1888. Vd. Listado de pasajeros: 1882 a 1920, in S. LAMPERTI (coord.) e M. RISANI (autor), Website «Barcos de Agnelli», [online]: https://sites.google.com/site/barcosdeagnelli/Listado, consultato per l'ultima volta il 30 settembre 2015.

211 paese sudamericano nel dicembre 1889 con sua moglie Adele dopo aver lasciato la sua carriera nella Cancelleria presso il Tribunale di Pesaro, città nella quale si era trasferito fin dalla metà degli anni ‘60.523 Alla fine degli anni ’80, i legami del movimento anarchico e socialista dell’Emilia e della Romagna con l’Argentina, iniziavano a posare le proprie basi. Nel numero unico «Venti Settembre», uscito a Buenos Aires nel 1889, la corrispondenza del gruppo redazionale, oltre a dirigersi a varie città italiane e a noti militanti come Luigi Galleani e Pietro Gori, ebbe come destinatario Angelo Canovi, di Reggio Emilia, al quale si chiedeva d’inviare notizie.524 Nel settembre e nell’ottobre, il giornale montevideano «Il Socialista» pubblicava due piccole note sulla Romagna, una delle quali riferiva lo scioglimento del circolo La Giustizia di Rimini perché comunista anarchico e l’altra informava sull’allargamento di uno sciopero a cui si erano aggiunti le cucitrici e gli operai meccanici della fabbrica Spinola.525 Sembra che la presenza in Argentina di internazionalisti romagnoli durante quegli anni non fosse rara. Nel settembre 1888, il Conte Giuseppe Tozzoni, socialista arrivato a Buenos Aires a luglio, proveniente da Cadice dopo essere stato espulso dalla Francia, fu ucciso in misteriose circostanze e si speculava che gli autori fossero stati alcuni dei suoi compagni, «carrettieri romagnoli», per questioni di denaro. Tuttavia sembra che il Tozzoni non avesse frequentato i socialisti e risultava più possibile che fosse stato assassinato invece dai fratelli Farina, nella cui impresa il conte era impiegato come contabile ma si era licenziato due giorni prima della sua morte.526 Qualche mese dopo, nel marzo 1889, il cuoco Antonio Padovani, originario di Brisighella, Ravenna, chiese al Consolato di Rosario, città in cui si era stabilito, i mezzi finanziari per poter lasciare l’Argentina, «ove è minacciato nella vita dagli Internazionalisti Romagnoli, a causa delle delazioni da lui fatte in patria sui loro maneggi». Padovani aveva denunciato il furto della

È possibile che Ragazzini abbia usato un nome falso per imbarcarsi, sia sullo stesso piroscafo di sua moglie o su un altro, in ogni caso il suo nome non compare nella base di dati. 523 Luigi Brunini, scrivano e giornalista, fu Gaetano e Faccino Teresa, nacque a Forlì il 21 agosto 1850, e sposò Adele Natali nel 1870 a Pesaro, città nella qualle «dimostrò idee socialiste e accarezzò teorie anarchiche». Vd. ACS, CPC, b. 864, fasc. Brunini Luigi. Luigi e Adele arrivarono a Buenos Aires il 16 dicembre 1889 con il piroscafo Città di Genova, provenienti dalla capitale ligure. Vd. Listado de pasajeros: 1882 a 1920, in S. LAMPERTI (coord.) e M. RISANI (autor), Website «Barcos de Agnelli», [online]: https://sites.google.com/site/barcosdeagnelli/Listado, consultato per l'ultima volta il 30 settembre 2015. 524 In barba ai francobolli, in «Venti Settembre», Buenos Aires, numero unico, 20 settembre 1889. Fra i corrispondenti c’era un altro di Reggio Emilia, il «dott. C. P.», probabilmente Camillo Prampollini, al quale si chiedeva di salutare «Mattioli e gli altri» e s’inviavano i saluti da Angelo Careghini. 525 Vd. «Il Socialista», Montevideo, a. I (1889): Cronaca, n. 3, 15 settembre; Nella Romagna, n. 5, 13 ottobre. 526 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 25 giugno 1888, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires.

212 Cassa di Risparmio di Brisighella nel marzo 1887 e si vide costretto a lasciare l’Italia – sovvenzionato dal governo – poiché, secondo lui, alcuni militanti del Circolo Garibaldi di Brisighella, accusati del furto, lo minacciarono e lo incolparono dell’accaduto. Nel maggio, il MAE approvò un sussidio di 100 lire a favore di Padovani.527 Nello stesso mese, Errico Malatesta era segnalato come da poco tornato a Buenos Aires – sembra da La Plata –, dove amministrava una tipografia, che vendette a metà dello stesso mese per preparare il suo rientro in Europa, dopo che il viaggio si era accelerato a causa dell’accusa contro alcuni socialisti e anarchici di falsificare moneta del Banco di Córdoba. Malatesta fu ritenuto «l’anima di quella associazione», nella quale, secondo la polizia argentina, avrebbero partecipato anche Salvatore Ingegneros, Filippo Cioci, Florido Matteucci, Paolo Panollini e Galileo Palla. Quest’ultimo fu incolpato e arrestato in quanto in possesso di un banconote da 50 pesos emessa dal Banco di Córdoba, utilizzata in seguito per incolpare anche gli internazionalisti, capro espiatorio «alla misura» usato per nascondere la sovraemissione di moneta pianificata dal Banco Nacional. La montatura poliziesca e giornalistica del caso, legittimò la perquisizione della casa di Malatesta, dove si trovarono, secondo la versione ufficiale, strumenti e acidi per falsificazioni, oggetti rotti e carte bruciate. Il 14 giugno il Círculo Socialista Internacional indisse una riunione nella quale si discusse l’affare e si votò una risoluzione che fu spedita ai giornali. Il giorno 20 Malatesta e Ingegneros inviarono delle lettere ai giornali locali, mentre il Circolo Comunista Anarchico di Buenos Aires lanciava un manifesto contro la politica monetaria del governo. Malatesta fece perdere le sue tracce, nonostante la sorveglianza della polizia e probabilmente si recò a Montevideo prima di partire per l’Europa.528

527 Vd. il rapporto del Consolato d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 26 marzo 1889, il quale include la lettera del Padovani al console, datata a Rosario il 22 marzo 1889 e la nota del MAE al Consolato di Buenos Aires, 4 maggio 1889, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885- 1896), fasc. Buenos Aires. 528 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 23 aprile, 13 e 18 giugno 1889, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Vd. anche la versione resa pubblica dal Malatesta nel suo processo di fronte al Tribunale Penale d’Ancona nell’aprile 1898, in «L’Agitazione», Ancona, Supplemento Quotidiano, n. 3, 23 aprile 1898, riprodotto in E. MALATESTA, «Un lavoro lungo e paziente…»: Il socialismo anarchico dell’Agitazione, 1897-1898, Opere complete, a cura di D. Turcato, Milano, Zero in condotta, 2011, pp. 337-338. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 95- 96; G. BERTI, op. cit., pp. 141-143; M. R. OSTUNI, op. cit., p. 110; C. BASSI, op. cit., pp. 113-114. Nel febbraio 1890, il rappresentante diplomatico in Argentina scriveva da Montevideo che la polizia e la giustizia si erano disinteressati dell’assunto e di fatto gli arrestati erano già da tempo in libertà. Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Montevideo al MAE, 4 febbraio 1890, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 - Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Montevideo. Nel 1891 furono arrestati Giuseppe Golella e Angelo Alaviero, imputati anche loro per falsificazione di moneta, ma dopo pochi giorni furono scarcerati, mentre non era stato possibile rintracciare Galileo Palla. Vd. il rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 20 luglio 1891, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc.

213 Intanto, un particolare episodio avrebbe messo l'uno contro l'altro Francesco Pezzi con il suo compagno Malatesta. Secondo la polizia italiana, verso i primi di maggio Malatesta si sarebbe trovato a Barracas al Sur con il Pezzi, il quale «accortosi che l’altro avevagli sedotto la moglie, lo avrebbe gravemente ferito di coltello». Un po’ dopo, Francesco scrisse a sua sorella a Ravenna, secondo la polizia, senza accennare però alla lite con il compagno. Il ministro d’Italia a Buenos Aires rispose, ad agosto, che secondo il capo della polizia, la contesa non avrebbe avuto luogo, poiché Francesco Pezzi si trovava ancora a Buenos Aires, mentre si voleva che Malatesta fosse a Montevideo, fuggito dall’ordine di cattura per l’affare della falsificazione.529 In ogni caso, Francesco e Luisa Minguzzi lasciarono l’Argentina nel settembre 1889, incontrando Malatesta a Londra – e probabilmente prima a Nizza – dove collaborarono con il giornale «L’Associazione», fondato dal campano nella città francese e poi trasferito nella capitale inglese.530 Fino alla fine degli anni ’80, la polizia bonaerense praticamente non esercitava sorveglianza sui partiti estremi, se non con alcune eccezioni, come l’episodio della fine 1887, quando Mattei fu incarcerato e altri anarchici espulsi. Tuttavia dal 1889, con la crescita delle agitazioni e degli scioperi, l’attenzione verso i sovversivi diventò organica. Anche la rappresentanza diplomatica italiana in Argentina si mise all’opera, ottenendo dal Ministero degli Affari Esteri una sovvenzione per organizzare un servizio di sorveglianza sugli anarchici, il quale, però, sopravvisse soltanto alcuni mesi.531 Il ministro d’Italia diffidava del lavoro di sorveglianza della polizia argentina sugli anarchici e socialisti segnalati dalla propria Legazione, ragion per cui suggerì diverse volte la creazione di un servizio dipendente dell’autorità diplomatica, finché il Ministero dell’Interno accolse la richiesta e inviò l’agente Aristide Pallini a Buenos Aires per prendersi a carico il compito di organizzare il detto servizio di sorveglianza. Pallini si

(1885-1896), fasc. Buenos Aires. Di fatto, Palla era in Italia ed era stato arrestato e processato a Roma dopo i fatti del Primo Maggio. Dall’altra parte, secondo Zaragoza, Malatesta sarebbe partito da Buenos Aires per l’Europa nel settembre 1889. Vd. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 105. 529 Vd. la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 29 giugno 1889, e la risposta della Legazione, 24 agosto 1889. La notizia fu riferita, in forma sbagliata, alla Legazione d’Italia a Washington nel maggio e questa rispose che la località «Baracano del Sud» non esisteva negli Stati Uniti e che inoltre il Pezzi e il Malatesta erano sconosciuti alle autorità diplomatiche del Nord America. Vd. la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Washington, 18 maggio 1889, e la risposta della Legazione, 2 giugno 1889, ASD-MAE Rappresentanze Diplomatiche Italiane negli Stati Uniti (1848-1901), b. 108, fasc. 2160 Richiesta di notizie da parte del MAE circa un fatto di sangue avvenuto tra due anarchici, 1889. Claudia Bassi sostiene che effettivamente Malatesta ebbe una relazione con Luisa Minguzzi, che e avrebbe avuto luogo solo una volta arrivati in Argentina, cosa che, inoltre, avrebbe portato la ravennate ad assumere posizioni più radicalizzate e Francesco a impiegarsi autonomamente dai progetti di lavoro del Malatesta. Vd. C. BASSI, op. cit., pp. 110-113. 530 Cfr. C. BASSI, op. cit., p. 115; G. BERTI, op. cit., pp. 149. 531 M. R. OSTUNI, op. cit., p. 115-116

214 presentò alla Legazione il 28 novembre 1889 e una volta impiegato, realizzò alcuni «viaggi di ricerca» in altre città argentine, come a Bahia Blanca verso la fine dell’anno. Il lavoro fu fatto, ma le alte spese che prevedeva il servizio, fece sì che nel febbraio 1890 l’agente fosse rilevato del suo posto e sostituito dal fratello Carlo, che viveva a Buenos Aires da molti anni. Carlo Pallini ricevette 400 lire al mese per svolgere il lavoro, ma il servizio fu sospeso dal 1 marzo 1891.532

3.2. Gli anarchici emiliani e romagnoli e l’auge dell’anarchismo antiorganizzatore (1890- 1894)

Lo stato d’agitazione operaia provocato dall’ondata di scioperi del biennio 1888-1889 si arrestò nel 1890 a causa della crisi economica e almeno fino al 1893 il movimento operaio ebbe un periodo di reflusso in cui si contabilizzarono soltanto venti scioperi. La crescita esponenziale degli immigrati in Argentina fra gli anni 1887 e 1889 produsse un eccesso di manodopera che aumentò la disoccupazione – nel 1891 arrivò ai 100 mila disoccupati solo a Buenos Aires – e, in conseguenza, s'approfondì l’inerzia del movimento dei lavoratori. Poche organizzazioni sindacali nacquero in quegli anni, fra esse la Sociedad Internacional de Obreros Carpinteros, Lustradores, Tallistas y Torneros nel 1889 e la Sociedad de Cigarreros Unidos nel 1890, più qualche altra nell’interno del paese negli anni 1891 e 1892, in cui si fondò anche la Sociedad de Oficios Varios nella capitale argentina. Inoltre, anche il fattore politico condizionò lo sviluppo dell’associazionismo operaio e l’instabilità che risultò dalla fallita «Revolución del Parque» del luglio 1890 – di tendenza radicale – interruppe le manifestazioni dei lavoratori.533

532 Vd. la corrispondenza fra la Legazione d’Italia a Buenos Aires e il MAE, fra il 16 giugno 1889 e il 17 febbraio 1891, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Nel febbraio 1890 il ministro d’Italia a Buenos Aires inviava al MAE un elenco di nove pericolosi socialisti italiani residenti nella capitale argentina, elaborato dall’agente Pallini, fra i quali si segnalava un tale «Barile o Barili Ardo da Bologna, di circa 30 anni di età, partito da Genova nel decorso novembre sul “Perseo”». Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretta al MAE, 22 febbraio 1890, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 533 Cfr. R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero, pp. 83-84; R. MUNCK, op. cit., pp. 37; A. BELLONI, op. cit., p. 21.

215 Nonostante ciò, è in questo periodo che entrano in scena le iniziative socialiste in campo sindacale. Negli anni di agitazione operaia, anarchici e socialisti avevano partecipato attivamente agli scioperi, tuttavia la presenza dei primi si limitò ai conflitti dei mestieri artigianali o semi artigianali, non avendo avuto partecipazione rilevante nei conflitti dei ferrovieri e dei lavoratori dei porti, i più importanti fra i sindacati all’epoca. Inoltre, nelle file libertarie, i dissensi sulla partecipazione nelle organizzazioni operaie si facevano più acuti e ciò permise ai socialisti di diventare i protagonisti sul campo sindacale in quegli anni. Nel 1889 il Verein Vörwarts contava 150 soci e una sede sociale in calle Comercio 880, dove funzionavano anche un teatro e una biblioteca, nella quale si riunivano diverse società operaie. Quest’associazione, prendendo il mandato del «congresso marxista» di Parigi, fin dal marzo 1890, attraverso il giornale «Vörwarts», convocò le società operaie per preparare la commemorazione del 1° maggio e riuscì a costituire, non senza le critiche e le accese polemiche con gli anarchici a proposito di una istanza che si voleva inviare al governo, un Comité Internacional Obrero – composta da 27 membri, di cui nove italiani, otto tedeschi, tre francesi e due spagnoli – che redasse un manifesto distribuito durante la celebrazione del 1° maggio, con il quale proponeva la creazione di una confederazione operaia. Il tentativo federativo si compì fra il giugno e l’agosto 1890, quando una dozzina di società operaie – fra le prime aderenti quelle dei falegnami e dei calzolai – diedero vita alla Federación Obrera, nata come Federación de los Trabajadores de la República Argentina e nota poi anche come Partido Obrero. Gli anarchici si sottrassero all’iniziativa perché proponeva la conquista del potere politico e l’intervento dello Stato nei conflitti del lavoro, mentre la federazione decideva di aderire all’Internazionale Socialista. Nel dicembre uscì il giornale «El Obrero», che su stampato fino al settembre 1892 come organo della federazione, sotto la direzione del socialista tedesco German Ave Lallemant. Pochi mesi dopo però e dopo aver celebrato il suo secondo congresso dell’ottobre 1891, il comitato federale della Federación Obrera decise la propria dissoluzione, motivata dalla paralisi dell’associazione stessa e poiché alcuni dei suoi membri intendevano svolgere un’azione politica più esplicita.534 La celebrazione del 1° maggio indetta dal comitato operaio, ebbe luogo nel Prado Español, un locale all’aperto. Al comitato, a grande maggioranza socialista e presieduto da José Winiger, fece parte anche l’anarchico campano Guglielmo Marocco e ci fu la

534 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., pp. 84-97; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 119-127; A. BELLONI, op. cit., pp. 21-24; E. BILSKY, La F.O.R.A. y el movimiento obrero (1900-1910), vol. 1, Buenos Aires, Centro Editor de América Latina, 1985, p. 12.

216 partecipazione di numerose società di mutuo soccorso, tra esse la Società figli del Vesuvio – il cui presidente, secondo il ministro d’Italia a Buenos Aires, era il Marocco – il Circolo Repubblicano Campanella, L’Unione Calabrese, il Circolo Mandolieri Italiani, il Circolo Repubblicano Mazzini, il Centro Repubblicano Italiani e la Sociedad Italiana de Barracas. Fra mille cinquecento e tre mila persone assistettero all’atto e presenziarono gli interventi di almeno quattordici oratori che parlarono in spagnolo, italiano, tedesco e francese, fra essi il socialista italiano Carlo Mauli, l’anarchico Marocco e i militanti libertari Giovanni Ragazzini di Forlì e Orsini Bertani, nato a Firenze da genitori emiliani, il quale sembra avesse fatto parte del comitato operaio535. Un gruppo di settanta anarchici aveva deciso di partecipare all’atto il giorno prima, in una riunione del Círculo Socialista Internacional tenuta in una birreria di via Cerrito, sostenendo però, una prospettiva critica riguardo al documento indirizzato al governo sulle leggi protettive dei lavoratori e sulla costituzione della confederazione operaia. Nonostante ciò, la manifestazione operaia approvò entrambi le proposte dei socialisti, seppur gli anarchici riuscirono a inserire una protesta contro l’incarceramento dei compagni accaduto nel settembre precedente. Il 1° maggio si tenne una commemorazione pure a Rosario, dove gli anarchici parteciparono uniti ai socialisti; si sventolarono bandiere rosse e nere e gli oratori, fra i quali alcuni anarchici, parlarono in spagnolo, italiano o francese. E infine a Montevideo dove, secondo «El Perseguido» di Buenos Aires, si misero delle bandiere rosse e nere negli edifici pubblici e fra i tre mila partecipanti alla manifestazione si distribuirono manifesti che promuovevano lo sciopero generale e l’organizzazione secondo gruppi liberi. Ci furono, infine, manifestazioni convocate dai socialisti a Chivilcoy e a Bahia Blanca.536

535 Orsini Bertani, nato a Firenze il 26 luglio 1869, da Eugenio e Clementina Toni, commerciante, visse la sua infanzia a Roma e nell’aprile 1878 si trasferì con la famiglia a Cavriago, Reggio Emilia, paese d‘origine del padre. Nella cittadina emiliana partecipò al gruppo anarchico, fino alla sua partenza per la Francia, nel gennaio 1887, da dove si trasferì a Buenos Aires in data imprecisata – nel 1931, la Legazione d’Italia a Montevideo sosteneva che si trovava nella capitale uruguaiana fin dal 1887. Una volta nella metropoli argentina fu raggiunto dal padre Eugenio e dai fratelli Saffi e Mazzini, in data non definita. Vd. ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Affari Generali e Riservati, J5 Fascicoli individuali, b. 34, fasc. Bertani Orsini Menotti di Eugenio, e in particolare la biografia scritta dalla Prefettura di Firenze, 28 settembre 1895. Eugenio Bertani, nato a Cavriago il 17 febbraio 1842 da Antonio e Lucia Mirioni, bracciante, padre di Orsini, si sarebbe trasferito in America del Sud nel 1893, secondo la polizia italiana, non essendo registrato in patria per non essere stato ritenuto pericoloso. Vd. ACS, CPC, b. 549, fasc. Bertani Eugenio. Tuttavia, da una lista di sottoscrizione al giornale «La Miseria», sappiamo che Eugenio e i fratelli minori di Orsini si trovavano a Buenos Aires già nel novembre 1890. Vd. «La Miseria», Buenos Aires, n. 1, 16 novembre 1890. 536 Sulla celebrazione del Primo Maggio, vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 10 maggio 1890, ASD-MAE, Serie Politica A 1888-1891, b. 3 Argentina, fasc. 10 Rapporti politici 1890; Il 1° maggio a Buenos Aires e La anarquía en acción, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. I, n. 1, 18 maggio 1890. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., 127-129; R. FALCÓN, op. cit., pp. 85-119; R. MUNCK, op. cit., p. 39; R. FALCÓN, La Barcelona argentina, cit., p. 70; E. FRANZINA, L’America Gringa, cit., p. 203. Sia il rapporto della Legazione

217 Benché i socialisti mantenessero il loro predominio sull’associazionismo operaio durante questi anni, dal 1890 in poi l’anarchismo ebbe una maggiore diffusione rispetto al socialismo, grazie all’incapacità dello Stato di assumere un ruolo mediatore nei rapporti di lavoro, al «populismo» espresso nel linguaggio semplice e diretto degli anarchici, al «razzismo» dei socialisti tedeschi, alla proliferazione di attività culturali anarchiche come filodrammatiche, biblioteche, corsi serali di alfabetizzazione e conferenze e, infine, grazie al lavoro di propaganda che gli anarchici svolsero fra i lavoratori anche in campagna.537 In ogni caso, le file libertarie erano lontane dall’essere compatte. Già nel 1888, all’interno della società di panettieri, ritenuta un’associazione operaia prevalentemente anarchica, c’erano stati dei conflitti fra il comitato direttivo e alcuni fornai che lo accusavano di eccessiva moderazione e da allora le polemiche si estesero a tutto il movimento libertario, soprattutto fra i sostenitori delle tesi organizzatrici e quelli che supportavano la prospettiva antiorganizzatrice. Questa divergenza di prospettive provocò la proliferazione di molti piccoli gruppi anarchici dalle diverse tendenze e, allo stesso tempo, allontanò molti operai dal movimento libertario, il quale, in conseguenza, perse il suo legame diretto con il movimento operaio. La partenza di Errico Malatesta dall’Argentina, che aveva cercato di svolgere un ruolo di mediazione fra le due correnti – pur da posizioni organizzatrici – e l’arrivo di alcuni noti antiorganizzatori europei, specie spagnoli come Rafael Roca, condizionarono di fatto il predominio degli antiorganizzatori nel movimento anarchico argentino durante la prima metà degli anni ‘90.538 Il principale esponente della scuola antiorganizzatrice argentina fu il giornale «El Perseguido», apparso a Buenos Aires il 18 maggio 1890 e pubblicato per 102 numeri fino al gennaio 1897. Edito principalmente in lingua spagnola, nei primi otto numeri non furono sporadici gli articoli pubblicati in italiano e francese e avendo iniziato con una tiratura di 500 esemplari, aumentò progressivamente fino a raggiungere i 4 mila numeri d’Italia citato, sia Zaragoza, segnalano un tale «Bertagni» nella manifestazione di Buenos Aires, che crediamo si tratti di Orsini Bertani, indicato come uno degli oratori nel meeting nella capitale argentina da Ricardo Falcón. 537 O. BAYER, op. cit., pp. 93-96. Bayer parla dei «linyeras», «personaggi tolstoiani, che viaggiavano sui treni merci, lavoravano nei campi e insegnavano le idee di ribellione sociale», tuttavia è probabile che si riferesse a periodi successivi. 538 Cfr. R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero, cit., p. 99; G. BERTI, op. cit., p. 141; G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 114-116. Sui conflitti all’interno della società di panettieri, Vd. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 121-123. Su alcuni anarchici spagnoli immigrati in Argentina e il suo ruolo nella formazione del movimento libertario locale, vd. J. C. MOYA, El anarquismo argentino y el liderazgo español, in M. GARCÍA SEBASTIANO (dir.), Patriotas entre naciones: élites emigrantes españolas en Argentina (1870-1940), Madrid, Editorial Complutense, 2010, pp. 361-373. In quest'articolo, Moya mostra, inoltre, alcuni rapporti fra attivisti spagnoli e italiani precedenti al loro arrivo nella repubblica platense. Vd. Ivi., pp. 365-366.

218 del giugno 1893 e persino i 7 mila nelle date commemorative. Collaborarono alla redazione noti attivisti libertari, quali gli spagnoli Rafael Roca, i fratelli Reguera e Inglán Lafarga, i francesi Pierre Quiroule e Jean Raoux, gli italiani Francesco Denambride, Fortunato Serantoni, Orsini Bertani e Giovanni Ragazzini.539 Nel primo numero il giornale si dichiarava apertamente comunista anarchico, situandosi ai margini della società: «Siamo i vagabondi, i paltonieri, i randagi, la canaglia, i malfattori, il precipitato putrido, il sublimato corrosivo dell’odierna organizzazione sociale». Nello stesso numero apparve una lettera di Orsini Bertani, datata a Buenos Aires il 1° maggio 1890, con la quale accusava i socialisti, specie José Winiger, di essere spie e denunciatori, poiché avevano chiesto alla polizia di arrestare lui e l’anarchico francese Jean Raoux – ritenuti dal giornale «Vörwarts» come i «soliti disturbatori anarchici» – durante il meeting nel Prado Español, ma il commissario non prestò loro attenzione.540 «El Perseguido» fu il primo giornale anarchico sudamericano a costruire, nel corso degli anni della sua esistenza, una vasta e complessa rete libertaria fra diversi gruppi, sia a livello nazionale si internazionale. Il periodico raccolse oblazioni pecuniarie non solo a Buenos Aires, ma anche a Rosario, La Plata, Córdoba, Mar del Plata, Luján e in innumerevoli paesi dell’Argentina e inoltre arrivarono contributi da alcuni compagni dell’Uruguay, del Brasile, del Cile, del Paraguay, del Nordamerica, della Spagna, di Londra e dal periodico parigino «La Révolte». Ci furono dei corrispondenti in Uruguay, Brasile e Cile e l'amministrazione del giornale ricevette stampa anarchica da questi paesi e da Cuba, Stati Uniti, Spagna, Francia, Australia e Inghilterra – da dove arrivarono anche gli opuscoli di Malatesta In tempo di elezioni e La politica parlamentare nel movimento socialista, pubblicati dalla Biblioteca L’Associazione di Londra. Fra i giornali in lingua italiana ricevuti ci furono «L’Asino Umano» di São Paulo e «Il Grido degli Oppressi» di New York, mentre dall’Italia arrivarono «Il Proletario» di Marsala, «La Nuova Gioventù»

539 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., p. 99-125; E. BILSKY, op. cit., p. 22. Secondo la rivista argentina «Caras y Caretas», il giornale «El Perseguido» raggiunse una tiratura di 16.500 esemplari. Vd. El anarquismo en el Río de La Plata, in «Caras y Caretas», Buenos Aires, a. III, n. 97, 11 agosto 1900. D’altra parte, secondo il socialista rivoluzionario romagnolo Secondo Cappellini, gli anarchici Zuccarini, Cantiello e Bozzi avrebbero fatto parte del giornale de «El Perseguido», che «dopo tre o quattro numeri morì». Vd. la lettera di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, Buenos Aires, 27 dicembre 1890, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 7, fasc. 1118. È possibile che Zuccarini e gli altri abbiano partecipato a «El Perseguido» nei primi numeri: con il numero 4 il giornale cambiò redazione e amministrazione poiché «fra loro e gli altri compagni non vi [era] la necessaria affinità, che cioè il Perseguido non era l’eco della maggioranza degli anarchici qui residenti». Vd. «El Perseguido», a. I (1889): A todos nuestros amigos, n. 4, 22 giugno; A nuestros compañeros, n. 5, 9 luglio. Con il numero 5, infatti, il periodico cambiò il formato e la denominazione da «Órgano comunista-anárquico» a «Semanario comunista Anárquico». Vd. anche G. ZARAGOZA, op. cit., p. 141. 540 Vd. Chi siamo e cosa faremo? e Pel Vörwarts, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. I, n. 1, 18 maggio 1890. La dichiarazione di principi fu pubblicata anche in spagnolo e in francese.

219 di Firenze, «L’Amico del Popolo» di Milano, fondato da Pietro Gori, «L’Operaio» de La Spezia e «Sempre Avanti!» di Livorno. Conosciamo il contatto epistolare con diverse città argentine, ma anche con militanti di Montevideo, Spagna, Paraguay, Cuba, Bolivia, Perù e Cile, con compagni di São Paulo, Campinas e Rio de Janeiro nel Brasile e anche con militanti dell’Italia. Nel secondo numero, apparve una nota diretta a Reggio Emilia, probabilmente indirizzata a Angelo Canovi, con la quale chiedevano notizie dall’Emilia e l’invio di alcuni manifesti. Infine, nelle sottoscrizioni raccolte dal giornale comparvero un gran numero d’italiani residenti in Argentina, tra i quali Francesco Natta, Ettore Mattei, Francesco Momo, Fortunato Serantoni nel gennaio 1891 e i romagnoli Luigi Brunini, Giovanni Ragazzini, Saffi Bertani e suo fratello Orsini.541 Pochi mesi dopo l’apparizione de «El Perseguido», il 16 novembre 1890 uscì a Buenos Aires «La Miseria», giornale antiorganizzatore scritto in lingua italiana che ospitò alcuni articoli in spagnolo e qualche piccola rubrica in francese. Il nuovo periodico apparve in concomitanza con la scomparsa delle collaborazioni in lingua italiana dalle pagine di «El Perseguido» – con il numero 8 del 26 ottobre –, il quale sosteneva tuttavia che non era vero che gli anarchici italiani fossero stati esclusi dalla redazione o che non si accettassero più scritti nella loro lingua e, infatti, «El Perseguido» annunciò l’uscita de «La Miseria» per l’11 novembre. Nonostante ciò, la nascita del nuovo giornale anarchico non mancò di polemiche. Nel suo primo numero, «La Miseria» lanciò una dura critica a «El Perseguido» perché l’amministrazione di quest’ultimo periodico non volle inviare gli indirizzi dei compagni per la spedizione del giornale – se non alcuni sbagliati –, accusandolo di atteggiamento autoritario: «Tenían miedo de la competencia los compañeros del Perseguido, ó es de su solo y exclusicvo privilegio el hacer propaganda por escrito?». Inoltre, chiariva che erano stati gli anarchici di lingua italiana a non inviare più scritti dopo i primi quattro numeri e che le pubbliche lagnanze di alcuni compagni riguardo a «El Perseguido» avevano avuto origine nel fatto che l’amministrazione del

541 Vd. «El Perseguido», Buenos Aires, 1890-1896, in particolare le liste di sottoscrizioni. Sulla corrispondenza diretta a São Paulo e a Reggio Emilia – cui destinatario è C. A. –, vd. Correo de El Perseguido”, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. I, n. 2, 8 giugno 1890. Fortunato Serantoni, internazionalista anarchico fiorentino, partì nel febbraio 1890 da Barcellona per Buenos Aires, ma solo nel maggio fu rintracciato nella città argentina insieme alla moglie. Vd. la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 14 febbraio e 23 maggio 1890, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Nella capitale catalana, Serantoni aveva pubblicato i sette numeri de «La Revolución Social» fra il 1889 e il 1890, giornale che arrivò a Montevideo (vd. Piccola Posta, in «Il Socialista», Montevideo, a. I, n. 5, 13 ottobre 1889) e a Buenos Aires, dove ebbe anche un corrispondente. Serantoni mantenne contatto con il gruppo de «L’Associazione» di Malatesta ma, seppur su posizioni organizzatrici, approvava l’uso della violenza collettiva e anche individuale. Vd. A. P. GIORDANO, L’editore errante dell’anarchia. Appunti per una biografia di Fortunato Serantoni, in «Rivista Storica dell’Anarchismo», a. VI, n. 1 (11), gennaio-giugno 1999, pp. 45-46.

220 giornale non volle pubblicare un avviso di riunione dei comunisti anarchici de La Boca, seppur cercassero fra essi delle sottoscrizioni per le loro pubblicazioni.542 Il giornale «La Miseria», che si dichiarò comunista anarchico fin dall’inizio, ebbe una vita piuttosto breve e dopo quattro numeri – l’ultimo del 1° gennaio 1891 – cessò la sua pubblicazione. Il periodico si propose di pubblicare l’opuscolo Fra Contadini di Malatesta con il quinto numero, progetto che rimase troncato, anche se dal secondo numero iniziò a pubblicarlo in spagnolo, rimanendo incompiuto. Dai tre numeri disponibili, sappiamo che il gruppo redazionale mantenne contatto con anarchici delle località argentine di Mercedes, Villa Casilda, San Nicolás, Bolívar, Mendoza e Morón, a Catamarca con Angelo Careghini, a Mar del Plata probabilmente con Francesco Natta e a La Plata probabilmente con il figlio del Natta, Temistocle. All'estero ci furono contatti con attivisti di Montevideo, Rio de Janeiro, Stati Uniti e Parigi, a Londra con Errico Malatesta e a São Paulo con Galileo Botti, il Gruppo Anarchico e un tale Ferruccio E. Fra gli oblatori del giornale in Argentina apparvero oltre ai gruppi La Miseria, Gli Iconoclasti e Gli Spostati, Francesco Momo, Ettore Mattei e anche Eugenio Bertani e il figlio Mazzini, mentre nella sottoscrizione a favore del manifesto astensionista uscito in Italia a proposito delle elezioni legislative del novembre 1890, comparvero Orsini Bertani, l’imolese Luigi Castellari, i castellani Alfredo ed Egidio Bolognini e il romagnolo Alfredo Maresi, fra gli altri.543 Luigi Castellari, che partecipò ai moti internazionalisti di Bologna nel 1874 e di Benevento nel 1877, era ricercato a Buenos Aires fin dal 1887 e questa sottoscrizione però è la prima notizia che abbiamo sul suo soggiorno in Argentina. Sui Bolognini si sa che Alfredo, uno dei «più caldi socialisti rivoluzionari» di Castelbolognese, si laureò in farmacia a Bologna nel novembre 1888, lasciò il suo paese nell’aprile 1889, che nel 1890 si stabilì a Rosario di Santa Fe lavorando come esercente di farmacia e che la polizia italiana segnalava Ermenegildo Egisto come suo fratello. È interessante che, anche se fu indicato come socialista prima e dopo la sua partenza dall’Italia, Alfredo avesse contribuito alla pubblicazione del manifesto anarchico astensionista. Infine, Alfredo Maresi, studente di legge a Torino e secondo la polizia di «sani principi politici» in patria,

542 Vd. A quién le toque, in «La Miseria», Buenos Aires, n. 1, 16 novembre 1890; Per la verità, n. 2, 30 novembre 1890. Vd. anche «El Perseguido», Buenos Aires, a. I, n. 9, 11 novembre 1890. 543 De «La Miseria» si conservano i numeri 1, 2 e 4, quest’ultimo apparso il 1° gennaio 1891, nell’IISG ad Amsterdam. Vd. L. BETTINI, op. cit., pp. 6.

221 lasciò l’Italia il 25 ottobre 1887 alla volta dell’Argentina, ma non abbiamo notizie sue fino alla sottoscrizione sopra citata.544 Il manifesto astensionista, diretto al popolo d’Italia dai socialisti anarchici italiani all’estero, apparve nel primo numero de «La Miseria» e in seguito il discorso principale del giornale riguardo all’Italia, nel contesto d’elezioni, fu la critica diretta ai socialisti e ai suoi «alleati» nel campo anarchico. Nella rubrica di corrispondenza apparsa nel secondo numero, la redazione del giornale scriveva ad Angelo Canovi di Reggio Emilia compiacendosi delle notizie arrivate via telegrafo sull’eventuale sconfitta dei legalitari, ma già nel quarto numero, definita l’elezione di Camillo Prampolini al parlamento, il giornale metteva in dubbio il socialismo dell’avvocato reggiano poiché questo aveva confermato che non rinunciava al suo scranno alla Camera. Inoltre, nel quarto numero il periodico bonaerense diresse acidi giudizi su Germanico Piselli e il giornale «La Rivendicazione» di Forlì, sostenendo che «quest’individuo che la pretende ad anarchico, e quel foglio che la squaderna a socialista, sono né più né meno che la quintessenza dell’ermafroditismo, dell’indeterminazione e pressappoco anche del farabutismo», il che era dimostrato dalle sue profonde contraddizioni politiche, dai suoi «mea colpa legalitari», dalla sua proposta di approvare l’astensionismo elettorale come partito e la libertà individuale di votare e dalla sua contemporanea firma della circolare astensionista del Congresso di Capolago e del manifesto per la candidatura dell’avvocato Alessandro Balducci a Forlì.545 La rete tessuta da «La Miseria» con i gruppi anarchici di lingua italiana, che facilitò la diffusione del manifesto anarchico in Argentina, ebbe come punto di appoggio in Italia soprattutto il gruppo del giornale «Sempre Avanti!» di Livorno – del quale si pubblicò il manifesto sulla sua uscita –, ma mantenne anche corrispondenza con alcuni compagni di Firenze, Pisa, Recanati e Genova, oltre al Canovi di Reggio Emilia e a Romeo

544 Alfredo Bolognini, di Francesco e Rosa Querzola, farmacista, nacque a Castelbolognese il 13 ottobre 1864. Vd. ACS, CPC, b. 703, fasc. Bolognini Alfredo, in particolare il rapporto della Prefettura di Ravenna alla DGPS, 18 luglio 1901; ASBo, Gab. Ques., Persone pericolose per la Sicurezza dello Stato (Cat. A8), Radiati, b. 23, fasc. Bolognini Alfredo, in particolare la biografia redatta dalla Prefettura di Bologna, 4 maggio 1903. Alfredo Maresi, fu Ciriaco e Marcolini Anna, musicante e fabbricante di timbri in gomma elastica, nacque a Mondaino, provincia di Forlì, il 14 febbraio 1864. Vd. ACS, CPC, b. 3052, fasc. Maresi Alfredo, in particolare il rapporto della Legazione d’Italia a Rio de Janeiro, 18 luglio 1903, e il rapporto della Prefettura di Forlì alla DGPS, 26 agosto 1903. Luigi Castellari detto «Zuda», nacque a Imola il 30 luglio 1846 da Francesco e A. Dal Re. Vd. E. GIANNI, L'Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti, cit., p. 422. Sil Castellari, vd. anche la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 1 giugno 1887, e la risposta della Legazione, 22 luglio 1887, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 545 Vd. «La Miseria», Buenos Aires: In barba ai francobolli, n. 2, 30 novembre 1890; Colpi di penna, n. 4, 1º gennaio 1891.

222 Mingozzi di Ravenna. Fu a Buenos Aires, però, che i rapporti del giornale con i gruppi anarchici di lingua italiana, in particolare con Gli Iconoclasti, Gli Spostati e il Circolo Socialista Internazionale – ed eventualmente anche il gruppo di propaganda socialista che si stava costituendo a La Boca verso la fine di novembre –, lo fecero diventare un punto di riferimento per il movimento anarchico locale in lingua italiana, al di là delle particolari ma evidenti posizioni antiorganizzatrici del gruppo redazionale. I particolari indirizzi di ogni gruppo non furono, tuttavia, un ostacolo per la condivisione di un foglio di propaganda e per eventuali coordinamenti al di fuori delle logiche dell’organizzazione formalizzata e permanente.546 L’attività dei gruppi antiorganizzatori s’incentrò soprattutto sulla propaganda dei principi del comunismo anarchico, nella quale spuntarono specialmente la critica all'associazionismo operaio in società di resistenza e agli scioperi economici, da un lato, e dall’altro l’apologia della «propaganda del fatto», seppur questo tipo d’azioni praticamente non si videro nell’Argentina dell'epoca e, anzi, non tutti gli antiorganizzatori approvarono l’uso della violenza come metodo di lotta. In ogni caso, il rifiuto dell’organizzazione dei lavoratori non impedì che gli antiorganizzatori si rivolgessero agli operai e promuovessero la formazione di «gruppi di affinità» fra i compagni di lavoro.547 Non era strano trovare nelle pagine della stampa antiorganizzatrice notizie sugli scioperi del paese e sull’arresto degli scioperanti, seppur generalmente da un punto di vista critico. Nel novembre 1890 «La Miseria» riferiva una manifestazione pacifica di 660 operai delle strade nazionali, a Montevideo, sostenendo che se fossero stati armati, avrebbero guadagnato qualche cosa: «Chi avrebbe mai potuto trattenere 600 straccioni dal saccheggiare le tante gioiellerie e i cambi-monete nei dintorni della piazza?». A proposito degli impiegati uruguaiani che non ricevevano stipendio da tre mesi, invece, sparava contro i lavoratori che non facevano altro che farsi «menare pel naso dai magnati, direttori e presidenti d’una infinità di società dette di mutuo soccorso», e chiudeva con: «fino á cuando ti farai cristianamente pelare e scorticare, o popolo zuccone?». Nell’ottobre 1891, più di mille operai ferroviari dei Talleres de Sola iniziarono lo sciopero e dopo 43 giorni di paralizzazione del lavoro la polizia arrestò oltre sessanta

546 Vd. «La Miseria», Buenos Aires, n. 1, 16 novembre 1890, e n. 2, 30 novembre 1890. 547 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., p. 100; G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 130-135. Zaragoza utilizza il termine «individualista» per riferirsi indistintamente a tutti gruppi contrari all’organizzazione dell’Argentina, anche se, come lui stesso riconosce, a quell’epoca gli anarchici del paese difficilmente lessero Max Stirner e, a suo avviso, si sarebbero richiamati invece a un «individualismo inmediato y espontáneo». Vd. Ivi., p. 130.

223 operai e più di quaranta donne, mettendo fine di fatto al movimento. Commentando l’accaduto, «El Perseguido» sosteneva che sulla via degli scioperi avrebbero vinto sempre i padroni, per cui occorreva utilizzare altri mezzi.548 In ogni caso, gli antiorganizzatori non disdegnarono del tutto le associazioni operaie e gli scioperi e, anzi, in qualche occasione videro in essi delle opportunità per la propaganda anarchica. «El Perseguido», ad esempio, si mostrò abbastanza entusiasta dello sciopero dei calzolai iniziato il 7 novembre 1892, rilevando le manifestazioni di solidarietà degli altri operai e le assemblee con più di ottomila assistenti, definendolo come «el movimiento más popular y grandioso que se ha producido en toda la República». I calzolai di La Plata avevano sconfitto i padroni, ma a Buenos Aires le grandi assemblee si erano ridotte a solo duecento partecipanti, per cui si decise di finire lo sciopero il 28 novembre, non senza che ci fossero stati molti arresti, tra i quali l’anarchico Caballe, detenuto in un’assemblea per distribuire il giornale antiorganizzatore. Nel febbraio successivo i calzolai dichiararono ancora una volta lo sciopero e nelle loro riunioni parteciparono alcuni anarchici che promossero gli assalti ai fornai e agli almacenes e che distribuirono «El Perseguido» e il giornale anarchico in lingua italiana «Lavoriamo».549 I contrasti all’interno del movimento libertario fra organizzatori e antiorganizzatori si rispecchiarono nel mondo operaio e particolarmente nella Sociedad Cosmopolita de Resistencia y Colocación de Obreros Panaderos, prevalentemente anarchica. Nei primi mesi del 1890 i panettieri di Buenos Aires dichiararono uno sciopero in solidarietà con alcuni fornai licenziati per un conflitto del lavoro in una piccola azienda, tuttavia il movimento fallì e il comitato della società consentì che i lavoratori che avessero raggiunto degli accordi con i propri padroni tornassero al lavoro. Mesi dopo, nell’ottobre, un gruppo di panettieri costituì un gruppo libero ispirato al comunismo anarchico, poiché sostenevano che la società stava andando in dietro e regredendo alle sole funzioni di mutuo soccorso. Un anno dopo il conflitto, riemerse nel

548 Sulla manifestazione operaia di Montevideo, vd. Da Montevideo, in «La Miseria», Buenos Aires, n. 2, 30 novembre 1890. Sullo sciopero degli operai dei Talleres de Sola, vd. Rebencazos, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. II, n. 30 (18 ottobre 1891) e n. 33 (13 dicembre 1891). In «El Perseguido» si diede notizia anche di diversi scioperi, come quello degli operai della falegnameria meccanica di Zanotti nel gennaio 1891, quello dei cappellai della fabbrica Durant Rocca fra febbraio e marzo 1891, degli operai dell’officina di Tolosa, a La Plata, nel settembre 1891, degli scioperi delle sigaraie della fabbrica La Popular nello stesso mese e nel marzo 1892 – nei quali la polizia arrestò diverse operaie –, quello degli operai ferroviari a Campana fra la fine del 1891 e inizi 1892 e infine lo sciopero degli alpargateros dell’ottobre 1892. Vd. «El Perseguido», Buenos Aires, a. II (1891): n. 17, n. 28 e n. 29; a. III (1892): n. 34, n. 39 e n. 49. 549 Vd. La huelga de los zapateros, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 53, 15 dicembre 1892; Movimento social, n. 52, 27 novembre 1892, e a. IV, n. 56, 26 febbraio 1893.

224 contesto della celebrazione del quarto anniversario della società, celebrata il 30 agosto nel club La France. Il suo comitato direttivo aveva deliberato di pubblicare un foglio riassuntivo del meeting, tuttavia in una riunione successiva all’evento la maggioranza del detto comitato si contraddisse e decise di non pubblicare il resoconto, il che provocò i reclami della minoranza del comitato, la quale accusò i fautori della decisione di opporsi alla pubblicazione poiché i discorsi tenuti avevano espresso le idee del comunismo anarchico. Il foglio fu pubblicato ugualmente dal «gruppo minoritario» e inoltre apparve un manifesto che criticava l’atteggiamento autoritario che il comitato – e in particolare il suo segretario Ettore Mattei??– continuava ad avere nell’assemblea dell'ottobre 1890.550 Nonostante i propri conflitti, il movimento anarchico era in espansione e dalla seconda metà del 1890, l’Argentina vide moltiplicarsi i gruppi libertari costituiti per affinità. Molti di questi circoli organizzavano settimanalmente «reuniones de controversia» in diversi punti della capitale, che proponevano discussioni in contraddittorio sulla questione sociale e sui principi del comunismo anarchico, mentre alcuni pubblicavano opuscoli – fra i più prolifici i gruppi bonaerensi Juventud Comunista Anárquica e La Expropiación. Anche gli anarchici di lingua italiana si mostrarono piuttosto attivi. Nel novembre 1890 un gruppo libertario di Buenos Aires pubblicò l’opuscolo in lingua italiana Memento – in vendita presso Francesco Momo –, nell’agosto 1892 il gruppo Libera Iniziativa distribuì una pubblicazione di otto pagine sulla fabbricazione di esplosivi, mentre il gruppo Sempre Avanti si proponeva di pubblicare un opuscolo su Ravachol e verso la fine del 1893 il circolo Gioventù Studiosa di Buenos Aires, che aveva formato una Biblioteca Comunista Anarchica e che raccolse sottoscrizioni per sostenerla, intendeva pubblicare il suo primo opuscolo Processo di Paolo Schicchi. Inoltre, nel 1892 si costituì a Jujuy un gruppo anarchico italiano con lo scopo di contribuire alla propaganda libertaria e l’anno dopo era nata l’idea di formare nella capitale argentina un Circolo di Studi Sociali dotato di locale proprio per conferenze e una biblioteca. Infine, nel gennaio 1891 il gruppo Il Proletario di La Boca propose la fondazione dell’Unión Socialista Anárquica con lo scopo di coordinare tutti i gruppi libertari dell’Argentina e potenziare l’opera di propaganda. L’iniziativa tuttavia,

550 Vd. A los miembros de la Sociedad Cosmopolita de Obreros Panaderos en particular y a todos los trabajadores en general. Protesta, s.l., s.d. [ma Buenos Aires, ottobre 1891], e Una victoria de los enemigos del proletariado, Buenos Aires, ottobre 1891, entrambi i manifesti si trovano in IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3389 Argentina Anarchism 1888-1924. Vd. anche «El Perseguido», Buenos Ares: Tribuna de los grupos, a. I, n. 8, 26 ottobre 1890; Rebencazos, a. II, n. 30, 19 ottobre 1891. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 122.

225 non ebbe sufficiente eco fra i compagni probabilmente a causa della pretese organizzatrici dell’iniziativa.551 Gli antiorganizzatori videro anche nelle conferenze e riunioni pubbliche uno spazio idoneo per la propaganda delle idee del comunismo anarchico. Particolarmente proficui per gli anarchici, dal punto di vista di «El Perseguido», furono i meeting che condivisero con i socialisti durante la prima metà degli anni ‘90, nei quali le polemiche sostenute dagli anarchici, soprattutto riguardanti la critica agli atteggiamenti autoritari, contribuirono alla diffusione delle idee libertarie fra gli operai, al punto che il giornale anarchico sosteneva all’inizio del 1891 che «hasta de los mismos organizadores y oradores del partido obrero han venido a nuestras ideas». Socialisti e anarchici si trovarono insieme in diverse conferenze, in alcune organizzate da questi ultimi, ma soprattutto in quelle indette dai socialisti e dalla Federación Obrera – soprannominata dagli anarchici come «sedicente» e «immaginaria», poiché erano poche le società operaie che ne facevano parte –, che più di una volta finirono con accese discussioni, poiché la libera parola era vietata oppure perché la polizia le scioglieva.552 In ogni caso, sembra che tanto gli anarchici quanto i socialisti partecipassero a queste istanze per fare propaganda e tentare di attrarre nuovi militanti dalle fila «nemiche», piuttosto che come uno sforzo comune di costruzione di un movimento unitario. Nonostante ciò, alcuni sforzi di unità più seri ci furono. A Rosario gran parte degli anarchici cercarono degli accordi con i socialisti, il che permise che nel 1892 si creasse la Sociedad Obrera Internacional con entrambi i gruppi, la quale ebbe un atteggiamento ambiguo fra sindacato e gruppo politico. Partecipò alla riunione della Federación Obrera de Buenos Aires con il mandato esplicito di non vincolarsi con i partiti politici, tuttavia si sciolse nel 1893 a causa delle inevitabili differenze fra i gruppi e della scarsa partecipazione operaia caratteristica del periodo. Successivamente, gli attivisti libertari diedero vita all’Unión Internacional Obrera, nella quale partecipò la Sociedad Cosmopolita de Panaderos di Rosario, legata al giornale anarchico locale «Demoliamo». La società riuscì ad organizzare una serata commemorativa dei Martiri di Chicago nel 1892, nella quale si distribuirono opuscoli e giornali anarchici, incluso «El Perseguido».

551 Vd. «La Miseria», Buenos Aires, a. I, n. 1, 16 novembre 1890; Tribuna de los grupos, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. II, n. 16, 22 febbraio 1891; Movimiento social, a. III, n. 47, 4 settembre 1892; «La Riscossa», Buenos Aires, n. 1, 14 ottobre 1893 e n. 2, 11 novembre 1893; «Demoliamo», Rosario de Santa Fé, a. I, n. 2, 11 novembre 1893. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 131-137. Non abbiamo notizie dell’uscita degli opuscoli su Ravachol e Paolo Schicchi né sulla costituzione del Circolo di Studi Sociali. 552 Vd. «El Perseguido», a. II (1891): n. 13, 6 gennaio; n. 16, 22 febbraio; n. 17, 8 marzo 1891; n. 27, 23 ottobre.

226 Quell’anno, anche a Buenos Aires si commemorò l’11 novembre e all’attività parteciparono circa duecento persone, la maggior parte socialisti di tutte le tendenze. Si discusse sull’importanza dello sciopero, e il giornale «Lavoriamo» rilevava che «casi todos los marxistas están en favor de las huelgas; los anarquistas están algo divididos; unos la aceptan como medio de agitacion y propaganda revolucionaria, otros la rechazan por completo, alegando que hasta ahora solo ha servido á levantar hombres que después traicionaron el partido obrero». Anche se il giornale non si mostrava del tutto soddisfatto della discussione sul concetto di rivoluzione, si compiaceva nel constatare che tutti parlarono di evoluzione e cioè che tutti «confían en el tiempo y en el provenir».553 Le contese all’interno del movimento operaio riguardarono questioni di metodo piuttosto che i fini. Infatti, fu questa la questione che segnò le divisioni all’interno delle forze anarchiche, vale a dire, a differenza deli contrasti fra collettivisti e comunisti che si evidenziavano in Europa, in Argentina la discussione ebbe un tono più pratico e spartì le fila libertarie fra organizzatori e antiorganizzatori, i quali dedicarono gran parte della loro attività a combattersi vicendevolmente invece che propagare le idee comuni. Nel caso dell’anarchismo organizzatore, il lavoro svolto dai socialisti nel campo sindacale fu sicuramente uno stimolo per il proprio sviluppo, tuttavia è anche vero che la propaganda antiorganizzatrice, che combatteva l’«auto-annullamento» delle posizioni anarchiche all’interno delle società operaie, coadiuvò alla conservazione delle posizioni comuniste anarchiche fra gli organizzatori. D’altra parte, un ulteriore contributo al rinvigorimento del movimento anarchico e particolarmente della tendenza organizzatrice, fu la sconfitta del movimento radicale del dottor Leandro Alem, poiché un grande gruppo di operai che aveva simpatie per quel movimento, ormai deluso della politica, «se incorporó casi por completo a las sociedades de resistencia y se afilió a las ideas socialistas y anarquistas».554 Le differenze fra le diverse tendenze, però, non furono esclusive del movimento anarchico e anche i socialisti ebbero delle divergenze. Nel 1893 riapparve il giornale «El Obrero» – cessato l’anno precedente –, con un indirizzo contrario alla naturalizzazione che difendevano i dirigenti socialisti e poco favorevole alla formazione di un partito,

553 R. FALCÓN, La Barcelona argentina, cit., pp. 70-71. Sull’11 novembre 1892, vd. Rosario, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 53, 15 novembre 1892; Movimento sociale, in «Lavoriamo», Buenos Aires, a. I, n. 2, 1 gennaio 1893. 554 E. GILIMÓN, Hechos y comentarios, y otros escritos. El anarquismo en Buenos Aires (1890-1901), Buenos Aires, Terramar Ediciones, 2011 [1911], pp. 41-44. Gilimón sostiene che gli «individualistas amorales» si dichiararono antagonisti anche degli antiorganizzatori, poiché questi si consideravano comunisti. Vd. Ivi., p. 43.

227 mentre lo stesso anno una fazione della Federación Obrera fondò il giornale «El Socialista», tendente a un’azione politicizzata a discapito di quella sindacale. Nonostante ciò, l’anno successivo fu un anno chiave per il socialismo argentino: nel luglio il gruppo di quest’ultimo giornale, insieme al Verein Vörwarts, al gruppo Les Egaux di lingua francese, al Fascio dei Lavoratori italiano e a una parte del gruppo de «El Obrero», formarono el Centro Socialista Obrero, il quale costituì la base per la fondazione del Comité Central del Partido Obrero Socialista Internacional nel 1895 e del Partito Socialista l’anno dopo. Nel 1894 uscì il giornale «La Vanguardia», diretto da Juan B. Justo, organo del Centro Socialista Obrero e in seguito del Partito Socialista e nacque il Centro Socialista Universitario, che raggruppò alcuni intellettuali argentini e naturalizzati delusi dall’esperienza radicale.555 In questo scenario, gli avvicinamenti fra socialisti e anarchici non mancarono di forti tensioni, soprattutto nelle occasioni in cui si cercò di portare avanti alcune iniziative congiunte. Per preparare la celebrazione del 1° maggio 1891 a Buenos Aires, i socialisti de «El Obrero» formarono un Comité Internacional che nel marzo iniziò a riunirsi nella sede del Vörwarts. Nella sua prima riunione, in cui parteciparono anche anarchici e repubblicani, non si presero degli accordi perché sembra ci fosse stata una maggioranza anarchica e nell’incontro successivo, infatti, al quale parteciparono fra centocinquanta e duecento persone, s’impose un gruppo direttivo con a capo G. Braun, Ciò fu respinto dagli anarchici, provocando disordini che finirono con l’arrivo della polizia, sollecitata dal direttivo. Alla fine, socialisti e anarchici ebbero due manifestazioni separate, mentre alcuni operai socialisti si radunarono in Plaza de Mayo e furono dispersi dalla polizia che ne arrestò tredici, i secondi si trovarono in Plaza de la Victoria, dove diversi gruppi libertari e operai distribuirono manifesti – «El Perseguido» pubblicò un supplemento straordinario. Tuttavia, la manifestazione non poté realizzarsi poiché, prima dell’ora prefissata per il meeting, gli agenti dispersero i circa cinquecento convenuti e ne arrestarono alcuni, non senza essere fischiati. Gran parte della stampa criticò la condotta della polizia e nonostante ciò una nuova manifestazione di protesta, convocata nella stessa Plaza de la Victoria il giorno 3, fu ugualmente dispersa. Altri meeting si erano tenuti il 1° maggio a San Pedro, Castro, Morón, La Plata, Rosario, Santa Fe e Mendoza, questi due ultimi convocati dalla Federación Obrera local, eppure quello che rimasse

555 Cfr. R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero, cit., pp. 97-99; R. MUNCK, op. cit., pp. 39-40; E. BILSKY, op. cit., p. 12. Nel novembre 1894 «El Perseguido» segnalava che la Federación Obrera, «nacida muerta hace 4 años», e la Federación de las Sociedades de Resistencia, entrambe socialiste, lottavano fra loro. Vd. Rebencazos, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. V., n. 72, 22 novembre 1894.

228 della commemorazione in Argentina furono le polemiche fra anarchici e socialisti. I primi attaccarono i secondi per le loro pretese celebrative della «festa» dei lavoratori, invece di considerarla una giornata di protesta e i socialisti criticarono i richiami insurrezionali dei militanti libertari, ragione per la quale avrebbero rifiutato di partecipare.556 Nel 1892, i gruppi libertari Los Hambrientos e il Círculo de Estudios Sociales realizzarono due meeting separati per commemorare il 1° maggio, mentre negli anni successivi gli anarchici non realizzarono manifestazioni proprie ma parteciparono a quelle socialiste polemizzando con essi. Nella celebrazione del 1893 nel locale del Vörwarts, ci furono accese discussione prima perché si voleva impedire agli anarchici l’uso della parola e poi perché questi ultimi dichiararono che il 1° maggio non aveva più ragione di essere senza il suo carattere di protesta. L’anno dopo fu celebrato dai socialisti con una «pompa extraordinaria», ma presero parte soltanto un centinaio di operai, mentre i repubblicani italiani e spagnoli ebbero il proprio festeggiamento. Intanto, gli anarchici commemorarono da soli l’anniversario della Comune di Parigi nel 1892, in una serata organizzata dal gruppo 18 de Marzo e l’anno successivo con diversi meetings in contemporanea, uno dei quali tenuto dal gruppo libertario di lingua francese La Liberté e un altro organizzato dai gruppi de «El Perseguido» e «Lavoriamo». Ancora nel 1893, il Centro Unión Obrera Española e il Club Vörwarts ebbero le proprie serate commemorative, mentre a Rosario l’incontro sulla Commune fu convocato dal numero unico «La Tribuna del Trabajo» – sul quale «El Perseguido» sostenne: «no se declara en principios, pero sus escritos tienen un sabor anarquista» –, edito dal Centro Internacional e dalla Sociedad Cosmopolita.557 È molto probabile che nelle polemiche con i socialisti, ed eventualmente anche in quelle con gli organizzatori, almeno un anarchico romagnolo e un altro di radici emiliane avessero avuto parte. Secondo Diego Abad de Santillán, fra gli anarchici più attivi del

556 Vd. «El Perseguido», a. II (1891): n. 19, 5 aprile; n. 22, 17 maggio. Vd. anche 1º de Mayo. Los primeros márties de la Huelga Universal, «El Perseguido», supplemento straordinario al n. 21, 1 maggio 1891. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 148-150. Il socialista rivoluzionario cesenate Secondo Cappellini scrisse ad Andrea Costa da Buenos Aires: «In Buenos-Ayres non v’è nulla di organizzato, solo gli spagnoli sono radunati in un circolo e siccome questi condividono le nostre idee, sono continuamente bersagliati dagli anarchici i quali fecero andare a monte la manifestazione del 1º maggio, che poteva riuscire grandiosa». Catalogando gli anarchici come «idrofobi» di fronte ai quali ha tenuto «sempre alto il nome del nostro partito», sosteneva che essi se l’erano presa con i socialisti perché questi si assentarono nella seduta della camera quando Nicotera «caricò a fondo agli anarchici». Vd. la lettera di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, Buenos Aires, 14 agosto 1891, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 8, fasc. 1220. 557 Vd. «El Perseguido», a. III, n. 39, 20 marzo 1892; a. IV (1893):, n. 57, 26 marzo; n. 59, 7 maggio; a. V, n. 70, 31 maggio 1894. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 150-151; F. QUESADA, op. cit., p. 7. Quesada sostiene che nel 1893 i gruppi de «El Perseguido» e del «Lavoriamo» avrebbero organizzato due meetings diversi e separati per commemorare l’insurrezione di Parigi. Vd. Ivi., p. 6.

229 periodo c’erano Giovanni Ragazzini, «un personaje excéntrico, pero ardiente propagador del comunismo anárquico», e Orsini Bertani, «el alma de El Perseguido durante varios años».558 Quest’ultimo fu uno dei principali oratori nelle diverse manifestazioni in cui presero parte gli anarchici. Ne è un esempio la riunione commemorativa dell’11 novembre 1891, tenuta dai gruppi libertari al Café Concierto, in via Corrientes, nella quale Bertani fu uno dei conferenzieri – insieme a Rabassa, Roca e altri – e in lingua italiana sostenne che il vero omaggio ai martiri di Chicago sarebbe stato il giorno del trionfo dell’Idea. In quella serata anche il fratello minore di Orsini, Saffi, di dieci anni, lesse un piccolo discorso che commosse tutti. Su di lui, «El Perseguido» commentava che si trattava di un giovanotto che «con verdadero entusiasmo y con convicción arraigada propaga nuestras ideas en el colegio y en todas partes donde se encuentra». Nel suo discorso, Saffi manifestò il suo odio alla borghesia e il suo desiderio di vendetta, evocò il suo impegno con la lotta per la distruzione di ogni governo e chiuse con un evviva al comunismo e all’anarchia. Successivamente, Saffi apparve in alcune delle liste di sottoscrizione per «El Perseguido» legato al gruppo Juventud Comunista Anárquica di Buenos Aires. 559 Nell’aprile 1892, Orsini Bertani partecipò insieme ad altri anarchici a una riunione tenuta nell’Unione Meridionale, alla quale parteciparono circa 400 persone che trattarono la comparsa di un manifesto anti-napoletano nella città di Corrientes. Di fronte al tentativo dei «patrioti» di rispondere alle supposte minacce contro gli italiani e al rifiuto degli anarchici di farsi parte in una contesa in termini di patriottismo, si produsse un gran disordine con urli e insulti, finché il dottor Spada, socialista, riuscì a calmare gli animi. In seguito, Bertani prese la parola accusando i direttori della riunione di voler mistificare l’opinione anarchica come anti-italiana e giustificò il rifiuto della «protesta patriottica» poiché avrebbe reso più tese le relazioni fra i lavoratori delle diverse nazionalità. L’anarchico andò ancora avanti avvertendo che il manifesto avrebbero potuto redigerlo anche i calabresi, poiché le dispute esistevano anche in Italia fra i diversi regionalismi, ragione per cui occorreva distruggere le cause delle polemiche e soprattutto le menzogne dei patrioti, veri ostacoli per la solidarietà dei lavoratori. Bertani chiuse alle grida di «Viva l’anarchia!», risposta dagli anarchici presenti, mentre

558 D. ABAD DE SANTILLÁN, El movimiento anarquista en la Argentina, desde sus comienzos hasta el año 1910, Buenos Aires, Editorial Argonauta, 1930, p. 46. 559 Vd. El 11 de noviembre. Compañeros y compañeras, in «El Perseguido», a. II, n. 31, 11 novembre 1891, e Reunión del 11 de novembre, n. 32, 29 novembre 1891. Sulle liste di sottoscrizione in cui comparve Saffi Bertani, vd. «El Perseguido», a. II, n. 28, 6 settembre 1891; a. III, n. 52, 27 novembre 1892; a. IV, n. 58, 16 aprile 1893.

230 alla proposta dei nazionalisti per l’ordine del giorno, molti risposero con urli, fischi e abbandonarono il locale. 560 D’altra parte, come tanti altri anarchici, Orsini Bertani partecipò anche alle attività di convivialità libertaria che in più di un’occasione ebbero luogo fra i compagni dell’Argentina. Il primo dell’anno 1892, il gruppo anarchico Los Hijos del Plata, composto da giovani argentini, organizzò un «asado a la criolla» nei pressi del quartiere di Palermo della capitale e mise a disposizione dei compagni duecento chili di carne. Anche se si presentarono in pochi, ognuno si servì a seconda dei propri bisogni, come ispiravano i principi del comunismo anarchico. Secondo la lista di sottoscrizione a favore dell’incontro, furono presenti Orsini Bertani e suo padre Eugenio – probabilmente Mazzini e Saffi – oltre a Francesco Momo e il forlivese Luigi Brunini. 561 Secondo una corrispondenza de «El Perseguido» del settembre 1892, Orsini Bertani sarebbe partito per New York verso aprile o maggio di quell’anno, tuttavia non abbiamo notizie del suo soggiorno nella metropoli statunitense, invece si sa che in quel periodo si recò in Francia. La polizia italiana sosteneva che verso la fine del 1892 l’anarchico si trovava probabilmente a Marsiglia e nel febbraio 1893 sicuramente a Nizza insieme al faentino Giuseppe Bernabé, con il quale avrebbe avuto l’intenzione di rientrare in Italia. In seguito si trasferì a Parigi, dove fu arrestato nel marzo 1894 perché «compromesso in un’associazione di malfattori a scopo di furto» e incluso nel «Procès des Trente» contro i più noti anarchici della Francia, tra essi Jean Grave, Sébastien Faure e Émile Pouget, con l’accusa di «association de malfaiteus». Il processo si svolse nell’agosto 1894 – due mesi dopo l’uccisione del presidente Sadi Carnot per mano dell’anarchico lombardo Sante Caserio – di fronte alla Corte d’Assise della Senna e finì con l’assoluzione di quasi tutti gli imputati, tranne Ortiz, Chiericotti e Orsini Bertani, quest’ultimo condannato a sei mesi di carcere e 16 franchi di ammenda per porto d’arma proibita.562 Dalle liste di sottoscrizioni pubblicate periodicamente sulle pagine de «El Perseguido», sappiamo che oltre a Orsini, anche Eugenio Bertani e gli altri figli ebbero dei legami con i gruppi che giravano intorno alla redazione del giornale. Saffi con il

560 Vd. Una reunión patriótica, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 40, 10 aprile 1892. 561 Vd. «El Perseguido», a. III (1892): n. 34, 1 gennaio; n. 35, 15 gennaio. 562 Vd. le liste di sottoscrizioni e la corrispondenza in «El Perseguido», a. III, n. 47, 4 settembre 1892; a. IV, n. 64, 17 settembre 1893. Sul soggiorno di Bertani in Francia, vd. la sua biografia redatta dalla Prefettura di Firenze, 28 settembre 1895, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Affari Generali e Riservati, J5 Fascicoli individuali, b. 34, fasc. Bertani Orsini Menotti di Eugenio. Sul «Procès des Trente» e la condanna di Bertani, vd. J. MAITRON, Le mouvement anarchiste en France, I. Des origins à 1914, Paris, Librairie François Maspero, 1975, pp. 251-256.

231 gruppo Juventud Comunista Anárquica, come si è già accennato, mentre Eugenio e Mazzini collaborarono pecuniariamente con la Biblioteca de Estudios Sociales verso la fine del 1890. Un altro che diede delle oblazioni al giornale fu Luigi Brunini: nel febbraio 1891 da Patagones e anche nell’agosto 1892. Infine, Giovanni Ragazzini fu un altro che apparve nelle liste del giornale come sottoscrittore a favore della la pubblicazione degli opuscoli del gruppo Juventud Comunista Anárquica, nel luglio 1892 e agosto 1893 e a favore de «El Perseguido» nel settembre 1892, nel luglio 1893 e nel maggio 1894, quest’ultima volta da Montevideo.563 Altri romagnoli erano in Argentina durante i primi anni ’90. Uno di essi fu Antonio Biancani, che fuggito dall’Italia nel marzo 1883 verso la Francia, si trovava a Parigi nel 1886, poi a Nizza e in seguito la polizia perse le sue traccie. Sappiamo che fra la fine degli anni ’80 e inizi dei ’90 si recò in Argentina, ma l’unica notizia certa che abbiamo, è una sua lettera scritta da Valparaíso, Cile, nel giugno 1891, ai compagni di Ginevra, pubblicata dal giornale anarchico in lingua italiana «La Croce di Savoia». In quella lettera, il Biancani descriveva la situazione politica cilena dimostrando un certo grado di conoscenza del paese, che potrebbe indicare un suo eventuale soggiorno, più o meno lungo, anche in Cile.564 A Buenos Aires c’era il ravennate Giovanni Zirardini, che scrisse ad Andrea Costa nel gennaio 1890, manifestando la contentezza per essere andato in Argentina, anche se ancora non era riuscito a sistemare la famiglia, chiedeva notizie su Amilcare Cipriani, su Ravenna e in particolare sulla lite fra repubblicani e socialisti, mentre diceva che aveva scritto a Germanico Piselli. Nel giugno 1891 scrisse ancora al deputato imolese, dalla località di Carhué, dicendo che si trovava bene in Argentina insieme a sua moglie, che aveva stretto amicizia con un imolese che aveva militato fra i giovani socialisti d’Imola, il quale portò a Costa la lettera dello Zirardini ed eventualmente fece conoscere a Costa la posizione del ravennate, probabilmente riferita alla questione elettorale che aveva confrontato anarchici e socialisti italiani alla fine del 1890. Chiedeva ancora su Cipriani e salutava l’onorevole con un «sono il tuo per la vita amico e anarchico».565 Nonostante le buone condizioni in cui diceva di trovarsi lo Zirardini, verso la fine del 1890 Secondo

563 Vd. le liste di sottoscrizioni de «El Perseguido», n. 15-70. 564 Vd. ACS, CPC, b. 610, fasc. Biancani Antonio, in particolare la sua biografia redatta dalla Prefettura di Roma, 21 gennaio 1894. Sulla lettera del Bianciani, vd. Delizie repubblicane, in «La Croce di Savoia», Ginevra, a. I, n. 3, 8 agosto 1891. 565 Vd. la lettera di Giovanni Zirardini ad Andrea Costa. Buenos Aires, gennaio 1890, e la lettera datata a Carhuè, Adolfo Alsina [prov. Buenos Aires], 10 giugno 1891, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 7, fasc. 957, e b. 8, fasc. 1194 rispettivamente.

232 Cappellini raccontava a Costa che il ravennate non andava bene, che non aveva lavoro e che il matrimonio di sua cognata, che abitava con Giannetto e sua moglie Giulia, aveva messo in difficoltà la situazione economica della loro casa e che, come lo stesso Cappellini, si lamentava di non aver ascoltato il consiglio del Costa di rimanere a Parigi. Infatti, otto mesi dopo lo stesso Cappellini confermava che gli Zirardini avevano lasciato Buenos Aires e si trovavano a Carhuè cercando migliori possibilità di lavoro, ma la loro situazione non era cambiata sostanzialmente. In questa lettera, il socialista cesenate mandava a Costa i saluti di Rito Balducci, Antonio Patrignano, del dottor Spada e del ravennate Arturo Mazzanti e chiedeva di salutare da parte sua Camillo Prampolini.566 Questi rapporti permettono di asserire che i socialisti romagnoli mantennero vivi rapporti in Argentina, oltre alle condivisioni politiche e che in questo circolo s’inserirono anche gli anarchici Zirardini e Mazzanti. Sebbene sembra che i rapporti con il Cappellini fossero soprattutto personali, è probabile che una certa vicinanza politica esistesse fra loro e i socialisti rivoluzionari, come accade spesso nella Romagna, questione che li avrebbe allontanati delle tendenze antiorganizzatrici degli anarchici dell’Argentina della prima metà degli anni ’90. Nell’ottobre 1890 il Ministero degli Affari Esteri comunicava alla Legazione d’Italia a Buenos Aires che Arturo Mazzanti, «uno degli anarchici più pericolosi della Romagna» e «amicissimo dei noti anarchici Enrico Malateste e Francesco Pezzi», si era imbarcato da Genova per Buenos Aires il 16 ottobre 1890, ma nel gennaio l’agente di polizia non aveva trovato le sue tracce e si credeva non fosse sbarcato a Buenos Aires.567 La prima notizia del Mazzanti si ha da una sua lettera ad Andrea Costa, del novembre 1891, nella quale lo riconosceva come «più buon amico che io abbia mai avuto», «malgrado che da tempo io mi sia persuaso, in materia di principi, in un campo diverso al vostro». La lettera del Mazzanti è particolarmente interessante riguardo alle posizioni che alcuni anarchici avrebbero preso una volta in Argentina. Il ravennate assicurava che per lui una rottura con i socialisti era impossibile, a differenza di «certi intransigenti di Buenos Aires», affermando che se «io dovessi essere anarchico-comunista per la maggioranza dei comunisti anarchici che conosco personalmente, sarei un autoritario del dar punti a Bismark». Diceva inoltre che si era affiliato alla loggia massonica

566 Vd. la lettera di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, Buenos Aires, 27 dicembre 1890, e la lettera del Cappellini a Costa, Buenos Aires, 29 agosto 1891, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 7, fasc. 1118 e b. 8, fasc. 1180 rispettivamente. 567 Vd. Le note del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 23 ottobre 1890 e 17 marzo 1891, e la risposta della Legazione, 18 gennaio 1891, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires.

233 Giordano Bruno, alla quale appartenevano anche i socialisti Valentini e Spada, i più moderati della loggia, ma che gli anarchici «siamo parecchi e godiamo le simpatie della massa» e aggiungeva che «in America un anarchico massone lo spiego, in Italia né in Europa no» e che se fossero considerati dei «rompicolli», avrebbero formato una loggia clandestina, a discapito della massoneria e delle «sue iniziazioni più che ridicole». Infine, faceva qualche considerazione sull’assassinio del Battistini per mano delle «canaglie dei repubblicani» romagnoli.568 Nel cerchio dei socialisti e anarchici romagnoli, ci fu anche l’imolese Luigi Castellari. Prova di questo è che la cognata di Giovanni Zirardini, a proposito delle differenze che ebbe con sua sorella e moglie dell’anarchico, Giulia, raccontò alla compagna del Castellati su un supposto affare fra Giulia e il Costa quando erano in Francia, ma «nessuno diede fede alle accuse, né Zirardini, né Castellari, né Piazza né Diego». Nonostante questa vicinanza, le differenze politiche affiorarono più di una volta. Un mese prima delle elezioni politiche del 1890 in Italia, Castellari fece girare fra i compagni il manifesto astensionista degli anarchici socialisti italiani all’estero inviato da Malatesta perché fosse firmato, cosa che il Cappellini si rifiutò di fare per ragioni che Zirardini, Lombardi, Bozzi e altri anarchici compresero, ma invece il Castellari non gli parlò più e «proibì ai suoi soldati di venire a bere nel mio negozio perché sono un legalitario [,] santa intransigenza pazza ed ignorante come rovini gli uomini». Aggiungeva Cappellini che il Castellari si era messo insieme a una donna «più intransigente di lui e grande ammiratrice della Gigia Pezzi», tanto che si faceva chiamare di nome come lei: «da questo puoi benissimo comprendere come siano accopiati [sic]». Nell’agosto successivo, in un'altra lettera a Costa, Cappellini chiama il Castellari «cattivo e finto», poiché dopo aver chiamato il Piselli un Rabagas qualche mese prima, era adesso considerato da lui e dall’imolese che aveva portato la lettera di Giannetto, un «fervente anarchico», allo stesso tempo che si vantava dell’incidente del banchetto di Faenza, occasione in cui si dice abbiano somministrato «gialappa»nelle vivande.569 Sicuramente la visione che i socialisti italiani e in particolare i romagnoli dell’Argentina, avevano sugli anarchici «intransigenti», che ben potremmo identificare con gli antiorganizzatori, non fu affatto condiscendente e anzi, fu piuttosto critica a causa

568 Lettera Mazzanti a Andrea Costa, Buenos Aires, 27 novembre 1891, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 8, fasc. 1263. 569 Vd. le lettere di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, datate a Buenos Aires, il 27 dicembre 1890 e il 14 agosto 1891, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 7, fasc. 1118 e b. 8, fasc. 1220 rispettivamente

234 dell’avversione di questi per gli atteggiamenti parlamentaristi e organizzatori dei socialisti. In una lettera ad Andrea Costa, il socialista cesenate Rito Balducci sparava: «Che belle cose fanno gli anarchici! non è vero? Predicano il furto e per provarne gli effetti si fottano fra di loro! molto bene! Carini_carini_ Così vedi si fa della Propaganda benefica al partito!... Poveri principii!... figurati quante ne avran dette i giornali borghesi?», e qualche mese dopo in un'altra lettera, sosteneva che «i famosi anarchici vanno perdendo sempre più la testa. Fra l’altre a scopo di propaganda, dicono essi, hanno pubblicata una lettera di un povero pazzo_ il nostro caro Cafiero!».570 In ogni caso, le critiche agli anarchici furono indirizzate soprattutto agli intransigenti e il rapporto con alcuni dei militanti libertari sembra sia stato abbastanza pacifico. Nel dicembre 1890, Cappellini raccontava a Costa che incontrò Francesco Natta a La Plata, insieme a Orazio Iriani – che tentava di fondare un giornale in quella città – con i quali parlò delle elezioni e del Costa e Natta, di fatto, non si mostrò furibondo con il Costa come gli altri «idrofobi». Diceva inoltre che Florido Mateucci aveva una tipografia a Buenos Aires, che Gaetano Grassi era partito per Montevideo, come fece anche Giovanni Domanico dopo che i suoi affari fallirono, che Fortunato Serantoni si dedicava al commercio e che il parmigiano Cino Cordero si trovava a Mendoza – sembra si fosse ammogliato – molto bene. Un anno dopo, lo stesso Cappellini faceva sapere al Costa che il Natta, ancora a La Plata, si dedicava completamente agli affari, che Serantoni e Barbarulli furono a São Paulo, dove fecero un po’ di soldi e poi se ne andarono a Barcellona, con la prospettiva di tornare a Buenos Aires e che Domanico era praticamente sparito, lasciandogli i suoi affari, nei quali erano coinvolti anche Balducci, Lombardi e Castellari, che avevano prestato dei soldi a Domanico. Infine, alcuni anarchici come Alfredo Cantiello, Emilio Zuccarini e un tale Bozzi, come tanti altri non lavoravano e vivevano «di una buona vita, beati loro», e chiudeva la lettera inviando saluti a Sesto Fortuzzi.571

570 Vd. le lettere di Rito Balducci ad Andrea Costa, Buenos Aires, 11 marzo e 24 giugno 1890, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 7, fasc. 980 e 1029 rispettivamente. Nella lettera del 11 marzo, Balducci raccontava a Costa che aveva appreso da una lettera inviata da Amilcare Cipriani allo Zirardini sulla polmonite del deputato imolese, situazione che aveva costernato lui, il Cappellini, il Petrignani, la famiglia Zirardini e «tutti quelli che ti amano assai», gli inviava i saluti da Giovanni Domanico e dal Barbarulli e diceva che con Cappellini pensavano di aprire un «casa de comida» per fare pappardelle alla romagnola. 571 Vd. le lettere di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, datate a Buenos Aires, il 27 dicembre 1890 e il 3 dicembre 1891, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 7, fasc. 1118 e b. 8, fasc. 1264 rispettivamente. Secondo la polizia italiana, Alfredo Cantiello di Firenze e Emilio Zuccarini di Livorno erano partiti per l’Argentina nel febbraio 1890 insieme ad altri quattro anarchici, mentre nell’aprile dello stesso anno segnalava che Francesco Natta aveva un’officina meccanica a La Plata e con i figli ventenni partecipava spesso alle riunioni socialisti di quella città e di Buenos Aires, essendo «uno degli oratori più considerati ed applauditi in tali riunioni. Vd. la nota del MAE alla Legazione d’Italia a Buenos Aires, 28 febbraio 1890, e il rapporto della Legazione al MAE, 27 aprile 1890, ADS-MAE, Polizia

235 Cino Cordero, socialista rivoluzionario a Parma, emigrò da quella città verso il 1887-1888 con direzione a Buenos Aires, dove non si sa quanto tempo rimase, ma è un fatto, come segnalava Cappellini, che lui si trovasse poi a Mendoza, dove fu nominato direttore o ispettore dei pubblici passeggi e successivamente impiegato nella direzione d’imprese per il dissodamento di terreni per conto della congregazione dei Salesiani, secondo la polizia italiana. Un’altra oriunda del parmense arrivò in quegli anni in Argentina, Romilda Popoli, di Sissa, che in Italia professava «idee socialiste sindacaliste con tendenza rivoluzionaria» e che emigrò nella capitale argentina il 31 novembre 1891.572 Intanto, l’anarchismo antiorganizzatore dell’Argentina prese il sopravvento e permise la nascita di diversi nuovi giornali, i quali, però, iniziarono a comparire anche nel campo organizzatore. Fra i primi, si contavano «La Liberté» e «Le Cyclone» in lingua francese, «Aurora Social», «El Ciclón», «Caserio», «Ravachol», «El Escalpelo», «La Voz de los Esclavos» di Chivilcoy, «Germinal» e «La Revolución Social» in spagnolo, oltre ai periodici di lingua italiana «Lavoriamo» e «La Riscossa» di Buenos Aires, il «Demoliamo»di Rosario di Santa Fe, «Il Pugnale», «I Malfattori», «Gli Incendiari», «Il Pungolo», diretto da Emilio Zuccarini, e infine «L’Indicatore» di Rio Cuarto. Apparvero anche la «Tribuna del Obrero» a Rosario, «La Lucha» a La Plata ed «El Oprimido» in Cile, mentre le tendenze organizzatrici videro nascere «El Oprimido» di Luján, diretto dal dottor irlandese John Creaghe, e «La Questione Sociale», rivista mensile apparsa a Buenos Aires sotto la direzione di Fotunato Serantoni.573

Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Dall’altra parte, nel luglio 1892 gli anarchici bonaerensi ricevettero una circolare sull’uscita del giornale La Tribuna di Barcellona, con indirizzo presso Fortunato Serantoni. Vd. Cosas varias, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 44, 10 luglio 1892. 572 Romilda Popoli, casalinga, nacque a Sissa, provincia di Parma, il 20 maggio 1868 da Luigi e Corina Maccarini. Vd. ACS, CPC, b. 4085, fasc. Popoli Romilda, in particolare il rapporto della prefettura di Parma alla DGPS, 5 giugno 1936. Su Cino Cordero, vd. ACS, CPC, b. 1471, fasc. Cordero Cino, in particolare il rapporto della Prefettura di Parma alla DGPS, 17 dicembre 1901. 573 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 141-142; R. FALCÓN, op. cit., pp. 124-125. Secondo Zaragoza, molti di questi giornali non sono stati trovati ed è probabile che si trattasse dei nomi di alcuni gruppi. Vd. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 142. Vd. Anche «El Perseguido», a. IV, n. 59, 7 maggio 1893; a. V (1894): n. 71, 11 novembre; 72, 22 novembre. El Perseguido chiamò l’attenzione dei compagni sul giornale «La Lucha» de La Plata, e nel suo numero 72, rispondendo ad una lettera di P. J. Rojo, direttore di quel periodico, suggeriva che nella redazione ci sarebbe stato qualcuno pagato dalla polizia. Il giornale «Il Pungolo»è menzionato da Secondo Cappellini in una lettera del febbraio 1893 ad Andrea Costa, al quale, inoltre, invitava a Buenos Aires, assecondato da un tale Lombardi, per fondare un periodico socialista, poiché mancava «un giornale onesto e ben fatto» in lingua italiana. Vd. la lettera di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, Buenos Aires, 17 febbraio 1893, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 10, fasc. 1422.

236 Ci furono anche diversi progetti di giornali che non riuscirono a vedere la luce, come «Humanitas» del gruppo Jóvenes Anarquistas di Rosario, che intendeva sostituire lo scomparso «Demoliamo» di lingua italiana e che nel febbraio 1894 raccolse delle sottoscrizioni, ma nel maggio detto gruppo manifestava che il giornale non vide la luce per ragioni esterne al gruppo. Già un anno prima, anche a Rosario, il gruppo La Rebancha aveva fallito nel suo tentativo di pubblicare il proprio giornale. Il periodico «Lotta Umana» sarebbe dovuto uscire a Buenos Aires alla fine del 1893 o inizi 1894, la cui sottoscrizione fu raccolta da Luigi Brunini e pubblicata su «La Riscossa» della capitale, ma non si ebbero più notizie del progetto. Infine, El Perseguido annunciava nel dicembre 1894 l’imminente comparsa de «L’Avenir Social» nello stesso mese, tuttavia sembra che il giornale non fosse mai uscito.574 Nel luglio 1892, «El Perseguido»mise a disposizione del gruppo libertario di lingua italiana La Libera Iniziativa la propria casella postale, per facilitare il suo tentativo di fondare un giornale comunista anarchico. Il gruppo, che si riuniva in via Callao 160, si scisse verso l’agosto e i militanti impegnati con la pubblicazione del giornale, il nuovo Gruppo di Propaganda Comunista Anarchica, annunciarono la sua uscita per il 20 settembre, con indirizzo presso l’anarchico Miscosi, tuttavia fu solo nel novembre che il giornale vide la luce, con il nome di «Lavoriamo», il cui nuovo indirizzo si fissò presso Luigi Brunini, nel quartiere La Boca.575 Il «Lavoriamo», giornale in lingua italiana che si dichiarò comunista anarchico in sintonia con la corrente antiorganizzatrice prevalente durante quegli anni, riuscì a pubblicare sei numeri, l’ultimo dei quali apparve il 1° luglio 1893. Nonostante la sua breve vita, questo giornale riuscì a costruire una rete di contatti con diversi gruppi e individui dell’anarchismo internazionale, mantenendo corrispondenza con anarchici di São Paulo, Chicago, Massaua, con il giornale «El Oprimido»de Valparaíso e in Italia con compagni di Pesaro, Peruggia, Marsala, Roma, Fano, Mantova, La Spezia e con Domenico Francolini di Rimini. La rete libertaria che il giornale creò nell’Argentina, inoltre, comprese il gruppo della Libreria International di Émile Piette, Los Invencibles de Barracas e un gruppo costituito per la pubblicazione degli opuscoli Fra Contadini e La

574 Su «Humanitas», vd. «El Perseguido», a. V (1894): n. 68, 18 febbraio; n. 70, 31 maggio. Sul giornale del gruppo La Rebancha, vd. «El Perseguido», a. IV (1893): n. 56, 26 febbraio; n. 61, 18 giugno. Su «Lotta Uman»a, vd. «La Riscossa», Buenos Aires, 1893: n. 1, 14 ottobre 1893; n. 2, 11 novembre 1893; «Demoliamo», Rosario de Santa Fe, a. I, n. 2, 11 novembre 1893. Su «L’Avenir Social», vd. «El Perseguido», a. V, n. 73, 12 dicembre 1894. 575 Vd. «El Perseguido», a. III (1892): n. 44, 10 luglio; n. 46, 14 agosto; n. 47, 4 settembre; n. 52, 27 novembre.

237 Conquista del Pane, gruppi dei quali il giornale pubblicò degli avvisi. Inoltre, inviò corrispondenza a compagni di Córdoba, Rosario, Rufino in provincia di Santa Fe e Trenque Lauquen in provincia di Buenos Aires e ricevette sottoscrizioni da Tucumán, San Cristóbal de Tucumán, Patagones e Romano Blanco, oltre che da São Paulo e Montevideo e dai gruppi Libera Iniziativa e Operai Coscienti di Buenos Aires per un manifesto in occasione delle nozze d’argento dei reali d’Italia. Fra gli anarchici emiliani e romagnoli nel paese sudamericano, Giovanni Ragazzini collaborò pecuniariamente con il giornale e Luigi Brunini fu uno dei sottoscrittori per i funerali dell’anarchico milanese Luigi Gervasini.576 Le notizie internazionali pubblicate dal giornale riguardarono soprattutto il movimento anarchico e operaio di diversi paesi d’Europa e degli Stati Uniti, anche se furono pubblicate delle informazioni sul movimento anarchico del Brasile, tuttavia la maggior parte delle notizie provennero dalle diverse regioni dell’Italia, inclusi svariati punti dell’Emilia e della Romagna. Il primo gennaio 1893, il giornale salutava l’uscita a Reggio Emilia del numero unico astensionista «Lo Scamiciato» e inviava «al compagno Canovi una stretta di mano» e inoltre accennava il grande astensionismo alle elezioni di Faenza, la ricomparsa del giornale anarchico imolese «La Plebaglia» e il mandato di cattura sui repubblicani cesenati Egisto Valzania e Benzi. Alcuni mesi dopo, nel luglio, parlava dell’assalto ai forni che fecero duecento donne a Sant’Alberto di Ravenna, della crisi operaia, della disoccupazione dei braccianti nel basso bolognese e dell’agitazione di disoccupati in Romagna e particolarmente a Cesena.577 La tendenza antiorganizzatrice del giornale non fu di impedimento perché nel luglio pubblicasse una circolare del gruppo anarchico di lingua italiana a Londra, La Solidarietà, diretta agli anarchici italiani colpiti dalle misure repressive in Italia e recatisi all’estero, ed esortava loro a raggrupparsi per contribuire all’organizzazione dei lavoratori italiani e dei movimenti operai locali nei diversi paesi d’adozione, facendo appello per la costruzione di una federazione degli anarchici italiani all’estero. Anche se il «Lavoriamo» non prestò grande attenzione a quest’appello, sì denunciò costantemente la repressione nella penisola e, di fatto, lo stesso Luigi Brunini, probabilmente l’amministratore del periodico, approfittò delle pagine del giornale per pubblicare una

576 Vd. «Lavoriamo», Buenos Aires, a. I (1893): n. 2, 1° gennaio; n. 3, 8 marzo; n. 6, 1° luglio. Cfr. L. BETTINI, op. cit., pp. 6-7. Luigi Gervasini, tipografo milanese, uno dei fondatori del «Lavoariamo» e collaboratore de «El Perseguido», morì a Buenos Aires il 13 giugno 1894 per una polmonite. Vd. Luigi Gervasini, in «Lavoriamo», Buenos Aires, a. I, n. 6, 1 luglio 1893. 577 Vd. «Lavoriamo», Buenos Aires, a. I (1893): Movimento sociale, n. 2, 1° gernnaio; Notizie, n. 6, 1° luglio.

238 sua lettera sul processo di Roma contro gli anarchici, che era stata inviata a «L’Operaio» di La Spezia ma sequestrata dalla polizia italiana, tramite la quale criticava l’accusa di malfattori e rivendicava l’azione libertaria.578 Non conosciamo le ragioni che portarono alla cessazione del giornale anarchico, tuttavia nell’ottobre 1893 apparve a Buenos Aires «La Riscossa», che dichiarandosi comunista anarchico, si identificò come la continuazione del «Lavoriamo» e, infatti, le riunioni del gruppo del giornale si tenevano nello stesso locale del suo predecessore, in via Callao 160 e come quello, la sua rete di sottoscrittori nell’Argentina incluse l’Uruguay, il Brasile, il gruppo Los Invencibles de Barracas, la città di Rosario e alcune piccole città come Campana, Corrientes, Flores, Zárate e Tigre. In ogni caso, l'inclusione nel periodico delle liste di sottoscrizione a favore di altri gruppi, come quello guidato da Luigi Brunini per la pubblicazione – poi non riuscita – del giornale la Lotta Umana, per il Circolo la Gioventù Studiosa e la sua biblioteca – per la quale ci fu una sottoscrizione anche da Bahia Blanca –, potrebbe suggerire che la rete, seppur non fosse cresciuta significativamente, mostrasse una certa solidità nei legami fra i diversi gruppi della capitale argentina. Questo modo di rafforzare la solidarietà fra i circoli libertari, si stabilì anche fra il gruppo de «La Riscossa» e i giornali anarchici «Sempre Avanti» di Livorno e «L’Ordine» di Torino, i quale ricevettero le sottoscrizioni raccolte per mezzo del collega bonaerense, alle quali contribuirono Luigi Brunini, Francesco Natta e Fortunato Serantoni, ma anche il socialista rivoluzionario Secondo Cappellini. Inoltre, nella sottoscrizione raccolta a favore della vedova dell’anarchico catalano Paulino Pallás – giustiziato a Barcellona nell’ottobre 1893 dopo aver tentato un attentato contro il Comandante Generale di Catalogna – apparve Eugenio Bertani.579 «La Riscossa» fu pubblicato integramente in italiano e si dichiarò favorevole all’uso della violenza, anche quella individuale. Fecero parte della sua redazione Luigi Gilio, Enrico Peyré e un tale «Rubio» e ne fu collaboratore Fortunato Serantoni, che fra la fine del 1892 e gli inizi del 1893 era tornato a Buenos Aires. Il giornale arrivò in diverse località argentine e anche in Brasile, Uruguay, Spagna e Italia, mentre mantenne corrispondenza con anarchici di Livorno, Torino, Marsala, Palermo, Milano, Ancona, Castel di Tusa in provincia di Messina, Barcellona, Azcuénaga in provincia di Buenos Aires, la città di Buenos Aires e con il giornale «Demoliamo» di Rosario. Oltre a

578 Vd. «Lavoriamo», Buenos Aires, a. I (1893): Tribuna Libera. Comunicati, n. 6, 1° luglio; L. B., Ai compagni d’Italia e alla Corte di Cassazione di Roma. A proposito d’una condanna, n. 2, 1° gennaio 1893. 579 Vd. «La Riscossa», Buenos Aires, a. I (1893): n. 1, 14 ottobre 1893; n. 2, 11 novembre; n. 3, 5 dicembre; a. II (1894): n. 4, 15 aprile 1894. Vd anche A chi ci legge, «La Riscossa», Buenos Aires, n. 1, 14 ottobre 1893.

239 pubblicare alcune notizie sul movimento anarchico in Europa e negli Stati Uniti, si diede pubblicità ai giornali «El Derecho a la Vida» di Montevideo, «Demoliamo» di Rosario, «La Questione Sociale» di Buenos Aires, all’eventuale formazione di un Circolo di Studi Sociali e agli opuscoli dei gruppi Gioventù Studiosa e Los Invencibles de Barracas.580 La repressione che viveva il movimento anarchico in Italia fu uno degli argomenti principali del giornale, che pubblicò una serie di corrispondenze venute dalla penisola sulle persecuzioni e perquisizioni contro militanti, gruppi e giornali libertari nelle principali città italiane, ma anche sui moti della Sicilia e in Lunigiana. Da Reggio Emilia s’informava sulla scarsa partecipazione al Congresso dei socialisti legalitari, dal quale furono esclusi gli anarchici, un articolista del giornale accennò brevemente alla condanna dei compagni di Ravenna, dichiarandosi solidale con i «malfattori», mentre nell’aprile 1894 raccontava della manifestazione tenuta a Parma dopo i funerali di «un compagno socialista», dell’arresto di sette operai a Modena per aver cantato inni rivoluzionari, dello sciopero generale fra i braccianti di Faenza, e infine della condanna a 11 mesi di carcere a Giuseppe Facchini dopo che il circolo socialista era stato sciolto dall’autorità.581 Vero è che il giornale dedicò parte importante delle sue pagine anche alle vicende del movimento libertario in Argentina, denunciando le «vigliaccherie» della polizia argentina nei confronti del movimento anarchico, che patì persecuzioni e arresti fin dall’ottobre 1893. Un mese dopo la redazione de «La Riscossa» fece un appello ai compagni per sostenere il giornale, diretto «specialmente ai compagni delle province, dell’Uruguay e del Brasile, i quali – salvo rare eccezioni – non si fanno vivi da molto tempo», il che suggerisce che i legami costruiti con alcuni gruppi di Buenos Aires non avevano raggiunto la stessa solidità altrove. In un articolo che rimandava la risposta alla domanda posta dai compagni della penisola sulla posizione degli anarchici sulle rivoluzioni radicali in Argentina, coglieva l’occasione per « esortare gli anarchici residenti, specialmente gli scettici e tutti quelli che da lungo tempo sonacchiavano, ad essere più attivi nella propaganda e più energici quando si presentassero certe occasioni».582

580 Cfr. A. GIORDANO, op. cit., pp. 47-48; «La Riscossa», Buenos Aires, a. I, n. 1-4. 581 Vd. «La Riscossa», Buenos Aires, a. I (1893): Movimento sociale, n. 1, 14 ottobre; L’anarchismo in Italia, n. 2, 11 novembre; Manifesto degli anarchici ai lavoratori siciliani e Corrispondenze, n. 3, 5 dicembre; Staffilate anarchiche e Note e notizie, n. 4, 15 aprile . 582 Vd. «La Riscossa», n. 2, 11 novembre 1893, in particolare l’articolo Le rivoluzioni nell’Argentina e gli anarchici.

240 Parallelamente all’uscita de «La Riscossa» di Buenos Aires, a Rosario di Santa Fe usciva il giornale comunista anarchico «Demoliamo», pubblicato in lingua italiana e spagnola e diretto da Angelo Careghini il cui primo numero uscì il 20 settembre 1893. Dall’unico numero disponibile, sembra che la rete libertaria creata intorno al giornale rosarino fosse molto più stretta di quella dei colleghi bonaerensi, almeno a livello internazionale. Nella corrispondenza apparvero «El Perseguido» di Buenos Aires, che aveva mandato gli indirizzi di alcuni compagni – probabilmente dell’Argentina – e militanti di Villa Constitución e Gálvez, in provincia di Santa Fe, Banfield in provincia di Buenos Aires e Tucumán. Nelle sottoscrizioni, invece, apparvero militanti di Córdoba e di Montevideo, incluso il giornale «El Derecho a la Vida» di quella città e i gruppi locali Siglo XIX, la Sociedad Cosmopolita de Panaderos di Rosario e Los Invencibles del Oeste, di cui si pubblicò anche un avviso delle sue riunioni. Infine, si menzionarono il giornale «La Riscossa» di Buenos Aires, il gruppo Gioventù Studiosa e il progettato «Lotta Umana», tutti di Buenos Aires. Riguardo al contesto internazionale, il periodico si limitò a indicare alcuni giornali di Spagna, L’Asino Umano di São Paulo, «El Oprimido» de Valparaíso ed «El Derecho a la Vida» della capitale uruguaiana e a questi ultimi due chiedeva lo scambio, poiché di tutti i loro numeri pubblicati non ne avevano ricevuto neanche uno.583 Allo stesso modo de «La Riscossa», il giornale anarchico rosarino aprì una sottoscrizione in favore della famiglia di Paulino Pallas, sul quale pubblicò una lettera che parlava, tra altro, del suo soggiorno a Rosario e della sua collaborazione nella fondazione della Sociedad Internacional di Rosario nel 1890 e un articolo del Careghini. Il direttore del giornale pubblicò anche una nota critica de «La Riscossa», che aveva aperto una sottoscrizione a favore della propaganda anarchica in Italia e che fu inviata soltanto ai giornali «Sempre Avanti» di Livorno e «L’Ordine» di Torino, a discapito di tutto il resto della stampa libertaria della penisola. Infine, lo stesso Careghini fece un’apologia sui moti in Sicilia, dichiarando: «Noi comunisti anarchici, mandiamo il nostro saluto; e, se può giungere in tempo, la nostra parola d’adesione e d’incoraggiamento; ed un voto».584

583 Del «Demoliamo» è stato reperito solo il numero 2, del 11 novembre 1893. Cfr. L. BETTINI, op. cit., L’uscita del giornale fu annunciata da «El Perseguido» (a. IV, n. 64, 17 settembre 1893) e da «La Riscossa» (a. I, n. 1, 14 ottobre 1893), ma la data del primo numero, segnalata da Zaragoza, era stata asserita dal Consolato d’Italia a Rosario al MAE. Vd. Il rapporto del 24 novembre 1893, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Consolato Rosario 1894. Cfr. Vd. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 142 584 Vd. Paulino Pallas, Una carta, Frustate e Buoni sintomi, in «Demoliamo», a. I, n. 2, 11 novembre 1893.

241 La vita del «Demoliamo», però, vide la sua fine repentinamente. In mezzo ad un ambiente ostile alla propaganda anarchica, incoraggiato dallo stato d’assedio dichiarato dopo il fallimento della sollevazione radicale del luglio, all’uscita del secondo numero del giornale, l’autorità di polizia di Rosario ne ordinò il sequestro e l’arresto del Careghini, operaio imbianchino lombardo di 22 anni e di Carlo Forti. Giorni dopo la detenzione degli anarchici, il console italiano a Rosario riferiva al MAE che un anarchico spagnolo venne da lui a richiedere delle pratiche per la scarcerazione dei compagni, questione che il console respinse sostenendo che con lo stato d’assedio, la libertà di stampa era sospesa. Il gruppo redazionale del «Demoliamo» fu liberato dopo undici giorni di reclusione e dichiarò che avrebbe pubblicato il terzo numero del giornale nonostante la polizia avesse ingiunto loro di cambiare il titolo della pubblicazione. In ogni caso, non abbiamo notizie sulla ricomparsa del periodico rosarino.585 L’incarcerazione del gruppo del Demoliamo fece parte di un particolare momento di repressione sul movimento anarchico argentino. Già alla fine dell’ottobre la polizia di Luján, in provincia di Buenos Aires, arrestò sei anarchici – tra essi l’anarchico irlandese John Creaghe – che avevano convocato un meeting anticlericale, a proposito del pellegrinaggio alla vergine della città, e li trasferì alle carceri di La Plata, dove rimasero per otto giorni. Le redazioni dei periodici «Demoliamo» e «La Riscossa» manifestarono la loro solidarietà con i compagni e a Buenos Aires apparve un manifesto di appoggio agli incarcerati di Luján.586 Anche «La Riscossa» subì la repressione poliziesca. Fra la fine di novembre e gli inizi di dicembre, dopo le detenzioni di Rosario e di Luján, la polizia della capitale argentina arrestò diversi anarchici «alla spicciolata» nelle loro case, luoghi di lavoro e per strada e circa una quarantina nella cantina di via Callao – supponiamo si tratti del locale usato dalla redazione de «La Riscossa» per le riunioni del gruppo – il che portò alla sospensione delle riunioni e poi all’interruzione della pubblicazione del giornale, prima della quale questo aveva lanciato un appello per raccogliere del denaro a favore degli incarcerati. Enrico Peyrè, direttore del giornale, fu arrestato nel suo domicilio insieme a Riccardo Serra e nel luogo si trovarono diversi giornali anarchici di Francia,

585 Vd. Rapporto del Consolato d’Italia a Rosario al MAE, 24 novembre 1893, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47 Melbourne, Montevideo, ecc. (1880-1896), fasc. Consolato Rosario 1894. Vd. anche Note e notizie, in «La Riscossa», Buenos Aires, n. 3, 5 dicembre 1893. Cfr. L. BETTINI, op. cit., p. 7. 586 Vd. il manifesto A los anarquista de Sud-América, Buenos Aires, 5 novembre 1893, firmato dal gruppo Los Dinamiteros, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3389 Argentina 1888-1924. Vd. anche Vigliaccherie, in «La Riscossa», Buenos Aires, n. 2, 11 novembre 1893; Ai compagni di Luján, in «Demoliamo», Rosario de Santa Fe, a. I, n. 2, 11 novembre 1893; Luján, atropellos de la Policía e Cosas varias, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV, n. 66, 11 novembre 1893.

242 Spagna e Italia, tra i quali «L’Operaio» de La Spezia, «L’Ordine» di Torino e «La Nuova Gioventù» di Firenze, mentre secondo il ministro d’Italia a Buenos Aires, Peyrè avrebbe riconosciuto che inviarono in Italia 1.500 copie di ogni numero del giornale. In seguito, la polizia perquisì la casella postale de «La Riscossa», sequestrando la corrispondenza e il denaro. Dopo la fine dello stato d’assedio, il giornale riuscì a pubblicare un quarto numero nell’aprile 1894 e siccome la posta era stata trattenuta, si chiedeva di inviare le cooperazioni all’indirizzo del giornale di lingua francese «La Liberté». Dal suo canto, il ministro in Argentina segnalava al MAE che non era riuscito ad avere nessuna copia dell’ultimo numero de «La Riscossa», ritenendo che si era pubblicato per mandarlo in Italia piuttosto che per farlo circolare in Argentina.587 La repressione poliziesca avviata nell’ottobre 1893 contro il movimento libertario colpì anche altri italiani. L’amministratore del giornale «El Peresguido», l’italiano Luigi Gilio, che si faceva chiamare Emilio Reinant, fu arrestato nel dicembre, mentre Emilio Zuccarini e Alfredo Cantiello furono detenuti nel gennaio, anche se quest’ultimo fu liberato dopo aver dichiarato che non aveva l’intenzione di applicare i propri principi anarchici «in un paese libero come l’Argentina». Non si erano trovate invece, traccie di Serantoni. Il calzolaio Gilio, insieme al pittore Serra e a Enrico Peyrè, furono espulsi nel dicembre, mentre Zuccarini dovette lasciare il paese il mese dopo. Anche la posta de «El Perseguido» fu trattenuta dalla polizia; i giornali anarchici accusavano la polizia stessa, di avvalersi di agenti provocatori infiltrati fra gli anarchici, accusavano il governo di finanziare una campagna stampa contro il movimento e i suoi militanti e infine, accusavano la stampa borghese di spiare le attività degli anarchici e di segnalarli alla polizia.588 Fra i militanti libertari colpiti dalle persecuzioni, ci furono almeno due romagnoli. Uno di loro fu Giovanni Ragazzini, arrestato nel novembre e dopo un mese di carcere espulso dall’Argentina insieme ad altri anarchici stranieri. Il 14 dicembre Ragazzini, gli

587 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretti al MAE, 25 dicembre 1893 e 20 aprile 1894, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Vd. inoltre Persecuzioni ed arresti a Buenos Aires, Ai compagni e Solidarietà, in «La Riscossa», n. 3, 5 dicembre 1893; A chi ci legge e Ai compagni, in «La Riscossa», n. 4, 15 aprile 1894. Cfr. A. GIORDANO, op. cit., pp. 49-50; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 142. Inoltre, intorno a «El Perseguido» si formò il gruppo La Solidaridad per aiutare gli anarchici arrestati. Vd. Cosas varias, in «El Perseguido», n. 67, 17 dicembre 1893. 588 Vd. i rapporti della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretti al MAE, 25 dicembre 1893 e 18 gennaio 1894, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Vd. anche «El Perseguido», a. IV (1893): Cosas varias, n. 65, 22 ottobre; Arbitrariedad policial, n. 67, 17 dicembre; a. V (1894): Importante e Persecusiones estúpidas, n. 68, 18 febbraio; Staffilate anarchiche, in «La Riscossa», n. 3, 5 dicembre 1893. Cfr. M. R. OSTUNI, op. cit., p. 116; D. ABAD DE SANTILLÁN, op. cit., p. 47; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 144. Secondo Zaragoza, Luigi Gilio sarebbe stato il direttore de «La Riscossa».

243 italiani Francesco Denambride e Giovanni Gaia, due francesi e due spagnoli, furono portati all’ufficio d’identificazione antropometrica per essere identificati e fotografati,. Furono intervistati da un corrispondente del giornale bonaerense «La Prensa», il quale segnalava che uno degli anarchici che lavorava come pittore – sicuramente Ragazzini, l’unico pittore del gruppo – guadagnava 20 pesos al giorno, molto al di sopra dello stipendio medio degli operai e che tuttavia si lamentava dei bassi salari, ma il forlivese rispondeva che protestava non in un senso egoista ma per una questione di umanità. Il giornalista contestò il concetto umanitario dell'anarchico, riferendosi agli attentati in Europa ma Ragazzini rispose che quello non interessava loro, poiché non era ciò che si faceva in Argentina. Per ordine del ministro dell’Interno, gli anarchici dovevano scegliere fra rimanere in carcere fino alla cessazione dello stato d’assedio – nell’Isla de los Estados, nel Cabo de Hornos – o espatriare e il giorno 15 dicembre gli anarchici, con la sola eccezione di Giovannio Gaia, che fu liberato dopo aver dichiarato che non avrebbe più professato le idee anarchiche, furono imbarcati a Montevideo. Il giornale anarchico «El Perseguido», celebrava i compagni per aver dimostrato alle autorità «su actitud enérgica en el convencimiento de las ideas comunistas anárquicas».589 La polizia argentina si era fissata sull’idea che gli anarchici stessero preparando degli attentati e le perquisizioni e gli arresti continuarono ancora nel 1894 sia a Rosario come a Buenos Aires, tanto che nel febbraio una quarantina di anarchici di entrambe le città furono espulsi. Nel maggio, sei anarchici furono arrestati per la fabbricazione di bombe con dinamite, dopo che due agenti di polizia s'infiltrarono nel gruppo e avevano proposto la preparazione del materiale esplosivo. Fra gli anarchici arrestati c’era il romagnolo Alfredo Maresi, pianista con sette anni di residenza in Argentina, Georges Henry, Guillermo Arnold, Eduardo Plessi, francesi e Juan Suzzi, austriaco, tutti quanti arrestati insieme dopo aver finito la fabbricazione di alcune bombe con l’aiuto dei provocatori, mentre un secondo austriaco, Fabian Fritz, fu arrestato a Mendoza, dove si era recato per trovare della dinamite. La stampa borghese applaudì l’azione poliziesca e i giornali anarchici e socialisti accusarono la manovra come mezzo per giustificare ulteriori repressioni.590

589 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 25 dicembre 1893. Vd. anche Noticias de Policía, in «La Prensa», Buenos Aires, 14 e 15 dicembre 1893; Cosas varias e Persecusiones estúpidas, in «El Perseguido, n. 68, 18 febbraio 1894. Cfr. D. ABAD DE SANTILLÁN, op. cit., pp. 46-47; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 144. Ringrazio Martín Albornoz per la segnalazione degli articoli su «La Prensa». 590 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, giugno 1894, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. Il rapporto aveva come allegato l’articolo del giornale bonaerense «La Nación», El Anarquismo en Buenos Aires, ma non segnala data. Vd. anche A los anarquistas de la Republica Argentina, in «El Perseguido», a. V, n. 70, 31

244 3.3. L’ascensione dell’anarchismo organizzatore e gli anarchici emiliani e romagnoli (1895- 1898)

Dopo che alcuni anarchici italiani furono espulsi dall’Argentina, tra essi Giovanni Ragazzini nel dicembre 1893 e che la Legazione d’Italia a Buenos Aires informò il MAE delle misure prese dalle forze dell’ordine della repubblica platense al riguardo, la rappresentanza diplomatica assicurava che «la Polizia Argentina che per lo [sic] passato non aveva mai voluto occuparsi degli anarchici, ora incomincia a seriamente preoccuparsene».591 Infatti, pochi mesi dopo, nel giugno 1894, il governo argentino, attraverso il suo incaricato d’affari a Roma, inviò una nota al governo italiano in cui propose di raggiungere un accordo fra i due governi per l'opportuna vigilanza degli anarchici, segnalando vicendevolmente le partenze di attivisti libertari dall’Italia e il loro ritorno dall’Argentina per mezzo delle rappresentanze diplomatiche di entrambi i paesi, «estableciéndose así una vigilancia internacional entre el Gobierno Italiano y el Argentino». Il Ministero dell’Interno italiano, in un primo momento favorevole all’intesa con la sola aggiunta di segnalare anche la partenza per la penisola di anarchici non italiani, respinse poi la proposta adducendo le difficoltà nel controllo sulla massa migrante, gli imbarchi clandestini degli anarchici e da porti non italiani, e infine lo «scarso interesse [del governo italiano] a che gli anarchici italiani siano espulsi, o respinti, dall’Argentina», proponendo invece uno scambio d’informazione diretto fra la DGPS italiana e la Direzione di Polizia Argentina, senza l’obbligo di stabilire un accordo formale né scritto.592 Sia la Legazione d’Italia a Buenos Aires, sia il proprio Ministero dell’Interno diffidavano dell'effettiva sorveglianza degli anarchici in terre argentine e quest’ultimo temeva anche che le autorità sudamericane attuassero delle misure repressive contro gli anarchici, come la loro espulsione o il divieto dello sbarco. Tuttavia, nel corso del 1895 le trattative fra i due governi ebbero come risultato un accordo privato fra le polizie d’entrambi i paesi, che stabiliva la doppia corrispondenza via telegrafo e posta, e verso la maggio 1894. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 144-145; M. R. OSTUNI, op. cit., pp. 116-117. 591 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires al MAE, 25 dicembre 1893, ADS-MAE, Polizia Internazionale, b. 8 Rappresentanze italiane a Berlino, ecc. (1885-1896), fasc. Buenos Aires. 592 Vd. la corrispondenza fra il MAE, il Ministero dell’Interno e la Legazione d’Italia a Buenos Aires, dal 25 giugno 1896 al 29 aprile 1895, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali. Argentina, Austria, Baviera, Belgio, Brasile, Bulgaria, Egitto (1889-1901), fasc. Argentina

245 fine del 1897, il governo argentino riuscì a far includere nell’accordo la segnalazione sulle partenze di anarchici, sia dall’Italia sia dall’Argentina, da parte delle polizie locali ai rispettivi consolati, nelle rispettive città. Il 21 dicembre di quell’anno, la DGPS inviò una circolare ai prefetti dei Regno per assicurare il compimento dell’accordo, ordinando di informare i consolati argentini in Italia sull’imbarco di anarchici e sovversivi alla volta del Plata. L’anno successivo, però, questa misura ebbe come conseguenza il divieto di sbarcare a Buenos Aires di alcuni anarchici, tra essi il livornese Emilio Mei. Ciò fu qualificato dal governo italiano come un’interpretazione sbagliata dell’accordo dal parte del governo argentino, il quale si riferiva all’efficienza della sorveglianza piuttosto che alle misure repressive nel confronto d’individui ritenuti anarchici ma che non avevano commesso illeciti.593 Anche se è probabile che l’attuazione di questi accordi non migliorasse l’efficienza della sorveglianza sugli anarchici, in qualche modo le misure repressive della fine del 1893 e del 1894 contribuirono a far retrocedere la prevalenza degli antiorganizzatori. In ogni caso, furono principalmente la ripresa dell’attività sindacale, dell’organizzazione operaia e i molti scioperi che dal 1894 in poi riempirono lo scenario della conflittualità sociale, le ragioni più potenti dell’inizio del declino delle tendenze antiorganizzatrici all’interno del movimento anarchico. Quell’anno, a Buenos Aires ci furono 14 scioperi, fra i quali quelli dei fornai e dei muratori, mentre nel 1895 furono diciannove le società operaie che si astenettero dal lavoro, con più di quaranta scioperi durante l’anno, di cui circa il 70% raggiunse il suo scopo, fra i quali spicca quello dei gessai, i primi ad ottenere le otto ore di lavoro. L’anno successivo furono 26 le associazioni in sciopero, coinvolgendo, come l’anno precedente, circa 24 mila lavoratori, ma quelli che ne uscirono vincitori diminuirono, poiché gli industriali inasprirono le loro risposte e si avvalsero della repressione poliziesca, soprattutto nei settori economici legati all’esportazione e ai servizi pubblici, e forse anche perché la ripresa economica aveva fatto aumentare ancora l’immigrazione. L’auge degli scioperi del biennio 1895-1896, che si spiega anche per la ripresa economica dell’Argentina, in quanto alla sua dimensione 1894-1901, s/fasc. 1 Accordi col governo argentino circa gli anarchici. 593 Vd. la documentazione conservata in ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali. Argentina, Austria, Baviera, Belgio, Brasile, Bulgaria, Egitto (1889-1901), fasc. Argentina 1894-1901, s/fasc. 1 Accordi col governo argentino circa gli anarchici. Vd. anche Archivio de la Cancillería Argentina, Asuntos Políticos (1861-1920), caja 586, fasc. 4 ½. Cfr. M. R. OSTUNI, op. cit., pp. 117-118. La circolare del Ministero dell’Interno ai prefetti del regno sull’accordo con l’Argentina, del 21 dicembre 1897, oltre che nel s/fasc. sopracitato, si trova in ASD-MAE, Serie Politica P 1891-1916, b. 47 Pos. Anarchici 1900- 1908, fasc. Anarchici all’Argentina (1902-1908). Ostuni sostenne che durante il 1897 e 1898 anche due anarchici spagnoli furono respinti dall’Argentina, tuttavia, dopo alcuni mesi di attuazione di questa politica, la polizia argentina si distese e smise di respingere anarchici. Vd. Ivi., p. 120.

246 costituì il periodo di agitazione operaia più importante fino ad allora e segnò in modo radicale il cambiamento di orientamento in gran parte dei militanti libertari. Il movimento più importante fu quello dei ferrovieri, verso la metà del 1896, iniziato nell’officina di Tolosa, in provincia di Buenos Aires, ma che presto si estese a Córdoba, Rosario, Paraná, Campana, Junín e la capitale federale, con una durata di 120 giorni e coinvolgendo circa 12 mila operai, ma finì con l’uso di crumiri da parte dei padroni e con dure rappresaglie sugli scioperanti. Anche a Rosario la riattivazione dell’economica argentina favorì l’allargamento dell’organizzazione operaia, nella quale gli anarchici ebbero maggiore presenza che i socialisti. Particolarmente rilevante fu lo sciopero generale della città del 1896, iniziato con i ferrovieri che aderirono alla mobilitazione nazionale, che, anche se non dichiarato da nessuna società, trovò la solidarietà di 4 mila operai della città. In agosto ci furono degli scontri con la polizia, ma il fallimento dello sciopero ferroviario a Buenos Aires fece fallire anche il movimento a Rosario, seppur i panettieri s'astenessero dal lavoro fino alla fine del mese, ma anche qua la dura risposta dei padroni, con licenziamenti e repressioni, portarono alla disorganizzazione dei lavoratori.594 Di fronte allo scenario di crescita del movimento operaio, gli industriali dell’Argentina, oltre ad inasprire le proprie azione contro i lavoratori, si riuniscono in un congresso convocato dall’Unión Industrial, con lo scopo di rafforzare la difesa dei propri interessi. Quest’associazione aveva fra le sue fila molti stranieri, alcuni dei quali erano stati artigiani e operai durante gli anni ’60 e ’70 c che erano diventati proprietari con il tempo e anche se non detenevano il controllo dello Stato, in mano all’élite argentina agro-esportatrice, alcuni dei suoi membri furono parlamentari e ministri, il che spiega il suo ascendente sul governo in favore dei propri interessi a discapito degli operai. Uno degli aspetti che intesero promuovere, fu il protezionismo dell’industria, a favore del quale riuscirono ad organizzare una manifestazione pubblica nel luglio 1899, alla quale parteciparono circa 40 mila persone, molti operai compresi e che fu aspramente criticata da anarchici e socialisti.595 Dal canto suo, il movimento operaio vide riattivare la propria attività anche prima della ripresa economica e nel biennio 1893-1894 nacquero circa quindici nuove società di resistenza e nel 1894 i socialisti portano a termine un secondo tentativo di creare una

594 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., p. 87-88; R. FALCÓN, La Barcelona argentina, cit., pp. 71-72; F. QUESADA, op. cit., p. 14; A. BELLONI, op. cit., pp. 24-25; R. MUNCK, op. cit., p. 38. 595 R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero, cit., pp. 82-83.

247 federazione operaia, la quale fallì però alla fine dell’anno dopo, non senza le aspre critiche degli anarchici antiorganizzatori. La svelta crescita del numero di società operaia negli anni successivi, oltre a incoraggiare l’emergenza di una corrente sindacalista all’interno del movimento operaio indipendente di socialisti e anarchici, collaborò alla trasformazione dei rapporti di forza fra organizzatori e antiorganizzatori. In questo contesto, nel 1895 apparve il giornale «Unión Gremial», sostenuto da diverse società di resistenza, che propose un dibattito intorno allo sciopero generale senza schierarsi con il socialismo né con l’anarchismo, anno in cui solo a Buenos Aires esistevano circa venticinque società operaie. L’anno dopo, il numero di associazioni di resistenza bonaerensi era aumentato a trenta con attività permanente, molte delle quali avevano già raggiunto le otto ore di lavoro e anche in città come Santa Fe, Rosario, Mendoza e Bahia Blanca si erano fondate diverse società operaie.596 Le tendenze organizzatrici dell’anarchismo argentino, che erano state relegate ad un secondo piano durante i primi anni ’90, senza contare nemmeno su un giornale proprio, iniziarono a svolgere una più intensa attività di propaganda fin dal 1894. Quell’anno apparvero il giornale «El Oprimido» a Luján, in provincia di Buenos Aires e nella capitale «El Obrero Panadero», diretto da Ettore Mattei e la rivista bilingue «La Questione Sociale», che dal 1897 assunse il nome di «Ciencia Social». L’anno dopo uscì a Rosario il giornale «La Verdad», diretto dal medico Emilio Z. Arana e a Buenos Aires «L’Avvenire», redatto in lingua italiana, mentre nel 1897 apparve «La Protesta Humana», che costituì una specie di fronte unito della maggior parte delle tendenze organizzatrici del paese e la spinta definitiva per la loro prevalenza all’interno del movimento anarchico. Infatti, la fondazione dei nuovi giornali, fece sì che nel 1895 gli organizzatori trovassero maggiore accoglienza fra i lavoratori dell’Argentina, i quali parallelamente formarono numerose società di resistenza e già nel 1897 gli anarchici partigiani dell’organizzazione, divennero dominanti nel movimento operaio, anche se gli continuavano a sostenere l’organizzazione delle proprie fila secondo affinità, indipendentemente dalle società di resistenza, le quali però erano il campo dove doveva svolgersi la propaganda.597 Il periodico che inaugurò l’inizio della stagione organizzatrice nell’anarchismo argentino fu la rivista mensile «La Questione Sociale», apparsa nel luglio 1896 e diretta

596 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., pp. 87-91; F. QUESADA, op. cit., p. 15. Quesada segnala l’elenco dei venticinque mestieri organizzati in società di resistenza per il 1895. Vd. Ivi., p. 5. 597 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 116-166; R. FALCÓN, op. cit., cit., pp. 87-100; E. BILSKY, op. cit., p. 10.

248 da Fortunato Serantoni, che inoltre collaborò in praticamente tutti i giornali organizzatori del periodo. Seppur Serantoni fosse stato collaboratore de «El Perseguido» e la rivista stessa si fosse dichiarata aperta a tutte le tendenze dell’anarchismo, fin dal primo numero si definì socialista anarchica e poi, soprattutto dall’ondata di scioperi del biennio 1895-1896, prese posizioni organizzatrici, anche se all’inizio si mostrò piuttosto scettica sugli scioperi, il che scatenò non poche polemiche con gli antiorganizzatori e in particolare con «El Perseguido». I suoi primi numeri furono pubblicati interamente in italiano, ma nel novembre 1894 cominciarono ad apparire diverse collaborazioni in spagnolo, inclusi articoli inviati da noti militanti libertari iberici, come José Prat, Ricardo Mella, Anselmo Lorenzo e Soledad Gustavo, oltre alla pubblicazione d’articoli di Malatesta, Pietro Gori, Francesco Saverio Merlino, Sergio di Cosimo, Luigi Fabbri e Nicoló Converti. Durante la sua esistenza, che si prolungò fino al 31 ottobre 1896, la rivista si distribuì in almeno trentacinque località dell’Argentina e inoltre fu spedita in Brasile, Uruguay, Cile, Stati Uniti, Tunisi e in Europa, mentre in Italia molte furono le città che ricevettero «La Questione Sociale», inclusa Bologna.598 Nella costruzione di una rete di collaborazione fra i gruppi libertari, la rivista anarchicha ricevette sottoscrizioni in favore dei giornali anarchici «L’Avvenire» e «La Voz de la Mujer», ma soprattutto ebbe un rapporto di affinità e stretta collaborazione con «El Oprimido» di Luján, diretto da John Creaghe, il che di fatto portò a una specie di fusione nel 1896 e dall’agosto di quell’anno fino alla sua scomparsa, «La Questione Sociale» uscì come supplemento letterario del primo, decisione ritenuta benefica per l’economia di entrambi i gruppi redazionali e per dare maggiore impulso alla propaganda. Inoltre, la rivista anarchica si stampò nella Tipografia Elzeviriana di Pietro Tonini, che nel corso del 1895 creò la collezione Biblioteca de Estudios Sociales, la quale pubblicò alcuni opuscoli, come Los Anarquistas di Cesare Lombroso, La Sociedad moribunda y la anarquía e La sociedad futura, entrambi di Jean Grave. L’interesse de «La Questione Sociale» per la propaganda e la diffusione delle idee anarchiche, permise che praticamente tutte le pubblicazioni libertarie uscite e distribuite in Argentina, fossero queste organizzatrici o antiorganizzatrici, trovassero uno spazio di pubblicità nelle sue pagine, come anche

598 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 158-159; A. GIORDANO, op. cit., pp. 50-57. Il manifesto d’uscita della rivista, firmato da Fortunato Serantoni a Buenos Aires il 5 maggio 1894, si trova in IISG, Max Nettlau Papers, Folder 3889 Argentina Anarchism 1888-1924. Secondo Adriano Giordano, è probabile che la pubblicazione della poesia Canto degli anarchici espulsi di Pietro Gori ne «La Questione Sociale», nota poi come Addio Lugano bella, fosse stata la prima in tutto il mondo. Vd. P. GORI, Canto degli anarchici espulsi, in «La Questione Sociale», a. II, n. 11, 1º maggio 1895. Cfr. A. GIORDANO, op. cit., p. 53. Sullo scetticicismo riguardo agli scioperi, vd. Lo sciopero e Las Huelgas, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, A. II, n. 7, 1 gennaio 1895.

249 alcune pubblicate all’estero, tra esse «L’Avvenire» di São Paulo. Particolare spazio pubblicitario ebbero gli opuscoli, che pubblicati da diversi gruppi come La Expropiación di Luján e la collana di Tonini, si distribuivano nella Libreria Sociologica, situata in via Corrientes e gestita dalla compagna di Serantoni, nella quale si distribuivano anche molte pubblicazioni anarchiche europee, tra esse «L’Agitazione» di Ancona – diretto da Errico Malatesta –e «L’Avvenire Sociale» di Messina , oltre a «La Questione Sociale» di Paterson. Questa libreria divenne presto un punto di riferimento per gli anarchici di Buenos Aires; vi si poteva acquistare biglietti per diverse attività dei gruppi libertari, si ricevevano sottoscrizioni e persino per qualche tempo «El Oprimido» e poi «L’Avvenire» ebbero il loro indirizzo presso di essa.599 Il progetto editoriale di Serantoni non si ridusse alla sola rivista e di fatto fin dal 1894 fino al 1902 uscì regolarmente ogni anno l’«Almanaque de La Questione Sociale» e inoltre si creò la colonna Biblioteca de La Questione Sociale, finanziata attraverso sottoscrizioni volontarie, nella quale si pubblicarono opuscoli come Un episodio de amor en la Colonia Cecila. Dopo il 1896 e già sparita la rivista, la collezione prese il nome dalla Libreria Sociologica, che insieme al progetto editoriale del gruppo Los Ácratas, costituì la più importante iniziativa dell’editoria anarchica dell'epoca e fra il 1898 e il 1901 pubblicò almeno 21 titoli fra opuscoli e libri. Mentre uscì «La Questione Sociale», di particolare interesse fu la sua collezione «Propaganda anarquista entre las mujeres», che riuscì a pubblicare almeno quattro opuscoli dal marzo 1895: A las hijas del pueblo, di Ana Maria Mozzoni, El amor libre e A las muchachas que estudian di Giovanni Rossi, e infine A las proletarias di Soledad Gustavo, opuscoli che furono distribuiti anche in Cile, Uruguay, Stati Uniti e Spagna. Entrambe le colonne si finanziarono con sottoscrizioni volontarie che arrivarono da diversi punti del paese ma anche da Montevideo e Santiago del Cile. Fra i sottoscrittori per la «Propaganda anarquista entre las mujeres» apparve Pietro Tonini, Francesco Natta, John Creaghe e Giacomo Locascio, mentre fra quelli per gli opuscoli della «Biblioteca de La Questione Sociale» ci furono i castellani Michele Fantini e Antonio Garavini, quest’ultimo soprannominato «Tigre».600

599 Cfr. A. GIORDANO, op. cit., pp. 55-61; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 160. Sulla trasformazione della rivista in supplemento letterario di «El Oprimido», vd. «La Questione Sociale», a. III, n. 22, 23 agosto 1896. Dagli inizi del 1894, Serantoni gestiva una libreria cartoleria a Buenos Aires, in via Piedad 2095, dove era possibile inoltre acquistare i giornali anarchici europei. Vd. A. GIORDANO, op. cit., pp. 50. Vd. Anche Ai compagni, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 39, 30 gennaio 1898. 600 Vd. le liste di sottoscrizioni, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, e in particolare a. III, n. 21, 4 luglio 1896. Cfr. A. GIORDANO, op. cit., pp. 59-62; G. ZARAGOZA, op. cit., p. 160.

250 «La Questione Sociale» stabilì una estesa rete di contatti con gruppi e militanti anarchici di tutta l’Argentina e dell’estero, con i quali mantenne un’attiva corrispondenza. Fuori dei confini argentini, la redazione della rivista sostenne corrispondenza con São Paulo – in particolare con Giuseppe Consorti e il gruppo italiano del giornale «L’Avvenire» –, Montevideo e Valparaíso in Sudamerica; con Paterson, New York e Brooklyn negli Stati Uniti; con Barcellona, Sabadell, Reus, La Coruña e Haro in Spagna; con Lugano, Zurigo, Tunisi, Londra e in Italia con Roma, Torino, Livorno, Molfetta, Fabriano e Bologna. A quest’ultima città scrisse una nota nel marzo 1895, diretta a G. B., sostenendo che se la rivista non vi arrivava era perché probabilmente era stata sequestrata dal governo, come aveva scritto a Sergio de Cosima di Molfetta in un numero precedente, nonostante la rivista avesse già pubblicato una nota diretta al direttore della posta argentina sullo smarrimento di almeno 35 copie della pubblicazione inviate a diversi sottoscrittori. In Argentina furono molte le città e le località con cui «La Questione Sociale» ebbe corrispondenza, senza mancare, oltre alla capitale, Rosario, Mendoza, Córdoba, Santa Fe, Corrientes, Luján, Tucumán, Santiago del Estero e diversi paesi dell’Argentina. Nel dicembre 1894 la redazione del giornale pubblicò una nota diretta a Giovanni Zirardini, stabilitosi a Carhué, provincia di Buenos Aires, chiedendo conferma dell’arrivo del materiale e nel marzo confermando l’arrivo della corrispondenza inviata dal ravennate.601 Anche le sottoscrizioni in favore della rivista arrivarono da tutta l’Argentina, una volta che quelle divennero volontarie e non più permanenti, come fu fino al novembre 1895, fra i cui nomi spiccano Francesco Natta e Giacomo Locascio. Mentre la tipologia di sottoscrizione fu permanente, le liste di collaboratori pecuniari pubblicate dal periodico furono piuttosto ridotte, tuttavia in esse apparvero il castellano Giuseppe Minardi nell’ottobre 1894 e nel febbraio 1895 Egidio Bolognini e Antonio Garavini, quest’ultimo allora a Paraná e che da Rosario era già apparso nella sottoscrizione per il numero 6 del dicembre 1894 come «Tigre».602 Giuseppe Minardi e Antonio Garavini – noto anche come Ansena – erano stati processati a Faenza nell’ottobre 1893, insieme a Michele Fantini e Raffaele Cavalazzi, accusati di reati contro la libertà dei culti, dopo essere stati implicati come fautori della

601 Vd. la rubrica Piccola Posta, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, e in particolare a. I, n. 6, 15 dicembre 1894; a. II, n. 9, 1 marzo 1895, e n. 10, 18 marzo 1895. Inoltre, Una pregunta al director de Correos, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. I, n. 6, 15 dicembre 1894. 602 Vd. le liste di sottoscrizioni in «La Questione Sociale», Buenos Aires, in particolare a. I, n. 4, 15 ottobre 1894, a. II, n. 8, 1 febbraio 1895, e n. 16, 1 novembre 1895.

251 decapitazione dell’immagine della madonna nella chiesa di San Francesco a Castelbolognese. Fantini fu prosciolto dalle accuse in prima istanza, mentre gli altri tre furono assolti in appello dal Tribunale di Ravenna nel novembre. È probabile che i quattro anarchici non avessero partecipato al fatto e che le accuse contro di loro in quanto anarchici avessero spinto Fantini, Garavini e Minardi a migrare. Fantini arrivò nel novembre 1893 al porto di Buenos Aires, mentre Minardi e Garavini lo fecero nel corso del 1894 e tutti e tre si stabilirono nella provincia di Santa Fe.603 La rivista «La Questione Sociale», scomparsa verso la fine del 1896, ebbe come continuità una nuova rivista, questa volta interamente redatta in spagnolo, con lo stesso gruppo redazionale, incluso Serantoni. Così, nell’aprile 1897 nacque «Ciencia Social», rivista mensile che si prolungò fino al febbraio 1900 e nella quale collaborò Pietro Gori durante il suo soggiorno sudamericano. Prima della cessazione di «La Questione Sociale», però, il gruppo del giornale pubblicò nel 1895 il numero unico «XX Settembre», a proposito della commemorazione della festa patriottica italiana. Nella sottoscrizione per il foglio, pubblicata dalla rivista, apparve oltre a Pietro Tonini e Francesco Natta, anche Arturo Mazzanti, che aveva raccolto dei contributi «fra alcuni amici». Fra le pagine del numero unico, comunista anarchico, che nella sua prima pagina incluse un piccolo ritratto di Paolo Lega, anarchico lughese che nel giugno aveva attentato alla vita di Francesco Crispi a Roma senza successo, apparve un brano di un articolo antipatriottico apparso sulla «Gazzetta di Parma» e anche la poesia Il Canto della Fame, di Felice Vezzani.604 Nel campo organizzatore, come si è affermato in precedenza, ebbe un ruolo importante anche «El Oprimido», diretto dal medico irlandese John Creaghe – che negli

603 Michele Fantini arrivò in Argentina il 22 novembre 1893 proveniente da Genova con il piroscafo Duca di Galliera. Vd. Listado de pasajeros: 1882 a 1920, in S. LAMPERTI (coord.) e M. RISANI (autor), Website «Barcos de Agnelli», [online]: https://sites.google.com/site/barcosdeagnelli/Listado, consultato per l'ultima volta il 30 settembre 2015. Secondo la polizia italiana, però, il castellano si sarebbe trasferito nell’ottobre 1894. Vd. ACS, CPC, b. 1951, fasc. Fantini Michele, in particolare la nota del Ministero dell’Interno al Console Generale a Rosario, 30 settembre 1910. Giuseppe Minardi si trasferì a Santa Fe nell’ottobre 1894, anche se il console in Argentina indicava più genericamente il 1894-1895. Vd. ACS, CPC, b. 3294, fasc. Minardi Giuseppe, in particolare la biografia redatta dalla prefettura di Ravenna, 25 luglio 1894, e il rapporto del Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires, 20 dicembre 1912. Antonio Garavini, noto anche come Ansena, si trasferì a Santa Fe nel corso del 1894 e tornò a Castelbolognese nel dicembre 1896, secondo la polizia italiana con la prospettiva di tornare in Argentina. Vd. ACS, CPC, b. 2277, fasc. Garavina Antonio, in particolare la biografia redatta dalla prefettura di Ravenna, 15 gennaio 1897. In nessuno dei fascicoli del CPC di questi anarchici ci sono notizie sulla loro attività politica svolta in Argentina. Cfr. N. Garavini, Testimonianze, p. 291. 604 Vd. «XX Settembre», Buenos Aires, n. u., 20 settembre 1895. La lista di sottoscrizione per la pubblicazione apparve in «La Questione Sociale», a. II, n. 16, 1 novembre 1895. Il carattere antipatriottico del foglio, nonostante la sua definizione anarchica, fece sì che anche alcuni socialisti, come il dottor Spada e Giuseppe Moneta, dessero il loro contributo pecuniario Cfr. A. GIORDANO, op. cit., pp. 62-64.

252 anni ’80 aveva pubblicato il giornale «The Sheffield Anarchist» in Inghilterra –, periodico nato a Luján nel settembre 1894 ma trasferitosi a Buenos Aires nel novembre 1895, dopo un’alleanza con «La Questione Sociale» che gli permise una maggiore tiratura. Dopo due anni e mezzo, però, il periodico decise di cessare le pubblicazioni a causa della sua poca continuità, ma soprattutto proponendo la pubblicazione di un solo giornale libertario che radunasse tutti gli sforzi giornalistici degli anarchici, il che si realizzò nel giugno con la nascita di «La Protesta Humana», di cui lo stesso Creaghe e anche Fortunato Serantoni furono fra i primi collaboratori. L’aiuto finanziario ricevuto da «El Oprimido», come accadde con la grande maggioranza dei giornali anarchici all’epoca, provenne da molti militanti e gruppi libertari di diversi punti dell’Argentina, senza mancare le sottoscrizioni inviate per mezzo dell’Imprenta Elzeveriana di Tonini e de «L’Avvenire». Da Chivilcoy diede il suo contributo l’emiliano Asdrubale Malavasi e da Bahia Blanca il ravennate Guido Amaducci. Nonostante l’indirizzo schiettamente organizzatore del giornale, anche Giovanni Ragazzini apparve in una delle liste di sottoscrizione.605 Fra i giornali libertari in lingua italiana apparsi in Argentina, «L’Avvenire» fu sicuramente il più importante e influente di tutto il secolo XIX. Pubblicato dapprima a São Paulo fra il novembre 1894 e l’agosto 1895, dopo che i suoi redattori scapparono a Buenos Aires a causa delle persecuzioni poliziesche, si pubblicò il primo numero nella capitale argentina il 10 novembre 1895, essendo stato annunciato da «El Oprimido», «La Questione Sociale» e anche da «El Perseguido», ai quali il nuovo periodico dedicò un ringraziamento per il gesto. Il giornale s’inaugurò con tremila copie, quantità che variò fino al numero 9, quando iniziò a essere pubblicato in 2.500 copie e si stampò nella Tipografia Elzeviriana di Pietro Tonini. Comunista anarchico, questo periodico rappresentò uno dei pilastri dell’anarchismo organizzatore nel paese, dimostrandosi ancora più favorevole ai sindacati fin dal 1897. Fu scritto quasi esclusivamente in italiano, ma dall’agosto 1897 apparve anche una sezione in castigliano e già nel numero 8, che commemorò l’anarchico Sante Caserio, responsabile della morte del presidente francese Sadi Carnot, si erano pubblicati articoli in italiano, spagnolo e francese. 606

605 Vd. le liste di sottoscrizione di «El Oprimido», Luján-Buenos Aires, 1894-1897, e inoltre A los compañeros, a. II, n. 5, 1 novembre 1895, e La suspensión de El Oprimido, a. IV, n. 27, 14 marzo 1897. Cfr. R. FALCÓN, op. cit., p. 100; A. GIORDANO, op. cit., p. 58. 606 Vd. Ai lettori, «L’Avvenire», Buenos Aires, a. I, n. 1, 10 novembre 1895; a. II, n. 8, 24 giugno 1896; a. III, n. 27, 1 agosto 1897. Il primo numero del giornale segnalava che si stampava nella Tipografia degli Operai, calle Buen Orden 631, e successivamente non viene più menzionata. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 161-162; R. FALCÓN, op. cit., p. 125.

253 Nei primi anni, fecero parte del gruppo redazionale Giuseppe Consorti, che annunciava il suo allontanamento dell’Argentina con una lettera al proprio giornale nel marzo 1898 e il novellarese Felice Vezzani, entrambi espulsi dal Brasile nel 1895. Successivamente apparvero nella redazione A. Maffucci e l’imolese Arturo Campagnoli, anche quest'ultimo espulso dal Brasile nel 1895.607 Anche se sappiamo che Vezzani e Campagnoli svolsero un importante ruolo fra gli anarchici di lingua italiana in Argentina, come fecero anche in Brasile, poco si sa sulle loro attività nella repubblica platense. Si è detto che Vezzani sviluppò le sue doti di pittore, oltre alla sua attività di agitatore e che prima di tornare in Italia, specificamente a Bologna nel marzo 1897, egli era stato espulso dall’Argentina. Dal canto suo, Arturo Campagnoli, i cui fratelli furono anche anarchici, aveva lasciato l’Italia con la famiglia nel 1891 per stabilirsi in Brasile. In America diventò orefice, e in Argentina sembra lavorasse come guardiano di bestiame, dove, secondo quanto raccontato da lui stesso, ebbe una lite con un compagno di lavoro poiché questo avrebbe attaccato le sue posizioni anarchiche, ferendolo alla testa e rimanendo in carcere per un mese. Inoltre, avrebbe abbandonato il paese sudamericano con destinazione Marsiglia in un piroscafo per trasporto di bestiame. Non si sa con certezza la data di partenza, tuttavia si sa che nell’agosto 1900 fu segnalato a Parigi dalla polizia francese e che nel giugno 1898 faceva ancora parte della redazione de «L’Avvenire» di Buenos Aires.608

607 La presenza di Felice Vezzani nella redazione del giornale è suggerita da Pier Carlo Masini e Diego Abad de Santillán – che sostennero che anche Ettore Mattei fece parte del gruppo redazionale –, mentre Leonardo Bettini sostenne che il Vezzani fu il direttore del giornale, senza segnalare però le date. Cfr. P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, cit., p. 128; D. A. DE SANTILLÁN, op. cit., p. 72; L. BETTINI, op. cit., p. 11. L’indirizzo amministrativo del giornale a nome di Giuseppe Consorti apparve dal numero 8 al numero 47, e dal numero 48 in poi si segnalava A. Maffucci. Vd. «L’Avvenire», Buenos Aires, a. II (1896): n. 15, 22 novembre; a. IV (1898), n. 47, maggio; n. 48, 5 giugno. Vd. inoltre Dichiarazione, in «L’Avvenire», a. IV, n. 42, 13 marzo 98, con la quale Consorti annunciava il suo ritorno in Europa e ringraziava la sottoscrizione raccolta a suo favore, sostenendo che una parte sarebbe stata destinata alla propaganda e ai compagni più bisognosi. La presenza di Arturo Campagnoli nella redazione del giornale si accerta con il manifesto ¡Solidaridad para nuestro hermanos de Italia!, Buenos Aires, 5 giugno 1898, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3391 Argentina (italians, 1889-1901), il quale è firmato, fra tanti altri, da Campagnoli e Maffucci a nome della redazione de «L’Avvenire». 608 Arturo Campagnoli, figlio di Vincenzo e Marianna Cormazzani, nacque a Imola il 13 gennaio 1874. Nel 1888 circa, i Campagnoli si trasferirono da Imola a Bologna, dove Arturo lavorò come assistente di suo padre, falegname ebanista e nel 1891 lasciarono l’Italia alla volta del Brasile. Si diceva che Arturo sarebbe partito per il Brasile a 16 anni per raggiungere il fratello Domenico – di cui non c’è certezza che sia esistito – fuggito da casa, ma la polizia italiana non diede credito a questa versione, e invece sostenne che partì con la famiglia dopo essere stati «chiamati» dal fratello Paolo. Vd. ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo, e in particolare la biografia redatta dalla Prefettura di Bologna, 30 settembre 1900. Su Felice Vezzani, vd. ACS, CPC, b. 5392, fasc. Vezzani Felice, in particolare la biografia redatta dalla Prefettura di Bologna, 10 settembre 1899; ASBo, Gab. Ques., cat. A-8 Persone pericolose per la sicurezza dello Stato, radiati, b. 163, fasc. Vezzani Felice. Vd. inoltre Lutti nostri, Felice Vezzani, in «Lotta Anarchica», Parigi, a. II, n. 4, 22 febbraio 1930; U. FEDELI, Felice Vezzani, in «L’Adunata dei Refrattari», New York, vil. XVIII, n. 13, 26 marzo 1949;

254 Come successe con gli altri giornali anarchici bonaerensi, intorno a «L’Avvenire» si andò costruendo una rete di collaborazione fra gruppi libertari che andò oltre quelli di lingua italiana. Il giornale non mancò di fare pubblicità alla pubblicazione di giornali e opuscoli apparsi nel paese e frequentemente annunciò l’uscita degli opuscoli pubblicati dai gruppi Ciencia y Progreso di Rosario e Los Ácratas di Barracas, oltre agli stampati della Tipografia Elzeviriana, della Biblioteca de La Questione Sociale, poi Biblioteca della Libreria Sociologica. Il giornale pubblicizzò anche la comparsa dell’«Almanacco de La Questione Sociale», che usciva alla fine di ogni anno, di numeri unici come «La Inquisición en España» – pubblicato dal giornale «El Oprimido» nel gennaio 1897 e «La Conquista di Roma» del settembre 1898 e anche l’uscita del giornale «La Protesta Humana» e delle riviste «La Questione Sociale», «Ciencia Social» e quella di carattere scientifico fondata da Pietro Gori, «Criminología Moderna», periodici partigiani delle tendenze organizzatrici. Anche il giornale anarchico scritto da solo donne, «La Voz de la Mujer», fu pubblicizzato da «L’Avvenire». In ogni caso, i fogli antiorganizzatori della capitale come «Le Cyclone», «La Voz de Ravachol» ed «El Rebelde», ebbero uno spazio nelle pagine di «L’Avvenire», il quale annunciò anche l’uscita di «El Condenado» di Buenos Aires nel settembre 1896 e de «Il Libertario», organo degli anarchici individualisti nell’aprile 1897, giornali che alla fine non videro la luce. Infine, nel giugno 1896 il giornale antiorganizzatore «Caserio» annunciò che cessava le sue pubblicazioni a causa della grande quantità di propaganda esistente ed elargiva la sua ultima sottoscrizione in favore degli opuscoli della Biblioteca della Questione Sociale e de «L’Avvenire».609 Oltre ai gruppi dei giornali libertari, «L’Avvenire» diede spazio nelle sue pagine agli avvisi dei diversi circoli anarchici della capitale. Gruppi come Luz y Progreso e il Circolo Internazionale Studi Sociali annunciavano le loro riunioni attraverso il giornale, mentre il gruppo Libertario di Almagro apriva una sottoscrizione per la pubblicazione di un manifesto e Humanidad Libre di San Martín e il gruppo giovanile Los Desertores chiedevano collaborazione in opuscoli e periodici. Nell’ottobre 1896, il giornale annunciava l’apertura serale della Biblioteca di Studi Sociali, con indirizzo in via Viamonte 2008 e fin dal febbraio 1892, «L’Avvenire» s’impegnò con la formazione del

609 Vd. i numeri de «L’Avvenire», Buenos Aires, fra gli anni 1895 e 1898. Sulla «La Conquista di Roma», vd. «L’Avvenire», a. IV, n. 54, 11 settembre 1898; L. BETTINI, op. cit., p. 11. Sull’annuncio dell’uscita di «El Condenado», vd. «L’Avvenire», a. II, n. 11, 22 agosto 1896. Su «Il Libertario», vd. «L’Avvenire», a. III, n. 20, 3 aprile 1897. Nella rubrica Piccola Posta del numero 16, 12 dicembre 1896, si confermava che «El Condenado» non apparve. Sul giornale «Caserio», vd. «L’Avvenire», a. II, n. 7, 6 giugno 1896.

255 Circolo Internazionale di Studi Sociali, che senza poter contare su una sede propria, all'inizio tenne riunioni nella sede della società di operai panettieri e in seguito nel locale della redazione de «L’Avvenire», in via Uruguay 782. Nell’aprile aveva stabilito la propria sede in via Paso 560, la quale fu trasferita in via Talcahuano 224 nel settembre. Questo gruppo approfittò delle pagine del giornale anche per chiedere materiale a stampa e per aprire una sottoscrizione a sostegno delle spese del locale. Nell’ottobre di quell’anno, il gruppo Luz y Progreso convocò un paio di riunioni nel locale del detto circolo, una per preparare la commemorazione dell’11 novembre, e l’altra per portare avanti la pubblicazione del Certamen Socialista Libertario Internacional che si era tenuto a La Plata, spinto dal gruppo Progreso y Libertad di quella città fin dal 1897.610 I contatti avuti dal gruppo de «L’Avvenire», almeno quelli riscontrati nella rubrica Piccola posta, anche se inclusero anarchici dell’Argentina, particolarmente di Mendoza, Rosario, Bahía Blanca, La Plata, Brinkmann in provincia di Córdoba e della capitale federale, si diresse soprattutto all’estero. Città come Londra, Paterson, New York, Parigi, Tunisi e Montevideo furono destinazioni della corrispondenza diretta dalla redazione del giornale, ma innanzitutto l’Italia e il Brasile. Nel primo caso, particolarmente intensa fu la corrispondenza con «L’Agitazione» di Ancona, diretta da Errico Malatesta – al quale scrissero anche quando si trovava a Londra nel 1896 e agli inizi del 1897 –, ma non mancarono i messaggi per l’Emilia e la Romagna e in particolare per il Circolo di Studi Sociali di Forlì nel dicembre 1896, chiedendo l’opuscolo da Zurigo a Londra, per Massalombarda nel gennaio 1897 e per il compagno «Paradis» di Parma nell’ottobre dello stesso anno. Nello stesso numero si indirizzò una nota a E. G. di Bologna e a Felice Vezzani, che si trovava nella città emiliana, suggerendogli d’inviare il suo pezzo teatrale Il deputato Bucciotto per farlo rappresentare in Argentina. Più di un anno dopo, in una nota diretta a Giuseppe Ciancabilla, allora a Londra, con la quale gli rimproveravano di non aver inviato gli articoli promessi per il giornale, chiedevano notizie sul Vezzani e il suo indirizzo. Anche con gli anarchici di lingua italiana del Brasile la corrispondenza fu ampia e comprese molti punti del paese, come Rio de Janeiro, Porto Alegre, Curitiba, Pelotas nello stato di Rio Grande do Sul, Sorocaba e Ribeirão Preto, nello stato di São Paulo, ma la maggior parte dei messaggi ebbero come destinazione la città di São Paulo e anarchici come Alfredo Mari, Giuseppe Donati, Gigi Damiani e Benjamin Mota. Nel

610 Vd. «L’Avvenire», Buenos Aires, a. II (1896): n. 14, 25 ottobre; n. 29, 29 agosto; n. 33, 31 ottobre; a. IV (1898): n. 40, 13 gennaio [ma febbraio]; n. 43, 27 marzo; n. 44, 10 aprile; n. 55, 2 ottobre; n. 56, 16 ottobre; n. 57, 30 ottobre; n. 61, 25 dicembre.

256 dicembre 1898, «L’Avvenire» scrisse a Damiani affinché invitasse Angelo Canovi a scrivere a Ettore [Mattei].611 I rapporti del periodico libertario in lingua italiana con i compagni all’estero, specie con quelli in Brasile e in Italia, ebbe come risultato la pubblicazione di una vastissima quantità di notizie su questi paesi grazie a collaborazioni esclusive. Il movimento anarchico in Argentina si mantenne abbastanza informato sulle vicende dei compagni del Brasile, sia sugli sforzi di organizzazione del movimento libertario locale, sia sulla repressione contro di esso e sulla comparsa di mezzi a stampa. Anche se non mancarono notizie da Rio de Janeiro e da Porto Alegre, la concentrazione degli anarchici italiani nella capitale paulista fece sì che la maggior parte delle notizie arrivassero da São Paulo, grazie a corrispondenti come Augusto Donati. Certamente, la corrispondenza non solo mirò a informare sulle attività libertarie nel vicino paese, ma anche mostrarono un vivo rapporto di collaborazione. Nel dicembre 1895, cioè un mese dopo l’uscita de «L’Avvenire» a Buenos Aires, da São Paulo si faceva sapere che era stato ricevuto «con immensa gioia» e che a molti era parso come una continuazione di quello che si stampava in quella città. Nel 1896, il giornale bonaerense aprì una sottoscrizione a favore dei compagni incarcerati a São Paulo nel marzo per aver protestato contro una manifestazione patriottica, fra gli oblatori ci fu Felice Vezzani, anche se dopo la sua liberazione, il danaro raccolto fu distribuito fra «L’Avvenire» e la sottoscrizione aperta da «La Questione Sociale» in favore della propaganda anarchica in Italia. In dicembre dalla capitale paulista si chiedeva l’aiuto del foglio di Buenos Aires in grandi quantità di copie del giornale e di opuscoli di propaganda, inoltre, nell’aprile 1898 «L’Avvenire» pubblicizzava la vendita del libro Allegoria rivoluzionaria, edito dal giornale anarchico paulista «Il Risveglio» e del Circolo di Studi Sociali di quella città, presso la Libreria Sociologica. Un mese dopo fece altrettanto con libro di poesie Rebeldias, che doveva essere richiesto alla rivista di São Paulo «O Libertario» per mezzo di Benjamín Mota.612 Con gli anarchici d’Italia i legami furono ugualmente stretti. Le notizie venute dalla penisola abbondarono nelle pagine del periodico, fra le quali spiccarono tre corrispondenze di Felice Vezzani inviate da Bologna: una nell’aprile 1897 riguardante il

611 Vd. rubrica Piccola Posta, in «L’Avvenire», Buenos Aires, in particolare a. II, n. 10, 1, agosto 1896; n. 16, 12 dicembre; a. III (1897): n. 17, 17 gennaio; n. 33, 31 ottobre 1897; a. IV, n. 60, 11 dicembre 1898. 612 Vd. Dal Brasile, in «L’Avvenire», a.II (1896): n. 3, 19 gennaio 1896; n. 16, 12 dicembre; a. III (1897): n. 19, 21 marzo, n. 32, 17 ottobre; a. IV (1898): n. 52, 13 agosto, alcuni dei quali firmati da Augusto Donati; I fatti di S. Paolo, a. II, n. 5, 26 marzo 1896; Movimento rivoluzionario e La sottoscrizione pei compagni di S. Paulo, a. II, n. 6, 21 maggio 1896; A. Donati, In repubblica, a. III, n. 34, 14 novembre 1897; Delizie brasiliane, a. IV, n. 45, 19 aprile 1898; Allegoria rivoluzionaria, a. IV,n. 44, 10 aprile 1898. Vd. anche a. IV (1898): n. 37, 1 gennaio; n. 47, 22 maggio, n. 53, 29 agosto.

257 movimento anarchico in Italia, una seconda nel maggio 1898 sui moti rivoluzionari della penisola e una terza senza data ma probabilmente scritta prima del suo espatrio in Svizzera verso il maggio o giugno, riguardante appunto la persecuzioni contro il movimento anarchico italiano, oltre a una sua poesia, Il Canto della fame, inviata da Neuchâtel nel luglio 1898 – versione leggermente modificata di quella pubblicata sul numero unico «XX Settembre» di Buenos Aires, apparso nel 1895 – e un suo articolo pubblicato su «L’Avvenire» verso la fine di novembre, inviato probabilmente da Parigi. In ogni caso, ancora prima che il Vezzani lasciasse l’Argentina, da Bologna arrivavano delle notizie, come quella del corteo funebre dell’anarchico bolognese Angelo Merighi alla fine del 1896, morto all’Ospedale Maggiore di Bologna dopo due mesi dal rilascio dal carcere, comunicazione che fu scritta a memoria dal redattore poiché la corrispondenza si era bruciata nell’incendio della Tipografia Elzeviriana, dove si stampava il giornale bonaerense. Da Bologna si comunicò anche l’uscita dell’opuscolo A mio fratello contadino, di Elisée Reclus, distribuito il 1° maggio 1897, mentre nel dicembre si annunciava su «L’Avvenire» la prossima uscita del giornale «La Libertà» nel capoluogo emiliano. Oltre a Bologna, anche da Parma si ebbero alcune notizie grazie al giornale bonaerense e di fatto questo riceveva il periodico anarchico parmigiano «Il Nuovo Verbo». Nel luglio 1896 «L’Avvenire» pubblicò due relazioni sull’uccisione del socialista rivoluzionario Casinelli da parte della polizia di quella città e sui conseguenti disordini, mentre nel novembre 1897 pubblicò due articoli di «Paradis», corrispondente a Parma. Altri punti dell’Emilia e della Romagna furono riferiti in almeno un’occasione dal giornale bonaerense, come Imola, Molinella, Faenza, Fusignano e Forlì.613 «L’Avvenire» ebbe un'amplissima rete di sottoscrittori fra gli anarchici residenti in Argentina, italiani e non, che raggiunse diversi quartieri della capitale e città come Rosario, Bahia Blanca, Mendoza, Luján, La Plata, Campana, Tandil, Bolívar, Villa Catalina, San Juan, Roldán, Dolores, Brinkmann, Ensenada e altri piccoli centri urbani e oltre agli oblatori individuali, comprese anche moltissimi circoli e gruppi libertari e ricevette persino contributi dalla Penitenciaría di Buenos Aires.614 Inoltre, alcuni gruppi come quelli dei giornali «La Questione Sociale», «La Voz de la Mujer», «El Oprimido» e

613 Sulle collaborazioni di Vezzani, vd. Dall’Italia, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. III, n. 23, 6 giugno 1897; a. IV (1898): n. 49, 19 giugno; n. 52, 13 agosto; Il canto della fame, a. IV, n. 56, 16 ottobre 1898; Il solito problema, a. IV, n. 59, 27 novembre 1898. Vd. anche I fatti di Parma e Movimento rivoluzionario, a. II, n. 9, 12 luglio 1897; Delizie militari, a. III, n. 34, 14 novembre 1897. Inoltre, a. III (1897), n. 24, 20 giugno; n. 26, 18 luglio; n. 36, 19 dicembre; a. IV (1898), n. 44, 10 aprile; n. 55, 2 ottobre; n. 57, 20 ottobre. L’incendio della Tipografia Elzeviriana causò il ritardo di una settimana nella pubblicazione del giornale e inoltre andarono persi diversi scritti e corrispondenze inviata dall’Italia. Vd. In causa dell’incendio, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. III, n. 17, 17 gennaio 1897.

258 «Revolución Social» e della Librería Sociologica, della Tipografia Elzeviriana, della Biblioteca Studi Sociali e del Circolo Internazionale di Studi Sociali, raccolsero sottoscrizioni a favore del giornale anarchico in lingua italiana. Dall’estero le oblazioni non mancarono e soprattutto dal Brasile arrivarono contributi in favore del periodico,e in particolare da Rio de Janeiro, Porto Alegre, Curitiba, Sorocaba – da dove contribuì il guelfese Giuseppe Montebugnoli –, Ribeirão Preto e soprattutto da São Paulo, fra i sottoscritti ci furono il ravennate Ludovico Tavani e i fratelli Campagnoli. Anche da Montevideo, Santiago del Cile e persino dalla Romania s’inviarono sottoscrizioni, mentre dall’Italia nell’aprile 1897 M. F. inviò un suo contributo da Cervia, provincia di Ravenna, e nel maggio 1898 fece altrettanto «una avvelenata» da Bologna. Fra l’ingente numero di oblatori libertari in Argentina, molti sono gli emiliani e i romagnoli che vi si trovano e non a caso nelle liste di sottoscrizione a favore del giornale apparvero spesso firme come Bologna, Faenza, Forlì, Juan Forlì – forse Giovanni Ragazzini – «vari romagnoli», «fra romagnoli», «gruppo romagnoli», «Gobbo bolognese», «romagnolo», «un romagnolo», «otro romagnolo», «un compagno bolognese», «un faentino» e «sarto forlivese», il che suggerisce che il contributo dei romagnoli alle finanze del giornale non fu per nulla marginale. D’altra parte, questo tipo di nomi dimostra la scelta di molti militanti che preferirono non palesare la propria identità e che in qualche modo si ritrova anche nelle firme con le iniziali del nome. Nonostante ciò, alcuni anarchici si sottoscrissero con il proprio cognome e talvolta anche con il nome completo, come si è visto in altri giornali, anche se non è detto che lo facessero sempre. E' anche molto probabile che non tutte le volte che contribuivano alle sottoscrizioni usassero lo stesso nome, il che rende impossibile fare un tracciato esaustivo dei contributi di questi militanti. In ogni caso, nelle liste di sottoscrizioni de «L’Avvenire» apparvero i nomi di Egidio Bolognini nel settembre 1896, che inviò il suo contributo attraverso «La

614 I gruppi apparsi nelle sottoscrizioni de «L’Avvenire» furono: Zapatero, Zapatero Descalzo, Zapateros Oprimidos, Los Ácratas, gruppo di Recoleta, Unión Libre, Tierra y Libertad, Gruppo Libertario di Almagro, Gruppo Anarchico Barracas al Norte, Grupo Sombrereros, Libertà Individuale, Gruppo Comunista Anarchico Né Dio né Padrone, Gruppo Comunista Anarchico di Calle Piedras, Libertà e Amore, Litografos Libertarios, Gruppo Germinal di Belgrano, Grupo de Los Indomables, Grupito Libre Pensador, Grupo Libres Pensadores, Expropiación, Grupo Carpinteros, Gruppo Calzolai Ribelli, Grupo Estivadores, Grupo No mas explotacio di Belgrano, Gruppo Ateo, Grupo Panaderos de Juárez, Grupo Panaderos, Grupo U. be. (P.S. non paga alquiler), Gli sfruttati, Sempre Avanti, tutti di Buenos Aires. Da Rosario inviarono contributi pecuniari i gruppi Libertad, Gruppo Studi Sociali, La Verdad, Gruppo Libertario, Gruppo La Libertá, mentre da Lujñan lo fece il gruppo Benessere per Tutti, da Mendoza i gruppi La Protesta del Esplotado ed Explotación, da San Martín il gruppo Humanidad Libre, da Lincoln il Gruppo Anarchico Nuovo Tempio e infine contribuirono anche il Fascio dei Lavoratori, di tendenza socialista, e il Club degli Operai di Lingua Italiana di Barre Wt.

259 Questione Sociale», di Guido Amaducci nel novembre 1896, sottoscrizione diretta, di Arturo Mazzanti nell’aprile e maggio 1897 sottoscrizione diretta, di Giovanni Zirardini dall’ottobre 1897 al giugno 1898, attraverso la Libreria Sociologica, di Giuseppe Minardi durante quasi tutto il 1898, di Cino Cordero nell’aprile 1898, sottoscrizione diretta e della compagna di Luigi Brunini, Adele, nel dicembre 1898, entrambi per mezzo della Libreria Sociologica. Apparve anche Giovanni Ragazzini nel dicembre 1895, con un contributo diretto, nonostante inseguisse una linea antiorganizzatrice, nell’ottobre 1896 inviò la sua oblazione dal carcere ed è probabile che abbia contribuito anche nell’agosto e nel settembre 1898, se accettiamo che per errore di tipografia o per scelta propria, il forlivese fosse apparso come Ragazzoni. Nell’ottobre 1896 s’inviò come contributo il «sobrante en lo de Orsini» – che supponiamo si tratti di Orsini Bertani –, nel gennaio 1898 il giornale ricevette l’oblazione di un Restaurant Romagnolo, mentre Romilda Popoli fece arrivare all’amministrazione del giornale nel novembre 1898 il denaro raccolto dai compagni di Curitiba. Oltre a loro, però, diversi altri originari dell’Emilia e della Romagna apparvero fra i sottoscrittori: Alberto Valdastri nel dicembre 1897 e Corrado Massa nel gennaio 1898, entrambi per mezzo del gruppo Né Dio Né Padrone di Barracas al Norte; Luigi Magrassi dal marzo 1898 per tutto il resto dell’anno, attraverso la Libreria Sociologica e il Circolo Internazionale di Studi Sociali e una volta aiutando persino con la raccolta del denaro; Giacomo Quarantini nell’ottobre 1898, sottoscrizione diretta ed anche Raffaele Cavallazzi nel dicembre 1898 – apparso come C. Rafael –, sottoscrizione diretta.615 Alberto Valdastri, anarchico di Sassuolo, arrivò a Buenos Aires nel novembre 1896, accompagnato dalla moglie e dai figli, dove s’impiegò nell’officina ferroviaria Taller de Sola. Apparentemente, in Italia non apparteneva a nessun partito, mantenne posizioni moderate senza svolgere attività politica e fu nella capitale argentina che divenne anarchico, poiché frequentava la compagnia di militanti libertari, leggeva i loro giornali e presenziava alcune conferenze. Anche il ravennate Corrado Massa fu impiegato a Ferrocarril del Sud, nel Taller de Sola e come Valdastri, arrivò in Argentina nel 1896, dopo aver vissuto due anni insieme alla famiglia a Bologna, dove sembra che neanche lui

615 Vd. le liste di sottoscrizioni a favore del giornale, e in particolare «L’Avvenire«, Buenos Aires, a. I, n. 2, 8 dicembre 1895; a. II (1896): n. 12, 13 settembre; n. 13, 4 ottobre; n. 14, 25 ottobre; n. 15, 22 novembre; a. III (1897): n. 21, 25 aprile; n. 22, 9 maggio; n. 31, 17 ottobre; n. 34, 14 novembre; n. 35, 8 dicembre; 36, 19 dicembre; a. IV (1898): n. 38, 16 gennaio; n. 39, 30 gennaio; n. 42, 13 marzo; n. 43, 27 marzo; n. 44, 10 aprile; n. 45, 19 aprile; n. 47, 22 maggio; n. 48, 5 giugno; n. 49, 19 giugno; n. 50, 10 luglio; n. 53, 29 agosto; n. 54, 11 settembre, n. 55, 2 ottobre; n. 56, 10 ottobre;n. 57, 30 ottobre; n. 58, 13 novembre; n. 59, 27 novembre; n. 60, 11 dicembre; n. 61, 25 dicembre.

260 svolgesse tipi di attività politica. Pure Raffaele Cavallazzi raggiunse l’Argentina nel 1896, partito da Genova il 25 ottobre con il piroscafo Gergovia, dopo un lungo periodo in carcere di circa un anno e mezzo, da dove uscì in forma definitiva il 16 luglio, ma sottoposto a sorveglianza speciale.616 Giacomo Quarantini, barbiere anarchico di Faenza, partì dal porto ligure per Buenos Aires l’1 febbraio 1898, all'età di appena 17 anni e nella capitale argentina prese parte attiva alle attività anarchiche, facendo conoscenza anche dell’imolese Arturo Campagnoli. Probabilmente durante i primi mesi dello stesso anno, anche il modenese Luigi Magrassi arrivò a Buenos Aires proveniente dal Brasile e nella capitale argentina s’integrò al gruppo de «L’Avvenire», giornale del quale fu uno dei redattori. Magrassi visse la sua infanzia nella città natia e dopo si trasferì con la famiglia a Genova, dove visse un po di tempo e da dove partì per il Brasile durante gli anni ‘90. Infine, Cino Cordero, che in quegli stessi anni lasciò Mendoza per trasferirsi a Buenos Aires, dove si occupò come impiegato nell’amministrazione privata dell’ex presidente della repubblica José Evaristo Uriburu – sembra mentre questo occupava detta carica –, nel corso del 1898 o 1898 fu arrestato dopo essere stato accusato di spacciare biglietti falsi, ma fu rilasciato pochi giorni dopo.617 Intanto, la crescita della corrente organizzatrice prendeva piede all’interno del movimento anarchico, sostenuta in buona parte da «L’Avvenire», che riuscì a radunare intorno a sé gran parte della «colonia» anarchica italiana del paese. Ebbe però un impulso definitivo con il giornale «La Protesta Humana», uscito per la prima volta il 13 giugno 1897, con una tiratura di circa 2000 esemplari, che passò ai 3000 all’inizio del nuovo secolo e nel novembre 1903 diventerà quotidiano con una tiratura di 8000 copie.

616 Alberto Valdastri, detto Umberto, armaiolo meccanico, di Giuseppe e Albina Vandelli, nacque a Sassuolo il 26 febbraio 1866. Vd. ACS, CPC, b. 5286, fasc. Valdastri Alberto, in particolare la biografia redatta dalla Prefettura di Modena, 25 luglio 1912, e la dichiarazioni di Valdastri al delegato di Pubblica Sicurezza di Genova, 24 dicembre 1902. Secondo Andrea Pirondi, Valdastri proveniva dalle file socialiste. Vd. Valdastri Alberto, in A. PIRONDINI, Anarchici a Modena. Dizionario biografico, cit., p. 175. Corrado Massa, fornaio e operaio meccanico, nacque a Ravenna nel 1873. Vd. ASBo, Gab. Ques., Cat. A8 Persone pericolose per la sicurezza dello Stato, Radiati, b. 99, fasc. Massa Corrado. Su Raffaele Cavallazzi, vd. ACS, CPC, b. 1195 fasc. Cavallazzi Raffaele, in particolare la biografia redatta dalla Prefettura di Ravenna, 13 giugno 1894. 617 Giacomo Quarantini, di Giuseppe e Carola Bassi, nacque a Faenza, provincia di Ravenna, l’1 ottobre 1880. Vd. ACS, CPC, b. 4173, fasc. Quarantini Giacomo, in particolare la biografia redatta dalla Prefettura di Ravenna, 23 dicembre 1897, e il rapporto di Virgilio, datato a Londra il 14 agosto 1902. Secondo Virgilio, nei suoi cinque anni di soggiorno in America, il Quarantini sarebbe stato anche in Cile. Luigi Magrassi, tipografo, di Francesco e Matilde Montero, nacque a Modena l’11 settembre 1874. Le prime notizie avute dalla polizia italiana sul soggiorno sudamericano del Magrassi furono del 1901, e non riuscirono a precisare neanche l’anno di arrivo nel Brasile né nell’Argentina. Vd. ACS, CPC, b. 2933, fasc. Magrassi Luigi; ASMo, Gab. Ques., Serie A8 Schedario politico. Cfr. A. Pirondini, op. Cit., p. 137. Su Cino Cordero, vd. ACS, CPC, b. 1471, fasc. Cordero Cino, e in particolare il rapporto dell’agente di PS a Buenos Aires, 9 novembre 1901.

261 Scritto completamente in spagnolo, il suo primo direttore fu il falegname catalano Gregorio Inglán Lafarga e l’amministratore fu il fornaio Francisco Berri, anche se dopo la figura del direttore apparirà occasionalmente, favorendosi una direzione collettiva affidata a gruppi redazionali, i quali erano rapidamente riorganizzati ogni volta che i redattori subivano persecuzioni. Poco dopo la sua fondazione, arrivò in Argentina il noto anarchico spagnolo José Prat, che divenne uno dei suoi redattori, cosa che favorì il miglioramento del giornalismo anarchico nel paese. Fra i collaboratori spiccarono anche Altaïr (Mariano Cortés), Eduardo Gilimón, John Creaghe ed Emilio Z. Arana, e dopo l'arrivo di Pietro Gori nel paese sudamericano, che pure vi contribuì, i collaboratori si moltiplicarono: si aggiungesero Julio Camba, Féliz Basterra, Florencio Sánchez, Antonio Pellicer Paraire, gli italiani Pasquale Guaglianone e Giacomo Locascio, mentre dall’estero i contributi arrivarono soprattutto dalla Spagna, inclusi Ricardo Mella e Anselmo Lorenzo, dal Portogallo e dal Cile. Durante i primi mesi della sua esistenza, il giornale contenne notizie per lo più sul movimento anarchico europeo, ma già dalla fine del 1897 iniziarono ad abbondare i temi e le produzioni locali e il periodico divenne un centro d'informazione e un punto di riferimento per tutti i gruppi di tendenza organizzatrice.618 In ogni caso, seppur diminuiti dal risveglio dei gruppi organizzatori, le tendenze antiorganizzatrici continuarono con il loro lavoro di propaganda, soprattutto attraverso i giornali. «El Perseguido», che continuò pubblicandosi irregolarmente fino al gennaio 1897. Dal 1895 radicalizzò le proprie posizioni, sicuramente come risposta alla crescita dei concorrenti anarchici, dando spazio a discorsi più violenti e minacciosi. Nel 1896, però, il gruppo redazione si scisse e gli anarchici più moderati, tra i quali Gregorio Inglan Lafarga e Manuel Reguera, fondano «La Revolución Social», giornale a mezza strada fra organizzatori e antiorganizzatori, che difendeva l’associazione secondo affinità ma che dimostrò un atteggiamento piuttosto critico nel confronto de «El Perseguido». Uscito fra il febbraio 1896 e l’aprile 1897, il nuovo giornale libertario pubblicò 19 numeri, con una tiratura di 2000 copie e che arrivava fino alle 5000 in occasione di celebrazioni o manifestazioni anarchiche. Dal canto suo, «El Perseguido» non uscì fra l’aprile e il dicembre 1896, probabilmente a causa di nuovi conflitti fra i redattori. Infatti, si era prodotta una nuova divisione, che portò alcuni anarchici, come Orsini Bertani, ad allontanarsi dal periodico.619

618 Cfr. F. QUESADA, op. cit., pp. 16-19; G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 162-164; E. GILIMÓN, op. cit., p. 56; E. BILSKY, op. cit., p. 23. 619 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 162, 166-167; F. QUESADA, op. cit., pp. 40-41. Secondo il Diccionario Biográfico de la Izquierda Argentina, Orsini Bertani avrebbe capeggiato il gruppo dissidente moderato che fondò «La

262 Sparito «El Perseguido» uscirono a Buenos Aires i giornali «La Autonomía», nel giugno 1897, che si dichiarò il sostituto di quel giornale, diede spazio a diversi articoli in lingua italiana e riuscì a pubblicare solo due numeri – il secondo con il nome «La Autonomía Individual», risultato della fusione dei gruppi redazionali de «La Autonomía» e de «Il Libertario» –, e dal novembre 1897 lo stesso gruppo redazionale, il cui principale animatore fu lo spagnolo Baldomero Salbans – già redattore de «El Perseguido» –, mise in scena «Germinal», periodico che ebbe una tiratura di 2000 copie fra i cui redattori ci fu Virgilio Prajoux, che nel 1895 fu l’amministratore de «L’Avvenire», quando questo si pubblicava a São Paulo. «Germinal», che fu pubblicato regolarmente fino alla sua cessazione nel dicembre 1898, assunse posizioni propriamente individualiste e con appelli all’uso della violenza, sicuramente incoraggiati dalla crisi nel campo antiorganizzatore che si era palesato nelle scissioni all’interno di «El Perseguido». I gruppi di tendenza antiorganizzatrice avevano iniziato, però, ad ampliare il raggio della propria propaganda qualche anno prima. Nel novembre 1894 uscì a La Plata il giornale «La Lucha», di breve vita, il cui gruppo redazionale intraprese nel gennaio successivo, insieme a José J. Rojo, la pubblicazione di «La Anarquía», periodico diffidato dagli organizzatori, in particolare da «El Obrero Panadero», perché alcuni redattori erano sospettati di essere agenti infiltrati, accusa a cui si aggiunse inizialmente «El Perseguido», che tuttavia nell’aprile si dichiarò non solidale con gli anarchici che sfidavano dal gruppo di La Plata. Nell’agosto 1895, nel quartiere bonaerense di Barracas, uscì «El Revolucionario», editato dai gruppi Los Ácratas e Titta, i quali verso marzo e aprile dell’anno dopo decisero di sospendere le pubblicazione per pubblicare opuscoli e verso la fine dell’anno apparvero «La Voz de Ravachol», «El Desheredado» – redatto dall’italiano Giacomo Locascio e dal gruppo Antorcha Anarquista del quartiere Almagro – e in lingua francese «Le Cyclone», mentre nel febbraio dell’anno dopo uscì il giornale «Caserio» nella capitale, diretto da H. W. Haufman e qualche mese dopo «Ni Dios ni Amo» anche nella capitale. Infine, qualche settimana prima della sparizione di «Germinal», nel novembre 1898 apparve a Buenos Aires «El Rebelde», che con una tiratura di circa 2000 esemplari, costituì il principale mezzo a stampa della corrente antiorganizzatrice del paese fino al 1903.620

Revolución Social». Vd. Bertani Orsin Menotti, in H. TARCUS (dir.), op. cit., p. 68. 620 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 167-169; E. BILSKY, op. cit., p. 23. Vd. anche «La Autonomía», Buenos Aires, a. I, n. 1, 3 giugno 1897 e n. 2, 1º agosto 1897. Nel primo numero annunciava l’uscita de «Il Libertario», giornale antiorganizzatore trilingue diretto da Egidio Vairé, del quale non ci sono più notizie fino alla sua fusione con «La Autonomía», il che suggerisce che quel giornale finalmente non uscì. Sulle posizione del giornale «El Perseguido» riguardo al collega «La Anarquía», vd. «El Perseguido», Buenos Aires, a. VI, n. 79,

263 Intanto, nell’agosto 1895 si pubblicò a Rosario «La Libre Iniciativa», periodico diretto da C. Gino, il cui settimo e ultimo numero uscì nel giugno 1896, qualche mese prima dello sciopero generale nella città. L’uscita del giornale «El Desheredado» – purtroppo non reperito – fu annunciata nel settembre da «La Libre Iniciativa», il quale sostenne rapporti diretti di collaborazione con quel gruppo editore. Sul giornale rosarino apparve anche il manifesto de La Antorcha Anárquica, di cui fece parte, come s’intuisce da una lista di sottoscrizione inviata da Buenos Aires a «La Libre Iniciativa», il forlivese Giovanni Ragazzini. Inoltre, il periodico edito a Rosario ricevette altri contributi finanziari dalla capitale: nel settembre Saffi Bertani, per mezzo de «El Perseguido», e nel giugno 1896 Orsini Bertani, attraverso il gruppo Libre Iniciativa di Buenos Aires. Orsini collaborò anche con la sottoscrizione a favore della pubblicazione dell’opuscolo La Conquista del Pan, edito dal gruppo Juventud Comunista Anárquica, nel luglio 1895, stesso mese in cui il Ragazzini diede un contributo economico per «El Perseguido», mentre «el Tigre» Antonio Garavini, fece altrettanto nel maggio e nel giugno di quell’anno. Nelle liste di sottoscrizione a favore del longevo giornale antiorganizzatore, durante il 1895 apparvero anche i nomi «Cesena» nel gruppo Los Decididos de Almagro, «Bologna» nel gruppo Los Desherados de Almagro e infine «un faentino».621 Anche in «La Anarquía» de La Plata appaiono nel febbraio 1895 «Un Tigre», probabilmente Antonio Garavini, nelle sottoscrizioni raccolte da due riunioni del gruppo Los Invencibles di quella città e Orsini Bertani nell’agosto e settembre 1897, che diede il suo contributo attraverso il gruppo bonaerense Antorcha del Progreso. Inoltre, Francesco Natta e occasionalmente anche i suoi figli, contribuì alle finanze del giornale, come fece anche il piacentino Albino Arata, per mezzo del gruppo Zapateros Oprimidos de La Plata.622

13 aprile 1895. Durante i primi mesi del 1895 doveva uscire a Buenos Aires il giornale anarchico- intransigente «L’Espropiazione», scritto in lingua italiana e spagnola, ma sembra che non apparve affatto. Vd. l’annuncio della sua eventuale pubblicazione, vd. «El Perseguido», a. VI (1895): n. 76, 27 gennaio; n. 77, 10 febbraio. Allo stesso modo, sull’esistenza del giornale «Ni Dios ni Amo» e sulla scomparsa de «El Revolucionario», vd. Notas varias, «La Libre Iniciativa», Rosario, a. I, n. 6, 10 aprile 1896. L’apparizione del giornale «El Desheredado» fu annunciata in «El Perseguido», a. VI., n. 89, 23 agosto 1895. Sulle tendenze antiorganizzatrici radunate intorno a «El Rebelde», vd. I. OVED, op. cit., pp. 103-107. 621 Vd. «La Libre Iniciativa» Rosario: Adelante, a. I, n. 2, 5 settembre 1895; Al Pueblo, firmato dal gruppo La Antorcha Anárquica, n. 3, 27 settembre 1895. Vd anche le liste di sottoscrizioni dei numeri 2, 4 (20 novembre 1895) e 7 (7 giugno 1896). Eventualmente anche Corrado Massa contribuì pecuinariamente con il giornale, ma occorrerebbe accettare che lui avesse avuto qualche vincolo diretto con il gruppo «La Libre Iniciativa» di Rosario verso il novembre 1895. Cfr. R. FALCÓN, La Barcelona argentina, cit., pp. 148-155. Vd. Inoltre le liste di sottoscrizione di «El Perseguido», a. VI (1895): n. 81, 21 maggio; n. 83, 16 giugno; n. 84, 24 giugno; e n. 89, 23 agosto. 622 Vd. le liste di sottoscrizione in «La Anarquía», La Plata, a. I, n. 2, 17 febbraio 1895; a. III (1897): n. 20, 13 febbraio; n. 22, 8 agosto; n. 23, 16 settembre. Sulla formazione del gruppo Los Invencibles de La Plata, vd. Notas varias, in «El Perseguido», a. VI, n. 75, 18 gennaio 1895. Albini Arata, calzolaio, nacque a Piacenza il 17 maggio 1868 da Sante e Desolina Righi. Si trasferì in Argentina circa il 1890. Vd. ACS, CPC, b. 171, fasc.

264 Un caso particolare fra i giornali anarchici dell’Argentina del periodo fu «La Voz de la Mujer» di Buenos Aires, primo periodico libertario in America – e forse, al mondo – redatto esclusivamente da donne. Di assunta tendenza comunista anarchica, il giornale non prese particolari posizioni nel dibattito fra organizzatori e antiorganizzatori – anche se dagli articoli di alcune delle sue collaboratrici s’intravedeva un certo favoreggiamento dell’antiorganizzazione – e invece s’incentrò sulle problematiche e sulle rivendicazioni delle donne, attaccando persino l’atteggiamento «borghese» di molti compagni, il che lo rese schiettamente femminista. Diretto prima da Josefa Calvo e poi da A. Barcla, il giornale uscì in maniera irregolare, riuscendo a pubblicare almeno dieci numeri fra il gennaio 1896 e metà 1897, avendo cambiato due volte il gruppo redazionale. Già nel gennaio 1897 le redattrici manifestavano di sentirsi mancare le forze visto anche il poco supporto dai compagni e nell’agosto il giornale «La Anarquía» de La Plata pubblicò il manifesto con cui la redazione del periodico femminile dichiarava che il foglio spariva «por la indiferencia ó por su propia impotencia», dopo un anno e mezzo «que más que vida fueron de agonía». Una delle redattrici, Filomena Lafuente, si propose di fare uscire un altro giornale nella capitale, ma non ebbe successo. Da notare che la redazione del giornale, nel febbraio 1896, ricevette una piccola somma di denaro destinata alla compagna Ragazzini, il cui sposo era in carcere e nel maggio un nuovo contributo alla famiglia del forlivese fu destinata da loro alla pubblicazione del giornale. Fra i sottoscritti al giornale apparve Francesco Natta per mezzo de «La Questione Sociale» e attraverso il giornale «Caserio» probabilmente la compagna di Antonio Garavini, che si firmò «La compañera del Tigre de abajo los sauces».623 Le pagine dei periodici libertari diedero lungo spazio a diverse polemiche giornalistiche fra organizzatori e antiorganizzatori, sia dal punto di vista dottrinario sia dal punto di vista delle pratiche politiche, tuttavia furono soprattutto i socialisti a ricevere le critiche libertarie. Particolarmente accesi furono gli attacchi degli antiroganizzatori ai socialisti riguardo alle loro misure per evitare che gli anarchici partecipassero alle loro riunioni. Nell’aprile 1895, «El Perseguido» denunciava che nella

Arata Albino. 623 Vd. A los lectores, in «La Voz de la Mujer», Buenos Aires, a. II, n. 9, 1 gennaio 1897. Vd. inoltre le liste di sottoscrizione, in «La Voz de la Mujer», Buenos Aires, a. I (1896): n. 3, 20 febbraio; n. 4, 27 marzo; n. 5, 15 maggio. Sulla cessazione del giornale, vd. Varias e Á los anarquistas i lectores de “La Voz de la Mujer”, in «La Anarquía», La Plata, a. III, n. 22, 8 agosto 1897. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 165. Sulla partecipazione delle donne al movimento anarchico locale, vd. J. C. MOYA, Italians Buenos Aires's anarchist movement: gender ideology and women's participation, 1890-1910, in D. GABACCIA e F. IOACOVETTA (eds.), Women, gender, and transnational lives: Italian workers of the world, Toronto, Buffalo, London, University of Toronto Press, 2002, pp. 189-217.

265 riunione convocata dal Centro Socialista Obrero di Buenos Aires per commemorare la Comune di Parigi, gli organizzatori negarono l’uso della parola agli anarchici, che si erano fatti notare con alcuni canti e lanciando all’aria pezzettini di carta, poiché secondo i socialisti c’era una ventina di oratori scritti, il che scatenò le proteste degli anarchici. Gli organizzatori provarono anche ad espellerli dal locale, senza riuscirci, per cui chiamarono la polizia e la riunione si sciolse. L’incontro si realizzò finalmente il 23 marzo e all’entrata del locale c’erano degli agenti di polizia che respingevano gli anarchici, dopo che i socialisti chiedevano la filiazione politica degli assistenti. Circa quindici persone furono arrestate, tra esse alcuni anarchici, mentre un membro del Fascio dei Lavoratori assicurò che la decisione era stata presa dal Centro Socialista precedentemente, il che aveva causato indignazione persino fra alcuni militanti socialisti.624 Un altro scontro ebbero anarchici e socialisti a proposito di una conferenza organizzata dal Centro Socialista e tenuta nel teatro Ornubio il 9 novembre 1895. Dopo gli attacchi dell’oratore della serata alle teorie libertarie e il divieto di parlare a un anarchico che voleva intervenire, iniziarono le discussioni e poi gli insulti, finché qualcuno spense le luci del locale. Ciò provocò una grande rissa, il cui risultato fu l’arresto di circa ottanta degli assistenti, tra essi anche i socialisti Juan B, Justo, Ingenieros e Patroni. Rimasti tutti quanti in carcere per due giorni, al momento del loro rilascio, Adrián Patroni denunciò alcuni degli anarchici arrestati, segnalandoli come quelli che avevano iniziato la baruffa. Essi rimasero detenuti e privi di contatti con l'esterno, questione che suscitò le furie degli anarchici, tanto organizzatori come antiorganizzatori e i mezzi a stampa chiamarono i socialisti spie e «polizontes». La stessa accusa fecero su «El Perseguido» altri quattro anarchici arrestati a Quilmes qualche settimana dopo, i quali avevano partecipato a una conferenza socialista in quella città distribuendo materiale di propaganda libertaria e in seguito arrestati dopo che i capi della riunione chiamarono la polizia. I socialisti, invece, in una riunione tenuta al Club Vörwarts il 28 dicembre – e alla quale fu vietata l’entrata degli anarchici –, secondo «La Libre Iniciativa» di Rosario, accusarono gli anarchici di essere le spie pagate dalla polizia.625

624 Vd. La policía burguesa y la socialista. Su coalición, in cui si pubblicò un manifesto del gruppo Ciencia y Libertad al riguardo, e Última hora, in «El Perseguido», a. VI, n. 79, 13 aprile 1895. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 189-190. 625 Vd. Socialisti spie, in «L’Avvenire», a. I, n. 2, 8 dicembre 1895; Patroni polizonte e Corrispondencia, in «El Perseguido», a. VI, n. 96, 8 dicembre 1895; Última hora, in «La Voz de Ravachol», Buenos Aires, a. I, n. 1, 11 novembre 1895; Noticias varias, in «La Libre Iniciativa», Rosario, a. I, n. 5, 9 gennaio 1896. Cfr. G. ZARAGOZA,

266 Anche nel 1897, in mezzo alle commemorazioni del Primo Maggio, anarchici e socialisti ebbero degli alterchi. Nella manifestazione convocata dal Partito Socialista Obrero che partì con un corteo nella Plaza de la Constitución e arrivò fino alla Plaza Rodríguez Peña, nella quale parteciparono alcune società operaie, un gruppo di anarchici si aggiunse distribuendo giornali e opuscoli e cantando inni rivoluzionari. Da un balcone che si affacciava sulla piazza, i socialisti Patroni e García parlarono ai presenti e contro il desiderio degli organizzatori, un anarchico riuscì ad arrivare fino al balcone e prendere la parola, guadagnandosi gli applausi degli operai. Il giorno dopo, in una serata tenuta al Club Vörwarts, Juan B. Justo chiamò gli anarchici «vagabondi e degli esseri senza ideale», il che attizzò gli animi. Qualcuno rispose che i vagabondi erano i capi socialisti che vivevano sulle spalle degli operai, altri tentarono di aggredire Justo e si scatenò una rissa nella quale intervennero gli agenti di polizia, arrestando due anarchici. In ogni caso, sembra che gli organizzatori avessero una prospettiva diversa sul confronto con i socialisti. A proposito di due conferenze in contraddittori, tenute il 17 e 18 luglio 1897, fra socialisti legalitari e anarchici sulla necessità della lotta politica, che divenne però una discussione sulla necessità dell’organizzazione, «L’Avvenire» si dichiarò in disaccordo con entrambe le scuole e cioè con i difensori dell’organizzazione partitica e con i partigiani dell’antiorganizzazione, tuttavia si augurava che questo tipo di riunioni si ripetessero in futuro, raccomandando i compagni, però, «di essere più tolleranti verso i nostri competitori, poiché noi guadagneremo sempre se le discussioni potranno svolgersi ordinatamente».626 Infatti, dal campo antiorganizzatore gli attacchi ai socialisti furono piuttosto acidi, arrivando persino a ironie che li ridicolizzavano. Fin dalla sua comparsa, verso il settembre 1895, «El Perseguido» indirizzò i suoi attacchi contro un nuovo giornale socialista scritto in lingua italiana – da noi ignoto –, diretto da un tale Becchia e alla cui redazione parteciparono Manzieri e gli ex anarchici Emilio Zuccarini e Alfredo Cantiello. Questo periodico sembra non si fosse risparmiato nelle critiche agli anarchici, guadagnandosi le antipatie del giornale anarchico, che lo chiamò «foco de infección». Nell’agosto gli anarchici si congratulavano del poco successo che i socialisti Patroni e op. cit., p. 190-191. Le accuse contro i socialisti di essere degli sbirri o di essere in complicità con loro furono frequenti durante questi anni nella stampa anarchica. «La Voz de la Mujer» denunciava nel gennaio 1896 che in una riunione del socialisti a Barracas, c’erano degli sbirri fuori dal locale, e che in un meeting socialista tenuto il 19 aprile dello stesso anno, nel quale parlarono Patroni e Payrò, un anarchico prese la parola, come al solito si produsse una rissa, dopodiché la polizia intervenne e arrestò tre anarchici. Vd. in «La Voz de la Mujer», Buenos Aires, a. I (1896): Puercos, n. 2, 31 gennaio; Un poco de todo, n. 5, 15 maggio. 626 Vd. Il 1º maggio in Buenos Aires, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a.III, n. 22, 9 maggio 1897; Conferenze in contradittorio, in «L’Avvenire», n. 27, 1º agosto 1897. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 196.

267 Abad avevano raccolto fra gli operai de Barracas, che si manifestarono prevalentemente anarchici, mentre nel novembre «El Perseguido» si vantava di aver svelato la corruzione dei socialisti, dopo che un membro del Centro Socialista gli aveva venduto la lista degli indirizzi di tutti gli operai che ricevevano «La Vanguardia» a 20 pesos.627 Qualche mese prima, nel luglio 1895, «El Perseguido» pubblicò un articolo con il quale si beffava della Federación Obrera Argentina e delle sue pretese sindacaliste e parlamentariste, facendo una parodia delle sue riunioni come se fossero uno spettacolo circense. Le frecciate furono dirette a tutta la piana maggiore della detta federazione: Patroni, García, Pizza, Carlo Mauli, Abad, Giménez e il cesenate Secondo Cappellini. Su quest’ultimo diceva: «especialista en los ejercicios de barra fija… Es tan ágil y tan pagado de sí mismo, que mientras da vuelta sobre ella se besa el trasero. Al acabar dedica el último beso a sus colegas caídos en… Italia. El pueblo tiene asco, y no es estraño porque él se alimenta con la esperme que recoje en su casa amueblada». Alla fine della scena, dopo che il pubblico fischia lo spettacolo urlando «mistificadores, embusteros y explotadores», tutti gli artisti corrono a chiamare la polizia.628 Al di là dei sarcasmi, si deduce che il ruolo che svolse Cappellini all’interno delle file socialiste non fu marginale e che raggiunse un certo protagonismo. Nonostante ciò, non sono molte le notizie che abbiamo sulla sua attività in Argentina e sui suoi eventuali rapporti con gli anarchici organizzatori, specie quelli romagnoli. Si sa, però, che nei primi mesi del 1898, e di fronte all’imminente arrivo di Pietro Gori in Argentina, Cappellini suggerì al Fascio dei Lavoratori d’invitare Andrea Costa per fare un giro di propaganda nel paese, società che scrisse all’imolese in nome di tutte le associazioni aderenti al Partito Socialista Obrero Argentino, mentre un figlio di Costa, Andreino, che si era trasferito a Buenos Aires, aveva preso domicilio presso Cappellini, che inoltre l’aiutava a trovare lavoro.629 Un altro che mantenne corrispondenza con Andrea Costa dall’Argentina fu Germanico Piselli. Nonostante non si conosca la data in cui il Piselli arrivò nel paese

627 Vd. «El Perseguido», a. VI (1895): n. 88, 11 agosto; n. 91, 8 settembre; n. 94, 14 ottobre; n. 95, 8 novembre. Sulla vendita della lista di sottoscrizione de «La Vanguardia», vd. anche «La Libre Iniciativa», Rosario, a. I, n. 4, 20 novembre 1895; e sul fallito tentativo socialista in Barracas vd. anche «El Revolucionario», Barracas, a. I, n. 1, 15 agosto 1895. 628 Una función ecuestre acrobática de la famosa Federación Obrera Argentina, in «El Perseguido», a. VI, n. 85, 11 luglio 1895. 629 Vd. La lettera del Fascio del Lavoratori, gruppo socialista di lingua italiana Buenos Aires ad Andrea Costa, Buenos Aires, 4 marzo 1898, e la lettera di Secondo Cappellini ad Andrea Costa, Buenos Aires, 7 aprile 1898, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 15, fasc. 2182 e 2204 rispettivamente.

268 sudamericano – comunque, non prima del 1893 – sappiamo che scrisse all’imolese da Buenos Aires nel luglio 1897, manifestando che si era impiegato come gerente di una società di mutuo soccorso, dove guadagnava però poco e chiedeva a Costa perché non aveva voluto raccomandarlo al socialista Gustavo Paroletti, direttore de «La Patria degli Italiani» di Buenos Aires, per poter mandare qualche articolo a quel giornale. Qualche mese dopo, Piselli scrisse ancora al deputato socialista, confermando che aveva l’acclusa inviata dall’imolese a Cappellini e il bigliettino per Paroletti e faceva sapere che la sua situazione in Argentina era difficile, che aspettava si concretizzassero dei progetti in Italia per tornarci e chiedeva se poteva collaborare stipendiato con il giornale socialista romano «Avanti». Infine, Piselli raccontava nel febbraio 1899 che fra qualche giorno sarebbe rimpatriato dall’America «quasi cadavere e privo di tutto», portandosi un cancro alla lingua che l’aveva affetto da 8 mesi e sperava che Costa potesse farlo ricoverare a Bologna.630 Purtroppo, non ci sono più notizie del soggiorno sudamericano del Piselli e dalla sua corrispondenza con Costa sembra che non avesse partecipato al movimento anarchico locale ma invece pare che abbia sostenuto rapporti con i socialisti italiani di Buenos Aires, seppur non si possa affermare che fossero stati rapporti politici. I socialisti dell’Argentina, in questo periodo, svolsero la loro attività politica con lo scopo d’integrarsi al sistema parlamentare, promuovendo il suffragio universale e la naturalizzazione degli stranieri, per favorire l’acquisizione dei diritti politici. Tuttavia, le lotte di tendenza all’interno del partito segnarono i suoi primi anni. Nell’aprile 1895 si costituì il Comitato Centrale del Partido Socialista Obrero Internacional, che in un convegno a ottobre fu ribattezzato come Partido Socialista Obrero Argentino, il quale decise di presentarsi alle elezioni del marzo 1896, nelle quali ottene soltanto l’1% dei voti. In seguito, nel primo congresso del giugno 1896, la corrente capeggiata da José Ingenieros – figlio dell’ex internazionalista siciliano Salvatore Ingegneros – e Leopoldo Lugones, riuscirono a fare accettare l’eventualità dell’uso della violenza e il rifiuto delle alleanze con altri partiti, contro le posizioni di Juan B. Justo. Ingenieros e Lugones fondarono il giornale «La Montaña», uscito fra l’aprile e il settembre 1897, sostenendo posizioni socialiste rivoluzionarie, tendenza che però si sciolse verso la fine di quell’anno e, di fatto, nel congresso del 1898, la linea elettorale di Justo s’impose su quella rivoluzionaria. Nonostante ciò, in questo secondo congresso i socialisti immigrati di varie

630 Vd. Le lettere di Germanico Piselli ad Andrea Costa, s.l. [ma Buenos Aires], del 17 luglio 1897, 6 ottobre 1897 e 15 febbraio 1899, BCI, Archivio Andrea Costa, Corrispondenza ricevuta da Andrea Costa 1872-1910, b. 14, fasc. 2079 e 2114, e b. 16, fasc. 2354 rispettivamente.

269 associazioni, soprattutto del Centro Socialista di Barracas, che si opponevano alla naturalizzazione – la quale diventò requisito per accedere alle cariche politiche del partito e uno scopo di primo ordine dopo il fallimento nelle elezioni –, con a capo Francisco Cuneo, si sciolsero e si radunarono intorno alla nuova Federación Socialista Colectivista, che tuttavia si reincorporò al partito nel 1900.631 Intanto, il movimento anarchico doveva fronteggiare alcuni episodi di repressione. Nella celebrazione patriottica del 20 settembre 1895, tenuta nel teatro Politeama di Buenos Aires, gli anarchici distribuirono fogli di propaganda, tar essi il numero unico «XX Settembre» edito dal gruppo de «La Questione Sociale», e protestarono contro il festeggiamento con grida di «Abasso Crispi!» e «Viva l’anarchia!», dopodiché furono denunciati agli agenti, risultando sei anarchici arrestati e incarcerati per 18 giorni. Quattro loro compagni, che li visitarono in carcere due giorni dopo, furono ugualmente arrestati e tenuti dietro le sbarre per lo stesso numero di giorni.632 Un mese dopo, in un meeting tenuto in Plaza de Mayo, convocato dalla società di muratori e nella quale parteciparono ventitré società operaie per protestare contro gli orari di lavoro stabiliti dal comune, parlarono molti oratori, la maggior parte sostenendo discorsi anarchici, fra essi Giovanni Ragazzini. Parlarono anche i socialisti Patroni e García, i quali furono fischiati dagli assistenti che gridavano «Viva l’anarchia!», ma furono accusati da Patroni come quelli che dannavano il movimento e finalmente una ventina di anarchici furono arrestati, rimanendo anche loro detenuti per 18 giorni.633

631 Cfr. R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero, cit., pp. 88-103; E. BILSKY, op. cit., pp. 13-15; R. MUNCK, op. cit., pp. 40-41. All’uscita di «La Montaña», il giornale «L’Avvenire» sostenne che il termine socialista rivoluzionario utilizzato da loro si prestava a confusioni. Vd. Giornali e riviste, in «L’Avvenire», a. III, n. 21, 24 aprile 1897. Le critiche anarchiche alla politica di naturalizzazione apparvero in «L’Avvenire» a proposito dell’iniziativa socialista di elaborare una proposta di legge elettorale e di separazione della chiesa dallo Stato, presentata il 26 settembre 1897 in un meeting socialista che finì sotto la statua di Mazzini, nel Paseo de Julio, in cui si rivendicò inoltre il diritto alle otto ore di lavoro. Vd. I socialisti all’opera, in «L’Avvenire», a. III, n. 30, 19 settembre 1897, e n. 31, 3 ottobre 1897. 632 Vd. Arresti di anarchici, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. II, n. 16, 1 novembre 1895; Noticias varias, in «El Perseguido», a. VI, n. 94, 14 ottobre 1895; Atropellos policiales, in «La Libre Iniciativa», a. I, n. 3, 27 settembre 1895. Secondo «La Libre Iniciativa» gli arrestati nella commemorazione italiana furono nove, mentre «El Perseguido» sostenne che furono dodici, i quali furono fotografati nell’ufficio antropometrico della polizia e alcuni di loro passarono quattro giorni rinchiusi in un’immonda cella senza luce. Cfr. A. GIORDANO, op. cit., p. 64. Secondo «La Libre Iniciativa» di Rosario, per affrontare gli arresti dei lavoratori nel contesto di manifestazioni operaie, e soprattutto di sciopero, un gruppo di anarchici organizzatori convocò le società operaie di Buenos Aires a una riunione nella quale intendevano proporre la formazione di comitati operai che, in caso dell’arresto dei compagni, si rivolgessero alla polizia per chiedere la loro liberazione, e se la richiesta non era soddisfatta, convocassero manifestazioni di protesta, proposta che fu rigettata dal giornale perché implicava un atteggiamento legalitario, riconoscente dell’autorità, che non corrispondeva all’azione anarchica. Vd. Anarquistas de nuevo cuño, in «La Libre Iniciativa», a. I, n. 3, 27 settembre 1895. 633 Arresti di anarchici e El meeting obrero, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. II, n. 16, 1 novembre 1895. Vd. anche G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 191-192.

270 Gli arresti di anarchici in mezzo alle manifestazioni operaie, infatti, furono frequenti e anche Ragazzini ne subì le conseguenze. Domenica 7 giugno 1896, nel Jardín Pasatiempo, si realizzò un meeting convocato dalle società di fornai, gessai, marmisti, muratori e stivatori per accordare lo sciopero generale. Alcuni agenti di polizia, che avevano già arrestato due anarchici per distribuire propaganda, parteciparono all’assemblea con animo provocatorio e dopo aver tentato di arrestare un operaio che aveva preso la parola, due sedie volarono e si scatenò un disordine che Giovanni Ragazzini tentò di calmare intonando l’Inno dei lavoratori, insieme ad altri compagni ma uscendo dal teatro cantando, incontrarono la polizia. Secondo «L’Avvenire», «Ragazzini si prese una ferita di daga al capo e fu arrestato con altri tre o quattro», due dei quali erano ancora al dipartimento di polizia due settimane dopo, mentre Ragazzini, ferito alla testa e alle braccia, era nell’infermeria del carcere di Palermo. In seguito, il forlivese e l’anarchico Spinosa furono condannati a un anno e mezzo di prigione, e chiesero solidarietà ai compagni per la cura delle loro famiglie. Nel dicembre, gli anarchici inviarono 50 pesos alla famiglia di Ragazzini da una raccolta fatta in una serata artistica tenuta il 15 novembre, al che l’anarchico romagnolo rispose con una lettera datata il 6 dicembre dalla Penitenzieria, che diceva: «Ed è pensando a tutta l’opera di propaganda che dobbiamo sostenere, che provo rincrescimento che quella somma sia destinata a soccorrere la mia compagna e le mie figlie, piuttosto che essere impiegata a scopo più direttamente utile nello sviluppo del nostro sublimo ideale; ma se voi avete pensato di destinarla come l’avete destinata, io non posso respingerla, e non ho che ringraziarvi», chiudendo la missiva con un'apologia della solidarietà, base della futura società. La pena, però, secondo «La Anarquía» de La Plata, gli fu commutata durante i giorni di Natale.634 La repressione delle manifestazioni operaie e soprattutto dei gruppi e militanti libertari, divenne un fatto abituale nella Buenos Aires degli anni ’90 e seppur non fu completamente coordinata fra la polizia argentina e quelle straniere, si assistette ad una certa complicità. Gli anarchici ne furono consapevoli. Nel dicembre 1897, «L’Avvenire» avvertiva i compagni della capitale, che lì si trovava da non poco tempo, l’agente italiano Santangeli, che aveva collaborato con la polizia di Roma e un anno dopo, lo stesso giornale pubblicò un manifesto diretto al popolo argentino, al ministro d’Italia in

634 Vd. in «L’Avvenire», Buenos Aires: La conferenza operaia del 7 corrente, abusi polizieschi, a. II, n. 8, 24 giugno 1896; La solita giustizia, a. II, n. 13, 4 ottobre 1896; Come fu destinata la somma raccolta dalla rappresentazione del 15 novembre e dal compagno Ragazzini, n. 16, 12 dicembre 1896. L’episodio fu anche accennato in un riassunto annuale pubblicato su «La Anarquía» di La Plata. Vd. Un año más, in «La Anarquía», La Plata, a. III, n. 19, 1 gennaio 1897. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., 226

271 Argentina e al ministro degli Affari Esteri del paese sudamericano. Detto manifesto, firmato da «molti gruppi socialisti-anarchici di Buenos Aires», chiedeva chiarezza su una supposta riunione avuta fra i due ministri che, a richiesta del Regno d’Italia, metteva il governo argentino al corrente della distribuzione di stampa sovversiva inviata dalla penisola, con la quale si chiamava a commettere violenze contro il rappresentante del Regno nel paese sudamericano. Tutto ciò era interpretato dagli anarchici come una strategia del governo italiano per continuare all’estero l’azione repressiva intrapresa nella penisola.635 Un mese prima, «L’Avvenire» pubblicò un appello che fu inviato a tutti i giornali della capitale argentina, denunciando l’arresto arbitrario di vari anarchici alla vigilia dell'entrata in carica del nuovo presidente della Repubblica. Richiamando la libertà garantita dalla costituzione, il manifesto denunciava l’arresto di vari giovani anarchici di Barracas al Norte, di Francisco Berri e Víctor Urruz il 18 e il 20 settembre, per distribuire opuscoli libertari in Plaza Lorea, di José Costas, un tale Cerda e altri durante una riunione tenuta nel locale dell’Unione Operai Italiani il 2 ottobre, di Dionisio Pasqualini e del modenese Luigi Magrassi il 5 novembre, quando portavano in posta dei pacchi con «La Protesta Humana», essendo stati detenuti per due giorni e fotografati dalla polizia. L’appello criticava la mancanza di garanzie costituzionali e sosteneva, non senza ironia, che «per evitare la molestia di cotesti arbitrarii sequestri di persona, ci recheremo spontaneamente a farci misurare e fotografare nel locale Ufficio di antropometria». Il documento fu firmato dalle redazioni di «La Protesta Humana», di «Ciencia Sociale», con Fortunato Serantoni e di A. Maffucci, Ettore Mattei e Arturo Campagnoli a nome di «L’Avvenire».636 Sicuramente, l’aumento dei conflitti del lavoro e dell’agitazione sociale spinse le autorità poliziesche a intervenire contro i movimenti scioperanti e particolarmente contro gli anarchici. Questi, sia nella sua corrente organizzatrice come in quella antiorganizzatrice, parteciparono alle diverse società operaie e presero parte agli scioperi, seppur con scopi diversi. Soprattutto nel 1896, la stampa anarchica dimostrò grande interesse nello sviluppo dei movimenti operai in conflitto con i padroni. Nel settembre di quell’anno, «L’Avvenire» faceva un bilancio dell’attività scioperante che aveva avuto luogo a Buenos Aires, rilevando la partecipazione anarchica negli scioperi

635 Vd. In punta di penna, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. III, n. 35, 8 dicembre 1897; Al popolo argentino ed ai ministri Yofre e Malaspina, a. IV, n. 60, 11 dicembre 1898. 636 Pubblichiamo il seguente appello…, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 58, 13 novembre 1898.

272 dei panettieri, che si radunavano in conferenze nel Prado Español e alle quali assistettero anche i calzolai in sciopero e un gruppo di meccanici scioperanti ma dissidenti del proprio movimento, che impediva l’intervento dei militanti libertari. Nei primi di settembre, però, la polizia intervenne sgomberando il locale mentre si teneva una conferenza e in seguito chiuse la segreteria della società di panettieri e proibì le riunione al Prado Español.637 Un episodio particolare ebbe luogo a Rosario, quando verso la fine di settembre, in mezzo allo sciopero generale che coinvolse i lavoratori della città, inclusi i fornai, una bomba scoppiò nella panetteria La Plata. Questo fatto costituì il primo atto di violenza degli anarchici d’azione a Rosario – atti che però non furono frequenti e che presero una certa continuità solo dopo il 1904 –, ed ebbe come risultato, oltre all’arresto di vari anarchici, il fallimento dello sciopero, mentre gli anarchici organizzatori criticarono l’accaduto. Il gruppo Ciencia y Progreso di Rosario pubblicò un manifesto protestando contro quello che loro chiamarono «ensayos pirotecnicos», qualificandolo come un atto inutile, compiuto da codardi e che anziché portar beneficio alla propaganda, dannava il movimento. «L’Avvenire», d’altra parte, rilevando che la bomba era esplosa nella panetteria di uno dei padroni «più feroci contro gli scioperanti», causando lievi danni, manifestò che l’ignoto autore «doveva fare una cosa seria o non doveva far nulla».638 Gli organizzatori erano partigiani della costituzione di società operaie e del suo coordinamento. Sotto questa pretesa, in mezzo alla crescente agitazione operaia, dal marzo 1896 diversi gruppi anarchici organizzarono alcune riunioni a cui parteciparono diverse società di lavoratori, nel tentativo di proporre lo sciopero generale come spinta definitiva al movimento, riunioni dalle quali nacque una Convención Obrera, il cui nucleo fondamentale fu le società di panettieri, muratori, gessai, marmisti e stivatori e che si costituì come un coordinamento delle società piuttosto che come una federazione propriamente detta. In ogni caso, la repressione del meeting tenutosi al Jardín Pasatiempo il 7 giugno, a cui abbiamo accennato sopra e nel quale fu arrestato Giovanni Ragazzini, segnò il declino del tentativo anarchico. Il 22 di agosto, «L’Avvenire» faceva un

637 Vd. A scioperi finiti, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 12, 13 settembre 1896. Sulla copertura che la stampa anarchica fece sugli scioperi del 1896, vd. ad esempio, Echi dello sciopero dei tipografi, n. 11, 22 agosto 1896; Dopo quattro mesi di sciopero, n. 16, 12 dicembre 1896; Le Associazioni Operaie di Buenos Aires e gli scioperi, n. 12, 13 settembre 1896; Ecos de Tolosa, in «La Anarquía», La Plata, a. II (1896): n. 16, 27 settembre; n. 17, 1° novembre. 638 Vd. El grupo de propaganda comunista anàrquica «Ciencia y Progreso» al pueblo. Manifiesto-protesta contra los alarmistas, firmato a Rosario, 17 ottobre 1896, IISG, Max Nettlau Papers, folder 3389 Argentina Anarchism 1888-1924; Movimento operaio, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 13, 4 ottobre 1896. Cfr. R. FALCÓN, La Barcelona argentina, cit. pp. 155.

273 appello allo sciopero generale, ma verso la fine dell’anno il movimento scioperante si era spento praticamente ovunque. Intanto, i socialisti avevano rilanciato la loro iniziativa di ridare vita alla federazione operaia fin dal giugno, approfittando della propria partecipazione in alcune associazioni di mestieri in conflitto con i padroni. «L’Avvenire» avvertì, però, che le società operaie che volevano partecipare al congresso organizzato dai socialisti, che si sarebbe tenuto entro il mese di giugno 1896, dovevano aderire al programma politico proposto dai convocanti. Nonostante tutto, verso la fine dell’anno i socialisti riescono a ricostituire la Federación Obrera, senza la partecipazione però delle società di tendenza anarchica, come panettieri, muratori e gessai, tuttavia nel dicembre 1897, dopo un anno di scarsa mobilitazione operaia e in seguito alla diserzione di alcune associazioni di lavoratori, la federazione si sciolse. Seppur gli anarchici organizzatori non avessero ottenuto risultati migliori, l’esperienza del 1896 rafforzò la loro convinzione di partecipare attivamente alla lotta sindacale.639 L’attività degli organizzatori non restò ferma alla sola attività nelle società operaie. Fin dall’agosto 1897, i gruppi dei giornali «La Protesta Humana», «La Questione Sociale» e «L’Avvenire», promossero l’idea di creare un Circolo Internazionale di Studi Sociali, che si costituì nell’ottobre con l’appoggio anche della società di muratori, presso il quale ebbe sede provvisoria, finché verso il settembre 1898 «L’Avvenire», – che diede permanente pubblicità alle riunioni della società – parlava di una sala del circolo, situata in via Talcahuano 224. Le polemiche, però, non mancarono intorno al Circolo di Studi Sociali e nel gennaio 1898 il giornale bonaerense in lingua italiana rispose alle critiche dell’antiorganizzatore Santiago Locascio sull’atteggiamento borghese del circolo, sostenendo che non si trattava di un circolo anarchico, bensì di un gruppo che proponeva una discussione ampia sulla questione sociale.640 In ogni caso, gli organizzatori di «L’Avvenire» non si dimostrarono molto accondiscendenti con gli antiorganizzatori e in particolare con gli individualisti. Nel marzo 1898, il giornale si lamentava dell’atteggiamento scontroso che questi avevano

639 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 225-232; R. FALCÓN, Los orígenes del movimiento obrero, cit., p. 89-90; R. MUNCK, op. cit., p. 39. Vd. anche in «L’Avvenire», Buenos Aires: Congresso operaio, a. II, n. 7, 6 giugno 1896; Sciopero generale!, n. 11, 22 agosto 1896. Secondo Falcón, nel 1897 l’agitazione sociale riguardò soprattuto i dissocupati, e inoltre si manifestò anche un certo avvicinamento fra socialisti e anarchici organizzatori per la realizzazione di alcune azioni comuni, come fu la convocazione dell’assemblea dei disoccupati del 18 agosto a Buenos Aires, nella quale parteciparono circa cinquemila persone e che finì con scontri fra i manifestanti e la polizia. Vd. R. FALCÓN, op. cit., p. 90. 640 Vd. «L’Avvenire«, Buenos Aires, a. III (1897): n. 27, 1 agosto; n. 33, 31 ottobre; n. 34, 14 novembre; n. 35, 8 dicembre; a. IV (1898): n. 40, 13 febbraio [ma gennaio]; n. 41, 27 febbraio; 54, 11 settembre. Sulla lettera di Locascio, vd. Accademia. Parliamoci chiaro!, in «L’Avvenire», A. VI, n. 37, 1 gennaio 1898. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 172.

274 avuto in una conferenza di Eugenio Pellaco, ricordando anche che avevano criticato la sottoscrizione degli organizzatori in favore di Giuseppe Consorti, amministratore del giornale che, essendo malato, doveva tornare in Italia, così come le critiche del «Germinal» contro un articolo sul femminismo pubblicato su «L’Avvenire». Infine, sulle loro dichiarazioni con le quali sostentavano che non avevano niente in comune con i socialisti anarchici, il periodico anarchico sostenne d’essere d’accordo. Nell’agosto, «L’Avvenire» si spinse oltre e a proposito di un’altra conferenza nella quale parteciparono «i campioni di quella curiosa manifestazione psicologica che alcuni mattacchioni di Buenos Aires hanno convenuto di chiamare individualismo», i redattori dissero che gli individualisti erano «più detestabili dei liberali borghesi» poiché si limitavano alla sola critica e persino che non sapevano cosa fosse l’anarchia, sostenendosi su idee confuse: «bisogna però riconoscere a quei cari figliuoli il beneficio di una attenuante – essi non sanno quel che dicono!».641 Verso il 1898, infatti, la tendenza organizzatrice era diventata maggioritaria all’interno del movimento libertario dell’Argentina e soprattutto fra gli anarchici italiani. Questo nuovo scenario consentì ai circoli libertari di Buenos Aires di organizzare verso la fine dell’anno, grazie all’iniziativa del gruppo L’Agitatore, una federazione anarchica. Il 19 dicembre si riunì una numerosa assemblea che poté contare sulla presenza di molti gruppi anarchici e che decise di costituire la Federazione Socialista Libertaria, il cui scopo principale era quello di potenziare il lavoro di propaganda. Qualche giorno dopo, il 26 dicembre, i gruppi si radunarono nella sede del Circolo Internazionale di Studi Sociali e approvarono anche il patto d’alleanza della nuova federazione, che stabiliva la totale autonomia dei gruppi e il modus operandi dell’associazione.642 L’anno 1898 fu, infatti, un anno chiave per l’anarchismo italiano organizzatore dell’Argentina. David Viñas segnala questa data come un primo limite cronologico dell’anarchismo argentino, a causa dell’importanza che ebbe per gli organizzatori la presenza dell'avvocato anarchico Pietro Gori. Dopo il suo soggiorno a Parigi, Gori prese la via del Sudamerica dal porto di Barcellona, arrivando a Buenos Aires verso la fine di giugno 1898, ma già nel marzo 1897, in una lettera aperta ai compagni sudamericani, aveva manifestato la sua intenzione di realizzare un giro di propaganda attraverso l’America Latina e sperava solo di sbarazzarsi della sua reclusione a Rosignano. Una volta

641 Vd. Tempo perso, in «L’Avvenire», a. IV, n. 42, 13 marzo 1898; Anarchici-borghesi, n. 53, 29 agosto 1898. 642 Vd. Cose locali, in «L’Avvenire», a. IV, n. 61, 25 dicembre 1898; Federazione libertaria dei gruppi socialisti-anarchici di Buenos Aires, a. V, n. 62, 8 gennaio 1899. I gruppi che firmarono il patto federativo furono L’Agitatore, Los Desertores, Polinice Mattei, Los Dispersos, Né Dio né Padrone e Luz y Progreso.

275 in Argentina, oltre a diventare professore ospite di sociologia criminale nella Facoltà di Diritto dell’Università di Buenos Aires nell’agosto, e di fondare la rivista «Criminología Moderna», Gori svolse un attivissimo ruolo di propagandista e collaborò notevolmente al consolidamento della corrente organizzatrice e particolarmente del socialismo anarchico che si era sviluppato in Italia. La sua attività in Argentina diede una certa importanza sociale alle idee anarchiche o, come dice Osvaldo Bayer, li «fece entrare in società» e attrasse verso l’anarchismo figure come Pascual Guaglianone, Félix Basterra e Alberto Ghiraldo, che saranno importanti nel successivo sviluppo delle correnti libertarie del paese.643 Pietro Gori, che collaborò con diversi articoli per «L’Avvenire» e altri giornali anarchici, incentrò la sua attività di propaganda soprattutto attraverso conferenze. La prima ebbe luogo nel Teatro Doria il 10 luglio 1898 e trattò di provocatori e sobillatori nei moti italiani del maggio, e la raccolta di denaro fu destinata alle vittime della repressione nella penisola. In seguito, si presentò nei più diversi salotti e parlò non solo per anarchici e operai, ma anche per socialisti, liberali, industriali e commercianti, esponendo le sue idee su temi diversi come la famiglia e la religione, la scienza, la guerra e certamente anche sull’avvenire dei lavoratori e l’organizzazione operaia. Fra le associazioni che invitarono l’avvocato anarchico a fare delle conferenze, ci furono la società di pittori, la società di muratori de La Plata, la Società Anticlericale Giordano Bruno, l’Unione Liberale e la società di operai ebanisti. Nella conferenza tenuta nella sede di quest’ultima società, l’11 dicembre, Gori consigliò l’organizzazione degli operai in società di resistenza, «con nuove forme vaste e libertarie», criticò le associazioni autoritarie e replicò alle contestazioni di un giovane individualista, ricordando che in precedenza altri due individualisti si erano ritirati da un’altra conferenza poiché qualcuno, loro malgrado e nonostante le loro contestazioni, aveva dimostrato l’importanza dell’organizzazione operaia. Inoltre, Pietro Gori condivise conferenze in contraddittorio con i socialisti José Ingenieros, il 28 agosto nella società artigiana di Buenos Aires e Adriano Patroni, il 1° gennaio 1899 nella società dei panettieri.644

643 Vd. «L’Avvenire», Buenos Aires: Ai compagni del Sud-America, a. III, n. 22, 9 maggio 1897; All’università, a. IV, n. 53, 29 agosto 1898. Cfr. D. VIÑAS, Anarquistas en América Latina, Buenos Aires, Paradiso, 2009, p. 213; O. BAYER, op. cit., pp. 103-104; E. BILSKY, op. cit., pp. 10-11. 644 Vd. Per le vittime della reazione in Italia, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 50, 10 luglio 1898; Conferenze socialiste e anarchiche, n. 54, 11 settembre 1898; Cose locali, n. 61, 25 dicembre. Notizie sulle altre conferenze di Gori si trovano in «L’Avvenire», a. VI (1998): n. 52, 13 agosto; n. 53, 29 agosto; n. 55, 2 ottobre; n. 56, 16 ottobre; n. 60, 11 dicembre. Su alcuni articoli di Gori, Vd. P. Gori, Alla raccolta, in «L’Avvenire», a. IV, n. 50, 10 luglio 1898; Le basi morali dell’anarchia, in «L’Avvenire», n. 52-56, 58, 59, 61, 62; Le basi economiche dell’anarchia, in «L’Avvenire», n. 63, 65, 67. Di particolare interesse è l’articolo ai

276 Il proposito di Gori e dei suoi compagni fu portare queste conferenze oltre Buenos Aires. Infatti, appena arrivato l’avvocato siciliano in Argentina, il giornale «L’Avvenire» indirizzò un appello agli anarchici del Sudamerica con lo scopo di collaborare con un progettato giro di propaganda di Gori nel continente, chiedendo il dove e il come si potevano tenere utili conferenze. Il foglio anarchico ribadì l’appello nel dicembre, approfittando del giro già organizzato che Gori avrebbe fatto a gennaio per Luján, Mercedes, Chivilcoy, proseguendo per Chascomús, Dolores, Maipú, Mar del Plata, dove si sarebbe fermato per un «corso completo di conferenza», portandosi in seguito ad Ayacucho, Tandil, Juárez, Tres Arroyos e infine a Bahía Blanca, città nella quale rimarrebbe qualche giorno, prima di prendere la via dell’Ovest. Volendo andare anche verso sud, almeno il più fosse possibile, chiedevano di contattare i gruppi di «L’Avvenire» e «La Protesta Humana». L’idea era quella d’iniziare un «pellegrinaggio lunghissimo» per il continente sudamericano, come aveva già fatto nel Nordamerica fra il 1895 e il 1896.645 Come dicevamo, la prima conferenza di Gori in Argentina trattò della repressione dei moti popolari in Italia, ma già da maggio gli anarchici italiani nel paese sudamericano avevano iniziato una campagna d’agitazione solidale con le vittime del governo della penisola e contro la sua politica repressiva. Quel mese apparve affisso sui muri della capitale un manifesto con il quale anarchici e socialisti, oltre a criticare la politica repressiva dei Savoia, convocavano due manifestazioni per il giorno 11 e 15. La manifestazione convocata in Plaza Lavalle di Buenos Aires fu vietata dalla polizia della capitale, tuttavia migliaia di persone vi arrivarono trovando diversi agenti. La maggior parte dei manifestanti si sciolse, altri si concentrarono in Plaza Libertad e Plaza San Martín, mentre un centinaio di persone persistette nel rimanere in Plaza Lavalle, e si dispersero solo dopo alcuni scontri con la polizia che finirono con un agente ferito e due o tre detenuti. Il giornale «L’Avvenire» parlò allora di una colonia italiana che aveva dimostrato di «essere unanime nell’imprecare contro i fucilatori e i mitragliatori del popolo italiano». La seconda manifestazione non si realizzò, ma invece il Fascio dei Lavoratori convocò una riunione, alla quale parteciparono molti lavoratori che ascoltarono discorsi di anarchici e socialisti, in generale di comune accordo. Nonostante compagni di redazione, pubblicato nell’ottobre 1898, con il quale Pietro Gori criticò uno stelloncino pubblicato dal giornale in lingua italiana in un numero precedente che attaccava alcuni leader socialisti italiani vittime della repressione, sostenendo che anche se si trattava di avversari politici, non era lecito attaccarli in modo personale, ancor meno quando erano vittime della repressione. Vd. P. Gori, Ai compagni di redazione (lettera aperta), in «L’Avvenire», n. 57, 30 ottobre 1898. Sul riferito stelloncino, vd. Roba da chiodi, n. 56, 16 ottobre 1898. 645 Vd. Ai compagni del Sud-America, in «L’Avvenire», n. 50, 10 luglio 1898; Viaggio di propaganda di Pietro Gori, n. 61, 25 dicembre 1898.

277 ciò, «L’Avvenire» criticò aspramente l’atteggiamento ultra legalitario dei socialisti italiani dell’Argentina, i quali sostennero che il Partito Socialista non approvava i fatti violenti accaduti in Italia, tradendo con ciò, secondo il giornale anarchico, i propri compagni che si erano sollevati insieme al popolo italiano e che furono perciò arrestati.646 Verso la fine di maggio, il giornale «Progreso de La Boca» aprì una sottoscrizione in favore delle vittime del massacro nella penisola e qualche giorno dopo anche i socialisti anarchici lanciarono un manifesto che apriva un’altra sottoscrizione con lo stesso scopo. Il manifesto fu firmato dal Circolo Internazionale di Studi Sociali e dalle redazioni di «La Protesta Humana», «Ciencia Social» – dove apparve il nome di Fortunato Serantoni – e «L’Avvenire», quest’ultima con le firme di Antonio Maffucci e Arturo Campagnoli. Fra i punti di raccolta delle oblazioni, oltre alle sedi dei giornali, apparve la Fonda Romagnola, situata in Calle Alvarado 1800, quartiere Barracas al Norte, all’epoca un luogo di ritrovo degli anarchici italiani della capitale argentina. Militanti e non, contribuirono con la sottoscrizione solidale; di Buenos Aires ci furono i romagnoli Arturo Campagnoli, Giovanni Zirardini, Luigi e Adele Brunini, Giacomo Quarantini, e gli emiliani Isidoro Malavasi e Alberto Valdastri, quest’ultimo apparso nella lista del gruppo Né Dio né Padrone, il ravennate Guido Amaducci da Bahía Blanca e in una stessa lista i castellani Giuseppe Minardi, Michele Fantini e Giuseppe Costa, sicuramente da Rosario di Santa Fe. Finalmente, la campagna riuscì a raccogliere 2.402,30 lire, denaro che fu inviato a Enrico Ferri, direttore de «L’Avanti» di Roma, in nome dei gruppi socialisti- anarchici dell’Argentina, dagli stessi gruppi che lanciarono l’iniziativa, con Arturo Campagnoli come firmante per la redazione de «l’Avvenire».647 Nel corso del 1898 apparve a Buenos Aires un manifesto in lingua spagnola che denunciava il massacro di Milano e la repressione in Italia e, accusando la monarchia e la borghesia di essere i colpevoli, faceva appello ai lavoratori chiamandoli a rispondere alla

646 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 12 maggio 1898, ASD-MAE, Serie Politica P, b. 634 Miscellanea, fasc. Pos. 698, Insurrezione in Italia nel 1898. Moti di Milano e altrove. Vd. anche Vergognatevi e La manifestazione di mercoledì, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 47, 22 maggio 1898. Sulla riunione organizzata dal fascio dei lavoratori, vd. la lettera inviata da Ettore Mattei al giornale «La Protesta Humana», datata a Buenos Aires, 25 maggio 1898: Comunicados, in «La Protesta Humana», Buenos Aires, a. II, n. 36, 29 maggio 1898. 647 Vd. il manifesto ¡Solidaridad para nuestro hermanos de Italia!, Buenos Aires, 5 giugno 1898, IISG, Max Nettlau Papers, folder 3391 Argentina Italians 1889-1901. Vd. anche Per le vittime della brutalità monarchica e Un giornale della Boca per le vittime d’Italia, in «L’Avvenire», a. IV, n. 48, 5 giugno 1898; Suscripción popular, in «La Protesta Humana», a. II, n. 37, 12 giugno 1898. Le liste di sottoscrizione per le famiglie delle vittime della repressione in Italia furono pubblicate sotto la rubrica Solidaridad, in «La Protesta Humana», a. II (1898): n. 38, 19 giugno; n. 39, 10 luglio; n. 40: 24 luglio; n. 41, 7 agosto. Sull’invio in Italia dei fondi raccolti, vd. Per le vittime della brutalità monarchica, in «L’Avvenire», n. 52, 13 agosto 1898; Para las víctimas de Italia, in «La Protesta Humana», n. 42, 21 agosto 1898.

278 forza con la forza e a vendicare le vittime. Intanto, anarchici e socialisti avevano affiancato anche i repubblicani più radicali alle loro proteste contro la repressione e insieme convocarono un meeting di protesta per il 24 luglio in Plaza Rodríguez Peña, contro i provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza approvati dal parlamento italiano. Il ministro d’Italia in Argentina chiese al capo della polizia di vietare la manifestazione e questo rispose comunicando agli organizzatori il divieto, tuttavia molti manifestanti si raggrupparono nella detta piazza, dove furono disciolti dagli agenti di polizia, sembra senza che ci fossero incidenti.648 Mentre gli anarchici organizzatori italiani aprivano una sottoscrizione permanente in favore del giornale degli esuli libertari a Neuchâtel, «L’Agitatore», l’iniziativa di radunare anarchici, socialisti e repubblicani ebbe un altro episodio a proposito della commemorazione del 20 settembre. Nei primi giorni d’agosto, si riunirono delegati del Circolo Internazionale di Studi Sociali, del Fascio del Lavoratori, dell’Alleanza Repubblicana Universale e del Circolo Repubblicano, oltre a vari giornali e decisero di analizzare la proposta dell’Associazione Anticlericale di realizzare un meeting per la commemorazione della presa di Roma in una nuova riunione da tenersi il 14 agosto nel salone dell’ARU. Il giorno 8 si realizzò una quarta assemblea del Comitato Popolare per il meeting del XX settembre, nella quale si deliberò la pubblicazione di un manifesto che apparve qualche giorno dopo, diretto agli italiani e che dichiarava il 20 settembre come giorno di lutto a causa delle «recenti repressioni sanguinose in ogni parte d’Italia», invitando tutti ad una riunione da tenersi nella Casa Suiza, dove avrebbero preso parola Orazio Iriani, i socialisti Adriano Patroni e Enrique Dickman e Pietro Gori. Fra le tante associazioni firmatarie, oltre al Circolo Internazionale di Studi Sociali, a «L’Avvenire», a «La Protesta Humana», a «Ciencia Social» e ad altri gruppi anarchici di lingua italiana, spagnola e francese, apparvero anche il Circolo Italiano Socialista, il giornale «La Vanguardia», l’Alleanza Repubblicana de La Boca, il Circolo Mazzini, il Circolo Giordano Bruno e molte altre associazioni repubblicane e socialiste. Inoltre, «L’Avvenire» invitava le logge massoniche e le associazioni liberali di Buenos Aires a una manifestazione cosmopolita in memoria dei martiri del libero pensiero – parallela a quella organizzata dai monarchici per il 18 settembre – da tenersi in Plaza 25 de Mayo e dove avrebbe parlato l’avvocato Gori. Nonostante la lunga preparazione, la

648 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 26 luglio 1898, ASD-MAE, Serie Politica P, b. 634 Miscellanea, fasc. Pos. 698, Insurrezione in Italia nel 1898. Moti di Milano e altrove. Vd. anche A los trabajadores. El Pueblo Italiano masacrado, s.l., s.d. [ma Buenos Aires, 1898], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3391 Argentina (italians, 1889-1901).

279 polizia vietò il meeting e l’adunanza non si realizzò. Nelle liste di sottoscrizione in favore del meeting, pubblicate alcune settimane dopo la fallita manifestazione, comparvero Giacomo Quarantini nella lista del Circolo Internazionale di Studio Sociale e il forlivese Quinto Saiani nella lista del giornale «L’Amico del Popolo».649 Le particolari tensioni che si vivevano fra i patrioti italiani residenti in Sudamerica e i loro connazionali, critici della repressione crispina, finì tragicamente a São Paulo del Brasile. Il 23 settembre. In quella città morì infatti, il fratello di Ettore Mattei, Polinice, dopo essere stato ricoverato qualche giorno in ospedale a causa delle pugnalate inferte da un gruppo di patrioti italiani. Mentre Ettore utilizzava le pagine de «L’Avvenire» per ringraziare le molteplici dimostrazioni di condoglianze, nel quartiere de La Boca si costituì un gruppo con il nome di Polinice per raccogliere delle sottoscrizioni in favore dei suoi orfani, il cui tesoriere fu Francesco Bottazzi e Pietro Gori organizzò un comitato pro figli di Polinice Mattei, che raccolse dei contributi pecuniari nell’ufficio d’avvocato che condivideva con Arturo Riva. Gli orfani, infatti, si trasferirono a Buenos Aires, dove arrivarono il 26 ottobre – «L’Avvenire» ringraziò O. M. per la visita fatta ai bambini sul piroscafo Bearn, quando questo si fermò nel porto di Montevideo – mentre la raccolta di fondi sembra avesse avuto abbastanza successo. Nelle liste di sottoscrizioni raccolte dalla Libreria Sociologica troviamo Giovanni Zirardini, Luigi e Adele Brunini, Eugenio Bertani e il riminese Giulio Aragni, mentre in quelle del Circolo Internazionale di Studi Sociali apparve il nome di Luigi Magrassi.650 Le agitazioni degli anarchici italiani in Argentina contro la repressione nella penisola avevano già avuto un capitolo a proposito delle persecuzioni scatenate in concomitanza con i moti dei Fasci Siciliani del 1894, sui quali la stampa anarchica del paese, specie «La Questione Sociale», mantenne continuamente informati i compagni.

649 Vd. il manifesto 1870-XX settembre-1898, s.l., s.d., IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3391 Argentina (italians, 1889-1901); Importante, in «L’Avvenire», Buenos Aires, n. 52, 13 agosto 1898; Pel XX Settembre e XX settembre. Assemblea del Comitato Popolare per meeting del XX settembre, in «L’Avvenire», Buenos Aires, n. 54, 11 settembre 1898; Al signor prefetto di polizia (lettera aperta), n. 55, 2 ottobre 1898. Vd. Anche le liste di sottoscrizione per il meeting cosmopolita del XX settembe, in «L’Avvenire», n. 57, 30 ottobre, e n. 59, 27 novembre 1898. Sulla sottoscrizione in favore de «L’Agitatore» di Neuchâtel, vd. «L’Avvenire», n. 53, 29 agosto 1898. 650 Vd. «L’Avvenire», a. IV (1898): n. 56, 16 ottobre; n. 57, 30 ottobre; e le liste di sottoscrizione in favore dei figli di Polinice Mattei, in n. 59, 27 novembre, e n. 61, 25 dicembre 1898. Sulla morte di Mattei, vd. Polinice Mattei e Cose locali, in «L’Avvenire», a, IV, n. 56, 16 ottobre; Brasile, n. 58, 13 novembre, e n. 60, 11 dicembre. In un rapporto del dicembre 1898, il ministro d’Italia in Argentina informava il MAE che l’avvocato socialista Arturo Riva, il quale era stato condannato a 15 anni di carcere per i moti di Milano, si trovava a Buenos Aires, e sembrava che collaborasse alla rivista di Pietro Gori e al giornale «L’Amico del Popolo», «a cui fanno capo tutti i repubblicani e socialisti qui residenti». Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 30 dicembre 1898, ASD-MAE, Serie Politica P, b. 634 Miscellanea, fasc. Pos. 698, Insurrezione in Italia nel 1898. Moti di Milano e altrove.

280 Furono però gli arresti e le condanne a domicilio coatto in Italia, durante il 1895, che spinsero gli anarchici ad attivare una campagna solidale. Nel maggio, la rivista di Serantoni aprì una sottoscrizione in favore della propaganda anarchica in Italia, ne sosteneva un’altra a beneficio delle famiglie degli anarchici fucilati a Barcellona, informava sulle centinaia di confinati a Porto Ercole e il 1° giugno aprì una sottoscrizione per loro. Fra gli oblatori apparvero Arturo Mazzanti, Ettore Mattei e una conferenza del Fascio dei Lavoratori, mentre contributi arrivarono anche da La Banda, Rosario, Estación Alcorta, Estación San Agustín, Cañana Norte, Junín, Tucumán e da Valparaíso. Nell’agosto, il Comitato di Soccorso ai relegati al domicilio coatto, con sede a Imola, accusò la ricevuta di 681 lire da Buenos Aires. Il denaro fu portato ai reclusi all’Isola delle Tremiti dal deputato Andrea Costa, cosa che fece rifiutare agli stessi anarchici il contributo spettante. Soltanto dopo le spiegazioni de «La Questione Sociale» – attraverso due lettere inviate ai reclusi e un articolo pubblicato su «L’Avvenire» – che niente sapeva della partecipazione del Costa, i confinati accettarono le 200 lire, ringraziando e chiedendo qualche numero della rivista.651 La guerra italiana contro l’Abissinia del 1895 e 1896 offrì un’altra occasione agli anarchici italiani in Argentina per lanciare una campagna d’agitazione. La rivista «La Questione Sociale» pubblicò diversi articoli sulla guerra, sulle sue conseguenze nella penisola, così come sulle proteste che avevano luogo in Italia e sulle diserzioni dall’esercito. Il 1° febbraio 1896, gli anarchici di Buenos Aires affissero sui muri della capitale il manifesto Al popolo italiano, il quale si lamentava delle migliaia di morti, criticava l’impresa colonizzatrice, rivendicava il diritto degli abissini alla propria terra, ma soprattutto faceva un appello per la ribellione, segnalando che il momento era propizio. Più di un mese dopo, un gruppo di anarchici stampò il manifesto Guerra alla guerra, il quale criticava la guerra ma soprattutto i patrioti che dicevano di lamentare la

651 Vd. Per i relegati a domicilio coatto, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. II, n. 16, 1 novembre 1895; Gli anarchici all’isola di Tremiti, in «La Questione Sociale» n. 18, 20 gennaio 1896; Il rifiuto dei coatti di Tremiti, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. I., n. 1, 10 novembre 1895. La circolare Sottoscrizione a favore dei compagni reclusi a Porto Ercole, Buenos Aires, 1° giugno 1895, si trova in IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3391 Argentina (italians, 1889-1901), e fu riprodotta in «La Questione Sociale», n. 12, 1° giugno 1895, e in «El Perseguido», a. VI, n. 83, 16 giugno 1895. Cfr. A. GIORDANO, op. cit., p. 53. Dopo il rifiuto dell’aiuto del deputato imolese, Andrea Costa scrisse una lettera all’anarchico Niccolò Converti, allora a Tunisi e impegnato nell’aiuto ai confinati, datata a Roma il 27 novembre 1895, con la quale manifestava che se si voleva inviare qualcosa ai socialisti coatti o a qualche anarchico amico, come Adamo Mancini, egli era disponibile, ma non per gli «anarchici del genere di quelli che han fatto tanto godere la polizia italiana, insultando me e i Socialisti tutti». La lettera è stata riprodotta in P. C. MASINI, Gli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, cit., p. 235. Vd. anche le liste di sottoscrizione a favore dei reclusi a Porto Ercole in «La Questione Sociale», n. 14, 1 agosto 1895, e n. 15, 1 settembre 1895. Vd. anche Per la propaganda anarchica in Italia, in «La Questione Sociale», a. II, n. 6, 21 maggio 1896.

281 morte degli italiani nei campi di battaglia, ma che si opponevano alla pace con l’Abissinia. Infatti, il manifesto fu stampato apposta per la sua distribuzione nella manifestazione dei «caporioni della colonia italiana» che si opponevano ai negoziati di pace che aveva intrapreso il governo italiano. L’irruzione di una decina di anarchici nella manifestazione, che distribuirono il manifesto, provocò grida contro di essi, dopodiché gli questi reagirono e si produsse un «tafferuglio indiavolato» che fece intervenire la polizia, con l'arresto degli anarchici. Commentando i fatti, il giornale «L’Avvenire» raccomandò i compagni di cercare modi più persuasivi di contestare i patrioti e pubblicò un altro manifesto che mostrava la manipolazione dell’idea di patria da parte dei borghesi che avevano dato inizio alla guerra.652 D’altra parte, gli scontri diplomatici tra l’Argentina e il Cile che fecero temere lo scoppio di una guerra tra i due paesi, furono criticati già nel 1895 dalle pagine de «El Perseguido», giornale che pubblicò anche la corrispondenza di un gruppo di operai cileni che manifestarono contro la guerra e a favore di un comunismo anarchico. Nel luglio del 1898, si riaccesero le differenze tra i governi dell’Argentina e del Cile, un gruppo di patrioti italiani organizzò una legione, precursore di quello che sarebbe stato il Comitato Popolare per il meeting del XX Settembre. Il Circolo di Studi Sociali, l’Alleanza Repubblicana, il Centro Repubblicano, il Circolo Mazzini, il Fascio dei Lavoratori e i giornali «L’Avvenire» e «L’Amico del Popolo», firmarono un manifesto che chiamava gli italiani a non aderire all’iniziativa, perché attizzava una guerra che non poteva che essere disastrosa per tutti. «L’Avvenire» si prese una piccola rivincita, dopo essere stato proibito il meeting cosmopolita del 20 settembre, beffandosi della ridicola sfilata della Legione Italiana nella celebrazione patriottica, la quale non era se non «un brillante Stato Maggiore, senza soldati» e nell’eventualità dello scoppio della guerra, diceva «l’Avvenire»: «li vedremo su per le balze Andine, cotesti leoni di guerra e ne sentiremo le gesta meravigliose sui giornali dei due oceani».653

652 Vd. i manifesti Al popolo italiano, [Buenos Aires, 1° febbraio 1896] e Guerra alla guerra, Buenos Aires, 22 marzo 1896, firmato da La gioventù anti-patriottica, entrambi in IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3391 Argentina (italians, 1889-1901). Sul retro del primo manifesto, Nettlau appuntò che lo stesso aveva circolato in Nordamerica nel gennaio. Vd. anche A proposito della dimostrazione di Domenica e Ai lavoratori italiani residenti al Plata, in «L’Avvenire», a. II, n. 5, 26 marzo 1896. Sull'affissione del manifesto di febbraio, vd. Movimento rivoluzionario, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 4, 4 febbraio 1896. Alcune accenni sulla guerra nella stampa anarchica: Le stragi d‘Africa e la fame d’Italia, in «La Questione Sociale», a. II, n. 16, 1 novembre 95; ¡Abisinia!, n. 19, 15 de Marzo de 1896; Movimento socialista in Italia, n. 20, 26 aprile 96. Su altri riferimenti alla guerra d’Abissinia, vd. Actualidad, cuadros lúgubres, in «La Voz de la Mujer», Buenos Aires, a. I, n. 4, 27 marzo 96; Sui fatti d’Africa, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 5, 26 marzo 1896. 653 Vd. il manifesto Legione italiana, Buenos Aires, 18 luglio 1898, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3391 Argentina (italians, 1889-1901), e La legione italiana e Cose locali, in «L’Avvenire», a. IV, n. 55, 2 ottobre 1898. Vd. anche «El Perseguido», a. VI, n. 80, 21 aprile 1895; La Guerra Chileno-Argentina, «El Perseguido»,

282 Sicuramente molto importante per la diffusione dell’anarchismo in Argentina furono le iniziative artistiche libertarie, che iniziarono a diffondersi dalla seconda metà degli anni ’90. Il 9 marzo, nel Teatro de Mayo di Buenos Aires, ci fu la prima rappresentazione del dramma El pan del pobre, che trattava su uno sciopero e che, secondo «La Questione Sociale», ebbe «escenas eminentemente revolucionarias, que hicieron poner los pelos de punta y sentir escalofríos á los burgueses que asistieron al estreno». Qualche mese dopo, il 15 novembre, la Sociedad Libre de Declamación organizzò una serata artistica nel salone-teatro dell’Unión Obrera Española, nella quale si cantarono inni rivoluzionari, si recitarono delle poesie libertarie e si rappresentò il dramma Primo Maggio, scritto da Pietro Gori, «eseguito così tanto bene che nessuno avrebbe potuto credere che quegli attori calcavano la scena per la prima volta». Fra gli attori ci fu la figlia di Giovanni Ragazzini, che recitò Sfida, di Ada Negri, «entusiasticamente applaudita» e il ravennate Ludovico Tavani, che recitò la propria poesia L’Emigrante e la Patria, anch'essa «molto gustata e applaudita». Felice Vezzani declamò il monologo Moralismo, «che pel suo carattere ironico e satirico contro la morale borghese non fu ben compreso» e infine una compagna recitò la poesia del Vezzani Il canto della fame, che «riscosse calorosissimi applausi e dové bissare la chiusa». La serata ebbe successo anche finanziario e nella riunione del resoconto si decise in quale opera di propaganda si sarebbe usato il denaro raccolto.654 El pan del pobre si rappresentò ancora nel febbraio 1897 nel salones Les Enfants de Beranger, questa volta, da un gruppo dilettante composto da anarchici, in una serata in cui si raccolsero fondi per le famiglie degli anarchici carcerati a Barcellona. Nel giugno il giornale «La Autonomía» di Buenos Aires, recensiva il dramma El enemigo del pueblo, di Henrik Ibsen, che era rappresentato dalla compagnia Modena e dall’ottobre iniziò a farsi notare la «Società Filodrammatica Ermete Zacconi», diretta da A. P. Serra, la quale nonostante fosse composta da dilettanti, secondo «L’Avvenire» essi sapevano «disimpegnare la loro parte meglio di tanti vecchi artisti, perché questi dilettanti oltre a non avere lo scopo del lucro, hanno una fede che li rende entusiasti ed appassionati per tutto ciò che può essere utile all’umanità». Questa compagnia rappresentò diversi pezzi n. 84, 24 giugno 1895; Macacadas politicas, n. 86, 24 luglio 95. 654 La rappresentazione di domenica 15 corrente, in «L’Avvenire», a. II, n. 15, 22 novembre 1896. Vd. anche «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. III, n. 19, 15 marzo 1896, e Mesa revuelta, in «La Voz de la Mujer», Buenos Aires, a. I, n. 8, 14 novembre 1896. Quest’ultimo giornale, che annunciò la serata di novembre, comunicò inoltre che il gruppo comico-drammatico José Zorrilla faceva delle prove per El pan del pobre, e che gli interessati potevano contattare A. Barcla, amministratrice del giornale. Nel maggio 1896, lo stesso periodico annunciò la costituzione di un gruppo libertario di teatro, diretto da J. M. Vd. Un poco de todo, in «La Voz de la Mujer», Buenos Aires, a. I, n. 5, 15 maggio 1896.

283 di teatro, tra essi Primo Maggio e Senza Patria di Gori, I Tessitori di Gerhart Hauptmann, L’Onore di Suderman, Carcere Preventivo di G. Vollo, Ordinanza di A. Testoni, la farsa Soffiatemi nell’occhio, la commedia Il Paradiso perduto di L. Fulda e altri, e fecero parte del gruppo, M. Brunini – probabilmente un parente di Luigi e Adele – e il modenese Luigi Magrassi. La compagnia si esibì in diversi teatri e saloni della capitale in serate artistiche organizzate dai gruppi anarchici nelle quali si recitavano poesie e declamavano monologhi, spesso per raccogliere fondi per alcune iniziative o gruppi, come il Circolo Internazionale di Studi Sociali, o per compagni bisognosi, come i gessai arrestati nell’ottobre 1898 o per le vittime d’Italia e i figli di Polinice Mattei nella serata del 4 dicembre 1898. I biglietti si acquistavano in diversi punti legati ai gruppi libertari della capitale, come nella Libreria Sociologica o nella Fonda Romagnola.655 Anche Pietro Gori prese parte a queste iniziative artistiche, come nella serata del 7 agosto 1898, occasione in cui declamò il prologo al suo dramma Primo Maggio, rappresentato dall’Accademia Zacconi e offrì una conferenza sull’arte sociale, intermezzo di una lunga sera che incluse anche altri pezzi di teatro, poesie e musica. Qualche mese dopo, il 4 dicembre, nell’attività artistica a beneficio dei figli di Mattei e delle vittime della repressione in Italia, tenutasi nel Teatro Apollo, Gori presentò l’improvvisazione El deber de los emigrados, l’Accademia Zaccone rappresentò il dramma dell’anarchico messinese Senza Patria e la farsa Il signore permaloso, con Luigi Magrassi fra gli attori in entrambi i pezzi e infine si presentò il maestro musicista castellano Egidio Bolognini «allorquando eseguì un pezzo a solo, scoppiarono frenetici applausi del pubblico che domandava il bis».656

655 Vd. i manifesti pubblicitari per le serate del 27 marzo, 1° maggio e 7 agosto 1898, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3395 Argentina Theatre programmes 1898-1925; «L’Avvenire», Buenos Aires, a. III (1897): n. 32, 17 ottobre; n. 36, 19 dicembre; a. IV (1898): n. 42, 13 marzo, n. 46, 8 maggio. Vd. anche Il pane del povero, in «L’Avvenire», n. 18, 18 gennaio 1897; El enemigo del pueblo , in «La Autonomía», Buenos Aires, a. I, n. 1, 3 giugno 1897. 656 La rappresentazione drammatica, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 60, 11 dicembre 1898. Vd. anche i manifesti pubblicitari per le serate artistiche del 7 agosto e 4 dicembre 1898 IISG, Max Nettalu Papers, fasc. 3395 Argentina Theatre programmes 1898-1925.

284 3.4. Gli anarchici dell’Emilia e della Romagna tra agitazione operaia e repressione (1899- 1903)

Dopo le grandi agitazioni operaie del biennio 1895-1896, verso la fine del secolo certa quiete s’impadronì del movimento dei lavoratori, che s’accompagnò ad una relativa disorganizzazione delle loro società. Tuttavia, si trattò di un breve periodo che cominciò ad esaurirsi dal 1900, quando progressivamente, seppur lentamente, il movimento operaio mostrò alcuni segni di recupero, fino a che nel biennio 1901-1902 gli scioperi allagarono la scena pubblica, e il culmine fu lo sciopero generale del novembre 1902 e la sua repressione, momento dopo il quale si aprì una nuova epoca nelle lotte sociali argentine. Mentre le società dei mestieri semi artigianali e della costruzione furono fondamentali nei conflitti del XIX secolo, dal 1900 furono i sindacati dei servizi, soprattutto del trasporto, quali ferrovieri, stivatori, tranvieri fra altri, quelli che capeggiarono la mobilitazione operaia, anche se, secondo Donna Gabaccia, pure fra le donne delle fabbriche d’indumenti l’associazionismo operaio iniziò a prendere forma alla svolta del secolo, con un’importante partecipazione delle lavoratrici d’origine italiana. Non a caso furono soprattutto gli operai stranieri, spagnoli e italiani per primi, fra i quali risaltavano gli esuli anarchici, ad organizzare la maggior parte dei sindacati e a diventare i principali protagonisti delle lotte operaie fra Ottocento e Novecento.657 Alla svolta del secolo, l’attività anarchica nell’Argentina si consolidava grazie all’instancabile azione di attivisti e agitatori, in gran parte consacrata dalla diffusione scritta dell’Idea. La stampa libertaria del periodo, ormai pienamente consolidata, continuò ad avere ne «La Protesta Humana» e ne «L’Avvenire» dalla parte degli organizzatori e ne «El Rebelde» da quella degli antiorganizzatori, i suoi principali mezzi di propaganda. La rivista «Ciencia Social», il cui amministratore fu Fortunato Serantoni, pubblicò quindici numeri della seconda serie, iniziata nel luglio 1898 e cessata nel febbraio 1900 a causa di un importante deficit finanziario. Nonostante la sua prematura morte, la rivista anarchica compì un ruolo fondamentale nella diffusione del – e nella riflessione sul – pensiero libertario non solo fra i militanti. Aveva contato sulla collaborazione d’importanti figure dell’anarchismo italiano quali Pietro Gori, Luigi Fabbri e Giuseppe Ciancabilla, che estesero il loro contributo politico sulle pagine de

657 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., pp. 90-91; D. GABACCIA, op. cit., pp. 116-117.

285 «L’Avvenire», giornale che ebbe in Felice Vezzani un collaboratore e corrispondente permanente da Parigi.658 Verso l’aprile 1899, «L’Avvenire» ebbe un cambiamento nel suo gruppo redazionale e amministrativo, probabilmente a causa dell’abbandono di alcuni dei militanti, come Arturo Campagnoli, che forse in queste date partì per l’Inghilterra. Infatti, dall’8 aprile, non solo non comparve più A. Maffucci come amministratore, ma il giornale cambiò anche indirizzo dalla sua sede in via Montevideo 533, al locale della Biblioteca di Studi Sociali, in via Talcahuano 224. Una nota apparsa nella rubrica Piccola posta del numero successivo, diretta a un compagno di Rosario, era più chiara: «Ettore Mattei, oltre a coadiuvare alla redazione, s’è incaricato con i compagni C. Valpreda e L. Magrassi della nuova Amministrazione dal n. 67». Qualche mese dopo, però, il giornale cambiò nuovamente indirizzo, presso la Casa del Popolo, in via Callao 353, che apparve sul numero 77 del 27 agosto. D’altra parte, il giornale continuò a tenere un’attiva corrispondenza con alcuni dei più noti militanti anarchici italiani, come Ciancabilla a Paterson, Felice Vezzani a Parigi, Errico Malatesta nel suo «soggiorno» nell’isola di Lampedusa e poi a Londra e anche con compagni di São Paulo, Saricaba e Recife in Brasile, Londra, New York, West Hoboken, Alessandria d’Egitto e Parigi. Con l’Italia ci fu corrispondenza con L.C. da Imola e nel dicembre 1899 fu pubblicata una corrispondenza riguardante i coatti nella penisola, scritta nell’ottobre e firmata da Romagnolo.659 Durante l’ultimo anno del XIX secolo, «L’Avvenire» ricevette diverse oblazioni dall’estero, specie da diverse città sudamericane, come Montevideo e Merlo dell’Uruguay, Lima, del Brasile Rio Grande do Sul, Recife e Paranagua, Valparaíso e Punta Arenas del Cile, Asunción di Paraguay, anche se non mancarono contributi da Parigi, Marsiglia, Barre (Vermont, Stati Uniti), Milano e persino dalle Tremiti. Fra i tanti oblatori residenti nei vari punti dell’Argentina, continuarono a contribuire emiliani e romagnoli. Nelle liste di sottoscrizione apparve Giovanni Zirardini nel gennaio, maggio, luglio e settembre, per mezzo della Libreria Sociologica, attraverso la quale contribuirono alle spese del giornale anche Giuseppe Minardi nel febbraio, Luigi Brunini nell'aprile e nel dicembre e la sua compagna Adele nell’aprile e nel settembre. Attraverso la Biblioteca di Studi

658 Vd. A los abonados, amigos y lectores, in «Ciencia Social», 2ª serie, a. III, n. 15, febbraio 1900. Sulle collaborazioni di Giuseppe Ciancabilla su «L’Avvenire», vd. Due tendenze di lotta, in «L’Avvenire«, Buenos Aires, a. V (1899): n. 74, 16 luglio e n. 80, 7 ottobre, i quali furono contestati sotto lo stesso titolo nei numeri 75, 30 luglio e 81, 22 agosto. Sul contributo di Luigi Fabbri, vd. Il socialismo anarchico nel movimento sociale odierno, in «L’Avvenire», a. V (1899): n. 84, 2 dicembre, n. 85, 16 dicembre, n. 86, 30 dicembre. 659 Vd. Piccola posta, in «L’Avvenire», a. V, n. 68, 23 aprile 1899; «L’Avvenire», n. 67, 8 aprile 1899, e n. 77, 27 agosto 1899. Vd. anche Corrispondenza dall’Italia, n. 84, 2 dicembre 1899.

286 Sociali contribuì anche Arturo Mazzanti nel marzo, stesso mese anche per Romilda Popoli e il suo compagno Zefferino Artusi – anche egli originario del parmense e che apparve anche in una sottoscrizione di gennaio –, mentre Luigi Magrassi apparve come oblatore nell’agosto per mezzo del Circolo di Studi Sociali. Da canto suo, tramite liste che arrivarono direttamente all’amministrazione del giornale, contribuirono anche Michele Fantini nel febbraio e Giacomo Quarantini nello stesso mese e anche a marzo, mentre dal piccolo comune di Birkmann, nella provincia di Córdoba, fece altrettanto Giovanni Guidi di Castelbolognese nel marzo, da Bolívar contribuì un Saiani – probabilmente Quinto o Zauli – nell’aprile, da Bahia Blanca lo fece Guido Amaducci nel maggio, da Mar del Plata Livio Monti nel novembre e Giovanni Ferrarini del reggiano contribuì per mezzo di una lista raccolta fra i lavoratori del porto in maggio. Tramite il gruppo Né dio né padrone, diedero il loro contributo Sassuolo, probabilmente la firma usata da Alberto Valdastri, nel marzo, aprile, agosto e ottobre e Corrado Massa nel dicembre, infine Bologna, Ravenna e Modena. Da Zárate contribuì un Luis Bologna per A. L. nel giugno, attraverso il gruppo L’Alba lo fece Imola nell’ottobre e tramite il gruppo la Fiaccola apparve Faenza e un riminese nel marzo.660 Un episodio particolare visse il giornale nel luglio 1899, quando la polizia ordinò il sequestro del suo numero 73. In mezzo alle agitazioni che gli anarchici della capitale argentina promossero come protesta al processo tenuto a Barcellona contro i compagni di quella città, noto come processo di Montjuich, la polizia bonaerense vietò la realizzazione di un comizio che doveva tenersi il 25 giugno in un teatro della capitale, tuttavia, dopo diversi reclami, si autorizzò finalmente un meeting nel teatro Doria per il 2 luglio. Nonostante questa concessione delle autorità poliziesche, nella vigilia dell’adunanza gli agenti arrestarono vari anarchici che distribuivano il manifesto che invitava al comizio. «L’Avvenire» reagì di fronte agli arresti e al divieto del primo meeting, attaccando duramente il capo della polizia della capitale, il dott. Beazley, che gli costò il sequestro. Il comizio si tenne come pianificato, si lessero dei telegrammi d’adesione inviati dalle provincie, dall’Uruguay e persino dal Cile e presero la parola l’anarchico Inglán Larfaga, i socialisti Giuseppe Igegneros e Adriano Patroni, e infine Pietro Gori, che criticò l’azione repressiva e proibitiva della polizia bonaerense e del municipio. La manifestazione finì senza scontri, ma il sequestro del giornale continuò, dopodiché

660 Vd. le liste di sottoscrizione in «L’Avvenire«, Buenos Aires, a. V (1899): n, 62, 8 gennaio; n. 63, 22 gennaio; n. 65, 19 febbraio; n. 66, 12 marzo; n. 67, 8 aprile; n. 69, 7 maggio; n. 70, 21 maggio; n. 72, 18 giugno; n. 73, 2 luglio; n. 75, 30 luglio; n. 77, 27 agosto; n. 79, 23 settembre; n. 80, 7 ottobre; n. 82, 4 novembre; n. 84, 2 dicembre; n. 86, 30 dicembre.

287 «L’Avvenire» inviò ai colleghi della capitale una circolare riguardante il fatto, alla quale «La Nación», «La France», «L’Italia al Plata» e «L’Italiano» risposero pubblicamente invocando la libertà di stampa.661 Non a caso fu proprio in quei mesi che il senatore Cané presentò al parlamento argentino un disegno di legge diretto a colpire gli «stranieri pericolosi», il quale fu la base di quella che nel 1902 diventò la «Legge di Residenza». Inoltre, «L’Avvenire» assicurava che la presenza del capo di polizia argentino nel viaggio che il presidente della Repubblica fece in Brasile nell’agosto 1899, puntava a trovare qualche accordo con il suo collega brasiliano per facilitare «una costante persecuzione dei numerosi malfattori (leggi anarchici)[…] che continuamente emigrano da un paese all’altro», mentre la polizia argentina aveva montato un presunto attentato anarchico sulle linee ferroviarie e quella uruguaiana aveva scoperto un preteso complotto contro i presidenti di entrambe le repubbliche platensi.662 Nella seconda metà del 1899, apparvero a Buenos Aires le riviste libertarie «Conciencia Libre», diretta da Pasquale Guaglianone e «Revista Moderna», diretta da Giacomo Locascio, la quale però riuscì a pubblicare solo un numero e verso la fine dell’anno si pubblicò nella capitale argentina l’opuscolo L’Anarchia di Errico Malatesta, si distribuì Alle madri d’Italia, un opuscolo antimilitarista di Felice Vezzani stampato a Bruxelles.663 Inoltre, durante l’anno uscirono una serie di numeri unici che celebravano le date più significative per il movimento anarchico. Per commemorare la Comune di Parigi, «La Protesta Humana» e «L’Avvenire» pubblicarono insieme «18 de Marzo 1871-99», supplemento bilingue illustrato che ricordava l’evento rivoluzionario con diversi articoli e che incluse uno scritto anticlericale di Felice Vezzani. Il foglio annunciava una gita campestre nei boschi del quartiere di Palermo, a Buenos Aires e nella sua lista di sottoscrizioni apparvero Luigi e Adele Brunini, oltre a qualcuno del gruppo Rivendicatore che si firmò Parma libera. Anche in occasione del Primo maggio, entrambi i giornali anarchici pubblicarono un supplemento bilingue – che non poté uscire illustrato –, «El Ideal Anarquista», con diversi articoli fra i quali due di Pietro Gori, che doveva parlare nella festa libertaria al Teatro Apolo per commemorare la data, a

661 Vd. Cose locali e Ultima ora, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. V, n. 73, 2 luglio 1899. Vd. anche Arbitrio della polizia e Comizio popolare pro revisione processo di Montjuich, n. 74, 16 luglio 1899. 662 Vd. Attentati legali, in «L’Avvenire», a. V, n. 72, 18 giugno 1899; Effetti della legge Cané, in «L’Avvenire», n. 73, 2 luglio 1899; Cose locali, in «L’Avvenire», n. 76, 13 agosto 1899. 663 Le riviste di Guaglianone e Locascio appaiono citate dal giornale anarchico di Montevideo «La Aurora». Vd. Bibliografia, in «La Aurora», Montevideo, a. I, n. 3, 3 settembre 1899. Gli opuscoli di Malatesta e Vezzani furono recensiti da «L’Avvenire», vd. Bibliografia, in «L’Avvenire», Buenos Aires, n. 82, 4 novembre 1899; n. 83, 18 novembre 1899.

288 beneficio della Biblioteca Libertaria di Studi Sociali. Anche qui i Brunini compaiono fra gli oblatori. Per ricordare i Martiri di Chicago, uscì a Rosario «11 Novembre», supplemento bilingue e unica pubblicazione de «Il Paria», diretto da Plinio Palmucci. Questo giornale non uscì oltre al supplemento, seppur si annunciasse nelle proprie pagine che il secondo numero sarebbe uscito nel corso del mese.664 La preoccupazione degli anarchici italiani dell’Argentina, in ogni caso, non riguardò solo la propaganda libertaria nel paese sudamericano, ma anche quella in Italia, soprattutto in mezzo alle agitazioni contro il domicilio coatto. Verso la fine del 1899, la Libreria Sociologica aprì una sottoscrizione a favore della propaganda anarchica nella penisola, la quale raccolse oblazioni durante tutto l’anno successivo. Il giornale «L’Avvenire» pubblicò le liste di sottoscrizione nel 1900 e in esse troviamo diverse volte Luigi Magrassi – che collaborò con almeno una raccolta di una lista durante la celebrazione del 18 marzo –, Giuseppe Minardi, un Bettoli – probabilmente Giuseppe o Pietro, fratelli originari di Faenza – nel marzo e nel luglio, Giacomo Quarantini nel dicembre e il forlivese Zauli Guglielmo Saiani nel novembre. Da Santa Fe collaborò Alfredo Bolognini nell’aprile e Giuseppe Zanelli diverse volte, inoltre apparvero le firme Bologna, Sassuolo e dalla Casa del Popolo di Rosario qualcuno che firmò come Piacenza Pietro de Silla. Il denaro che si andò raccogliendo, fu inviato in Italia almeno tre volte durante l’anno, a beneficio dei giornali «L’Avvenire Sociale» di Messina, «L’Agitazione» d’Ancona, «Pro-coatti» e «Combattiamo» di Genova, «Pensiero Libertario» di Pisa e «Il Risveglio» di Firenze.665 Nel 1900, il castellano Giuseppe Zanelli si rese disponibile come contatto del gruppo socialista anarchico L’Aurora di Santa Fe, costituito verso la fine d’aprile, il quale si proponeva «mediante la distribuzione gratis di giornali opuscoli e frequenti discussioni, di dar maggiore impulso allo sviluppo dell’ideale, invitando i compagni delle altre località ad imitarli». Nell’ottobre, un gruppo di anarchici di Santa Fe distribuì un manifesto contro il pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe, dopodiché diciassette di loro furono arrestati, rimanendo in carcere qualche giorno e dovendo pagare una multa.

664 Vd. «18 de Marzo 1871-99», supplemento de «La Protesta Humana» e «L’Avvenire», s.l, s.d. [ma Buenos Aires, marzo 1899]; «El Ideal Anarquista», supplemento de «La Protesta Humana» e «L’Avvenire», Buenos Aires, 1º Maggio 1899; «11 Novembre», supplemento de «Il Paria», Rosario de Santa Fe, a. I, n. 1, 11 novembre 1899. 665 Vd. la rubrica Per la propaganda in Italia, in «L’Avvenire», a. VI, n. 85, 16 dicembre 1899, e nei numeri 87, 88, 92, 93, 95, 98, 99, 101, 108, 110, 112, 116 e 120 del 1900.

289 Fra loro ci fu anche lo Zanelli, che fu minacciato dagli agenti che gli puntarono la rivoltella sul viso.666 L’ultimo giorno del 1900, uscì a Buenos Aires il numero unico socialista anarchico «El Alba del Siglo XX», scritto in italiano e spagnolo, contenente anche delle illustrazioni. Questo foglio fu un’iniziativa di Fortunato Serantoni, con il concorso delle redazioni della rivista da lui diretta, «Ciencia Social» e del giornale «L’Avvenire», collaborarono alcune delle più importanti figure dell’anarchismo organizzatore argentino dell’epoca, fra le quali Pietro Gori, Félix Basterra, Altaïr e Pasquale Guaglianone, mentre dall’Italia fecero altrettanto Luigi Fabbri e Oreste Ristori, quest’ultimo confinato all’isola di Pantelleria. Il foglio, inoltre, convocava una manifestazione anticlericale a Buenos Aires che doveva radunarsi nella Plaza Lorea per arrivare alla Recoleta, dove dovevano parlare Pietro Gori, Alberto Ghiraldo e alcuni socialisti come Nicolás Repetto e Adriano Patroni. Il ricavato del numero unico, le cui oblazioni si raccoglievano nella Libreria Sociologica, fu destinato a favore delle due figlie di Gaetano Bresci, degli anarchici rinchiusi nei carceri d’Italia e dei condannati a Xeres, in Andalusia, nel 1892.667 L’attivo lavoro di propaganda svolto dagli anarchici a Rosario, ebbe il suo riflesso anche sulla stampa periodica libertaria. Durante il 1899 si pubblicò in quella città la rivista mensile «La Nueva Humanidad», diretta dal dottor Emilio Z. Arana, che grazie all’influenza di Pietro Gori e alle sue conferenze, si avvicinò al positivismo e al scientificismo. L’anno dopo uscì «La Voz de la Mujer» fondato da Virginia Bolten e dall’anarchica Marchisio e nel aprile-maggio comparve il giornale «La Libera Parola», diretto da Romolo Ovidi, che però riuscì a pubblicare solo un numero, in cui si pose particolare accento alle iniziative che stava sviluppando la Casa del Popolo, la quale infatti diventò centro dell'attività anarchica di Rosario nel 1900, convocando molte serate artistiche e conferenze che videro la presenza di Pietro Gori, Alberto Ghiraldo, Féliz Basterra, Eduardo Gilimón e altri attivisti e propagandisti anarchici ben noti dell’Argentina.668 Le tendenze antiorganizzatrici dell’anarchismo italiano nel paese sudamericano, che fino al 1900 si erano radunate intorno al giornale «El Rebelde», riuscirono a mettere in piedi un proprio organo di propaganda all’inizio del 1901. Infatti, il 27 gennaio uscì a

666 Vd. «L’Avvenire», Buenos Aires, a. VI, n. 95, 5 maggio 1900; Da Santa Fe, in «L’Avvenire», n. 113, 20 ottobre 1900. 667 «El Alba del Siglo XX», Buenos Aires, numero unico, 31 dicembre 1900. Cfr. A. GIORDANO, op. cit., p. 64. 668 Vd. «La Libera Parola», Rosario de Santa Fe, a. I, n. 1, 29 aprile-1° maggio 1900, e in particolare l’articolo Progredendo. Cfr. R. FALCÓN, La Barcelona argentina, cit. pp. 156-159; F. QUESADA, op. cit., pp. 5-6.

290 Buenos Aires «La Nuova Civiltà», diretto dal fiorentino Alessandro Scopetani, foglio che si definì apertamente antiorganizzatore e in contrasto con «L’Avvenire» e «La Protesta Humana», tuttavia evitò di dichiarare individualista, anche perché supportò le società operaie e gli scioperi che servivano alla propaganda anarchica e alla radicalizzazione dell’agitazione sociale. Le polemiche con gli organizzatori non mancarono e già sul primo numero il giornale antiorganizzatore accusò «L’Avvenire» di aver negato gli indirizzi dei compagni per la spedizione del proprio giornale, mentre applaudiva le posizioni più contestatarie che andava prendendo il giornale «El Sol» di Alberto Ghiraldo. Dopo quattro numeri, il foglio annunciava che insieme al gruppo Né dio né padrone e ad alcuni compagni del Circolo Internazionale di Studi Sociali, si decideva di formare un solo gruppo editore per «La Nuova Civiltà», aderendo a un metodo di lotta «antifederalista», per contrastare le posizioni organizzatrici, fissando il proprio indirizzo nel Centro Sud, nel quartiere di Barracas al Norte. Nello stesso numero dell’annuncio, apparve un’apologia dell’anarchia scritta da Matilde Magrassi, madre del modenese Luigi Magrassi.669 I primi numeri del giornale ebbero una certa difficoltà ad uscire, poiché i contributi pecuniari non erano sufficienti, ma col numero 11, «La Nuova Civiltà» si congratulava nell'annunciare che l’aumento delle oblazioni rendevano possibile la pubblicazione di un foglio settimanale. Infatti, i contributi arrivavano dai diversi punti del paese e non solo da singoli militanti ma anche da gruppi come Né Dio né padrone, I Cavalieri dell’Ideale, La Antorcha di Almagro e Nuova Utopia de La Boca, da Buenos Aires; i gruppi Despertar, Centro Operaio di Studi Sociali, El Justiciero, La Venganza e Libertad y Amor, da Santa Fe; i gruppi La Venganza será Terrible, Centro Libertario de Estudios Sociales, 11 Novembre, Grupo Libre Pensador e Grupo Justiciero, da Rosario, dove si raccolse anche nella Casa del Popolo; il gruppo Sante Caserio della Plata, il gruppo Miguel Angiolillo di Alberti, e infine il gruppo Luz en las tinieblas Tucuman. È da notare che molte delle liste di sottoscrizione arrivavano all’amministrazione tramite la Libreria Sociologica, il Circolo Internazionale di Studi Sociali, il giornale «El Rebelde» e persino attraverso «La Protesta Humana». Fra gli oblatori del giornale molti furono gli

669 Vd. Incominciamo, in «La Nuova Civiltà», Buenos Aires, a. I, n. 1, 27 gennaio 1901; Lo sciopero generale, in «Nuova Civiltà», n. 2, 17 febbraio 1901; Per la Nuova Civiltà e M. MAGRASSI, Sognai…, in «La Nuova Civiltà», n. 5, 6 aprile 1901. Sulle polemiche con «L’Avvenire», vd. Fulmine a ciel sereno, in «La Nuova Civiltà», Buenos Aires, a. I, n. 1, 27 gennaio 1901; Nostra risposta all’«Avvenire», n. 2, 17 febbraio 1901; Non ci hanno capito, n. 4, 2 marzo. Diversi autori identificano Matilde Magrassi come la compagna di Luigi, ma è molto più probabile che si trattasse di sua madre, Matilde Montero, che verso la fine del 1902 subì una perquisizione della polizia, che cercava suo figlio. Vd. Voces de protesta, in «La Voz del Destierro», São Paulo, n. u., 6 gennaio 1903. Ringrazio Elena Bingami dell'osservazione.

291 emiliani e i romagnoli, alcuni dei quali sostenitori regolari, come Saffi Bertani, Giacomo Quarantini – che raccolse una lista in una festa campestre nei boschi di Palermo e che nel maggio si firmò «Quarantini, protestando contro gli arresti di Faenza, si dichiara solidale inneggiando all’anarchia» e nel giungo raccolse dei contributi «Fra romagnoli» nel caffè Felsina – e Alberto Valdastri – apparso con il proprio cognome o come Sassuolo – che diede il suo contributo sia direttamente, sia tramite il gruppo Né Dio né padrone, che solitamente divideva le sue raccolte fra «La Nuova Civiltà», «La Protesta Humana» e «L’Avvenire». Attraverso questo gruppo, pure Masetti contribuì in modo frequente e qualche volta lo fece anche un tale Massa – probabilmente si tratta del romagnolo Corrado Massa –, tramite il gruppo I Cavalieri dell’Ideale. Da Buenos Aires comparve Minardi nel marzo, il romagnolo originario di Rocca San Casciano Giuseppe Ravaioli e la famiglia Ragazzini nel luglio, mentre da Santa Fe, tramite il gruppo Despertar, contribuì Giuseppe Zanelli – fra gli oblatori di Buenos Aires apparve qualche volta anche un Zanelli, tuttavia è probabile che non si trattasse di Giuseppe. Interessante è che anche Arturo Mazzanti comparisse fra gli oblatori, soprattutto per la regolarità con cui contribuiva al giornale – il suo nome comparve nelle liste di febbraio, maggio, giugno e luglio –, avendo pure raccolto una lista nel giugno nella quale comparve il forlivese Egisto Maiani. Nell’aprile comparve una «lista perduta dal compagno Zavoli», che probabilmente si tratta della prima traccia reperibile nell’Argentina del vecchio internazionalista riminese Caio Zavoli. Infine, da Bernal e Berazategui, in provincia di Buenos Aires, apparve la firma Bologna, dalla capitale qualcuno autografò «Salutando il risveglio anarchico in Faenza», mentre nell’aprile la lista del Circolo Internazionale di Studi Sociali includeva la firma «romagnoli»670 Nel giugno, Alberto Valdastri e Mazzini Bertani apparvero in una lista di sottoscrizione a favore degli scioperanti hojalateros, mentre due settimane prima «La Nuova Civiltà» annunciava la costituzione di un gruppo di propaganda anarchica fra i parrucchieri, per il quale «Il compagno G. Quarantini, via Viamonte 1480 sta a disposizione di tutti gl’interessati». Nell’aprile, intanto, nella posta amministrativa del giornale uscì una corrispondenza diretta da Emilio a Londra, per Musso e Arturo Campagnoli, la quale assicurava che la famiglia del primo si trovava bene a Buenos Aires, ma si mostrava un po’ preoccupato per non aver ricevuto risposta a due lettere. Come il

670 Vd. La nuova civiltà settimanale, in «La Nuova Civiltà», n. 11, 4 luglio 1901. Vd. inoltre le liste di sottoscrizioni , a. I (1901): n. 3, 17 febbraio; n. 4, 2 marzo; n. 5, 6 aprile; n. 6, 21 aprile; n. 7, 5 maggio; n. 8, 18 maggio; n. 9, 1° giugno; n. 10, 16 giugno; n. 11, 4 luglio.

292 resto della stampa anarchica dell’epoca, anche «La Nuova Civiltà» si avvalse della «piccola posta» per affermare i propri legami con altri compagni e circoli del mondo, e così fece con Giuseppe Ciancabilla, qualche compagno in Egitto, Pisa e São Paulo, città quest’ultima da dove arrivavano lettere e notizie sul movimento anarchico locale e dove si costituti un gruppo omonimo a quello del giornale, in permanente contatto con il giornale. Inoltre, attraverso la posta amministrativa, il foglio anarchico si mantenne in corrispondenza con il gruppo Pensiero ed Azione di Paterson e diversi gruppi libertari di Buenos Aires e del resto dell’Argentina.671 Oltre ai giornali, le conferenze di propaganda costituirono uno dei mezzi più efficaci per la socializzazione delle idee libertarie fra i lavoratori ed ebbero in Alfredo Mari, Giacomo Locascio, Pasquale Guaglianone e principalmente in Pietro Gori, i più considerati oratori e conferenzieri in lingua italiana. Oltre loro, però, anche altri militanti salirono sul palcoscenico per parlare su diversi argomenti. Uno di loro fu Bertani Orsini, che il 16 giugno 1901 tenne la conferenza Chi sono gli anarchici nella sede del gruppo El Rebelde e circa un mese più tardi fece altrettanto sul tema Perché lottiamo, in un convegno organizzato dal gruppo I Cavalieri dell’Ideale, nel quale parlarono anche i compagni Cumo e Medaglia.672 Particolarmente intensa, come abbiamo già accennato, fu l’attività di Gori come conferenziere durante tutto il suo soggiorno in Argentina e sulla quale moltissime e dettagliate notizie si hanno nei giornali «La Protesta Humana» e soprattutto su «L’Avvenire», il quale pubblicò frequentemente, nella rubrica Giro di propaganda, i meeting lungo il paese in cui partecipava l’avvocato messinese. Inoltre, Gori fu spesso il rappresentante della voce anarchica nelle riunioni e nei comizi che convocavano le diverse tendenze della sinistra argentina e intervenne pure in alcune assemblee sindacali e soprattutto nelle serate artistiche che gli anarchici chiamavano feste libertarie famigliari. In esse, la presentazione di diverse compagnie filodrammatiche libertarie fu usuale e sicuramente Luigi Magrassi partecipò in più di un'esibizione. Per la festa libertaria del 25 novembre 1900, nel Teatro Iris, iniziativa organizzata dal Círculo de Estudios Sociale a favore della popaganda operaia, prima di una conferenza di Gori,

671 Vd. Comunicati, n. 8, 18.5.01; Sottoscrizione per scioperanti hojalateros, n. 9, 1.6.01. Vd. anche la rubrica Corrispondenza amministrativa, in particolare a. I, n. 6, 21 aprile 1901. 672 Vd. Comunicati, in «La Nuova Civiltà», Buenos Aires, a. I, n. 10, 16 giugno 1901, e Riunioni e conferenze, n. 11, 4 luglio 1901.

293 un gruppo teatrale presentò Senza Patria, scritta dallo steso Gori, nel cui cast ci fu anche Luigi Magrassi.673 L’avvocato di Messina parlò anche in un meeting che si tenne il 12 maggio 1901 nel Teatro Doria, in onore delle vittime di Montjuich e dei moti milanesi del 1898, nel quale presero la parola A. Montesano, Félix Basterra, J. Ros e Alberto Ghiraldo. Alcuni giorni prima, Gori si trovava a Mendoza, dove prese parte al meeting nel Teatro San Martín per commemorare il 1° maggio, essendo uno degli oratori dell’incontro insieme al socialista Meyer González. Quel giorno, si realizzarono conferenze e manifestazioni anche a Mar del Plata, nella Casa del Popolo di Bahia Blanca e a Rosario, città dove si realizzò un corteo per le vie fino ad arrivare nella Plaza Santa Rosa, dove parlarono diversi oratori, tra essi Romolo Ovidi, mentre alla sera si tenne una conferenza nella Casa del Popolo locale. A Buenos Aires, gli anarchici organizzarono una manifestazione di protesta senza il concorso dei socialisti, i quali ebbero la propria «celebrazione», con un meeting che radunò molte società operaie nella Plaza Lorea per poi dirigersi in corteo fino alla Plaza 11 de Septiembre. Le provocazioni della polizia iniziarono presto, con l’arresto di alcuni operai ferrovieri del Taller de Sola che si dirigevano in gruppo verso il primo punto d’incontro, tuttavia dopo le proteste al capo della polizia, questo deliberò di rilasciare i manifestanti. Il corteo, che vedeva in testa «un gruppo di compagne», arrivò alla piazza di destinazione e ascoltò i discorsi di Alberto Ghiraldo, Adriano Toritiño e Montesano, senza che si producessero incidenti. Una volta finito il comizio, la polizia riprese le provocazioni, impedendo ai manifestanti di ritirarsi in gruppi, il che produsse le loro reazioni e la conseguente risposta poliziesca. Gli agenti caricarono i gruppi di operai montati a cavallo, ne risultarono vari feriti e almeno 11 arrestati, i quali secondo il capo della polizia sarebbero stati rilasciati nel corso della stessa giornata. Tuttavia il 5 maggio «La Nuova Civiltà» denunciava che gli arrestati erano ancora detenuti nel carcere 24 de Noviembre.674 Dopo il 1898 e l’affermarsi delle tendenze organizzatrici come predominanti all’interno del movimento libertario, gli anarchici organizzatori tentarono la via d’istituire canali formali e regolari per il coordinamento delle proprie forze. L’iniziativa

673 Sulla serata artistica organizzata dal Círculo de Estudios Sociale per il 25 novembre 1900 nel Teatro Iris, vd. il manifesto promozionale, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3395 Argentina Theatre programmes 1898-1925. Sulle conferenze di Gori in diversi punti dell’Argentina, vd. Giro di propaganda, in «L’Avvenire», a. V (1899): n. 65, 19 febbraio; n. 68, 23 aprile; n. 70, 21 maggio; Corrispondenza, n. 66, 12 marzo 1899. 674 Vd. Il 1º Maggio in Buenos Aires, in «La Nuova Civiltá», n. 7, 5 maggio 1901. Cfr. E. GILIMÓN, op. cit., p. 51. Sul meeting per le vittime di Montjuich e Milano, vd. il manifesto pubblicitario, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3396 Argentina Other leaflets and other printed documents 1895-1925.

294 più importante al riguardo ebbe luogo in un’assemblea di diversi gruppi libertari di Buenos Aires, tenuta il 26 dicembre 1899, in cui si approvarono il «patto d’alleanza» e gli statuti della Federazione Libertaria dei Gruppi Socialisti-Anarchici della capitale. Il patto fu costituito con lo scopo di rafforzare il lavoro di propaganda fra gli operai, e vi aderirono i gruppi L’Agitatore, Los Desertores, Polinice Mattei, Los Dispersos, Né dio né padrone e Luz y Progreso. Nei mesi successivi aderirono anche La Nuova Aurora, I Rivendicatori, La Fiaccola e il Nuevo Grupo Social di Chascomús, i quali si riunivano nella sede di via Talcahuano 224. Nonostante l’entusiasmo iniziale e lo schieramento organizzatore della maggior parte degli anarchici dell’Argentina, sembra che l’idea di riunire il grosso delle associazioni libertarie sotto una federazione non avesse avuto i risultati attesi e dopo un paio di riunioni tenute nella sede del Circolo di Studi Sociali durante l’agosto, la federazione si sciolse. Secondo «L’Avvenire», molti gruppi e militanti deliberarono «a unanimità come mezzo più efficace l’organizzazione di gruppi liberi con funzionamento autonomo, indipendentemente l’uno dall’altro, riunendosi in comune accordo momentaneo solo quando le necessità della propaganda lo esigessero». La rinuncia al tentativo federativo fu trasmessa anche a Rosario, tramite l'anarchico toscano Alfredo Mari, verso la fine d’agosto. Tuttavia, parallelamente gli organizzatori avviavano una nuova iniziativa: la Casa del Popolo, che preparava le sue installazioni in via Callao 353, luogo dove in seguito presero indirizzo il giornale «L’Avvenire» e il Circolo di Studi Sociali.675 La Casa del Popolo, che s’inaugurò nel settembre 1899, contava con due sale con capacità di non più di quattrocento persone ciascuna, destinate a conferenze e rappresentazioni teatrali e inoltre i lavoratori potevano trovare «biblioteca, scuola di scienze positive, consultori medici e giuridici, e telefono». Mentre fu aperta, la sede libertaria accolse numerose conferenze di Pietro Gori, Pasquale Guaglianone e altri militanti libertari, così come numerose feste artistiche. Pochi giorni dopo la sua inaugurazione, vi si tenne una riunione a proposito della festa patriottica del XX settembre, nella quale parlarono Guaglianone, Locascio e Luigi Magrassi, tra altri, con

675 Federazione libertaria dei gruppi socialisti-anarchici di Buenos Aires, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. IV [V], n. 62, 8 gennaio 1899. Vd. anche «L’Avvenire», a. V (1899): n. 63, 22 gennaio; n. 65, 19 febbraio; n. 67, 8 aprile; n. 75, 30 luglio; n. 77, 27 agosto. Sulla riunione di Rosario, vd. Corrispondenza, in «L’Avvenire», n. 78, 10 settembre. In detta riunione, seppur si accettò l’organizzazione delle masse operaie in base alla resistenza, si accordò «unanimemente che l’aggruppamento spontaneo d’indole e tendenze omogenee meglio rispondeva ad ogni altro imperocché l’iniziativa individuale poteva esser fonte perenne d’ogni movimento utile alla propaganda dell’idee e all’espansione di queste, che qualunque autorità retta da disciplina e da regolamenti, intercetta e impedisce il suo libero corso; quindi respinta ogni idea di accentramenti federativo retto a base di commissione generali e di segretariati internazionali; perché non corrispondenti al principio anarchico».

295 discorsi antimonarchici. Magrassi, inoltre, fece parte del gruppo teatrale che presentò Il Beniamino della nonna il 1° novembre, condividendo la serata con una conferenza di Guaglianone e alcune presentazioni musicali. Nell’ottobre si riorganizzò la Biblioteca Libertaria presso la Casa del Popolo, nel novembre si commemorò i Martiri di Chicago e mercoledì 15 Pietro Gori iniziò una serie di dodici conferenze, mentre serate famigliari si organizzavano le domeniche. La sede divenne un riconosciuto luogo di ritrovo degli anarchici, al punto che «L’Avvenire» denunciava all’inizio di novembre che la polizia bonaerense aveva arrestato alcuni compagni dopo diverse serate, accusandoli di essere in stato d'ubriachezza. Tuttavia, l’iniziativa ebbe successo, infatti, il modello associativo della Casa del Popolo si replicò nei mesi successivi a Rosario, con il concorso del gruppo Libertario e Romolo Ovidi e anche a Bolívar.676 Nonostante la buona accoglienza della Casa fra gli anarchici della capitale, fin dall’inizio emersero dei problemi che a breve termine finirono per seppellire l’iniziativa. Verso la fine di settembre si convocò una riunione diretta a risolvere i problemi sorti intorno all’amministrazione del locale, mentre il gerente assicurava che dalle oblazioni volontarie egli avrebbe detratto le spese generali. Un mese dopo, «L’Avvenire» si congratulava della scomparsa delle differenze nella gestione della Casa, affermando che il gerente aveva rinunciato e che si era nominata una commissione al suo posto. Tuttavia, gli avvenimenti precipitarono a dicembre e «L’Avvenire» denunciava che Giovanni Peduzzi, che aveva parteggiato per un certo Valls affinché assumesse la carica di gerente, cosa che all'inizio fu accettata dai militanti, dopo la soppressione della detta carica, ordì delle trame contro la Casa, finché un giorno della fine di dicembre arrivò al locale con un ufficiale di giustizia e diversi vigilanti per sgomberarlo e impadronirsene, cacciando via il giorno dopo gli anarchici che vi erano andati. Il giornale in lingua italiani criticò duramente l’atteggiamento del Peduzzi, ricordando che quando arrivò a Buenos Aires non aveva niente e i compagni gli avevano dato una mano e accusò lui e il suo complice,

676 Vd. La casa del Popolo, la nostra iniziativa e Cose locali, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. V, 10 settembre 1899. Vd. anche «L’Avvenire», a. V (1899): Cose locali, n. 79, 23 settembre; n. 81, 22 ottobre; Casa del Popolo, Cose locali e Corrispondenze, n. 82, 4 novembre; Casa del Popolo e Corrispondenze da Rosario, n. 83, 18 novembre; Corrispondenze, n. 86, 30 dicembre. Vd. inoltre El anarquismo en el Río de La Plata, in «Caras y caretas», Buenos Aires, a. III, n. 97, 11 agosto 1900. Secondo «Caras y caretas», la filodrammatica che si presentava nella Casa del Popolo aveva il nome di El Arte por la Anarquía, e ne fecero parte Adela Quadranti, Alcira Razaini, Olga Bianchi y A. Nunini, e Antonio P. Serra, Mayorino Gubernati, José Bianchi e G. Prefumo, la maggior parte dei quali li troviamo nella filodrammatica Zaccone. Probabilmente si trattava della stessa compagnia teatrale.

296 d’essere degli «ipocriti, truffatori e poliziotti». Dopo l’incidente, «L’Avvenire» prese il proprio recapito presso la Libreria Sociologica, in via Corrientes 2041.677 La Casa del Popolo non solo accolse il giornale, ma anche un’altra iniziativa anarchica, la Biblioteca Libertaria di Studi Sociali, che prima aveva avuto la propria sede in via Talcahuano 224, dove si era stabilito anche «L’Avvenire» per qualche periodo, il che rende evidente gli stretti rapporti di collaborazione fra entrambi i gruppi. La vicinanza di Giovanni Zirardini e Arturo Mazzanti a queste realtà, che in qualche modo rappresentavano il nucleo della tendenza organizzatrice fra gli anarchici di lingua italiana, la rintracciamo nella sua collaborazione con la Biblioteca Libertaria. Nell’ottobre 1899, infatti, nel rendiconto elaborato dal suo tesoriere Ettore Mattei, Zirardini appariva come uno dei pochi singoli oblatori, mentre Mazzanti rimborsava il «resto del deposito garanzia d’affitti» – il che suggerisce che Mazzanti fosse l'incaricato di contrattare l'affitto, oppure che fosse egli stesso ad affittare il locale alla Biblioteca. Dal rendiconto sappiamo che la Biblioteca di Studi Sociali aveva aderito anche alla Federazione Libertaria, poiché diede il suo contributo per la stampa del manifesto dell’associazione stessa.678 Particolarmente la partecipazione di Mazzanti alla Biblioteca, il quale apparve nel 1901 come uno degli oblatori regolari del giornale antiorganizzatore «La Nuova Civiltà», rende visibile la flessibilità nei «limiti» fra le tendenze organizzatrici e i loro avversari nel campo anarchico. Verso l’agosto 1900, la polizia argentina stimava che nel paese c’erano circa seimila anarchici, dei quali millecinquecento nella capitale, tuttavia quelli ritenuti pericolosi erano centocinquanta, in maggioranza d’origine italiana. Fu con la repressione avvenuta in Europa, e particolarmente in Italia dopo l’attentato di Bresci contro il re Umberto, che gli anarchici europei e italiani iniziarono ad arrivare in grandi numeri in Argentina e in Brasile. Nei paesi del Plata, molti di questi militanti celebrarono la morte del re compiuta da un compagno, ed apparvero manifesti glorificanti il fatto, gli anarchici bevevano al sangue di Umberto I e persino il presidente Rocca ricevette delle minacce per impedire la sua partecipazione alle onoranze del «re morto». In ogni caso, non tutti gli anarchici celebrarono l’avvenimento. Infatti, Pietro Gori insieme a numerosi gruppi anarchici dell’Argentina delle diverse lingue, pubblicò un manifesto sul giornale

677 Vd. «L’Avvenire», Buenos Aires, a. V (1899): Avviso importante e Casa del popolo, n. 79, 23 settembre; Importante, n. 81, 22 ottobre; Ai compagni, alla gogna i farabutti, n. 86, 30 dicembre. 678 Stato dimostrativo di cassa della Biblioteca di Studi Sociali dal 1° gennaio al 31 agosto 1899, in «L’Avvenire», a. V, n. 81, 22 ottobre 1899.

297 «L'Avvenire» che ripudiava l’uccisione del re e l’uso della violenza, giudicando l’attentato come deplorevole dal punto di vista etico, come una «brutale azione liberticida».679 Nonostante ciò, gli organizzatori fecero parte dell’iniziativa per raccogliere sottoscrizioni volontarie a favore delle figlie di Gaetano Bresci, condannato all’ergastolo e fu il giornale «L’Avvenire» a pubblicare le liste degli oblatori, aperte nel novembre 1900. Fra gli anarchici che compaiono nelle liste fra il novembre e il dicembre, ci furono Saffi e Eugenio Bertani, Giuseppe Zanelli, Silvio Bolognini e del gruppo Né dio né padrone, Alberto Valdastri (firmante Sassulo), Guidi, Negri, Masetti e Massa, mentre da Mar del Plata, Giuseppe Minardi diede il suo contributo. Mesi dopo, il 22 maggio 1901, la polizia italiana informò del «suicidio» dell’anarchico che uccise il re e due giorni dopo uscì a Buenos Aires il supplemento al numero 8 de «La Nuova Civiltà», un’unica pagina bilingue, con un articolo che esaltava la figura di Bresci e allo stesso tempo criticava la magistratura e i patrioti italiani dell’Argentina, mentre il 29 luglio, nel primo anniversario dell’attentato contro Umberto I, lo stesso giornale pubblicò un numero bilingue straordinario completamente dedicato alla figura dell’anarchico individualista.680 La paura della minaccia anarchica aveva fatto presa sulle élite argentine e sulle autorità di polizia, al punto che l’agente italiano di P.S. a Buenos Aires, signore Parrella, segnalava nel gennaio 1901 che da una lettera anonima ricevuta dalla polizia della Capitale, si seppe che «tre individui, assidui del Caffè Felsina, avevano deciso di attentate alla vita di S. M. il Re Vitorio Emmanuele III», fra i quali s’identificava solo uno che rispondeva alle iniziali M. L., con indirizzo in via Buen Orden 1422, luogo di dimora di Luigi Magrassi. Secondo il ministro d’Italia in Argentina, l’informazione era strettamente confidenziale, poiché era stata comunicata a Parrella dall’agente segreto della polizia bonaerense, che aveva ricevuto ordine di non trasmetterla alla Legazione italiana e di sorvegliare attentamente Magrassi e i suoi eventuali complici, che erano però ignoti.681 È

679 Cfr. M. R. OSTUNI, op. cit., pp. 120-121; P. C. MASINI, op. cit., p. 165. Vd. In difesa d'un ideale. Al popolo, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. VI, n. 102, 4 agosto 1900. Secondo José C. Moya, nel 1902 c’erano 661 individui sospettati d’essere anarchici a Buenos Aires, il cui 59% era d’origine italiana. Vd. J. C. MOYA, Italians Buenos Aires's anarchist movement: gender ideology and women's participation, 1890-1910, in D. GABACCIA e F. IOACOVETTA (eds.), Women, gender, and transnational lives: Italian workers of the world, Toronto, Buffalo, London, University of Toronto Press, 2002, pp. 194. 680 Vd. le liste di sottoscrizione a favore della famiglia Bresci, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. VI (1900): n. 118, 24 novembre; n. 121, 15 dicembre; n. 123, 29 dicembre. Vd. anche È morto Bresci! Viva Bresci, in «La Nuova Civiltà», Buenos Aires, a. I, supplemento straordinario al n. 8, 24 maggio 1901; «La Nuova Civiltà», a. I, n. 14, numero straordinario del periodico, 29 luglio 1901. 681 Rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretta alla DGPS, 25 gennaio 1901, ACS, CPC, b. 2933, fasc. Magrassi Luigi.

298 probabile che la sorveglianza su Magrassi diventasse più assidua, tuttavia la partecipazione del modenese in un complotto del genere, non si addiceva con la presa di posizione della stragrande maggioranza degli anarchici organizzatori bonaerensi sull’attentato Bresci, specie quelli più vicini a Pietro Gori e al giornale «L’Avvenire» – della cui redazione faceva parte in quel momento. Intanto, Pietro Gori nel gennaio 1901, s’imbarcò insieme al pittore Angelo Tommasini, sul vapore militare argentino Guardia Nacional, in un viaggio scientifico verso la Patagonia, nell’estremo sud dell’Argentina. Dopo diversi giorni nelle terre patagoniche, entrambi gli italiani si recarono a Punta Arenas, città dell’estremo sud del Cile, da dove l’avvocato anarchico intraprese un giro di propaganda nel paese del Pacifico Sud che lo portò nelle città di Talcahuano, Valparaíso e Santiago. Nella capitale cilena ebbe due importanti conferenze, una nel locale della Sociedad de Artesanos e l’altra nel Teatro Lírico. Tornati a Buenos Aires verso maggio, qualche mese dopo, presentò al Prince Goerges Hall i risultati del suo viaggio in Patagonia in una serata organizzata dalla Sociedad Científica argentina. L’anno dopo, nel settembre, Gori si recò anche a Montevideo e in seguito nel Paraguay, prima che l’amnistia del governo italiano gli consentisse di tornare nella penisola.682 Intanto, anarchici e socialisti si erano impegnati nella propaganda dell’organizzazione operaia, secondo i propri criteri e in modo tutt’altro che coordinato. Sui propri giornali, dalla fine del 1900 entrambe le «scuole» favorirono la creazione di una federazione di società di lavoratori e fra gli anarchici fu il catalano Antonio Pellicer Paraire che propose l’organizzazione federativa, sostenendo l’utilità di creare due tipi di associazioni, una di carattere puramente economico e l’altro schiettamente rivoluzionario, mentre le proposte socialiste parteggiate dal giornale «La Organización» furono piuttosto moderate e immediatiste.683 Nonostante le divergenze, le coincidenze sul bisogno delle classi operaie di contare su un’associazione generale dei lavoratori per potenziare le proprie lotte, condussero all’incontro di socialisti e anarchici in un un evento fondamentale per il movimento operaio argentino e per il movimento anarchico organizzatore: la fondazione della Federación Obrera Argentina. La FOA – che dal 1904 fu conosciuta come FORA, Federación Obrera Regional Argentina – fu fondata in un congresso operaio tenuto il 25 maggio 1901 a Buenos Aires,

682 T. ARRIGONI, Nella Terra dei Lobos. In Patagonia con Pietro Gori e Angelo Tommasi, Piombino, La Bancarella Editrice, 2012, pp. 7-38. Sulle conferenze di Gori a Santiago, vd. Desde Chile, in «La Protesta Humana», Buenos Aires, a. V, n. 121, 5 maggio 1901. 683 E. BILSKY, op. cit., pp. 17-20.

299 come risultato degli avvicinamenti che avevano avuto le società operaie anarchiche e socialiste nei mesi precedenti. Nel 1900, i socialisti avevano tentato per l'ennesima volta la formazione di una federazione operaia e ancora senza il supporto anarchico, l’iniziativa fallì. Nonostante ciò, le agitazioni dei disoccupati di quell’anno collaborarono all’avvicinamento di socialisti e organizzatori, il che costituì il primo passo per la loro intesa. Nel gennaio 1901, un gruppo di sindacalisti e socialisti iniziò a pubblicare il giornale «La Organización», il quale diventò il principale promotore dell’iniziativa federativa e insieme alla società di meccanici convocò una riunione il 2 marzo per formare una grande associazione operaia. L’adunanza non ebbe pieno successo, poiché parteciparono solo quattordici società operaie, nella maggior parte dominate dai socialisti, le quali però deliberarono la convocazione di un congresso per la costituzione di una federazione e nominò un comitato di sette membri per la sua preparazione. Gli anarchici, che predominavano fra i lavoratori dei mestieri con peggiori condizioni lavorative e capeggiavano diverse società operaie – e avevano un’importante influenza sugli altri – accettarono di parteciparvi, inviando delegati per lo più spagnoli e italiani, tuttavia sempre con il rifiuto alle uscite politiche proposte dai socialisti. Sicuramente la larga influenza che avevano fra gli organizzatori l’avvocato Pietro Gori e l’anarchico spagnolo Antonio Pellicer Paraire (Pellico) – a Buenos Aires dal 1891 e anche lui collaboratore de «La Protesta Humana» – indussero gli anarchici a rispondere all’appello.684 Il 25 maggio 1901, dunque, nel salone della Società Ligure, situato nel quartiere La Boca di Buenos Aires, si diedero appuntamento 47 delegati che rappresentavano 27 società operaie, di cui 15 della capitale. Fra i delegati, dei quali 26 avevano origine italiano, ci furono Pietro Gori, come rappresentante dei ferrovieri di Rosario, Ettore Mattei, delegato dei panettieri de La Plata e Luigi Magrassi, fra altri. Il congresso deliberò la formazione di un comitato federale, composto da un rappresentante per ogni società operaia, un comitato amministrativo eletto dal congresso e inoltre si decise di pubblicare il giornale «La Organización Obrera», come sotituzione de «La Organización». Le polemiche fra anarchici e socialisti non mancarono nell’adunanza, tuttavia le posizioni anarchiche prevalsero sul rifiuto della legislazione operaia, il supporto dello sciopero generale, la dichiarazione del 1° maggio come giorno di lotta e l’uso del boicottaggio e

684 Cfr. D. ABAD DE SANTILLÁN, La Fora. Ideología y trayectoria del movimiento obrero revolucionario en la Argentina, Buenos Aires, Libros de Anarres, 2005 [Buenos Aires, Editorial Nervio, 1933], pp. 61-72; E. BILSKY, op. cit., pp. 9-21; R. MUNCK, op. cit., pp. 49-50; A. BELLONI, op. cit., p. 27.

300 del sabotaggio. Il punto più polemico trattava della proposta fatta da alcune società riguardo all’arbitrato come mezzo per risolvere i conflitti del lavoro, che trovò la tenace opposizione degli anarchici, tranne quella di Pietro Gori, che riuscì a far accettare una via di mezzo da utilizzare soltanto in casi specifici. Nonostante le differenze sorte fra gli stessi anarchici, il carattere della maggior parte delle risoluzioni del congresso dimostrarono la loro scalata all’interno del movimento operaio, in più va aggiunto il fatto che sui dodici eletti nel comitato amministrativo della federazione, fra i quali Ettore Mattei e Luigi Magrassi, sette erano anarchici.685 Il congresso costitutivo della FOA fu duramente criticato dalle tendenze antiorganizzatrici, le quali attaccarono anche la condotta tenuta da Pietro Gori riguardo all’arbitrato, seppur non fossero gli unici. Dal canto suo, il giornale socialista «La Organización» non cessò le sue pubblicazioni, contravvenendo alla risoluzione del primo congresso e durante il secondo, tenuto nell’aprile 1902, i sindacati socialisti decisero di abbandonare il convegno poiché alcuni dei loro delegati erano stati respinti per non avere le credenziali in regola, ciò spaccò di fatto l’unità operaia raggiunta l’anno precedente. Nel maggio le società dissidenti convocarono una prima riunione e un mese dopo costituirono un comitato di propaganda con lo scopo di creare una federazione propria, il che si realizzò nel marzo 1903, in un congresso in cui nacque l’Uniòn General de Trabajadores, che però divenne il bersaglio delle critiche da parte di alcuni settori socialisti, incluso il giornale «La Vanguardia».686 Anche se all’epoca della costituzione dell’UGT, entrambe le federazioni avevano una quantità simile di società operaie aderenti, la federazione dominata dagli anarchici aveva quasi undicimila contabilizzazioni ogni mese, mentre quella socialista contabilizzava solo settemilacinquecento iscritti. Allo stesso modo, nella manifestazione del 1° maggio 1902, la FOA radunò fra i dieci e i quindicimila operai, mentre nel meeting socialista il numero di manifestanti raggiunse i cinquemila. Inoltre, verso il 1906 l’UGT patì una nuova scissione; si staccarono dalla federazione le società della corrente

685 Vd. El congreso gremial, in «La Protesta Humana», Buenos Aires, a. V, n. 124, 25 maggio 1901; Congreso Obrero gremial, n. 125, 1º giugno 1901; Congresso Operaio, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. VII (1901): n. 145, 8 giugno; n. 146, 15 giugno. Cfr. D. ABAD DE SANTILLÁN, op. cit., pp. 77-86; E. BILSKY, op. cit., pp. 67-69; O. BAYER, op. cit., p. 92. Secondo Fernando Devoto, il comitato organizzatore del congresso fu composto da dodici persone, sette delle quali d’origine italiana. Vd. F. DEVOTO, op. cit., p. 298. Le polemiche sorte fra gli anarchici sull’approvazione della proposta dell’arbitraggio, furono mese in luce da «L’Avvenire» e da Antonio Pellicer Paraire, i quali criticarono aspramente l’idea stessa dell’arbitraggio. Vd. El arbitraje, in «La Protesta Humana», n. 125, 1 giugno 1901; Il Congresso e la vanguardia e Congresso Operaio, in «L’Avvenire», n. 146, 15 giugno 1901. 686 Cfr. E. BILSKY, op. cit., pp. 69-72; E. GILIMÓN, op. cit., p. 45; A. BELLONI, op. cit., pp. 27-28

301 sindacalista rivoluzionaria, che già si era opposta al progetto di codice del lavoro del 1904. Nello stesso anno, al congresso della federazione di prevalenza anarchica – e nel quale assunse il nome di Federación Obrera Regional Argentina, FORA – si approvò un «patto di solidarietà» che ridisegnava gli statuti secondo i principi federalisti proposti da Antonio Pellicer Paraire, il quale s’innalzò a modello statutario non solo per il sindacalismo anarchico, ma anche per il movimento operaio argentino. In ogni caso, la spaccatura fra socialisti e anarchici portò alcune società operaie a staccarsi dalle federazioni, come la Federación de Obreros Constructores de Rodados e la Federación Gráfica Bonaerense, per evitare che sorgessero forti differenze al proprio interno, mentre altre, come la società di ferrovieri La Fraternidad, a tenersi lontane dalle iniziative federative. È interessante però che, secondo Donna Gabaccia, circa un quarto dei lavoratori italiani della piccola industria appartenessero a una delle due federazioni e che un altro quarto di loro supportasse gli scioperi.687 Durante il 1901, dopo la fondazione della FOA, ebbero luogo a Buenos Aires e nelle altre città del paese un importante numero di scioperi. Quello che ebbe maggiore ripercussione fu lo sciopero degli operai dello zuccherificio Refinería Argentina di Rosario, nell’ottobre, il cui comitato ebbe alcuni anarchici, come Romolo Ovidi, che fu arrestato nel contesto dell’astensione del lavoro. In mezzo alle manifestazioni degli scioperanti, che sfociarono in scontri con la polizia, un agente uccise l’operaio Cosme Budislavich con un colpo di pistola, facendolo diventare la prima vittima uccisa, del movimento operaio argentino. La violenza della polizia si riversò anche sul corteo funebre di Budislavich, inasprendo il conflitto, che si trasformò in una grande manifestazione di protesta. Riuscì a convocare fra cinque e ottomila persone e a dichiarare lo sciopero generale nella città, il secondo della sua storia, il cui manifesto fu redatto, tra gli altri, dallo scrittore anarchico Florencio Sánchez. Nel dicembre gli stivatori della città decidono di proclamare lo sciopero e in un’assemblea tenuta il giorno 27, a cui parteciparono i gruppi anarchici Ciencia y Progreso, Centro de Estudios Sociales e la Casa del Pueblo, diverse società operaie decisero di appoggiare gli operai del porto per il primo dell’anno e tre giorni dopo si dichiarò lo sciopero generale, ma con un'adesione parziale. Gli anarchici rosarini tentarono di riavviare lo sciopero il giorno 11, i socialisti però si opposero guadagnandosi il supporto delle società operaie. Come risultato, nei mesi successivi le società di stivatori e di panettieri di Rosario si divisero,

687 Cfr. E. BILSKY, op. cit., pp. 72-79; R. MUNCK, op. cit., pp. 51-53; D. Gabaccia, op. Cit., p. 116. Sulle manifestazioni del 1º Maggio 1902, vd. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 343.

302 rimanendo una sotto l’influenza anarchica e l’altra sotto quella socialista. In ogni caso, l’ascendenza anarchica sul movimento operaio rosarino fu considerevolmente maggiore, con attiva e prevalente partecipazione dei suoi militanti nelle società di tipografi, pittori, falegnami, cocchieri e dipendenti del commercio, il che portò al socialista Enrique Dickmann a battezzare la città come la «Barcellona argentina».688 Lo sciopero generale di Rosario acuì i dissensi fra anarchici e socialisti che in seguito finirono con la scissione della FOA, anche se l’agitazione operaia aveva già preso un corso ascendente. Nell’ottobre 1901 i giornalieri di Barracas e Corralones, a Buenos Aires, avevano dichiarato lo sciopero e altrettanto fecero i lavoratori del Mercado Central de Frutas della capitale nel dicembre. Nel gennaio 1902, intanto, anche gli stivatori di Buenos Aires si astennero dal lavoro, a loro si aggiunsero altre società operaie in solidarietà, movimento che fu fortemente represso dalla polizia, mentre nel marzo dichiarano lo sciopero gli operai di Barracas e di La Boca, nell’aprile i cocchieri della capitale, nel maggio gli operai metallurgici della Casa Vasena e infine in luglio e agosto i panettieri.689 Lo stato d’agitazione del lavoro che viveva l’Argentina fra il 1901 e il 1902, favorì la costituzione di molte nuove società operaie e il rafforzamento di quelle già esistenti, le quali però erano sindacati piccoli che riguardavano l'élite del movimento operaio e, in generale, i mestieri di maggiore qualificazione nel settore industriale e secondario. Rimanevano esclusi quelli dei servizi, soprattutto legati al trasporto, che erano più grandi e avevano maggiore impatto nella società. Nel 1902, inoltre, nacquero diverse federazioni di mestiere, come la Federación Nacional de Obreros Potuarios, la Federación de Obreros Albañiles, la Confederación Ferrocarrilera, la Federación de Obreros Constructores de Rodados nel novembre – che diventò nazionale nel 1906 – e dal 1903 le federazioni di dipendenti del commercio, operai calzolai, operai metallurgici, panettieri, operai de legno, camerieri, operai pastai e operai grafici. Tuttavia, anche se molte si fondano con pretese di rappresentanza a scala nazionale, come le due grandi federazioni operaie, la loro influenza si restrinse alla zona del litorale del paese.690 Intanto, i rappresentanti dei governi dell’Argentina e dell’Italia tentavano di raggiungere qualche accordo di collaborazione per la sorveglianza degli anarchici. Secondo Maria Rosario Ostuni, il ministro d’Italia a Buenos Aires ebbe frequenti colloqui

688 Cfr. R. FALCÓN, op. cit., pp. 114-116; E. GILIMÓN, op. cit., p. 52; E. BILSKY, op. cit., p. 80. 689 Cfr. E. BILSKY, op. cit., p. 70-71; R. FALCÓN, op. cit., pp. 166-168; A. BELLONI, op. cit., pp. 28-29. 690 E. BILSKY, op. cit., pp. 84-85.

303 con il capo della polizia della capitale argentina, il che gli permise di accedere ad informazioni riservata e persino tutti i documenti in possesso della polizia argentina fra il 1900 e la prima metà del 1901 furono riprodotti e inviati al Ministero dell’Interno italiano. Fu allora che il ministro degli Affari Esteri d’Italia e il suo collega dell’Interno accordarono di riattivare il servizio di sorveglianza sugli anarchici italiani nel paese sudamericano, che doveva organizzarsi con confidenti locali sotto la guida del vice- ispettore Francesco Parrella e parallelamente anche la polizia bonaerense organizzava una nuova sezione con a capo un agente infiltrato fra i militanti libertari. Nonostante le previdenze di entrambe le polizie, la collaborazione fra esse trovò alcuni ostacoli relativi ai loro diversi interessi. Alcuni giorni dopo l’approvazione della «Legge di residenza», il rappresentante diplomatico argentino a Roma ricevette l’ordine d’informare sull’imbarco di sovversivi dall’Italia con direzione Argentina, per il quale chiese al MAE di ricordare ai prefetti della penisola la circolare dell’Interno del dicembre 1897, con cui si ordinava di segnalare la partenza degli anarchici alla volta dell’Argentina. Il ministro dell’Interno, però, ricordando i particolari dell’accordo, segnalava che era fallito perché la tolleranza del governo argentino verso l’attività sovversiva aveva privato i consolati italiani nel paese sudamericano di notizie sugli anarchici e persino la polizia bonaerense ostacolava i compiti del servizio segreto italiano, ragioni che impedivano di riprendere l’accordo, vista la mancanza di reciprocità.691 Queste differenze fra le polizie non ostacolò però la repressione del movimento anarchico. Nell’agosto 1902, in mezzo a uno sciopero dei panettieri di Buenos Aires, il giudice Navarro ordinò la perquisizione del locale della FOA accusando la federazione di tramare dei complotti. Accompagnato da un gruppo di agenti, sequestrò molti documenti e carte, tra essi il libro dei soci, non senza spaccare mobili e vetri e arrestando quattro operai che si opposero all’azione poliziesca. Il giudice, criticato dalla stampa, si difese sostenendo che si erano trovati piani complottisti e una collezione di coltelli macchiati, mentre la FOA pubblicò un manifesto accusando le arbitrarietà del giudice e sfidandolo a processare gli anarchici e a dimostrare con dei fatti le sue accuse. Il manifesto fu firmato da più di cinquecento membri della federazione, fra i quali comparirono il modenese Luigi Magrassi e Cesare Passerini di Borgotaro (Parma) per la FOA, Aurelio Paganelli di Castrocaro (Forlì) per la Sociedad de Oficios Varios e per la società di mosaicisti Pietro

691 Vd. la nota della Legazione Argentina a Roma diretta al MAE, 3 dicembre 1902, e la nota del Ministero dell’Interno italiano al Ministero degli Affari Esteri, 17 dicembre 1902, ASD-MAE, Serie Politica P, Pos. Anarchici 1900-1908, b. 47, fasc. Anarchici all’Argentina (1902-1908). Cfr. M. R. OSTUNI, op. cit., p. 123-124; E. GILIMÓN, op. cit., p. 53.

304 Tagliavini di Nocetolo di Gattatico (Reggio Emilia). Infine, il giorno 17 ebbe luogo un meeting di protesta nella Plaza de la Constitución, a cui parteciparono 43 società operaie e circa ottantamila persone e parlarono i socialisti Repetto, Padroni e Palacios, e gli anarchici Dante Garfagnini e Pascual Guaglianone.692 Due mesi dopo, l’agente P. S. in Argentina informava la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza italiana che gli anarchici di Buenos Aires, sotto la guida di Fortunato Serantoni, si approntavano segretamente allo sciopero generale, secondo l’agente seguendo gli indirizzi inviati da Malatesta da Londra, in attiva corrispondenza con gli anarchici italiani residenti nel paese sudamericano, argomento sul quale insistette ancora una volta dichiarando lo sciopero generale di novembre. Da Londra, però, l’informatore assicurava che non c’era un’intesa particolare fra Malatesta e i suoi compagni a Buenos Aires e, anzi, l’anarchico si lamentava dalla poca collaborazione pecuniaria arrivata dal paese sudamericano al giornale londinense «La Rivoluzione Sociale».693 Oltre ai pretesi tentativi anarchici per lo scoppio di uno sciopero generale, effettivamente le tensioni nell’ambito lavorativo si fecero più evidenti verso la fine del 1902. Durante l’anno, secondo Eduardo Gilimón, «raro sería el gremio que no había conseguido alguna modificación favorable en las condiciones de trabajo», e così anche gli stivatori del porto di Buenos Aires dichiarano lo sciopero il 1° novembre, al quale si aggiunsero poi gli stivatori di Bahia Blanca e Rosario e infine i facchini del Mercado Central de Frutas della capitale, persuasi dagli anarchici. I padroni inasprirono le loro posizioni, anche se gli stivatori della capitale avevano raggiunto un accordo parziale, mentre la polizia reprimeva alcuni operai, il che finì per radicalizzare le posizioni degli scioperanti. Infatti, la paralizzazione delle attività dei porti si attuò nel periodo di raccolta e di conseguenza, di maggiore commercializzazione dei prodotti all’estero. I padroni chiesero al governo di applicare misure repressive contro il movimento operaio e la minaccia di soffocare il movimento con la forza portò la FOA a dichiarare lo sciopero generale, approvato il 21 novembre, giorno in cui erano già più di ventimila i scioperanti.

692 Vd. Gran meeting, La mascalzonata polizieca e Su e giù per Buenos Aires, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. VIII, n. 202, 16 agosto 1902; Comizio di protesta, Al dottor Navarro e Giustizia, in «La Nuova Civiltà», Buenos Aires, a. II, n. 27, 16 agosto 1902. Vd il manifesto ¡Justicia!, s.d, s.l. [ma Buenos Aires, agosto 1902]. IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3396 Argentina Other leaflets and other printed documents 1895-1925. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 344-345. 693 Vd. i rapporti dell’agente P. S. in Argentina alla DGPS, Buenos Aires, 5 ottobre e 23 novembre 1902, la nota della DGPS all’Ambasciata italiana a Londra, 13 novembre 1902, e la risposta dalla capitale inglese, 4 dicembre 1902, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani

305 Secondo Gonzalo Zaragoza: «Jamás se había vivido un movimiento tan ingente. Jamás se habían movilizado tantos obreros de forma coordinada». Mentre i socialisti si lamentavano del carattere che andò prendendo lo sciopero e criticarono l’agitazione anarchica; a Rosario la Federación Obrera Rosarina si dichiarò disposta a partecipare al movimento di carattere nazionale, dichiarando lo sciopero di fatto il giorno 23. La risposta del governo fu chiara e precisa. Le misure che si meditavano da un po’ di tempo, di carattere puramente poliziesco e repressivo, si attuarono già nel conflitto portuario e definirono una nuova attitudine dello Stato argentino per fronteggiare la questione sociale: un intervento sistematico nei conflitti di classe attraverso la repressione con la forza. Infatti, anche se nel 1904 si propose al Parlamento una legge di codice del lavoro – che tuttavia non fu approvata – che regolamentava l’attività sindacale, quest’iniziativa, anziché abolire la legge di residenza, la rafforzava perpetuando i suoi principi.694 In concomitanza con le pressioni fatte dai grandi proprietari dell’Argentina e con una violenta campagna giornalistica contro lo sciopero, la prima e più immediata misura avvenne la sera del 22 novembre, in una sessione straordinaria del Parlamento argentino, con l’approvazione della legge 4144, conosciuta come «Legge di Residenza». Si basava sul progetto presentato dal senatore Cané tra anni prima, che consentiva al governo di espellere dal paese gli stranieri condannati o processati da tribunali esteri, quelli la cui condotta compromettesse la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, ne impediva l’ingresso e dava una scadenza di tre giorni per lasciare il paese, pena il carcere fino alla partenza. Il procedimento non aveva bisogno di giudici o processi e di conseguenza gli stranieri espulsi non avevano diritto alcuno a legittima difesa, non importa il loro tempo di residenza, se avevano o no famiglia argentina o se possedevano beni nel paese. La legge fu promulgata dal presidente Julio A. Roca alle 23.30 dello stesso giorno e comunicata subito al capo della polizia di Buenos Aires per la sua immediata applicazione e pur avendo un carattere generale, fu implicitamente diretta contro gli anarchici, capri espiatori del particolare ambiente di convulsione sociale.695

694 Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 346-349; E. GILIMÓN, op. cit., pp. 52-53; R. FALCÓN, op. cit., pp. 116-135; D. ABAD DE SANTILLÁN, op. cit., pp. 103-105; R. MUNCK, op. cit., pp. 47-51. Vd. anche Lo sciopero generale e In macchina, in «L’Avvenire», Buenos Aires, a. VIII, n. 216, 21 novembre 1902. 695 Vd. il rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretta al MAE, 23 novembre 1902, e il rapporto del delegato P. S. in Argentina alla DGPS, stessa data, ACS – DGPS, Ufficio Riservato – 1905 – b. 21, Fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 350; E. GILIMÓN, op. cit., p. 53; M. R. OSTUNI, op. cit., p. 125. Sul dibattito parlamentare intorno all’approvazione della legge, vd. G. COSTANZO, Los indeseables. Las leyes de residencia e Defensa Social, Buenos Aires, Editorial Madreselva, 2009. Pochi giorni dopo l’approvazione della legge, il Ministro d’Italia in Argentina s’augurava che il governo s'avvalesse dello strumento legislativo «con la debita moderazione», poiché la sua ampiezza poteva «facilmente dare luogo ad abusi ed arbitri senza fine e

306 La notte stessa dell’approvazione della legge, la polizia irruppe nelle case di molti militanti, arrestandone centinaia a Buenos Aires e in altre località, tuttavia il giorno successivo lo sciopero generale coinvolgeva circa settantamila operai nella capitale e si era esteso anche a Rosario. Si avvicendarono diversi e violenti scontri fra scioperanti, polizia e crumiri, in alcuni dei quali si spararono persino colpi di pistola, mentre la polizia, secondo l’agente Parrella, si dimostrava «insolitamente deliberata ed energica». Nei quartieri operai, secondo Zaragoza, «el clima che se vive es prerrevolucionario», mentre secondo Munck «the workers’ quarters effectively became armed camps leading to the occupation of the city centre by infantry and cavalry for fear of a workers ‘invasion’». Il giorno 21 la sede del giornale anarchico «La Protesta Humana» era stata perquisita e chiusa il 23 furono arrestati i suoi redattori Félix Basterra, Oreste Ristori e Arturo Montesano, mentre Gregorio Lafarga e altri riuscirono a mettersi a salvo. Il 25 novembre si dichiarò lo stato d’assedio nelle provincie di Buenos Aires e di Santa Fe, dopodiché si arrestarono centinaia di operai, si perquisirono i locali delle società operaie e si sospesero le pubblicazioni dei giornali, il che, tuttavia rafforzo la richiesta dello sciopero generale. Durante quei giorni, anche se la stampa fu silenziata, il giornale diretto da Alberto Ghiraldo, «El Sol», pubblicò un supplemento quotidiano informando sugli avvenimenti riguardanti il movimento operaio in corso. A Rosario lo sciopero finiva il giorno 27 dopo l’accordo fra operai e padroni, a causa dell’arrivo in città di duemila crumiri grazie all’azione dei Círculos Católicos de Obreros, ma nonostante ciò, la repressione non fu meno dura, portando alla chiusura della Casa del Pueblo e della sede della FOR. Successivamente le società di stivatori e quella dei panettieri si scissero definitivamente fra socialisti e anarchici.696 Il ministro d’Italia in Argentina, che si compiaceva delle misure prese dalle autorità del paese sudamericano contro «una criminosa propaganda finora tollerata, si sarebbe quasi detto protetta», informava che nel giro di pochi giorni furono arrestati circa seicento stranieri, dei quali non meno di quattrocento erano italiani e stimava che la maggior parte sarebbero stati rilasciati e che «i più gravemente indiziati, saranno imbarcati per l’Italia, che certo non avrà molto a lodarsi di questo riflusso di sovversivi». quindi a reclami e proteste, non sempre ingiustificati» Vd. la nota della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretta al MAE, 28 novembre 1902, ASD-MAE, Serie Politica P, b. 323 Pos. 58 Argentina, 1899-1908, fasc. Rapporti politici 1906-08. Nonostante i timori del ministro, secondo Maria Rosaria Ostuni, il governo italiano non presentò alcun reclamo al riguardo. Vd. M. R. OSTUNI, op. cit., p. 126. 696 Vd. il rapporto del delegato P. S. in Argentina alla DGPS, 23 novembre 1902, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 350-352; R. MUNCK, op. cit., p. 51; F. QUESADA, op. cit., pp. 21-22; M. R. OSTUNI, op. cit., p. 126; R. FALCÓN, op. cit., p. 117; E. GILIMÓN, op. cit., p. 53.

307 Il delegato di PS italiano a Buenos Aires, invece, affermava che il totale dei detenuti arrivava a trecento, dei quali la maggior parte stranieri e che «degli anarchici italiani più conosciuti, pare che molti siano riusciti a mettersi in salvo con la fuga, o tenendosi nascosti». Inoltre, il delegato PS informava che con lo stato d’assedio, oltre alle retate della polizia contro i militanti anarchici e socialisti, arrivarono nella capitale argentina delle truppe provenienti «dalle più lontane guarnigioni della Repubblica», dopo che gli operai guidati dalla FOA si erano decisi «alla resistenza a qualunque costo», non mancando «incidenti sanguinosi tra scioperanti ed agenti di polizia, con feriti e morti dall’una parte e dall’altra». Secondo lui, la repressione fu «brutale e violenta» e «non tanto da parte della Polizia quanto da parte dell’esercito il cui nerbo è costituito da gauchi ed indi semiselvaggi», fatti di cui non si sapeva niente a causa della forte censura imposta dal capo di polizia, che permise la diffusione delle sole notizie comunicate dal Dipartimento Central de Policia. In ogni caso, con l’occupazione militare della città, soprattutto nei quartieri operai, lo sciopero andò estinguendosi e già verso la fine di novembre si lavorava normalmente. Un mese dopo, lo stesso delegato sosteneva che la legge era stata applicata con criteri personali e partigiani, per scopi politici e vendette personali, il che portò all’espulsione pure di alcuni militanti socialisti. Inoltre, dichiarava che la legge non era stata applicata a molti italiani né erano questi «i più noti e pericolosi», i quali erano riusciti a fuggire dall’applicazione della legge. Infine, il governo pagava il biglietto degli italiani espulsi e le loro famiglie fino a Genova, ma li lasciava «liberi di sbarcare ove meglio loro sia piaciuto», seppur le polizie dell’Uruguay e della Spagna avessero vietato lo sbarco degli anarchici italiani nei porti dei rispettivi paesi, per cui alcuni anarchici si recarono in Brasile.697 Verso la fine di novembre, parallelamente alla chiusura delle tipografie che stampavano i periodici libertari «L’Avvenire» e «La Protesta Humana», alle continue perquisizioni dei circoli anarchici e al sequestro di documenti e materiale a stampa, agenti di polizia si recarono alla Libreria Sociologica, dove aveva il proprio indirizzo il giornale «L’Avvenire», alla ricerca di Fortunato Serantoni e trovando solo sua moglie, saccheggiarono il locale per quattro ore, perquisendo più di seimila opuscoli e centinaia

697 Vd. i rapporti del delegato Genovesi alla DGPS, Buenos Aires, 30 novembre e 28 dicembre 1902, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani; rapporto della Legazione d’Italia a Buenos Aires diretto al MAE, 1 dicembre 1902, ASD-MAE, Serie Politica P, b. 323 Pos. 58 Argentina, 1899-1908, fasc. Rapporti politici 1902-05. Una copia del documento si trova anche in ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani

308 di libri. Serantoni era già fuggito a Montevideo e da lì passò in Spagna e successivamente a Firenze, mentre sua moglie, che non poté recuperare il materiale rubato, rimase nella capitale argentina con i suoi figli. Secondo il delegato Genovesi, verso la fine di novembre erano riusciti a rifugiarsi a Montevideo Pascual Guaglianone, Félix Basterra, Juan Ros, Inglán Lafarga e gli italiani Ciminaghi, Oreste Ristori e Orsini Bertani, mentre erano stati arrestati Cino Cordero e Giacomo Locascio, tra altri, per i quali l’espulsione era imminente. Alla fine di dicembre, Genovesi assicurava che a Montevideo c’erano Scopetani, Serantoni, Ciminaghi, Luigi Magrassi e Cino Cordero, mentre segnalava che tra gli arrestati si trovavano invece Orsini Bertani ed Ettore Mattei. Lo stesso agente indicava nel gennaio che Ristori, Basterra e Zini (Spartaco Zeo) erano rientrati a Buenos Aires con la cessazione dello stato d’assedio e che nel suo breve soggiorno a Montevideo, insieme ad altri anarchici espulsi dall’Argentina, fra i quali gli italiani Scopetani, Ovidi, Montesano, Ettore Mattei e Orsini Bertani, avevano continuato a «dirigere e tener desta l’agitazione anarchica nell’Argentina». Intanto, il 20 gennaio alcuni anarchici di Buenos Aires inviarono un telegramma ai compagni rifugiati nella capitale orientale, manifestando che fra gli anarchici della metropoli argentina regnava l’inquietudine a causa delle continue deportazioni – a questo proposito, si segnalano Basterra, Ristori e Zini –, ragione per cui gli attivisti più decisi avevano risolto di tenere un'attitudine piuttosto passiva finché non fosse passata la razzia antianarchica.698 Secondo una nota del dipartimento di polizia di Buenos Aires al capo di polizia di Rosario del gennaio 1903, nella quale si allegava una serie di elenchi di anarchici in Argentina, erano stati espulsi dal paese un totale di cinquantatré anarchici, dei quali ventisette italiani. Fra questi figurava Giacomo Locascio, ma anche Giuseppe Ravaioli, alias «Piccolo Ravachol», italiano, secondo il rapporto nato a Provenza nel 1879; Alberto Valdastri, meccanico nato a Modena nel 1866, sposato; Ferdinando Battistini, originario di Sant'Agata Feltria, in provincia di Forlì, commerciante nato nel 1871, celibe; Corrado Massa, nato a Forlì nel 1873, celibe, di professione tornitore; e infine Alberto Belluzzi, bolognese nato nel 1873, meccanico, celibe. Nell’elenco successivo, che riferiva di venticinque anarchici profughi, di cui tredici italiani, erano segnalati Serantoni e Ristori e inoltre Luigi Magrassi, modenese di 30 anni, sposato, di professione tipografo, e Orsini

698 Vd. i rapporti del delegato Genovesi alla DGPS, Buenos Aires, 30 novembre e 28 dicembre 1902, 25 gennaio 1903 (n. 47), e un altro con la stessa data (n. 58), che trasmetteva il telegramma degli anarchici, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. Cfr. G. ZARAGOZA, op. cit., pp. 352-354; A. GIORDANO, op. cit., 66-67. Nel rapporto del 30 novembre, fu lo stesso delegato Genovesi a sostenere che «la stessa biblioteca Sociologica del Serrantoni non ha potuto essere sottratta alla sorte di un completo saccheggio».

309 Bertani, italiano di circa 40 anni, sposato, stivatore. Sappiamo poi che loro riuscirono a rifugiarsi a Montevideo. Un altro elenco indicava gli anarchici e agitatori che dovevano essere sorvegliati nelle diverse provincie della Repubblica sudamericana e includeva ottantuno individui nella capitale federale, dei quali trentatré italiani, fra essi Cino Cordero di 42 anni, impiegato, residente nella città; centodue anarchici nel resto della provincia, incluso Francesco Natta a La Plata; quarantotto nella provincia di Santa Fe, fra i quali il castellano Silvio Bolognini, domiciliato a Santa Fe in via San Luis 350, e il suo compaesano Giuseppe Zanelli, anche lui nella capitale provinciale con indirizzo in via Catamarca 143 o via San Luis 200; Antonio Baldini, di Cotignola, apparve segnalato come residente a Rosario presso l’Almacén Barrio Abisinia; fra i tredici nella provincia Córdoba erano segnalati il sammarinese Silvio Della Motta e il faentino Michele Masoni, entrambi con recapito in via Belgrano 34 e 46, nella capitale provinciale. Nella stessa lista, si segnalavano inoltre undici individui nella provincia di Mendoza, cinque in quella di Tucuman, due in Corrientes e due a Mercedes de San Luis, e, infine, un ultimo elenco d’individui segnalati come possibili anarchici e agitatori della città di Buenos Aires, contava centosettantasei persone, fra le quali sembra non ci fossero né emiliani né romagnoli.699 Non è chiaro quando di preciso Orsini Bertani si rifugiò a Montevideo, tuttavia, secondo Zaragoza, egli sarebbe stato con Basterra e un tale Diego in un battello nel porto uruguaiano quando Oreste Ristori saltò dal piroscafo partito il 16 gennaio 1903 da Buenos Aires che lo portava in Italia mentre faceva scalo a Montevideo. Bertani si radicò nella capitale della Repubblica Orientale, dove si accompagnò con l’anarcofeminista Anita Lagourdette, redattrice dello sparito giornale bonaerense «La Voz de la Mujer» e stabilì una tipografia e casa editrice. Anche Luigi Magrassi riuscì a raggiungere Montevideo fuggendo dall’Argentina appena dichiarato lo stato d’assedio e dopo un breve periodo in quella città, s’imbarcò per Rio de Janeiro, da dove passò a São Paulo, città in cui fu raggiunto dalla madre Matilde. Dopo la sua scomparsa da Buenos Aires, la polizia argentina si recò almeno tre volte in una giornata a casa sua, trovando solo Matilde, che protestò vivamente per la violazione del suo domicilio. Il giorno dopo gli

699 Il documento citato apparve trascritto nel Supplemento a la «Orden del Día» de 11 de Febrero de 1903, Libro de Ordenes del Día, 1903, Policía de la Capital Federal, República Argentina. Agradezco Martín Albornoz per la segnalazione del documento. L’agente Genovesi giudicava che negli elenchi mancavano «molti dei nomi degli anarchici più noti qui residenti», mentre criticava l’inefficacia della polizia argentina, dimostrata con la facilità con cui alcuni «capi» anarchici si misero a salvo. Vd. il rapporto del delegato PS a Buenos Aires diretto alla DGPS, 25 gennaio 1903 (n. 47), ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani.

310 agenti tornarono e insieme al sequestro delle carte del Magrassi e un ritratto del padre – che poi fu buttato nella spazzatura – portarono Matilde nel dipartimento di polizia, dove fu interrogata. La signora riconobbe di essere anarchica, e di fronte alle provocazioni dei poliziotti e al loro suggerimento di andarsene nel suo paese, la Magrassi rispose: «Ricordate che l’anarchia non è la bomba; l’anarchia è la felicità del genere umano». dopodiché fu rilasciata, senza però avere notizie di suo figlio.700 Il parmense Cino Cordero fu uno degli arrestati a seguito dell’approvazione della «Legge di Residenza», ma rilasciato dopo aver dimostrato il suo diritto di cittadinanza, tuttavia dovette allontanarsi dalla capitale argentina. Si recò allora a Montevideo, incontrando diversi compagni italiani e spagnoli, fra i quali però era nato il sospetto che fosse una spia della polizia argentina inviata nella capitale uruguaiana per informare sulle attività degli anarchici lì fuggiti. Tornato a Buenos Aires, nei primi giorni di gennaio 1903 scrisse una lettera al giornale montevideano «La Rebelión», firmandosi Bernabé Cordero, smentendo la voce che circolava fra gli anarchici di Montevideo e Buenos Aires, riguardo a una sua eventuale collaborazione con la polizia, rendendosi disponibile per chiarire le accuse. Secondo il delegato genovesi, però, la smentita non ebbe il risultato sperato e tornato nella capitale argentina, si era impegnato parlando di monarchia. Già nel marzo era stato riammesso come impiegato della ditta di colonizzazione Stroeder e qualche anno dopo iniziò una società con A. Pico, mantenendo ancora le sue idee anarchiche, seppur avesse «perduta interamente la stima di molti dei compagni di setta».701 Dopo essere arrestati, un primo gruppo di undici anarchici fu espulso dall’Argentina il 2 dicembre, imbarcandosi sul piroscafo Duca di Galliera, con il quale arrivò a Genova il giorno 23 dello stesso mese. Fra essi, oltre a Giacomo Locascio e sua moglie Giovanna, ci furono anche il calzolaio ventitreenne (in realtà venticinquenne) Giuseppe Ravaioli, rimpatriato dalla capitale ligure a Rocca San Casciano con foglio di via obbligatorio e l'armaiolo trentaseienne Alberto Valdastri, insieme a sua moglie Alberta Ferreti e i figli i quali furono rimpatriati a Modena con foglio di via obbligatorio. Il

700 Su Luigi Magrassi, vd. il rapporto del delegato PS a Buenos Aires diretto alla DGPS, 14 marzo 1903, ACS, CPC, b. 2933, fasc. Magrassi Luigi; Voces de protesta, in «La Voz del Destierro», São Paulo, n. u., 6 gennaio 1903. Su Orsini Bertani, vd. G. ZARAGOZA, op. cit., p. 354; Bertani Orsini Menotti, in H. TARCUS (dir.), op. cit., p. 68. L’imbarco di Oreste Ristori a Buenos Aires fu segnalato in un telegramma inviato da Buenos Aires al Ministero dell’Interno, 24 gennaio 1903, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. 701 Vd. ACS, CPC, b. 1471, fasc. Cordero Cino, e in particolare i rapporti del delagato PS a Buenos Aires diretti alla DGPS, 7 febbraio e 1 marzo 1903, e 4 ottobre 1904. Sulla lettera di smentita, vd. Correspondencia, in «La Rebelión», Montevideo, a. II, n. 15, 16 febbraio 1903.

311 Ravaioli era stato arrestato il 24 novembre, dopo aver preso parte allo sciopero generale con la società dei calzolai, in solidarietà con gli operai scioperanti. Stabilitosi a Terra del Sole dopo l’espulsione dall’Argentina, prese contatto con gli anarchici di Castrocaro e nel dicembre 1903 ritornò a Buenos Aires, da «anarchico sumamente pericoloso», finché nel maggio 1909 fu espulso nuovamente dal paese sudamericano, stabilendosi però a Montevideo, dove aprì una calzoleria. Dal suo canto, Alberto Valdastri, dopo aver preso parte alle agitazioni operaie di Buenos Aires nel novembre, soprattutto fra i lavoratori dell’industria ferroviaria Taller de Sole dove lavorava, fu arrestato il 29 dello stesso mese. Nonostante gli accertamenti della polizia italiana, nella sua detenzione a Genova appena tornato dall’Argentina, il Valdastri dichiarò di non essersi mai occupato di politica, che i suoi principi erano quelli «del lavoro e dell’amore per la famiglia», che anche se faceva parte della lega di resistenza fra meccanici nella capitale argentina, non prese parte allo sciopero e non ebbe alcun problema con la polizia argentina. Rimpatriato con la famiglia a Sassuolo il 28 dicembre, si occupò come fabbro e secondo la Prefettura di Modena, si lamentava che l’aver frequentato la compagnia di anarchici e Buenos Aires gli avesse dato la fama di anarchico, «setta» della quale si dichiarava contrario.702 Durante dicembre, anche altri anarchici italiani furono imbarcati dalla capitale argentina con destinazione Italia. Il giorno 8 partì da Buenos Aires Ferdinando Giovanni Battistini, con il piroscafo Espagne e avendo fatto scalo a Marsiglia, arrivò a Genova con l’Artois l’ultimo giorno dell’anno insieme ad altri sei espulsi. Allo sbarco nel porto ligure tentò di nascondersi fra i passeggeri per evadere dagli agenti di polizia, tuttavia fu detenuto e condotto al carcere di Genova, avendo un mandato di cattura dal Tribunale di Milano per essere stato condannato a trenta mesi di reclusione per calunnie. Il 16 dicembre fu il ravennate Corrado Massa e altri quattro anarchici a imbarcarsi nel porto platense sul Governor, arrivando a Genova il 14 gennaio 1903 e dopo essere rimasto

702 Vd. il documento Individui espulsi dall’Argentina e sbarcati a Genova il 23 dicembre 1902 dal piroscafo «Duca di galliera», s.l., s.d.; rapporto del Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires diretto alla DGPS, 9 dicembre 1902; rapporto della Prefettura di Genova alla DGPS, 31 dicembre 1902; nota del Ministero dell’Interno al Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires, 5 gennaio 1903; rapporto del delegato di PS a Buenos Aires alla DGPS, 25 gennaio 1903 (n. 47), ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. Su Giuseppe Ravaioli, vd. ACS, DGPS, categoria J5, b. 280, fasc. Ravaioli Giuseppe, in particolare la dichiarazione di Ravaioli dal carcere di Genova, 24 dicembre 1902; la biografia redatta dalla Prefettura di Firenze, 17 novembre 1911; il rapporto della Legazione d’Italia a Montevideo diretta al Ministero dell’Interno, 29 gennaio 1919. Su Alberto Valdastri, vd. CPC b. 5286 ad nomen, in particolare la sua biografia, redatta dalla Prefettura di Modena, 25 luglio 1912; la sua dichiarazione al delegato PS di Genova, 24 dicembre 1902; il rapporto della Prefettura di Modena alla DGPS, 16 gennaio 1903, e infine il rapporto del delegato PS a Buenos Aires diretto alla DGPS, 28 maggio 1903.

312 qualche giorno detenuto, fu rimpatriato con foglio di via obbligatorio a Bologna, dove aveva domicilio la famiglia. Stabilendosi con i genitori, lavorò prima come meccanico in una fabbrica di biciclette, tenendosi lontano dalla politica, ma nel settembre si trasferì a Massalombarda, dove si occupò nello zuccherificio e in seguito entrò nelle file anarchiche. Infine, il 6 gennaio 1903 fu il turno del meccanico bolognese Alberto Belluzzi, che s’imbarcò a Buenos Aires sul Duchesa di Genova, ma nello scalo a Montevideo, sbarcò con la scusa di dover prendere una valigia, senza tornare a bordo del piroscafo. Il Belluzzi era arrivati a Buenos Aires nel febbraio 1902, dopo aver espiato una pena di quattro anni di reclusione nelle carceri di Padova, condannato dal Tribunale di Bologna per estorsione. Rimasto nella capitale uruguaiana fino al 1911, epoca in cui rientrò in Italia, il bolognese fece una discreta fortuna e nel 1907 sposò una donna piemontese.703 Una volta cessato lo stato d’assedio, durante il gennaio 1903, s’innalzarono le voci contro la «Legge di Residenza» e persino la stampa che la difendeva concordava nella necessità di revisionarla. Le critiche vennero soprattutto dalla stampa delle colonie straniere, che la giudicavano contraria al diritto internazionale e in contraddizione con la Costituzione della Repubblica, perché impediva l’accesso dei pregiudicati al sistema giudiziario. Parallelamente, i «partiti estremi» avviarono una campagna d’agitazione sulla stampa con riunioni pubbliche e private, con una manifestazione l’11 gennaio, con la proposta di boicottare l’immigrazione e con la minaccia di un nuovo sciopero, ma la polizia rispose ancora una volta con numerosi arresti. Nel marzo si organizzò fra gli attivisti dell'Argentina un comitato internazionale per il boicottaggio contro l’Argentina, i cui segretari furono lo spagnolo Francesco Janin e l’ex redattore de «La Nuova Civiltà», Alessandro Scopetani, comitato che lanciò una prima circolare con data 1° aprile, facendo appello per una campagna internazionale, raccogliendo numerose adesioni dalla

703 Vd. i rapporti della Prefettura di Genova alla DGPS, 15, 19 e 22 gennaio 1903; Appunto per il Gabinetto di Sua eccellenza il Ministro, della DGPS, 2 febbraio 1903; la nota del Ministero dell’Interno al Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires, 29 gennaio 1903; i telegrammi inviati al Ministero dell’Interno da Buenos Aires, 22 dicembre 1902 e 24 gennaio 1903; il rapporto del delegato PS a Buenos Aires diretto alla DGSP, 25 gennaio 1903 (n. 47); e infine la nota del Ministero dell’Interno ai prefetti di Genova e Napoli, 24 dicembre 1902, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. Su Corrado Massa, vd. ASBo, Gab. Ques., cat. A8 Persone pericolose per la sicurezza interna dello Stato, Radiati, b. 99, fasc. Massa Corrado, in particolare la nota della Questura di Bologna, 12 febbraio 1903, e le note della Sotto-prefettura di Lugo alla Questura di Bologna, 30 novembre 1903, e 23 luglio e 8 novembre 1904. Alberto Belluzzi, mediatore, nacque a Bologna l’1 ottobre 1872 da Mauro e Luigia Zoni. Prima della partenza per l’Argentina non manifestò idee politiche, e soltanto negli anni ’20 la polizia lo segnalava professante idee socialiste, seppur fosse iscritto al Partito Nazional Fascista fin dal dicembre 1902. Su Alberto Belluzzi, vd. ASBo, Gab. Ques., cat. A8 Persone pericolose per la sicurezza interna dello Stato, Defunti, b. 4, fasc. Belluzzi Alberto, in particolare la nota della DGPS alla Prefettura di Bologna, 10 febbraio 1903.

313 Spagna. La circolare apparve su «La Protesta Humana» l’11 aprile e su «L’Avvenire» nel maggio.704 Anche l’agitazione operaia si riprese lentamente nel corso dell’anno: fra ottobre e novembre gli scioperi iniziano ad estendersi, raggiungendo un nuovo apice fra dicembre e marzo, soprattutto grazie ai movimenti nel porto di Buenos Aires e fra gli operai ferroviari della capitale e di Rosario in seguito, non mancando scioperi di minori proporzioni, alcuni solidali e infine diversi scioperi nella provincie. Un anno dopo gli scioperi ripresero forza, arrivando allo sciopero generale nella città di Rosario nel novembre 1904, duramente repressa il che portò ad uno sciopero di protesta a Buenos Aires nei primi giorni di dicembre. In questo scenario, nel febbraio 1905 i radicali si sollevano tentando un nuovo colpo di mano, ma la rivolta non ebbe successo e con la dichiarazione dello stato d’assedio si approfittò per reprimere anche il movimento operaio, mettendo fine agli scioperi, sciogliendo le associazioni e perseguitando i loro militanti, molti dei quali furono deportati.705 Con le misure repressive, l’attivo giornalismo anarchico entrò in un periodo di profonda crisi. La rivista «Ciencia Social» scomparve dopo che Serantoni abbandonò il paese, così come «El Rebelde», sparito con l’espulsione Giacomo Locascio e Manuel Reguera, i suoi principali redattori, mentre il giornale libertario rosarino «Solidaridad«, di tendenze anarcosindacaliste, apparso verso la fine del 1902, sparì nei primi mesi dell’anno successivo. I mesi seguenti non furono facili per la stampa libertaria, poiché la polizia fece pressione sulle tipografie per evitare la pubblicazione dei periodici anarchici. «La Protesta Humana», il cui ultimo numero prima dello stato d’assedio uscì il 21 novembre, ricomparve l’11 gennaio 1903, anche se ogni numero dovette stamparsi in una tipografia diversa, con l’impegno di Altaïr, Alfredo López e soprattutto Florencio Sánchez, che per un periodo fu praticamente l’unico redattore del giornale. Moti dei suoi numeri furono sequestrati senza riuscire a circolare, al punto che una volta il dottore John Creaghe distribuì il periodico nelle strade della capitale con un revolver in mano, per evitare che gli agenti gli sequestrassero quel numero. Nel novembre 1903 il giornale semplificò il nome a «La Protesta», dopo un’inchiesta fra i lettori – Gilimón sostiene che per facilitare il lavoro dei venditori del giornale, che lo distribuivano gridando per le strade –, mentre nella redazione entravano militanti di nazionalità argentina non colpiti

704 Vd. i rapporto del delegato PS a Buenos Aires diretti alla DGPS, 11 gennaio, 8 maggio e 23 luglio 1903, ACS, Ministero dell’Interno, DGPS Ufficio Riservato, b. 21 1905, fasc. Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, Legge di residenza, Espulsione di anarchici italiani. 705 E. BILSKY, op. cit., pp. 87-88.

314 dalla «Legge di residenza». Nei primi mesi dell’anno dopo, John Creaghe installò una tipografia esclusiva per la pubblicazione de «La Protesta» e il primo numero «autoprodotto» uscì nel marzo, mentre il 1° aprile il periodico divenne quotidiano. Infine, nel settembre 1904 Alberto Ghiraldo ne divenne il direttore e la dimensione del formato fu ampliata.706 La stampa anarchica in lingua italiana si limitò al solo «L’Avvenire», che come «La Protesta Humana», sospese le pubblicazioni fin dal 21 novembre e ricompare l’11 gennaio sotto la direzione di Oreste Ristori, con il numero 1 della seconda epoca. Dopo l’espulsione di Ristori, avvenuta in quei giorni, la redazione del giornale assunse dal secondo numero – uscito il 17 gennaio – l’anarchico emiliano Cesare Passerini, che apparve come redattore fin dal numero del 1° maggio. Nei primi numeri dopo la fine dello stato d’assedio, «L’Avvenire» pubblicò la lista dei compagni espulsi, inclusi Corrado Massa, Alberto Belluzzi e Giuseppe Ravaioli, mentre criticava duramente la «Legge di residenza», il capo della polizia di Buenos Aires e il governo argentino e ironizzava sulle spese del viaggio dei deportati, assunte dalle autorità politiche del paese sudamericano. Anche se il giornale uscì durante tutto il 1903, lo fece irregolarmente e il 20 febbraio 1904, con il numero 35 della seconda serie, scomparve a causa della mancanza di redattori. Durante il 1903, due numeri unici uscirono con il concorso degli anarchici di lingua italiana. Uno fu «29 Luglio», foglio bilingue pubblicato in omaggio alla figura di Gaetano Bresci, scarso d’articoli inediti e l’altro, «La Favilla», numero bilingue, apparve l’11 novembre a Bahia Blanca per commemorare i Martiri di Chicago. Pubblicato come il terzo numero unico edito dal gruppo L’Azione, il foglio faceva omaggio anche agli anarchici attentatori, includendo vari dei loro cognomi dentro ogni lettera del titolo della testata. La pubblicazione incluse delle collaborazioni da São Paulo e da Il Cairo e un paio di articoli che sostenevano la continuità della lotta e le idee anarchiche a discapito degli abusi della «legge di residenza». Infine, fra le liste di sottoscrizione che sostennero il numero unico, inviate diverse città, località e gruppi anarchici del paese, ci fu il contributo di Aurelio Paganelli dalla capitale.707

706 Cfr. E. GILIMÓN, op. cit., pp. 56-58; F. QUESADA, op. cit., pp. 30-32; R. FALCÓN, op. cit., p. 156. 707 Vd. Al presidente della Repubblica Argentina ed a tutto il codazzo dei lazzaroni che lo circondano, dirigiamo la nostra parola e Viaggiare senza pagare, in «L’Avvenire», Buenos Aires, 2a epoca, a. I, n. 1, 11 gennaio 1903; Gli espulsi, in «L’Avvenire», 2a epoca, n. 2 (a. IX, n. 218), 17 gennaio, e n. 3 (a. IX, n. 219), 23 gennaio 1903. In quest’ultimo numero, vd. anche gli articoli La legge di residenza, Mandatelo al manicomio e Al Capo della polizia. Vd. anche «29 Luglio», Buenos Aires, n. u., [luglio] 1903; «La Favilla», Bahia Blanca, n. u., [novembre] 1903, in particolare gli articoli La Ley de expulsión, Parliamoci chiaro e la lista di sottoscrizione. Vd. inoltre E. GILIMÓN, op. cit.., pp. 56.

315 Nel gennaio 1904, dopo gli scioperi della fine del 1903, la polizia di Buenos Aires inviò al governo argentino un elenco di quarantadue agitatori della classe operaia, la maggior parte anarchici, proponendo la loro espulsione dal territorio nazionale secondo le disposizioni della «Legge di residenza». Nella lista apparvero quindici italiani, uno dei quali era il giornalista Cesare Passerini, «anarquista comprobado y uno de los principales promotores de las pasadas y actuales huelgas», membro importante della FOA e segnalato come delegato per la propaganda a Montevideo, compiendo frequenti viaggi fra le due capitali.708 Intanto, Giovanni Ragazzini, che aveva preso parte attiva alle agitazioni operaie della fine del 1902, non fu nemmeno segnalato dalla polizia argentina né dalle autorità consolari italiane e secondo sua moglie Anna, che l’abbandonò per maltrattamenti, il forlivese morì alcoolizzato nel novembre 1905 all’Hospital San Roque di Buenos Aires. Neanche Giovanni Zirardini fu segnalato fra gli anarchici e agitatori dopo gli scioperi del novembre, tuttavia la polizia italiana indicava nell’ottobre 1906 che era in contatto permanente con un presunto Comitato Internazionale per la Rivoluzione Sociale. Secondo il consolato, invece, lo Zirardini era noto come socialista e non più come anarchico, anche se neanche fra loro si era messo in evidenza, e faceva vita da bohémien nelle osterie e caffè, dove talvolta parlava della rivoluzione sociale. Si trovava spesso al porto, dove accompagnava o attendeva amici romagnoli in viaggio per o dall’Italia, e si diceva che era stato corrispondente di Amilcare Cipriani, e che manteneva rapporti epistolari con Gaetano e Claudio Zirardini, i suoi fratelli. Nel novembre 1907, il consolato segnalava però che il ravennate era in corrispondenza con Armando Borghi, allora a Bologna, da cui avrebbe ricevuto un pacco con degli opuscoli da distribuire. 709

708 Nota della Polizia di Buenos Aires al Ministero dell’Interno argentino, 18 gennaio 1904, Archivo Roca, Sala VII, legajo 157. Ringrazio il professore Juan Suriano per la segnalazione del documento. 709 Su Giovanni Ragazzini, vd. ACS, CPC, b. 4199, fasc. Ragazzini Giovanni, in particolare la nota dell’Ambascita d’Italia a Buenos Aires diretta alla DGPS, 19 settembre 1903; Ragazzini Juan, in H. TARCUS (dir.), op. cit., p. 547. Su Giovanni Zirardini, vd. ACS, CPC, b. 5579, in particolare la nota del Ministero dell’Interno al Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires, 12 ottobre 1906, e le note del Consolato alla DGPS, 20 febbraio e 15 novembre 1907.

316 Capitolo 4. Emiliani e Romagnoli nel movimento anarchico brasiliano (1890-1907).

4.1. Gli emiliani e i romagnoli agli esordi dell’anarchismo in Brasile (1890-1895)

Fin dalla prima metà del XIX secolo appaiono in Brasile diversi giornali che si richiamavano, almeno dai loro titoli, alle idee socialiste. Tra essi «O Anarquista Fluminense» (Rio de Janeiro, 1835) e «O Grito Anarquial» (Pernambuco?, 1848), i quali però, in effetti, non furono altro che i portavoce dei liberali più radicali dell'epoca. Intanto nascevano le prime associazioni di lavoratori, legate al credo cattolico – ogni associazione onorava il santo del suo mestiere –, le quali furono in seguito assorbite dalla chiesa cattolica e infine distrutte. Fino agli anni '80, i giornali di tendenza operaia e anti- abolizionista si moltiplicarono nelle principali città del paese, per la maggior parte su iniziativa dei liberali di sinistra, anche se non mancarono i periodici di qualche associazione di mestiere. Il primo grande passo verso l'associazionismo di classe ebbe luogo nel porto di Santos nel 1880, quando per iniziativa degli operai dell'arsenale di marina si fondò l'União Operária, il cui antecedente più importante fu il successo dello sciopero dei facchini del porto nel 1877.710 In ogni caso, la progressiva costruzione del movimento operaio brasiliano e la diffusione del idee socialiste ebbero nell'arrivo degli immigrati europei, specie italiani, la loro spinta fondamentale. Fin dagli anni '80 e particolarmente nel decennio successivo, molti furono i militanti anarchici e socialisti che lasciarono l'Italia per approdare in Brasile, dove continuarono a svolgere il loro lavoro di propaganda. Almeno fino alla fine del XIX secolo, furono gli anarchici a prevalere fra gli esuli italiani in Brasile, seppur i socialisti arrivassero anche in grandi numeri e la maggior parte di essi avevano avuto esperienze di militanza nella penisola. Il continuo arrivo di militanti italiani nel paese sudamericano durante l'ultimo decennio del secolo, facilitò la costruzione di vere reti di

710E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, Rio de Janeiro, Gráfica Editora Laemmert, 1969, pp. 57-60.

317 supporto in Brasile, non solo di tipo politico, ma soprattutto di tipo lavorativo.711 Nel caso particolare di São Paulo, città dove si stabilì la parte più consistente degli anarchici e socialisti italiani, queste reti favorirono la costruzione di particolari catene migratorie anche fra i militanti. Queste catene, la cui importanza fu notevole soprattutto fra emiliani, romagnoli e toscani, nutrirono il movimento operaio paulistano e tutte le correnti radicali della città e dello stato durante tutto il periodo.712 Nel caso degli anarchici, fu particolarmente la Toscana a prevalere fra le origini regionali dei militanti. Esempio di questo sono il tipografo e falegname fiorentino Giuseppe Consorti – in realtà si chiamava Ferdinando Narciso Giuseppe – e Alfredo Casini, giovane falegname della stessa città che durante il 1891 aderì all'anarchismo, i quali partirono nell'ottobre di quell'anno da Genova con destinazione Brasile. Verso la metà del decennio, entrambi i toscani svolsero un ruolo importante nel movimento anarchico paulista. L'anno successivo, un altro fiorentino, Ettore Marchini, diventato anarchico fin dalla spaccatura dell'Internazionale e che partecipò alla Banda del Matese nel 1877, arrivò a São Paulo e poco tempo dopo collaborò con l'organizzazione di un sindacato.713 In ogni caso, non solo toscani, emiliani e romagnoli arrivarono massicciamente in Brasile. Secondo Angelo Trento, nel 1891 circa trecento socialisti romani si recarono nella neonata repubblica sudamericana, probabilmente espatriati dopo la repressione avvenuta nella Città Eterna a motivo degli scontri del Primo Maggio di quell'anno.714

711 A. TRENTO, Organização Operária e organização do tempo livre entre os imigrantes italianos em São Paulo (1889-1945), in História do trabalho e histórias da imigração: trabalhadores italianos e sindicatos no Brasil (Séculos XIX e XX), São Paulo, Editora da Universidade de São Paulo, Fapesp, 2010, pp. 235-238. Luigi Biondi sostiene che l'immigrazione politica italiana della fine del secolo permise non solo un grande sviluppo dell'anarchismo, ma anche del socialismo, del repubblicanesimo e, con il nuovo secolo, dei sindacalisti rivoluzionari. Vd. L. BIONDI, Imigração italiana e movimento operário em São Paulo: um balanço historiográfico, in História do trabalho e histórias da imigração: trabalhadores italianos e sindicatos no Brasil (Séculos XIX e XX), pp. 32-35. 712L. BIONDI, op. cit., pp. 33-35. 713Sulla partenza di Consorti e Casini per il Brasile, vd. le comunicazioni del MAE alla Legazione d'Italia a Rio de Janeiro, 29 settembre e 14 ottobre 1891, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Legazione Rio de Janeiro. Su Ettore Marchini, vd. S. L. MARAM, Anarquistas, imigrantes e o movimento operário brasileiro, 1890-1920, Rio de Janeiro, Editora Paz e Terra, 1979, p. 30. Dal canto suo, sembra che Giuseppe Consorti facesse un breve soggiorno a Paterson prima di raggiungere suo fratello Pietro a São Paulo. Vd. Consorti Giuseppe, in DBAI, vol. I, 436. 714 A. TRENTO, op. cit., p. 328.

318 Uno degli arrivi che più hanno interessato la letteratura sugli inizi del movimento anarchico in Brasile è stato quello del veterinario pisano Giovanni Rossi, detto «Cardias», che insieme a un gruppo di compagni approdò a Rio de Janeiro nel marzo 1890. Rossi era partigiano di quello che egli chiamava il «socialismo sperimentale» e dalla fine degli anni '70 si era volto all'idea d'impiantare un comune comunista e anarchico. Nel 1886, trasferitosi a Brescia per lavoro, pubblicò il giornale «Lo Sperimentale» e l'anno successivo, con un gruppo di lavoratori, fondò la colonia socialista di Cittadella a Stagno Lombardo, in provincia di Cremona, la quale però fallì nel novembre 1889. In seguito, il pisano decise di tentare l'insediamento di una colonia in Sudamerica, prima con l'idea di portarsi in Uruguay ma finalmente si risolse ad impiantare il progetto in Brasile. Arrivati a Rio di Janeiro il 18 marzo 1890, il piccolo gruppo di pionieri restò una settimana nella capitale brasiliana prima d'imbarcarsi per lo stato di Rio Grande do Sul. Nel viaggio verso Porto Alegre, i pionieri del socialismo sperimentale nel Sudamerica cambiarono i piani originali e invece sbarcarono a Paranaguà, luogo di scalo, da dove raggiunsero Curitiba, capitale dello stato di Paraná. Con l'orientamento dell'Inspetoria de Terra e Colonização, decisero d'istallarsi presso Santa Bàrbara nelle vicinanze della cittadina di Palmeiras e di fondarvi la nota Colonia Cecilia.715 Secondo il vice console italiano a Rio de Janeiro, il gruppo era stato mandato a Curitiba dall'ispettore generale di Terre e

715I. FELICI, A verdadeira história da Colônia Cecília de Giovanni Rossi, in «Cadernos AEL», n. 8/9, 1998, pp. 12-16. Isabelle Felici smentisce il mito della concessione di terra al Rossi dall'imperatore brasiliano Pedro II per creare la colonia socialista, mito che si generalizzò fra gli storici a partire della diffusione che Edgar Rodrigues, noto storico dell'anarchismo brasiliano, fece dei fatti raccontati nel romanzo storico di Alfonso Schmidt (Colônia Cecilia: romance de uma experiência anarquista, São Paulo, Anchieta, 1942), che è stato riedito recentemente in lingua italiana (A. SCHMIDT, Colonia Cecilia. Una comune di giovani anarchici italiani nel Brasile di fine Ottocento, Szczecin, Polonia, Edizioni dell’Asino, 2015), fu l'anarchico italiano residente in Brasile, Alessandro Cerchiai, a iniziare il mito con un suo articolo sulla colonia Cecilia pubblicato nel 1936 sui «Quaderni della Libertà» di São Paulo. Vd. Ivi., pp. 49-54; ID., La Colonia Cecilia, fra leggenda e realtà, in «Rivista Storica dell’anarchismo», a. III, n. 2 (6), luglio-dicembre 1996, pp. 103-104. L'errore di Rodrigues di assumere l'origine della Colonia Cecilia a partire della pretesa simpatia dell'imperatore per il socialismo sperimentale grazie alla conoscenza di un opuscolo di Rossi, portò anche Pier Carlo Masini ad accettare questa versione. Vd. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, São Paulo, Global Editora, 1984, pp. 22-28 (una versione manoscritta di quest'opera si trova nell'IISG d'Amsterdam con il titolo A presença dos anarquistas italianos no Brasil (ms.), Rio de Janeiro, 1976); ID., Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., pp. 36-37; P. C. MASINI, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Milano, Rizzoli, Biblioteca Universale Rizzoli 1a. Edizione, 1974, pp. 249-254. In altre edizioni del libro di Masini, questo piccolo capitolo sulla Colonia Cecilia non compare. Sul dottor Giovanni Rossi, vd. Rossi Giovanni, in DBAI, vol. 2, pp. 450-454.

319 Colonizzazione della capitale brasiliana per evitare che partecipassero a presunti complotti. Sul gruppo, diceva il vice-console: «Essi sono piuttosto anarchici che socialisti: non anarchici nel senso etimologico e sul terreno economico, non nel senso volgarmente inteso di persone che vogliono rovesciare colla forza l’attuale ordine di cose […] La loro intenzione è d’impiantare, coi pochi capitali che portarono e sulle terre che furono loro assegnate, una specie di falansterio».716 Questo gruppo, con a capo Giovanni Rossi, non contava più di otto persone, fra i quali sicuramente i bresciani Evangelista Benedetti, Giacomo Zanetti e Lorenzo Arrighini, alcuni dei quali avevano partecipato all'esperienza della Cittadella nel cremonese. Alla colonia avrebbe dovuto giungere un gruppo di cinquanta famiglie dall'Italia nel luglio, ma il loro mancato arrivo portò il veterinario pisano a recarsi nella penisola per propagandare la comune brasiliana.717 Parallelamente alla partenza di Rossi per l'Italia, un piccolo gruppo di tre famiglie, 13 persone in totale, partiva da Genova nel novembre per raggiungere la Cecilia il primo del 1891. Due delle famiglie erano originarie del parmense: una era quella di Tranquillo Agottani, di Torricella di Sissa, che aveva fatto parte della colonia di Cittadella e che si trasferì in Brasile con la moglie Adelina Artusi e i figli Zefferino, Aldino e Andrea Giuseppe. L'altra famiglia era quella composta da Zefferino Artusi, fratello di Adelina e suo figlio Galileo di appena un anno. A Sissa era rimasta Romilda Popoli, moglie di Zefferino, che raggiunse però la colonia nel novembre 1891 insieme ai cognati Carlo e Aquilina Artusi. Anche i fratelli Artusi avevano fatto parte di Cittadella. Al suo arrivo alla Cecilia, la Popoli non trovò Zefferino e suo figlio, poiché, non essendosi adattati alla vita della colonia, si erano trasferiti a Buenos Aires poco dopo il suo arrivo a Santa Bàrbara. Contemporaneamente, un gruppo più numeroso di famiglie arrivava in Brasile con destinazione Cecilia. Il 18 novembre sbarcarono a Rio de Janeiro Pacifico Agottani, fratello di Tranquillo e anche lui originario

716Vd. la copia del rapporto del Vice-Consolato italiano a Rio de Janeiro inviato alla Legazione d'Italia in Brasile, 1° maggio 1890, annesso al rapporto della Legazione al presidente del Consiglio di Ministri, 5 maggio 1890, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Legazione Rio de Janeiro. 717Cfr. I. FELICI, A verdadeira história da Colônia Cecília de Giovanni Rossi, cit., pp. 17-19. Sul gruppo dei coloni pionieri, vd. il rapporto del Ministero dell'Interno al MAE, 27 febbraio 1890, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Legazione e Consolato a Rio de Janeiro. In quel rapporto, che il MAE trasmette il giorno successivo alla Legazione in Brasile, si parlava anche del bresciano Angelo Baza, del foggiano Alessandro D'Atri, socialista che era però agente d'emigrazione e del napoletano Nicola Dubitosi, i quali non sono inclusi nell'elenco elaborato da Felici sui dimoranti nella Colonia Cecilia. Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 62-63.

320 di Torricella di Sissa, con sua moglie Caterina Mezzadri e due figlie, insieme a varie altre famiglie, tra le quali i Soldi, i Talignani, i Nicola, i Ganassoli e i Minardi.718 Il giro di propaganda di Rossi in Italia ebbe un certo successo e, di fatto, nel febbraio 1891 diverse famiglie partirono da Genova dirette alla colonia Cecilia. Già nel maggio la popolazione della colonia raggiunse 150 persone circa, il più alto numero di abitanti che ebbe la comune in tutta la sua esistenza, il che palesò la scarsità di alimenti e i conflitti fra gli abitanti per lo scontro fra diversi modi di lavorare, specie fra contadini e operai. Secondo lo stesso Rossi, la miseria in cui si trovarono i coloni portò con sé gli egoismi di famiglia. Inoltre, sosteneva il pisano: «Come organizzazione, questo periodo fu caratterizzato da un grottesco sistema di referendum, per cui la popolazione perdeva molto tempo in assemblee oziose, dalle quali non emergevano commissioni, si votavano regolamenti, si parlamentarizzava fino a incretinire. La colonia, in quel tempo, non ebbe la coscienza anarchica che poteva salvarla e dové morire». La colonia non resse la crisi e nel giugno sette famiglie fra le prime arrivate s'impossessarono del «capitale sociale», spingendo gli altri coloni a trasferirsi a Curitiba. Nonostante ciò, un piccolo gruppo di sette giovani, «tutti operai delle città, assolutamente ignari di cose agricole», s'organizzò per portare avanti il progetto socialista. «L’organizzazione di questo gruppo era pur sempre comunistica, ma anche schiettamente anarchica». Questo gruppo era composto da Egizio Cini, Giuseppe Zerla, Géléas de Brest, Giuseppe Maderna, Antonio Massa, Luigi Silano e Jean Saint Pierre di Tarbes, ai quali si aggiunsero poco dopo quattro delle famiglie pioniere, raggiungendo fra le venti e le trenta persone nella colonia. Questo fu il panorama che trovò Giovanni Rossi al suo ritorno nel luglio. Alcuni mesi dopo, nel novembre, arrivarono nella comune altre famiglie contadine in due gruppi. Come abbiamo già segnalato, fra esse c'erano Aquilina e Carlo Artusi, Romilda Popoli e Pacifico Agottani.719

718A. M BACH, Colônia Cecília, Ponta Grossa, Estúdio Texto, 2011, pp. 281-305. I Lottici furono la terza famiglia arrivata con il gruppo di Tranquillo Agottani. All'epoca del loro arrivo alla colonia Cecilia, i figli di Tranquillo, che successivamente mantennero rapporti con i gruppi anarchici del Brasile, erano piuttosto giovani: Zefferino aveva 12 anni, Aldino 10 e Andrea Giuseppe 8. Zefferino Artusi, invece, aveva 35 anni e Romilda Popoli 23. Sulla ricostruzione esaustiva degli alberi genealogici degli Agottani e degli Artusi, vd. Ibidem. D'altra parte, Bach riporta una lettera di Luisa Artusi, madre di Zefferino Artusi, alla nuora Romilda Popoli, datata al 22 dicembre 1891 ringraziando per le notizie che le forniva da Buenos Aires sui suoi figli. Vd. Ivi., pp. 304-305. Considerando che all'epoca le lettere arrivavano oltreoceano in un mese, possiamo supporre che la Popoli si trovava già a Buenos Aires verso il 20 novembre 1891. 719Cfr. G. ROSSI, Cecilia Comunità anarchica sperimentale. Un episodio d’amore nella colonia «Cecilia», Aprilia (LT), Ortica Editrice, 2011 [Livorno, Biblioteca Sempre Avanti, 1893],

321 Non si conoscono i particolari del ruolo che giocarono le famiglie del parmense nel periodo della crisi della colonia, tuttavia si sa che fu in questo periodo circa, che lasciarono la Cecilia. E' probabile che Zefferino Artusi e suo figlio Galileo abbiano lasciato la Cecilia prima dell'arrivo massiccio di nuove famiglie nel febbraio e marzo, mentre gli Agottani abbandonarono la colonia probabilmente in quest'epoca. Secondo la testimonianza di Darvino Agottani, bisnipote di Tranquillo, l'eccesso di popolazione e coloni che non lavoravano e mangiavano soltanto, furono le ragione che spinsero il suo bisnonno a decidere il proprio trasferimento, situazioni che riflettono le condizioni della crisi del maggio-giugno 1891. Allora Tranquillo comprò un terreno statale nei pressi di Santa Bàrbara, vicino alla Cecilia e si dedicò alla produzione di vino. Dal canto suo, invece, le famiglie di Carlo Artusi e sua sorella Aquilina, arrivati pochi mesi dopo la spaccatura della colonia, vi rimassero contribuendo allo sviluppo agricolo dell'insediamento comunistico.720 Durante il 1892 e fino al maggio 1893, momento in cui Giovanni Rossi lasciò definitivamente la colonia, questa conobbe il suo periodo di maggiore stabilità demografica. Verso la fine del 1892 arrivarono nuove famiglie alla Cecilia e l'ultimo dell'anno Rossi contava 64 persone, il che avrebbe facilitato l'apertura di una calzoleria e l'inizio della fabbricazione di barili d'imballaggio. Nonostante ciò, i nuovi arrivati non andarono del tutto d'accordo con i contadini, specie con gli Artusi e già nel febbraio la popolazione contabilizzava circa 50 persone, secondo il console a São Paulo, informazione che confermava lo stesso Rossi nel maggio. Intanto, anche qualche militante aveva raggiunto la colonia. Nella seconda metà dell'anno, le autorità diplomatiche italiane assicuravano che Amilcare Cappellano, Eugenio Grossi e Achille Gallina erano partiti il 31 agosto da Genova con direzione la comune brasiliana, la cui presenza effettiva fu confermata nel febbraio 1893.721 pp. 13-17; A. M. BACH, op. cit., pp. 283-284; I. FELICI, op. cit., pp. 18-23. Felici sostiene che probabilmente gli Artusi erano fra le quattro famiglie che si aggiunsero alla ricostruzione della Cecilia, tuttavia è da notare che Adelina faceva parte della famiglia Agottani, Zefferino aveva lasciato la colonia poco dopo essere arrivato per trasferirsi a Buenos Aires mentre Aquilina e Carlo giunsero in Brasile solo nel novembre. Vd. Ibidem. 720A. M. BACH, op. cit., pp. 281-294. La testimonianza di Darvino Agottani è riportata da Bach. Secondo quest'autore, la famiglia di Pacifico Agottani e varie altre arrivate nel novembre 1891, furono trasferite in seguito alla Colonia Kitto, in Porto Amazonas, comune dello stato di Paraná, ma non indica il periodo. Vd. Ivi., p. 294. 721Cfr. G. ROSSI, op. cit., p. 20; I. FELICI, op. cit., pp. 27-28; ID., La Colonia Cecilia, fra leggenda e realtà, cit, p. 106. Sui militanti arrivati nel corso del 1892, vd. la nota del MAE al Consolato d'Italia a Rio de Janeiro, 6 settembre 1892; il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 17 febbraio 1893, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47.

322 La seconda mandata della colonia, nonostante tutto, non riuscì a superare le difficili condizioni dei suoi abitanti. Dall'inizio del 1892 fino al settembre dello stesso anno, alcuni dei coloni della Cecilia s'impiegarono nella costruzione delle strade statali per riuscire a mantenere la comunità, occupandosi lì fino a perdere il lavoro, mentre le condizioni abitative non erano migliori. Proprio Rossi le descriveva così: «Per quanto riguarda l'edilizia il nostro villaggio Anarchia è misera cosa. Una ventina di casotti di legno, simmetricamente disposti lungo una strada e attorno un piazzale. Questo villaggio è abitato esclusivamente da noi. Ogni casotto, che noi chiamiamo col nome pomposo di casetta, ha sei metri di fronte, per quattro di fonde e tre di altezza. Alcuni di questi casotti hanno il pavimento di tavole, mentre altri non l’hanno che di terra battuta. Il mobilio di questi casotti consiste tutto nei letti più o meno soffici, meglio o peggio coperti; in alcune case un piccolo tavolo, panchette e sgabelli».722 In aggiunta, nell'ottobre 1892 uno spagnolo lasciò la colonia portandosi via 500 réis, un nono di quelli che erano gli attivi della colonia723. Si trattava di Francisco Puig Mayol, che nel settembre pubblicò un articolo sul giornale anarchico bonaerense «El Perseguido», con il quale dava alcune notizie della colonia, assicurando che essa aveva adottato l'anarchia nel suo procedere e si rendeva disponibile a ricevere la corrispondenza diretta alla comune. Qualche mese dopo, infatti, un altro articolo inviato dalla Colonia Cecilia fu pubblicato su «El Perseguido», dichiarando che Puig Majol non aveva niente a che vedere con la Colonia.724 L'articolo era firmato C. A., il che potrebbe indicare che si trattasse di Amilcare Cappellaro. Infatti, nel 1893 Cappellaro iniziò una campagna a favore della colonia Cecilia sui giornali anarchici sudamericani, il cui primo appello fu giustamente l'articolo sul periodico della capitale argentina. In esso, facendo una descrizione piuttosto positiva dei progressi produttivi, sociali e morali della comune, comunicava la decisione dei coloni di vendere azioni della comune per facilitare l'impianto d'industrie produttive. L'idea era che i compagni dell'Argentina e dell'Uruguay

Nell'ottobre 1892 si segnalava anche che Bartolomeo Penda era partito da Genova verso la fine di settembre per la colonia Cecilia, il quale però non fu rintracciato dalle autorità diplomatiche in Brasile poiché era stato segnalato come diretto alla colonia «Cilicio». Vd. Le note del MAE alla Legazione d'Italia a Rio de Janeiro, 9 ottobre e 29 dicembre 1892, e la risposta della Legazione, 22 novembre 1892, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Rio de Janeiro . 722Cfr. G. ROSSI, op. cit., p. 25; I. FELICI, A verdadeira história da Colônia Cecília de Giovanni Rossi, cit., pp. 24. 723Ivi., p. 41. 724Vd. Movimiento social, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 47, 4 settembre 1892; Brasil. Colonia Socialista Cecilia, in «El Perseguido», a. IV, n. 55, 29 gennaio 1893.

323 comprassero delle macchine per la futura industria, le spedissero alla colonia e in cambio li si farebbe arrivare i titoli definitivi. Due mesi dopo, sul «Lavoriamo», giornale anarchico di lingua italiana pubblicato a Buenos Aires, apparve un altro appello firmato da Cappellaro con il quale sosteneva che le condizioni economiche della colonia non erano buone, sia perché il raccolto era stato scarso, sia perché erano stati derubati da un «falso fratello», mentre segnalava che al momento si accettavano solo calzolai con famiglia, ma che l'anno successivo la colonia sarebbe stata aperta a nuovi soci. Inoltre, chiedeva ai compagni desiderosi di andare alla colonia, di avvertire prima perché occorreva fare da tramite per portare alcune cose utili. Parallelamente, secondo il console italiano a São Paulo, sul giornale anarchico locale, scritto anche in lingua italiana, «Gli Schiavi Bianchi», il Cappellaro pubblicava un appello agli anarchici chiedendo soccorsi pecuniari.725 Amilcare Cappellaro fu corrispondente della Cecilia per vari giornali europei, come «A Revolta» di Lisbona, «El Productor» di Barcellona e «La Révolte» di Parigi, i quali inserirono appelli simili a quelli sui giornali sudamericani e, inoltre, prima di lasciare l'Italia, aveva scritto ad Andrea Costa sollecitandogli di fare pressione presso la Società di Navigazione Generale Italiana per permettere ai nuovi coloni di portare con sé ferramenta senza pagare costi eccedenti.726 Oltre ai problemi economici e produttivi della colonia, nel momento dei bilanci, la questione che più concentrò l'attenzione di Giovanni Rossi e i coloni anarchici, fu quella dell'amore libero. Nel suo articolo pubblicato su «El Perseguido» nel gennaio 1893, Amilcare Cappellaro rimpiangeva: «lo que nos tormenta más es que el amor libre todavia no ha penetrado en el corazon de nuestras compañeras, cuya causa produce mucho disgusto á los que son celibatarios, pero no obstante aqui las mujeres estan más respetadas que no en ninguna otra parte». In effetti, la gestione dei rapporti sessuali in una comunità prevalentemente maschile diventò un problema per i coloni e solo nel 1892 emerse l'idea dell'amore libero come risposta. Tuttavia, sembra che sia stato soltanto Giovanni Rossi a sperimentarlo, stabilendo un rapporto affettivo con Adele, donna sposata con Annibale, rapporto che fu analizzato «scientificamente» da Rossi e pubblicato nel 1893 come Un episodio d'amore nella colonia «Cecilia» insieme al suo 725Vd. Brasil. Colonia Socialista Cecilia, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV, n. 55, 29 gennaio 1893; Notizie della colonia socialista, in «Lavoriamo», Buenos Aires, n. 3, 8 marzo 1893. Vd. anche il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 18 marzo 1893, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo. Purtroppo, il numero de «Gli Schiavi Bianchi» non si trova allegato al rapporto, né è stato rintracciato in altri archivi. 726Cfr. E. RODRIGUES, op. cit., pp. 44-46; I. FELICI, op. cit., p. 25.

324 resoconto sulla vita della comune. Anche se Rossi concludeva ottimisticamente che l'amore libero era l'unica via per rendere possibile il comunismo anarchico, insieme all'eliminazione della famiglia, secondo Bach l'esperimento non riuscì appieno, poiché Annibale fu abbandonato dalla moglie e poi divenne alcolizzato. In ogni caso, la questione era considerata centrale da Rossi giacché egli concepiva la famiglia e l'egoismo domestico che difendevano soprattutto le donne – a causa del loro «arretrato sviluppo intellettuale» – il principale ostacolo per la solidarietà economica e la libertà politica. Secondo Rossi: «Il disfacimento progressivo e spontaneo della famiglia monogamica prepara il terreno al trionfo dei nostri ideali».727 Anche se il doppio saggio di Giovanni Rossi, Cecilia, Comunità anarchicha sperimentale e Un episodio d’amore nella Colonia «Cecilia», uscì in Italia e in Francia nel 1893, in Argentina nel 1894 – riedito nel 1896 – e in Brasile nel 1896 – pubblicato dal giornale paulista «La Birichina» nel dicembre – sembra che oltre alle comunicazioni del Cappellaro, la stampa libertaria non mostrasse un reale interesse per le vicende della colonia. Allo stesso modo, il movimento anarchico non stabilì maggiori contatti con la comune. Nemmeno in Brasile, dove solo «Gli Schiavi Bianchi» avevano dato spazio agli appelli per i contributi e nel giugno 1892 il giornale aveva chiesto notizie a Rossi sull'andamento della comune. Non a caso, soltanto nel 1913 un altro giornale anarchico brasiliano, «La Propaganda Libertaria» di São Paulo, tornò sull'argomento della Cecilia.728 Sicuramente questa poca attenzione all'andamento della colonia Cecilia rispose alle resistenze che l'idea del «socialismo sperimentale» trovò tanto fra gli anarchici, come fra i socialisti fin dai primi scritti di Giovanni Rossi. Durante gli anni '80, specie attraverso il suo giornale «Lo Sperimentale», il pisano cercò degli alleati fra i socialisti di «tutti i colori», ma la maggior parte delle risposte fu piuttosto criticha. Nel marzo 1891, quando la colonia Cecilia aveva quasi un anno e ancor prima della crisi che visse, fu lo

727 Cfr. G. ROSSI, op. cit., pp. 34-44; I. FELICI, op. cit., pp. 29-32; ID., La Colonia Cecilia, fra leggenda e realtà, cit. p. 107; A. M. BACH, op. cit., p. 282. Sull'analisi di Rossi sul suo rapporto con Adele e Annibale, vd. Un episodio d’amore nella colonia «Cecilia», in G. ROSSI, op. cit., pp. 47-92. 728 Cfr. I. FELICI, A verdadeira história da Colônia Cecília de Giovanni Rossi, cit., p. 54-55; ID., La Colonia Cecilia, fra leggenda e realtà, cit, p. 109. Edgar Rodrigues riporta una lettera sulla colonia Cecilia di Alessandro Cerchiai del 22 ottobre 1934, scritta e inviata da Santa Barbara – presso Giuseppe Agottani – e un articolo firmato da Pedro Catalo, ma non riferisce la fonte di nessuna delle corrispondenze. In ogni caso, l'articolo di Catalo sostiene che nel 1897 si pubblicò a Zurigo un volume di A. Senflemen sull'esperienza comunistica della Cecilia con alcuni documenti. Vd. E. RODRIGUES, op. cit., pp. 47-51.

325 stesso Errico Malatesta a riferirsi in tono critico sul progetto del Rossi. Con una lettera scritta a Londra e pubblicata sul giornale forlivese «La Rivendicazione», Malatesta qualificò lo sperimento in terre brasiliane come una disserzione dalla lotta per la rivoluzione sociale, facendo appello ai veri socialisti di non abbandonare il loro posto di battaglia.729 Anche in Sudamerica il progetto di Rossi ebbe reticenze. Commentando l'appello del Cappellaro, «El Perseguido» aggiungeva nel gennaio 1893, che inevitabilmente la colonia Cecilia, come qualsiasi altro progetto simile, era sottomesa allo sfruttamento capitalistico, poiché dovevano comprare quello che non producevano a prezzi di mercato. In contrasto, si affermava che «todo el goce que el Comunismo Anárquico puede dar, no podrá darlo jamás á cada uno de sus individuos una Colonia de 100, ni 1000, ni tampoco 10.000 individuos aislados con tierras vírgenes como el hombre primitivo y expropiados de todas las riquezas acumuladas por la humanidad», e continuava «para que el Comunismo Anàrquico pueda dar un resultado satisfactorio pudiendo todos gozar de todo, es menestar estar en posesiòn de este todo y no alejarnos de él para dejarlo en manos de nuestros enemigos que continuaràn sembrando la corrupciòn en nuestro rededor y hasta nos explotaràn à nosotros mismos cada vez que tendremos que surtirnos de alguna cosa fuera de casa». Infine, il commento del giornale bonaerense criticava l'amore libero come modo di bilanciare i rapporti sessuali fra una maggioranza maschile e una minoranza femminile, poiché non si trattava di obbligare le donne a rendersi disponibili sessualmente a tutti gli uomini: «cada mujer es libre de darse al que ella quiera y si solo quiere darse à uno ella es libre».730 In qualche modo, le osservazioni critiche de «El Perseguido» non erano sbagliate. Lontana dal riuscire a collaborare con la propaganda in Europa, come aveva annunziato lo stesso Rossi, la colonia Cecilia non potè mai garantire nemmeno la soddisfazioni delle proprie necessità. Fin dall'inizio dell'esperienza, gli uomini dovettero occuparsi della costruzione delle strade statali per comprare gli alimenti e, inoltre, la colonia ricevette durante il primo anno una sovvenzione mensile del governo, come ogni colonia, insieme ad altri benefici concessi dalla segreteria di colonizzazione del Paraná, senza contare che i coloni avevano una scadenza di cinque anni per pagare la terra acquistata. In poche parole, l'aiuto esterno fu fondamentale per la sopravvivenza della comune. Infatti, furono

729Cfr. I. FELICI, op. cit., p. 104-106; ID., A verdadeira história da Colônia Cecília de Giovanni Rossi, cit., pp. 10-11; P. C. MASINI, op. cit., p. 254. La lettera di Malatesta, firmata a Londra il 7 marzo 1891, apparve in «La Rivendicazione», Forlì, a. VII, 18 marzo 1891. 730Brasil. Colonia Socialista Cecilia, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV, n. 55, 29 gennaio 1893.

326 principalmente i problemi economici a provocare la sparizione della colonia nel 1894, anche se le rivalità e le discordie fra i coloni non ebbero un ruolo insignificante. Dopo il maggio '93 un gruppo di coloni si allontanò dalla Cecilia e subentrò un altro, ma i contrasti continuarono finché nell'aprile 1894 il gruppo si spaccò ancora una volta e si decise di sciogliere la comune vendendo i suoi attivi, secondo Isabelle Felici, al gruppo di contadini del parmense che avevano provocato la crisi. Quella vendita di attivi bastò per pagare i debiti e i biglietti degli ex-coloni fino a Curitiba. Sembra che fossero gli Artusi a rimanere nelle terre della Cecilia, poiché gli Agottani si erano già trasferiti nel 1891, anche se continuarono ad avere legami con la colonia, soprattutto di tipo famigliare. La madre di Zefferino, Aldino e Giuseppe Andrea, di fatto, era sorella di Carlo Artusi, il quale sicuramente rimase nella colonia con i figli Aniceto, Virginio e Irma. Probabilmente erano loro a ricevere le visite che Zefferino Agottani faceva all'ex-colonia quando vi si recava per andare a trovare i parenti.731 Secondo Edgar Rodrigues, un fatto che contribuì alla rovina della colonia fu il suo «coinvolgimento» con la rivoluzione federalista scoppiata negli stati brasiliani del sud nel 1893. Durante quell'anno, uno dei leader ribelli paranaensi, Emilio Sigwalt, si rifugiò nella colonia scappando dall'esercito repubblicano, che arrivò anche alla Cecilia seguendo i suoi passi. Non trovandolo, i militari arrestarono alcuni coloni, tra i quali Egizio Cini, che rimase imprigionato per circa 40 giorni, e saccheggiarono anche la colonia. Vari anarchici si arruolarono allora nel «Battaglione italo-brasileiro» formato a Curitiba da Colombo Leoni e combatterono contro le forze del governo nelle vicinanze della colonia, ma furono sconfitti e la colonia ulteriormente distrutta. Secondo Isabelle Felici, sembra che alcuni coloni effettivamente s'arruolarono nel battaglione di Leoni, mentre è accertato che lo stesso Giovanni Rossi fece parte delle colonne ribelli come capitano-medico, poiché era disoccupato a Curitiba, vedendosi costretto a nascondersi in seguito alla ritirata delle forze federaliste verso sud, aiutato dal rappresentante consolare italiano nello stato.732 Dopo la fine della Cecilia, Giovanni Rossi rimase in Brasile alcuni anni senza però impegnarsi nel lavoro di propaganda e il suo nome apparve soltanto un paio di volte come sottoscrittore per giornali anarchici – nel settembre 1900 per «Il Diritto» di Curitiba e nel marzo 1906 per «A Terra Livre». Il resto dei militanti anarchici che fecero parte della comune paranaense ebbe diversa sorte. Molti reduci della colonia si sparsero

731Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 35-41;A. M. BACH, op. cit., pp. 283-285. 732Cfr. E. RODRIGUES, op. cit., pp. 31-32; I. FELICI, op. cit., pp. 32-45.

327 per il sud del Brasile – insediandosi soprattutto in piccoli centri urbani –, alcuni dei quali parteciparono a gruppi di studi sociali, mentre altri altri si recarono a Porto Alegre, dove fondarono un giornale. Egizio Cini, trasferitosi a Curitiba, durante gli anni 1899-1902 diresse il giornale anarchico «Il Diritto», tuttavia ci furono anche quelli che si allontanarono della militanza e quelli che tornarono in Italia.733 Riguardo agli Artusi e agli Agottani, negli anni successivi essi rimasero a Santa Barbara legati al lavoro agricola, mantenendo il contatto con il movimento anarchico soprattutto attraverso l'invio di sottoscrizioni e qualche corrispondenza alla stampa libertaria del Brasile, ancora negli anni '50 del Novecento nel caso di Zefferino e Aldino Agottani. Il loro fratello minore, Andrea Giuseppe, invece, si trasferì in Argentina nel primo decennio del XX secolo e poi, tornato in Brasile negli anni '10, fu espulso nel 1919 accusato di partecipare agli scioperi di quell'anno. Dopo un soggiorno in Italia insieme a Romilda Popoli, con cui si sposò negli anni successivi, tornò a Palmeira nel 1933 presso suo fratello Aldino.734 Al momento dell'insediamento della colonia Cecilia, nell'aprile 1890, il movimento anarchico nel Brasile era praticamente inesistente. Non ci sono notizie su attività svolte dagli anarchici, tranne l'accenno a un piccolo incidente occorso nel maggio 1890. Secondo «El Perseguido» di Buenos Aires, nella commemorazione del Primo Maggio di quell'anno, tenuta da una associazione operaia, un anarchico avrebbe fatto una rassegna dell'anarchia, ragione per cui sarebbe stato arrestato e poi espulso dal paese.735 Notizie più certe si hanno dal periodico anarchico bonaerense «La Miseria», che nel novembre 1890 scriveva a Galileo Botti, presso São Paulo, chiedendo d'inviare

733Cfr. Ivi., pp. 45-57; B. A. LONER, From workers' militancy to cultural action: Brazilian anarchism in Rio Grande do Sul, 1890s-1940s, in G. de Laforcade and K. Shaffer (eds.), In defiance of boundaries: anarchism in Latin American history, Gainesville, University Press of Florida, 2015, p. 164; E. RODRIGUES, Os companheiros, vol. I, Rio de Janeiro, VJR, 1994, pp. 112. Felici sostiene un punto di vista critico rispetto alle interpretazioni che hanno esagerato il ruolo dei reduci della colonia Cecilia nella propaganda delle idee anarchiche negli anni successivi, e smentisce le affermazioni di Rodrigues sulla partecipazione dell'anarchico romano Gigi Damiani nella colonia – poiché lui arrivò in Brasile solo nel 1897 –, sulla pretesa attiva partecipazione di Rossi nel movimento operaio brasiliano e, infine, sulla pubblicazione del giornale «A Luta» di Porto Alegre nel 1894 da entrambi i militanti. Cfr. I. FELICI, op. cit., p. 58; E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabahadores italianos no Brasil, cit., pp. 52-54. 734Cfr. E. RODRIGUES, op. cit., pp. 163-164; ID., Os companheiros, vol. I, cit., pp. 21-22; ID., Os companheiros, vol. V, Florianapolis, Insular, 1998, pp. 199-200; A. M. BACH, op. cit., pp. 285-287; I. FELICI, op. cit., pp. 57-58. Su Aldino Agottani, vd. ACS, CPC, b. 31, fasc. Agottani Aldino. Su Andrea Giuseppe Agottani, vd. ACS, CPC, b. 31, fasc. Andrea Giuseppe Agottani; ANRJ, Série Interior-Justiça, IJJ7, fasc. 161, s/fasc. José Agottani. 735¡¡Farsantes!!, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV, n. 63, 13 agosto 1893.

328 denaro e di scrivere. Nel suo numero successivo, il giornale si indirizzava a un «Gruppo anarchico» di São Paulo, confermava a Ferruccio E. della stessa città d'aver ricevuto due lettere e, inoltre, chiedeva a un A. L. di Rio de Janeiro di scrivere.736 La Legazione d'Italia in Brasile, invece, informava solo nell'ottobre 1891 che «il partito anarchico è qui rappresentato da un piccolo gruppo d’italiani, per la maggior parte tipografi, che danno di tanto in tanto segno di vita». Nonostante ciò, nella stessa nota s'allegava un manifesto con il quale si chiedeva al ministro di sottoscrivere per quello che, secondo lui, sarebbe stato un futuro giornale anarchico.737 E' molto più probabile che il ministro avesse confuso un giornale repubblicano o antimonarchico con un giornale anarchico, piuttosto che gli anarchici avessero chiesto il suo contributo per fondare un mezzo a stampa, dunque non è molto chiaro quello che intendesse il rappresentante diplomatico quando parlava di «partito anarchico». In ogni caso, il ministro italiano assicurava che il governo brasiliano era convinto di prendere tutte le misure necessarie per evitare la diffusione delle «sette» anarchiche e socialiste, inclusa l'espulsione di sovversivi, mettendo come esempio l'espulsione di un tale Pomati e altri. Un mese dopo, il proprio ministro confermava al MAE la disponibilità del governo brasiliano di agire contro anarchici e socialisti, portando ad esempio, l'imprigionamento del tenente José Augusto Vinhaes, anarchico o socialista agli occhi del rappresentante italiano, in realtà uno dei leader del Partido Operário.738 È probabile che le misure repressive del governo brasiliano rispondessero ai primi tentativi di organizzare di partiti operai, con una generica tendenza socialista. Nel 1889 apparve nel porto di Santos un manifesto socialista e in seguito il medico Silvério Fontes fondò con altri un circolo socialista in quella città, mentre a febbraio dell'anno dopo si celebrò un congresso socialista a Rio de Janeiro, dal quale nacque il Partido Operário Brasileiro, che ebbe basi anche a Porto Alegre e São Paulo. Parallelamente, vari giornali «operaisti» uscirono in Brasile: «O Amigo do Povo» (São Paulo, 1890), «A Voz do Povo» (Rio de Janeiro, 1890), «O Socialista» (Bahia, 1890), «O Primeiro de Maio» (São

736Vd. «La Miseria», Buenos Aires, a. I (1890): Correo de «La Miseria», n. 1, 16 novembre 1890; In barba ai francobolli, n. 2, 30 novembre 1890. 737Vd. il rapporto della Legazione d'Italia a Petrópolis diretto al MAE, 31 ottobre 1891, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Rio de Janeiro. 738Vd. il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto al MAE, 23 novembre 1891, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Rio de Janeiro

329 Paulo, 1891), «Tribuna Operária» (Belém-Pará, 1891-1893), «União Operária» (Santos- São Paulo, 1891) e «A Voz do Artista» (Goiás, 1891), tra gli altri.739 Il movimento anarchico diede un primo segno di vita con la pubblicazione del giornale «A Revolução Social», apparso l'11 novembre 1891 a Rio de Janeiro, il quale però subì immediatamente le misure repressive del governo già in atto, come il controllo della casella postale e l'arresto con deportazione del suo responsabile.740 Nonostante ciò, l'attività libertaria non si arrese e nel luglio 1892 il giornale bonaerense «El Perseguido» annunziava che un gruppo di anarchici della capitale carioca aveva inviato una sottoscrizione per il giornale, mentre un mese dopo lo stesso periodico informava che a Rio de Janeiro si erano costituiti diversi gruppi comunisti anarchici, uno dei quali, il circolo A Mocidade, nel novembre dava alle stampe l'opuscolo del russo Piotr Kropotkine, Aos jovens.741 Durante i primi anni dell'ultimo decennio del secolo cominciano a circolare le prime notizie sull'espatrio di alcuni anarchici italiani alla volta del Brasile. Verso la metà di settembre 1891, Carlo Sampietro e Luigi Brenno lasciavano la penisola per recarsi nel paese sudamericano, secondo le autorità italiane, ma in seguito non furono fornite notizie sul loro conto. Nel gennaio 1892 il ministro d'Italia a Rio de Janeiro segnalava che gli anarchici toscani Alfredo Casini e Giuseppe Consorti erano stati iscritti nei registri della Legazione, tuttavia essi e gli altri anarchici italiani non davano notizie di sé. Infine, un anno dopo, il MAE segnalava all'autorità diplomatica italiana che il tipografo fiorentino Ettore Marchini era partito per raggiungere São Paulo.742 Negli anni successivi

739Cfr. M. GITAHY, Porto de Santos, 1888-1908, in A. A. PRADO (org.), Libertários no Brasil. Memória, lutas, cultura, São Paulo, Editora Brasiliense, 1986, pp. 75-76; J. W. F. DULLES, Anarquistas e comunistas no Brasil (1900-1930), Rio de Janeiro, Editora Nova Fronteira, 1977, p. 22; E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., p. 66. Sui programmi del Partido Operário in Brasile, pubblicati su «O Echo Popular» – poi «O Echo Operário» – di Rio de Janeiro durante il 1890, vd. E. CARONE, Movimento Operário no Brasil (1877-1944), São Paulo e Rio de Janeiro, DIFEL, 1979, pp. 296-304. 740Vd. «El Perseguido», Buenos Aires: Nuevos colegas, a. II, n. 32, 29 novembre 1891; Rebencazos, a. III, n. 37, 14 febbraio 1892; ¡¡Farsantes!!, a. IV, n. 63, 13 agosto 1893 741Vd. «El Perseguido», Buenos Aires, a. III (1892): Cosas varias, n. 44, 10 luglio; Cosas varias, n. 46, 14 agosto; Movimiento sociale, n. 52, 27 novembre. 742Vd. le note del MAE alla Legazione d'Italia a Rio de Janeiro, 18 ottobre 1891 e 18 gennaio 1893, e il rapporto di quella Legazione al MAE del 12 gennaio 1892, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Rio de Janeiro. Le informazioni fornite dal MAE però, non erano del tutto affidabili. Nel maggio segnalava alla Legazione d'Italia che il Casini era morto di febbre gialla e che Giuseppe Consorti e suo fratello Pietro erano tornati in Italia, notizie alle quali la Legazione rispose dicendo che il nome dell'italiano deceduto a causa dell'epidemia era Federigo Cassini – segnalando che poteva trattarsi effettivamente di Alfredo – mentre non si avevano avuto notizie sui Consorti. Vd. La nota

330 l'arrivo di anarchici italiani nel Brasile, particolarmente a São Paulo, divenne più numerosa, al punto da costituire un'immigrazione politica persino maggiore di quella socialista. In ogni caso, anche i socialisti italiani svolsero un'importante attività politica fin dall'inizio del decennio, innalzandosi come un notevole punto di riferimento per il marxismo brasiliano, seppur non riuscissero ad avere grande seguito a causa dei conflitti interni e la loro organizzazione si limitasse pressoché a solo militanti originari della penisola.743 Fra i socialisti italiani che giunsero in Brasile all'inizio degli anni '90, gli emiliani e i romagnoli ebbero un peso considerevole, specie a São Paulo. La figura più importante fu Alcibiade Bertolotti, considerato da Luigi Biondi come il «decano del socialismo italiano nel Brasile», originario di Vigatto, provincia di Parma, arrivò nella novella repubblica sudamericana nel 1891. Vicino alle posizioni di Andrea Costa, insieme al repubblicano emiliano Domenico Rangoni – anche lui arrivato nel 1891 e raggiunto da suo fratello Giuseppe verso la fine dell'anno – fondano il giornale di lingua italiana «Il Messaggero» e il Circolo XX Settembre. Questo circolo, che aveva come pretesa l'unione fra repubblicani e socialisti – escludendo gli anarchici – celebrò le commemorazioni di Giuseppe Garibaldi e organizzò comitati elettorali durante quello stesso 1891, rimanendo attivo fino al 1894. Un altro collaborate del deputato imolese che si recò in Brasile fu il lughese Antonio Lanzoni, che migrava temporaneamente nel paese sudamericano. Nel 1892 si stabilì a Rio de Janeiro ma due anni dopo fu espulso e accusato d'essere anarchico.744 Intanto il socialismo italiano in terre brasiliane muoveva i suoi primi passi, mentre il socialismo locale attuava diversi tentativi per dare organicità e sistematicità alle idee socialiste, le quali però, sembra che fossero ancora piuttosto vaghe e confuse. I periodici di posizioni vagamente operaiste e socialiste continuavano ad uscire durante la prima metà degli anni '90, tra i quali «Jornal do Operário» (São Paulo, 1892) «O Operário» (Santos-São Paulo, 1892), «O Operário» (Fortaleza, 1892), «O Operário» del MAE alla Legazione d'Italia a Rio de Janeiro, 18 maggio 1892, e la risposta della Legazione, 26 giugno 1892, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Rio de Janeiro. 743 A. TRENTO, «Wherever we work, the land is ours»: the Italian anarchist press and working- class solidarity in São Paulo, in D. GABACCIA e F. OTTANELLI, Italian workers of the world. Labor migration and the formation of muliethnic states, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 2001, p. 106 744Vd. L. BIONDI, Classe e nação. Trabalhadores e socialistas italianos em São Paulo, 1890- 1920, Campinas (SP), Editora Unicamp, 2011, pp. 120-126; ID., La militanza politica e sindacale degli emiliano romagnoli a São Paulo (1890-1920), in Gli emiliano-romagnoli e l'emigrazione italiana in America Latina: il caso modenese, cit., pp. 176-177.

331 (Amazonas, 1892), «O Socialista» (Rio de Janeiro, 1893), «A Voz do Operário» (Bahia, 1894), «O Operário» (Rio de Janeiro, 1895) e «O 1° de Maio» (São Paulo, 1895). Più importante però fu la pubblicazione del giornale «A Questão Social» di Santos nel 1895, il quale assunse una linea di evoluzionismo socialista per avvicinarsi in seguito a posizioni più chiaramente marxiste. Questo foglio era pubblicato dal Centro Socialista di quel porto, fondato lo stesso anno da Silvério Fontes, Sóter de Araújo e Carlos Escobar. Questo centro organizzò alcune conferenze e nel 1897 contava già con una biblioteca, ma non ebbe contatto con il proletariato santista. Intanto, nei mesi d'agosto e settembre 1892, a Rio de Janeiro si era tenuto il congresso del Partido Operário Brasileiro, il cui programma fu pubblicato nel marzo dal giornale carioca «O Socialista», mentre a Bahia si fondava il Centro Operário di quella città nel 1894 e l'anno dopo si riorganizzava il Partido Operário Socialista.745 Anche se la maggior parte degli immigrati italiani che arrivarono in Brasile durante l'ultimo decennio del XIX secolo si diressero nelle fazendas, praticamente tutti i miltanti che si recavano nel paese sudamericano si stabilirono nelle città e particolarmente a São Paulo. Durante questo periodo, nella capitale paulista esistevano già alcuni grandi stabilimenti industriali, specie nel settore tessile, ma rappresentavano ancora un'isola nel panorama produttivo della città, dominata da fabbriche e officine di piccola e medie dimensioni: le fabbriche di confezione, le tipografie e i mobilifici non impiegavano più di cinquanta operai, quelle di cappelli non avevano più di cento lavoratori, mentre molti artigiani e operai lavoravano in botteghe con non più di trenta persone.746 In ogni caso, la crescente concentrazione di lavoratori a São Paulo provocò i primi conflitti del lavoro. Nel giugno 1892 le operaie della fabbrica tessile S. Anna si rifiutarono di lavorare chiedendo un aumento dei salari e la «soppressione completa della «tassa sull’orina»!», mantenendo il movimento per almeno una settimana.747 Nell'aprile 1894 furono circa quattrocento gli operai dell'igiene pubblica – tutti italiani secondo il console – che dichiararono lo sciopero per mancato pagamento degli stipendi,

745Cfr. E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., pp. 66; E. CARONE, op. cit., pp. 304-314; M. GITAHY, op. cit., pp. 75-76; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 22. Secondo Edgar Rodrigues, il giornale santista «A Questão Social» ebbe all'inizio un indirizzo fourerista e poi prese posizioni marxiste. Vd. E. RODRIGUES, op. cit., p. 78. Alla fine del settembre 1892, poco dopo il congresso del Partido Operário, «El Perseguido» segnalava che quel partito si era spaccato in diverse fazioni. Vd. Movimiento Social, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 48, 25 settembre 1892. 746L. BIONDI, op. cit., p. 175. 747Per S. Paolo: Schiave bianche in sciopero, in «Gli Schiavi Bianchi», São Paulo, a. I, n. 4, 20 giugno 1892

332 conflitto finito con la mediazione dell'autorità diplomatica italiana, che vedeva nel movimento un serio pericolo per la sicurezza pubblica data la prossimità del Primo Maggio, «giorno in cui il partito anarchico italiano, qui abbastanza numeroso, si preparava a provocare seri disordini».748 Non solo a São Paulo scoppiarono gli scioperi. Nell'aprile 1892, nel sud del paese gli operai della rete viaria Paraná-Santa Catarina si astennero dal lavoro, movimento che, secondo Rodrigues, sarebbe stato promosso da alcuni ex coloni della colonia Cecilia.749 Fu in questo scenario che la stampa anarchica in lingua italiana ebbe il suo début nel Brasile. Nel maggio 1892 vide la luce a São Paulo il giornale «I° Maggio», il cui responsabile fu Achille Desantis e il gruppo redazionale composto da R. B. Alpinolo, Antonio Motta e Francesco Nassò. Fra gli articoli pubblicati sul periodico – tutti firmati da uno dei redattori – apparve un manifesto che convocava alla commemorazione del Primo Maggio con una riunione pubblica da celebrarsi in un locale della capitale paulista. D'altra parte, consapevoli dell'importanza di dar vita ad un foglio comunista anarchico quindicinale, i redattori facevano appello ai lettori per collaborare con il giornale. Nonostante ciò, sembra che del giornale ne fosse uscito solo il primo numero.750 Qualche settimana dopo la scomparsa del «I° Maggio», a São Paulo apparve «Gli Schiavi Bianchi», giornale settimanale la cui amministrazione era a carico dell'anarchico Galileo Botti e che ebbe fra i suoi collaboratori Francesco Nassò. Il foglio non difese in modo esplicito i principi anarchici, tuttavia, secondo Cláudia Leal, mantenne corrispondenza con «El Perseguido» di Buenos Aires, «La Favilla» di Mantova e «Il Grido degli Oppressi» di New York. Inoltre, le posizioni anarchiche apparivano con certa nitidezza in alcuni articoli. A proposito dello sciopero delle operaie della fabbrica di tessili S. Anna del 1892, di cui abbiamo già parlato, il giornale faceva appello alle lavoratrici per continuare con il movimento consigliando però di non illudersi con l'idea che una vittoria le avrebbe rese libere e aggiungeva: «Bisognerebbe che v’impossessaste della fabbrica intera e mandaste i padroni a far «capino»». D'altra parte, nonostante il movimento anarchico e socialista iniziasse appena a svilupparsi, colpisce la grande rete di contatti che la redazione del giornale aveva in tutto il Brasile, specie in diverse città e località dello stato di São Paulo ma anche a Rio de Janeiro, Santos e negli stati del Pará, 748Rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 4 maggio 1893, ASD-MAE, Serie Politica P, Pos. 35 Brasile, b. 281 1894-1895. 749E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabahadores italianos no Brasil, cit., pp. 55-57. 750Vd. «I° Maggio», São Paulo, a. I, n. 1, 1° maggio 1892.

333 Minas Gerais, Paraná e Rio Grande do Sul. Dal quarto numero del periodico paulista sembrerebbe che all'estero i suoi contatti si limitassero a Buenos Aires, dove i destinatari della corrispondenza erano Orsini Bertani ed Emilio Zuccarini.751 «Gli Schiavi Bianchi» ebbe breve durata e un'esistenza accidentata, a causa delle misure repressive del governo paulistano nei suoi confronti. Nel giugno il giornale ricevette una sanzione dal governo e dovette sospendere le pubblicazioni a causa della pubblicazione di una lettera aperta al capo della polizia paulista. Con quell'articolo la redazione del periodico interpellava il funzionario di polizia esigendo la fine degli abusi e dei maltrattamenti da parte delle forze dell'ordine nei confronti dei lavoratori italiani, sfidandolo persino a battersi in parità di condizioni e chiudendo: «portate rimedio a questi fatti o noi sceglieremo altri mezzi per poterci difendere». L'articolo costò a Botti l'arresto, il suo trasferimento alla Casa de Detenção di Rio de Janeiro e, come d'abitudine in Brasile, si decretò la sua espulsione senza processo giudiziario. Verso la fine di agosto fu imbarcato nella capitale federale con destino in Portogallo ma sbarcò a Bahia e prese la via di ritorno per São Paulo, sembra grazie all'intervento del ministro d'Italia in Brasile, sollecitato dall'allora redattore de «L'Acquila Latina», Vitaliano Rotellini. Botti tornò a São Paulo nell'ottobre e il giornale riprese le sue pubblicazioni con un numero di sole due pagine, sul quale apparve come l'amministratore, mentre Bernardino Nori apparve come il gerente responsabile. In prima pagina, il giornale assicurava che dopo il «lungo e forzato silenzio» il foglio avrebbe ricominciato ad uscire normalmente nel novembre, il che apparentemente non avvenne mai. Secondo Pantaleone Sergi, nel 1893, sotto la direzione di Nori, «Gli Schiavi Bianchi» cambiò nome in «La Giustizia», periodico diretto in seguito da Luigi Schirone.752 La situazione vissuta da Galileo Botti e «Gli Schiavi Bianchi» non fu un caso isolato in assoluto e, anzi, le persecuzioni dei militanti anarchici si estesero in altre regioni del 751Vd. «Gli Schiavi Bianchi», São Paulo, a. I, n. 4, 29 giugno 1892, in particolare Per S. Paolo: Schiave bianche in isciopero e In barba ai francobolli. Vd. anche L. BETTINI, Bibliografia dell'anarchismo, vol. I, tomo 2, cit., pp. 50-51; C. LEAL, Subversivos italianos em São Paulo: vigilância e controle policias nos anos de 1890, in História do trabalho e histórias da imigração: trabalhadores italianos e sindicatos no Brasil (Séculos XIX e XX), cit., pp. 115-117. 752ASD-MAE, Serie Z Contenzioso, Pos. P 35 Brasile, b. 81, fasc. 1451 Galileo Botti e altri 1892-1894. D'interesse sono la lettera di Botti al ministro d'Italia a Rio de Janeiro, 1 ottobre 1892, le note di Botti a Vitaliano Rotellini dell'agosto, quando era in carcere, e le note di Rotellini al ministro d'Italia. Vd. anche «Gli Schiavi Bianchi», São Paulo, a. I (1892): Al Capo di Polizia (Lettera aperta), n. 4, 20 giugno 1892; Ai lettori, n. 6, ottobre. Cfr. C. LEAL, op. cit., pp. 115-116; P. SERGI, Funzioni pedagogiche, etniche e politiche della stampa italiana in Brasile, cit., pp. 21-22; L. BETTINI, Ibid.

334 Brasile. Nei primi dell'ottobre 1892, alcuni anarchici, tutti originari della penisola e prevalentemente della Toscana, furono coinvolti in un furto a Curitiba e accusati di costituire una banda di ladri. Una parte di essi fu arrestata – tra i quali la moglie di Arnaldo Gattai, il quale si era stabilito con la propria famiglia nella colonia Cecilia nel 1891, abbandonandola però dopo pochi mesi a causa della spaccatura di quell'anno – mentre altri riuscirono a scappare e solo uno di loro, Eugenio Lemmi, rimase in prigione condannato a otto anni di carcere.753 Nel novembre dello stesso anno vari anarchici furono arrestati a Rio de Janeiro fra i giorni 19 e 20. Alcuni giorni prima, la polizia carioca si era infiltrata nella riunione di commemorazione dei Martiri di Chicago, tenuta nella sede del Partido Operário, individuando gli oratori più «esaltati». Il risultato fu sette persone arrestate, la maggior parte spagnoli ma fra i quali c'era anche l'italiano Antonio Fontana e la sospensione delle pubblicazioni di «A Revolução Social», mentre il Partido Operário si affrettava a esplicitare le sue distanze dagli anarchici e a negare qualsiasi solidarietà. Quasi due mesi dopo, cinque degli anarchici incarcerati furono inviati a Lisbona, tre dei quali – fra essi Fontana – però tornarono in Brasile verso la fine di marzo e l'inizio d'aprile, mentre gli altri due erano stati deportati in Argentina.754 Oltre alla sorveglianza sui militanti attivi nelle città, le autorità brasiliane disposero anche la vigilanza e il controllo dei porti e delle foresterie per gli immigrati, senza contare che un primo controllo era fatto nei porti italiani dai commissari brasiliani d'immigrazione. Questa politica permise alla polizia del paese sudamericano di fare diversi arresti durante il 1893. Nel febbraio furono detenuti 21 immigrati che erano giunti a Santos con il piroscafo Solferino, 9 dei quali furono poi deportati. Nel maggio, l'Inspetoria Geral das Terras e Colonização avvertiva la polizia paulista dello sbarco di trenta anarchici a Santos. Infine, nel luglio, venti immigrati italiani, sospetti anarchici, furono arrestati nell'Hospedaria dos Imigrantes di São Paulo e poi interrogati, ma finalmente rilasciati dopo quattro giorni. Intanto, anche a Rio de Janeiro la repressione si faceva sentire sugli anarchici. Una lettera d'inizi d'agosto, pubblicata su «El Perseguido»,

753Vd. i rapporti del Consolato d'Italia a São Paulo diretti al MAE, 20 ottobre 1892 e 17 febbraio 1893, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. São Paulo. Vd. anche I. FELICI, Anarchici italiani in Brasile. Il percorso emblematico di Francisco Gattai, in «Rivista Storia dell’anarchismo», a. X, n. 2 (20), luglio-dicembre 2003, pp. 59-61. 754Vd. «El Perseguido», Buenos Aires, a. III, n. 53, 15 dicembre 1892; a. IV (1893): Carta de un deportado, n. 54, 8 gennaio; Movimiento social, n. 57, 26 marzo; Carta de Rio Janeiro, n. 58, 16 aprile; Exterior, n. 59, 7 maggio; ¡¡Farsantes!!, n. 63, 13 agosto; Brasile, in «Lavoriamo», Buenos Aires, n. 2, 1 gennaio 1893.

335 denunciava la detenzione di sei operai della fabbrica tessile Carioca e la perquisizione delle loro case dopo aver partecipato allo sciopero dello stabilimento contro i maltrattamenti.755 Nonostante la politica repressiva del governo, la formazione del movimento anarchico nelle terre brasiliane era in una inarrestabile via di sviluppo. Nel sud del paese apparvero i primi nuclei di militanti. Nel 1894, a Porto Alegre si formò il circolo anarchico Grupo dos Homens Livres, che durante quell'anno fece uscire il giornale «A Luta», mentre l'anno dopo a Curitiba alcuni militanti italiani iniziarono a collaborare con l'incipiente movimento libertario della città, tra i quali l'ex colono della Cecilia Pietro Colli, l'anarchico di origine parmense Achille Martini e Pietro Riva. Quest'ultimo fece propaganda dell'ideale anarchico nelle società italiane del Paraná.756 Il più importante sviluppo del movimento anarchico brasiliano durante la prima metà degli anni '90, in particolare grazie ai militanti d'origine italiana, si visse nella stato di São Paulo. Oltre all'uscita della stampa anarchica di lingua italiana nella capitale paulista, alcuni gruppi s'organizzarono anche nelle piccole città dello stato, come il gruppo comunista-anarchico Gli Scamiciati, nato l'11 novembre 1892 a São João di Rio Claro in occasione della commemorazione dei Martiri di Chicago.757 In ogni caso, lo sviluppo del movimento libertario si concentrò nella città di São Paulo, dove, secondo il console italiano, nel 1891 si costituì il primo nucleo anarchico del Brasile, il quale «disgraziatamente si compone esclusivamente di italiani». A suo avviso, la causa di questa comparsa fu l'invio nel paese sudamericano dei «caporioni» rivoluzionari dopo i fatti del 1° maggio 1891 accaduti nella penisola, militanti che avrebbero scelto São Paulo

755C. LEAL, op. cit., pp. 109-115. Nel maggio 1893, «El Perseguido» segnalava che tredici anarchici, accompagnati da cinque delle loro compagne e cinque bambini, furono arrestati al loro sbarco a Santos e poi rispediti in Europa con il piroscafo Colombo, senza indicare la data. Nell'agosto, invece, lo stesso giornale parlava della deportazione di dieci famiglie da Santos con direzione Europa, accaduta a marzo. Vd. anche «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV (1893): Exterior, n. 59, 7 maggio; ¡¡Farsantes!!, n. 63, 13 agosto 1893. È probabile che, con qualche imprecisione nei dati, entrambi gli articoli si riferiscano ai 9 deportati che arrivarono a Santos a febbraio con il piroscafo Solferino. Sugli arresti dei sei militanti libertari a Rio de Janeiro, vd. ¡Otro crimen en el Brasil!, in «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV, n. 64, 17 settembre 1893. 756Vd. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., p. 57; ID., Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., p. 73. Achille Martini, violinista, nacque a Traversetolo, provincia di Parma, il 31 marzo 1866 da Pietro e Fiolema Carbognani. La famiglia Martini si trasferì da Traversetolo – dove Pietro lavorava come cancelliere della Pretura locale – a Parma nel 1874, mentre, secondo la polizia italiana, Achille si recò in Brasile nel 1881. Vd. ACS, CPC, b. 3101, fasc. Martini Achille. 757Brasile, in «Lavoriamo», Buenos Aires, n. 2, 1° gennaio 1893.

336 «come il più adatto alla propagazione delle loro idee» perché vi si concentrava la maggior parte dell'immigrazione italiana. Il console scrisse questo rapporto nel marzo 1894, assicurando che «per mala sorte le idee anarchiche si stanno propagando in città e campagna», e costituiva un serio pericolo per gli interessi italiani. Risulta interessante che il rappresentante diplomatico includesse fra i «caporioni» anarchici il socialista rivoluzionario Alcibiade Bertolotti, il repubblicano – seppur di ex fede anarchica – Vitaliano Rotellini e il mazziniano Domenico Rangoni.758 Probabilmente non fu stato un caso che il console, così come qualche anno prima il ministro d'Italia, «confondesse» l'anarchismo con le altre tendenze della sinistra italiana nel Brasile per rendere il suo rapporto più drammatico e allarmista di quanto sarebbe stato riferendosi alle reali forze del movimento anarchico d'origine italiana. Nell'agosto 1893 uscì nella capitale paulista il giornale satirico «L'Asino Umano», fondato da Giuseppe Zonghetti e portavoce del Centro Socialista Internazionale. Questo circolo, al quale partecipavano diversi socialisti, fu composto anche da alcuni anarchici come Augusto Donati e Giuseppe Consorti, oltre al pittore Felice Vezzani, artista originario di Novellara, provincia di Reggio Emilia, e ai fratelli Arturo e Luciano Campagnoli d'Imola.759 Vezzani lasciò l'Italia nel gennaio 1893, poco dopo esser passato fra gli anarchici, da posizioni socialiste, mentre i Campagnoli arrivarono nel porto di Santos con il vapore Nord America nel luglio 1891 insieme alla famiglia. Arturo aveva allora 17 anni e Luciano 16 e con loro approdarono in terre pauliste anche il fratello Guido di 12, Antonio di 5, il padre Vincenzo e la madre Marianna Comazzani, passando dall'Hospedaria dos Imigrantes di São Paulo.760 Secondo Edgar Rodrigues, Arturo

758Vd. il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 28 marzo 1894, ASD- MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo. 759C. LEAL, op. cit., p. 118. 760Arturo Campagnoli, falegname e orefice, nacque a Imola il 13 gennaio 1874, mentre Luciano nacque nella stessa città il 13 dicembre 1875. Avendo vissuto a Imola i loro primi anni di vita, si trasferirono con la famiglia a Bologna nel 1886, dove Arturo aiutava il padre nel suo mestiere di ebanista e dove nacque il fratello Antonio. Secondo il cenno biografico di Arturo, si diceva che questo sarebbe fuggito a 16 anni dalla casa paterna per raggiungere un suo supposto fratello Domenico a São Paulo – il quale sembra non esistesse – tuttavia lo stesso documento affermava che era più probabile che l'imolese fosse partito con la propria famiglia nel 1891, chiamati dal fratello Paolo. Vd. ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo e fasc. Campagnoli Luciano, in particolare la biografia di Arturo redatta dalla prefettura di Bologna, 30 settembre 1900. Sull'arrivo dei Campagnoli in Brasile, vd. APESP, Acervo digital do Museu da Imigração di Estado do São Paulo, Registro de matrícula Hospederia dos Immigrantes di São Paulo, Libro 027, p. 95. http://museudaimigracao.org.br/acervodigital/livros.php . Secondo questo registro Guido aveva 15 anni al suo arrivo in Brasile, tuttavia il suo atto di nascita conservato nel

337 Campagnoli sarebbe arrivato in Brasile nel 1888 e in seguito avrebbe fondato una colonia comunista anarchica a Guararema, stato di São Paulo, tuttavia lo storico portoghese prese questa affermazione dal romanzo di Afonso Schmidt, São Paulo de meus Amores, e, in realtà, l'anarchico imolese si stabilì a Guararema solo nei primi anni del Novecento, nei terreni di suo fratello.761 Quello che è chiaro, è che a São Paulo Arturo Campagnoli incontrò Felice Vezzani, responsabile della «corruzione morale e materiale» dell'imolese.762 Dai numeri disponibili de «L'Asino Umano», sappiamo che Augusto Donati fu il redattore responsabile, almeno nel marzo 1894, tuttavia secondo diverse fonti il direttore del foglio fu Felice Vezzani. Infatti, il novellarese approfittò delle pagine del periodico per tentare di dare un certo impulso alla sua carriera d'artista. Sul numero 26 della seconda serie del giornale, si pubblicizzò una mostra dei dipinti del novellarese, tenuta nel locale Pinto e Cabral, aggiungendo ai quadri esposti in precedenza, una veduta di Rio de Janeiro che era stata acquistata dal socialista Alcibiade Bertolotti. Nello stesso numero, Vezzani pubblicò un'accusa, in forma di poesia, contro un tale Del Picchia per avergli rubato la paternità di due dipinti. Infine, in una rubrica piuttosto rara nella stampa anarchica, quella degli annunci pubblicitari, apparve la pubblicità dell'«Estudo e officina de pintura de Cappelli Fabio & Vezzani», situata in Rua Florencio d’Abreu 23, São Paulo, dove si facevano ritratti, quadri, decorazioni e diversi lavori decorativi. Questa rubrica occupava la quarta pagina del giornale e in essa apparve anche l'officina di Ettore Bellei, che allora faceva il fontaniere.763 Bellei, originario del modenese, era arrivato in suo fascicolo presso l'Archivio di Stato di Bologna stabilisce la data nel 13 settembre 1879. Un quinto figlio del matrimonio Campagnoli-Comazzani, Ercole, nato nel 1870, ingegnere che divenne padre di Diana nell'agosto 1891 – cioè due mesi dopo la partenza della famiglia – partì per il Brasile nell'ottobre 1894, data in cui la polizia italiana, riteniamo in modo sbagliato, segnalava la partenza di Guido alla volta del paese sudamericano. Vd. ASBo, Gab. Ques., cat. A-8, fasc. Campagnoli Ercole e Campagnoli Guido. Su Felice Vezzani, vd. il suo cenno biografico scritto dalla Prefettura di Bologna, 10 settembre 1899, ACS, CPC, b. 5392, fasc. Vezzani Felice; ASBo, Gab. Ques., cat. A-8, Radiati, b. 163, fasc. Vezzani Felice. 761I. FELICI, A verdadeira história da Colônia Cecília de Giovanni Rossi, cit., pp. 53-54. Cfr. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., pp. 19-20; ID., Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., pp. 35-36; Arthur Campagnoli, in ID., Os companheiros, vol. I, cit, pp. 75-76. 762Cenno biografico di Arturo Campagnoli, 30 settembre 1900, ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo. 763Vd.«L'Asino Umano», São Paulo, a. II, n. 26, 11 marzo 1894, in particolare Confessione; Sfida artistica; Annunzi a pagamento. Sul ruolo svolto dal Vezzani nel giornale, vd. il rapporto del console d'Italia a São Paulo, 28 marzo 1894, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. São Paulo. Il console fece riferimenti imprecisi sull'anarchico

338 Brasile nel 1891 insieme a suo figlio Ferruccio, di 11 anni e la polizia italiana affermava che nella penisola aveva lavorato come bracciante e si era dimostrato di «sentimenti anarchici».764 «L'Asino Umano», legato all'esistenza del Centro Socialista Internazionale, collaborò con la diffusione delle riunioni e delle attività del Cento Socialista Internazionale. Nel marzo 1894 convocò la commemorazione della Comune di Parigi, che si tenne domenica 18 con una grande partecipazione, secondo il giornale, il che costituiva «una buona affermazione del partito socialista in S. Paulo, che incomincia ad avere vigore e vitalità». Indubbiamente, al di là delle sicure differenze che c'erano fra anarchici e socialisti, gli sforzi degli uni e degli altri, trovarono nel Centro Socialista un punto d'incontro per la spinta del movimento socialista in Brasile. Nella commemorazione parlarono i socialisti Alcibiade Bertolotti ed Emilio Massardo, tra gli altri, dove si approvò un ordine del giorno che incluse un saluto solidale ai compagni di Massa Carrara e della Sicilia, vittime della repressione del governo italiano e la convocazione di riunioni preparatorie al Primo Maggio. Il Centro era abbastanza attivo in questo periodo: aveva pubblicato un manifesto a proposito del 18 Marzo, inviandone molte copie nei paesi dell'interno dello stato – che non arrivarono però per negligenza della posta – e aveva aperto una sottoscrizione a favore delle vittime della repressione nella penisola. Infine, il periodico aveva aperto una sottoscrizione per favorire l'apertura di una tipografia propria, la quale avrebbe potuto consentire l'uscita di due numeri alla settimana, uno più satirico la domenica e un altro più «serio» il giovedì. Fra i sottoscrittori, oltre ai toscani Giuseppe Consorti, Augusto Donati e al campano Antonio Maffucci, ci furono Felice Vezzani e il cappellaio ravennate Luigi Bezzi.765 novellarese, sostenendo che il suo nome era Giovanni Vezzani, pittore originario di Parma e che era stato processato in Italia come appartenente ad associazioni di malfattori, presunto processo però del quale non si hanno notizie. Su «L'Asino Umano» e Felice Vezzani, vd. inoltre L. BETTINI, op. cit., pp. 52-53; E. RODRIGUES, Os companheiros, vol. II, Rio de Janeiro, VJR, 1995, p. 110. Bettini sostiene che le vignette satiriche e un ritratto di Augusto Vaillant apparsi sui numeri 26 e 28 della seconda annata del giornale appartengono al Vezzani. 764Ettore Bellei nacque a Villa Santa Caterina, provincia di Modena, l'8 agosto 1854 da Ferdinando e Beatrice Rossi. Vd. ACS, CPC, b. 448, fasc, Bellei Ettore. Ferruccio Bellei, di Ettore e Adalgisa Monari, nacque a Modena il 9 maggio 1880. Vd. ACS, CPC, b. 448, fasc. Bellei Ferruccio; Bellei Ferruccio, in A. Pirondini, Anarchici a Modena. Dizionario biografico, cit., p. 63. 765Vd. Commemorazione della Comune di Parigi e Sottoscrizione per l'acquisto di tipi, in «L'Asino Umano», São Paulo, a. II, n. 28, 25 marzo 1894. Luigi Bezzi nacque a Ravenna l'11 febbraio 1850, da Aristide e Marianna Focaccia. Secondo la Prefettura di Ravenna, il Bezzi si trasferì a Viterbo nel 1881, dove sposò Albina Monti, con cui ebbe quattro figli e

339 Seppur in modo sporadico, il giornale paulista stabilì qualche contatto con i gruppi anarchici dell'Argentina. Nell'ottobre 1893 «El Perseguido» de Buenos Aires dava pubblicità a «L'Asino Umano», mentre nel novembre fu il «Demoliamo» di Rosario a menzionare l'esistenza del foglio brasiliano di lingua italiana. La collaborazione più importante fu la sottoscrizione inviata dal gruppo de «L'Asino Umano» a «El Perseguido» in favore della famiglia dell'anarchico catalano Paulio Pallás, giustiziato nell'ottobre di quell'anno a Barcellona. Qualche mese prima, un gruppo di anarchici di São Paulo aveva inviato una sottoscrizione a favore dell'iniziativa del circolo bonaerense Juventud Comunista Anárquica per la pubblicazione di La Conquista del Pan di Kropotkine, tuttavia sembra che nessuno dei sottoscrittori avesse un legame diretto con il periodico pubblicato a São Paulo o con il Centro Socialista Internazionale di quella città.766 Con lo scoppio dell'insurrezione navale a Rio de Janeiro nel settembre 1893, il governo federale brasiliano impose lo stato d'assedio ed emanò un decreto sulla libertà di stampa con il quale riuscì a sospendere la pubblicazione di alcuni giornali del Brasile. Tra essi ci fu «L'Asino Umano», sospeso nel marzo 1894 per aver trattato ironicamente la rivolta e la reazione militare del governo. Indubbiamente, a questo motivo, si aggiunsero le simpatie del giornale per l'anarchismo e il suo legame con il Centro Socialista Internazionale. Come risposta alla sospensione del foglio, Felice Vezzani pubblicò il 31 marzo un primo e unico numero de «La Bestia Umana», il quale criticò l'atteggiamento della polizia paulista nei confronti de «L'Asino Umano» e criticò anche le autorità italiane, facendo inoltre una difesa del socialismo. Denunziato alla polizia come giornale di nel 1885 si trasferì a Palestrina, provincia di Roma, dove si mostrò di «carattere oltremodo violento, di cattiva condotta morale e di opinioni politiche molto avanzate». In quel comune, in una rissa ferì gravemente il contadino Settimio Palamidesse e nel febbraio 1887 fu condannato dal Tribunale di Roma a quattro mesi di carcere, dopodiché si rese latitante e la polizia perse le sue traccie. Già nel 1870 era stato condannato dalla Corte d'Assise di Vercelli a sette anni di carcere per omicidio. Fu rintracciato in Brasile, nel porto di Santos, solo nel 1902 e segnalato come anarchico, ma non si conosce la data del suo arrivo nel paese sudamericano. Vd. il rapporto della Prefettura di Ravenna alla DGPS, 21 agosto 1902, ACS, CPC, b. 603, fasc. Bezzi Luigi. 766Sulla pubblicità de «L'Asino Umano» in Argentina, vd. «El Perseguido», Buenos Aires, a. IV, n. 65, 22 ottobre 1893; «Demoliamo», Rosario di Santa Fè, a. I, n. 2, 11 novembre 1893. Sulla sottoscrizione per la famiglia Pallàs, vd. «El Perseguido», a. IV, n. 67, 17 dicembre 1893. Sulla sottoscrizione a favore del gruppo Juventud Comunista-Anárquica, vd. «El Perseguido», a. IV, n. 64, 17 settembre 1893. I militanti che inviarono il loro contributo da São Paulo per questa sottoscrizione furono Upuo, Peretti, Flori Agiustini, Valentino Cardasco, Josè Urene, Giorgi di Maggio, Noario Bichi, T. Gianoni, Spadomi, «Bande a fleco à Napuo Francesco» e Ferrari. Verso la fine del giugno 1894, Valentín Cordasco fu arrestato a São Paulo e dopo 52 giorni di reclusione fu deportato in Europa. Vd. Notas varias, in «El Perseguido», a. V, n. 72, 22 novembre 1894.

340 anarchici italiani, si decretò la sua sospensione, argomentando però che il periodico non aveva parlato della rivolta militare come imponeva la censura sotto lo stato d'assedio.767 Le misure prese contro i giornali del Vezzani furono il riflesso delle preoccupazioni della polizia e del governo di São Paulo sulla diffusione del socialismo e dell'anarchismo nella città, ma non furono i soli a inquietarsene. Il console italiano nella capitale paulista, conte Brichanteau, insistette in modo reiterato sul pericolo che rappresentava lo sviluppo dell'anarchismo. Verso la fine di marzo 1894, il console italiano a São Paulo comunicava al MAE che gli anarchici della città avevano pubblicato tre giornali che raccoglievano fondi per le famiglie delle vittime della Lunigiana e della Sicilia, che avevano protestato contro la festa in onore del genetliaco di re Umberto, che avevano commemorato l'anniversario della Comune di Parigi e, infine, che si preparavano per il Primo Maggio. Tuttavia, il rappresentante diplomatico sosteneva che gli stretti rapporti con il governo paulista promettevano una pronta cooperazione «per sradicare la mala pianta ottenendo, prima del p. v. Maggio, l’espulsione dallo Stato di tutti i caporioni anarchici». In seguito, il console chiedeva al ministro degli Affari Esteri di poter assicurare al governo paulista che il governo italiano non avrebbe fatto reclami per le eventuali espulsioni del 1° maggio di tutti i principali anarchici «e se sia preferibile che il governo dello Stato li faccia deportare per conto suo al Pará o alle Amazzoni ove il clima stesso s’incaricherebbe di pronunciare una sentenza inappellabile, o si debba invece spedirli in Italia a disposizione della giustizia punitiva del Regno».768 Con l'accordo fra il rappresentante della penisola a São Paulo e le autorità paulistane, la sera del 15 aprile 1894, dopo una riunione preparativa della commemorazione del Primo Maggio tenuta nella sede del Centro Socialista Internazionale, la polizia arrestò almeno 16 anarchici e socialisti. In una lettera pubblicata sul giornale «O Estrangeiro» di Rio de Janeiro e riprodotta dal periodico anarchico «L'Avvenire» di São Paulo, Felice Vezzani accusò il console italiano Brichanteau di aver ordito la cattura dei militanti del Centro Socialista infiltrando alle loro riunioni delle spie e poi segnalando al capo della polizia paulista i nomi di quelli che, secondo lui, preparavano degli attentati dinamitardi per il 1° maggio. Secondo l'anarchico novellarese, in realtà il conte Brichanteau voleva dare un colpo ai redattori de «L'Asino Umano» e ai militanti del Centro Socialista, tuttavia non tutti i segnalati dal console

767C. LEAL, op. cit., pp. 118-120. Secondo Leal, al momento dell'uscita de «La Bestia Umana», Felice Vezzani era il presidente del Centro Socialista Internazionale. 768Vd. il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 28 marzo 1894, ASD- MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo.

341 furono arrestati poiché alcuni non assistettero alla riunione e perché altri non appartenevano al circolo, tra i quali Domenico Rangoni, Vitaliano Rotellini, il tenente Sfrappini e Mario Cattaruzza. In seguito, la polizia decretò un mandato di cattura su Cattaruzza e Alcibiade Bertolotti, i quali però riuscirono a sfuggire all'arresto. Intanto, i militanti del Centro Socialista e altre 800 persone, protestarono contro le arbitrarietà della polizia e contro i maneggi del Consolato.769 Secondo la versione del conte Brichanteau, nella riunione del 15 aprile furono 48 i detenuti, mentre altri riuscirono a scappare e alcuni, come Rotellini, Bertolotti e Alessandro Maglia, furono rilasciati grazie alle loro influenze politiche. Tuttavia, verso la fine di giugno c'erano ancora in corso perquisizioni domiciliari e il governo paulista aveva disposto l'espulsione dei detenuti, mentre il console chiedeva un'inchiesta e un eventuale processo per evitare che si ripetessero proteste contro il Consolato e future minacce di morte contro la sua persona. Diceva il rappresentante diplomatico: «è pur deplorevole di dover riconoscere che il partito anarchico italiano ha preso solide basi in S. Paolo ove, per la grande massa di nostri operai e coloni, quella lugubre setta può produrre danni gravissimi, di cui non si possono prevedere le funeste conseguenze», sostenendo inoltre che se il governo paulista non avesse ceduto alle pressioni, il problema si sarebbe sradicato e non persisterebbe la minaccia della vendetta.770 Pochi giorni dopo gli arresti, sei o sette dei militanti detenuti furono rilasciati, fra i quali Luciano Campagnoli771. Nei carceri di São Paulo, senza la possibilità di comunicare fra loro, rimasero invece dieci anarchici: Arturo Campagnoli, Felice Vezzani, Galileo Botti, Andrea Alemos, Augusto Bargioni, Augusto Stramazzo, Antonio Maffucci, Eugenio Gastaldetti, Francesco Patelli e Serafino Suppo, i quali dovevano essere deportati in Italia 769Vd. la lettera di Vezzani dal carcere di Rio de Janiero, datata il 14 novembre 1894, in «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 2, 2 dicembre 1894, p. 3-4. 770Vd. il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 26 giugno 1894, ASD- MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo. 771Secondo il ministro d'Italia in Brasile, Luciano Campagnoli non comparve nei registri ufficiali dei detenuti del 15 aprile perché, appunto, fu liberato poco dopo. Vd. il rapporto del ministro d'Italia a Rio de Janeiro alla DGPS, 22 novembre 1901, ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Luciano. Anche Edgar Rodrigues include Luciano Campagnoli fra gli arrestati dell'aprile, tuttavia sostiene che sarebbe stato fra gli anarchici che rimasero in carcere per quasi otto mesi. Vd. Luciano Campagnoli, in E. RODRIGUES, Os companheiros, vol. IV, Florianópolis, Insula, 1997, p. 22. Allo stesso modo, Rodrigues include anche Augusto Donati nel gruppo degli arrestati, ma neanche egli apparve nell'elenco di quelli che rimasero in carcere. E' probabile che, come Luciano Campagnoli, sia stato uno dei rilasciati pochi giorni dopo gli arresti. Vd. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., p. 15; ID., Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., pp. 64-65.

342 verso la fine del giugno, secondo quanto aveva comunicato il ministro della Giustizia del Brasile al console italiano, ma le autorità diplomatiche italiane riuscirono a convincere il governo brasiliano a rimandare la deportazione e a cambiarne la destinazione.772 Infatti, il governo italiano diede istruzioni precise ai suoi diplomatici in Brasile di non assumere nessuna responsabilità nei confronti degli accusati e d'intervenire per evitare che gli espulsi fossero inviati nella penisola.773 Nell'agosto, il console informava che il governo federale aveva deciso d'inviare gli anarchici ai lavori forzati nell'isola Fernando de Noronha, dopodiché le autorità diplomatiche italiane intervennero per evitare tale deportazione. Secondo il rappresentante italiano, tale misura avrebbe suscitato numerose proteste e, inoltre, non esisteva un'accusa di reato così grave e nemmeno un processo che giustificasse il confino.774 Intanto, dopo tre mesi di reclusione, il 20 luglio i dieci militanti libertari furono trasferiti nella Casa de Detenção di Rio de Janeiro, dove rimasero altri cinque mesi, senza processo e con l'accusa di essere anarchici pericolosi. Ancora in prigione, Vezzani raccontava che solo arrivati a Rio de Janeiro erano riusciti a «scrivere a persone di cuore e trovammo chi con intelligenza e amore di giustizia si occupò in nostro favore», iniziando con ciò le pratiche per ottenere la libertà. Verso l'inizio d'ottobre, il Supremo Tribunale Federal ricevette la richiesta di habeas corpus di Serafino Suppo, e il giorno 24 il detto tribunale ordinava la sua scarcerazione argomentando che il potere esecutivo non aveva la facoltà amministrativa per la sua deportazione. Il giorno 16 ottobre, anche Felice Vezzani richiese lo habeas corpus «visto achar-se arbitrariamente preso a mais de seis meses, sofrendo violencia em sua liberdade». Il pittore di Novellara dichiarava: «Devido a abuso foi preso pelo Chefe da Policia de São Paulo, e sem o menor vestigio de 772Vd. i rapporti del console d'Italia a Rio de Janeiro diretto al MAE, 4 luglio 1894 (con allegata traduzione della nota del ministro di Giustizia brasiliano sulla deportazione degli anarchici, 27 giugno 1894), ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo. Nell'agosto, il MAE comunicava al Consolato a São Paulo sui detenuti che Vezzani, Maffucci, Suppo, Tatelli, Campagnoli e Allemos non avevano antecedenti né erano stati anarchici nella penisola, mentre Bargioni era affiliato al partito repubblicano socialista e, infine, Stramuzzi, Botti e Gastaldetti erano invece anarchici pericolosissimi. Vd. la nota del MAE al Consolato d'Italia a São Paulo, 11 agosto 1894, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo. D'altra parte, fra i detenuti che Felice Vezzani elencò nella sua lettera a «O Estrangeiro», nominava Alfredo Capricci invece di Augusto Stramuzzi. Vd. «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 2, 2 dicembre 1894, p. 3-4. 773Vd. il telegramma del MAE al Consolato d'Italia a São Paulo, 7 aprile 1894, e le note del MAE allo stesso Consolato, 9 maggio e 6 agosto 1894, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo. 774Vd. il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 4 agosto 1894, ASD- MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. San Paolo.

343 um inquerito serio, depois de têr preso n’aquella capital mais di 90 dias, o remetteu ao Chefe de Policia da Capital Federal, que o conserva em completo abandono preso ma Casa de Detenção a três meses, sem nunca ser houvido». Il 21 novembre il Supremo Tribunale concedeva lo habeas corpus al Vezzani, ma doveva presentarsi tre giorni dopo di fronte al detto tribunale per confrontarsi con i chiarimenti del capo della polizia di Rio de Janiero. Nella sua dichiarazione, quel capo della polizia sosteneva che Vezzani, Allamoz, Campagnoli, Maffucci, Patelli e Botti, i quali avevano richiesto lo habeas corpus, erano stati segnalati dal proprio console insieme a quelli di altri quattro paesi come «anarchistas dynamiteiros», perciò arrestati e trasferiti a Rio de Janeiro per essere deportati – secondo decreto del 4 giugno –, aspettando soltanto il momento opportuno per attuare l'espulsione. La dichiarazione del capo della polizia carioca fu sufficiente perché i giudici, in contraddizione con la risoluzione riguardante il Suppo, negassero la libertà a Vezzani e agli altri.775 Secondo Vezzani, il 3 novembre il ministro italiano avrebbe telegrafato al governo brasiliano per impedire il rilascio degli anarchici, mentre il giorno 9 si comunicò a sei di essi – probabilmente quelli nominati dal capo della polizia nella dichiarazione per la richiesta di habeas corpus del Vezzani – che sarebbero stati deportati a proprie spese. Inoltre, il Tribunale Supremo aveva già ordinato la scarcerazione di due dei detenuti, la quale però non era ancora stata eseguita verso la metà di novembre e, in aggiunta, uno di loro doveva essere deportato. Sosteneva Vezzani: «dopo aver sperato negli sforzi di persone generose ed imparziali, dopo avere ottenuta sentenza legale in nostro favore ci si dà l'ordine di deportazione».776 Intanto, la stampa anarchica di lingua italiana di São Paulo riprendeva il fiato con la pubblicazione di «L'Avvenire», il cui primo numero uscì il 18 novembre. Com'era da aspettarsi, il giornale si riferì ai compagni incarcerati a Rio de Janeiro, «denunziati da una camarilla di ruffiani, di usuari e di vili, che intimoriti dallo sviluppo di questo Centro Socialista che svelava le loro magagne, le loro ipocrisie e le loro spudoratezze, risolverono ricorrere a false denunzie […] Ma nessun delitto, nessun crimine ad essi venne addebitato, tranne quello d’essere dei socialisti, degli anarchici, se delitto può chiamarsi». Il nuovo foglio ricordava che i compagni erano in galera da circa sette mesi, mentre esigeva l'apertura di un processo giudiziario che chiarisse come sarebbe finita la

775Vd. Processo de Habeas Corpus em que è paciente Felice Vezzani, 27 ottobre 1897, ANRJ, Supremo Tribunal Federal, fasc. BV.0.HCO 123. Vd. anche Processo de Habeas Corpus em que è paciente Suppo Serafino, 5 ottobre 1894, ANRJ, Supremo Tribunal Federal, fasc. BV.0.HCO 240. 776«L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 2, 2 dicembre 1894, p. 3-4.

344 vicenda. Intanto, alcune voci sostenevano che dei dieci detenuti, quattro sarebbero stati rilasciati e gli altri sei espulsi, dovendo pagarsi il biglietto loro stessi, ma non era chiara la veridicità della notizia.777 Infatti, la storia finì verso la metà di dicembre con la liberazione di tutti i dieci anarchici, evento che fu salutato con gioia da «L'Avvenire», che approfittava di ringraziare coloro che avevano reso possibile la scarcerazione dei compagni, «brave e buone persone che militano in un campo diverso dal nostro, il positivismo». Allo stesso tempo, il giornale anarchico criticava le affermazioni del «Fanfulla», che aveva sostenuto che la giustizia sempre trionfava nella repubblica, così come i giornali che davano credito al ministro italiano Aldo Nobili.778 Nel maggio 1902, Augusto Donati ricordava sulle colonne di «O Amigo do Povo» la liberazione dei compagni: «Tinham decorrrido oito longos mezes quando em dezembro de 94, um telegramma – como se quizesse communicar-nos proximas perseguições – dizia-nos: Bimbetti-S. Paulo Hoje chegamos-Felix. Sobresaltamo-nos de alegria e a hora da chegada do comboio parecia não querer vir, o tempo avançava com um vagar torturante […] O signal de chegada soa, por fim: dois fanaes vermelhos, o rumor lento da locomotiva fazem bater fortemente os nossos corações. Ouve-se entao o hymno dos presos, o vagao é tomado de assalto, os soldados, de baioneta calada, ficam surprehendidos. Abraçamos- nos estreitamente como se quizessemos communicar os nossos soffrimentos. Felice, Arturo, Andrea, Galileo, Alfredo e Antonio são os nomes que se confundem com os nossos; e o velho hymno da Internacional: Solleviamo alta la fronte, irrompe espontaneo do nosso peito».779 Alcuni giorni dopo la scarcerazione dei militanti libertari, Vincenzo Campagnoli, padre di Arturo, pubblicava sul «Fanfulla» una lettera di protesta diretta al console conte Brichanteau.780

777Gli arrestati del 15 aprile, in «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 1, 18 novembre 1894. 778Finalmente, in «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 3, 16 dicembre 1894. Secondo Cláudia Leal, si emanarono tre decreti di espulsione contro gli anarchici detenuti il 15 aprile, nessuno dei quali si attuò. Vd. C. LEAL, op. cit., p. 120. 779A. DONATI, Recordemos, pois..., in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. I, n. 4, 24 maggio 1902. Dai nomi segnalati da Donati si desume che si trattava di Felice Vezzani, Arturo Campagnoli, Andrea Allemoz, Galileo Botti, Alfredo Capricci e Antonio Maffucci. Come nella lettera di Vezzani dal carcere di Rio de Janeiro prima citata, compare Capricci come uno dei detenuti. Allo stesso modo, in un articolo del dicembre 1905, anche il giornale anarchico paulista «La Battaglia» segnalava Capricci come uno degli arrestati nell'aprile 1894 e includeva inoltre il nome di L. Monaco. Vd. Ah, i nostri consoli, in «La Battaglia», a. II, n. 58, 3 dicembre 1905. 780La lettera, pubblicata sul giornale «Fanfulla» di São Paulo il 28 dicembre 1894, fu riferita in A colpi di spillo. La protesta de un padre contro un vigliacco, «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 4, 30 dicembre 1894.

345 Usciti dal carcere, Vezzani, Campagnoli e gli altri s'integrarono al gruppo del giornale «L'Avvenire». Secondo Augusto Donati, il foglio libertario «teve nos sahidos da cadêa um seguro apoio, e o primeiro jornal francamente socialista-anarchico tinha a sua existencia assegurada». Fu lo stesso Donati ad affermare che i periodici precedenti, «Gli Schiavi Bianchi» e «L'Asino Umano», seppur diretti da militanti anarchici, non ebbero un carattere puramente libertario.781 Donati fu uno dei redattori del giornale, insieme ai toscani Giuseppe Consorti e Alfredo Casini e al ravennate Ludovico Tavani. Quest'ultimo era arrivato a Buenos Aires nel 1891, probabilmente con la famiglia, e poco dopo si trasferì a São Paulo. In Italia, trasferitosi da Ravenna a Bologna nei primi anni degli '80, s'impiegò nell'arsenale militare della capitale emiliana, da dove fu licenziato per essere ritenuto sovversivo.782 Quando era ancora in carcere, Felice Vezzani scrisse In morte di Alessandro III, una poesia che rifletteva – a proposito dello zar russo giustiziato nel 1881 dal gruppo sovversivo Narodnaja Volja – sul confronto fra i potenti e gli sfruttati, sulla paura dei primi riguardo alla vendetta del popolo e sulla loro eventuale caduta. Senza dubbio, sentimenti svegliati dall'impotenza coltivata durante quasi otto lunghi mesi di carcere. In seguito, la poesia apparve nel primo numero de «L'Avvenire».783 Secondo Augusto Donati, dopo la sua scarcerazione, Vezzani privilegiò il lavoro di propaganda allo sviluppo pieno delle sue qualità artistiche. Diceva l'anarchico di Viareggio: «O artista já nao era o poeta, mas o sociologo do povo; e os operários de todos os bairros da cidade receberam da sua boca a vulgarisação da Anarchia».784 Nel primo numero de «L'Avvenire» – che doveva uscire l'11 novembre per l'anniversario dei Martiri di Chicago, ma invece uscì il giorno 18 – il gruppo redazionale dichiarava: «Anzi tutto siamo Socialisti», sostenendo che l'ideale politico del socialismo si affermava «antipatriottico ed antiautoritario ed anarchico». Aggiungevano: «Ci

781 A. DONATI, Recordemos, pois..., in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. I, n. 4, 24 maggio 1902 782Ludovico Tavani, cappellaio, nacque a Ravenna da Domenico e Luigia Missiroli il 23 novembre 1868. Secondo la Prefettura di Genova, il Tavani si sarebbe trasferito a Bologna nel 1883 e nel 1891 a Buenos Aires, mentre la Prefettura di Ravenna sosteneva che da quella città passò da Bologna nel 1881 e nel 1891 direttamente a São Paulo. Vd. il cenno biografico elaborato dalla Prefettura di Ravenna, 10 settembre 1898, e il cenno biografico redatto dalla Prefettura di Genova, 12 dicembre 1900, ACS, CPC, b. 5049, fasc. Tavani Ludovico. Vd. anche Tavani Ludovico, in DBAI, vol. II, cit., pp. 604. 783F. VEZZANI, In morte di Alessandro III, in «L'Avvenire», a. I, n. 1, 18 novembre 1894. La poesia è datata il 1° novembre 1894. 784 A. DONATI, Recordemos, pois..., in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. I, n. 4, 24 maggio 1902.

346 proponiamo di sostituire all’attuale organizzazione dello Stato autoritario, le relazione amministrative dei lavoratori, federati per libero patto e in libere associazioni, sulle basi della produzione, dello scambio e del consumo cioè l’Anarchia».785 Il giornale prese posizioni schiettamente organizzatrici e nel secondo numero uscì un articolo di Pietro Gori con il quale l'avvocato di Messina spiegava la dottrina del socialismo anarchico. Nel gennaio 1895, il periodico libertario pubblicò l'articolo Organizzazione, il quale riferiva la crescita dei gruppi anarchici in Brasile e manifestava: «abbiamo fede che fra breve si riuscirà a dar vita ad un corpo potente che ancora non appare, perché le sue membra sono sparse». Aggiungeva il giornale, che fra i nuovi gruppi «il programma generalmente adottato fino ad ora, è quello dell’Avvenire, cosa che ci conforta perché prova che intendiamo e sentiamo la stessa fede dei compagni di qui», facendo inoltre appello ai compagni dell'interno per iniziare l'organizzazione di gruppi libertari. Nel marzo la posizione assunta dal giornale apparve ancora più chiara, affermando che l'azione degli anarchici non doveva limitarsi alle conferenze, ma anche e soprattutto alla propaganda dell'idea fra gli operai e le sue associazioni.786 Nonostante ciò, certe sfumature comparvero nelle colonne del giornale, lasciando aperte le porte all'eventuale uso della violenza. Nell'articolo Rivoluzione e anarchia, pubblicato a gennaio, si diceva: «Noi ci dichiariamo anarchici rivoluzionari», «noi siamo violenti per difenderci della violenza […] noi colpiamo perché la società ci attacca e ci impone le sue istituzioni che ci offendono»787 «L'Avvenire», che diede spazio a regolari contributi in lingua portoghese – che per lo più erano di carattere dottrinale – trattò alcune problematiche della società locale, ma soprattutto legate all'immigrazione italiana. Nel dicembre criticava le condizioni igieniche dell'Hospedaria dos Imigrantes di São Paulo, nel febbraio ironizzava sul contributo di 5 mila lire che il re Umberto aveva inviato per la costruzione dell'ospedale italiano che porterebbe il suo nome e, infine, nel marzo polemizzava con il giornale di lingua italiana «Fanfulla», il quale riconosceva lo sfruttamento dei lavoratori paulisti ma non azzardava a criticare direttamente il capitale o qualche singolo padrone.788 Più

785Chi siamo? Che vogliamo?, in «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 1, 18 novembre 1894. 786Vd. P. GORI, Ai lavoratori, in «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 2, 2 dicembre 1894; Organizzazione, in «L'Avvenire», a. II, n. 5, [13 gennaio 1895]; La condotta degli anarchici, in «L'Avvenire», a. II, n. 9, 10 marzo 1895. 787Rivoluzione a anarchia, in «L'Avvenire», São Paulo, a. II, n. 5, [13 gennaio 1895]. 788Vd. «L'Avvenire», São Paulo: Le delizie dell’Emigrazione, a. I, n. 4, 30 dicembre 1894; Il regalo di Umberto I, a. II, n. 8, 24 febbraio 1895; La questione operaia in S. Paulo (Sfruttatori e sfruttati), a. II, n. 9, 10 marzo 1895.

347 polemico fu un articolo apparso nel gennaio, con il quale il foglio anarchico criticava duramente il patriottismo dei giornali in lingua italiana della capitale paulista che avevano glorificato l'ultima vittoria dell'esercito italiano in Africa. Quest'articolo fece infuriare i patriottardi e anche il console, il quale, secondo il giornale, pensava di realizzare nuove denunce contro gli anarchici. «L'Avvenire» rispose sostenendo che dopo le denunce dell'aprile scorso, gli anarchici erano aumentati e che nuove denunce porterebbero un ulteriore sviluppo del movimento: «così il Console, ovvero la spia, invece di rendere un servizio alla polizia e al Governo di qui, che già lo disprezzano, renderà un nuovo servizio all’anarchia».789 Uno dei pochi articoli che trattarono la realtà propriamente brasiliana, riguardò la celebrazione del carnevale. La posizione del giornale fu particolarmente critica, sia perché aveva una connotazione religiosa, sia perché nella celebrazione si sfogavano ogni tipo di vizi. Agli occhi degli anarchici, il carnevale rappresentò la decadenza della società borghese e la corruzione delle classi popolari, ma «anche di più, fu il trionfo della immoralità, la glorificazione della prostituzione!»790 Questa visione del carnevale, in ogni caso, non fu esclusiva del giornale né del movimento libertario d'origine straniera, ma sopravvisse lunghi anni fra i militanti anarchici del Brasile. La maggior parte degli articoli che non trattarono questioni relative alla dottrina anarchica, come pressoché tutti i giornali libertari in lingua italiana all'epoca, riferirono notizie venute dall'Europa e soprattutto dall'Italia, con particolare enfasi nelle persecuzioni di anarchici e socialisti. D'interesse sono una nota necrologica sul repubblicano Quirico Filopanti, morto a Bologna nel dicembre 1894, un articolo sullo sfruttamento nelle risaie italiane, nel quale si menzionavano la provincia di Ravenna e le proteste di Conselice e, infine, una smentita sulla pretesa partecipazione degli anarchici nell'alleanza elettorale dei socialisti.791 Poco fu scritto sul movimento operaio e anarchico delle Americhe, solo una nota sugli Stati Uniti e una sullo sciopero dei marinai di Buenos Aires. Nonostante ciò, i rapporti con i compagni argentini non mancarono in assoluto. Nel dicembre «El Perseguido» dava la notizia dell'uscita de «L'Avvenire» nella capitale paulista e un mese dopo «L'Avvenire» accusava la ricevuta de «La Verdad» di 789Vd. «L'Avvenire», São Paulo, a. II (1895): Le gesta italiane in Africa, n. 6, 27 gennaio; A una spia, n. 7, 10 febbraio 1895. 790Vd. «L'Avvenire», São Paulo, a. II (1895): Carnevale, n. 8, 24 febbraio; A carnevale chiuso, n. 9, 10 marzo. 791Vd. «L'Avvenire», São Paulo: Quirico Filopanti, a. I, n. 4, 30 dicembre 1894; La risaia, a. II, n. 5, [13 gennaio 1895]; L’alleanza dei partiti socialisti rivoluzionari, a. II, n. 9, 19 marzo 1895.

348 Rosario e dell'«Almanacco della Questione Sociale» per l'anno 1895, pubblicato a Buenos Aires da Fortunato Serantoni. Allo stesso tempo, si annunciava che presso la redazione de «L'Avvenire» si poteva acquistare l'Almanacco e anche l'abbonamento per la rivista bonaerense. Inoltre, la corrispondenza del giornale di São Paulo diresse qualche messaggio a «L'Oprimido» di Luján, al «La Verdad» di Rosario, a Serantoni e al gruppo La Expropiación di Buenos Aires. In ogni caso, «L'Avvenire» stabilì contatti anche con «El Despertar» di New York, con «A Propaganda» di Lisbona, con il gruppo Os Barbaros di Coimbra, a Londra con Errico Malatesta, ma soprattutto con l'anarchico fiorentino Antonio Agresti. Certamente, questo mezzo di comunicazione permise alla redazione del foglio di contattare alcuni compagni in altri punti del Brasile, quali Juiz de Fora e Rio de Janeiro e soprattutto quelli che si trovavano all'interno dello stato paulista.792 «L'Avvenire» uscì regolarmente fino a metà marzo 1895 ogni due settimane, anche se già nel gennaio la redazione del giornale, riconoscendo che il foglio era valido, faceva appello ai compagni per riuscire a pubblicare il periodico settimanalmente.793 Nonostante l'appello non ebbe i risultati attesi se non solo con l'ultimo numero della prima serie, le sottoscrizioni non mancarono. Oltre alla città di São Paulo, i contributi arrivarono da Sorocaba, Santos, Tieté, Bragança, Jundiaí, Piedade, Campinas, Amparo e Mococa, nello stato paulista, e anche da Juiz de Fora e dal comune carioca di Mendes. Dalle sottoscrizioni sappiamo che il movimento anarchico nello stato di São Paulo aveva già agli inizi del 1895 una certa consistenza, poiché fra gli oblatori appaiono i gruppi XVIII Março, XI Novembre, X Febbraio, Proudhon, Spartaco, Gruppo V. M., dei quali però non sappiamo se erano di lingua italiana, portoghese o misti. Purtroppo i singoli sottoscrittori non furono segnalati con i cognomi, qualcuno solo con il nome di «battesimo», il che impedisce la loro individuazione. Tuttavia, nel numero 9 appaiono fra gli oblatori le firme «Romagna» e «Un gruppo di bolognesi».794 Il lavoro di propaganda del gruppo de «L'Avvenire» riuscì ad andare un po' oltre alla sola pubblicazione del giornale. Nel gennaio si annunciava la pubblicazione a breve 792Vd. «L'Avvenire», São Paulo, a. II (1895): la rubrica In barba al Correio, nn. 6-10; Pubblicazioni di Propaganda, n. 6, 17 gennaio. Vd. anche «El Perseguido», Buenos Aires, a. V, n. 73, 12 dicembre 1894. Sullo sciopero dei marinai nella capitale argentina, vd. In giro pel mondo, in «L'Avvenire», São Paulo, a. II, n. 7, 10 febbraio 1895. A proposito di questo sciopero, il giornale paulista faceva notare che i marinai avevano ottenuto quello che chiedevano grazie all'uso della violenza, mentre altre categorie non avevano raggiunto niente. 793Ai compagni, «L'Avvenire», São Paulo, a. I, n. 3, 794Vd. le liste di sottoscrizioni a favore del giornale, «L'Avvenire», São Paulo, 1894-1895, n. 1-10.

349 di un opuscolo di 120 pagine sui Martiri di Chicago, per il quale il gruppo che prese l'iniziativa, aveva aperto la sottoscrizioni di azioni rimborsabili all'atto dell'uscita e, inoltre, i guadagni della vendita dell'opuscolo Primo passo all'anarchia, di prossima uscita, sarebbero stati destinati per finanziare la pubblicazione sugli anarchici impiccati negli Stati Uniti. Un mese dopo, era uscito l'opuscolo di Kropotkine L'Espropriazione, sembra al posto de Il Primo passo all'anarchia, la cui vendita sarebbe stata destinata per l'edizione de Le difese degli anarchici di Chicago.795 Nella vigilia del 18 marzo, data della commemorazione della Comune di Parigi, uscì a São Paulo un manifesto redatto in portoghese e firmato da Os anarchistas, che faceva un elogio dell'evento rivoluzionario parigino, un omaggio a tutte le vittime della repressione reazionaria – incluse quelle delle recenti persecuzioni accadute in Europa – e un appello alla rivoluzione sociale, invocando il comunismo anarchico. Il manifesto fu riprodotto in lingua italiana sulla prima pagina de «L'Avvenire», giornale che riprodusse anche un frammento dell'appello della Comune ai contadini.796 Il particolare carattere confrontazionale di questo numero, tuttavia, fu riservato alla sfida alla polizia paulista. In un appello ai compagni per collaborare con il giornale – dove inoltre si diceva che ancora non c'erano fondi sufficienti per la pubblicazione dell'opuscolo sui Martiri di Chicago –, il gruppo redazionale manifestava: «è tanto più necessario ora stringersi tutti e mantenere il Giornale, poiché la polizia ci ha dichiarata guerra». Di fronte a questo scenario, la redazione del periodico pubblicò una dichiarazione che denunciava l'atteggiamento abusivo della polizia di São Paulo nei confronti de «L'Avvenire», segnalando che gli agenti avevano strappato il giornale ai bambini venditori e poi, nel caffè di Galileo Botti, avevano arrestato due giovani che portavano il foglio e lo stesso Botti, prendendolo per uno dei redattori. Aggiungevano i veri redattori: «Vi diremo ancora, che facendo l’Avvenire, noi non facciamo che esercitare un diritto sancito dalla vostra legge, il diritto di stampa», seppur riconoscevano che le leggi non servivano a niente. Infine, dirigendosi al nuovo capo di polizia di São Paulo, Bento Bueno: «Ebbene sia, e siate anche voi uno dei 795Vd. «L'Avvenire», São Paulo, a. II (1895): Pubblicazioni di propaganda, n. 6, 27 gennaio; Pubblicazioni di propaganda anarchica, n. 8, 24 febbraio. L'uscita dell'opuscolo di Kropotkine a São Paulo fu pubblicizzata anche dalla rivista bonaerense «La Questione Sociale». Vd. Publicaciones, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. II, n. 9, 1 marzo 1895. 796Vd. XXIV Anniversario della Comune di Parigi e La Comune di Parigi. Ai lavoratori delle campagne, in «l'Avvenire», São Paulo, a. II, n. 10, 17 marzo 1895. Vd. anche il manifesto XXIV Commemoraçao da Communa de Paris, São Paulo, 18 marzo 1895, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3398 Brazil Anarchism 1895-1926. Questo manifesto si trova anche nell'AEL, Campinas.

350 persecutori degli anarchici, guadagnatevi pure questa gloria, se lusinga il vostro amor proprio, ma ricordatevi che le idee non si sopprimono sopprimendo qualche individuo ricordatevi che la persecuzione va tutta in favore dei perseguitati, ricordatevi che caduto uno ne sorgono dieci, cento al suo posto […] Ed ora fate ciò che vi talenta e se volete arrestare i redattori dell’Avvenire siamo noi», e seguivano le firme di Alfredo Casini, responsabile del giornale, Giuseppe Consorti, Augusto Donati e Ludovico Tavani.797 Intanto, nella notte fra il 16 e il 17 marzo circa mille copie del manifesto sulla Comune di Parigi vennero affisse sui muri di São Paulo e altre nella chiesa di Jaú, mentre a Ribeirão Preto si distribuì un bollettino sull'episodio parigino e in un teatro della capitale paulista, nella sera del giorno 17, furono lanciati dei volantini anarchici. Le dimostrazioni libertarie, così come la pubblicazione del decimo numero de «L'Avvenire», motivarono l'arresto di diversi attivisti libertari, tra i quali i redattori del periodico stesso, quelli che affissero i manifesti nella città, due nell'interno dello stato per la stessa ragione, altri quattro denunciati dal padrone come anarchici – seppur non lo fossero –, qualcun altro per avere dei rapporti con alcuni degli arrestati e, infine, altri per il solo fatto d'essere militanti anarchici.798 Sul totale dei detenuti, arrestati per ordine del capo della polizia ed ex socialista, Bento Bueno, 16 furono imprigionati nel carcere della Luz nella cella n.2, non potendo nemmeno comunicare fra loro. Verso la metà di luglio, sei dei detenuti furono liberati, ma saliti su un treno, tre furono rilasciati in un paese dell'interno dello stato e gli altri tre in un altro. Gli altri dieci, invece, rimasero in carcere ancora un altro mese.799 Non sappiamo chi furono i 16 anarchici incarcerati, né sappiamo chi furono i sei liberati nel luglio. Sappiamo solo che il 7 agosto altri quattro furono rilasciati, ma imbarcati il giorno dopo a Santos sul piroscafo Bretagne, diretti a Buenos Aires, senza essere stati avvertiti prima. Scriveva «L'Avvenire»: «Così si va d’arbitrio in arbitrio e non

797Vd. Al Capo di Polizia. Dichiarazione e Ai compagni, in «L'Avvenire», São Paulo, a. II, n. 10, 17 marzo 1895. 798Vd. Alle autorità di S. Paolo, in «L'Avvenire», serie II, n. 1, 14 luglio 1895; Revista internacional, «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. II, n. 11, 1° maggio 1895. Vd. anche C. LEAL, op. cit., pp. 122-123. 799 Vd. «L'Avvenire», São Paulo, Serie II: Alle autorità di S. Paolo, n. 1, 14 luglio 1895; Gli anarchici arrestati in S. Paolo, n. 2, 1 agosto 1895. Secondo il giornale, due dei detenuti persero il padre mentre erano in prigione. Vd. anche A. DONATI, Recordemos, pois..., in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. I, n. 4, 24 maggio 1902. Angelo Trento si riferisce a quest'episodio, ma lo fa coincidere con gli arrestati dell'aprile 1894. Vd. A. TRENTO, Là dov'è la raccolta del caffè, cit., pp. 337-338; ID., «Wherever we work, the land is ours», cit. p. 116 e 120.

351 bastando questo i nostri compagni furono lasciati senza mangiare dal mezzogiorno del 7 a tutto l’8 e portati sul bastimento furono messi coi ferri al piede». Intanto, ancora il 18 agosto gli altri sei erano in carcere.800 Nel settembre, quando tutti i detenuti erano già stati liberati, il giornale carioca «Il Diritto» pubblicava una lettera indirizzata al re Umberto e alle autorità brasiliane protestando contro gli arbitri subiti dagli anarchici italiani, accusando il console Brichanteau e il capo della polizia paulista Bento Bueno di essere stati i fautori, mentre si sosteneva che la prigione preventiva era illegale, così come l'espulsione, poiché non erano sancite da nessuna legge. Secondo il giornale, i quattro deportati furono Felice Vezzani, Giuseppe Consorti e Arturo e Luciano Campagnoli, il primo dei quali, essendo stato portato con gli altri direttamente dal carcere al vapore, perse una considerevole somma di denaro in quanto non riuscì a concludere i propri affari.801 Consorti, Vezzani e Arturo Campagnoli li ritroviamo poi a Buenos Aires come collaboratori dell'edizione bonaerense di «L'Avvenire», mentre di Luciano non abbiamo più notizie tranne per una sua fotografia scattata nelle carceri di São Paulo il 25 marzo 1895, cioè pochi dopo gli arresti. Tuttavia, secondo la versione di Augusto Donati, scritta a distanza di sette anni da quest'episodio, gli espulsi sarebbero stati cinque: Vezzani, Consorti e Arturo Campagnoli, più Ludovico Tavani e Andrea Allemoz.802 Donati raccontava che la sera del 19 agosto, quasi finita la stampa clandestina di un numero de «L'Avvenire», ricevettero un messaggio dagli anarchici appena rilasciati che annunciava la loro imminente deportazione, dopodiché quelli che stavano stampando avvisarono alcuni compagni e si diressero nella stazione di São Paulo per salutare gli amici. Nella stazione «a machina dá o signla de partida; o comboio move-se lentamente; e um grito formidavel eleva-se do vagão que encerra os nossos. E esse grito – á Anarchia – abala os que o ouvem. Aquelles cinco rostros de barba inculta apagam-se pouco a pouco, vão-se esfumando lentamente; e ao surdo rumor da locomotiva faz echo

800Vd. Ancora degli anarchici arrestati, in «L'Avvenire», serie II, n. 3, 18 agosto 1895. 801Vd. Pro lege et justitia: em defesa dos abandonados, in «Il Diritto», Rio de Janeiro, 14 settembre 1895, citato in E. CARONE, op. cit., pp. 109-111. Secondo quest'articolo, i detenuti sarebbero stati 12 invece dei 16 riferiti nelle altre fonti. «Il Diritto», «Giornale quotidiano indipendente, difensore degli interessi della classe operaia italiana de Rio de Janeiro», uscito nel 1895 nella capitale carioca, ebbe come redattore G. D. Monte Druzeich. Vd. Ivi., p. 568. 802La foto di Luciano si trova nel fascicolo CPC del fratello Arturo, nella quale però, lo si segnala con 30 anni di età, quando invece ne aveva ancora 19. Vd. ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo. Vd anche A. Donati, Recordemos, pois..., in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. I, n. 4, 24 maggio 1902.

352 um hymno á liberdade... As nossas gargantas estranguladas nao deixam passar, nem notas harmoniosas de amor, nem o grito selvagem do odio. Naquelle momento, os dois sentimentos tinham talvez adquirido em nós egual poder. Mas o primeiro acabou por vencer, e um grito despedaçado, um – Viva a Anarchia! - de esperança e de protesto, desprendeu-se do nosso peito. Era a saudação aos primeiros martyres da integral liberdade no Brazil. Felice Vezzani, Giuseppe Consorti, Arturo Campagnoli, Lodovico Tavani Andrea Allemoz, eram prepotentemente arrancados aos nossos affectos de amigos e de camaradas, mas a nossa causa conquistara quatro apostolos e um martyr».803 Nonostante la controffensiva delle autorità brasiliane, il movimento anarchico non si piegò su sé stesso. Nel maggio uscì a São Paulo un manifesto in lingua portoghese che criticava i festeggiamenti borghesi dell'anniversario della fine della schiavitù nel Brasile, sostenendo che la libertà ancora non era stata raggiunta. Diceva il manifesto: «Por isto, a terra, as minas, as maquinas, como todo os productos do trabalho deve, pertenecer a tudos os que trabalhão. Por isso são nossos e devemos apossarnos de todos; e só o dia no qual comprenderemos este acto de justiça, que seremos tudos livres e felices. Então sim que fesetaremos a abolição da escravidão, e o triumpho do direito humano, na vinda do Comunismo Anarquico».804 Due mesi dopo, riappariva nella capitale paulista «L'Avvenire», la cui seconda serie riuscì a pubblicare tre numeri, che furono stampati in clandestinità, poiché la polizia l'aveva vietato in tutte le tipografie della città. Infatti, nei tre numeri clandestini si segnalò la tipografia La Costanza di Montevideo come il luogo di stampa.805 Il primo numero della seconda serie, apparso il 14 luglio, riportò sulle pagine diversi articoli sulla commemorazione della Rivoluzione Francese, scritti da diversi gruppi anarchici in lingua francese, spagnola, portoghese e italiana. Una delle

803Ibidem. Il martire era Giuseppe Consorti, che morì a Firenze nel 1898 affetto da una malattia polmonare. Vd. Consorti Giuseppe, DBAI, vol I, cit., p. 436. Secondo Edgar Rodrigues, all'arrivo al porto di Santos, prima di essere imbarcati, Arturo Campagnoli sarebbe saltato in mare per fuggire alla deportazione, riuscendo in seguito a tornare a Guararema, dove secondo lo storico portoghese l'anarchico imolese aveva una colonia socialista. Vd. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., p. 20; ID., Os companheiros, vol. I, cit., p. 76. 804Vd. il manifesto Treze di Maio, São Paulo, 13 magio 1895, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3398 Brazil anarchism 1895-1926 805Vd. Ai lettori, in «L'Avvenire», serie II, a. I, n. 1, 14 luglio 1895. Sulla riapparizione de «L'Avvenire», vd. Publicaciones, in «La Questione Sociale», Buenos Aires, a. II, n. 14, 1° agosto 1895; Noticias varias, in «El Perseguido», a. VI, n. 88, 11 agosto 1895.

353 collaborazioni era di Felice Vezzani, che pubblicò il sonetto La Bastiglia, nel quale parlava della tirannia borghese nata con la presa della Bastiglia e della necessità di costruire l'anarchia.806 Anche Ludovico Tavani pubblicò due poesie nella nuova serie del giornale, sotto lo pseudonimo di Vico. Nel secondo numero apparve Rubrica poetica, esaltazione della potenzialità rivoluzionaria del popolo e dell'imminenza dell'anarchia, mentre nel terzo numero, uscirono un paio di articoli celebrativi di Sante Caserio e una sua poesia intitolata XVI Agosto MDCCCXCIV: In morte di Caserio, elogio dell'anarchico italiano che giustiziò il presidente francese Sadi Carnot e che fu ghigliottinato nell'agosto 1894.807 Nonostante il carattere clandestino della nuova serie de «L'Avvenire», la redazione del periodico mantenne i suoi contatti internazionali. Notizie sulla repressione dei coatti a Porto Ercole, in Italia e di uno scontro fra anarchici e parrocchiani a Lisbona, furono riportate sulle colonne del giornale, mentre si comunicava la pubblicazione del giornale «La Bandera Roja», de La Conquista del Pan – curata dal gruppo Juventud Comunista Anárquica – e di un opuscolo su Ravachol – edito dal gruppo La Expropiación – nella capitale argentina. Inoltre, nella corrispondenza pubblicata dal foglio anarchico, si scrisse a Jean Grave di Parigi, Fortunato Serantoni e John Creaghe di Buenos Aires, al giornale «El Despertar» di New York, a Malatesta e Agresti a Londra, oltre a compagni di Sorocaba, Tieté e Mendes. Infine, chiedevano ai gruppi bonaerensi La Expropiación e Juventud Comunista Anárquica d'inviare alcune copie degli opuscoli, per le quali dovevano informarsi con il gruppo de «La Questione Sociale» sull'indirizzo de «L'Avvenire».808 Dal canto suo, il giornale anarchico di São Paulo pubblicò con il terzo numero clandestino l'opuscolo di Kropotkine Il Salariato, di otto pagine, il secondo edito dal gruppo.809 Contemporaneamente all'espulsione di Vezzani, Campagnoli e compagni, «L'Avvenire» finisce in forma definitiva le sue pubblicazioni. Sembra che le politiche repressive del governo brasiliano nei confronti del movimento anarchico avessero avuto

806Vd. «L'Avvenire», serie II, a. I, n. 1, 14 luglio 1895, in particolare La Bastiglia, firmata Felix. L'articolo pubblicato in francese, 14 Juillet, fu firmato da Le groupe anarchiste révolutionnaire français La Torche. 807Vd. «L'Avvenire», São Paulo, serie II: Rubrica poetica, n. 2, 1 agosto 1895; XVI Agosto MDCCCXCIV: In morte di Caserio, n. 3, 18 agosto 1895. 808Vd. «L'Avvenire», São Paulo, serie II: In barba al correio e In giro per il mondo, n. 1, 14 luglio e n. 3, 18 agosto 1895; Nuove pubblicazioni, n. 1, 14 luglio. 809 P. KROPOTKINE, Il Salariato, Pubblicazioni anarchiche del giornale L'Avvenire, opuscolo n. 2, Montevideo, Tipografia La Costanza, 1895.

354 qualche risultato, seppur nel breve termine. In ogni caso, la preoccupazione dell'élite brasiliana non era nata con la diffusione dell'ideale libertario e si era già manifestata nel 1890, quando l'approvazione del Codice Penale brasiliano includeva due articoli contro i lavoratori che promuovessero scioperi o rivendicazioni salariali.810 Pochi anni bastarono dalla creazione del Codice Penale e dalla fondazione della Repubblica brasiliana stessa, perché l'élite locale attivasse una vera campagna contro gli anarchici, accusandoli di essere sanguinari, dinamitardi e importatori d'ideologie esotiche, aiutando così a rafforzare alleanze con i settori medi e a suscitare sentimenti nazionalisti nelle classi popolari brasiliane, dividendo l'incipiente proletariato.811 La politica del governo italiano di espellere velatamente gli anarchici e i socialisti, sembra con particolare preferenza nel Brasile fin dai primi anni '90, contribuì senza saperlo, ad alimentare le paure dell'élite brasiliana e a rinforzare il suo progetto egemonico. Negli anni 1893 e 1894, i rappresentanti consolari del paese sudamericano in Italia furono i primi ad avvertire le mosse delle autorità della penisola per liberarsi dei sovversivi, attraverso la concessione di passaporti e persino di biglietti per imbarcarsi alla volta del Brasile, dando al governo brasiliano argomenti sufficienti per perseguitare i primi circoli libertari – e non solo – della nuova repubblica.812 Dal canto suo, la polizia italiana tentava di rinnovare i suoi metodi di sorveglianza sui sovversivi all'estero. Nel luglio 1894 la Legazione d'Italia a Rio de Janeiro prendeva conoscenza delle disposizioni riguardo alle comunicazione di polizia internazionale, che stabiliva il rapporto epistolare diretto fra il Ministero dell'Interno e le Rappresentanze consolari italiane, mentre nel dicembre, come fece anche il Consolato a São Paulo, confermava la ricevuta delle innovazioni riguardo alle comunicazioni telegrafiche. Infine, nel febbraio 1895 la Legazione comunicava di aver ricevuto un cassetto con tre copie del cifrario K3, da utilizzare in seguito per le comunicazioni telegrafiche con il Ministero dell'Interno, una delle quali l'inviava al console a São Paulo e l'altra a quello di Porto Alegre.813

810 E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., p. 65. 811 A. TRENTO, op. cit., p. 334. 812 C. LEAL, op. cit., pp. 107-109. 813 Vd. i rapporti della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti al MAE, 12 luglio e 18 dicembre 1894, e 7 febbraio 1895, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc. Rio de Janeiro; il rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto al MAE, 15 dicembre 1894, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 47, fasc, San Paolo.

355 4.2. Emiliani e romagnoli nell'ascesa dell'anarchismo nel Brasile (1896-1901)

Dopo l'espulsione dal paese di alcuni dei redattori de «L'Avvenire», il giornale uscì nella capitale argentina nel novembre 1895 e fin da subito stabilì stretti rapporti di collaborazione con gli anarchici di São Paulo e del Brasile in generale. Nel dicembre, il gruppo Proudhon della capitale paulista apparve nell'elenco della sottoscrizione a favore del giornale, mentre verso la fine dell'anno un corrispondente della stessa città scriveva: «Il vostro Avvenire fu qui ricevuto con immensa gioia ed ha impressionato molti, perché hanno riconosciuto una continuazione di quello pubblicato qui tempo addietro».814 Il periodico bonaerense, in seguito, continuò a ricevere collaborazioni e corrispondenze dal vicino paese, soprattutto da São Paulo, in particolare grazie alla piuma di Augusto Donati e Aurelio Soderi. Fra gli oblatori apparvero il gruppo Angiolillo di Rio de Janeiro, l'anarchico Giuseppe Marchesini da Porto Alegre, Pietro Tavani – fratello di Ludovico – e i fratelli Campagnoli – d'Arturo – da São Paulo nel gennaio 1898 e, infine, il falegname del bolognese Giuseppe Montebugnoli da Sorocaba, stato di São Paulo, nell'aprile 1897. Infine, nella corrispondenza diretta in Brasile pubblicata sul periodico bonaerense appaiono Augusto Donati, Gigi Damiani, Alfredo Mari e l'avvocato brasiliano Benjamin Mota, tutti quanti a São Paulo, José Sarmento a Rio de Janeiro e un tale Gambassi a Ribeirão Preto. Inoltre, nel dicembre 1897 la redazione de «L'Avvenire» scriveva all'anarchico reggiano Angelo Canovi ringraziando dell'invio, mentre un anno dopo chiedeva a Damiani di «invitare» il Canovi a scrivere a Ettore Mattei.815 Giuseppe Montebugnoli aveva lasciato l'Italia insieme alla moglie e ai tre figli nell'aprile 1894, secondo la polizia italiana, diretto nello stato di Espirito Santo. Nella penisola, domiciliato a Medicina, un anno prima aveva rappresentato quella località nel IV congresso del PSRR costiano, tuttavia fu segnalato dalla polizia come anarchico-

814Vd. Dal Brasile, articolo firmato a São Paulo il 26 dicembre 1895, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 3, 19 gennaio 1896. Vd. anche la lista di sottoscrizione apparsa nel n. 2, 8 dicembre 1895. 815Vd. la rubrica Dal Brasile, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 16, 12 dicembre 1896; a. III, n. 19, 21 marzo 1897; n. 32, 14 ottobre 1897; a. IV, n. 52, 13 agosto 1898; In repubblica, a. III, n. 34, 14 novembre 1897. Vd. inoltre la rubrica Piccola posta, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. III, n. 35, 8 dicembre 1897; a. IV (1898), n. 43, 27 marzo; n. 47, 22 maggio; n. 60, 11 dicembre; e le liste di sottoscrizioni apparse in n. 21, 25 aprile 1897; n. 35, 8 dicembre 1897; n. 36, 19 dicembre 1897; n. 37, 1 gennaio 1898.

356 socialista.816 Dal canto suo, Angelo Canovi, che era stato confinato a Porto Ercole, giunse Santos nei primi giorni dell'aprile 1897, passando poi nell'Hospedaria dos Imigrantes della capitale paulista insieme a la sua famiglia.817 Verso la fine del 1895, gli anarchici italiani di São Paulo tantavano la ripresa e, nel gennaio 1896, «L'Avvenire» di Buenos Aires annunciava la prossima uscita de «Il Grido degli Oppressi» nella capitale paulista, giornale che stampato alla «macchia» per evitare le persecuzioni poliziesche. Nel suo numero successivo, il foglio bonaerense sosteneva che il 2 febbraio sarebbe uscito a São Paulo, invece, il giornale libertario «Gli Oppressi».818 Finalmente, il giornale uscì quel giorno ma con il nome de «L'Operaio», diretto da Augusto Donati sotto lo pseudonimo di A. Ceschi. Nel suo primo numero, dei solo due che riuscì a pubblicare, si segnalava come luogo di stampa Montevideo, mentre si chiedeva d'indirizzare la corrispondenza diretta al giornale ai compagni de «La Questione Sociale» di Buenos Aires. Distribuito in forma gratuita, il giornale si mostrò ostile al socialismo parlamentarista e riportò qualche nota sulle campagne militari italiane in Africa, riproducendo alcuni frammenti del manifesto apparso a Buenos Aires contro la guerra. Il periodico ricevette «L'Avvenire» di Buenos Aires e l'opuscolo La Conquista del Pan edito a Barcellona, ma scrisse ai compagni di Tunisi, Paterson, Lisbona e del giornale bonaerense in lingua francese «Le Cyclone», di non avere ricevuto niente da essi. Altri messaggi furono inviati a Buenos Aires, Rosario, Montevideo, Londra e Parigi. Infine, il giornale manifestò di tenere l'opuscolo L'Espropriazione di Kropotkine nella sua biblioteca e di preparare la pubblicazione di cinquemila copie di Fra Contadini di Malatesta. Questo sembra essere il primo di una serie di opuscoli, che la redazione del giornale intendeva pubblicare e per i quali chiedeva l'appoggio finanziario dei compagni,

816Giuseppe Montebugnoli nacque a Castelguelfo di Bologna il 14 aprile 1862 da Giulio e Geltrude Buzzetti. A dieci anni si trasferì a Medicina, dove risiedette fino al suo espatrio. Secondo il suo fascicolo al CPC, la polizia italiana accertò il trasferimento del Montebugnoli nello stato di São Paulo solo nel 1903 e due anni dopo assicura che era domiciliato nel paesello di Avaré Vd. ACS, CPC, b. 3370, fasc. Montebugnoli Giuseppe, in particolare il cenno biografico redatto dalla Prefettura di Bologna, 1 dicembre 1895. Vd anche, E. GIANNI, La parabola romagnola del partito intermedio, cit., p. 382. 817Vd. AESP, Acervo digital do Museu da Imigração di Estado do São Paulo, Registro de matrícula Hospederia dos Immigrantes di São Paulo, Libro 058, p. 164, http://m useudaimigracao.org.br/acervodigital/livros.php. Canovi arrivò a Santos con il piroscafo S. Gottardo il 6 aprile 1897, insieme alla moglie Marcelina e i figli Valdomiro di 25 anni, Paride di 22, Annita di 20, Alcebiade di 16, Vera di 14, Bruno di 12, Renato di 9 e Oreste di 7. 818Vd. «L'Avvenire», Buenos Aires, a. II (1896): Dal Brasile, n. 3, 19 gennaio; Movimento rivoluzionario, n. 4, 4 febbraio.

357 anche se il giornale affermò che il testo di Malatesta sarebbe stato inviato gratis in Italia.819 Intanto, le dimostrazione patriottiche tenute a São Paulo in favore dell'esercito italiano impegnato nella guerra con l'Etiopia, offrirono agli anarchici occasioni propizie per la propaganda antimilitarista e antipatriottica. Già nel dicembre 1895, in un meeting delle società italiane in onore dei soldati morti nella battaglia di Amba Alagi, al quale parteciparono Vitaliano Rottellini e Domenico Rangoni, gli organizzatori chiamarono la polizia dopo che un anarchico intervenne criticando la guerra e provocando un grande disordine.820 Un episodio simile si ripeté il 15 marzo in un meeting patriottardo tenuto nel teatro Apollo contro la pace con l'Etiopia. Un gruppo di anarchici irruppe nella manifestazione e dal loro grido di viva Melenik, morte a Umberto I e viva l'anarchia, nacque uno scontro che finì con vari feriti e con la morte dell'agente di polizia José Bruno. La polizia arrestò vari anarchici, i quali furono rilasciati probabilmente durante la prima metà di maggio, restando in carcere solo Carlo Attuali, ritenuto il responsabile della morte di Bruno. A Buenos Aires gli anarchici avevano aperto una sottoscrizione a favore dei carcerati di São Paulo, ma vista la sua liberazione decisero di dividere il denaro raccolto fra «L'Avvenire» e «La Questione Sociale». Fra i sottoscrittori apparve Felice Vezzani.821 Fra la fine del 1895 e metà del 1897, il movimento anarchico nel Brasile – almeno quello di lingua italiana – diede pochi segni di vita, uno dei quali fu appunto la contromanifestazione del 15 marzo. Apparentemente, la politica repressiva contro i militanti libertari ebbe l'effetto desiderato dalle autorità brasiliane e italiane, accentuando le debolezze organiche dei gruppi anarchici e gettò gli attivisti in un periodo di letargo, la cui più chiara testimonianza è l'inesistenza di un giornale anarchico in lingua italiana in questi anni. Verso la fine del 1896, una corrispondenza inviata da São Paulo e pubblicata su «L'Avvenire» chiedeva l'aiuto del giornale bonaerense e l'invio

819Vd. Chi siamo?, Per contatto e Biblioteca dell'Operaio, in «L'Operaio», São Paulo, a. I, n. 1, 2 febbraio 1896; Makalê, Ai compagni e Trottellando, in «L'Operaio», n. 2, [?] febbraio 1896. Vd anche la rubrica della corrispondenza in entrambi i numeri. 820Dal Brasile, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 3, 19 gennaio 1896, 821Vd. «L'Avvenire», Buenos Aires, a. II (1896): I fatti di S. Paolo, n. 5, 26 marzo; Movimento rivoluzionario e La sottoscrizione pei compagni di S. Paulo, n. 6, 21 maggio. Secondo Cláudia Leal, fra il 16 e il 19 marzo 1896 furono arrestati otto anarchici e socialisti, quattro dei quali furono fotografati nella Repartição Central da Polícia ma non rimasero molto tempo in carcere, a differenza degli arresti avvenuti negli anni precedenti. Nelle carte consultate dalla Leal non appare il motivo delle detenzioni e l'autrice suggerisce che avrebbe potuto trattarsi di arresti preventivi per evitare riunioni commemorative della Comune di Parigi, ma potrebbe ben trattarsi degli anarchici arrestati dopo i disordini del teatro Apollo. Cfr. C. LEAL, op. cit., pp. 123-124.

358 di opuscoli e dei numeri del periodico. L'articolo, inoltre, comunicava che il movimento libertario paulista iniziava a riprendersi, che si stava lavorando alla ricostituzione dei gruppi della città e dell'interno dello stato e, infine, che si stava tentando di pubblicare un giornale.822 Una strada alquanto diversa sembra che percorressero i socialisti durante questi anni. All'inizio del 1896 uscì nella capitale paulista il giornale «O Socialista», organo del Centro Socialista de São Paulo e in seguito organo del Partido Democrata-Socialista, scritto in lingua portoghese ma che incluse diversi articoli in italiano, spagnolo e tedesco. Lo stesso anno, nello stato di Rio Grande do Sul uscì il giornale «Echo Operário», aderente alla Seconda Internazionale e pubblicato fino al dicembre 1899. Fin dal secondo anno della sua pubblicazione integrò una sezione in lingua italiana e, secondo Edgar Rodrigues, ebbe fra i suoi redattori alcuni anarchici ex coloni nella Cecilia. Nello stesso stato meridionale, il 1° maggio 1897 si costituì il Partido Socialista de Rio Grande do Sul.823 Alcuni mesi dopo, i giorni 1° e 2 gennaio 1898, si tenne il primo congresso operaio riograndese, convocato dalla Lega Operaia Internazionale di Porto Alegre e nel quale si costituì la Confederação Operária Sul Riograndese. La stragrande maggioranza dei delegati erano socialisti, tuttavia anche un gruppo di militanti libertari vi partecipò e riuscì a fare eleggere un anarchico nel comitato della confederazione. In ogni caso, né l'armonia fra socialisti e anarchici né la confederazione stessa durarono a lungo.824 Nel maggio 1898, a Rio de Janeiro, apparve «O Primeiro de Maio», giornale in lingua portoghese di tendenza socialista redatto da E. de Moraes, J. Azurar e J. Palma. Legato al Centro Operário Internacional, seppur non fosse l'organo ufficiale di quell'associazione, il periodico salutava i colleghi socialisti «1° de Maio», edito a Santos, «A Canalha» a Recife, la riapparizione di «O Socialista» e la costituzione del Partido Socialista Internacional a São Paulo e, infine, l'«Echo Operário» e il Partido Socialista di Rio Grande do Sul. Interessante è il fatto che «O Primeiro de Maio» pubblicizzasse l'opuscolo Rebeldias dell'anarchico Benjamin Motta – pubblicato dalla Biblioteca Libertaria di São Paulo – e l'eventuale uscita della rivista anarchica diretta da egli stesso, «O Libertario». Inoltre, nel giugno il periodico socialista sosteneva che anarchismo non era sinonimo di violenza e attentati, riportava una colonna con brani di pensatori

822Dal Brasile, «L'Avvenire», Buenos Aires, a. II, n. 16, 12 dicembre 1896, 823Cfr. E. CARONE, op. cit., pp. 314-322; J. W. F. DULLES, op. cit., pp. 23-2; E. RODRIGUES, op. cit., p. 71-72; ID., Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit, p. 15. 824 B. A. LONER, From workers' militancy to cultural action: Brazilian anarchism in Rio Grande do Sul, cit., pp. 164-165. Vd. anche Notizie a fascio, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 37, 1 gennaio 1898.

359 anarchici e pubblicava un brevissimo messaggio d'appoggio per l'anarchico romano Gigi Diamiani.825 A São Paulo, intanto, il socialismo d'origine italiana riprendeva il suo impegno con la promozione dell'associazionismo operaio e popolare, mentre si rafforzava con l'arrivo di nuovi militanti, fra i quali il socialista rivoluzionario ravennate Cesare Golfarelli, collaboratore di Costa che arrivò in Brasile nei primi mesi del 1896. I socialisti italiani s'integrarono nel Centro Socialista di São Paulo, i cui leaders furono Alcibiade Bertolotti, lo spagnolo Valentín Diego e il brasiliano Estevam Estrella e, insieme ai repubblicani, nel 1898 costituirono la Lega Democratica Italiana. Quest'associazione, fondata sul modello della Lega per la Difesa della Libertà creata in Italia nel 1894, abbinò funzioni di muto soccorso con il suo scopo propriamente politico: l'unificazione delle società italiane antimonarchiche. Anche se la maggior parte degli aderenti alla Lega erano socialisti e alcuni persino anarchici, questo sodalizio non si schierò politicamente con nessuna tendenza oltre l'antimonarchismo. Ciò nonostante, rappresentò uno spazio di collaborazione fra le correnti della sinistra italiana nel Brasile, la quale si estese ad alcuni avvenimenti puntuali, come l'arresto dei soci del Circolo Socialista Internazionale nel 1894 e la commemorazione dei Martiri di Chicago nel 1898, esempi entrambi dell'intesa fra anarchici e socialisti.826 Particolarmente rilevante per questi rapporti di collaborazione fu la commemorazione del XX settembre 1897. Il giorno 15 apparve a São Paulo un manifesto che convocava un comizio popolare antipatriottico e di «carattere internazionale» per domenica 19 nel teatro Politeama. Fra i ventidue firmatari ci sono i socialisti Valentín Diego, Cesare Golfarelli e Estevam Estrella, tra gli altri, insieme ad alcuni anarchici come Alfredo Mari, Polinice Mattei, il ravennate Luigi Bezzi e il castellano Antonio «Ansena» Garavini.827 Il meeting, preceduto da un corteo che iniziò nella sede del Centro Socialista

825Vd. «O Primeiro de Maio», Rio de Janeiro, a. I (1898), in particolare Folhas socialistas e Anuncios, n. 2, 22 maggio; Partido socialista, n. 3, 29 maggio; Socialismo e anarchismo e Columna libertaria, n. 4, 5 giugno. 826 Cfr. L. BIONDI, Classe e nação, cit., pp. 134-141; ID., La militanza politica e sindacale degli emiliano romagnoli a São Paulo, cit., pp. 178-179; A. TRENTO, op. cit., p. 411. 827Vd. il manifesto Comizio Popolare XX Settembre, São Paulo, 15 settembre 1897, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3399 Brazil other subjects 1897-1926. Una versione bilingue italiano-portoghese del manifesto si trova nello stesso fasc. e anche in AEL, Campinas. Nella versione bilingue si annunciava l'uscita del n.u. «XX Settembre»per la domenica 19. Antonio Garavini, che visse in Argentina fra il 1894 e il 1896, era arrivato a Santos verso il giugno 1897, dopo aver riscosso un'eredità a Castelbolognese Vd. la scheda biografica di Garavini, compilata dalla Prefettura di Ravenna, 15 gennaio 1897, ACS, CPC, b. 2277, fasc. Garavini Antonio.

360 paulista, il cui stendardo accompagnò la marcia, fu presieduto da Estrella, Bertolotti e Diego, fu molto partecipato e arrivarono molte persone. Presero la parola vari oratori socialisti e fra essi parlò anche l'anarchico Alfredo Mari, approvando un ordine del giorno contro le divisioni nazionalistiche e le manifestazioni patriottiche. Lo stesso giorno apparve il numero unico «XX Settembre», edito da anarchici e socialisti, che criticava patriottici, monarchici e le società operaie che partecipavano alle loro celebrazioni e, allo stesso tempo, faceva appello all'organizzazione dei lavoratori. Fra i collaboratori ci furono Estevam Estrella, Emilio Massardo e Alfredo Mari, mentre «Ansena» Garavini, che aveva svolto il ruolo di tesoriere per la pubblicazione del foglio, rendeva pubblico il rendiconto del denaro raccolto.828 Quasi un mese dopo, «L'Avvenire» di Buenos Aires pubblicò una piccola corrispondenza dalla capitale paulista, nella quale si parlava della ripresa del movimento anarchico paulista, seppur a ritmo lento e del contributo che ne stavano dando gli anarchici che arrivavano nella città. Riguardo al XX settembre, il corrispondente comunicava che anarchici e socialisti avevano lavorato insieme per la realizzazione del meeting e per la pubblicazione di un numero unico, sostenendo con una certa soddisfazione: «Gli stessi socialisti hanno, adesso, verso di noi della simpatia e non udiamo più da essi le menzogne e gli insulti che solo i codardi hanno avuto ed hanno verso noi anarchici».829 La festa ufficiale del XX Settembre, vale a dire quella organizzata dal Consolato insieme alle società patriottiche, fu rimandata di una settimana a causa delle piogge, il che favorì l'uscita di un nuovo numero unico antipatriottico: «Ribattiamo (il chiodo)». Diretto da Galileo Botti, il foglio apparve come continuità de «La Birichina», il giornale che il Botti pubblicava allora a São Paulo. Il «Ribattiamo», di taglio ironico e «fatto esclusivamente per uso e consumo della pappatriottica borghesia italiana e d’altri generali consimili», uscì con solo due pagine, tuttavia non si risparmiò con le critiche al chauvinisme dell'élite e delle società italiane di São Paulo, manifestando esplicitamente come scopo del foglio «sradicare dal cervello dei lavoratori […] il falso e malefico sentimento di patria».830 De «La Birichina», giornale satirico illustrato, si conserva un

828Vd. «XX Settembre», São Paulo, n.u., 19 settembre 1897, in particolare Sottoscrizione per Numero Unico. Sulla manifestazione al teatro Politeama, vd. Di vittoria in vittoria, in «Ribattiamo», São Paulo, n. u., 26 settembre 1897. 829Dal Brasile, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 32, 17 ottobre 1897. L'articolo era datato São Paulo, 2 ottobre 1897. 830Vd. «Ribattiamo», São Paulo, n. u., 26 settembre 1897. Vd. anche C. LEAL, op. cit., p. 125.

361 solo numero, del novembre 1897, che ebbe una tiratura di tremila esemplari. Come in passato «L'Asino Umano», anche il periodico di Botti ebbe la quarta pagina riservata agli annunci commerciali. Nonostante ciò, il foglio mostrava una chiara simpatia per le idee anarchiche. Oltre a ironizzare con le candidature socialiste per le elezioni del dicembre, il giornale incluse una poesia dell'anarchico romano Gigi Damiani e un frammento dell'opuscolo di Errico Malatesta Fra contadini, mentre fra i destinatari della corrispondenza pubblicata dalla redazione, tutti di città e paesi dell'interno dello stato paulista – con l'eccezione del messaggio diretto a Parigi per Augustin Hamon –, ci fu lo stesso Damiani, allora a Itú.831 La seconda metà del '97 segnò l'inizio della ripresa del movimento anarchico nel Brasile, particolarmente nella capitale paulista. Nell'agosto, «L'Avvenire» di Buenos Aires comunicava la costituzione a São Paulo del Circolo di Studi Sociali L'Uomo, che pretendeva di fare propaganda con la pubblicazione di un giornale e di diversi opuscoli. L'anno dopo uscì la rivista mensile «O Libertario», in lingua portoghese e diretta da Benjamin Mota, che nel maggio dello stesso anno pubblicò l'opuscolo di poesie Rebeldias. Poi, nel giugno apparve il giornale «Avante», di piccolo formato e redatto in lingua portoghese, che seppur non si riconobbe apertamente anarchico, alcuni succinti riferimenti al movimento libertario internazionale – tra essi il processo contro Malatesta e compagni tenuto ad Ancona – ne fanno capire la tendenza.832 In ogni caso, il punto di svolta potrebbe perfettamente segnalarsi nel gennaio 1898, con l'uscita del primo numero del giornale libertario «Il Risveglio», il quale, secondo Isabelle Felici, segnò la nascita di un vero movimento anarchico di lingua italiana a São Paulo.833 Durante i suoi cinque primi mesi di esistenza, il giornale si stampò in tipografia propria con i caratteri tipografici ereditati dal sospeso «O Socialista», periodico al quale sembra che Alfredo Mari, responsabile del nuovo foglio libertario, avesse partecipato. Infatti, i rapporti de «Il Risveglio» con i militanti socialisti erano fluenti e collaborativi, ma qualche polemica con essi, articoli di Emilio Massardo e

831Vd. «La Birichina», São Paulo, a. II, n. 25, 28 novembre 1897. Alla fine di settembre, Galileo Botti annunziava sul numero unico «Ribattiamo» che «La Birichina» sarebbe riapparsa con i tipi propri una volta però che avesse pagato i debitori. Vd. La Birichina, in «Ribattiamo», São Paulo, n. u., 26 settembre 1897. 832Vd. Notizie a fascio, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. III, n. 29, 29 agosto 1897; Nuove pubblicazioni, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 47, 22 maggio 1898. Il primo numero del giornale «Avante», conservato nel fondo Nettlau all'IISG, non indicava data né luogo dell'edizione, le quali furono aggiunte in manoscritto dallo stesso Nettlau. Vd. «Avante», [São Paulo], a. I, n. I, [giugno 1897], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. Fasc. 3399 Brazil Other subjects 1897-1926 833 I. FELICI, Anarchici italiani in Brasile. Il percorso emblematico di Francisco Gattai, cit. p. 61

362 Benjamin Mota – che era stato candidato alle elezioni del 1897 – apparvero sulle colonne del giornale anarchico. Allo stesso modo, il Circolo di Studi Sociali, gruppo sostenitore del periodico anarchico e nato poco prima di questo, collaborò in diverse occasione con il Circolo Socialista Avanti, erede anch'esso del Centro Socialista Internazionale che raggruppava anarchici e socialisti nel 1894. Fecero parte del Circolo libertario Gigi Damiani – partito dell'Italia alla volta del Brasile nell'agosto 1897 –, Alfredo Mari, Augusto Donati e Aurelio Soderi, che collaborarono anche nella redazione de «Il Risveglio»..834 Nel primo numero del giornale, apparso il 9 gennaio 1898, si pubblicò il programma del Circolo di Studi Sociali, che proponeva come uno dei suoi principali obiettivi, l'educazione e l'istruzione dell'operaio per contribuire alla sua organizzazione: «Dunque è necessario che egli riconosca per primo l'utilità di associarsi per speculare sulle nostre forze generali, e conseguentemente organizzarsi per diventare una forza e una coscienza». Lo scopo del circolo era ancora più esplicito: «diffondere il più largamente possibile il socialismo libertario, per mezzo di opuscoli, giornali, manifesti, conferenze utili e istruttive per tutti, iniziare associazioni di arti e mestieri sotto l'egida della lotta fra capitale e lavoro, e infine tutto ciò che può essere utile e profittevole all'istruzione e educazione della classe operaia».835 Poche settimane dopo, il Circolo di Studi Sociali diede vita ad un'iniziativa nata dalla Società di Cappellai e dalla Federazione Tipografica, che mirava alla creazione di una rete di associazioni operaie e alla creazione di leghe di resistenza, scopo per il quale nominò una commissione ad-hoc. Nel febbraio il Circolo costituì altre quattro commissioni, questa volta composte rispettivamente da operai calzolai, falegnami, fabbri e parrucchieri, con l'obiettivo di adoperarsi per la formazione di leghe di resistenza fra questi mestieri. Quasi due mesi dopo, i calzolai realizzarono una manifestazione nella Praça da República di São Paulo e, insieme ai fabbri-meccanici, furono quelli che riuscirono a convocare alcune riunioni per la formazione di associazioni di resistenza di mestiere.836

834 Cfr. I. FELICI, Les italiens dans le mouvement anarchiste au Brésil 1890-1920, Thèse pour le doctorat, Université de La Sorbonne Nouvelle – Paris III, 1994, p. 124-127; C. LEAL, op. cit., p. 126. 835A zonzo per la città, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 1, 9 gennaio 1898. 836Vd. A. MARI, Una grande iniziativa. Agli operai, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898), n. 3, 23 gennaio, n. 4, 30 gennaio, n. 5, 6 febbraio; A zonzo per la città, in «Il Risveglio», a. I (1998), n. 6, 13 febbraio, n. 13, 3 aprile; Convocazioni, in «Il Risveglio», a. I (1998), n. 13, 3 aprile, n. 14, 10 aprile. Il legame del Circolo di Studi Sociali con l'associazione dei tipografi si manifestò anche nel fatto che il circolo utilizzò il locale della federazione tipografica per una delle sue riunioni. Vd. A zonzo per la città, in «Il Risveglio», a. I, n. 2, 16 gennaio 1898.

363 Nella prospettiva del giornale, l'organizzazione operaia non era vista come strumento per la conquista di vantaggi immediati, ma piuttosto come un mezzo per affratellare gli operai, i quali, prima o poi, dovevano combattere faccia a faccia il capitale. A proposito dell'apatia dei lavoratori e della necessità di resistere al capitale, Damiani scriveva nel febbraio, che le leghe di resistenza erano «l'unico mezzo di associazione che riteniamo atto a risollevare la coscienza del lavoratore, a educarlo ai giorni della lotta». Allo stesso modo, nel riguardo dei mezzi di lotta, Alfredo Mari sosteneva che gli scioperi non avevano mai rimediato ai mali degli operai e che non apportavano veri vantaggi oltre a «quello dell'addestramento alla lotta e del risveglio della coscienza». L'astensione dal lavoro, infatti, non risolveva le questioni della libertà economica e della libertà politica dei lavoratori, indissolubilmente unite, le quali non potevano essere raggiunte con il solo miglioramento delle condizioni del lavoratore, ma con la riappropriazione e controllo dei mezzi di produzione.837 «Il Risveglio» creò diverse reti di contatto e collaborazione con i compagni all'estero, avendo particolare rilievo quella sostenuta con gli anarchici organizzatrici dell'Argentina, specialmente utile per la distribuzione di materiale di propaganda. Presso la redazione del giornale si ricevevano gli abbonamenti per l'«Almanacco della Questione Sociale» dell'anno 1898 e la rivista anarchica «Ciencia Social», editi a Buenos Aires da Fortunato Serantoni, oltre alla vendita di alcuni opuscoli apparsi nella capitale argentina, come Psicologìa del anarquista-socialisti di Augustin Hamon. Dal suo canto, nella Libreria Sociologica del Serantoni si ricevevano richieste per acquistare la litografia commemorativa del Primo Maggio, Allegoria rivoluzionaria, riprodotta e distribuita dalla redazione de «Il Risveglio» e dal Circolo di Studi Sociali di São Paulo.838 Inoltre, la corrispondenza della redazione del giornale, pubblicata nelle sue pagine, ebbe frequentemente come destinatari lo stesso Serantoni, Ettore Mattei e le redazioni di «L'Avvenire» e «La Protesta Humana» a Buenos Aires. In ogni caso, i contatti esteri non si limitarono unicamente all'Argentina e alcune note furono dirette a Parigi per «Les Temps Nouveaux», Hamon e Jean Grave, ad Ancona per «L'Agitazione» ed Errico Malatesta, a Torino per il giornale «Aurora», a Madrid per «Idea Libre», a Paterson per «La Questione Sociale e, infine, a Roma, Terni e Bruxelles. Tuttavia, la rete più grande di contatti del

837Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): G. DAMIANI, Il nostro socialismo, n. 2, 16 gennaio; ID., Associatevi!, n. 5, 6 febbraio; A. MARI, Lo sciopero, n. 17, 11 maggio. 838Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): Bibliografia, n. 1, 9 gennaio e n. 2, 16 gennaio; Movimento operaio, n. 3, 23 gennaio. Vd. anche Allegoria rivoluzionaria, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 44, 10 aprile 1898.

364 periodico libertario rimase sempre quella tessuta con gli anarchici delle principali città e paesi dello stato di São Paulo, non mancando rapporti con la capitale federale, Petrópolis, Curitiba e alcuni centri urbani degli stati di Minas Gerais, Paraná e Rio de Janeiro.839 Nonostante la fitta rete di contatti tessuti lungo il territorio brasiliano, la maggior parte delle notizie pubblicate sul giornale riguardavano l'Europa – alcune anche gli Stati Uniti e l'Argentina – e soprattutto l'Italia, seppur non molte di esse parlavano dell'Emilia o della Romagna. Nel gennaio 1898 si annunciava che a Bologna sarebbe uscito il giornale «La Libertà», diretto da Enrico Insabato e poco dopo si pubblicava una corrispondenza inviata dalla penisola che faceva un resoconto del Primo Congresso della Federazione Socialista Anarchica Romagnola, tenuto a Faenza nel dicembre 1897 con la presenza di Felice Vezzani, che giorni dopo ebbe una conferenza a Modena, e che menzionava una riunione tenuta a Lugo per trattare dell'arresto di altri compagni. Anche l'arresto di Errico Malatesta e del gruppo redazionale de «L'Agitazione» di Ancona occupò alcuni paragrafi del giornale e motivò l'apertura di una sottoscrizione da «Il Risveglio» per andare in aiuto dei compagni incarcerati.840 Intanto, il Circolo di Studi Sociali manteneva la linea di collaborazione con i socialisti per la realizzazione di alcune iniziative puntuali. Agli inizi di marzo il Circolo deliberò di commemorare insieme ai socialisti di São Paulo l'anniversario della Comune di Parigi, attività alla quale però «Il Risveglio» non si riferì, limitandosi a pubblicare solo un manifesto bilingue in omaggio al 18 Marzo 1871.841 La commemorazione del Primo Maggio, invece, fu il risultato della collaborazione fra gli anarchici e i socialisti della capitale paulista. I primi ebbero in Damiani e Aurelio Soderi gli incaricati di convocare le riunioni dei militanti libertari per la celebrazione della data – una delle quali si tenne nella birreria Swork verso la metà dell'aprile – e, insieme a Benjamin Mota, Alfredo Mari e Art. Hirsch, assunsero il compito di riscuotere delle sottoscrizioni a favore della propaganda anarchica perseguitata in Italia, pubblicizzando la distribuzione di una litografia commemorativa del Primo Maggio.842

839Vd, la rubrica relativa alla corrispondenza del giornale, in «Il Risveglio», São Paulo, n. 1-46. 840Vd. Movimento operaio, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): n. 2, 16 gennaio; n. 5, 6 febbraio; n. 7, 20 febbraio. 841Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): A zonzo per la città, n. 9, 6 marzo 1898; XVIII Marzo 1871-98, n. 11, 14 marzo. 842Vd. «Il Risveglio, São Paulo, a. I (1898): Convocazioni, n. 14, 10 aprile; Per il Primo Maggio, n. 9, 6 marzo; È uscito il ricordo, n. 14, 10 aprile; Ricordo del 1° maggio, n. 17, 11

365 Il giorno della commemorazione, la redazione de «Il Risveglio» pubblicò il supplemento «Il Primo Maggio», foglio che uscì con solo due pagine a causa da la malattia del tipografo editore, mentre nel teatro Politeama si tenne il comizio che riunì anarchici e socialisti. Circa duemila persone parteciparono al meeting, nel quale parlarono, fra gli altri Carmelo Longo, Felicianos dos Angelos e Alcibiade Bertolotti mentre si distribuivano un manifesto del gruppo Germinale di Ribeirão Preto, una poesia di Benjamin Mota e il programma del Partito Socialista Internazionale. Nel pomeriggio ci fu un corteo e alla sera un incontro artistico nel teatro Apollo, dove la filodrammatica del Partito Socialista, Companhia Portuguesa, presentò il pezzo Capital e Trabalho, in cui ad intervalli parlarono il socialista Soarez, Benjamin Mota e Polince Mattei, che recitò anche la poesia Il galeotto. Senza l'intervento della polizia, nella giornata si approvò un ordine del giorno che, oltre ad una protesta contro la guerra a Cuba, stipulava la lotta per riforme politiche ed economiche.843 Giorni dopo, su «Il Risveglio» Gigi Damiani manifestava che gli anarchici scelsero di tacere al teatro Politeama sull'ordine del giorno approvato dai socialisti, per evitare disordini e scontri fra gli operai, ma che erano alquanto contrari a dirigere petizioni al governo. Rivolgendosi ai socialisti, criticava il loro atteggiamento dialogante con l'autorità, che sottoponeva il popolo alla fame e invitava loro a scendere in piazza e ad abbandonare la politica delle petizioni che non portavano a nessuna trasformazione.844 Nonostante la ripresa dell'attività di propaganda, le visioni sul movimento anarchico in Brasile non erano del tutto ottimistiche al proprio interno. Due settimane dopo la commemorazione del Primo Maggio, Alfredo Mari scriveva allo storico anarchico Max Nettlau raccontando che da poco era riapparso il giornale marxista «O Socialista» ed era stato pubblicato l'opuscolo di Benjamin Mota, Rebeldias, e aggiungeva: «Del reste ici il n’y a rien». In seguito, il redattore de «Il Risveglio» faceva un'analisi «etnica» della situazione politica della sinistra nel Brasile: «L’élément procilve aux idees socialiste et maggio; È uscito il ricordo del 1° maggio, in «Il Primo Maggio», [São Paulo], supp. al n. 16 de «I Risveglio», [1° maggio 1898]. Sulla litografia, vd. anche il modulo per la sottoscrizione , firmata da Alfredo Mari e Gigi Damiani per la redazione de «Il Risveglio», [São Paulo, 1898], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3399 Brazil other subjects 1897-1926. Un appello per partecipare alla giornata del Primo Maggio, firmata da Sisto Contardi, apparve verso la fine d'aprile. Vd. 1° Maggio, in «Il Risveglio», n. 16, 26 aprile 1898. 843Vd. A zonzo per la città, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 17, 11 maggio 1898; Á comemoração do 1° de Maio, in «O Primeiro de Maio», Rio de Janeiro, a. I, n. 3, 29 maggio 1898. Vd. inoltre «Il Primo Maggio», [São Paulo], supp. al n. 16 de «I Risveglio», [1° maggio 1898]. Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 125-126; C. LEAL, op. cit., p. 127. 844 G. DAMIANI, Pane!... Pane!..., in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 17, 11 maggio 1898

366 même anarchistes c’est celui italien, le Español [sic] est patriote o marxiste, le portugais même chose, mais revolutionnaire. Le socialiste brésilian, c’est une véritable melange d’idées exegetiques neoplatoniste-socialiste». Infine, riguardo al movimento libertario Mari sosteneva: «L’anarchisme est acharnement refolué [sic] par tous et persecuté par la police»845 In quei giorni, il giornale anarchico paulista sospese le sue pubblicazioni. Verso la fine d'aprile la redazione aveva già avvertito i compagni che «O Socialista» aveva recuperato i caratteri tipografici in prestito al foglio libertario, perché volevano riprendere le proprie pubblicazioni. «Il Risveglio» passò a dipendere completamente degli abbonati al giornale, alcuni dei quali non avevano nemmeno pagato per l'abbonamento stesso. Il gruppo redazionale decise allora di pagare i debiti e d'installare una nuova tipografia con il denaro raccolto dalla distribuzione del «ricordo del 1° Maggio», originariamente destinato per la propaganda in Italia. Tuttavia quei fondi non era sufficienti e a malapena permisero di pagare la pubblicazione del supplemento «Il Primo Maggio», quindi la redazione decise di sospendere temporaneamente l'uscita del giornale e di dedicarsi alla pubblicazione di alcuni opuscoli.846 In ogni caso, non solo problemi d'ordine finanziario interferirono nella vita de «Il Risveglio». Durante la riunione nella quale si decise di sospendere le pubblicazioni, tenuta nella birreria Klorvoz lo stesso giorno dell'uscita dell'ultimo numero del periodico, si parlò delle riforme necessarie al Circolo di Studi Sociali. Damiani e Soderi, che avevano presentato le loro dimissioni al circolo, le ritirarono e si ripromisero di dare maggior sviluppo all'attività del gruppo. D'altra parte, con la nuova uscita, si decise di dare una linea schiettamente libertaria al giornale, per controbilanciare l'influenza che avrebbe potuto avere «O Socialista» e di aprire una sottoscrizione permanente per finanziare il giornale e la pubblicazioni di opuscoli. Infatti, poco dopo si pubblicò a Samo Pauli A mio fratello contadino di Elise Reclusa, la cui vendita servì per finanziare l'uscita del periodico anarchico a luglio. Allo stesso modo, «La Questione Sociale» di Pater son consegnò la raccolta di abbonamenti e sottoscrizioni in Brasile alla redazione del giornale populista per contribuire all'acquisto della tipografia.847 845Lettera di Alfredo Mari a Max Nettlau, São Paulo, 15 maggio 1898, IISG, Max Nettlau Papers, General correspondance, fasc. 799 Alfredo Mari. 846Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): Appello, Ai compagni!, n. 16, 24 aprile; Le ultime cartucce, n. 17, 11 maggio; Sulla breccia, n. 18, 17-18 luglio. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 126-127. 847Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): Spieghiamoci bene, Sulla breccia e Sottoscrizione permanente, n. 18, 17-18 luglio; Avviso, n. 18, 17-18 luglio e n. 19, 24-25 luglio. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 127-128.

367 Con la sua riapparizione, «Il Risveglio» assunse il compito di differenziare la propria propaganda da quella dei socialisti parlamentaristi. Diceva il giornale: «oggi, poiché v’è un giornale organo dei socialisti autoritari, è necessario che ne sua uno dei socialisti rivoluzionari, dei comunisti anarchici». Tuttavia, e nonostante la distanza che esisteva fra anarchici e socialisti, la redazione del giornale sosteneva: «saremo sempre felici di trovarsi uniti a camminare fino là dove sarà possibile […] Ma non intendendo rinunciare alle nostre convinzioni, eccoci a fare un giornale proprio ed a propagare la costituzione del partito libertario». Senza assumere un programma politico specifico e respingendo in modo assoluto la lotta parlamentare, il periodico si riconobbe nelle lotte nell'ambito economico.848 In ogni caso, le polemiche con i socialisti rimasero nel puro campo dell'antiparlamentarismo, almeno fino alla rinuncia di Alfredo Mari alla redazione del foglio libertario, nell'agosto, momento nel quale Gigi Damiani ne assunse la direzione amministrativa e politica. Il giornale prese allora posizioni esplicitamente anarchiche e, infatti, con il numero 22, uscito il 14 agosto – il primo sotto la direzione di Damiani – si dichiarò «organo del partito socialista-anarchico». Queste posizioni però iniziarono ad allontanarsi dall'approccio organizzatore che «Il Risveglio» aveva parteggiato fino ad allora, spostandosi su tendenze anti-organizzatrici.849 Con la sua ripresa, il giornale anarchico paulista iniziò a finanziarsi attraverso il «tradizionale» meccanismo delle sottoscrizioni volontarie, riuscendo a riscuotere oblazioni dai diversi punti dello stato di São Paulo, quali Junidaí, Campinas, Ribeirão Preto, Cravinhos, França, Conchas, Porto Ferreira, Amparo, Sorocaba, Tieté, Batatais, Jaú, São Bernardo e la città stessa di São Paulo, in particolare i suoi quartieri del Brás e Bom Retiro, ai quali si aggiunsero anche Rio de Janeiro, Petrópolis, Curitiba, Uberaba (Minas Gerais) e Bragança (stato del Pará). Fra i gruppi che inviarono i loro contributi, apparvero spesso il Gruppo Angiolillo di Rio de Janeiro e il suo omonimo di São Paulo, oltre al Gruppo Germinal della capitale paulista, mentre almeno una volta fecero altrettanto il Centro Socialista di Colonia e il Gruppo Libertario Paranaguense. Inoltre, nell'ottobre 1898 si raccolsero delle sottoscrizioni per il giornale, in una cena organizzata dalla Lega Democratica Italiana. Fra i singoli oblatori, il ravennate Luigi Bezzi apparve diverse volte fra l'ottobre 1898 e il gennaio 1899, un Tavani nell'ottobre

848Spieghiamoci bene, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 18, 17-18 luglio 1898. 849Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): Spieghiamoci bene,n. 18, 17-18 luglio; A chi ci legge e Ai nostri lettori ed abbonati, n. 22, 14 agosto. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 127-132. Secondo Isabelle Felici, con la direzione di Damiani «le journal adopte une position hostile à l’égard de l’organisation […] la nuovelle orientation est nettement empreinte d’individualisme». Vd. Ivi, p. 132.

368 1898 e nel maggio 1899 – probabilmente Pietro, fratello di Ludovico –, l'anarchico riminese Edoardo Tesserini nel novembre 1898, un tale Sandri nel maggio 1899 – è possibile che si trattasse del bolognese Gaetano Sandri – e, infine, qualcuno che si firmò come «un giovane romagnolo» nel settembre 1898.850 Secondo la polizia italiana, Edoardo Tesserini partì dall'Italia per l'America nel febbraio 1897. Nel 1891 si era trasferito a Terni, da dove fu fatto rimpatriare nell'aprile 1893 dopo essersi dimostrato anarchico, seppur prima fosse appartenuto al Partito Socialista. Nel luglio 1890 fu condannato a due anni di carcere dal Tribunale di Forlì per oltraggio con minacce e violenza e nel dicembre 1892 a 41 giorni di prigione dalla Pretura di Terni per violenza e resistenza. Nell'ottobre 1894 fu arrestato con l'accusa di aver messo una bomba nella casa di un avvocato a Rimini, ma in seguito assolto, mentre il 6 novembre 1894 fu condannato a 3 anni di domicilio coatto a Porto Ercole, da dove fu prosciolto condizionatamente nel novembre 1896. Dal canto suo, Gaetano Sandri – conosciuto dalla polizia italiana anche come Gaetano Sandrini – lasciò la penisola nel novembre 1889 insieme alla moglie e ai figli, recandosi a São Paulo, dove s'impiegò come orefice. In Italia era stato arrestato a Bologna nel novembre 1878, in seguito all'attentato di Giovanni Passanante contro il re Vittorio Emanuele II, rimanendo in carcere per dodici giorni insieme a vari compagni. Proprio nel maggio 1899 Sandri partì dal Brasile diretto in l'Italia per affari e il mese successivo lasciò la penisola per tornare a São Paulo con la famiglia.851 Durante la direzione di Damiani, «Il Risveglio» si mantenne attento ai progressi del movimento anarchico nel Brasile. Nel luglio 1898, il giornale pubblicava una lettera di Pietro Gori ai compagni del Sud-America, scritta a giugno a Rio de Janeiro, dove l'avvocato messinese fece scalo prima di dirigersi a Buenos Aires, con la quale il noto anarchico faceva appello all'organizzazione delle file rivoluzionarie fra i lavoratori italiani in terre sudamericane, rendendosi disponibile in prima persona. Nel novembre «Il Risveglio» annunciava l'uscita a Rio de Janeiro del giornale anarchico in lingua portoghese «O Despertar», diretto da José Sarmento, mentre nel gennaio 1899 un corrispondente da Ribeirão Preto comunicava la costituzione del Centro Operaio

850Vd. la rubrica Sottoscrizione permanente, in «Il Risveglio», São Paulo, 1898-1899, n. 22-46. 851Edoardo Tesserini, cappellaio e imbianchino, nacque a Rimini il 18 febbraio 1868, da Cesare e Giuditta Morelli. Vd. ACS, CPC, b. 5082, fasc. Tesserini Edoardo, in particolare la scheda biografica redatta dalla Sotto-Prefettura di Rimini, 20 marzo 1897. Gaetano Sandri, orefice, nacque a Bologna l'11 giugno 1852 da Stefano ed Ernesta Pozzi. Vd. ACS, CPC, b. 4565, fasc. Sandri Gaetano, in particolare la dichiarazione del Sandri all'ufficio di Pubblica Sicurezza di Genova, 13 novembre 1903.

369 d'Istruzione in quella città. Questo centro, diretto da Isidoro Bozzolan, era legato al gruppo anarchico Germinal e chiedeva ai compagni di fornire giornali e opuscoli utili alla propaganda fra gli operai. Infine, il corrispondente dichiarava: «Qui si attende impazientemente la venuta del Gori».852 Nell'ultimo numero del giornale libertario paulista, apparso nel maggio 1899, Zefferino Bartolomasi, anarchico del modenese, pubblicò un articolo con il quale criticava la persecuzione degli anarchici in Italia e in Brasile, mettendo come esempio l'espulsione di Vezzani, Campagnoli e gli altri nel 1895 – segnalando inoltre che le condizioni in cui vennero espulsi danneggiarono la salute di Giuseppe Consorti, causandogli la morte qualche anno più tardi – e la distruzione della Colonia Cecilia. Allo stesso tempo, il testo rivendicava il diritto di essere libertari e respingeva le accuse contro le idee anarchiche di essere state importate da sovversivi stranieri: «E non è fuor luogo l’anarchismo nel Brasile. Anche qui vi sono lacrime d’asciugare e catene da spezzare».853 Zefferino Bartolomasi arrivò in Brasile nel 1897 proveniente da Cavezzo, provincia di Modena, paese della moglie e dove s'occupò come maestro di musica. Fra il 1880 e il 1888 aveva studiato al conservatorio di Parma, senza però ottenere il diploma e, tornato a Spilamberto, partecipò allo sciopero delle filandaie del 1888. Secondo la polizia italiana, il Bartolomasi aveva goduto di una certa agiatezza economica, ma sprecata, finì per vivere a carico dei parenti, i qual avrebbero raggranellato denaro sufficiente per farlo espatriare all'estero.854 «Il Risveglio» finì le sue pubblicazioni nel maggio 1899 a causa dei problemi economici. Anche se nel settembre 1898 il giornale pensava di ingrandire il formato grazie al miglioramento delle sue condizioni economiche, solo un mese dopo si

852Vd. «Il Risveglio», São Paulo: P. GORI, Carta aperta ai compagni del Sud-America, a. I, n. 18, 17-18 luglio 1897; Nella lotta, a. I, n. 32, 6 novembre 1898; Corrispondenze, a. II, n. 40, 8 gennaio 1899. L'eventuale comparsa di «O Despertar» era stata annunciata da «L'Avvenire» di Buenos Aires nell'agosto. Vd. Pubblicazioni, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 53, 29 agosto 1898. 853Vd. Z. BARTOLOMASI, Rabiscos, in «Il Risveglio», a. II, n. 46, 15 maggio 1899. 854Zefferino Antonio Bartolomasi, maestro di musica, nacque a Spilamberto, provincia di Modena, il 24 maggio 1863 da Gaetano e Amalia Obici. Secondo il suo fascicolo al casellario politico dell'Archivio di Stato di Modena, il Bartolomasi avrebbe sposato Teresa Rebucci di Cavezzo nel febbraio 1893 a São Paulo, il che potrebbe indicare che si trasferissero in Brasile nei primi anni '90 e, rientrati a Cavezzo – dove il Bartolomasi era segnalato nel 1896 – tornassero a São Paulo nel 1897. Vd. ASMo, Gab. Ques., Serie A8 Schedario Politico, Radiati, b. 79, fasc. Bartolomasi Zefferino Antonio, in particolare il rapporto della Legazione dei Carabinieri di Bologna, Divisione di Modena, alla Prefettura di Modena, 26 luglio 1903.

370 comunicava che c'era un grande deficit e che José Santos Marques, che faceva parte del gruppo redazionale, si dirigeva nell'interno dello stato per riscuotere abbonamenti. Successivamente, ci furono alcune minacce di scomparsa del giornale e lo stesso Damiani ebbe un contegno critico nel confronto del movimento per non sostenere il periodico. Nel gennaio 1899, per problemi di tipografia, si comunicava che il giornale doveva stamparsi in un altro luogo e che avrebbe ritardato le pubblicazioni. Nell'ultimo numero, infatti, apparve un appello e l'apertura di una sottoscrizione del Gruppo Libertario Paranaguense per sostenere il giornale, ormai sulla via della sparizione a causa delle difficoltà economiche.855 I pochi tentativi per allungare la vita del foglio anarchico furono vani e, dopo 46 numeri pubblicati, «Il Risveglio» cessò le pubblicazioni. In questo momento di costruzione di un movimento anarchico di lingua italiana su basi più salde, le notizie arrivate dalla penisola sulla repressione dei moti popolari del 1898, avevano sconvolto gli ambienti anarchici e socialisti di São Paulo. Nel luglio, «Il Risveglio» pubblicò una corrispondenza dall'Italia che, accennando alle persecuzioni in Italia e alla sospensione di pressoché tutti i giornali della sinistra, faceva appello ai compagni del Brasile per aiutare quelli della penisola. Contemporaneamente, la Lega Democratica Italiana lanciava un manifesto contro la repressione in Italia e in solidarietà con le vittime, mentre, secondo Angelo Trento, si apriva uno dei momenti di maggiore immigrazione socialista e anarchica dall'Italia nel Brasile. Inoltre, su «Il Risveglio» si speculava che anche agenti di polizia italiana si recassero in Brasile e Argentina per sorvegliare e segnalare i gruppi e i militanti che promuovevano manifestazioni contro il governo italiano.856 In ogni caso, le notizie sull'Italia erano piuttosto allarmanti e lo stesso ministro d'Italia nel Brasile chiese al MAE di chiarire la vera situazione nella penisola. Il ministro sosteneva che i giornali locali esageravano le informazioni e che, in risposta, egli stesso aveva chiesto d'inserire sul «Jornal do Commercio» della capitale federale un riassunto delle relazioni già inviate dal governo italiano.857

855Vd. «Il Risveglio», São Paulo: Cose nostre, a. I, n. 26, 11 settembre 1898; Avviso, a. I, n. 28, 9 ottobre 1898; Nota bene, a. I, n. 31, 30 ottobre; Avviso, a. II, n. 40, 8 gennaio 1899; Appello ai compagni, n. 46, 14 maggio 1899. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 133-134. 856Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): Corrispondenza e A zonzo per la città, n. 18, 17-18 luglio 1898; Sfogliando i giornali, n. 19, 24-25 luglio 1898. Vd. anche A. TRENTO, Organização Operária e organização do tempo livre entre os imigrantes italianos em São Paulo, cit., pp. 237. 857Vd. il telegramma della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro al MAE, 15 maggio 1898 e il rapporto della Legazione allo stesso ministero, 17 maggio 1898, ASD-MAE, Serie Politica P, b. 634 Miscellanea, fasc. Pos. 698 Insurrezione in Italia nel 1898, moti di Milano e altrove.

371 Le autorità italiane si mostrarono alquanto preoccupate dalla reazione che i gruppi anarchici e socialisti all'estero potevano avere riguardo alla repressione nella penisola. Nel giugno, il Ministero dell'Interno inviava al MAE la copia di una manifesto affisso a São Paulo, sostenendo che il governo brasiliano «non dovrebbe tollerare oltre così aperti e pericolosi eccitamenti contro uno stato amico». La Legazione d'Italia in Brasile, ricevuta la nota dell''Interno, confermava che il manifesto era stato pubblicato anche sul «Fanfulla» e su «La Tribuna Italiana» e che, inoltre, la Lega Democratica aveva pubblicato il 10 luglio un secondo manifesto sul «Fanfulla» con il quale apriva una sottoscrizione in favore delle famiglie delle vittime d'Italia. D'altra parte, il ministro sosteneva che il governo brasiliano non poteva fare niente al riguardo, ma che in ogni caso avrebbe chiesto alla polizia di fare un elenco con le società sovversive di São Paulo e i suoi soci, seppur ritenesse che gli agitatori fossero in pochi, non più numerosi di quelli che firmavano i manifesti.858 Non sappiamo a quale manifesto si riferisse il ministro dell'Interno, poiché non indicava contenuti specifici né firmatari, ma è possibile che si trattasse di un manifesto firmato dal Circolo Socialista Avanti e dal Circolo di Studi Sociali, entrambi di São Paulo, con il quale si faceva appello a non festeggiare la patria repressiva del popolo: «Fame, piombo e catene l’attuale patria vi da!». Il manifesto chiamava anche alla solidarietà con i massacrati nella penisola, sostenendo inoltre che l'Italia non apparteneva alla maggioranza degli italiani: «La patria vostra o lavoratori voi la dovete conquistare ancora, ed è a tale conquista che noi vi chiamiamo». Il manifesto chiudeva con le firme di Alfredo Mari, Gigi Damiani, Alfredi Donati e altri per il Circolo di Studi Sociali, ed Emilio Massardo, Alfredo Capricci e il ravennate Luigi Bezzi e altri per il Circolo Socialista Avanti.859 L'agitazione antipatriottica di anarchici e socialisti contro la repressione in Italia si allungò fino alla commemorazione del XX Settembre. A São Paulo, le società italiane monarchiste a patriottarde organizzarono una grande celebrazione per quel giorno, ma già nella vigilia alcuni anarchici erano stati arrestati per strappare i manifesti dei festeggiamenti e per averli dipinti con scritte di protesta, mentre lo stesso 20 settembre 858Vd. la nota del Ministero dell'Interno al MAE, 12 giugno 1898 e il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto al MAE, 12 luglio 1898, ASD-MAE, Serie Politica P, Pos. 389 Socialismo, b. 583, fasc. 1898-1901. 859Vd. il manifesto Lavoratori della regione italiana, [São Paulo, 1898], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3399 Brazil other subjects 1897-1926. Il luogo e la data appaiono segnalati in manoscritto dallo stesso Nettlau. Una copia del manifesto si trova anche in AEL, Campinas.

372 altri cinque anarchici – due spagnoli e tre italiani – furono arrestati per affiggere manifesti contro la manifestazione patriottica. Nel primo pomeriggio le associazioni nazionaliste realizzarono una sfilata per le strade centrali della capitale paulista, promossa dalla società Unione Meridionale del quartiere de Bom Retiro. Questo sodalizio era diretto dal sotto-delegato di polizia di São Paulo d'origine italiana, Nicola Matarazzo, che sembra avesse in mente di fare una grande dimostrazione di patriottismo in strada. Nel suo percorso, il corteo patriottico passò a salutare il presidente dello stato di São Paulo e passò anche di fronte alla casa del console italiano. Secondo il ministro d'Italia nel Brasile, fu allora che alcuni anarchici «emisero grida sediziose ed ingiuriose, essendo respinti dagli stessi Italiani manifestanti. Furono tirati vari colpi di revolver che provocarono un rapido disordine: furono arrestati due anarchici, ambedue feriti, uno dei quali gravemente». Gli scontri si produssero intorno alla Praça da República, dove gli anarchici avevano organizzato una contromanifestazione e dove gli arrestati furono accoltellati. Due giorni dopo, all'Hospital da Casa Santa, uno dei militanti feriti, Polinice Mattei, morì. Al suo funerale nel cimitero dell'Araçá, gli anarchici tentarono di uscire allo scoperto ma, sotto sorveglianza poliziesca, non fu consentito loro nemmeno l'uso della parola. Dal canto suo, Nicola Matarazzo, poco tempo dopo, diventò capo degli agenti segreti della polizia politica, secondo Edgar Rodrigues, rimanendo in quella funzione fino al 1905.860 Dopo gli incidenti, il ministro d'Italia assicurava che le autorità pauliste avrebbero preso misure di sicurezza pubblica per evitare una vendetta anarchica, che il ministro degli Affari Esteri brasiliano si mostrò sorpreso della dimostrazione libertaria e che si stava pensando di creare una colonia di confino per gli anarchici nel Mato Grosso. Intanto, gli anarchici reagirono soprattutto con dimostrazioni di solidarietà verso la famiglia e i figli orfani. Mentre il Gruppo Germinal di Ribeirão Preto lanciò un manifesto accusando il crimine patriottardo – manifesto pubblicato sulle pagine de «L'Avvenire» – nel quartiere de La Boca, a Buenos Aires, si costituì il gruppo anarchico Polinice Mattei per la raccolta di fondi in favore dei suoi figli e lo stesso Pietro Gori, allora nella capitale argentina, costituì un comitato pro figli Mattei. Ettore, fratello di Polinice e noto militante anarchico fra i gruppi della capitale argentina, ringraziò attraverso il periodico libertario 860Vd. il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti al MAE, 22 settembre 1898, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. Moti anarchici a San Paolo 1898-1899. Vd. anche «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV (1898): All'ultima ora, n. 55, 2 ottobre; Cose locali, n. 56, 16 ottobre. Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 134-139; C. LEAL, op. cit., pp. 127-128; E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., pp. 61-62; E. Franzina, L'America grina, cit., p. 210; B. FAUSTO, Trabalho urbano e conflito social, cit., p. 35.

373 bonaerense i messaggi di condoglianze e verso la fine d'ottobre, i figli di Polinice si trasferirono a Buenos Aires.861 Come nella metropoli platense, a São Paulo i gruppi anarchici aprirono una sottoscrizione a favore della prole di Mattei, raccogliendo oblazioni anche a Rio de Janeiro, Petrópolis, Uberaba, Campinas, Ribeirão Preto, Amparo e Bragança. Alcuni gruppi collaborarono con la raccolta di fondi, quali il Gruppo Angiolillo di Rio di Janeiro e il suo omonimo della capitale paulista, il Gruppo Germinal, il Gruppo Libertario della capitale federale e associazioni operaie come quella dei litografi e quella dei cappellai. Inoltre, il reggiano Angelo Canovi e il ravennate Luigi Bezzi, fra altri, assunsero il compito di raccogliere sottoscrizioni fra i compagni di São Paulo, alle quali contribuì il ravennate Pietro Tavani.862 L'impossibilità di rendere omaggio al compagno morto al suo funerale, convinse gli anarchici di São Paulo ad onorare la sua memoria durante la ricorrenza dell'11 Novembre, data di commemorazione dei Martiri di Chicago. Fin dalla fine d'ottobre «Il Risveglio» convocò la manifestazione allargandola a socialisti, democratici e associazioni operaie che si erano rifiutate di partecipare alla celebrazione del XX Settembre: «Non è una manifestazione di partito, o meglio di scuola, che si va a compiere, ma qualche cosa che forse è al disopra d’ogni partito e d’ogni scuola; una protesta civile in nome dell’umanità oltraggiata». Lo stesso giorno della manifestazione, domenica 13 novembre, «il Risveglio» pubblicò il manifesto con il quale s'invitava i compagni a partecipare dell'attività commemorativa per Mattei, con punto d'incontro nella Praça da Republica per andare in corteo verso il cimitero dell'Araçá. L'appello insisteva sul carattere non esclusivamente anarchico della dimostrazione: «Non vi invitiamo in nome d’un partito, vi invitiamo in nome dell’Umanità oltraggiata da un mostruoso delitto». Infine, il manifesto fu firmato dalla commissione per la manifestazione, composta da Gigi Damiani, Ezzecchiello Simoni, Angelo Canovi e dal riminese Edoardo Tesserini.863 D'altra parte, 861Vd. il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti al MAE, 24 settembre 1898, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. Moti anarchici a San Paolo 1898-1899. Vd. anche «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV (1898): n. 56, 16 ottobre; n. 57, 30 ottobre. 862Vd. le liste di sottoscrizione a favore dei figli di Polinice Mattei, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898), n. 29 (16 ottobre)–34 (20 novembre). 863Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): In memoria d'un assassinato, n. 31, 30 ottobre; Avviso, 6 novembre; La manifestazione d'oggi, n. 33, 13 novembre. Nel n. 33 del giornale si pubblicarono anche due articoli in omaggio a Polinice Mattei riferiti alla manifestazione, uno dei quali, firmato da Emma Zimel, faceva un appello alle donne di partecipare alla dimostrazione. Vd. E. ZIMEL, Compagni del Risveglio e Cetego, Per Polinice Mattei, in «Il Risveglio», São Paulo, n. 33, 13 novembre 1898. La convocazione alla manifestazione in memoria di Polinice Mattei uscì anche su «L'Avvenire» di Buenos Aires.

374 due giorni prima della manifestazione per Mattei, a São Paulo apparve un manifesto in lingua portoghese pubblicato dal gruppo del giornale «Il Risveglio» e firmato Os Socialistas-Anarchicos, che riportava alcuni brani delle dichiarazioni dei Martiri di Chicago al loro processo e una lettera di Piotr Kropotkine al giornale «New York Herald», oltre a un cenno storico della condanna e morte degli anarchici impiccati nel 1887.864 Nonostante la minaccia di pioggia, il corteo in memoria di Mattei partì alle 2.30 del pomeriggio «con alla testa la bandiera nera dei socialisti-anarchici». Furono presenti il Centro Socialista di São Paulo, la Lega Democratica Italiana, la Società Cosmopolita dei Cappellai e gruppi di tipografi e calzolai, mentre che per gli anarchici assistettero i gruppi Angiolillo di São Paulo, Germinal, Pietro Acciarito e il gruppo di lingua spagnola. Fra le corone portate alla tomba di Mattei si fecero notare anche quelle della redazione de «Il Risveglio», dei socialisti anarchici di New York, del gruppo Germinal di Ribeirão Preto – rappresentato alla manifestazione da Isidoro Bozzolan – e i fiori degli anarchici di Barra Funda, di una società femminile e di altri circoli dell'interno dello stato – da Campinas si presentarono due compagni. Secondo «Il Risveglio», ci furono soltanto due soldati di cavalleria, «segno che le Autorità del Brasile hanno più buon senso e più rispetto per le libertà politiche dei cittadini, di tutti i Governi della vecchia Europa». Al meeting di fronte alla sepoltura di Mattei parlarono il reggiano Angelo Canovi, Estevam Estrella per il Centro Socialista, Alcibiade Bertolotti per la Lega Democratica, Quirino Rosas – «un simpatico negro», segnalava «L'Avvenire», «che destò la generale simpatia», secondo «Il Risveglio –, Luigi Giusti per i compagni di Ribeirão Preto, Ezzecchiello Simoni per la commissione, Gigi Damiani per la redazione de «Il Risveglio», Luigi Bezzi per i cappellai e, secondo il giornale paulista, altri «tra cui anche qualcuno che «avrebbe fatto meglio a tacere» […] Se lo ricordi questo «qualcuno»: non sempre ci premerà aver dei riguardi; non sempre ci troveremo in un cimitero». «L'Avvenire» di Buenos Aires diceva che «al grido di evviva la fratellanza dei popoli, del socialismo e dell’Anarchia, quella grande massa di popolo si sciolse avanti la tomba stessa del martire Polinice Mattei», mentre «il Risveglio» appuntava: «Noi speriamo che l’unione d’ieri, sulla tomba del Mattei, delle forze rivoluzionarie, resti unione duratura e sincera».865 Vd. Brasile, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 58, 13 novembre 1898. 864Vd. il manifesto XI de Novembro 1887, Os martyres do porvir, São Paulo, 11 novembre 1898, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3398 Brazi anarchism 1895-1926. 865Vd. La nostra manifestazione, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 34, 20 novembre 1898; Brasile, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. IV, n. 60, 11 dicembre 1898. La relazione della manifestazione apparsa su «L'Avvenire» era firmata da T. C., che si diceva appena giunto a Buenos Aires da São Paulo. Un paio di commenti sulla manifestazioni furono pubblicati

375 Di Angelo Canovi non abbiamo più notizie dal Brasile. Si sa solo che nel marzo 1898 l'anarchico reggiano perse uno dei suoi figli, Oreste di appena 8 anni. Nell'agosto 1899, Angelo, sua moglie Marcelina e sei dei suoi figli – con la sola eccezione di Paride – si diressero a Buenos Aires, dove arrivarono il giorno 4 con il vapore France.866 Le vicende del movimento libertario nel Brasile, specie quelle riguardanti la sua repressione, non si limitarono alla sola capitale paulista. Il 4 aprile 1898, cinque italiani furono chiamati a presentarsi davanti al delegato di polizia di Juiz de Fora, stato di Minas Gerais, rimanendo detenuti sotto l'accusa di essere «anarchistas e narcotizadores». I cinque detenuti erano Corrado Puciarelli, libraio di 24 anni originario di Carrara; Andrea Annibale Baratta, ingegnere di 23 anni originario di Massa Carrara; Pompeo Arata, anche lui di Massa Carrara, scalpellino di 28 anni; Giuseppe Testori, d'Alessandria, pittore di 40 anni e infine Balilla Venturelli, nato a Massa Lombarda, provincia di Ravenna, cassiere di 20 anni. Dopo quasi una settimana detenuti a Juiz de Fora, il 10 aprile furono trasferiti alla Casa da Detenção di Rio de Janeiro, senza la possibilità di comunicare con nessuno. Come tante altre volte, gli accusati non ebbero un processo, per cui gli anarchici decisero di chiedere l'habeas corpus nel giugno, che però fu respinto dal Supremo Tribunale Federale lo stesso giorno poiché si trattava di un delitto originale che non competeva alla giurisdizione del Tribunale. Pochi giorni dopo, i detenuti insistettero con la richiesta alla Corte d'Appello, che in prima istanza concesse l'habeas corpus, tuttavia dopo la testimonianza del capo di polizia carioca, lo stesso consiglio,n si dichiarò incompetente. Nonostante ciò, la persistenza degli anarchici nella richiesta ebbe risultato positivo nei primi giorni d'agosto, quando il Supremo Tribunale Federale finalmente accolse la richiesta e ordinò la loro scarcerazione.867 Appena rilasciati, i cinque italiani visitarono il ministro d'Italia a Rio de Janeiro per denunciare l'arresto arbitrario e il lungo carcere di quattro mesi senza processo. Il ministro si limitò a scrivere al collega degli Affari Esteri trasmettendo le biografie compilate dall'agente consolare di Juiz de Fora – inviate insieme alla comunicazione sull'arresto degli anarchici nei primi giorni d'aprile – per sua conoscenza e sua da «Il Risveglio», uno dei quali si lamentava che alcune società, come la Galileo Galilei, non avessero risposto nemmeno all'appello per partecipare alla dimostrazione. Vd. Impressioni e Appunti alla manifestazione, in «Il Risveglio», São Paulo, n. 34, 20 novembre 1898. 866Vd. Oreste, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 9, 6 marzo 1898. 867Vd. Processo de Petição de Habeas Corpus em que são piacentes Conrado Puccialrelli e outros, 15 giugno 1898, ANRJ, Supremo Tribunal Federal, BV.0.HCO 352; Processo de Recurso de Habeas Corpus em que são recorrentes Conrado Pucciarelli e outros, ANRJ, Supremo Tribunal Federal, BV.0.HCO 431.

376 trasmissione al ministro dell'Interno. Su Pompeo Arata si sosteneva che sembrava che fosse anarchico, che era in Brasile da quattro mesi, essendo stato a Belo Horizonte e fatto partire dalla polizia italiana dopo una condanna. Anche Testori e Baratta erano stati a Belo Horizonte e mentre il primo era in Brasile da quattro mesi, arrivato da Marsiglia, il secondo veniva da Buenos Aires, città che aveva lasciato cinque mesi prima dell'arresto. Baratta, inoltre, dichiarava di essere naturalizzato argentino e di appartenere all'esercito con il grado di tenente. Infine, sull'anarchico del ravennate, il rapporto del ministro diceva: «Venturelli Balilla, senza professione si troverebbe al Brasile dal 19 settembre 1897 proveniente dal Regno; dice che suo padre risiede in sitio come cuoco dell’hôtel Albanese, e conviveva in Juiz de Fora con la madre. Sopra di lui pesano gravi accuse fatte da alcuni Italiani che lo dicono un pessimo soggetto, che si vanterebbe di appartenere all’anarchia. Si dice pure che sia stato in prigione nel Regno con altri anarchici, ed […] essere stato in carcere anche a San Paolo per sospetto di furto. Egli stesso conviene d’essere stato in arresto, ma sostiene la sua innocenza».868 Balilla Venturelli conobbe fin da piccolo le carceri italiane. Nell'aprile 1893, ad appena 15 anni, fu arrestato insieme ad altri compagni accusato di aver messo una bomba nella dimora del vice-ispettore di PS di Massalombarda, rimanendo in carcere per cinque mesi. Fu anche denunciato per «grida di morte alla sbirraglia, abbasso la borghesia» nel marzo 1894 e nello stesso mese come appartenente ad associazioni a delinquere, assolto però due mesi dopo per insufficienza di prove. Tuttavia, nel marzo 1895 fu condannato a 15 mesi di carcere dalla Corte d'Assise di Ravenna e il 6 marzo dell'anno successivo scarcerato. Nel marzo 1897 fu arrestato per aver portato un «coltello insidioso» e nel marzo condannato a 50 giorni di carcere, dai quali rilasciato nel giugno. Due mesi sopo, secondo la polizia italiana, Venturelli e la sua famiglia si trasferirono in Brasile, nello stato di Minas Gerais. A Massalombarda aveva una certa influenza sui compagni anarchici, i quali però l'isolarono perché ritenuto confidente degli agenti di PS.869

868Rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto al MAE, 4 agosto 1898, ASD-MAE, Serie Politica P, Pos. 389 Socialismo, b. 583, fasc. 1898-1901. Rispetto ai dati conservati nei processi di richiesta degli habeas corpus, il rapporto del ministro non concordava con l'età di Testori, segnalandolo di 32 anni invece che di 40, e con l'occupazione di Baratta, contabile invece d'ingegnere. 869Balilla Venturelli, fabbro, nacque a Massalombarda, frazione di Lugo, il 24 aprile 1878 da Antonio e Maria Carelli. Vd. ACS, CPC, b. 5355, fasc. Venturelli Balilla, in particolare la scheda biografica redatta dalla Prefettura di Ravenna, 6 marzo 1896. Vd. anche Massalombarda, in «La Propaganda», Imola, a. I, n. 8, 1 ottobre 1893. Nell'ottobre 1898, sul giornale «L'Agitazione» di Ancona si leggeva un messaggio inviato a Bologna: «Venturelli Balilla è partito per l'America. I compagni del suo paese lo dicono una spia». Vd. Piccola posta, in «L'Agitazione», Ancona, a. I, n. 32, 21 ottobre 1898. Ringrazio Tomaso Marabini per la segnalazione dei giornali citati.

377 Un mese e mezzo dopo il rilascio degli anarchici di Juiz de Fora, altri due anarchici furono arrestati a Uberaba, sempre nello stato di Minas Gerais. Nelle celebrazioni del XX Settembre 1898, il riminese Edoardo Tesserini e l'austriaco Antonio Caviola tentarono di affiggere dei manifesti di protesta ma, impediti da alcuni italiani, furono in seguito arrestati. Il 10 ottobre il vice-console italiano a Juiz de Fora informava il MAE che Caviola era già stato liberato e che del Tesserini si aspettavano i suoi antecedenti da São Paulo, da dove era venuto qualche giorno prima dell'arresto. Un mese dopo, il Ministero dell'Interno inviava al vice-console, attraverso il MAE, la biografia dell'anarchico riminese.870 Tesserini rimase dieci giorni detenuto e alcuni giorni dopo la sua liberazione inviò una corrispondenza a «Il Risveglio», nella quale sosteneva: «Non sono ancora arrivato a capacitarmi se mi si mantenne in arresto per atto di servilismo ai giacobini italiani oppure per la più marchiana ignoranza negli esecutori della legge, di ciò ch’è la legge stessa». Il riminese denunciava, allo stesso tempo, il ruolo svolto da alcuni socialisti di Uberaba nel suo arresto, i quali non sapevano nemmeno cosa fosse l'anarchia. Secondo Tesserini, un tale A. Calissi si era dichiarato anarchico mentre gli agenti lo trattenevano, il socialista Pasquale Toti aveva chiesto ai poliziotti di linciare l'anarchico e, infine, Pietro Cesarini «tesoriere del Centro Socialista e guardia segreta nello stesso tempo, il quale fu a dichiararmi in arresto primo a tutti». Nella sua lettera, Tesserini salutava i compagni di Uberaba e alcuni brasiliani che si erano occupati di lui quando era in carcere e chiudeva: «In quanto a quei certi socialisti-poliziotti (socialisti perché lo dicono loro, e non perché ne abbiano la convinzione) i sensi della mia più grande compassione». Commentando i fatti, Gigi Damiani attaccava i socialisti che avevano fatto arrestare il compagno riminese, seppur egli «fino a quel giorno ed in quel giorno stesso non si fosse mai stancato dal seguir i socialisti (?) nella loro… tattica» e criticava la falsa pretesa socialista di «fare le coscienze», diventata ormai un «fare gli elettori». Andando oltre però, Damiani affermava che il socialismo, «dovendo poi muovere alla conquista dello Stato qui nel Brasile, ad Uberaba, ha cominciato a muovere alla conquista della casacca del poliziotto».871 870Vd. il rapporto del Vice-Consolato d'Italia a Juiz de Fora diretto al MAE, 10 ottobre 1898, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. Moti anarchici a San Paolo 1898-1899. Sull'arresto del Tesserini, vd. anche la nota del Ministero dell'Interno al MAE, 9 novembre 1898; la nota del MAE al Vice-Consolato a Juiz de Fora, 14 novembre 1898; la nota del Vice-Consolato al MAE, 25 gennaio 1899, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. Moti anarchici a San Paolo 1898-1899. 871Socialisti... o poliziotti e G. DAMIANI, Appunti, in «Il Risveglio», São Paulo, a. I, n. 29, 16 ottobre 1898. Tesserini nominò anche Nicola de Vita fra i socialisti che lo denunziarono alla polizia. Nel gennaio «Il Risveglio» aveva già pubblicato una corrispondenza da

378 Nonostante le differenze e alcuni conflitti come quello denunciato da Tesserini, nei primi giorni di gennaio 1899 si realizzò «il primo comizio in piazza dei socialisti e degli anarchici». Anche se pioveva ed erano comparse minacce di divieto, il meeting radunò circa mille persone nella Praça da República che ascoltarono per primo il discorso di Estevam Estrella. Mentre il socialista brasiliano parlava, però, il comizio fu sciolto dagli attacchi della polizia e allora, per scappare agli arresti, «Estrella e parecchi compagni ripararono in un tramway da dove intonarono L’Inno dei Lavoratori», il quale fu inseguito dagli agenti. In piazza, intanto, continuarono gli scontri, le cariche della polizia e ci furono vari arresti. Secondo «Il Risveglio», «L’animazione durò fino a notte tarda».872 Mesi dopo, nella vigilia del Primo Maggio, mentre usciva un manifesto celebrativo della ricorrenza firmato dalla Lega Democratica Italiana e da Alcibiade Bertolotti, si proibì alla tipografia de «Il Risveglio» di stampare il giornale, apparentemente su richiesta del ministro d'Italia nel Brasile, conte Antonelli. In quei giorni, infatti, Antonelli si era recato nello stato di São Paulo e, anche se il 1° maggio era a Sabauna, nell'interno dello stato, si produssero alcuni incidenti di fronte alla sua residenza temporale nella capitale paulista. La manifestazione iniziò con alcuni discorsi nel Largo da Luz e poi il corteo di diresse verso il centro. Quando la colonna di dimostranti era davanti al palazzo addobbato con la bandiera tricolore – dove, secondo Cláudia Leal, c'era una manifestazione a favore del ministro – questi proferirono grida e fischi contro il ministro stesso, in seguito la cavalleria caricò il corteo e, seppur non ci furono arresti, la polizia sequestrò la bandiera rosso e nera – con la scritta «socialismo e anarchia» – del Gruppo Angiolillo. Secondo «Il Risveglio», dopo gli incidenti il ministro italiano fece alcune pratiche con il capo della polizia paulista per deportare alcuni anarchici e presso il Ministero dell'Agricoltura del Brasile, dove lavorava Bertolotti come ispettore di colonizzazione, per farlo licenziare. Infatti, un decreto del 15 maggio rimosse il socialista italiano dal suo impiego. Mentre il giornale «Fanfulla» si schierò con il ministro, «Il Risveglio» criticava la giornata del Primo Maggio come intrascendente e segnata dal «solito memorandum» socialista alle autorità, nella quale «per un compassionevole atto

Uberaba che comunicava la costituzione di un Centro Socialista «con programma identico a quello di S. Paolo» e di un Circolo di Studi Sociali, oltre a un manifesto di quel Centro Socialista. Vd. «Il Risveglio», São Paulo, a. I (1898): Corrispondenze, n. 3, 23 gennaio; Sezione brasiliana, n. 4, 30 gennaio. 872A zonzo per la città, in «Il Risveglio», São Paulo, a. II, n. 40, 8 gennaio 1899. Vd. anche C. LEAL, op. cit., p. 128.

379 di ruffianismo al plenipotenziario… della monarchia di Savoia, hanno sequestrato la bandiera anarchica e gelosamente se la custodiscono». Chiudeva il redattore anarchico: «Dunque risultato del primo Maggio, un sequestro di bandiere e le domande di deportazione».873 Nella ricorrenza del primo anniversario della morte di Polinice Mattei, gli anarchici di São Paulo organizzarono una «solenne manifestazione» che, in corteo, arrivò nel cimitero dell'Araçá. Per l'occasione, i gruppi socialisti anarchici della capitale paulista stamparono un manifesto contro i «Patriotti bugiardi! Patriotti assassini!» e contro la monarchia, facendo un appello ai lavoratori di non partecipare della celebrazione patriottarda del XX Settembre. Il manifesto, che invitava a deporre una corona sulla tomba di Mattei, ricordava: «Proletari: Rammentatevi che fa oggi un anno che una folla incosciente, briaca di sangue, affermando gli ultimi aneliti di questa putrefatta società borghese, immolava su l’altare de l’Idea, il primo martire del pensiero in queste terre, Polinice Mattei, padre amoroso e lavoratore indefesso». Il documento fu firmato da Luigi Giusti, Emilio Bruschi e dal maestro di musica emiliano Zeffirino Bartolomasi per i socialisti-anarchici. Anche a Ribeirão Preto uscì un manifesto contro le celebrazioni patriottiche del XX Settembre, firmato dal Gruppo Germinal, che ricordava l'anarchico toscano ucciso un anno prima e che si lanciava contro i nazionalisti italiani: «per voi e per vostri re per la vostra Patria il maggior disprezzo e un odio spietato».874 Nel novembre, per evitare arresti infondati, gli anarchici di São Paulo chiesero al capo della polizia della città di concedere un permesso per l'affissione di manifesti commemorativi dei Martiri di Chicago, ma non fu né concesso né negato. Allora, nella vigilia dell'11 novembre, un gruppo di militanti, tra i quali Gigi Damiani, affisse alcune copie del manifesto nel quartiere di Bom Retiro, facendosi scoprire dagli agenti. Il pittore riminese Colombo Bertoni, che portava i manifesti, fu arrestato e i compagni lo seguirono per conoscere la sua sorte. Nell'ufficio della polizia, in seguito, furono tutti

873Vd. i rapporti della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti al MAE, 21 maggio e 10 luglio 1899, e la nota del MAE alla Legazione, 14 giugno 1899, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. Moti anarchici a San Paolo 1898-1899. Vd. anche Avviso, Lettera aperta al conte Antonelli e Dopo, in «Il Risveglio», a. II, n. 46, 14 maggio 1899. Vd. inoltre I. FELICI, op. cit., pp. 139-140; C. LEAL, op. cit., p. 129. 874Vd. il manifesto XX Settembre 1899, [São Paulo, settembre 1899], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3398 Brazil anarchimso 1895-1926, e il manifesto XX Settembre. Ai lavoratori della Colonia italiana, Ribeirão Preto, 20 settembre 1899, IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3399 Brazil other subjects 1897-1926. Entrambi i manifesti si trovano anche in AEL, Campinas. Il manifesti di São Paulo fu riprodotto anche su «L'Avvenire» di Buenos Aires. Vd. Dal Brasile, in «L'Avvenire», Buenos Aires, a. V, n. 80, 5 ottobre 1899.

380 detenuti con l'accusa di promuovere disordini, affiggere manifesti sediziosi e organizzare riunioni segrete contro la sicurezza pubblica.875 Secondo un rapporto del ministro d'Italia in Brasile datato nel 1903, Colombo Bertoni era stato arrestato il 15 novembre 1899 a São Paulo insieme a Gigi Damiani, Silvio Mangia e Pio Leonardi accusati di affiggere manifesti sovversivi ma anche sotto l'accusa di voler avvelenare i condotti d'acqua potabile della città.876 Bertoni aveva lasciato Rimini nel 1891 per recarsi in Brasile, dove rimase fino al 1896 quando viaggiò in Italia per sposarsi, tornando l'anno successivo nel paese sudamericano e stabilendosi a São Paulo. Sembra che nella città natia non abbia svolto attività politica, anche se la polizia italiana segnalava che frequentava spesso gli anarchici.877 Alcuni mesi dopo, verso la metà del 1900, Damiani fu arrestato ancora una volta, insieme all'anarchico brasiliano José Sarmento Marques, accusati di aver rapito e abusato di Gabriela Margarida de Andrada Mesquita, giovane borghese del quartiere di Bom Retiro che lasciò la casa paterna per fuggire con Sarmento. Gigi Damiani, che dopo l'attentato di Monza fu trasferito in una cella cellulare, fu liberato fra la fine d'ottobre e l'inizio di novembre, mentre il suo compagno brasiliano fu condannato. Alla sua uscita dal carcere, l'anarchico romano si trasferì a Curitiba.878 Dal canto suo, José Sarmento, cappellaio, era stato uno dei principali redattori del giornale libertario in lingua portoghese «O Despertar», edito dal gruppo Angiolillo e uscito nella capitale federale nell'ottobre 1898, che però riuscì a pubblicare solo tre numeri. Sarmento fu collaboratore de «Il Risveglio» e, insieme a Gigi Damiani e altri, anche di «O Protesto» di Rio de Janeiro, diretto da J. Mota Assumpção e apparso nell'ottobre 1899, periodico che

875 C. LEAL, op. cit., p. 131. 876Rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto alla DGPS, 1° giugno 1903, ACS, CPC, b. 582, fasc. Bertoni Colombo. Edgar Rodrigues segnala l'episodio degli arresti per il preteso tentativo di avvelenare l'acqua potabile, tuttavia indica che fu nel 1898, quando lo stesso 11 novembre, apparve affisso sui muri della città un bollettino della polizia che informava dell'arresto di due anarchici nella zona di Cantareira, accusati di voler avvelenare le riserve di acqua che approvvigionavano la città. Vd. E. RODRIGUES, op. cit., p. 62. 877Colombo Bertoni, fornaio e pittore, nacque a Rimini il 28 settembre 1867 da Eugenio e Angela Ricci. Con sua moglie, Zaira Teresa Domennicani, ebbe due figli nati in Brasile: Eugenio, nell'ottobre 1897, e Giuseppina, nell'agosto 1903. Vd. ACS, CPC, b. 582, fasc. Bertoni Colombo, in particolare la scheda biografica redatta dalla Sotto-Prefettura di Rimini, 27 novembre 1905. 878 Cfr. C. LEAL, op. cit., pp. 129-131; I. FELICI, op. cit., pp. 141-142. Sull'arresto di Sarmento e Damiani, vd. inoltre A bom entendedor..., in «Il Diritto», Curitiba, n. 23, 10 ottobre 1900; Justiça burgueza, in «Il Diritto», Curitiba, n. 24, 25 dicembre 1900; Lettera aperta al Sr. Capote Valente, in «Palestra Social», São Paulo, a. I, n. 2, 2 dicembre 1900.

381 pubblicò undici numeri. Nello stesso anno, a São Paulo apparve il foglio «O Grido do Povo», di tendenza socialista rivoluzionaria e impegnato nella campagna per le otto ore di lavoro, ed «El Grito del Pueblo», periodico dei gruppi anarchici di lingua spagnola che, secondo Edgar Rodrigues, uscì simultaneamente anche a Curitiba.879 Verso il marzo o aprile 1899, a Curitiba apparve anche il giornale «Il Diritto», diretto dal livornese ex colono della Cecilia, Egizio Cini, scritto quasi interamente in lingua portoghese e con una regolarità che non superò un numero al mese. Fra i collaboratori ci fu Gigi Damiani, che iniziò a scrivere per il giornale prima di trasferirsi nel capoluogo del Paraná, mentre fra gli oblatori ci furono alcuni degli ex coloni della Cecilia, tra i quali gli Agottani e gli Artusi di Palmeira, oltre a sottoscrittori di Curitiba, Porto Amazonas, Palmeira, Paranaguá, Ponta Grossa e altri di Palmeira, tutti centri urbani dello stato di Paraná. Inoltre, il giornale aprì una sottoscrizione per Alfredo Mari nel maggio 1900 e un'altra in favore della famiglia Bresci nel settembre dello stesso anno.880 Nonostante gli oblatori del giornale si riducessero agli anarchici dello stato, «Il Diritto» ebbe un'interessante rete di contatti all'estero, ricevendo almeno i giornali «Ciencia Social», «L'Avvenire» ed «El Rebelde» di Buenos Aires – dal quale si prese una nota per pubblicizzare il giornale rosario «La Voz de la Mujer», «La Aurora» di Montevideo, «Revista Blanca» di Madrid e nel 1902 anche «O Amigo do Povo» di São Paulo. Allo stesso tempo, per mezzo della corrispondenza pubblicata sul giornale, il gruppo redazionale inviò note ad Alessandria d'Egitto, a Buenos Aires per Fortunato Serantoni, la Libreria Sociologica, il giornale «El Panadero» e il Gruppo Los Corrales, oltre ad alcuni messaggi diretti a Rio de Janeiro per José Sarmento, a São Paulo per Gigi Damiani e, infine, al giornale anarchico «La Canaglia» di Ribeirão Preto. Nel novembre 1899, «Il Diritto» pubblicò una lettera inviata da A. Cini – probabilmente un fratello di Egizio Cini –, ex confinato nelle Isole Tremiti e allora ad Alessandria d'Egitto, con la quale ringraziava l'invio di diversi numeri de giornale.881 Un mese dopo l'attentato di Gaetano Bresci che costò la vita a Umberto I, «Il Diritto» pubblicò in prima pagina il manifesto A defeza d'um ideal, Ao Povo, traduzione

879Cfr. E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., pp. 64-70; J. W. F. DULLES, op. cit., pp. 23-25. 880Vd. le liste di sottoscrizione per il giornale, «Il Diritto», Curitiba, 1899-1902. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 140-141. 881Vd. «Il Diritto», Curitiba, 1899: Aviso, n. 11, 8 ottobre; Lettera da Alessandria d'Egitto e Piccola posta, n. 13, 26 novembre; 1900: Piccola posta, n. 15, 28 gennaio; O «Pro-Coatti» e Piccola posta, n. 16, 25 febbraio; Piccola posta, n. 17, 25 marzo; 1902: Varias, n. 32, 11 giugno.

382 del manifesto uscito in lingua italiana e pubblicato su «L'Avvenire» di Buenos Aires, con il quale «molti gruppi anarchici», lontani dal rivendicare l'azione del Bresci, rifiutavano l'uso della violenza nel nome dell'anarchia. Nello stesso numero apparve un manifesto firmato da Egizio Cini, che criticava il patriottismo di coloro che si schieravano con il re morto omettendo le repressioni avvenute in Italia, mentre attaccavano la violenza degli anarchici. Questo manifesto doveva stamparsi per essere distribuito e affisso a Curitiba, ma per ordine del capo della polizia di Minas Gerais, il manifesto fu sequestrato il 5 agosto nella tipografia dove si stampava. Secondo la dichiarazione del commissario di polizia, il manifesto fu vietato per questioni di ordine e sicurezza pubblica e l'ordine di sequestro riguardava solo detto manifesto e non il giornale.882 Anche se non furono abbondanti le notizie locali, il giornale informò su alcuni eventi importanti per lo sviluppo del movimento anarchico nella capitale di Minas Gerais. Nel novembre 1899, «Il Diritto» comunicava che a Curitiba si era formato recentemente un nuovo gruppo socialista-anarchico, Germinal – con lo stesso indirizzo del giornale –, che chiedeva la collaborazione dei compagni e degli altri giornali per la formazione di una biblioteca. Nel giugno 1902, invece, il periodico anarchico pubblicava una nota sulla formazione della Liga de Trabalhadores tra i proletari di Paraná, che aveva il suo proprio organo di propaganda e alla quale si erano iscritti numerosi lavoratori originari del Brasile, segno di «evoluzione» della classe operaia del paese, secondo il giornale.883 Infatti, con il cambio di secolo l'organizzazione dei lavoratori e le lotte operaie si moltiplicano in Brasile. Secondo Angelo Trento, fra il 1897 e il 1915 nacquero circa duecento leghe e unioni operaie in tutto il paese, di cui almeno ottanta nello stato di São Paulo – 8 fondate con nome italiano. Come abbiamo già segnalato, nel gennaio 1898 si tenne il Primo Congresso Operaio di Rio Grande do Sul, che approvò la creazione di leghe operaie internazionali in tutto lo stato e confederate fra loro, mentre a Santos, nel 1900, gli operai della costruzione civile fondarono la «Sociedade Primeiro de Maio». Anche

882Vd. A defeza d'um ideal. Ao povo e Pela verdade, in «Il Diritto», Curitiba, a. II, n. 21, 26 agosto 1900. Vd. anche le dichiarazioni di Pedro Setragni, stampatore del giornale, e di Paulo Ildefonso de Assumpção, commissario di polizia, apparsi nella prima pagina. 883Vd. Grupo socialista-anarchico, in «Il Diritto», Curitiba, a. I, n. 13, 26 novembre 1899; Movimento operaio, in «Il Diritto», Curitiba, a. III, n. 32, 11 giugno 1902. Secondo una lettera dell'ingegnere italiano Giacomo Colle al ministro degli Affari Esteri, a luglio 1901 c'erano nella capitale del Paraná una cinquantina di anarchici «che qui conducono la gran vita […] e possono liberamente complottare e fare propaganda delle loro pazzesche idee senza che perciò vengano molestati da chicchessia». Vd. la lettera di Giacomo Colle al MAE, 30 luglio 1901, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 3 Informazioni individuali 1901.

383 nello stato di São Paulo le associazioni operaie erano poche e gli scioperi piuttosto rari e limitati a singole fabbriche prima del 1900. Alla svolta del secolo, però, la crisi del caffè e il fallimento di molte fazendas spinse un grande numero di migranti a recarsi nelle città dello stato, i quali, non volendo tornare in patria più poveri di prima, s'interessarono al risparmio ed eventualmente alle lotte sindacali con scopi salariali immediati, sempre che queste lotte non conducessero verso ondate repressive. Nei primi anni del Novecento, lo stato paulista, in particolare la capitale, visse diversi scioperi e il primo ad avere una certa importanza fu quello dei vetrai francesi, scoppiato nel marzo 1901. Benjamin Mota era l'avvocato della società operaia in sciopero, mentre gli anarchici, attraverso il giornale «La Palestra Social», si coinvolsero nel conflitto insieme ai socialisti – con i quali convissero in diverse associazioni operaie e parteciparono insieme a vari scioperi –, seppur non mancassero le critiche libertarie all'elettoralismo socialista e non poche polemiche sulla loro partecipazione allo sciopero.884 I militanti socialisti italiani, che fino ad allora avevano fatto parte della Lega Democratica Italiana e si erano radunati intorno al Circolo Socialista Avanti, nell'ottobre 1900 pubblicarono il giornale «Avanti!» sotto la direzione di Alceste De Ambris e ospitato nella sede della Lega Democratica. La Lega, infatti, costituì la base per la formazione del nucleo socialista che nel 1902 fondò il Partito Socialista Brasiliano e anche del nucleo di militanti repubblicani. I socialisti riorganizzarono il Circolo Socialista Avanti nel dicembre 1900, mentre i repubblicani costituirono il Circolo Repubblicano 9 Febbraio nel maggio dell'anno successivo. Con la partecipazione di non pochi emiliani e romagnoli, quali i fratelli Ramenzoni, i fratelli Battelli, il tipografo Cimatti, Cesare Golfarelli e Alcibiade Bertolotti, i socialisti si appoggiarono alla Lega Democratica per promuovere la formazione di società operaie e leghe di resistenza. Durante il 1901, gli sforzi dei socialisti portarono alla formazione di tredici associazioni di resistenza, fra le quali l'Associação das Artes Graphicas e Anexas e la Lega di Resistenza fra Lavoranti Cappellai e Affini, di certa importanza ed entrambe fondate a gennaio, ma anche società fra falegnami, calzolai, orefici, muratori, mattonellisti, operai tessili, meccanici e sarti.885 Nello stesso 1901, il socialista Alcibiade Bertolotti, qualche volta con l'aiuto di Alceste De Ambris, si attivò come mediatore in cinque conflitti del lavoro: nella fabbrica di vetri Santa Marina, nella fabbrica tessile di Alvares Penteado, nella Companhia

884 Cfr. A. TRENTO, op. cit., pp. 353-366; I. FELICI, op. cit., pp. 147-150; E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., pp. 73-76. 885Vd. L. BIONDI, Classe e nação, cit., pp. 162-182; ID., La militanza politica e sindacale degli emiliano romagnoli a São Paulo, cit., pp. 178-179.

384 Industrial de São Paulo e due volte nella fabbrica di Regoli, Crespi & Co. Nel caso degli operai e operaie tessili, i negoziati di Bertolotti e De Ambris spinsero i lavoratori a formare la propria lega di resistenza. In ogni caso, gli operai paulisti, specie quelli d'origine italiana, cercavano nelle autorità consolari e rappresentanti della colonia italiana, quali associazioni di beneficenza o giornali come il «Fanfulla» e «La Tribuna Italiana», agenti mediatori che aiutassero a risolvere i loro conflitti del lavoro. La novità fu che dal 1901 anche i socialisti furono sollecitati dai lavoratori per svolgere un ruolo di mediazione con i padroni.886 Intanto, le autorità consolari italiane non perdevano di vista le tracce che gli anarchici originari della penisola lasciavano nel Brasile. Nell'agosto 1900, il console a Florianàpolis riferiva che il milanese Luigi Gelosa, residente in quella città, aveva fatto apologia del regicidio nel negozio di Lugi Damiani pochi giorni dopo l'attentato Bresci, mentre segnalava il romano Enrico Celani, residente a Urussanga e poi a Nuova Venezia – entrambe le località nello stato di Santa Caterina – come anarchico dichiarato. L'anno dopo, secondo Angelo Trento, gli anarchici Sorelli, Benevento e Della Casa furono denunciati alla polizia locale dalle autorità diplomatiche italiane per esaltazione dell'anarchia nella sede di una società italiana a Cambuí, stato di Minas Gerais. In ogni caso, sembra che la sorveglianza degli anarchici italiani non si limitò alla sola preoccupazione della rappresentanza consolare italiana. Nel settembre di quell'anno, l'Ambasciata di Germania a Roma trasmise al MAE una lista di ventidue anarchici italiani residenti a Rio de Janeiro elaborata dal ministro tedesco in Brasile.887 Con l'inizio del Novecento, il gruppo anarchico di Ribeirão Preto, Germinal, che un anno prima aveva promosso la creazione del Centro Operaio d'Istruzione e che nel settembre 1899 pubblicò un manifesto in memoria di Mattei, diede vita al giornale «La Canaglia», l'unico periodico libertario in lingua italiana che uscirà nell'interno dello stato di São Paulo. Diretto da Isidoro Bozzolan e con una modesta tiratura di 500 esemplari, il giornale riuscì a pubblicare otto numeri dal gennaio o febbraio fino al 1° maggio 1900, quando uscì per l'ultima volta a causa della mancanza di mezzi finanziari. Secondo Leonardo Bettini, collaborarono con il foglio, oltre a Gigi Damiani, gli anarchici riminesi

886 Cfr. L. BIONDI, Classe e nação, cit., pp. 181-182; A. TRENTO, op. cit., pp. 357-358. 887Vd. il rapporto del Consolato d'Italia a Florianàpolis diretto al MAE, 15 agosto 1900, ASD-MAE, Serie Z Contenzioso, b. 51, fasc. 920, s/fasc. 28 Gelosa Luigi e Celani Enrico; la nota dell'Ambasciata di Germania a Roma diretta al MAE, 20 settembre 1901, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 2 Sorveglianza e anarchici al Pará. Purtroppo, in questa nota non si conserva allegato l'elenco degli anarchici. Sull'arresto dei tre anarchici a Cambuí, vd. A. TRENTO, op. cit., p. 338.

385 Colombo Bertoni ed Edoardo Tesserini e anche il romagnolo Pietro Fabbri, mentre lo stampatore fu l'imolese Rosalino Giuseppe Siboni, che aveva la sua tipografia a São Paulo e che, secondo testimonianza dello stesso Bozzolan, assunse anche la direzione del giornale.888 Nell'unico numero che si conserva, Giuseppe Siboni, nome con cui si firmava, scrisse un articolo in difesa dei cinque presunti complici dell'attentato di Pietro Acciarito contro Umberto I nell'aprile 1897 e comparve come collettore delle sottoscrizioni a favore del giornale a São Paulo. Nello stesso numero, Colombo Bertoni pubblicò una nota di saluto alle vittime della repressione borghese rivendicando l'anarchia. Inoltre, il giornale aprì una sottoscrizione a favore della popolazione di Sorocaba colpita dalla febbre gialla e il gruppo Acratico di São Paulo, firmò un appello chiedendo collaborazione materiale e morale per la pubblicazione di un numero unico nella prossima ricorrenza della Comune di Parigi.889 Rosalino Giuseppe Siboni, che arrivò in Brasile nel luglio 1898, lavorava per la Tipografia Sociale a Imola, in co-proprietà con Ugo Lambertini e altri anarchici, ed era stato processato diverse volte per reato di stampa, come quella del febbraio 1895, quando il Tribunale di Bologna lo condannò a 4 mesi e 19 giorni di carcere. Nel 1892 era stato accusato d'associazione a delinquere, ma alla fine assolto per mancanza di prove.890 La stampa anarchica ricomparve a São Paulo nel novembre 1900, con la pubblicazione di «Palestra Social», giornale animato da una nuova leva di anarchici, scritto principalmente in lingua italiana ma che incluse collaborazioni in francese, spagnolo e portoghese. Il nuovo foglio anarchico, che fu stampato in tipografia propria ed entrò in concorrenza con il socialista «Avanti!», fu diretto per i primi numeri da Federico Mazzoni e poi da Ezzecchiello Simoni. Mazzoni fu arrestato nel dicembre 1900 mentre bussava alla porta di Tobia Boni, con l'accusa di essere uno degli svaligiatori del Banco della Repubblica di Rio de Janeiro, il che probabilmente motivò il cambio di redattore responsabile del periodico. Nel gennaio 1901, l'amministratore del giornale e uno dei suoi fondatori, l'anarchico toscano Tobia Boni, abbandonò il proprio ruolo nella pubblicazione libertaria per formare il gruppo Nuova Civiltà, che in seguito si dedicò

888Vd. «La Canaglia», Ribeirão Preto, a. I, n. 4, 25 febbraio 1900. Questo è l'unico numero che si conserva. Cfr. L. BETTINI, op. cit., pp. 60-61; I. FELICI, op. cit., pp. 142-144. 889Vd. G. SIBONI, Il processo... del complotto; C. BERTONI, Avanti!; Sorocaba; Appello, in «La Canaglia», Ribeirão Preto, a. I., n. 4, 25 febbraio 1900. Secondo Bettini, Pietro Fabbri firmò l'articolo I supposti complici di Acciarito nel n. 7 del giornale. Vd. L. BETTINI, Ibid. 890Rosolini Giuseppe Remigio Siboni, tipografo, nacque a Imola nel 1861 da Socrate e Rosa Sabatini. Vd. ACS, CPC, b. 4793, fasc. Sibona Rosolino, in particolare il cenno biografico redatto dalla Prefettura di Bologna, 15 febbraio 1897.

386 all'edizione di opuscoli e numeri unici. In ogni caso, Boni continuò a collaborare con il periodico paulista, specie con mezzi finanziari, mentre alla fine del mese il nuovo gruppo editoriale faceva un appello: «chiamando più compagni alla revisione degli articoli, impedendo così, che il giornale possa riuscire l’organo del pensiero dei soli componenti la redazione». Infine, fra i collaboratori del giornale ci furono Gigi Damiani, Augusto Donati e l'anarchico bastiese Angelo Bandoni.891 Fin dal suo primo numero, «Palestra Social» stabilì contatti con alcuni dei gruppi anarchici della capitale paulista, pubblicando un manifesto del gruppo libertario di lingua spagnola Fermín Salvochea e annunziando la costituzione del gruppo Los Martyres de Chicago – anch'esso di lingua spagnola – a Santa Cruz das Palmeiras e del Circolo Cosmopolita Libertà, Unità, Solidarietà nella capitale paulista. Nel febbraio il giornale anarchico informava sulla prossima uscita a São Paulo del periodico di Benjamin Mota, «Germinal», facendo un appello a collaborarvi, mentre il 1° maggio comunicava la costituzione nella città, del Gruppo Bibliotecario Socialista Anarchico Idea e Azione, formato per la distribuzione di materiale di propaganda e il cui contatto era il pisano Teobaldo Soderi.892 Inoltre, attraverso la rubrica Piccola posta, la redazione del foglio anarchico mantenne contatti con Angelo Bandoni, allora ad Aguas Virtuosas, con il gruppo anarchico di Santa Cruz das Palmeiras, con Campinas, San João da Bocaina, Batatais e Guarajá nello stato di São Paulo, con Guglielmo Marocco nel Pará, con Rio Grande do Sul e con vari anarchici di Rio de Janeiro, tra i quali José Mota Assumpção. Vari messaggi furono indirizzati anche ai compagni di Santos, uno dei quali diretto a Luigi Bezzi nel maggio 1901: «Ricordati di non dimenticare mai la nostra «Palestra»».893 Nel campo internazionale, «Palestra Social» mantenne corrispondenza con il gruppo de «L'Avvenire», Pietro Gori, Fortunato Serantoni, la sua rivista «La Questione Sociale» e altri a Buenos Aires, con Oreste Ristori, allora confinato a Ustica, con «La Questione Sociale» di Paterson, con «El Despertar» di New York, con «Il Risveglio» di

891Vd. «Palestra Social», São Paulo, a. I (1900): Abuso di polizia, n. 3, 23 dicembre; a. II (1901): Importante, n. 4, 13 gennaio; Avviso importante, n. 5, 2 febbraio. Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 146-147; P. SERGI, op. cit., pp. 22 892Vd. «Palestra Social», São Paulo, a. I (1900), Proletarios de San Paulo Despertad, Sta. Cruz dos Palmeiras e Risveglio libertario, n. 1, 4 novembre; Movimento sociale, n. 3, 23 dicembre; a. II (1901): Germinal, n. 6, 24 febbraio; Gruppo Bibliotecario Socialista- anarchico Idea e Azione, n. 10, 1° maggio. Del circolo Unità, Libertà, Solidarietà, il giornale pubblicò anche un avviso di riunione per il dicembre 1900 nel locale della Lega Lombarda. Vd. Circolo Unità, Libertà, Solidarietà, in «Palestra Social», n. 2, 2 dicembre 1900. 893Vd. la rubrica Piccola Posta, in «Il Risveglio», São Paulo, n. 1 (4 novembre 1900) – n. 11 (26 maggio 1901).

387 Ginevra, con Bordeaux e, infine, con il gruppo redattore del giornale organizzatore «L'Internazionale» di Londra. Ancora prima che uscisse questo periodico, la redazione di «Palestra Social» indirizzava un messaggio a Arturo Campagnoli, che faceva parte del gruppo editoriale del nuovo periodico londinese, chiedendo almeno cinque copie del foglio.894 Già nel dicembre il periodico paulista annunziava la prossima comparsa a Londra di un nuovo giornale socialista-anarchico di lingua italiana, che tentava di riempire il vuoto che aveva lasciato la sospensione della stampa anarchica nella penisola. Inoltre, nel maggio 1901 «Palestra Social» pubblicizzava l'opuscolo Programma e tattica del partito Socialista Anarchico, editato dal gruppo de «L'Internazionale» e che poteva ordinarsi scrivendo a A. Galassini o direttamente alla redazione del giornale. I contatti del periodico paulista con gli anarchici europei, raggiunse anche il Portogallo, da dove «Palestra Social» ricevette la versione portoghese dell'opuscolo de Jean Grave A sociedade futura, opera tradotta dalla Bibliotheca de Estudos Sociaes de Lisbona. Infine, grazie a «Il Risveglio» di Ginevra, il foglio anarchico di São Paulo poté informare sull'esito del processo contro i redattori del giornale genovese «Combattiamo», tra i quali si trovava l'anarchico ravennate Ludovico Tavani, che qualche anno prima aveva lasciato il Brasile e che fu condannato a tre ani e sette mesi di prigione.895 Nel piano locale, nonostante le varie polemiche sostenute con i socialisti marxisti sulle colonne del giornale, gli anarchici di «Palestra Social», supportarono la formazione di leghe di resistenza e gli scioperi che scoppiarono durante il 1901, lavorando in modo collaborativo con i socialisti paulisti. Nel febbraio, parlando del risveglio delle masse operaie di São Paulo, il foglio anarchico informava sulle riunioni che si tennero nella sede della Lega Democratica Italiana dall'Associação das classes graphicas e annexas – il cui presidente eletto era il socialista spagnolo Valentín Diego – e dall'appena costituita Associação de Resistencia entre chapeleiros e classes annexas, aggiungendo che si parlava di costituire anche una Federação Operária. Di fronte a questo scenario, un gruppo d'anarchici decise d'inserirsi in ogni movimento sociale e politico per fare propaganda, iniziativa difesa dal giornale anarchico contro «quei balordi esclusivisti che chiamano il pettegolezzo intransigenza». Nel marzo, «Palestra Social» chiariva le prospettive degli anarchici sulla loro partecipazione alle società operaie: «Raccomandiamo ai nostri compagni di inscriversi nelle nasciture leghe di resistenza e 894Ibidem. 895Vd. «Palestra Social», São Paulo, a. I (1900): Movimento sociale, n. 3, 23 dicembre 1900; a. II (1901): Movimento sociale, n. 5, 2 febbraio; A Sociedade Futura por Jean Grave, n. 6, 24 febbraio; Avviso importante, n. 10, 1° maggio.

388 di prendervi parte attiva e per dare sviluppo al movimento economico e per non lasciarlo sfruttare da gli aspiranti alla deputazione».896 In coerenza con questa linea politica, a febbraio il foglio libertario informò sullo sciopero nella fabbrica tessile Sant'Anna di Antonio Alvares Penteado, ma soprattutto si preoccupò del conflitto scoppiato nello stesso mese nella fabbrica di vetri Santa Marina, ad Agua Branca, condotto dalla Societé des Verriers Réunis, composta nella sua maggioranza da operai francesi. Per solidarietà con gli scioperanti, nei primi giorni di marzo si tenne nel locale della Lega Democratica una riunione di diversi circoli operai, anarchici e socialisti, in cui i lavoratori della fabbrica Santa Marina, attraverso A. Colomb, esposero le ragioni del conflitto. Intervennero anche Benjamin Mota, Alcibiade Bertolotti e Alceste De Ambris. Gli anarchici decisero di fare causa comune con i socialisti appoggiando lo sciopero e aprendo una sottoscrizione solidale con esso. «Palestra Sociale» fece un dettagliato riassunto delle radici del conflitto nel suo ottavo numero, riferendo anche qualche riunione degli scioperanti nella quale presero parte Mota, Ezzecchiello Simoni e l'anarchico romano Luigi Giusti. Verso la fine di marzo lo sciopero finì con il trionfo degli operai, i quali, grazie alla mediazione del console francese, raggiunsero un nuovo contratto. A. Colomb ringraziò il giornale anarchico e in particolare Benjamin Mota, mentre i fondi raccolti dagli anarchici in solidarietà con gli scioperanti, furono consegnati alla Societé des Verriers da «Palestra Social» e non attraverso la redazione dell'«Avanti», ufficialmente incaricato della raccolta.897 Oltre alla raccolta di denaro per gli scioperanti di Agua Branca, il gruppo del giornale anarchico paulista portò avanti altre iniziative simili. Ancora prima dell'uscita di «Palestra Social», Tobia Boni e José P. Aguilar avevano organizzato una sottoscrizione a favore dei giornali «Pensiero Libertario» di Pisa e «L'Agitazione» di Ancona, tuttavia con la loro sospensione si decise di utilizzare il denaro raccolto per la stampa locale. Nel dicembre 1900, comunicando l'iniziativa de «La Questione Sociale» di Paterson, con la quale si apriva una sottoscrizione a favore della famiglia di Gaetano Bresci, il periodico paulista plaudiva l'idea e aderiva a essa aprendo una sottoscrizione anche dal Brasile. Collaborarono ad essa, fra altri, il ravennate Luigi Bezzi e il riminese Colombo Bertoni. Poco dopo, il giornale pubblicò per tre numeri le liste di sottoscrizione a favore

896Vd. «Palestra Social», São Paulo, a. II (1901): Movimento sociale, n. 5, 2 febbraio; Avanti!, n. 6, 24 febbraio; In guardia!, n. 7, 10 marzo. 897Vd. «Palestra Social», São Paulo, a. II (1901): Movimento sociale e Grève, n. 6, 24 febbraio; Sempre avanti e Movimento sociale, n. 7, 10 marzo; Movimento sociale, n. 8, 17 marzo; Movimento sociale e Sciopero, n. 9, 31 marzo.

389 dell'anarchico brasiliano José Sarmento Marques, che era stato arrestato con Damiani verso la metà del 1900 e che, dopo la liberazione del romano, rimase ancora in carcere. A questa raccolta collaborarono ancora Luigi Bezzi e anche il riminese Edoardo Tesserini. Infine, nelle liste di sottoscrizione a favore del giornale stesso apparvero, oltre al gruppo di lingua spagnola Fermín Salvochea e al gruppo Progresso, il ravennate Pietro Tavani a dicembre e da Ribeirão Preto a maggio, il modenese Ettore Bellei a gennaio, il bolognese Cesare Salmi da Manaos a febbraio, Colombo Bertoni a maggio, Luigi Bezzi a dicembre e marzo, mentre da Santos lo fece ancora a marzo e a maggio, infine Edoardo Tesserini a dicembre, gennaio, febbraio, marzo e maggio. Inoltre, verso la fine di marzo 1901, insieme a Guglielmo Marocco dal Pará, comparve anche «un romagnolo» e «un gruppo romagnolo».898 Cesare Salmi, meccanico elettricista, migrò in Brasile nel 1899 circa e sembra che non avesse svolto attività di rilievo nella penisola. La Prefettura di Bologna segnalava che non era mai stato pregiudicato e che soltanto nel luglio 1894 era stato rimpatriato da Genova per misure di pubblica sicurezza.899 Ettore Belli, dal suo canto, pubblicava ancora nel luglio 1901, sul giornale «L'Asino» di São Paulo, l'annuncio della sua officina funilaria nella capitale paulista. Infine, nel marzo 1901 il bolognese Gaetano Sandri, denunziava sulle colonne di «Palestra Social» d'aver ricevuto una lettera minacciosa, dichiarando: «Colui o coloro che si sono divertiti a spedirmi una lettera anonima, o sono degli imbecilli ridicoli o dei vili. Carnevale è finito, giù le maschere dunque! Mostrate se potete e se avete coraggio le vostre facce».900 Intanto, nel luglio 1901, il vice-console italiano nello stato del Pará, nel nord del Brasile, scriveva al governatore dello stato per impedire l'uscita di una pubblicazione anarchica che doveva apparire per l'anniversario dell'uccisione del re Umberto I. In quella lettera, il rappresentante diplomatico informava che era stato arrestato l'anarchico Orazio Giardini, il quale era in possesso della lista di sottoscrizione per il foglio libertario, lista che si chiedeva al capo del governo del Pará. Inoltre, il vice-console

898Vd. «Palestra social», São Paulo, le liste di sottoscrizioni per la famiglia Bresci, n. 2 – n. 7; le liste di sottoscrizione per José Sarmento, n. 4 – n. 6; le liste di sottoscrizione a favore del giornale, n. 1 – n. 11. Sulla sottoscrizione a favore di «Pensiero Libertario» e «L'Agitazione», vd. Sottoscrizione, a. I, n. 1, 4 novembre 1900. 899Cesare Salmi nacque a Casalecchio di Reno, frazione di Bologna, il 16 novembre 1869 da Fortunato ed Elisa Berardi. Vd. ACS, CPC, b. 4538, fasc. Salmi Cesare, in particolare la copia della lettera della Prefettura di Bologna alla DGPS, 4 agosto 1904. 900 G. SANDRI, Agli anonimi, in «Palestra Social», São Palo, a. II, n. 8, 17 marzo 1901. L'annuncio di Bellei apparve nella quarta pagina de «L'Asino», São Paulo, a. I, n. 4, 4 luglio 1901, probabilmente anche in altri numeri.

390 sosteneva che «L’anima di tutto ciò è certo Guglielmo Marocco, suddito italiano, stabilito con negozio di calzoleria in via 13 de Maio».901 Il 27 luglio il governo dello stato rispondeva al vice-console, che era stato ordinato alla polizia di impedire la circolazione del giornale «Gaetano Bresci» per il giorno 29, ma che l'ordinanza aveva validità solo per quel giorno e per quella testata. In ogni caso, la nota del governatore del Pará incluse come allegato la lista numero 3 della sottoscrizione per il foglio commemorativo, sequestrata al Giardini e nella quale apparvero anche il veneto Giacinto Rainato – socio di Giardini nel negozio di spaccio di vini e liquori –, il toscano Carlo Fiore e Libero Pinerolo. Nella trasmissione della nota del governatore al MAE, il vice-console aggiungeva: «Fra i «pseudonimi» mi fu detto che vi sua certo Cacciari Ernesto, di Vincenzo, d’anni 27, da Imola, qui residente, commerciante; però – lo ripeto – non ne ho ancora la certezza».902 Secondo la Prefettura di Bologna, Ernesto Cacciari, orefice, era arrivato in Brasile nel 1901. In quel periodo, secondo il ministro d'Italia nel paese sudamericano, il Cacciari appartenne al gruppo anarchico di Belém del Pará, capeggiato da Guglielmo Marocco, con il quale mantenne corrispondenza dopo essere rientrato in Italia nel 1902. La Prefettura di Bologna sosteneva che durante il suo soggiorno italiano del 1902, l'imolese non partecipò a manifestazioni né frequentò anarchici e che, invece, era iscritto al Partito Socialista Italiano, sezione d'Imola. Nel gennaio 1903, Cacciari tornò in Brasile, stabilendosi almeno qualche mese a Rio de Janeiro.903 Dal canto suo, Guglielmo Marocco era proprietario di una calzoleria a Belém e, secondo il vice-console nel Pará, aveva vissuto anche in Argentina, Porto Alegre e ultimamente a Bahia, mantenendo rapporti epistolari con alcuni anarchici dell'Argentina, dell'Uruguay, degli Stati Uniti, dell'Italia, della Spagna, della Svizzera e di Londra, tra i quali Errico Malatesta. Inoltre, riceveva giornali anarchici da Buenos Aires, Nord America, Londra e «L'Agitazione» di Ancona. Si

901Rapporto del Vice-Consolato nel Pará diretto al MAE, 18 luglio 1901, con allegata la nota al governatore dello stato del Pará, stessa data, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 2 Sorveglianza e anarchici al Pará. 902Rapporto del Vice-Consolato nel Pará diretto al MAE, 30 luglio 1901, con allegata la risposta del governatore dello stato, 27 luglio 1900, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 2 Sorveglianza e anarchici al Pará. 903Ernesto Cacciari nacque a Imola il 3 luglio 1874 da Vincenzo a Annunziata Sassi. Vd. ACS, CPC, b. 922, fasc. Cacciari Ernesto.

391 diceva che aveva molto ascendente su un gruppo di cinque o sei anarchici che lavoravano nella sua calzoleria.904 L'annunziato giornale degli anarchici del Pará uscì il 4 agosto sotto il nome di «Un Anniversario. Rivendicazione». Con articoli in lingua italiana e portoghese, il foglio rivendicava la figura di Gaetano Bresci e l'azione da egli compiuta, indicandola come la conseguenza dell'atteggiamento repressivo della monarchia nei confronti del popolo italiano, particolarmente spietato nel maggio 1898. «Un Anniversario» incluse diversi articoli firmati da Guglielmo Marocco e una traduzione in portoghese di un articolo di Malatesta sull'assassinio di Umberto I, oltre a una cronologia della repressione in Italia dal 1889.905 Due mesi dopo l'uscita del foglio libertario, il vice-console segnalava al MAE che il Marocco aveva fatto pubblicare una sua lettera su un numero de «La Questione Sociale» di Paterson, con la quale continuava a insultare la casa Savoia e a minacciarlo per aver tentato d'impedire la circolazione del numero unico, commentando inoltre che diverse lettere minatorie gli erano arrivate negli ultimi mesi. Il ministro degli Affari Esteri scrisse allora alle Legazioni d'Italia a Rio de Janeiro e Washington per interessare le autorità locali sulla sorveglianza degli anarchici e per prendere misure di sicurezza a favore del vice-console Giuseppe Pozzo.906 A São Paulo, intanto, di fronte a una nuova ricorrenza della Breccia di Porta Pia, gli anarchici radunati intorno al gruppo Pensiero e Azione – il cui contatto era Teobaldo Soderi – pubblicarono il numero unico «La Terza Roma», i cui redattori principali furono Gigi Damiani e, in grado minore, Augusto Donati. Collaborò anche Ezzecchiello Simoni, s'inclusero articoli di Pietro Gori ed Errico Malatesta e un manifesto in lingua spagnola del gruppo Fermín Salvochea di São Paulo, oltre a un inciso commemorativo 904Vd. i rapporti del Vice-Consolato nel Pará al MAE, 10 aprile 1901 – in cui si allega rapporto del Vice-Consolato alla Legazione italiana a Rio de Janeiro, stessa data – e 20 giugno 1901, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 3 Informazioni individuali 1901. 905Vd. «Un Anniversario. Rivendicazione», Belém do Pará, n.u., [4 agosto 1901]. Nella nota inviata al MAE il giorno 4 agosto 1901, il vice-console nel Pará allegava una copia del giornale segnalando che era «uscito oggi stesso». Vd. ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 2 Sorveglianza e anarchici al Pará. 906Vd. il rapporto del Vice-Consolato nel Pará al MAE, 19 ottobre 1901, e la risposta del MAE, 14 novembre 1901, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 2 Sorveglianza e anarchici al Pará. Vd. inoltre la nota del MAE alla Legazione d'Italia a Rio de Janeiro e alla Legazione d'Italia a Washington, entrambe datate il 14 novembre 1901, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 1 Rughini Francesco (delegato PS in missione in Rio de Janeiro) 1902.

392 dell'anarchico toscano Polinice Mattei. In ogni caso, il foglio libertario non si limitò alla critica del patriottismo, riportando qualche articolo di polemica con i socialisti e la notizia sull'iniziativa presa dalle leghe operaie fra cappellai, calzolai e metallurgici di costituire una Camera del lavoro a São Paulo.907 D'altra parte, «La Terza Roma» lasciava intravvedere i molti rapporti con l'estero che i militanti paulisti erano riusciti a costruire. Si pubblicarono notizie sullo stato del movimento anarchico in Italia e Olanda e un elenco delle pubblicazioni ricevute dal gruppo libertario, tra le quali «Università Popolare» di Mantova, «L'Agitazione» di Roma, l'opuscolo Ai giovani d'Italia di Mikhail Bakunin edito dal gruppo socialista anarchico di Faenza e, infine, il programma del Partito Socialista Anarchico Italiano, pubblicato in opuscolo da «L'Avvenire Sociale» di Messina, programma che «in massima, è stato accettato da tutti i gruppi e Federazioni esistenti» e che doveva essere distribuito anche nell'interno dello stato paulista. Inoltre, il gruppo redazionale dichiarava che non si sarebbe pronunciato sulla proposta di Gori riguardo all'arbitrato finché la polemica su «L'Avvenire» e «La Nuova Civiltà» di Buenos Aires non si fosse sviluppata abbastanza, nonostante affermasse che in Brasile tutti la respingevano. Infine, il foglio inviava messaggi a Buenos Aires per Fortunato Serantoni e Pietro Gori, a Paterson per «La Questione Sociale», a Mantova per Luigi Molinari, a Messina e a Roma, mentre nell'ambito locale scriveva a Rio de Janeiro, Ribeirão Preto, Campinas, Amparo e a Santos per Luigi Bezzi, chiedendogli quante copie de «L'Agitazione» potevano inviargli.908 Il gruppo Pensiero ed Azione manifestò la sua preoccupazione e solidarietà con il movimento libertario nella penisola dichiarando che la metà del denaro raccolto con il numero unico sarebbe stata inviata in Italia per appoggiare la propaganda. Fra gli oblatori per «La Terza Roma», oltre al Circolo di Studi Sociali di São Paulo, il Circolo Internazionale di Studi Sociali di Santos e vari singoli militanti, apparvero il bolognese Gaetano Sandri e, come collettore, il riminese Edoardo Tesserini. Inoltre, il gruppo anarchico paulista annunziava che una parte dei fondi raccolti con la prossima pubblicazione dell'opuscolo Dio e lo Stato di Bakunin, a cura del gruppo, avrebbero aiutato anche i compagni in Italia.909

907Vd. «La Terza Roma», São Paulo, n. u., 20 settembre 1901. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 151-152. 908Vd. Movimento socialista anarchico, Pubblicazioni, La fine di una farsa e Piccola posta, in «La Terza Roma», São Paulo, n. u., 20 settembre 1901. 909Vd. Gruppo «Pensiero e Azione», Pubblicazioni e Amministrazione, in «La Terza Roma», São Paulo, n. u., 20 settembre 1901.

393 Lo sviluppo del movimento anarchico di lingua italiana nel Brasile alla svolta del secolo, seppur non raggiungesse i livelli di quelli organizzati dai compagni dell'Argentina o degli Stati Uniti, rappresentò una permanente preoccupazione per le autorità diplomatiche italiane e, in qualche modo, anche per il governo della penisola. Il ministro d'Italia nella repubblica sudamericana assicurava: «I Capi del partito sono, da quanti mi si assicura, in comunicazione continua coi i principali gruppi anarchici del Regni, specialmente delle Marche e di Romagna, ed è assai probabile che l’azione di quelli abbia relazione più o meno diretta con le trame, che questi ordiscono al Brasile». Frutto di questa preoccupazione fu l'arrivo del delegato di Pubblica Sicurezza, Francesco Rughini, a Rio de Janeiro nel settembre 1901, richiesto dal ministro nel Brasile. Egli, confermando l'arrivo dell'agente, sosteneva che era necessario che Rughini potesse muoversi nel territorio brasiliano per la sorveglianza dei sovversivi, soprattutto nello stato di São Paulo dove la colonia italiana era più grande e gli anarchici meglio organizzati. Infine, siccome risultava più utile nascondere la vera natura dei servizi dell'agente, persino al capo di polizia brasiliana, le autorità italiane accordarono di nominarlo agente di emigrazione, il che gli avrebbe consentito di viaggiare spesso e recarsi nelle ospederie per immigrati e nei porti senza sollevare sospetti.910

910Vd. il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto al MAE, 4 ottobre 1901 (con allegata copia del rapporto della Legazione alla DGPS, 7 settembre 1901) e la nota della DGPS al MAE, 2 novembre 1901, ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali, fasc. Brasile 1898-1902, s/fasc. 2 Sorveglianza e anarchici al Pará. Sullo stipendio del Rughini e altre spese di Pubblica Sicurezza nel Brasile, vd. s/fasc. 1 Rughini Francesco (delegato PS in missione in Rio de Janeiro) 1902

394 4.3.Gli anarchici dell’Emilia e della Romagna dall'ascesa degli scioperi alla legge Adolfo Gordo (1902-1907)

Durante il 1901 almeno cinque denunce su presunti complotti anarchici per compiere degli attentati in Europa, erano arrivate negli uffici diplomatici italiani del Brasile. Una di queste «rivelazioni» fu fatta da Achille De Sanctis, anarchico che anni prima era stato scoperto dai compagni quale confidente della polizia a Buenos Aires e che, nel 1896, lasciò l'Argentina diretto in Italia, dove rimase un anno circa prima di trasferirsi a São Paulo.911 La paranoia svegliata dall'attentato Bresci, in ogni caso, non fu esclusiva dei monarchici italiani in Brasile. Come rileva Isabelle Felici, nel maggio 1902 il governo italiano fu informato di un preteso complotto ordito fra gli anarchici degli Stati Uniti, dell'Argentina e del Brasile che, d'intesa con i compagni dell'Europa, intendevano «continuare la serie degli attentati contro la vita di sovrani e presidenti di repubbliche». Nel Brasile, erano indicati come i «capi» del complotto il livornese Angelo Bandoni, Gigi Damiani, Giovanni Rossi e Guglielmo Marocco, mentre una trentina di attivisti erano segnalati come partecipanti alla cospirazione, tra i quali gli anarchici Tobia Boni di Siena, Francesco ed Ezio Gattai di Firenze, i socialisti Alceste De Ambris, Alcibiade Bertolotti, Cesare Golfarelli e il romagnolo Alcibiade Battelli. Il rapporto del Ministero dell'Interno segnalava anche Vito Parmeggiani, ex sacerdote bolognese noto come Giulio Reggiani e inoltre includeva nell'elenco l'anarchico piacentino Gaetano Galli e i ravennati Pietro Tavani e Luigi Bezzi.912 Già nell'aprile 1902 la Legazione d'Italia segnalava che il Bezzi, detto «il Matto di Ravenna», abitava a Santos con la famiglia da diversi anni ed era fra i più audaci anarchici del Brasile, ritenuto «capace di organizzare le più violente imprese».

911Sulle denunzie sui pretesi complotti anarchici in Brasile nel 1901, vd. ASD-MAE, Polizia Internazionale, b. 28 Moti anarchici, accordi internazionali, fasc. Brasile 1898- 1902, s/fasc. 3 Informazioni individuali 1901. Su Achille De Sanctis, vd. la nota della DGPS al MAE, 1 giugno 1901, stessa collocazione. Nel febbraio 1901, il giornale anarchico «Palestra Social» riproduceva un articolo apparso su «L'Avvenire» di Buenos Aires firmato da Serantoni, Ciminaghi e Stroppiana, che accusava Achille De Santis d'essere diventato confidente del console e della polizia argentina, con incluso un suo ritratto. Vd. La caccia alle spie, «Palestra Social», São Paulo, a. II, n. 6, 24 febbraio 1901. 912Nota del Ministero dell'Interno alla Prefettura di Siena, 21 giugno 1902, ACS, CPC, b. 733, fasc. Boni Tobia. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 155-157; ID., Anarchici in Brasile: il percorso emblematico di Francesco Gattai, cit., p. 63.

395 Nell'ottobre la stessa Legazione confermava che il Bezzi era quello incluso nell'elenco del complotto ordito in Brasile, aggiungendo inoltre che «è appunto presso il Bezzi e sotto la sua direzione che si dan convegno in Santos anarchici pericolosi di S. Paolo e di altre località».913 Su Gaetano Galli, allora di 48 anni, l'autorità diplomatica assicurava che il piacentino abitava a Bagé, stato di Rio Grande do Sul e che nel luglio 1902 aveva lavorato nelle miniere di rame di Camaquà, nello stesso stato. Secondo il ministro italiano in Brasile, il Galli – anarchico e «in continui rapporti con gli altri affiliati alla setta» – aveva affermato nel marzo 1902 che «il Re attuale dovrà fra poco morire come il padre» e, inoltre, quando il vice-console a Bagé aveva pubblicato un bollettino informando la sparizione di Umberto I, l'anarchico piacentino avrebbe baciato una copia del bollettino e avrebbe poi invitato a bere i suoi amici. Dopo quest'episodio, l'agente consolare chiamò il Galli avvertendolo che sarebbe stato arrestato nel caso avesse disturbato le onoranze per il re morto. Sembra che il Galli avesse raggiunto il Brasile nei primi anni '80 e che in Italia non avesse partecipato attivamente alle lotte politiche, non avendo avuto condanne né antecedenti giudiziari.914 In ogni caso e nonostante tutto, le prime inchieste su alcuni dei «complottisti» rivelarono la falsità della congiura e, invece, sembra che gli individui coinvolti fossero stati segnalati in accordo con i registri dei sovversivi dei consolati italiani in Brasile.915 Qualche mese prima della denunzia, a São Paulo la stampa anarchica in lingua italiana era rinata con la pubblicazione di «Germinal», periodico socialista anarchico diretto da Angelo Bandoni ed edito a cura del Circolo Educativo Libertario Germinal. Il primo numero apparve il 10 febbraio 1902 e affermava che, seppur la vita dei giornali libertari a São Paulo era difficile, il gruppo redazionale assumeva la sfida sapendo anche che nella città c'erano oltre quattrocento anarchici che potevano collaborare con il progetto. Nel luglio il periodico comunicava che, per «incombenze ineludibili di carattere privato», Angelo Bandoni abbandonava la redazione del giornale, lasciando a Duilio

913Vd. i rapporti della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti alla DGPS, 28 aprile e 28 ottobre 1902, ACS, CPC, b. 603, fasc. Bezzi Luigi. 914Gaetano Galli, muratore, nacque a Piacenza il 3 agosto 1854 da Gaetano e Anna Proia. La sua data di arrivo in Brasile è incerta: il ministro d'Italia in Brasile segnalava che il Galli aveva lasciato Piacenza nel 1878 diretto in Francia e che poi era passato in Brasile, mentre la Prefettura di Piacenza affermava nel 1902 che l'anarchico si era trasferito nel paese sudamericano da oltre vent'anni. Vd. ACS, CPC, b. 2246, fasc. Galli Gaetano, in particolari i rapporti della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti alla DGPS, 24 aprile, 15 luglio e 9 ottobre 1902, e il rapporto della Prefettura di Piacenza alla DGPS, 13 novembre 1902. 915 I. FELICI, Les italiens dans le mouvement anarchiste au Brésil, cit., p. 156.

396 Bernardoni la responsabilità del foglio libertario. Bandoni ne riprese però la direzione nel gennaio 1904, dopo vari mesi di silenzio del giornale.916 In ogni caso, l'anarchico livornese fu l'anima di «Germinal», il quale diede ampia pubblicità alle conferenze che il Bandoni teneva nei diversi punti dello stato paulista. «Germinal», che pubblicò alcune collaborazioni in lingua portoghese e spagnola, costruì una fitta rete di contatti con molti gruppi anarchici del Brasile e in particolare dello stato di São Paulo. Nelle sue pagine apparvero numerosi comunicati sulla costituzione di nuovi gruppi libertari, alcuni dei quali lo stesso giornale aiutò a formare. Nel maggio 1902 s'informava che a Junidaí, dove aveva avuto una conferenza Bandoni verso l'inizio del mese, si stava costituendo il gruppo anarchico «Germinal», mentre un mese dopo anche a São João da Boa Vista, si era formato un gruppo con lo stesso nome. Inoltre, nel gennaio 1903 il giornale anarchico pubblicizzava una riunione per la costituzione di un nuovo circolo e nel marzo pubblicava un comunicato della commissione incaricata di promuovere la creazione di un centro libertario a São Paulo, con ampli locali da utilizzare per riunioni e conferenze. In questo comunicato si allegava la lista di sottoscrizione a favore dell'iniziativa, nella quale apparve il romagnolo Osvaldo Amadei.917 Sul conto dell'Amadei, la Legazione d'Italia in Brasile informava nel novembre 1905 che l'anarchico, di circa 40 anni, viveva a São Paulo da vari anni e che aveva una segheria a vapore in società con un suo fratello e aggiungeva: «L'Amadei Osvaldo è infatti fanatico seguace delle teorie anarchiche individualiste; ma non è ritenuto capace di azione». Nel 1904, l'Amadei aveva inviato un'oblazione al giornale anarchico milanese «Il Grido della Folla», tuttavia questo era l'unico antecedente che la polizia italiana aveva su di lui.918 Nelle colonne del foglio anarchico s'annunziò anche la costituzione del gruppo Filhos da Era Anarchista – nato da quello di lingua spagnola Sociología Moderna – nel febbraio 1902, del circolo socialista anarchico Gli amici del Popolo a São Paulo nel 916Vd. «Germinal», São Paulo: a. I (1902): Compagni!, n. 1, 10 febbraio; n. 10, 13 luglio; Ai compagni dell'interno, a. III, n. 1, 24 gennaio 1904. 917Vd. «Germinal», São Paulo: a. I (1902), Conferenza a Jundiahy, n. 6, 16 maggio; n. 8, 15 giugno; a. II (1903): Per l'Idea, n. 1, 31 gennaio e n. 4, 21 marzo. 918Nel fascicolo di Osvaldo Amadei conservato nel CPC non si segnalano né la data di nascita né la sua ascendenza. Inoltre, la Prefettura di Ravenna segnalava che nella provincia non era conosciuto e che, nonostante nel circondario di Lugo c'erano famiglie Amadei, nessuna di esse aveva parenti a São Paulo né avevano come parenti qualcuno di nome Osvaldo.Vd. ACS, CPC. b. 84, fasc. Amadei Osvaldo, in particolare il rapporto della Legazione d'Italia a Petrópolis diretto alla DGPS, 18 novembre 1905.

397 marzo, della Liga Internacional dos Trabalhadores Emilio Zola a Palmeiras e del circolo socialista anarchico Era Nuova a Piracicaba nel gennaio 1903 e, infine, del gruppo anarchico E pur si muove a Juiz de Fora nel febbraio stesso anno.919 Allo stesso modo, si pubblicizzò la Bibliotheca Sociologica di Rio de Janeiro, diretta da José Mota Assumpção; la pubblicazione a marzo nella capitale federale, della rivista anarchica «Asgarda» – anche essa diretta da Mota Assumpção; nell'aprile l'uscita a São Paulo del nuovo giornale libertario in lingua portoghese «O Amigo do Povo»; l'uscita a giugno dell'opuscolo di Errico Malatesta Fra contadini, il primo edito dal gruppo Nuova Civiltà Acta et non Verba, diretto da Tobia Boni e che nell'ottobre stampò per la vendita dei ritratti di Émile Zola; l'uscita eventuale, nell'ottobre 1902, della versione portoghese dell'opuscolo Al Caffè, di Errico Malatesta, a cura del gruppo Filhos da Era Anarquista di São Paulo, capeggiato da Manoel Moscoso; la pubblicazione di Ai Giovani di Kropotkine nel gennaio 1904 a cura del gruppo La Propaganda – il cui contatto era Alberto Sandri – che voleva stampare a breve anche La Conquista del Pane; infine, nel marzo 1904 si annunciò l'uscita della rivista libertaria «Kultur» a Rio de Janeiro, diretta da Elísio de Carvalho.920 Per ultimo, nell'ottobre 1902 il foglio anarchico paulista informava di aver ricevuto la rivista razionalista «Lucifero», diretta da Angelo Bandoni, per la quale lo stesso «Germinal» aveva aperto una sottoscrizione ad agosto.921 Il gruppo di «Germinal» ebbe un legame diretto con una delle prime esperienze educative di taglio anarchico nel Brasile, il Circolo Educativo Libertario Germinal. Questo gruppo fu il promotore della Scuola Razionalista Libertaria, che avviò la sua attività nel maggio 1902, con un corso serale nel quartiere paulista di Bom Retiro. Il principale artefice dell'iniziativa fu Angelo Bandoni, che portò avanti la scuola almeno per due anni, nel momento in cui il movimento operaio e gli scioperi iniziavano a espandersi. Come

919Vd. «Germinal», São Paulo: a. I (1902): Compañeros de «Germinal», n. 1, 10 febbraio; Circolo socialista anarchico cosmopolita, n. 3, 15 marzo; a. II (1903): Da Palmeiras e Piracicaba, n. 2, 14 febbraio; Nuovo gruppo, n. 3, 28 febbraio. 920Vd. «Germinal», São Paulo, a. I (1902): Bibliotheca sociologica, n. 1, 10 febbraio; D'imminente pubblicazione, n. 2, 1° marzo; La settimana del cambio, n. 4, 5 aprile; Comunicato. Fatti e non parole, n. 6, 16 maggio; Abbiamo ricevuto, n. 16 e n. 17, 4 e 18 ottobre rispettivamente; a. III (1904): Gruppo Anarchico La Propaganda, n. 1, 24 gennaio; Kultur, n. 3, 13 marzo. Inoltre, «Germinal» manifestò di aver ricevuto i giornali «Evangelista» di Araguarì (Minas Gerais) e «O Rebate» di Cuiabá (Mato Grosso), dei quali non conosciamo però le tendenze politiche. Vd. «Germinal», a. I (1902): La settimana del cambio, n. 4, 5 aprile; Abbiamo ricevuto, n. 16, 4 ottobre. 921Vd. «Germinal», São Paulo, a. I (1902): Ai compagni, n. 12, 9 agosto; le liste di sottoscrizione per «Lucifero», n. 13 e n. 15, 23 agosto e 20 settembre rispettivamente; Abbiamo ricevuto, n. 17, 18 ottobre.

398 per tante altre iniziative libertarie, i problemi finanziari non mancarono, ma l'appoggio di diversi gruppi anarchici – tra essi il giornale «O Amigo do Povo» – e la raccolta di fondi attraverso feste libertarie, permisero che la scuola si tenesse attiva fino al giugno 1905. Nei numeri di «Germinal» apparsi nel gennaio e nel febbraio 1904, un corrispondente raccontava della sua visita alla scuola elementare diretta da Bandoni – in funzione da parecchio tempo, secondo lui – dove ebbe l'opportunità di parlare con i bambini su diversi temi, quali la religione, la patria, il lavoro, ecc. Nelle conversazioni l'articolista dimostrava il dominio che avevano i bambini della prospettiva libertaria, i quali, inoltre, solevano finire le lezioni intonando alcuni canti rivoluzionari. In ogni caso, nonostante la chiusura della scuola nel 1905, nell’ottobre 1907 essa si riapriva grazie al successo di una campagna di raccolta fondi. In seguito, l'iniziativa di Bandoni non fu l'unica e da allora si aprirono diverse scuole libere nell’interno dello stato da circoli libertari e associazioni operaie.922 Alcuni anni prima, altre iniziative educative erano già comparse nella scena operaia, anche se, senza l'approccio propriamente anarchico. Secondo Edgar Rodrigues, nel 1896 nacque il Colegio União Operária a Porto Alegre, grazie all'attività di alcuni stranieri e alcuni reduci della Colonia Cecilia, mentre nel 1900 l'insegnante liberale Luigi Basile fondò la Scuola Dante Alighieri nel quartiere del Brás, a São Paulo, la quale prese poi la forma di università libera. Dopo la scuola Germinal, invece, diversi gruppi anarchici avviarono progetti educativi. Fra il marzo e l'ottobre 1904, per iniziativa di Elísio de Carvalho, funzionò a Rio de Janeiro l'Universidade Popular d'Ensino Livre, che ebbe fra i suoi insegnanti il noto anarchico brasiliano Fabio Luz, mentre altri come José Mota Assumpção fecero parte del consiglio direttivo. La vita dell'università fu piuttosto breve poiché, secondo la stampa anarchica, riunì persone con convinzioni diverse e non riuscì a superare le differenze fra cultura illustrata e operaia, né i vanitosi interessi personali. In seguito, la Liga Operária de Campinas creò una scuola propria nel 1907, nella quale fu insegnante l'anarchico portoghese Adelino Tavares de Pinho, mentre nel 1909 nacque la scuola Primeiro de Maio nel quartiere Vila Santa Isabel di Rio de Janeiro,

922Vd. «Germinal», São Paulo: Avviso, a. I, n. 6, 16 maggio 1902; Alla scuola libertaria «Germinal», a. III, n. 1 e n. 2, 24 gennaio e 21 febbraio rispettivamente. Vd. anche R. JOMINI-MAZONi, Écoles anarchistes au Brésil (1889-1920), Loriol, Atelier de Création Libertaire et Editions Noir, 1999, pp. 27-28; C. ROMANI, Oreste Ristori, uma aventura anarquista, São Paulo, Annablume, Fapesp, 2002, p. 177-178. Nel marzo 1905, quando la mancanza di risorse minacciava la chiusura dell'iniziativa educativa, «La Battaglia» pubblicò un appello per sostenere la scuola Germinal. Vd. «La Battaglia», São Paulo, a. II, n. 36, 26 marzo 1905.

399 sotto la guida del militante libertario italiano Pietro Battista Matera. Nel 1912 si fondarono a São Paulo l'Escola Moderna numero 1, diretta dal brasiliano João Penteado, l'Escola Moderna numero 2, guidata da Adelino de Pinho, entrambe prodotto di una campagna libertaria iniziata all'indomani dell'esecuzione dell'educatore spagnolo Francisco Ferrer nel 1909.923 Il giornale anarchico «Germinal» non si limitò ai rapporti con i gruppi locali e, come gran parte dei suoi colleghi, si preoccupò di creare dei contatti con gruppi libertari all'estero scambiando il proprio periodico. In cambio, ricevette: «O Trabalho» da Setubal (Portogallo); «Germinal» da Lima – organo dell'Unión Nacional –; «Il Razionalista» da Firenze – numero unico diretto da Alfredo Mari –; «Rebeliòn» da Montevideo; da Santiago del Cile «La Agitación», «La Luz» e la rivista di arte e letteratura «Verdad»; «La Protesta Humana», «L'Avvenire», «La Nuova Civiltà» ed «El Trabajo» – edito a cura della Casa del Popolo – da Buenos Aires, oltre a un manifesto della FOA che si riferiva ai socialisti quali traditori per il loro atteggiamento riguardo alla ley de residencia; dagli Stati Uniti «La Questione Sociale» di Paterson, da dove arrivò anche un opuscolo edito dal gruppo Emancipazione della Donna e anche alcuni opuscoli e la rivista «La Protesta Umana» da Chicago; il libro Guerre et militarisme, edito da Jean Grave da Parigi. Infine, speciale spazio fu conferito a «La Rivoluzione Sociale» di Londra, uscito nell'ottobre 1902, giornale degli anarchici organizzatori espatriati nella capitale inglese e per il quale Angelo Bandoni non risparmiò le critiche.924 Alcune corrispondenze inviate dall'Argentina, furono pubblicate sulle colonne del giornale paulista. Nel marzo 1902, il faentino Giacomo Quarantini scriveva al foglio brasiliano sulla espansione dell'organizzazione operaia e degli scioperi nel paese, affermando: «Gli anarchici, convinti d’essere, nel campo economico, di somma necessità, spiegano, in questo, tutta la loro attività e contribuiscono efficacemente a che le associazioni di mestiere non servino di stromento ai partigiani della lotta elettorale».

923Sulle esperienze educative libertarie riferite e altre, cfr. R. JOMINI-MAZONI, op. cit., pp. 24- 52; M. RAGO, Do cabaré ao lar. A utopia da cidade disciplinar. Brasil: 1890-1930, Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1985, pp. 146-162; C. ROMANI, op. cit., pp. 177-187; E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit. pp. 137-144. Sull'Universidade Popular di Rio de Janeiro, vd. anche E. CARONE, op. cit., pp. 42-44. Fin dal 1908, quando le scuole moderne si diffusero nel Brasile, anche l'anarchico empolese Oreste Ristori collaborò attivamente alla loro formazione. Vd. C. ROMANI, op. cit., p. 135. 924Vd. «Germinal», São Paulo: Abbiamo ricevuto, a. I (1902) – a. II (1903); La settimana del cambio, a. I, n. 4, 5 aprile 1902; Avvisi, a. I, n. 15. Sulle critiche contro «La Rivoluzione Sociale» di Londra, vd. A. BANDONI, Nuovo giornale, «Germinal», São Paulo, a. I, n. 16 e n. 17, 4 e 18 ottobre rispettivamente.

400 Pochi mesi dopo, un'altra corrispondenza riferiva la costituzione della Casa del Popolo boanerense, mentre nel marzo 1903 si parlava della ripresa della repressione e delle persecuzioni contro il movimento anarchico argentino. D'altra parte, su «Germinal» non mancò qualche polemica con il quotidiano «Avanti!» di São Paulo a proposito di alcune corrispondenze pubblicate sul giornale socialista inviate dall'Argentina e che riguardavano gli anarchici del paese vicino.925 I contatti di «Germinal» con gli anarchici all'estero s'evidenziarono anche attraverso la corrispondenza inviata dalla redazione del giornale. Fra i destinatari di queste note, ci furono Pasquale Binazzi e A. Viti a La Spezia, Serantoni, «L'Avvenire» e L. Valgois a Buenos Aires, «La Protesta Umana» di Chicago, oltre ai periodici libertari della penisola «L'Agitazione», «Il Grido della Folla», «Il Libertario» e alle città di Siena, Livorno, Genova, Corato (Bari), New York, Paterson, Bahia Blanca e Londra. Inoltre, la redazione del giornale inviò un messaggio a Parigi per Felice Vezzani nell'aprile 1902 e a Buenos Aires per Giacomo Quarantini nel marzo 1902, al quale scriveva: «facciamo assegnamento sulla tua promessa; procura maggiore diffusione «Germinal»». In Brasile, invece, i messaggi furono diretti a diversi compagni della capitale federale e di Cordeiro nello stato di Rio de Janeiro, dello stato del Pará, di Porto Alegre e di Palmeira, mentre nello stato paulista la corrispondenza si diresse alla città di São Paulo, Campinas, Jundiaí, Amparo, Sorocaba, Monte Alto, São João da Boa Vista, São João da Bocaina e a Santos con una nota per il ravennate Luigi Bezzi.926 Per sostenere il giornale, il gruppo editore di «Germinal» si avvalse soprattutto delle sottoscrizioni volontarie e di quelle permanenti raccolte fra i compagni del Brasile. Il giornale, che ancora prima della sua uscita aveva ricevuto le oblazioni raccolte a favore della pubblicazione dell'opuscolo Dio non esiste – che non furono sufficienti per la sua pubblicazione –, ebbe la collaborazione pecuniaria di diversi gruppi anarchici e di singoli compagni di tutto il Brasile, inclusi il gruppo Germinal di Rio de Janeiro e il gruppo Emancipazione dell Donna di Paterson, che fece arrivare la sua oblazione nel settembre 1902. Fra i militanti originari dell'Emilia e della Romagna apparvero nelle liste di sottoscrizione il riminese Edoardo Tesserini, oblatore abituale che ebbe a carico la

925Vd. «Germinal», São Paulo: a. I (1902): Movimento sociale, n. 3 e n. 10, 15 marzo e 13 luglio rispettivamente; Ancora dell'Argentina, a. II, n. 4, 21 marzo 1903. Sulle polemiche con l'«Avanti!», vd. «Germinal», São Paulo: A proposito del contraddittorio fra socialisti ed anarchici nel teatro Doria in Buenos Ayres, a. I, n. 17, 18 ottobre 1902; Ad un anonimo calunniatore, a. II, n. 1, 31 gennaio 1903. 926Vd. la rubrica Piccola Posta, in «Germinal», São Paulo, a. I (1902) – a. III (1903)

401 raccolta di una lista per l'ultimo numero apparso, il ravennate Luigi Bezzi, da Santos, nel giugno 1902 e gennaio 1903, e il riminese Colombo Bertoni nel febbraio 1903. Anche i parmigiani collaborarono con il giornale: da Palmeira inviarono il loro contributo uno degli Artusi nel giugno 1902, poi Aniceto nel settembre e Virginio nel marzo 1903; Aldino e Tranquillo Agottani fecero altrettanto nel giugno 1902, mentre Zefferino inviò la sua oblazione nel novembre e Aldino ripeté la sua sottoscrizione nel marzo 1903. Nell'ottobre 1902 apparve il nome Belley – è possibile che si trattasse dell'emiliano Ettore Bellei –, qualcuno che firmò come Parma e un altro come Ravenna, firma quest'ultima che riapparve nel gennaio 1903. Nel maggio, nel giugno e nell'agosto 1902 il riminese Emilio Campana comparve nelle liste di sottoscrizione, mentre suo fratello Pietro era presente nei due numeri dell'agosto 1902 e anche nel febbraio 1903. Infine, Giovanni Binazzi, anarchico originario di Cotignola, fu spesso fra i sottoscrittori del 1902.927 Secondo la Prefettura di Forlì, dopo la morte del loro padre, Pietro ed Emilio Campana «furono costretti ad emigrare in America perché per la loro equivoca condotta avevano perduto la stima della cittadinanza per cui riusciva loro difficile procurarsi da vivere onoratamente. Professavano idee anarchiche ma però non diedero mai luogo a speciali rimarchi sul loro conto». Fin da quell'epoca si stabilirono a São Paulo, ma all'inizio del 1908 erano segnalati dalla polizia italiana come residenti nello stato di Minas Gerais insieme alla madre e ad una sorella.928 Dal canto suo, Giovanni Binazzi si trasferì in Brasile con la propria famiglia nel dicembre 1897, dopo essere stato confinato 927Vd. le liste di sottoscrizione a favore del giornale, in «Germinal», São Paulo, a. I (1902) – a. III (1904). Vd. anche Per una sottoscrizione, a. I, n. 1, 10 febbraio 1902. Binazzi apparve nelle liste di sottoscrizione con il solo cognome, tuttavia nella lista del n. 6 del giornale (16 maggio 1902) si firmò «Binazzi Bice saluta Amedeo Boschi», il che riconduce al soprannome «Biccia», indicato nella sua scheda biografica redatta dalla Prefettura di Ravenna. Vd. ACS, CPC, n. 652, fasc. Binazzi Giovanni. Secondo una nota della Prefettura di Modena riguardante il figlio di Ettore Bellei, Ferruccio, che faceva riferimento a un dispaccio del 21 aprile 1903, Ettore si trovava in quella data a São Paulo del Brasile, in Rua Formosa 52, e frequentava gli anarchici di quella città. Vd. nota della Prefettura di Modena alla DGPS, 4 giugno 1925, ACS, CPC, b. 448, fasc, Bellei Ferruccio. 928Pietro Campana, fabbro, nacque a Rimini il 29 giugno 1879 da Andrea e Maria Balacchi e partecipò alla campagna italiana in Africa nel 1891-1892. Vd. ACS, CPC, b. 979, fasc. Campana Pietro fu Andrea, in particolare il rapporto della Prefettura di Forlì alla DGPS, 26 ottobre 1904, in cui si segnalava la loro partenza nel 1892. Suo fratello Emilio nacque a Rimini il 4 settembre 1877. La Prefettura di Forlì lo segnalava come emigrato con la famiglia per Belo Horizonte nel 1904, il che potrebbe indicare che i Campana rientrarono in Italia prima di quella data o semplicemente che cambiarono domicilio da São Paulo alla capitale di Minas Gerais. Vd. ACS, CPC, b. 979, Campana Emilio, in particolare la nota della Prefettura di Forlì alla DGPS, 18 marzo 1928.

402 un anno al domicilio coatto a Ischia e alle Tremiti con condanna del settembre 1894. Nel 1888 era stato incarcerato qualche giorno per aver rubato del pane e una gallina, mentre nel marzo 1893 fu accusato di aver messo una bomba nell'ufficio postale di Cotignola e d'istigare alla collocazione di un'altra di fronte alla finestra del pretore, per cui fu condannato dal Tribunale di Ravenna a un anno di reclusione e a un anno di vigilanza speciale sotto l'accusa di associazione a delinquere.929 «Germinal» supportò, nei suoi primi numeri, una campagna di raccolta di fondi a favore dell'anarchico fiorentino Giovanni Gavilli e del ravennate Ludovico Tavani, sembra con lo scopo di farli venire in Brasile. Mentre Gavilli era impegnato in un lungo giro di propaganda, soprattutto in Toscana ma anche in alcune città del nord d'Italia, inclusa Bologna – non senza arresti e piccole condanne –, Tavani era espulso da Marsiglia nel novembre 1901 e rientrava a Ravenna dopo un breve soggiorno in Svizzera. L'incaricato della distribuzione delle liste di sottoscrizione e della raccolta del denaro era il bolognese Gaetano Sandri. La campagna però, ebbe una breve durata e sembra che non avesse avuto molto successo: i militanti dell'Emilia e della Romagna ebbero nel ravennate Luigi Bezzi come unico oblatore.930 Tuttavia, come dichiarato dallo stesso Ludovico Tavani nel giugno 1902, i compagni del Brasile inviarono in Italia 268 lire, delle quali il ravennate sosteneva che solo 68 appartenevano a lui. Tavani era stato dimesso dalle carceri genovesi di Massari il 12 giugno, dopo circa due mesi di detenzione e allora dichiarò al delegato PS del porto ligure, che intendeva cercare lavoro a Genova, aggiungendo: «Con ogni probabilità poi appena avrò mezzi mi recherò in America (S. Paolo) dove trovasi mio fratello Pietro con mia madre, dato il fatto che molto difficilmente questi miei parenti ritorneranno dall'America […] Se però avessi subito del denaro, non esiterei ad imbarcarmi per l'America, recandomi da mia madre». Secondo i rapporti del confidente della polizia italiana a Parigi, Enrico Insabato – detto «Dante» –, i soldi raccolti a São Paulo da Angelo Bandoni, Gaetano Sandri, suo fratello Pietro e altri, dovevano arrivare al Tavani attraverso il compagno Pietro Mori. In una lettera a Felice

929Giovanni Binazzi, calzolaio, nacque a Cotignola, frazione di Lugo, il 5 marzo 1873 da Paolo e Angela Montanari. La polizia italiana segnalava che il Binazzi era migrato nello stato di Minas Gerais, mentre le autorità diplomatiche nel Brasile sostenevano che lo fece a São Paulo. In ogni caso, sembra che nel 1905 l'anarchico romagnolo si trovasse effettivamente in Minas Gerais. Vd. ACS, CPC, n. 652, fasc. Binazzi Giovanni, in particolare il cenno biografico redatto dalla Prefettura di Ravenna, 7 aprile 1906. 930Vd. «Germinal», São Paulo, a. I (1902): Comunicato, n. 1, 10 febbraio; Sottoscrizione pro Gavilli e Tavani, n. 3, 15 marzo. Vd. anche Gavilli Omero Giovanni Tommaso Maria, in DBAI, vol. I, cit, p. 682-684; Tavani Lodovico, in DBAI, vol II., cit., pp. 604-605.

403 Vezzani, l'anarchico ravennate affermava già il 24 marzo che, a Genova, Mori aveva ricevuto il denaro inviato dal Brasile e che, infatti, la propria intenzione era quella di rientrare in Italia per riprendere la pubblicazione del «Combattiamo» insieme al Mori. Tavani argomentava: «Io ho la fortuna di avere un fratello che è per mia madre una vera provvidenza e anche per me, perché così sono più libero».931 Nonostante l'importante contributo che «Germinal» diede alla ripresa del movimento anarchico a São Paulo, il foglio non si sottrasse alle critiche che emersero all'interno del proprio movimento. Nel febbraio 1902, pochi giorni dopo l'apparizione del periodico paulista, l'anarchico portoghese José Mota Assumpção diresse una corrispondenza a «Germinal» con la quale criticava l'impostazione teorica e l'uso di lingue straniere nella stampa anarchica, ritenuti da lui la vera ragione del fallimento della propaganda libertaria.932 Una prospettiva simile sosteneva Felice Vezzani, che nell'aprile inviò una lettera a Arturo Campagnoli, ormai ritornato a São Paulo, sostenendo che «Germinal» era fatto male e che eventualmente avrebbe inviato qualche articolo per collaborarvi. Secondo il ministro d'Italia in Brasile, in quella lettera Vezzani inviò un'acclusa diretta all'anarchico bolognese Gaetano Sandri, «per interessarlo a dire al Bandoni, che la smettesse col giornale «Germinal» dal Vezzani ritenuto molto accademico e niente pratico». Secondo alcuni brani della lettera trascritta dall'agente P. S., il Vezzani diceva sul giornale paulista: «ne ho ricevuto tre numeri e ti garantisco che ho vivamente compianto i redattori, i lettori e gli oblatori». Poi aggiungeva: «che cosa ci può imparare un povero diavolo di operaio in tutto quel farfiume di pretesa filosofia […] Almeno se vi fosse qualche cosa inerente alla lotta terribile degli sfruttati per illuminare le menti». Invece, non c'era niente sulle lotte operaie se non articoli di «polemica barocca».933 Gaetano Sandri lasciò il Brasile nell'ottobre 1903, diretto In Italia per negoziare barili di polvere a Milano e per prendere sua figlia Annita – di 20 anni – a Bologna, con

931Vd. ACS, CPC, b. 5049, fasc. Tavani Ludovico, in particolare il rapporto della Prefettura di Genova diretta alla DGPS, 13 giugno 1902, in cui si allega la dichiarazione del Tavani di fronte al delegato di PS, 12 giugno 1902; i rapporti inviati da Parigi da Dante, 20 e 25 marzo e 14 aprile 1902. In quello del 25 marzo si trascriveva una lettera di Tavani a Felice Vezzani datata a Montreaux, 24 marzo 1902. Su Enrico Insabato, vd. Insabato Enrico, in DBAI, vol. II, cit., pp. 5-6. 932Vd. Sezione brasiliana, in «Germinal», São Paulo, a. I, n. 2, 1° marzo 1902. 933Vd. ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo, in particolare il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto alla DGPS, 6 luglio 1902, nella quale si trascrivevano i brani più rilevanti di una lettera diretta al Campagnoli da Felice Vezzani, residente a Parigi; e il rapporto del confidente Dante, Parigi, 14 aprile 1902.

404 cui rientrò a São Paulo nel gennaio 1904. Secondo il ministro d'Italia in Brasile, alla sua partenza da Santos, il Sandri «fu salutato dai caporioni di quel gruppo anarchico ed il noto Bezzi Luigi confabulò con lui fino al momento della partenza». Al suo arrivo a Genova, il bolognese fu detenuto dalla polizia italiana e nel suo interrogatorio espose i motivi del suo viaggio, dichiarando inoltre: «Non appartengo ad alcun partito, ma simpatizzo per le idee socialiste rivoluzionarie».934 Dal canto suo, Arturo Campagnoli era rientrato a São Paulo verso la fine dell'aprile 1902, proveniente da Londra. In realtà, il Campagnoli lasciò Londra diretto a Parigi per incontrare Felice Vezzani e per imbarcarsi in Francia alla volta di Santos. Qualcosa di simile fece anche suo fratello Luciano nei primi di gennaio dello stesso anno, quando da Londra si portò a Parigi con una lettera di Errico Malatesta diretta a Vezzani. Dopo aver lasciato la capitale francese – dove soggiornò qualche giorno – la polizia perse le sue tracce e soltanto verso la metà di marzo ricomparve con una lettera e un centinaio di lire inviate a Vezzani da São Paulo. Infatti, Vezzani aspettava notizie di Luciano fin da febbraio, precisamente perché egli doveva fargli arrivare dei soldi per finanziare la pubblicazione di un opuscolo contro le tendenze legalitarie di alcuni anarchici in Italia. Luciano era tornato a Imola verso la metà del 1901 per obblighi di leva e dopo essere stato «riformato» dall'esercito perché manifestò una malattia a entrambi gli occhi, nel settembre si recò a Londra, presso suo fratello Arturo. Egli, intanto, dopo essere stato espulso dalla Francia nell'ottobre 1900 si stabilì a Londra, dove fece parte del gruppo editoriale del giornale anarchico in lingua italiana «L'Internazionale» – uscito nella prima metà del 1901 – e, prima di lasciare la metropoli inglese, del primo numero de «Lo Sciopero Generale».935

Già stabiliti a São Paulo, Arturo e Luciano Campagnoli abbandonarono il loro piano originale di tornare presto in Europa per collaborare con la propaganda anarchica. Nel maggio, Arturo scriveva al Vezzani, a proposito del rincontro con la sua famiglia: «mai in vita mia sono stato contento come in questi ultimi giorni». L'anarchico imolese sosteneva che sarebbe rimasto almeno un anno in Brasile e che neanche Luciano intendeva andare in Europa nell'immediato e aggiungeva: «Guarda però che se non ci ai vicini, l'unica cosa che ti manca è l'aiuto della nostra attività, cosa arrimediabile [sic] per altri buoni e attivi compagni, per il resto noi rimaniamo solidali in tutto». Per l'appunto, Arturo affermava di lavorare e che appena avrebbe avuto del denaro ne avrebbe inviato nel Vecchio Continente per contribuire alla propaganda e perché l'anarchico di Novellara 934Vd. ACS, CPC, b. 4565, fasc. Sandri Gaetano, in particolare i rapporti della Legazione d'Italia a Petrópolis alla DGPS, 27 ottobre 1903 e 15 gennaio 1904, e la sua dichiarazione all'ufficio PS di Genova, 13 novembre 1903. 935Vd., ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo, e b. 978, fasc. Campagnoli Luciano, in particolare le note scritte dai confidenti Dante (Parigi) e Virgilio (Londra).

405 l'abbonasse a «Les Temps Nouveaux» di Parigi. Infine, Campagnoli raccomandava a Vezzani, semmai gli capitasse di trovarsi a Londra, di parlare con i compagni de «Lo Sciopero Generale», con i quali si potrebbe portare a termine l'idea che avevano concepito insieme.936 Arturo e Luciano si stabilirono insieme ai fratelli Guido ed Ercole nel quartiere di Villa Mariana, tuttavia poco tempo dopo Luciano si trasferì a Santo Amaro, nei dintorni di São Paulo. Ercole lavorava come ingegnere presso la società per la conduttura di acqua della capitale paulista, mentre Guido faceva il tipografo nella tipografia del giornale «O Estado de São Paulo» ed entrambi, secondo il ministro d'Italia a São Paulo, si astenevano dal fare propaganda attiva per evitare di perdere il lavoro. Sempre secondo il rappresentante diplomatico, Luciano, invece, si recava spesso nella Galleria di Rua 15 Novembro, presso l'agenzia Griffaldi, per incontrare i compagni, mentre Arturo – «il più pericoloso di tutti» dei Campagnoli e «fra i più pericolosi elementi che conti la setta anarchica» paulista – era in intima relazione con gli anarchici Tobia Bonia e il riminese Colombo Bertoni, manteneva corrispondenza con i compagni di Londra e Parigi e riceveva «La Protesta Umana» di Chicago e «La Rivoluzione Sociale» di Londra.937 Sul conto del Bertoni, invece, la polizia italiana sosteneva che era rientrato nella penisola, insieme alla famiglia, nel luglio 1903 e che, dopo un periodo a Rimini visse anche a Milano e a Marsiglia, rientrando nella sua città d'origine nel 1907, dove tentò il suicidio l'anno successivo.938 Nella lettera di Arturo Campagnoli a Vezzani del maggio 1902, l'anarchico imolese raccontava al suo compagno che a São Paulo c'erano due giornali anarchici, «Germinal» e «O Amigo do Povo», fra i quali le polemiche erano abituali. Il Campagnoli scriveva: «C'è molto elemento, ma molto disaccordo regna tra loro, cosa questa secondo me più peggiore delle più terribili persecuzioni; ti fanno la testa piene di pettegolezzi che fanno schifo, io non ho intenzione d'immischiarmi, come sono solito a fare coi compagni», seppur manifestasse che avrebbe cercato il modo d'influire per diminuire i conflitti. Anche il toscano Augusto Donati scrisse in proposito al Vezzani, ma gli chiedeva di collaborare con un articolo contro gli anti

936Vd. la copia della lettera di Arturo Campagnoli diretta a Felice Vezzani, São Paulo, 14 maggio 1902, ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo. La lettera fu inviata al Vezzani tramite Enrico Insabato, il confidente Dante, che la trascrisse per la polizia italiana. 937Vd. ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo, in particolare i rapporti della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti alla DGPS, 15 novembre 1902 e 28 marzo 1903. 938Vd. la scheda biografica del Bertoni redatta dalla Sotto-Prefettura di Rimini, 27 novembre 1905, ACS, CPC, b. 582, fasc. Bertoni Colombo.

406 organizzatori radunati intorno ad Angelo Bandoni.939 Infatti, nell'aprile 1902, qualche giorno prima dell'uscita di «O Amigo do Povo», «Germinal» sosteneva che il nuovo foglio libertario doveva essere «pei Brasiliani, pei Portoghesi. Germinal per gli Italiani! senza volerci trincerare in un esclusivismo controproducente, assicuriamo che tale è la contitio siné qua non dell’equilibrio vitale dei giornali nostri».940 Dal suo canto, anche il giornale anarchico in lingua portoghese manifestò le sue distanze dal periodico del Bandoni, il che diede luogo a polemiche persino banali ma che avevano come sfondo la questione dell'organizzazione. Anche se il gruppo di «Germinal» partecipò ad alcuni scioperi e riunioni di tipo sindacale, raramente offrì notizie sul movimento operaio e, invece, si mostrò piuttosto critico nei sui confronti, sostenendo che accettare scioperi e associazioni operaie implicava accettare la condizione dei proletari di essere lavoratori sfruttati. L'unica utilità delle organizzazioni operaie, per «Germinal», era quella di costituire luoghi profittevoli per la propaganda libertaria.941

«O Amigo do Povo» fu il primo giornale anarchico in lingua portoghese apparso con una certa regolarità nel Brasile. Diretto da Neno Vasco, avvocato e militante portoghese arrivato nel paese sudamericano nel 1900, il foglio libertario riuscì a pubblicare 63 numeri fra l'aprile 1902 e il novembre 1904. Le parole di Edgar Rodrigues: «Este jornal marca o começo do movimento libertário luso-brasileiro em São Paulo e no Rio de Janeiro, consolidando uma aliança dos anarquistas de todos os países, então residentes no Brasil». Infatti, collaborarono con il giornale diversi militanti d'origine italiana, tra i quali Alessandro Cerchiai, Gigi Damiani e Giulio Sorelli – che aveva abbandonato la redazione di «Germinal» –, mentre Augusto Donati diresse fino al decimo numero la sezione in lingua italiana del periodico. Il foglio, seppur qualche volta mettesse in dubbio l’efficacia degli scioperi parziali, offrì molto spazio alle notizie del movimento operaio locale, mostrandosi favorevole all'organizzazione dei lavoratori e, inoltre, pubblicando diversi testi dei francesi Émile Pouget e Fernard Pelloutier sul sindacalismo.942 La collaborazione degli anarchici d'origine straniera – specie spagnola e

939Vd. la copia della lettera di Arturo Campagnoli a Felice Vezzani, São Paulo, 14 maggio 1902, e la copia della lettera di A. Ceschi (Augusto Donati) a Vezzani, São Paulo, 17 maggio 1902, ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo. 940La settimana del cambio, «Germinal», São Paulo, a. I, n. 4, 5 aprile 1902. 941 I. FELICI, op. cit., pp. 163-167. 942Cfr. Ivi., pp. 165-168; E. TOLEDO, Em torno do jornal O Amigo do Povo: os grupos de afinidade e a propaganda anarquista em São Paulo nos primeiros anos deste século, in «Cadernos AEL», n. 8/9, 1998, pp. 101-104; E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., pp. 129; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 21. Sul ruolo svolto da «O Amigo do Povo» nella propaganda anarchica paulista e brasiliana, vd. E. TOLEDO, op. cit., pp. 89- 115.

407 soprattutto italiana – al giornale fu notevole, il che si può avvertire nelle liste di sottoscrizione, in cui apparvero, fra tanti altri, il romagnolo Osvaldo Amadei nel maggio 1902 e nel maggio 1903 come collettore di una paio di liste; il parmigiano Achille Martini nel maggio 1902; il parmigiano Zefferino Agottani nel giugno e nell'agosto 1904, data quest'ultima dove apparvero nella lista inviata da Palmeira anche i suoi conterranei Aniceto e Virginio Artusi. Infine, il modenese Luigi Magrassi, fuggito dall'Argentina alla fine del 1902, comparve come sottoscrittore nel maggio 1903 e fin dall'ottobre di quell'anno fu inoltre collettore abituale di liste di sottoscrizione.943 L'apporto italiano a «O Amigo do Povo» si mise in evidenza anche nel settembre 1902, quando uscì, come supplemento al n. 12 del giornale, un manifesto redatto completamente in lingua italiana, diretto agli immigrati dalla penisola italica, con il quale si criticava lo sfruttamento vissuto dai lavoratori stranieri a São Paulo e, in particolare, le truffe delle banche che approfittavano dei migranti che lasciavano le fazendas per stabilirsi nelle città dello stato. Al riguardo, il manifesto segnalava la via d'uscita: «Superfluo ed inconcludente sarebbe pure ogni lamento; i gemiti dei popoli giammai hanno commosso né commoveranno i loro carnefici. Allora, qual’è dunque il rimedio che occorre per distruggere questo male? – Un rimedio solo esiste: – la forza!»944 Le tese relazioni all'interno del movimento anarchico paulista, specie fra gli italiani, ebbe un ulteriore episodio piuttosto controverso quando Augusto Donati riconobbe di essere confidente del delegato di P. S. in Brasile, Francesco Rughini. Il giornale «Germinal» prese in mano la situazione e convocò il Donati a una riunione nel settembre, nella quale doveva presentare i suoi antecedenti. In detta riunione, dopo la quale il Donati si mostrò fiducioso di aver convinto i compagni dei suoi propositi svelatori delle strategie poliziesche, si costituì una commissione che portò avanti un'inchiesta, la quale determinò che l'anarchico di Viareggio era una spia.945 In seguito, «Germinal» pubblicò «La Gogna», supplemento al n. 16 del giornale, che trattava per esteso l'affare Donati. Secondo il foglio, Donati aveva dichiarato nella sua difesa, che aveva iniziato a fare da confidente per l'agente Rughini nell'aprile 1902 e che, in conseguenza, aveva avvisato l'anarchico parmigiano Achille Martini e i socialisti Alceste 943Vd. le liste di sottoscrizione a favore del giornale, «O Amigo do Povo», São Paulo, a. I – a. III. 944Vd. il manifesto sotto il titolo Supplemento al n. 12 d'O Amigo do Povo, [São Paulo, settembre 1902], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3398 Brazil Anarchism 1895-1926. 945Vd. «Germinal», São Paulo, a. I, 1902: Ai compagni di S. Paulo, n. 14, 6 settembre; Questione Augusto Donati, n. 15, 20 settembre; Il più strano dei casi nel più strano dei paesi!..., n. 16, 4 ottobre.

408 De Ambris ed Estevam Estrella – che componevano quello che lo stesso Donati chiamò «comitato di sorveglianza» – delle sue mosse. Tuttavia, le stesse lettere rivelate dal Donati – e pubblicate nel supplemento – dimostravano che il suo rapporto con Rughini era iniziato nel novembre 1901 e che, da allora, alcuni dei compagni sui quali egli aveva parlato all'agente, erano stati arrestati al loro rientro in Italia. Quello era stato il caso del bolognese Giulio Reggiani, che fu arrestato al suo sbarco a Genova e inviato a Bologna. Inoltre, nel luglio Donati aveva rivelato a Rughini che i soldi raccolti a São Paulo e inviati a Gavilli e Tavani erano stati destinati a «L'Agitazione» di Roma e che gli anarchici citati non sarebbero tornati in Brasile.946 Nella polemica, il gruppo di «Germinal» sosteneva che Donati aveva deciso di rivelare la sua trama con la polizia poco prima di essere scoperto, mentre altri, come Alceste De Ambris e lo stesso «O Amigo do Povo», si mostrarono meno severi, seppur accettando la colpevolezza del toscano. Arturo Campagnoli, vecchio compagno del Donati dai tempi de «L'Avvenire» e da poco tornato in Brasile, sembra non si pronunciasse esplicitamente sulle accuse contro il compagno e, invece, lamentò la forma in cui si condusse il processo. In ogni caso, lo stesso Campagnoli riconobbe che il Donati aveva peggiorato la propria situazione nella riunione in cui presentò i suoi antecedenti, poiché aveva trattato la questione in modo leggero e piuttosto incoerente ed era sicuro di aver convinto i compagni della sua innocenza. Anche Achille Martini – membro del «comitato di sorveglianza» del Donati –, in una lettera diretta a Bandoni e pubblicata su «La Gogna», sosteneva che l'atteggiamento del viareggino riguardo al suo rapporto con l'ispettore Rughini era stato troppo leggero, ma che quello non lo trasformava in delinquente. Anzi, lo stesso Martini dichiarava di essere stato avvertito dal Donati della sua intenzione di «infiltrare» la polizia per scoprire le spie all'interno del movimento anarchico – come qualche tempo prima avessero parlato anche con Gigi Damiani – e che allora accettò di fare parte del comitato del Donati, recandosi insieme dal de Ambris e poi dall'Estrella. In seguito, la corrispondenza fra Rughini e Donati era consegnata da quest'ultimo direttamente nelle mani del Martini per conservarle come prova, incarico che poi passò al De Ambris. Anche se nella lettera Martini riconosceva che Damiani l'aveva avvertito di «stare in guardia per non cadere poi vittima d'un arma a doppio taglio o d'una partita doppia», il suo riferimento implicò indirettamente l'anarchico romano nell'affare.947 Per chiarire la sua eventuale partecipazione, il gruppo Nuova Civiltà inviò alla redazione di «Germinal» una lettera del Damiani e convocò una riunione 946«La Gogna», [São Paulo], supplemento al n. 16 di «Germinal», [ottobre 1902]

409 con lo stesso scopo. Il giornale, scusandosi di non poter partecipare a detta riunione, precisò che non c'erano sospetti sull'anarchico romano e dichiarò che «fra il Donati e il Damiani, noi crediamo che vi sia il medesimo abisso che vi è fra noi e Donati».948 Intanto, verso la fine del 1902, l'approvazione della ley de residencia nella vicina Argentina spinse molti anarchici a cercare rifugio nell'Uruguay e nel Brasile. Secondo Beatriz Ana Loner, molti militanti libertari scelsero di stabilirsi nello stato di Rio Grande do Sul, preferibilmente in piccoli centri urbani vicino ai confini con le repubbliche platensi per mantenere un migliore contatto con i compagni dell'Uruguay e dell'Argentina.949 Anche a São Paulo arrivarono diversi anarchici, profughi dalla Repubblica Argentina, tra i quali gli italiani Arturo Montesano e Giovanni Ciminaghi, i quali furono ospitati dal toscano Tobia Boni, e gli spagnoli José Herminda e Antonio Muñoz. Tutti e cinque furono arrestati il 26 dicembre, ma rilasciati dopo qualche giorno. In seguito, i cinque anarchici insieme al portoghese Neno Vasco e altri, pubblicarono il numero unico «La Voz del Destierro» – apparso il 6 gennaio e stampato nella tipografia del giornale «O Amigo do Povo» – che, secondo il ministro d'Italia in Brasile, fu ampiamente distribuito a São Paulo, nell'interno dello stato e anche all'estero.950 Il foglio libertario, redatto in lingua spagnola, portoghese e italiana, fu pubblicato come protesta per le persecuzione contro il movimento anarchico in Argentina, facendo diversi riferimenti alla maniera in cui fu approvata la legge, a come si sviluppò il movimento

947 I. FELICI, op. cit., pp. 157-162. La lettera di Achille Martini a Angelo Bandoni, datata Curajá, 10 settembre 1902, apparve in «La Gogna», [São Paulo], supplemento al n. 16 di «Germinal», [ottobre 1902]. Vd anche una lettera incompleta di Arturo Campagnoli diretta a ignoto, datata 20 giugno 1903 e riportata con nota del Consolato Generale d'Italia a Londra diretta alla DGPS, 29 novembre 1906, ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo. 948Le cose a posto, «Germinal», São Paulo, a. I, n. 20, 29 novembre 1902. Successivamente, «Germinal» continuò a parlare sul Donati, avvertendo i compagni nel marzo 1903 che il viareggino tornava nel suo paese e poi si recava a Londra e Parigi. Vd. In guardia!!..., in «Germinal», a. II, n. 4, 21 marzo 1903. Nel gennaio 1904, «Germinal» rispondeva all'inchiesta condotta da una commissione costituita a Viareggio, capeggiata da Pietro Gori, che accettava le spiegazioni del Donati e i cui risultati furono inviati al socialista Alcibiade Bertolotti. Nel marzo il foglio paulista riproduceva la risposta della commissione di Viareggio, apparsa sul n. 37 de «Il Grido della Folla» di Milano, la quale fu criticata da «Germinal», che inoltre avvertiva che Donati era tornato a São Paulo con l'intenzione di giustificarsi ancora. Vd. Ancora la spia. Augusto Donati, in «Germinal», a. III, n. 1, 24 gennaio 1904, e n. 3, 23 marzo 1904. 949B. A. LONER, From workers' militancy to cultural action: Brazilian anarchism in Rio Grande do Sul, cit., p. 166. Loner sostiene, allo stesso modo, che qualcosa di simile successe anche nel 1910 con l'approvazione della ley de Defensa Social in Argentina. 950Vd. i rapporti della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretti alla DGPS, 31 dicembre 1902 e 10 gennaio 1903, ACS, Ministro dell'Interno, DGPS, Ufficio Riservato 1905, b. 21, fasc, Sciopero e stato di assedio a Buenos Aires, legge di residenza, espulsione di anarchici italiani. Vd. anche Espulsi e profughi da Buenos-Ayres, in «Germinal», São Paulo, a. I, n. 21, 13 dicembre 1902.

410 scioperante e al modo in cui erano perseguitati, incarcerati ed espulsi i compagni del vicino paese. Inoltre, la pubblicazione incluse un appello ai lavoratori d'Europa per non recarsi nella repubblica platense e difese gli anarchici dagli attacchi dei socialisti che li accusavano di aver usato la violenza. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, «La Voz del Destierro» pubblicò anche qualche brano sull'episodio vissuto da Matilde Magrassi a Buenos Aires quando la polizia locale perquisì casa sua alla ricerca di Luigi, suo figlio. Infine, il numero unico fece un appello ai compagni del Brasile per solidarizzare con i profughi dall'Argentina, le cui famiglie erano rimaste lì, chiedendo di collaborare con qualche contributo finanziario.951 Luigi Magrassi, che visse per un periodo in Brasile prima di andare in Argentina, fece parte del gruppo redazionale del giornale anarchico «L'Avvenire» di Buenos Aires fin dal 1898 e, secondo il ministro d'Italia in Argentina, divenne uno degli intimi compagni di Fortunato Serantoni. Appena dichiarato lo stato d'assedio, il Magrassi si rifugiò a Montevideo, dove rimase alcuni giorni prima di portarsi a Rio de Janeiro e poi a São Paulo. Nella capitale paulista si trovava già nel marzo 1903 e ivi fu raggiunto dalla madre, «avanzata in età ed anarchica anch’essa», proveniente dalla capitale argentina. Il ministro italiano in Argentina aggiungeva che l'anarchico modenese era già stato diverse volte nel Brasile e che lì aveva diverse relazioni e conoscenze.952 La presenza di Luigi Magrassi e sua madre a São Paulo, divenne presto una risorsa per la stampa anarchica organizzatrice, alla quale entrambi collaborarono con articoli scritti in lingua portoghese, la cui conoscenza fu sicuramente favorita dal loro precedente soggiorno nel Brasile – di cui non sappiamo però la lunghezza né il luogo preciso di residenza. Nel maggio 1903, su «O Amigo do Povo» apparve una lunga lettera firmata da Manuel Moscoso, Neno Vasco e Luigi Magrassi che polemizzava con un collaboratore del giornale socialista «Avanti!», il quale criticava l'atteggiamento degli anarchici verso i socialisti, la loro posizione riguardo agli attentati e altre materie, critiche che i firmatari ritennero ingiustificate e che denotava una certa mancanza di autocritica dell'azione dei socialisti. Nel giugno 1904, Magrassi firmò due articoli apparsi sullo stesso giornale: uno che criticava il congresso della colonia italiana che aveva avuto luogo il mese precedente, contro il quale l'anarchico modenese affermava che l'unica organizzazione benefica per i lavoratori era quella senza distinzione di nazionalità; 951Vd. «La Voz del Destierro», São Paulo, n. u., 6 gennaio 1903, in particolare Voces de protesta e Aos camaradas. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 168-169. 952Vd. il rapporto della Legazione d'Italia a Buenos Aires diretto alla DGPS, 14 marzo 1903, ACS, CPC, b. 2933, fasc. Magrassi Luigi

411 l'altro, criticava l'incoerenza della Federazione Socialista di São Paulo che aveva giustificato un compagno per essersi sposarsi in chiesa quando era stata approvata una mozione che allontanava dall'associazione i militanti che partecipassero delle manifestazioni religiose.953 Da parte sua, Matilde Magrassi fu fra le poche donne anarchiche e una delle prime, che collaborarono nei giornali libertari brasiliani del periodo, pubblicando praticamente in tutti i giornali nei quali il figlio Luigi svolse un ruolo importante, sia a São Paulo come a Rio de Janeiro. Matilde era una militante che parlava spesso nelle assemblee e, secondo Edgar Rodrigues, «uma das primeiras mulheres insurgir-se contra a escravidão feminina no Brasil», rappresentando una delle prime voci femminili che affrontarono l'uguaglianza di genere nella stampa anarchica.954 Su «O Amigo do Povo», Matilde Magrassi scrisse un articolo nel gennaio 1904 con il quale sosteneva che le donne non solo dovevano lottare per i loro diritti nella fabbrica, ma anche e soprattutto istruirsi poiché l'educazione costituiva il loro principale strumento di lotta contro le classi dominanti, la chiesa e lo Stato.955 Altri articoli della Magrassi apparvero sul giornale anarchico in lingua portoghese durante il 1903 e il 1904.956 Parallelamente allo sviluppo della stampa anarchica di tendenze organizzatrici, l'attività scioperante degli operai del Brasile iniziava a rendersi importante. Fino alla

953Vd. «O Amigo do Povo», São Paulo: Mais vale tarde do que nunca, a. II, n. 27, 30 maggio 1903; L. MAGRASSI, Congresso colonial italiano e Disciplina e coerencia, a. III, n. 55, 11 giugno 1904. Quest'ultimo articolo era firmato come L. M. 954Cfr. I. FELICI, op. cit. pp. 292-293; F. CORREIA, Mulheres libertarias: um roteiro, in A. A. PRADO (org), Libertarios no Brasil. Memoria, lutas, cultura. São Paulo, Editora Brasiliense, 1986, p. 42; E. RODRIGUES, Os companheiros, vol. IV, cit., p. 19. Storici come Margaret Rago e Francisco Correia hanno osservato la scarsa attenzione prestata al ruolo che le donne svolsero all'interno del movimento anarchico brasiliano, nonostante la loro partecipazione a congressi, manifestazioni, scioperi e nel teatro sociale fosse piuttosto attiva. Soltanto alcune di esse – come la nota Maria Lacerda de Moura – hanno raggiunto una certa notorietà storiografica, seppur nomi quali Elisabetta Valentini, Teresa Maria Carini, Isabelle Cerrutti, Emma Bellerini, Josefina Stefani Bertacchi, le sarte Elvira Boni, Tecla Fabri e Teresa Cari – solo per nominare quelle d'origine italiana – svolsero un importante ruolo nello sviluppo del movimento anarchico femminile nel paese. Alcune di esse, infatti, parteciparono alla fondazione della Federação Internacional Feminina nel 1921. Vd. M. RAGO, op. cit., pp. 96-103; F. CORREIA, op. cit., pp. 38-63 955Vd. M. MAGRASSI, Proletarias instrui-vos, in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. II, n. 42, 17 gennaio 1904.Vd. anche M. RAGO, op. cit., p. 97. 956 Vd. ad esempio M. MAGRASSI, Indiferença, «O Amigo do Povo», São Paulo, a. III, n. 60, 20 agosto 1904. Matilde Magrassi collaborò con «O Amigo do Povo» anche nel giugno 1903, con l'articolo Ás operárias, nel marzo e nell'aprile 1904. Il primo articolo è riferito da Isabelle Felici, mentre gli altri due da Edgar Rodrigues. Vd. I. FELICI, op. cit., p. 293; E. RODRIGUES, op. cit., pp. 103-104.

412 svolta del secolo, gli scioperi furono piuttosto inusuali e solo nel 1901 ebbero luogo le prime vere paralizzazioni del lavoro: una dei muratori, che ottennero la riduzione della giornata di lavoro, e un'altra fra gli operai del tessile, che fallì. L'anno successivo erano già scoppiati alcuni scioperi quando, verso la fine del 1902, gli operai calzolai di Rio de Janeiro si resero protagonisti del primo grande sciopero nella città che era diretto da un sindacato. Dopo qualche mese di astensione dal lavoro, nel febbraio 1903 i calzolai ottennero un accordo con i padroni, i quali però vollero disconoscerlo poco dopo, il che motivò l'adesione dei sapateiros al primo sciopero generale nella capitale federale, iniziato nell'agosto dagli operai tessili e al quale si aggiunsero anche pittori, grafici, cappellai, stivatori e altri mestieri. Il movimento fallì a causa della repressione del movimento, delle carenze di coordinamento, ma tuttavia qualche mese , nacque a Rio de Janeiro la Federação das Classes Operárias, di tendenza sindacalista. Nel 1905, anche a Santos fu dichiarato uno sciopero generale, coordinato dalla società Internacional União dos Operários, che dopo 27 giorni fallì ugualmente a causa della repressione e di centinai di arresti.957 In ogni caso, non solo la repressione fu la causa del fallimento degli scioperi, ma anche la debolezza dello stesso movimento sindacale, la quale all'inizio del secolo ancora aveva radici nei conflitti etnici fra i lavoratori. Una parte importante del proletariato brasiliano, specie a São Paulo, era costituita da italiani, il che motivò l'uso prevalente della lingua italiana nelle riunioni sindacali fra alcuni mestieri e nella propaganda operaia, questione che non scappò l'attivismo degli anarchici d'origine peninsulare. Nonostante ciò, fin dai primi anni del XX secolo, alcuni anarchici volsero la loro attività verso il miglioramento delle condizioni del proletariato, stimolando così l'organizzazione operaia e le lotte economiche.958 Fin dall'inizio del nuovo secolo, gli operai di tutto il Brasile iniziarono a moltiplicare le associazioni di lavoratori per la difesa dei propri interessi. A Rio de Janeiro, a São Paulo, a Santos e nell'interno dello stato paulista nacquero innumerevoli società operaie e leghe di resistenza ispirate in gran parte dai principi del sindacalismo rivoluzionario, il quale si vide rafforzato dalla collaborazione fra anarchici e socialisti nella formazione di alcune importanti associazioni di lavoratori. Tale è il caso della Federação dos Operários em Fábricas de Tecidos di Rio de Janeiro e della Federação das

957Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 127-128; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 27. Sullo sciopero dei tessili di Rio de Janeiro dell'agosto 1903, vd. inoltre S. L. MARAM, op. cit., p. 55. 958 Cfr. A. TRENTO, Là dov'è la raccolta del caffè, cit., pp. 354-355; ID., L'integrazione politica ed economica degli italiani in Brasile, cit., pp. 427-428; M. R. OSTUNI, Note per la storia dell'emigrazione italiana in Brasile, cit., p. 64-73

413 Associações de Classe della capitale federale, così come quello di diverse federazioni operaie estaduais e molti sindacati di mestiere. Eppure alcune associazioni nacquero come prodotto della divergenza fra anarchici e socialisti, come la União Operária Internacional di Porto Alegre, fondata dai gruppi libertari per controbilanciare l'influenza socialista fra i lavoratori della capitale di Rio Grande do Sul, dissenso dal quale emerse anche il giornale anarchico «A Luta», in polemica con «A Democracia» dei socialisti.959 Il sindacalismo rivoluzionario si sviluppò in Brasile, dalla crescente adesione ai sindacati da parte dei lavoratori migranti, i quali trovarono nelle associazioni operaie l'unico mezzo per difendere i propri diritti e, allo stesso tempo, grazie alla prospettiva rivoluzionaria di trasformazione della società che i sindacati promossero come alternativa allo sfruttamento, alla autorità e allo Stato, concependo sé stessi come la base della nuova organizzazione sociale. Questa prospettiva rivoluzionaria, anziché una tendenza propriamente anarchica, era alla base del movimento operaio brasiliano del primo decennio del secolo. In ogni caso, il movimento sindacalista rivoluzionario raggiunse una certa consistenza solo a partire del 1905, grazie all'azione di alcuni anarchici organizzatori – fra i quali il fiorentino Giulio Sorelli – successivamente rafforzata dall'attività di Alceste De Ambris e dell'emiliano Edmondo Rossoni.960 Da canto loro, i socialisti, specie quelli di São Paulo – la cui base più importante era costituita dagli italiani – si battevano per la promozione del sindacalismo insieme agli anarchici e il loro tentativo d'integrarsi al sistema politico locale. Per questo, promossero la naturalizzazione degli stranieri, ma l'opposizione dell'élite locale e l'assenza di settori riformisti, resero la loro politica di alleanze inesistente e la loro

959Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 89-90; B. A. LONER, op. cit., p. 165; E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675 – 1913, cit., p. 82. Sulle società operaie fondate nel Brasile durante il primo decennio del secolo, vd. Ivi., pp. 85-86. 960Cfr. E. TOLEDO, O Sindicalismo revolucionario no Brasil no inicio do seculo XX: a obra de De Ambris Sorelli e Rossoni, in História do trabalho e histórias da imigração: trabalhadores italianos e sindicatos no Brasil, cit., pp. 198-199; L. BIONDI, Imigração italiana e movimento operário em São Paulo: um balanço historiografico, cit., p. 34. Sullo sviluppo del movimento sindacalista rivoluzionario e dei suoi attivisti italiani più noti, vd. E. TOLEDO, Travessias revolucionárias. Idéias e militantes sindicalistas em São Paulo e na Itália (1890-1945), Campinas (SP), Editora da Unicamp, 2004. In ogni caso, Giulio Sorelli era passato fra gli anarchici dalle fila socialiste all'inizio del 1902. Questo passaggio fu esplicitato dallo stesso Sorelli sulle colonne di «Germinal», con una dichiarazione che spiegava la sua uscita dal circolo socialista Avanti convinto che i principi socialisti anarchici, che da poco aveva studiato, erano più utili alla causa dei lavoratori che il socialismo parlamentarista. Vd. G. Sorelli, Dichiarazione Ai soci del Circolo Socialista «Avanti!», in «Germinal», São Paulo, a. I, n. 1, 10 febbraio 1902.

414 azione politica infruttuosa. Di conseguenza, oltre alla promozione delle cooperative fra i lavoratori, i socialisti assunsero i metodi del sindacalismo rivoluzionario per tenersi dentro il movimento operaio. Verso la fine del maggio 1902, a São Paulo, 45 delegati – di cui 28 italiani – si riunirono nel II Congresso socialista brasiliano per dare vita al Partido Socialista Brasileiro, creato sulle basi del Partito Socialista Italiano. Fra i suoi più noti dirigenti ci furono lo spagnolo Valentín Diego, il brasiliano Estevam Estrella e il parmigiano Alcibiade Bertolotti, i quali capeggiarono il nuovo partito, che si definì «di classe» e che si proponeva di creare leghe di resistenza e di promuovere le otto ore di lavoro, i tribunali di arbitrati per risolvere i conflitti del lavoro e l'approvazione di una legislazione sociale, fra altri punti. Il suo programma fu diffuso dall'«Avanti!» ma anche da «O Estado de São Paulo» e dalla «Gazeta Operária di Rio de Janeiro» – che parlava però del Centro Socialista Internacional – ma l'iniziativa dei socialisti ebbe una durata di appena un anno.961 Il congresso socialista fu duramente criticato dagli anarchici, sia organizzatori come antiorganizzatori, soprattutto per l'esclusione dei militanti libertari e per le risoluzioni di carattere parlamentarista prese dall'adunanza dei socialisti.962 Certo è che, nonostante la collaborazione fra anarchici e socialisti per la formazione di un movimento operaio organizzato, le polemiche fra essi furono una costante nei giornali di entrambe le tendenze. Basti ricordare gli attacchi lanciati dal giornale «Avanti» contro l'avvocato libertario Pietro Gori, accusato di essere stato pagato dal governo argentino per promuovere in Italia l'immigrazione nel paese.963 In ogni caso, le polemiche erano abituali negli ambienti operai e politicizzati, non mancando neanche quelli fra gli stessi socialisti, soprattutto dal 1904 con l'arrivo a São Paulo del socialista italiano Antonio Piccarolo, le cui posizioni troppo riformiste contrastavano con la linea politica condotta fino ad allora dai socialisti. Piccarolo diresse l'«Avanti» fin dal suo arrivo e nel 1906

961Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 109-114; L. BIONDI, Classe e nação, cit., pp. 160-161; J. W. F. DULLES, op. cit., pp. 22-23; A. TRENTO, L'integrazione politica ed economica degli italiani in Brasile, cit., pp. 428-429; ID., Là dov'è la raccolta del caffè, cit., p. 405; E. CARONE, op. cit., pp. 322-330. Sul II congresso socialista brasiliano e il PSB, vd. anche L. BIONDI, op. cit., 196-209. Intanto, altri socialisti romagnoli arrivavano a São Paulo, tra i quali i riminesi Giuseppe Bacchiani, Alcibiade e Donato Battelli, tutti e tre collaboratori del giornale «Avanti!». Vd. L. BIONDI, La militanza politica e sindacale degli emiliano romagnoli a São Paulo, cit., p. 180. 962Vd. «Germinal», São Paulo, a. I (1902): Alla viglia del 2° congresso socialista Brasiliano, n. 7, 31 maggio; Sul 2° Congresso Socialista Brasiliano, n. 8, 15 giugno; J. MOTA ASSUMPÇÃO, O congresso socialista, in «O Amigo di Povo», São Paulo, a. I, n. 10, 16 agosto 1902 963Vd. «Germinal», São Paulo: Moralità giornalistica, a. I, n. 5, 1° maggio 1902; A proposito di certe calunnie, a. II, n. 3, 28 febbraio 1903.

415 fondò «Il Secolo», che insieme ad «Anima e Vita» e al Centro Socialista Paulista costituirono l'ala moderata del movimento socialista di São Paulo durante il primo decennio del secolo.964 Lo sviluppo dell'attività sindacale e la moltiplicazione di associazioni operaie ebbe come conseguenza diretta la proliferazione di periodici sindacalisti. Nel maggio 1903 apparve a Rio de Janeiro il giornale «A Greve», diretto dall'anarchico Elísio de Carvalho ma che dal terzo numero passò nelle mani di Francisco Pausilipe de Fonseca, sostenendo allora tendenze antipolitiche e che in seguito collaborò con la formazione della União dos Operários Estivadores. Nella capitale federale, De Carvalho diresse anche «O Trabalhador», giornale che ebbe però una breve durata. Sempre a Rio, nel 1903 uscì «O Alfaiate», diretto da Alfredo Vasques che prese posizioni sindacaliste rivoluzionarie dell'attivista francese Émile Pouget, linea difesa anche da «A Federação», organo della Federação das Associações de Classe do Rio de Janeiro, e da «O Marmorista», uscito fra 1904 e 1906 nella capitale federale. Nel febbraio 1904 apparve nella stessa città anche «Fôrça Nova», diretto da Adelino Ribeiro, mentre nel novembre dello stesso anno a São Paulo uscì «O Trabalhador», diretto da Isidoro Diego. L'anno dopo, nella capitale paulista gli operai grafici – che nell'aprile 1904 avevano approvato gli statuti della União de Trabalhadores Gráficos - pubblicarono «O Trabalhador Grafico», foglio che collaborò con la formazione dell'Unione anche a Campinas.965 L'eclettismo della stampa operaia, più o meno ispirata al sindacalismo rivoluzionario, ebbe nel periodico «O Chapeleiro» di São Paulo il suo esempio paradigmatico. «O Chapeleiro», apparso verso la fine del 1903 e cessato nel 1905, fu l'organo della Liga de Resistencia entre Chapeleiros e Annexos, lega che l'anno dopo si unì alla società mutualista fra cappellai per creare l'União dos Chapeleiros. In quest'associazione ebbero un ruolo di rilievo gli emiliani Dante a Lamberto Ramenzoni, che nella capitale paulista avevano una piccola fabbrica di cappelli con non più di 30 operai, fra i quali i bolognesi Cesare Biondetti e Telemaco Rizzi, che divennero presto dirigenti sindacali dell'Unione. Secondo Luigi Biondi, infatti, «i bolognesi quasi dominavano il movimento dei cappellai a São Paulo».966 In ogni caso, il giornale dei cappellai diede spazio nelle sue colonne ad articoli di collaboratori alquanto diversi come il socialista Antonio Piccarolo, Giulio Sorelli e l'anarchico Neno Vasco e pubblicò

964 A. TRENTO, Là dov'è la raccolta del caffè, cit., pp. 406-407. 965 E. RODRIGUES, op. cit., pp. 82-89. 966L. BIONDI, op. cit., pp. 181-182.

416 persino un articolo sulle società di resistenza di Errico Malatesta. Fra i collaboratori ci fu anche Matilde Magrassi, che nel maggio 1904 scrisse un appello alle donne con il quale sosteneva l'importanza della propria istruzione e della propria emancipazione, soprattutto dai preti. Chiudeva la Magrassi: «Emancipatevi! e venite fra noi, a prestarvi l’opera vostra, onde ottenere più sollecita la vittoria della nostra causa; causa che vinta, perché giusta, nobile, apporterà sulla terra la sola possibile felicità, riducendo gli uomini ad amarsi uno coll’altro, da veri fratelli».967 L'anarchico pisano Teobaldo Soderi, che fece parte della commissione amministrativa per la formazione dell'Unione dei Cappellai nel maggio 1904, raccolse una lista di sottoscrizione a favore del giornale nel dicembre 1903, mentre Luigi Bezzi e uno dei Campagnoli collaborò con un'altra lista pubblicata sullo stesso numero del periodico. Interessante è anche la lista dei giornali ricevuti da «O Chapeleiro», nella quale apparvero gli anarchici «O Amigo do Povo», «La Nuova Gente» e «Aurora» di São Paulo; «Tierra y Libertad», «Revista Blanca» ed «El Productor» di Spagna; «Les Temps Nouveaux» di Parigi e «A Vida» di Porto. Inoltre, il giornale dei cappellai ricevette molti periodici di diversi sindacati brasiliani ed esteri, fra i quali «Il Cappellaio» di Monza, «El Sombrerero» di Buenos Aires e «La Organización Obrera», organo della Federaciòn Obrera Argentina.968 Da sottolineare anche il rapporto che la società di cappellai paulisti stabilì con la Federazione Italiana fra Cappellai – con sede a Monza – e con la Società di Cappellai di Buenos Aires attraverso la corrispondenza pubblicata sul giornale.969 Dal canto loro, nel 1903 gli anarchici antiorganizzatori di São Paulo diedero vita al numero unico «La Rivolta» alcuni mesi dopo la scomparsa di «Germinal» – il quale però riprese poi le pubblicazioni agli inizi 1904, con quattro numeri diretti da Angelo Bandoni. Uscito per commemorare il 29 luglio, data dell'attentato Bresci, il foglio lamentava la scomparsa di «Germinal» riferendosi ai conflitti all'interno del movimento

967M. MAGRASSI, Emancipatevi!, «O Chapeleiro», São Paulo, a. II, n. 4, 1° maggio 1904. Nello stesso numero apparvero gli articoli di Piccarolo, Sorelli, Vasco e Malatesta. 968Vd. «O Chapeleiro», São Paulo: Subscripção, a. I, n. 3, 5 dicembre 1903; União dos Chapeleiros, a. II, n. 4, 1° maggio 1904; Publicações recebidas, a. I, n. 3, 5 dicembre 1903 e serie II, a. I, n. 4, 20 luglio 1905. Gli altri giornali sindacalisti ricevuti da «O Chapeleiro» furono: «A Greve», «O Trabalhador», «Brasil Operário», «A Tribuna dos Estivadores», «A emancipação», «O Alfaiate», «Acordem» e «O Congresso» di Rio de Janeiro; «O Trabalhador Graphico», «O Carpinteiro-Il Falegname» di São Paulo; «A Verdade» di Bahia, «El Látigo del Carrero» di Buenos Aires e «A Obra» di Lisbona. 969Vd. la rubrica riferita alla corrispondenza, «O Chapeleiro», São Paulo, a. II, n. 4, 1° maggio 1904; serie II, a. I, n. 8, 22 novembre 1905. Diversi messaggi furono inviati anche a Rio de Janeiro, nell'interno dello stato paulista e in Portogallo, Spagna, Francia, Argentina e Uruguay.

417 anarchico locale: «La solidarietà su cui facevamo assegnamento nel gettare le basi del nostro periodico ci fu sempre negata, sia per la diversità di vedute, sia per mancanza di coscienza nella maggioranza di chi si dice anarchico, in questo paese». Nonostante ciò, gli editori di «La Rivolta» dichiaravano di continuare con la loro attività di propaganda con questo numero unico, il primo di una serie di numeri unici e opuscoli che avrebbero fatto uscire «fin che un salutare risveglio fra i compagni non ci permetterà di riprendere le regolari pubblicazioni del nostro periodico», affermando, infine, che pretendevano di pubblicare un altro foglio per la ricorrenza del 20 settembre.970 Diretto dall'anarchico romando Duilio Bernardoni, già direttore di «Germinal», «La Rivolta» pubblicò diversi articoli celebrativi della figura di Bresci e, allo stesso tempo, ricordava la figura dell'anarchico francese Emilio Henry e rivendicava l'uso della violenza respingendo le tesi organizzatrici. Inoltre, un articolo dell'anarchico toscano Alessandro Cerchiai denunciava Ettore Prina come agente infiltrato fra gli anarchici di Rio de Janeiro. Infine, fra i sottoscritti a favore del numero unico, oltre al gruppo L'Agitatore, il Centro di Studi Sociali Germinal Libertario e militanti come il brasiliano Benjamin Mota, Alessandro Cerchiai e Tobia Boni, tra altri, apparvero anche il romagnolo Giovanni Binazzi e il noto Arturo Campagnoli.971 Quasi un mese dopo la pubblicazione de «La Rivolta», il ministro d'Italia in Brasile inviava al Ministero degli Affari Esteri italiano una copia del foglio, segnalando inoltre che il governo del Brasile iniziava a preoccuparsi dei sovversivi presenti nel paese, anche a causa della loro espulsione dall'Argentina e dagli Stati Uniti. Il ministro parlava di São Paulo come il «quartiere generale» degli anarchici, che avevano presenza anche negli stati del Pará, nel Paraná e a Rio de Janeiro. L'attivismo anarchico preoccupava le autorità brasiliane particolarmente per l'incitamento alle agitazione operaie, il cui esempio più recente, era lo sciopero dei cotonifici della capitale federale, secondo il ministro italiano, inusitatamente violenta: «È noto che furono distribuite fra gli scioperanti varie migliaia di rivoltelle e che il progetto dei capi dell’agitazione era di assaltare simultaneamente i diversi posti di polizia della capitale». Inoltre, si affissero manifesti che chiamavano l’esercito e la marina a solidarizzare con lo sciopero e in vari punti della città ci furono scontri con la polizia. Il rappresentante diplomatico aggiungeva che, anche se la calma era già tornata a Rio de Janeiro, in quei giorni si

970Ai compagni, in «La Rivolta», São Paulo, n. u., [29 luglio 1903] 971Vd. «La Rivolta», São Paulo, n. u., [29 luglio 1903], in particolare Sottoscrizione a favore della Rivolta.

418 sarebbe discusso nel senato federale «un progetto per la speciale sorveglianza degli agitatori di origine estera».972 Il progetto di legge stabiliva che qualsiasi straniero che comprometteva la sicurezza nazionale poteva essere espulso da una parte o da tutto il Brasile, così come potevano essere espulsi quelli con condanne all’estero, quelli con due condanne consecutive da tribunali locali e quelli accusati di vagabondaggio, mendicità e lenocinio. Inoltre, l'espulsione era sancita per decreto dell'esecutivo, il quale poteva impedire anche l'entrata degli stranieri con precedenti. Lo straniero espulso, infine, aveva fino a un mese per regolare i propri affari in Brasile prima dell'imbarco, periodo in cui poteva essere anche detenuto per ragioni di sicurezza e chi fosse ritornato, sarebbe stato punito con una pena da uno a tre anni di carcere.973 In effetti, le ondate di scioperi avevano motivato la repressione del movimento operaio e l'inizio di processi contro gli agitatori attraverso il Codice Penale e la Legge di Sicurezza vigenti, ma le proteste contro i provvedimenti coercitivi convinsero l'élite brasiliana a dotarsi di un corpo legale ad-hoc che legittimasse l'azione repressiva dello stato. Da lì nacque il progetto di legge contro gli stranieri, che fu approvato in una prima istanza agli inizi 1904.974 Tuttavia, la legge non fu ratificata definitivamente se non fino al gennaio 1907, quando fu conosciuta da tutti come la Lei Adolfo Gordo. Intanto, anarchici organizzatori e anti-organizzatori sembravano superare le differenze grazie al gruppo La Propaganda, che pubblicò «La Nuova Gente», numero unico apparso il 20 Settembre 1903 e al quale seguirono due numeri di un giornale dello stesso numero. Questo progetto accomunò la collaborazione di entrambe le tendenze libertarie, pubblicando articoli di antiorganizzatori come Bernardoni e Cerchiai e di organizzatori come Neno Vasco e il modenese Luigi Magrassi. Isabelle Felici segnala che, in ogni caso, nonostante la pubblicazione di alcuni messaggi del gruppo Germinal, «La Nuova Gente» prese posizioni chiaramente favorevoli all'organizzazione.975 Nel numero unico, oltre a diversi articoli critici delle celebrazioni patriottiche, incluse una 972Rapporto del Ministro d'Italia a Petrópolis diretto al MAE, 23 agosto 1903, ASD-MAE, Serie Politica P, Pos. 8 Anarchici 1900-1908, b. 47, fasc, Anarchici Brasile 1902-1908. Nel rapporto si allegava la nota del Ministro d'Italia al ministro degli Affari Esteri brasiliano del 11 agosto che denunziava la pubblicazione de «La Rivolta» e sollecitava un «energico intervento» contro gli autori del foglio. 973Rapporto del Ministro d'Italia a Petrópolis diretto al MAE, 4 settembre 1903, ASD- MAE, Serie Politica P, Pos. 8 Anarchici 1900-1908, b. 47, fasc. Anarchici Brasile 1902- 1908. 974 E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., p. 85. 975 I. FELICI, op. cit., pp. 169-170.

419 collaborazione di Neno Vasco e un'altra di Alessandro Cerchiai, sull'eventuale approvazione della legge contro gli stranieri. Il foglio pubblicò anche un omaggio degli anarchici paulisti in memoria di Polinice Mattei, un articolo di Benjamin Mota, uno di Carmelinda de Andrade e, infine, uno di Matilde Magrassi, con il quale l'anarchica motivava le donne ad allontanarsi della «perniciosa e malefica influenza» dei preti.976 Inoltre, «La Nuova Gente» annunciava che alla fine del mese doveva uscire l'opuscolo Ai giovani di Kropotkine, edito a cura del gruppo La Propaganda – il cui contatto era Alberto Sandri –, mentre fra i sottoscrittori a favore del numero unico apparve Arturo Campagnoli.977 All'epoca, il Campagnoli aveva una bottega di orefice a São Paulo, ma nell'autunno sudamericano del 1904 lasciò la città per stabilirsi a Guararema e, sembra, in seguito anche a Iracema, sempre nello stato paulista, mentre i suoi fratelli dimoravano ancora nella capitale dello stato. Nell'ottobre 1905 si segnalava che era in costante relazione epistolare con Errico Malatesta. Nel giugno 1906, il ministro d'Italia in Brasile assicurava che da qualche tempo Arturo Campagnoli partecipava raramente alle attività degli anarchici, che non erano vere le affermazione del console di Londra sulla sua partecipazione alla fondazione di una colonia anarchica e che, offeso da una malattia, aveva perso la vista dell'occhio sinistro.978 Sul suo fratello Luciano non si hanno più notizie, con l'eccezione di un suo racconto, Os dois burros, pubblicato sul giornale anarchico in lingua portoghese «A Luta Proletaria» di São Paulo, apparso nel febbraio 1908.979 Nel novembre apparvero a São Paulo i due unici numeri del giornale che continuava con il foglio del settembre, intitolato sempre «La Nuova Gente».

976Vd. «La Nuova Gente», São Paulo, n. u., 20 settembre 1903, in particolare M. MAGRASSI, Alle donne. Nello stesso n. u., vd. anche N. VASCO, E la costituzione?; A. CERCHIAI, I padroni della repubblica Brasiliana; Diamo fiori ai ribelli caduti. 977Vd. Pubblicazione e Sottoscrizione volontaria a favore della Nuova Gente, in «La Nuova Gente», São Paulo, n. u., 20 settembre 1903. 978Vd. ACS, CPC, b. 977, fasc. Campagnoli Arturo, in particolare i rapporti della Legazione d'Italia a Petrópolis diretti alla DGPS, 27 luglio 1904 e 16 giugno 1906, e il rapporto del Consolato Generale d'Italia a Londra diretto alla DGPS, 26 ottobre 1905. 979L. CAMPAGNOLI, Os dois burros, in «A Luta Proletaria», São Paulo, a. III, n. 7, 29 febbraio 1908. Il racconto del Campagnoli appare nella raccolta Contos Anarquistas, temas & textos da prosa libertaria no Brasil (1890-1935), São Paulo, Editora WFMF Martins Fontes, 2011, pp. 137-140, edita originalmente come Contos anarquistas: antologia da prosa libertaria no Brasil (1901-1935), São Paulo, Editora Brasiliense, 1985. Secondo Edgar Rodrigues, Luciano Campagnoli fu uno dei tanti anarchici anonimi che collaboravano con la stampa libertaria senza firmare i propri scritti. Vd. E. RODRIGUES, Os companheiros, vol. IV, cit., p. 22.

420 L'amministratore del periodico era Luigi Magrassi e il redattore responsabile Giulio Sorelli, il che indicherebbe, infatti, la prevalenza degli organizzatori nella redazione del giornale. Non a caso «La Nuova Gente» pubblicizzò il giornale «O Amigo do Povo», così come una festa libertaria in favore di quel periodico e, inoltre, comunicava che entrambi i giornali avevano aperto un abbonamento cumulativo per i due periodici. Più chiara al riguardo fu la risposta del giornale a una lettera che criticava l'immobilismo degli operai paulisti, con la quale sosteneva: «Noi, quantunque convinti che le Associazioni di mestiere non potrebbero arrecare alle condizioni economiche dei lavoratori che lievi miglioramenti […]; purtuttavia vedremo con molto piacere ed appoggeremmo volentieri qualunque iniziativa tendente a riunire le forze, ora sparse del proletariato di S. Paolo».980 Nel secondo numero del giornale apparve un'altra collaborazione di Matilde Magrassi, che dava continuità alle sue riflessioni anti-religiose, sostenendo che il pregiudizio religioso era quello che aveva indotto i lavoratori ad accettare la miseria come volontà divina, ma che fortunatamente molti si stavano risvegliando da quelle illusioni. Infine, fra i sottoscrittori comparvero i fratelli Zafferino e Giuseppe Agottani, i quali inviavano il loro contributo da Palmeira, oltre a vari altri compagni e alla Lega fra Cappellai di São Paulo e al Centro Jovens Libertarios.981 La progressiva espansione che viveva il movimento anarchico nel Brasile, ebbe come conseguenza la fondazione di diversi nuovi giornali in lingua portoghese durante il 1904. Nel marzo apparve a Rio de Janeiro la rivista libertaria «Kultur», diretta da Elísio de Carvalho e nella quale collaborò José Mota Assumpção, Erasmo Vieira e Juan Mas y Pí, riuscendo a pubblicare soltanto tre numeri. Nell'ottobre uscì nella capitale federale il periodico «O Libertario», diretto dal tipografo Carlos Dias con collaborazione di Manuel Moscoso. A Curitiba, invece, nell'agosto apparve «O Despertar», scritto completamente in lingua portoghese ma diretto da Gigi Damiani e J. Buzetti, mentre a São Paulo l'anarchico Eugenio Gastaldetti diede vita al « Jornal Operário».982 980Parla l’operaio, «La Nuova Gente», São Paulo, a. I, n. 2, 15 novembre 1903.Vd. Anche «La Nuova Gente», São Paulo, a. I (1903): n. 1, 1° novembre; Festa libertaria, n. 2, 15 novembre. 981Vd. Sottoscrizione volontaria per ‘La Nuova Gente’ e M. MAGRASSI, Il pregiudizio religioso, in «La Nuova Gente», São Paulo, a. I, n. 2, 15 novembre 1903. 982Cfr. E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., p. 88; ID., Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., p. 73; ID., Os companheiros, vol. II, cit., p. 69; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 23. Nel giugno 1908, Elísio de Carvalho fu denunziato da «La Battaglia» come agente provocatore che era entrato a fare parte della polizia verso la fine del 1907. Vd. Storia di una spia, in «La Battaglia», São Paulo, a. IV, n. 171, 7 giugno

421 In ogni caso, il periodico più importante pubblicato nel 1904 fu «La Battaglia», diretto dall'anarchico originario di Empoli, Oreste Ristori. Ristori, che aveva sofferto le persecuzioni scatenate contro gli anarchici in Argentina in seguito alla ley de residencia, lasciò definitivamente la repubblica platense nei primi mesi del 1904, recandosi a São Paulo. Nella capitale paulista, Ristori fu ospitato da Tobia Boni, che aveva interceduto per l’arrivo dell’empolese e che l’aiutò in seguito a stabilirsi. Poco dopo, Ristori iniziava la sua attività propagandistica, realizzando una serie di conferenze nella città fra marzo e maggio. Secondo Carlo Romani, Ristori mantenne le sue posizioni antiorganizzatrici, anche se il suo discorso mostrava certe influenze malatestiane, probabilmente grazie alla conoscenza che fece di Luigi Fabbri quando entrambi furono relegati a Ponza. In ogni caso, la rete di contatti dell’anarchico toscano non si chiuse in una sola corrente libertaria e con essa riuscì a costruire legami costanti oltre le differenze di prospettive. Ristori ebbe relazione con Enrico Travaglini, redattore del giornale individualista milanese «Il Grido della Folla», diretto da Giovanni Gavilli, e con Ezio Bertolini di Sampierdarena, mentre a São Paulo stabilì stretti rapporti con il gruppo La Propaganda, erede del gruppo La Nuova Civiltà e capeggiato dal Boni, con il quale Ristori si propose di pubblicare un giornale.983 Secondo il ministro d’Italia in Brasile, una delle sue più strette relazioni nella capitale paulista l’ebbe con il romagnolo Vincenzo Sassi.984 Il Sassi, falegname anarchico conosciuto a Meldola – il suo paese d’origine – come «Cotto in bianco», era partito dall’Italia alla volta del Brasile nel febbraio 1898 unitamente alla famiglia. In Romagna svolse propaganda fra operai e contadini e, secondo la Prefettura di Forlì, appartenne al Circolo Carlo Marx. Nel dicembre 1893, il Tribunale di Forlì lo condannò a sei mesi e undici giorni di carcere per grida sovversive e violenza contro agenti della forza pubblica, pena che il Tribunale di Bologna aumentò a sette mesi e venticinque giorni qualche mese dopo. Nel 1895 fu accusato di commettere atti vandalici a Meldola insieme ad altri anarchici nella ricorrenza della Comune di Parigi, ma fu assolto per mancanza d’indizi, mentre un anno dopo fu proposto

1908. Cfr. C. ROMANI, op. cit., pp. 180-181. 983 C. ROMANI, op. cit., pp. 120-129. La prima conferenza pubblica di Oreste Ristori a São Paulo, secondo l'annuncio di «Germinal», ebbe luogo il 20 marzo 1904 e trattò la «marcia del proletariato». Vd. «Germinal», São Paulo, a. III, n. 3, 13 marzo 1904. Secondo Isabelle Felici, invece, Ristori avrebbe avuto la sua prima conferenza nel febbraio e, a causa delle tese relazioni fra gli anarchici di São Paulo, non tutti avrebbero preso bene l'arrivo del toscano. Vd. I. FELICI, op. cit., p. 176. 984 Rapporto della Legazione d’Italia a Petrópolis diretto al MAE, 1° giugno 1904, ACS, CPC, b. 4342, fasc. Ristori Oreste. Vd. anche C. ROMANI, op. cit., p. 128.

422 all’ammonizione per vagabondaggio e nuovamente assolto. Infine, nel maggio 1897 si trasferì a Firenze per occuparsi in una bottega come falegname.985 Nel maggio 1904 il ministro d’Italia nel Brasile segnalava che da pochi mesi il Sassi si trovava a São Paulo, dove aveva una piccola fabbrica di specchi, che precedentemente egli aveva vissuto a Batataes e, prima ancora, aveva dimorato a Ribeirão Preto e in altri paesi dello stato paulista. Riguardo alla sua attività politica, il ministro appuntava: «Egli coltiva intima relazione con Bandoni Angelo, Boni Tobia, Ristori Oreste e altri caporioni della setta in S. Paolo, ove si è fatto conoscere come uno dei più pericolosi affiliati».986 Nelle riunioni che il gruppo La Propaganda – al quale Vincenzo Sassi probabilmente appartenne – teneva nella casa del Boni, dove Ristori e la sua compagna erano ospiti, si concepì l’iniziativa del giornale «La Battaglia» con lo scopo di denunciare le condizioni di sfruttamento degli immigrati. Seppur il gruppo fondatore fu composto soprattutto da militanti antiorganizzatori, ai quali si unì presto Angelo Bandoni, il giornale si definì aperto a tutte le correnti anarchiche e, infatti, vi collaborarono Giulio Sorelli dopo la cesura di «O Amigo do Povo», Galileo Botti e l’individualista Pio Spadea. Contribuirono anche alla redazione del giornale Alessandro Cerchiai – che ne divenne responsabile ogni volta che Ristori abbandonava São Paulo per fare giri di propaganda – e dal settembre 1903 Gigi Damiani, che s’integrò definitivamente nella redazione nel 1908, ormai ritornato a São Paulo dal Paraná. Il primo numero de «La Battaglia» uscì il 20 giugno 1904, all’inizio apparso irregolarmente ma dopo diventato settimanale. La sua tiratura ebbe un certo successo, poiché oscillò fra i 3 e i 5 mila esemplari, essendo uno dei giornali con la più alta circolazione fra la classe operaia, distribuito in tutto il Brasile e anche all’estero, specie in Argentina. Dal 1907 il giornale iniziò a distribuirsi direttamente anche a Rio de Janeiro, consolidandosi come il primo giornale operaio del paese, arrivando persino agli 8 mila esemplari. Nonostante ciò, nel 1906 l’iniziativa del periodico di aggiungere 4 fogli in lingua portoghese fallì, poiché il gruppo redazionale non riuscì a raccogliere sufficienti fondi né ad avere molti lettori in quella lingua.987 «La Battaglia» fu uno dei pochi giornali operai che riuscì a «entrare» nelle fazendas, grazie soprattutto alla denuncia dello sfruttamento dei lavoratori del caffè 985 Vincenzo Sassi, falegname, nacque a Meldola, provincia di Forlì, il 30 gennaio 1876 da Nicola e Anna Lolli. Vd. ACS, CPC, b. 4625, fasc. Sassi Vincenzo di Nicola, in particolare la scheda biografica redatta dalla Prefettura di Forlì, 30 settembre 1896. 986 Rapporto della Legazione d’Italia a Petrópolis alla DGPS, 26 maggio 1904, ACS, CPC, b. 4625, fasc. Sassi Vincenzo di Nicola. 987 Cfr. C. ROMANI, op. cit., p. 130-141; I. FELICI, op. cit., pp. 175-180; A. TRENTO, «Wherever we work, the land is ours», cit., pp. 108-109; P. SERGI, op. cit., p. 23.

423 nello stato paulista. Infatti, il periodico anarchico contò su un’importante rete di corrispondenti nell’interno dello stato, ai quali si aggiunsero i giri di propaganda nei piccoli centri urbani paulisti, che permisero, a loro volta, di affrontare in modo più o meno veritiero, le condizioni di vita dei coloni. Seppur non senza difficoltà, il giornale si distribuì persino nelle piantagioni di caffè, anche se il più importante sviluppo delle reti de «La Battaglia», si realizzò nelle piccole città e paesi dello stato, soprattutto grazie ai giri di propaganda dello stesso Ristori. Questi giri, infatti, permisero la crescita del numero di collaboratori e abbonati al foglio libertario, costituendo di fatto la più importante entrata di risorse per il finanziamento del giornale. All’inizio anche le feste libertarie furono considerate come un’adeguata strategia di raccolta di fondi, ma verso la fine del 1905 questo metodo fu messo da parte e assunta invece la raccolta di sottoscrizioni da un gruppo di militanti, ritenuta più efficace. Fu proprio in questo momento che Ristori tornava a São Paulo dopo un lungo giro di propaganda, valutato positivamente dal gruppo redazionale del periodico, il che li spinse ad approfondire nella denunzia dello sfruttamento e dei maltrattamenti nelle fazendas e a rinforzare la loro campagna contro l’immigrazione.988 La corrispondenza del giornale con i compagni dell'interno dello stato di São Paulo fu alquanto attiva e non mancarono anche dei messaggi della redazione del periodico diretti nelle città di São Paulo, Rio de Janeiro, Palmeira e altri punti del Brasile. Nel marzo 1905, anche l'anarchico del modenese Zefferino Bartolomasi, allora a Salto de Itú, fu destinatario di una nota di Oreste Ristori, con la quale l'empolese rispondeva ai reclami del compagno: «Ti mandiamo sempre 5 copie d’ogni numero; se la settimana scorsa non ti son pervenute, non è colpa nostra e i tuoi lamenti sono ingiustificati. Rispediamo».989 Secondo il ministro d'Italia in Brasile, Bartolomasi si era trasferito da São Paulo a Caixambú, stato de Minas Gerais, nel 1902, tuttavia nel febbraio dell'anno successivo l'anarchico emiliano si allontanò da quella città accusato dalla popolazione di aver attentato contro un negozio, stabilendosi in seguito ad Aguas Virtuosas, nello stesso stato, dove si occupava come fabbricante di sigari. Sul Bartolomasi, inoltre, si affermava: «È corrispondente di giornali sovversivi, ed è attivo propagandista ed agitatore».990

988 Cfr. C. ROMANI, op. cit., pp. 133-135; I. FELICI, op. cit., pp. 180-186; P. SERGI, op. cit., p. 10. 989Piccola posta, in «La Battaglia», São Paulo, a. II, n. 36, 26 marzo 1905. 990Nota della DGPS alla Prefettura di Modena, 10 luglio 1903, ACS, CPC, b. 374, fasc. Bartolomasi Zefferino. In questa nota si trasmetteva il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro riguardo il Bartolomasi.

424 Il giornale paulista si mostrò partigiano delle manifestazioni spontanee contro lo sfruttamento, tuttavia l’idea di rivolta fu trattata in modo piuttosto generico. Più concreta invece fu la critica permanente e sostenuta dei metodi di lotta utilizzati da socialisti e anarco-sindacalisti, ai quali «La Battaglia» opponeva lo spontaneismo e l’anti- autoritarismo. Infatti, il periodico non si oppose in modo assoluto alle associazioni operaie, a cui diede persino spazio nelle sue colonne, ma alle lotte «immediatiste» di carattere economico e alla loro organizzazione autoritaria, vale a dire con statuti, regolamenti e consigli direttivi. La concezione era quella di organizzazioni che dovevano puntare sullo sciopero rivoluzionario spontaneo senza capi che le comandassero.991 Nonostante il suo schieramento schiettamente antiorganizzatore, «La Battaglia» non si fece problemi a pubblicizzare l'uscita di nuovi giornali di posizioni favorevoli all'organizzazione. Nel marzo 1905 annunciava l'imminente comparsa della rivista «Aurora» di São Paulo, redatta da Neno Vasco, così come nel dicembre comunicava la prossima apparizione del giornale libertario paulista «A Terra Livre». Allo stesso modo, nel settembre il gruppo La Propaganda, che pubblicizzava i suoi opuscoli in vendita, offriva abbonamenti per la rivista «Il Pensiero», edita allora a Mantova da Pietro Gori e Luigi Fabbri ma che, come avvertì «La Battaglia», trasferì la sua redazione a Roma nel novembre. Inoltre, «La Battaglia» pubblicizzò la vendita di opuscoli non solo del gruppo La Propaganda – attraverso Tobia Boni – ma anche della Biblioteca di Studi Sociali e della biblioteca della rivista «Aurora». Infine, annunciò la prossima uscita del giornale «La Tessitrice» che, seppur avesse il nome di un mestiere, nel suo manifesto lasciava intravedere le sue posizioni antiorganizzatrici. In ogni caso, sembra che il giornale non fosse mai uscito.992 Riguardo alle notizie pubblicate sulle sue colonne, oltre alle frequenti corrispondenze che arrivavano alla redazione de «La Battaglia» dall'interno dello stato paulista, pure dall'estero arrivarono alcune informazioni. Dal settembre 1905 fino alla

991 S. L. MAGNANI, O movimento anarquista em São Paulo (1906-1917), São Paulo, Editora Brasiliense, 1982, pp. 81-87. Secondo Carlo Romani, l'argomento fu approfondito da Oreste Ristori nel suo opuscolo Polemiche sull'Anarchia, apparso a São Paulo nel 1907. Vd. C. ROMANI, op. cit., p. 171. 992Vd. «La Battaglia», São Paulo, a. II (1905): Tessitori e tessitrici di San Paolo, n. 35, 19 marzo; La Tessitrice e Aurora, n. 36, 26 marzo; Biblioteca del G. anarchici La Propaganda, n. 53, 30 settembre; Opere di propaganda anarchica in vendita, n. 58, 3 dicembre; «A Terra Livre», n. 60, 17 dicembre. Nel dicembre, quando «La Battaglia» comunicò che «Il Pensiero» si era trasferito a Roma, avvertiva inoltre che a Mantova rimaneva una rivista con lo stesso nome, alla quale chiese di sospendere gli invii a São Paulo. Vd. Il «Pensiero» e Piccola posta, «La Battaglia», São Paulo, a. II, n. 62, 31 dicembre 1905.

425 fine dell'anno, corrispondenze arrivate dall'Argentina raccontavano della repressione vissuta dal movimento anarchico con la dichiarazione dello stato d'assedio dopo lo scoppio del moto radicale nel febbraio, incrementata poi nell'agosto dopo il fallito attentato dell'anarchico catalano Salvador Planas contro il presidente Manuel Quintana.993 Nello stesso anno, il Comitato Centrale Pro-Vittime Politiche d'Italia – legato alla Camera del lavoro di Firenze – pubblicò sul giornale paulista un paio di dichiarazioni riguardanti la persecuzione sofferta dal giornale «La Rivendicazione», pubblicato nella capitale toscana dallo stesso comitato. Nel settembre 1904, invece, l'anarchico cesenate Ernesto Fabbri inviava una collaborazione a «La Battaglia» come protesta contro la repressione in Russia e in solidarietà con le vittime del regime zarista.994 Nell'ambito locale, fra le collaborazione dei compagni che il foglio anarchico pubblicò nell'aprile 1907, ci fu un articolo della ormai attivissima Matilde Magrassi, mentre fra gli abbonati apparvero Osvaldo Amadei, Giovanni Binazzi e Pietro Campana nel settembre 1904. Sul conto degli oblatori alle sottoscrizioni, dal Paraná contribuirono i parmigiani Aniceto Artusi, Aldino e Zefferino Agottani nel marzo 1905, e Virginio Artusi e Tranquillo Agottani nel giugno dello stesso anno, quando inviò il suo obolo anche il Circolo Socialista di Salto de Itú, al quale probabilmente partecipò il Bartolomasi.995 Secondo la Prefettura di Forlì, Emilio Campana si trasferì nel 1904 a Belo Horizonte, dove era segnalato anche Pietro nel gennaio 1908, entrambi insieme alla madre e a una sorella. Un anno dopo, il console italiano a São Paulo sosteneva che i fratelli Campana non si occupavano più di politica ma «nel disimpegno di piccoli industrie che loro arrecano notevoli profitti».996 Dal canto suo, Giovanni Binazzi, stabilitosi anch'egli nello

993Vd. «La Battaglia», São Paulo, a. II (1905): Il terrore nell'Argentina, n. 51, 3 settembre; Il movimento anarchico nell’Argentina, n. 54, 15 ottobre; Repubblica inquisitrice, n. 61, 24 dicembre. I giornali anarchici furono chiusi e molti dei loro militanti arrestati, fra essi l'anarchico di Castrocaro Aurelio Paganelli, incarcerato a La Plata per diversi mesi. Vd. la lettera del Paganelli inviata al giornale libertario paulista, datata nelle carceri di La Plata, ottobre 1905: Cose che accadono in Repubblica, in «La Battaglia», São Paulo, a. II, n. 58, 3 dicembre 1905. 994Vd. «La Battaglia», São Paulo: S. E. FABBRIO, L'Impero del silenzio, a. I, n. 12, 11 settembre 1904; Comitato Centrale pro-vittime politiche Camera del Lavoro Firenze, a. II, n. 47, 18 luglio 1905; Pro-Vittime Politiche d’Italia, a. II, n. 61, 24 dicembre 1905. 995Vd. le liste di sottoscrittore e abbonati al giornale, in «La Battaglia», São Paulo, in particolare a. I, n. 12, 11 maggio 1904; a. II (1905): n. 36, 26 marzo; n. 46, 23 giugno. Nel giugno apparve, insieme a Tranquillo Agottani, anche un M. Agottani che non abbiamo potuto individuare. Sulla collaborazione della Magrassi, vd. M. MAGRASSI, Realtà, in «La Battaglia», a. IV, n. 119, 21 aprile 1907, citato in I. FELICI, op. cit., p. 292. 996Vd. la nota della Prefettura di Forlì alla DGPS, 18 marzo 1928, ACS, CPC. b. 979, fasc. Campana Emilio; la nota della Prefettura di Forlì alla DGPS, 27 gennaio 1901, e il

426 stato di Minas Gerais, rientrò a Lugo nel settembre 1905, imbarcandosi in seguito per il Sudamerica nella prima metà del 1906. Solo nel giugno 1909 fu rintracciato a Belo Horizonte, tuttavia segnalato non più come anarchico ma come socialista collaboratore di Donato Donati, con il quale «si sforza di organizzare le masse proletarie».997 Nel novembre 1905, a cura del Gruppo Libertario di São Paulo, apparve in quella città il numero unico in lingua italiana «L'Azione anarchica», distribuito gratuitamente per volontà del gruppo redazionale – del quale fecero parte Alessandro Cerchiai e Francesco De Paola – e dei sottoscrittori. Secondo Isabelle Felici, il foglio uscì con lo scopo principale di radunare energie attorno a «La Battaglia» e, infatti, annunziava che l'amministrazione del giornale anarchico era assunta da cinque compagni verso la fine del mese e, inoltre, che da allora diventava ebdomadario. Il numero unico faceva un appello all'azione, alla preparazione dei lavoratori alla rivoluzione, incorporando una acuta critica allo stato attuale del movimento anarchico paulista: «La nostra propaganda è ferma, stazionaria; i compagni anche quelli che per il passato hanno dato prove di abnegazione e di sacrificio, dormono, ora, inattivi lasciando correre gli eventi […] Se la propaganda ha preso la china dell’abisso, tutti un po’ vi abbiamo la nostra parte di colpa». Forse per quello, seppur dichiarasse il suo rifiuto della partecipazione degli anarchici al movimento rivendicativo dei lavoratori, il foglio pubblicò un articolo di tendenze organizzatrici, del quale raccoglieva l'utilità dello sciopero per la propaganda. Inoltre, «L'Azione Anarchica» annunciava la prossima uscita a Rio de Janeiro della rivista libertaria «Athena», redatta da Elísio de Carvalho e includeva un messaggio per la «sedicente» rivista «Il Pensiero» di Mantova e un altro per Luigi Magrassi, ormai stabilitosi a Rio de Janeiro con Matilde.998 Infine, fra i sottoscrittori apparvero le firme di Benedetto Forlì e Tigre Bolognese, quest'ultima probabilmente corrispondente ad Antonio «El Tigre» Garavini, anarchico di Castelbolognese che la polizia italiana segnalava, nell'ottobre 1904, «a Rio de Janeiro come uno degli anarchici più pericolosi».999 rapporto del Consolato d'Italia a São Paulo diretto alla DGPS, 19 maggio 1909, ACS, CPC, b. 979, fasc. Campana Pietro. 997Vd. ACS, CPC, b. 652, fasc. Binazzi Giovanni, in particolare la scheda biografica elaborata dalla Prefettura di Ravenna, 7 aprile 1906 e il rapporto della Legazione d'Italia a Petrópolis diretto alla DGPS, 19 giugno 1909. 998Vd. «L'Azione Anarchica», São Paulo, n. u., 19 novembre 1905, in particolare L'Anarchia è in noi?, Il corporativismo e la rivoluzione, Nuova pubblicazione e Piccola posta. Vd. anche I. FELICI, op. cit., p. 177 999Vd. la lista di sottoscrizione a favore del numero unico, in «L'Azione Anarchica», São Paulo, n. u., 19 novembre 1905. Vd. inoltre la scheda biografica redatta dalla Prefettura di

427 Anche se i rapporti all'interno del movimento anarchico brasiliano e fra gli anarchici e socialisti, sembravano essere piuttosto ristretti, questo non impedì che essi si associassero per alcune cause d'interesse comune. Tale fu il caso della campagna di solidarietà con i rivoluzionari russi, avviata verso la metà dell'anno 1904. Nel giugno, infatti, apparve a São Paulo un manifesto che faceva appello per l'aiuto ai compagni che lottavano contro il regime zarista e che annunciava una prossima manifestazione solidale. Il manifesto, che apparve sia in lingua portoghese che in lingua italiana, fu firmato da una commissione composta dai socialisti Valentín Diego, Antonio Piccarolo e Lorenzo Monaco e anche dagli anarchici Oreste Ristori, Edgar Leuenroth e Neno Vasco, tra altri, commissione che aveva sede presso il giornale socialista «Avanti!».1000 Nei primi giorni d'agosto, il giornale anarchico «O Amigo do Povo» convocò un comizio pubblico nel Casino Paulista, tenutosi il giorno 8 e al quale, secondo Edgar Rodrigues, parteciparono circa quattromila persone. In quell'occasione parlarono Piccarolo per il giornale «Avanti!», Oreste Ristori per «La Battaglia», Benjamin Mota per «A Lanterna», Valentín Diego per il giornale socialista «El Grito del Pueblo», Ernestina Lésina per il socialista «Anima e Vita», Isidoro Diego per «Livre Pensador» e Eugenio Gastaldetti, tra gli altri.1001 Nonostante l'apparente riuscita del meeting, alcuni giorni dopo apparve sulle colonne di «O Amigo do Povo» un articolo di Matilde Magrassi che constatava: «Com pena vimos que ao ùltimo comicio «Prò revolucionàrios russos» faltaram muitos companheiros nossos». Era tristemente vero, secondo l'anarchica, che in quei comizi si dicessero sempre le stesse cose, poiché la repressione non era presente solo nella Russia ma un po' dappertutto, tuttavia era necessario parlarne a quelli che non erano consapevoli e approfittare delle opportunità che offrivano i meetings per svegliare in essi «o espírito de revolta e o desejo de que surja uma organização nova».1002 Un nuovo comizio ebbe luogo a São Paulo l'anno dopo, sostenuto dagli stessi gruppi anarchici e socialisti, mentre nel 1906 gli anarchici inviarono a Piotr Kropotkine, attraverso il

Ravenna il 15 gennaio 1897, ACS, CPC. b. 2277, fasc. Garavini Antonio. 1000Vd. il manifesto Prò martires da Russia, São Paulo, 15 giugno 1906, citato in E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., pp. 69-71. Secondo John Dulles, il manifesto fu pubblicato dai giornali «Avanti» e «La Battaglia. Vd. J. W. F. DULLES, op. cit., p. 25. 1001Cfr. E. RODRIGUES, Socialismo e sindicalismo no Brasil, 1675-1913, cit., p. 90; E. CARONE, op. cit., pp. 144-145. 1002M. MAGRASSI, Indiferença, in «O Amigo do Povo», São Paulo, a. III, n. 60, 20 agosto 1904.

428 periodico paulista «A Terra Livre», il denaro raccolto con la sottoscrizione in favore della Russia libera. L'anarchico russo li ringraziò sulle pagine dello stesso giornale.1003 Altra campagna che interessò gli anarchici in questi anni, specie quelli radunati attorno a «La Battaglia», fu la campagna contro l'immigrazione, motivata dall'evidente sfruttamento sofferto dagli stranieri nelle fazendas. Come si è già detto, il periodico libertario s'impegnò con la denunzia degli abusi e delle pessime condizioni di vita nelle piantagioni di caffè, aprendo anche le rubriche Dalla fazenda maledetta e Dalle Caienne brasiliane con quello scopo. Inoltre, già nel settembre 1904 «La Battaglia» pubblicava un appello ai lavoratori europei per non andare in Brasile, chiedendo ai «giornali libertari di tutto il mondo» di diffondere la chiamata. In mezzo a questa campagna, nel gennaio 1907 il foglio anarchico pubblicò una corrispondenza inviata da Santos dal ravennate Luigi Bezzi, che, recatosi nel porto per ricevere degli immigrati, denunziava che la nave tedesca Bulgaria, costruita per il trasporto di merce, era arrivata a Santos con circa quattromila immigrati – molti dei quali erano malati – e nel cui viaggio erano morte almeno venti persone e una si era buttata in mare.1004 L'iniziativa più importante a favore della campagna contro l'immigrazione ebbe luogo durante il 1906. Nell'aprile, «La Battaglia» aprì una sottoscrizione per la pubblicazione di un opuscolo in proposito, le cui liste furono ampiamente distribuite a São Paulo e nei centri urbani dell'interno dello stato. Verso la metà dell'anno, nella capitale paulista si realizzò un'assemblea con circa trecento persone, inclusi anarchici, simpatizzanti socialisti e italiani in generale e, in seguito, Oreste Ristori partì per l'interno con lo scopo di creare una rete di collaboratori per la stampa dell'opuscolo. Secondo Carlo Romani, l'idea originale era distribuire centomila copie in Brasile, altre centomila in Portogallo e lo stesso numero in Italia. Nonostante l'impegno degli anarchici, a settembre erano pochi i contributi raccolti, ma si decise lo stesso di dare alla stampa Contra a imigração, di cui si pubblicarono solo diecimila copie in lingua portoghese. L'opuscolo apparve a São Paulo nel novembre e in Italia un mese dopo,

1003 Cfr. S. L. MARAM, op. cit., p. 87; E. CARONE, op. cit., p. 145; A. TRENTO, Là dov'è la raccolta del caffè, cit., p. 411-412; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 25. 1004Lavoratori d’Europa non venite in Brasile, in «La Battaglia», São Paulo, a. I, n. 12, 11 settembre 1904. Vd. anche C. ROMANI, op. cit., pp. 155-156. Romani riferisce l'articolo Carne dolorante del Bezzi, pubblicato su «La Battaglia» il 20 gennaio 1907. Vd. inoltre, Dalla fazenda maledetta, in «La Battaglia», São Paulo, a. III, n. 60, 17 dicembre 1905. Secondo la corrispondenza fra il Ministero dell'Interno e le autorità diplomatiche italiane in Brasile, Luigi Bezzi fece due viaggi in Italia, sembra con scopi di tipo familiare, nel luglio 1905 e nel settembre 1907, il primo dei quali insieme al figlio Francesco. Vd. ACS, CPC, b. 603, fasc, Bezzi Luigi.

429 stampato a Mantova da Luigi Molinari. Poi, con la distribuzione della pubblicazione in corso, fra la fine 1906 e inizi 1907, Ristori fu arrestato tre volte per essere interrogato sui particolari di Contra a imigração.1005 Guardando il retro dell'opuscolo, si può dedurre che, probabilmente, collaborarono alla sua stampa, non solo il gruppo redazionale de «La Battaglia», ma anche i redattori dei giornali anarchici «A Terra Livre» di São Paulo e «Novo Rumo» di Rio de Janeiro.1006 Quest'ultimo periodico fu concepito nella riunione promossa dalla Federação das Associações de Classe di Rio de Janeiro, tenuta l'11 novembre 1905 per commemorare l'anniversario dei Martiri di Chicago nella capitale federale. In questa riunione nacque il gruppo Novo Rumo, di cui fecero parte vari operai brasiliani e portoghesi, ma anche alcuni italiani, fra essi Luigi e Matilde Magrassi, il quale decise di dare vita a un giornale. Apparso nel dicembre come organo evoluzionista, «Novo Rumo» fu inizialmente diretto da Joel e Maria de Oliveira, i quali però furono rimossi dalla carica dopo che si erano pubblicati pochi numeri e questa passò a Luigi Magrassi e Mota Assumpção, con i quali collaborò anche Matilde. I periodico uscì fino al maggio 1907.1007 Dal canto suo, «A Terra Livre» nacque a São Paulo nel 1905 grazie all'iniziativa di Neno Vasco, del brasiliano Edgar Leuenroth – ex socialista passato con gli anarchici un anno prima – e dello spagnolo Manuel Moscoso e, nel 1907, quando il giornale si trasferì

1005Vd. il processo di espulsione contro Oreste Ristori, Alessandro Cerchiai e Giulio Sorelli del maggio 1907, ANRJ, Série Interior-Justiça, processo di espulsione contro Ristori e Cerchiai, ANRJ, IJJ 7, fasc. 179. In questo fascicolo si conserva una copia dell'opuscolo Contra a Immigração, São Paulo, Edição de La Battaglia, 1906, disctribução gratuita, 23 pp. Inoltre, ivi si conserva una copia dell'opuscolo di Jorge Thonar, O que querem os anarquistas, São Paulo, Biblioteca da «Terra Livre» n. 1, s. d.. Cfr. C. ROMANI, op. cit., pp. 159-163; I. FELICI, op. cit., pp. 188-193. In ogni caso, secondo Paula Beiguelman, la campagna anti immigrazione fu riesaminata dagli anarchici nel 1908, quando il fallimento dell'immigrazione giapponese nel paese spinse il governo del Brasile a cercare nuovamente nell'Italia la principale fonte di manodopera. Di fronte a questo scenario, gli anarchici sconsigliarono l'«antiemigrantismo incondicional» poiché l'emigrazione dalla penisola favoriva le lotte salariali dei lavoratori italiani, sostenendo, dall'altra parte, che i nuovi arrivati in Brasile dovevano essere integrati nelle lotte locali per gli stessi scopi. La prospettiva anti-immigrazione, però, riapparve qualche anno dopo con la crescita dei flussi migratori nel triennio 1911-1913. Vd. P. BEIGULEMAN, O movimento operário ante a grande lavoura no período imigrantista, in A. A. Prado (org), Libertarios no Brasil. Memoria, lutas, cultura. São Paulo, Editora Brasiliense, 1986, pp. 104-105 1006Infatti, sul retro di Contra a Immigração – così come su quello di O que querem os anarquistas – apparve la pubblicità dei giornali anarchici «La Bataglia» e «A Terra Livre» di São Paulo e «Novo Rumo» di Rio de Janeiro. Vd. Contra a Immigração, São Paulo, Edição de La Battaglia, 1906. 1007Cfr. E. RODRIGUES, Os companheiros, vol. IV, cit., pp. 19-20, 103; F. CORREIA, op. cit., p. 42.

430 a Rio de Janeiro, anche José Mota Assumpção entrò a fare parte del gruppo redazionale. Fra i suoi collaboratori ci furono l'anarchico esperantista Paulo Berthelot e il modenese Luigi Magrassi, quest'ultimo collaboratore anche della rivista «Aurora», edita da Neno Vasco a São Paulo nel 1905. Verso la metà 1908, il giornale tornò a uscire a São Paulo, cessando definitivamente le sue pubblicazioni nel 1910, quando Vasco rientrò in Portogallo. Dalla sua nascita, «A Terra Livre» fu il principale giornale delle tendenze organizzatrici di São Paulo e anche del Brasile. Nelle sue pagine si diede poco spazio al dibattito teorico e, invece, si trattò abbondantemente le vicende del movimento operaio nazionale e internazionale, le condizioni di lavoro e l'organizzazione operaia. Evidentemente, su quest'ultimo punto il contrasto con la prospettiva sostenuta da «La Battaglia» fu notevole. Per il giornale, l'azione rivoluzionaria era costituita proprio dalla partecipazione ai sindacati, concepiti come l'unica organizzazione legittima degli operai e come l'unica dove poter mettere in pratica le idee libertarie. Anche gli scioperi parziali erano ritenuti utili alla causa rivoluzionaria, poiché avevano un valore educativo: erano un «esercizio» per la lotta di classe e capaci di svegliare e allenare le capacità di rivolta.1008 In una linea simile a «Terra Livre», nell'ottobre 1906 apparve a São Paulo il giornale socialista-anarchico «Il Libertario», diretto dal fiorentino Giulio Sorelli il cui amministratore fu Francesco Di Paola, che uscì però soltanto per tre numeri. Sorelli, che aveva collaborato con «La Battaglia», lasciò quel giornale per dare vita a un organo che riempisse il vuoto nella stampa in lingua italiana di tendenze organizzatrici, ormai autodenominate anarcosindacaliste. Secondo Isabelle Felici, il nuovo periodico anarchico ebbe differenze politiche e anche personali con il foglio di Ristori. I due giornali, s'ignorarono vicendevolmente mentre invece, «Il Libertario» si accostò a «A Terra Livre», del quale, infatti, pretendeva di esserne la versione italiana. Il periodico di Sorelli assecondò la sottoscrizione aperta dal giornale in lingua portoghese a favore dei rivoluzionari russi e la campagna iniziata in Brasile da questo, contro l'arresto dell'anarchico catalano Francisco Ferrer. Sensibile allo sviluppo del movimento operaio brasiliano e alle vicende locali – incluso qualche accenno allo sfruttamento nelle fazendas –, «Il Libertario» pubblicizzò il Circolo di Studi Sociale del Brás, la Biblioteca di Letteratura Sociale di Attilio Gallo, i giornali «Novo Rumo» di Rio de Janeiro, «A Luta» di Porto Alegre, «Novos Horizontes» di São Paulo e «A Gazeta Operária» di Rio de Janeiro –

1008Cfr. J. W. F. DULLES, op. cit., pp. 21-26; S. L. MAGNANI, op. cit., pp. 87-101. Su Luigi Magrassi, vd. I. FELICI, op. cit., p. 170.

431 della quale criticava però il suo pacifismo –, oltre a «A Terra Livre». Dall'Italia si riprodussero alcune notizie pubblicate dalla rivista sindacalista rivoluzionaria «Il Divenire Sociale», edita a Roma da Enrico Leone e Paolo Mantica, mentre si diede spazio anche a un appello del giornale «Il Seme Anarchico» di Catanzaro.1009 Infine, il gruppo redazione de «Il Libertario» diresse la sua posta a Curitiba, Porto Alegre, Rio de Janeiro e in diversi punti dello stato paulista, oltre a Roma per Fortunato Serantoni e a Buenos Aires. Un messaggio fu indirizzato anche a Gigi Damiani, allora ad Antonina (Paraná) – e che nel secondo numero del giornale collaborò con un articolo amichevole ma critico delle posizioni organizzatrici – , mentre un paio furono diretti a Rio de Janeiro a Luigi e Matilde Magrassi, chiedendo la loro collaborazione, specie per questioni riguardanti il movimento operaio e libertario carioca.1010 Occorre segnalare, a questo punto, il ruolo che svolsero le frequenti attività di convivialità libertaria per il sostegno dello stesso movimento anarchico. Praticamente tutti i gruppi, circoli e giornali anarchici del Brasile ricorsero alle feste libertarie come mezzo di finanziamento, convocando i compagni a partecipare a serate dove la musica, la poesia, il teatro, le lotterie, le conferenze e i balli familiari davano luogo a una socialità anarchica che, inoltre, risultava utile alla raccolta di fondi per le iniziative libertarie. L'esempio dell'utilità di queste serate lo si vede in un rendiconto del gruppo Nuova Civiltà che il romagnolo Osvaldo Amadei inviò a «Germinal» nel marzo 1903. In esso, Amadei esponeva nel dettaglio le entrate ottenute dal gruppo grazie a diverse attività, tra le quali una kermesse per la quale uno dei Campagnoli aveva prestato un'importante somma di denaro, così come le uscite, che in questo caso furono in solidarietà con un anarchico espulso dal Brasile, per la riproduzione di un ritratto di Émile Zola e per la pubblicazione dell'opuscolo Fra Contadini, mentre il denaro destinato alla stampa libertaria era conservato da Tobia Boni.1011 In ogni caso, uno dei maggiori apporti di queste feste fu il notevole sviluppo che diedero al teatro libertario, che dall'inizio del secolo vide nascere molti gruppi filodrammatici dilettanteschi che misero in scena pezzi di diversi autori anarchici e socialisti italiani ed europei, tra essi Pietro Gori e Felice

1009Vd. «Il Libertario», São Paulo, a. I (1906): Per la Russia Libera, Rassegna Internazionale, Per la propaganda in portoghese, Tra i giornali, Comunicati, a. I, n. 1, [?] ottobre; Dall'Italia operaia, n. 2, 6 novembre e n. 3, 1 dicembre. Vd. anche I. FELICI, op. cit., pp. 204-205; C. ROMANI, op. cit., p. 170. 1010Vd. la rubrica riguardante la posta del giornale, in «Il Libertario», São Paulo, a. I (1906), n. 1-3. Sull'articolo del Damiani, vd. Avanti di cominciare, n. 3, in «Il Libertario», n. 3, 1 dicembre 1906. 1011Vd. «Germinal», São Paulo, a. II, n. 4, 21 marzo 1903, p. 4.

432 Vezzani – Il Viandante e l'eroe di 1906 –, anche se non mancarono autori «locali» come Gigi Damiani, Giulio Sorelli – I martiri – e Angelo Bandoni – La Miseria. Gruppi teatrali nacquero fra vetrai, calzolai, operai della costruzione civile, conducenti, stivatori, camerieri, marmoristi e altri mestieri, specie negli stati di São Paulo, Rio de Janeiro e Rio Grande do Sul. Come fecero anche in Argentina, Luigi e Matilde Magrassi parteciparono ad alcune rappresentazioni a Rio de Janeiro – dove la maggior parte degli attori del teatro sociale erano portoghesi e spagnoli. Secondo Edgar Rodrigues, nel 1903 Luigi Magrassi partecipò persino alla fondazione del Grupo Dramático Teatro Livre nella sede dell' Associação Auxiliadora dos Artistas Sapateiros di Rio de Janeiro, il quale ebbe la sua prima presentazione nel Centro Galego nell'ottobre dello stesso anno, con i pezzi Primo Maggio di Pietro Gori e O mestre e a escola social.1012 Verso la metà del decennio, militanti emiliani e romagnoli continuavano ad attirare l'attenzione delle autorità italiane. Giuseppe Ravaioli, anarchico originario del forlivese che era stato espulso dall'Argentina alla fine del 1902, giunse a Santos nel gennaio 1904 proveniente da Terra del Sole – dove aveva preso contatto con gli anarchici. Nel 1905 era segnalato a São Paulo come propagandista libertario, dopodiché non si ebbero più notizie sul suo conto.1013 Nel giugno 1904, l'imolese Rosalino Giuseppe Siboni era segnalato come «anarchico fanatico e pericoloso» che si occupava come tipografo presso il giornale paulista «La Tribuna Italiana», mentre sua moglie dimorava a Santos. L'anno successivo si confermava che continuava a lavorare in quel periodico ed era in relazione con Oreste Ristori, mentre nel 1907 era segnalato ancora a São Paulo come anarchico attivo.1014 Nello stesso giugno 1904, la Prefettura di Bologna comunicava che Cesare Salmi – allora a Manaus, stato di Amazonas – aveva spedito 50 lire di un tale Ercole Cortini al fratello Ferdinando, per sottoscrizione a favore del giornale «L'Agitazione» di Roma. Secondo il ministro d'Italia in Brasile, quel Cortini era il nome assunto dall'anarchico lughese Augusto Altini, che all'epoca dell'invio di quella sottoscrizione avrebbe truffato il compagno con circa 6000 lire per l'acquisto di merce a

1012 Cfr. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., p. 144; ID., Os companheiros, vol. IV, cit., p. 20. Sulle feste libertarie e il teatro anarchico, vd. A. TRENTO, op. cit., pp. 393-398; ID., Organização Operária e organização do tempo livre entre os imigrantes italianos em São Paulo (1889-1945), cit., pp. 240- 248. 1013Vd. la scheda biografica compilata dalla Prefettura di Firenze, 17 novembre 1911, ACS, Ministero dell'Interno, DGPS, Cat. J5, b. 280, fasc. Ravaioli Giuseppe. 1014Vd. ACS, CPC, b. 4793, fasc. Sibona Rosolini, in particola la scheda biografica redatta dalla Prefettura di Bologna, 15 febbraio 1897, e i rapporti della Legazione d'Italia a Petrópolis diretti alla DGPS, 24 giugno 1904 e 21 gennaio 1907.

433 Maranhào.1015 Altini, che lasciò la famiglia verso la fine del 1897 per dirigersi in Sudamerica, arrivò a Manaos verso la metà del 1901. Nella capitale amazzonica, il lughese fece il venditore di giornali, poi il macellaio e, in seguito, il venditore ambulante in società con l'anarchico Antonio Basili. Secondo il ministro italiano in Brasile, l'Altini faceva attiva propaganda a Manaos, era in corrispondenza con il noto Guglielmo Marocco di Belém do Pará e riceveva giornali libertari dall'Italia, dagli Stati Uniti e da Buenos Aires. Successivamente fu segnalato sempre a Maranhao.1016 Infine, il bolognese Gaetano Sandri partiva da Santos diretto a Bologna nel marzo 1907, da dove rientrò nella capitale paulista verso la fine maggio, con 4.800 opuscoli. Questo materiale di propaganda era stato acquistato in Italia con i fondi raccolti da una sottoscrizione fra gli anarchici paulisti ed erano destinati alla vendita.1017 Intanto, il movimento operaio brasiliano e particolarmente quello paulista, conobbe una fase ascensionale fin dal 1905 che si prolungò fino al 1908 – momento in cui si avviò un periodo depressivo che non fu superato se non nel 1912. L'emergenza di São Paulo come centro urbano-industriale, l'arrivo di militanti anarchici e socialisti dall'Europa e un certo grado di omogeneità fra il proletariato paulista, diedero una spinta fondamentale allo sviluppo del movimento dei lavoratori. Episodio di particolare rilevanza fu la fondazione della Federação Operária di São Paulo – FOSP – nel novembre 1905, per iniziativa del giornale «Il Falegname», fondato mesi prima da Giulio Sorelli e Stefano Soncini. Nella riunione di costituzione della nuova federazione presero parte anche l'anarchico sindacalista Attilio Gallo – che presiedette l'incontro – e il militante libertario Edgard Leuenroth, oltre a cinque sindacati con nome italiano: la Lega dei Lavoranti del legno, la Lega tra gli Scalpellini, l'Unione Internazionale dei Calzolai, l'Unione Operaia e l'Unione dei Cappellai. L'adunanza elesse una commissione provvisoria – che si riuniva temporaneamente nella sede dell'Unione dei Cappellai – con 1015Vd. il rapporto (copia) della Prefettura di Bologna alla DGPS, 4 agosto 1904, e il rapporto (copia) della Legazione d'Italia a Petrópolis diretto alla DGPS, 18 aprile 1905, ACS, CPC, b. 4538, fasc. Salmi Cesare. 1016Augusto Altini, commerciante, nacque a Lugo il 27 aprile 1859 da Giuseppe e Angela Bassi. Nel 1885 ebbe un negozio di vendita di liquori e vini a Lugo, mentre nel 1892 si trasferì a Bassano Veneto, dove aprì un'osteria. La polizia italiana segnalava che a Lugo si era dimostrato repubblicano e che nel 1897 era invece socialista. Quando si trasferì in America, l'Altini lasciò a Bassano sua moglie e i tre figli. Nel 1901, quando egli era in Sudamerica, sua moglie morì.Vd. ACS, CPC, b. 79, fasc. Altini Augusto, in particolare il rapporto della Prefettura di Ravenna alla DGPS, 25 luglio 1903, e il rapporto della Legazione d'Italia a Rio de Janeiro diretto alla DGPS, 9 giugno 1903. 1017Vd. i rapporti della Legazione d'Italia a Petrópolis diretti alla DGPS; 18 marzo e 6 giugno 1907, ACS, CPC, b. 4565, fasc. Sandri Gaetano.

434 a capo Leuenrtoh, che accordò la pubblicazione di un manifesto con i fini dell'associazione. Ispirata ai principi del sindacalismo rivoluzionario, la Federação difendeva l'idea di associazioni di operai costituite per interessi economici e morali senza dover per forza adscrivere a nessuna idea politica, il che suscitava divisioni fra i lavoratori, in coerenza con il principio di autonomia sindacale promosso dal gruppo iniziatore.1018 Qualche mese dopo la sua fondazione, insieme alla Federação Operária Regional de Rio de Janeiro – già Federação das Associações de Classe –, la FOSP si fece promotrice di un congresso operaio nazionale da tenersi nella capitale federale. Il congresso ebbe luogo nell'aprile 1906 nel Centro Galego di Rio de Janeiro e vi parteciparono 43 delegati che rappresentavano 29 sindacati di São Paulo e principalmente la capitale brasiliana. Da São Paulo assistettero dieci delegati, fra essi Sorelli, Leuenroth, Manuel Moscoso e José Sarmento Marques. Partecipò anche il modenese Luigi Magrassi che, insieme a José Mota Assumpção, era delegato della Liga das Artes Gràficas. Dominato dagli anarcosindacalisti, l'adunanza respinse il tentaivo dei delegati socialisti di costituire un partito operaio, fondando invece la Confederação Operária Brasileira, ispirata ai principi del sindacalismo rivoluzionario e sotto il modello organizzativo delle Confédération Générale du Travail francese. L'eterogeneità dei delegati impedì di approvare risoluzioni riguardanti l'azione diretta, come lo sciopero generale rivoluzionario e, invece, l'accordo sulle rivendicazioni economiche consentì di sanzionare l'indipendenza dai partiti, l'astensione elettorale, lo sciopero parziale, il boicottaggio, il sabottaggio, le manifestazioni pubbliche e, soprattutto, la rivendicazione delle otto ore di lavoro. Inoltre, il congresso approvò la non remunerazione dei sindacalisti, tranne in momenti di conflitto e dichiarò il Primo Maggio una giornata di lotta e non di festa. Infine, si sancì la realizzazione di un congresso ogni anno e la pubblicazione del giornale «A Voz do Trabalhador», tuttavia il secondo congresso ebbe luogo solo nel 1913 e il giornale apparve nel 1908, anno in cui la COB entrò in funzione, sostenuta da un piccolo gruppo di militanti e nella sola città di Rio de Janeiro.1019

1018Comunicato. Federação Operaia de S. Paulo, in «La Battaglia», São Paulo, a. II, n. 58, 3 dicembre 1905. Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 195-196; E. TOLEDO, O Sindicalismo revolucionario no Brasil no inicio do seculo XX, cit., pp. 183-186; B. FAUSTO, op. cit., pp. 133-135. Angelo Trento assicura che la presenza italiana nei sindacati di São Paulo era «assolutamente maggioritaria». Vd. A. TRENTO, op. cit., pp. 356. 1019Vd. Resoluções do 1° congresso operário brasileiro, Rio de Janeiro, Pap Villas Boas & C., 1906. Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 90-91; I. FELICI, op. cit., pp. 197-199; J. W. F. DULLES, op. cit., pp. 90-91; A. TRENTO, op. cit., pp. 355-356; E. TOLEDO, op. cit., p. 197. Edgar Rodrigues

435 La prospettiva organizzatrice – ovvero, anarcosindacalista – sulla confederazione operaia, particolarmente sviluppata dal giornale «A Terra Livre», sosteneva l'organizzazione come pilastro dell'azione e dell'educazione dei lavoratori, la quale si basava nell'autonomia dell'individuo, del sindacato e della federazione e, inoltre, sulla delegazione senza autorità. La proposta organica era quella di formare sindacati a livello professionale, non secondo mestieri ma secondo il ruolo produttivo di diverse occupazioni, lasciando aperta la possibilità di costituire sindacati di mestieri vari. Secondo gli anarcosindacalisti, solo gli operai coscienti dovevano partecipare alle associazioni sindacali, poiché quelli non veramente coinvolti nelle lotte sarebbero diventati un ostacolo al suo progresso. Infatti, l'azione sindacale doveva essere soprattutto educativa e il suo ruolo fondamentale era sviluppare la coscienza di classe attraverso la propaganda anarchica. Secondo Silvia Magnani, «o sindacato aderente da ação direta […] teria pro principal função educar o Operáriado na luta de classes e não interferir diretamente nesta luta, assumindo uma posição de direcção e comando».1020 Nonostante le definizioni antiautoritarie, la risposta degli antiorganizzatori – e particolarmente de «La Battaglia» – alla formazione della Confederação fu particolarmente dura. Essi attaccarono in forma ironica il tentativo degli organizzatori di mettersi in testa al movimento operaio, controllando il comitato direttivo della nuova associazione, senza risparmiarsi neanche nelle critiche ai delegati anarcosindicalisti presenti al congresso, tra essi lo stesso Luigi Magrassi.1021 Alcuni giorni dopo la costituzione della COB, anarchici e sindacalisti presero parte attiva alla commemorazione del Primo Maggio, che si celebrò a São Paulo e a Rio de Janeiro, mentre Oreste Ristori ebbe una conferenza a Santos, il tipografo sindacalista Everardo Dias a Campinas ed Edgard Leuenroth a Jundiaí. Due settimane dopo, precisamente in quest'ultimo centro urbano – e in minore grado anche a Campinas –, il conflitto fra i lavoratori della Companhia Paulista de Estradas de Ferro con i loro padroni, indusse la Liga Operária de Junidaí, che radunava circa 3.800 operai, a sostiene che al congresso di Rio de Janeiro la maggior parte dei delegati erano d'origine italiana, come successe anche al congresso operaio tenuto a Curitiba nel 1907, promosso dalla Liga dos Sapateiros. Rodrigues afferma, inoltre, che il veterinario anarchico Giovanni Rossi avrebbe preso parte al congresso dell'aprile 1906, proveniente da Taquarí, stato di Rio Grande do Sul. Vd. E. RODRIGUES, Os anarquistas. Trabalhadores italianos no Brasil, cit., pp. 77-78 1020S. L. MAGNANI, op. cit., pp. 102-108. 1021Vd. «La Battaglia», São Paulo, a. III (1906): Un congresso internazionale di batraci a Rio, n. 76, 22 aprile; T. BONI, I nostri santi e le nostre feste, n. 77, 29 aprile. Cfr. I. FELICI, op. cit., pp. 199-200; C. ROMANI, op. cit., pp. 170-171.

436 dichiarare lo sciopero. Verso la fine del 1905, a causa dell'arrivo di nuove macchine, gli operai della compagnia avevano visto ridursi i loro salari in un 10% e, inoltre, nei primi mesi del 1906 centinaia di lavoratori furono licenziati. Con lo sciopero dichiarato, la ditta ottenne dal governo paulista, l'invio di diverse decine di poliziotti per reprimere il movimento e di militari per assicurare il normale funzionamento dei treni, al che gli scioperanti risposero danneggiando alcune linee ferroviarie. Mentre aderivano allo sciopero gli operai tessili di Junidaí, si decretò la censura telegrafica e la repressione del movimento si fece più aspra. Il giorno 19 dichiararono lo sciopero solidale altre compagnie ferroviare dello stato, il che motivò l'intervento delle forze federali, sollecitate dal presidente dello stato paulista: oltre all'invio di centinaia di macchinisti e pompieri per mettere in funzione il servizio ferroviario, due navi di guerra approdavano a Santos. Una settimana dopo, Junidaí e Campinas erano poresocché sotto lo stato d'assedio e molti dei leaders sindacali e operai furono arrestati e portati a São Paulo. La FOSP rispose dichiarando uno sciopero solidale, a cui aderirono circa 4.000 operai della capitale paulista, e inviando aiuto agli scioperanti. Tuttavia verso la fine del mese il movimento perse forza e la repressione invece prese il sopravvento: la polizia chiuse le sedi di diversi sindacati di São Paulo, Santos, Rio Claro e Junidaí, invase quelle della FOSP, del'«Avanti!» e de «La Battaglia», le manifestazioni solidali a São Paulo furono duramente represse, mentre gli scontri a Junidaí finirono con due operai e un soldato morti. Agli inizi di giugno nessuna rivendicazione era stata raggiunta, eppure si tornò al lavoro.1022 Nonostante il fallimento dello sciopero, il movimento attorno a esso fu il più importante visto fino ad allora nello stato paulista e, secondo Boris Fausto, quello che raccolse più simpatie e adesioni da parte della classe operaia paulista – ma anche da commercianti, borghesia immigrante e studenti – prima della Grande Guerra. Un ruolo importante nell'attivazione di questo movimento solidale lo svolse la FOSP che, in effetti, partecipò persino alla fondazione della Liga Operária di Junidaí, nel marzo 1906, attraverso la presenza di Edgar Leuenroth e, oltre alla dichiarazione dello sciopero in solidarietà con gli operai ferrovieri, coordinò il movimento con la Liga Operária di Rio Claro per mezzo di Gulio Sorelli. Già nel marzo la FOSP aveva inviato una delegazione per solidarizzare con lo sciopero degli operai tessili della fabbrica di Ipiraguinha, a São

1022 Cfr. B. FAUSTO, op. cit., pp. 135-139; S. L. MARAM, op. cit., p. 34-35; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 28. Sulla repressione contro il movimento solidale a São Paulo, vd. anche A greve na Paulista, in «A Terra Livre», São Paulo, 13 giugno 1906, riprodotto in E. CARONE, op. cit., pp. 92-95.

437 Bernardo, dimostrando con esso la sua intenzione di creare reti di collaborazione con i sindacati dello stato.1023 Dopo lo sciopero, nonostante la sconfitta e la repressione, il movimento operaio non si arrestò nel suo tentativo di ampliare le basi. Nel giugno, le sarte Tecla Fabri, Teresa Cari e Maria Lopes, rimproverando l'indifferenza delle loro colleghe di fronte allo sciopero solidale del mese precedente, firmavano un appello per protestare contro le condizioni di lavoro e per unirsi alla lotta. Qualche mese dopo, il giornale «Il Libertario», sosteneva che lavoranti in veicoli, metallurgici e fornai «sono venuti ad ingrossare le file del proletariato militante», mentre annunziava un convegno della FOSP per i primi di dicembre e informava sullo sciopero che i cappellai della fabbrica di João Adolfo sostenevano da più di un mese. Allo stesso tempo, dissapprovava la formazione dell'associazione dei commessi di negozio al di fuori della Federazione e accennava lo sbaglio delle sarte di essersi fidate delle autorità locali.1024 In ogni caso, non solo a São Paulo, il movimento operaio si andava sviluppando. A Porto Alegre, nell'ottobre 1906 e dopo 21 giorni di uno sciopero di varie categorie operaie per le otto ore di lavoro – nel quale ebbero notevole partecipazione gli anarchici sindacalisti –, si fondò la Federação Operária do Rio Grande do Sul, che però fu guidata dai socialisti fino al 1911 e solo successivamente dagli anarcosindacalisti. Qualche mese prima, a Curitiba apparve un manifesto che chiamava al boicottaggio delle fabbriche di scarpe Favorita de R. Hatschbach e de Muggianti & Irmão, che furono le uniche a non accogliere le domande degli operai nell'ultimo sciopero, manifesto che pubblicava inoltre i nomi dei traditori dello sciopero stesso.1025 Intanto, le ondate di scioperi del 1905-1906, che in alcuni casi riportarono certi vantaggi agli operai, favorirono la crescita delle adesioni dei lavoratori alle associazioni sindacali, il che, a sua volta, portò gli anarchici antiorganizzatori e «La Battaglia» a perdere terreno nel mondo del lavoro. Il giornale di Ristori non smise di criticare gli scioperi parziali limitati a una sola fabbrica, così come disapprovò la supposta mediazione degli organizzatori Leuenroth e Moscoso nello sciopero degli operai tessili di São Bernardo nel marzo 1906, tuttavia assunse un contegno diverso riguardo al

1023 Cfr. B. FAUSTO, op. cit., pp. 140-146. Sulla partecipazione della FOSP allo sciopero degli operai tessili di São Bernardo, vd. di E. CARONE, op. cit., pp. 51-53. 1024Movimento operaio, in «Il Libertario», São Paulo, a. I, n. 1, [?] ottobre 1906. Sull'appello delle sarte, vd. E. CARONE, op. cit., pp. 470-471. 1025Vd. il manifesto Proclamação de boycottage. Ao povo!, [Curitiba, 1906], IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3399 Brazi other subjects 1897-1926. Sulla FORGS, vd. B. A. Loner, op. cit., pp. 165-170.

438 movimento di maggio. A causa della repressione degli operai ferrovieri e delle caratteristiche dello sciopero generale del loro movimento, «La Battaglia» lo supportò, invocando inoltre lo sciopero generale solidale come meccanismo di difesa contro la violenza padronale e poliziesca. Ristori partecipò in prima persona all'agitazione fra gli scioperanti di Junidaí e Campinas, il che gli valse la detenzione per due giorni, oltre al saccheggio del locale del giornale, alla distruzione del numero 80 e alla sospensione del foglio per tre settimane. Secondo Isabelle Felici, il risultato del movimento convinse i redattori de «La Battaglia», che il vero sciopero generale non era altro che quello rivoluzionario e che una delle chiavi per raggiungere il successo era rendere inutilizzabili gli strumenti di lavoro. In ogni caso, fedeli ai propri principi, gli antiorganizzatori radunati attorno al giornale di Ristori, propugnavano l'azione diretta e proponevano soprattutto il boicottaggio come metodo di lotta. Nel campo operaio, dunque, il loro attivismo ebbe alcune espressioni anche nelle fabbriche, dove gli anarchici si recavano per distribuire il periodico e divulgare le loro idee, come fece lo stesso Ristori nel luglio 1907, quando parlò agli operai del mulino dell'imprenditore italiano Francesco Matarazzo, che aveva licenziato due compagni.1026 L'inedito stato di agitazione operaia dell'anno 1906 persuase il congresso federale brasiliano, ad approvare in forma definitiva, il progetto di legge per l'espulsione degli stranieri che era stato approvato dalla Camera dei deputati nel 1903 ma respinto dal Senato. Nata come Decreto 1641 ma nota come lei Adolfo Gordo – in onore al deputato paulista che la promosse –, questa legge puntava ai cittadini d'origine estera che minacciavano la sicurezza pubblica, esclusi quelli sposati con donna brasiliana e quelli con più di due anni di residenza nel paese. Questa disposizione legale rendeva più semplice la procedura per espellere gli stranieri, bastava che il governo di un singolo stato inviasse al governo federale una richiesta d'espulsione accompagnata da una relazione elaborata dalla polizia locale. Vigente fino al 1921, con alcune modifiche nel 1913, questa legge consentì alle autorità brasiliane l'espulsione di 132 stranieri solo nel 1907, fra essi 47 portoghesi, 27 spagnoli e 25 italiani. Insieme a questa legge, il parlamento federale approvò anche il decreto 1637, che regolava l'attività dei sindacati, considerandoli legali se promuovevano l'armonia fra padroni e operai e esplicitavano i nomi dei propri dirigenti, i quali dovevano essere brasiliani, naturalizzati o con

1026Cfr. C. ROMANI, op. cit., pp. 169-176; I. FELICI, op. cit. 200-203. Nel luglio 1907 «A Terra Livre» annunziava una campagna di boicottaggio contro i prodotti di Matarazzo & C., come protesta per il licenziamento di Corrado Bernacca e la sua compagna. Vd. E. CARONE, op. cit., p. 149.

439 residenza nel paese da più di cinque anni.1027 La risposta del movimento operaio non si fece attendere e nel febbraio gli anarchici costituirono la Comissão Federal de Protesto contro la legge, composta unicamente da militanti brasiliani. La Federação Operária di São Paulo e la Confederação Operária Brasileira chiamarono gli operai ad aderire all'iniziativa e alle agitazioni che l'accompagnarono, promuovendo allo stesso tempo un comizio simultaneo in tutto il paese.1028 La campagna contro la legge di espulsione, però, passò in secondo piano nel maggio 1907, quando diverse categorie professionali di São Paulo dichiararono lo sciopero per la riduzione della giornata di lavoro a otto ore, come raccomandato dal congresso operaio dell'anno precedente. I primi a dichiarare lo sciopero furono gli operai che costruivano veicoli, che mantennero il loro movimento dalla fine di marzo fino alla fine di aprile, ottenendo la riduzione dell'orario di lavoro. In seguito, nella commemorazione del Primo Maggio, la FOSP incentrò la sua agitazione sulla rivendicazione delle otto ore e qualche giorno dopo gli operai metallurgici della Compagnia Lidgerwood si astennero dal lavoro. Nei giorni successivi il movimento si estese nella città, seppur gli scioperi non si dichiarassero secondo categoria industriale bensì in singole fabbriche. In ogni caso, l'8 maggio erano più di duemila gli scioperanti, inclusi gli operai della costruzione civile e l'industria alimentare. Poi si aggiunsero anche calzolai, operai grafici, lavoratori della pulizia municipale e, infine, gli operai tessili di São Paulo che, per la prima volta, paralizzarono tutte le industrie del settore. Oltre alla capitale paulista, scioperi si dichiararono anche a Santos, Ribeirão Preto e Campinas. La FOSP assunse allora il ruolo di coordinamento degli scioperanti, ospitando nella sua sede la maggior parte delle riunioni sindacali e, infatti, fu nel ruolo di coordinatori del movimento, che gli anarcosindacalisti ebbero una certa rilevanza, piuttosto che nell'orientamento delle rivendicazioni. Con il passare dei giorni, alcuni operai tornavano al lavoro dopo aver raggiunto accordi vantaggiosi, mentre altri erano arrestati. La sede della Federazione Operaia venne chiusa e verso la fine di maggio rimanevano in sciopero i tessili e i metallurgici. I primi finirono il loro movimento avendo raggiunto soltanto piccole concessioni dai padroni, mentre i secondi tornarono a lavorare per ultimi senza nulla in mano. Secondo Boris Fausto, il movimento fu meno articolato di quanto lo fosse quello dell'anno precedente, tuttavia non per questo, del tutto spontaneo: la

1027Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 39-43; J. W. F. DULLES, op. cit., pp. 28-29. 1028Cfr. E. RODRIGUES, op. cit., pp. 86-87. Edgar Carone riproduce un appello pubblicato i primi di febbraio sul giornale libertario «A Terra Livre». Vd. E. CARONE, op. cit., pp. 117- 120.

440 rivendicazione delle otto ore di lavoro era alla base di tutto il movimento, la Liga dos Pedreiros e l'União dos Trabalhadores Gráficos divennero rilevanti nello sciopero e, infine, verso la fine di maggio, la FOSP assunse la funzione di organizzatore del movimento.1029 La risposta dei padroni al movimento non si fece attendere. Il 13 maggio ebbe luogo una riunione degli industriali del settore tessile per affrontare il movimento e anche i proprietari delle industrie grafiche tentarono di organizzarsi. Gli industriali pubblicarono dei manifesti contro lo scioperi, formarono una commissione per dialogare con il governo sulla libertà di lavoro e di proprietà, chiesero alla stampa d'informare il meno possibile sul movimento e, infine, proposero di formare il Centro degli Industriali. Intanto, il governo si limitò a reprimere gli scioperanti e le sue associazioni: il giorno 14 chiuse il locale della FOSP, sequestrando alcuni dei suoi beni, incarcerò diversi dirigenti sindacali, sciolse le riunioni pacifiche e schierò della polizia per proteggere le fabbriche.1030 Nonostante lo sciopero fosse coordinato dalla FOSP e molti dei dirigenti sindacali si riconoscessero come anarco-sindacalisti, una volta finito il movimento, il giornale organizzatore «A Terra Livre» criticò il suo carattere riformista e ristretto alla sola rivendicazione delle otto ore di lavoro. La stessa critica fecero gli antiorganizzatori fin dall'inizio del movimento, anche se, con il passare dei giorni, videro in esso – in modo scettico però – un potenziale stato d'agitazione che poteva condurre al preludio di uno sciopero rivoluzionario. «La Battaglia» pubblicò diversi articoli sul movimento, chiamò a boicottare i prodotti della fabbrica Matarazzo in solidarietà con i suoi operai e persino i redattori collaborarono con gli scioperanti – Ristori si recò a Santos per supportare lo sciopero generale –, tuttavia, finita l'agitazione, il giornale riprese la critica degli scioperi non accompaganti da espropriazioni, seppur senza fare valutazioni del movimento paulista.1031

1029 Cfr. S. L. MAGNANI, op. cit., pp. 126-132; B. FAUSTO, op. cit., pp. 146-150; S. L. MARAM, op. cit., p. 56. Sullo sciopero secondo le diverse categorie industriali che vi presero parte, vd. S. L. MAGNANI, op. cit., pp. 132-138. Una relazione dello stato del movimento secondo le categorie industriali apparve anche verso la fine di maggio nel giornale «A Terra Livre». Vd. A greve pelas 8 horas, in «A Terra Livre», São Paulo, 25 maggio 1907, riprodotto in E. CARONE, op. cit., pp. 96-99. Vd. infine i manifesti A greve dos canteiros. Ao publico e ás classes trabalhadoras em geral [Rio de Janeiro, maggio 1907] e Liga operària de Campinas, Gréve dos pedreiros e annexos. Campinas, maggio 1907, entrambi conservati in IISG, Max Nettlau Papers, fasc. 3399 Brazil Other subjects 1897-1926. 1030S. L. MAGNANI, op. cit., pp. 122-127. 1031Cfr. Ivi., pp. 114-118; C. ROMANI, op. cit., p. 175; I. FELICI, op. cit., pp. 206-209.

441 Fra le categorie professionali che ottenero le otto ore di lavoro con lo sciopero, oltre ai muratori e ai falegnami, ci furono anche i cappellai. Il socialista bolognese Telemaco Rizzi sicuramente svolse un ruolo importante nello sciopero, essendo parte del consiglio direttivo dell'Unione dei Cappellai di São Paulo, mentre gli emiliani fratelli Ramenzoni, anche loro socialisti e proprietari di una piccola fabbrica di cappelli, concessero la riduzione della giornata di lavoro. Tuttavia, verso la fine dell'anno, i Ramenzoni seguirono i proprietari dell'industria di cappelli imponendo il vecchio orario, il che provocò una crisi all'interno dell'Unione e la sua conseguente scissione. Dal canto loro, il giornale «Fanfulla», proprietà di Vitaliano Rotellini – già anarchico – e che qualche volta si offrì come mediatorie nei conflitti del lavoro, nello sciopero del 1907 si schierò apertamente con i padroni, mentre l'«Avanti» chiese al console italiano d'intervenire per la liberazione degli scioperanti di maggio, richiesta che fu duramente criticata dagli anarchici.1032 Intanto, mentre lo sciopero di maggio iniziava a prendere forza, il segretario di Justiça e Seguranza Pública dello stato di São Paulo, dopo aver raccolto informazioni su Oreste Ristori, Alessandro Cerchiai e Giulio Sorelli, approfittò della lei Gordo per chiedere al Tribunale Supremo di Rio de Janeiro l'espulsione degli anarchici, richiesta che però fu rifiutata da questo tribunale perché tutti e tre avevano più di due anni di residenza nel paese.1033 Verso la fine del 1907 e inizi del 1908 si produssero altri scioperi nello stato paulista, ma di piccole dimensione e che non ebbero successo. Soltanto a Santos – dove, secondo Malú Gitahy, i sindacati della costruzione civile riuscirono persino a controllare il mercato locale del lavoro per alcuni mestieri fra il 1907 e il 1910, cosa però molto rara nel Brasile all'epoca – ebbe luogo uno sciopero di discrete dimensione. Nel settembre 1908, infatti, gli operai del porto si astennero dal lavoro esigendo le otto ore, movimento che in seguito si estese a tutta la città e motivò persino uno sciopero solidale della FOSP. Tuttavia, l'appello della federazione non ebbe risposta positiva e, inoltre, il governo dello stato inviò delle forze militari a Santos, il che finì per spegnere il movimento. Questo fu l'ultimo capitolo dell'ondata di scioperi, dopodiché le agitazioni nello stato di São Paulo

1032 Cfr. L. BIONDI, op. cit., pp. 181-182; A. TRENTO, op. cit., pp. 389-402. 1033Vd. il processo di espulsione contro Oreste Ristori, Alessandro Cerchiai e Giulio Sorelli del maggio 1907, ANRJ, Série Interior-Justiça, IJJ 7, fasc. 179. Nel fascicolo si conservano una circolare della Liga di Resistencia entre os Trabalhadores em Vehiculos, in sciopero, diretta agli industriali del settore per la riduzione della giornata di lavoro a otto ore, datata a São Paulo, 23 marzo 1907, e il manifesto Aos tecelões de aniagem da fabrica Penteado, s.l., s.d. Cfr. C. ROMANI, op. cit., pp. 165-166; I. FELICI, op. cit., pp. 205-206.

442 videro un drastico declino, almeno fino al 1912, che fu accompagnato inoltre dal depotenziamento delle leghe di resistenza e persino dalla scomparsa della FOSP dalla scena operaia.1034

1034 Cfr. S. L. MARAM, op. cit., pp. 129-130; B. FAUSTO, op. cit., p. 152; M. GITAHY, op. cit., pp. 79- 80; J. W. F. DULLES, op. cit., p. 29.

443 Conclusioni

Dopo aver analizzato i processi di costruzione e sviluppo del movimento anarchico in lingua italiana sia in Argentina sia in Brasile, vengono alla luce aspetti comuni che rendono irrinunciabile la comparazione fra entrambe le realtà sudamericane. Già nel primo anno dell'arrivo delle grandi leve d'immigrati d'origine italiana, cioè il 1887 per l'Argentina e il 1890 per il Brasile – avviate grazie a politiche d'immigrazione sistematiche realizzate dai governi locali – i primi “presunti” anarchici stranieri sono espulsi dai territori nazionali. Questo è un punto di partenza senza dubbio significativo, che segnò in seguito il disegno di una politica diretta a combattere il sovversivismo, particolarmente quello anarchico, che arrivò nella sponda sudoccidentale dell'Atlantico fra la manodopera d'origine europea. Seppur non necessariamente sistematica, la politica anti-anarchica delle élites repubblicane dell'Argentina e del Brasile, fino alla svolta del secolo, si sviluppò guardando sempre alla repressione delle manifestazioni libertarie. La sospensione dei giornali anarchici, la detenzione per qualche giorno di sospetti anarchici – che servivano soprattutto per la loro schedatura negli uffici della polizia –, l'arresto dei militanti più noti – che molte volte rimanevano in carcere dei mesi senza processo, oppure erano espulsi dal paese senza accuse serie né provate – e infine la montatura poliziesca di presunti complotti anarchici per attentare alla vita dei presidenti – quelli locali e anche quelli esteri –, costituirono i principali strumenti di controllo nei confronti dei militanti anarchici. Da aggiungere poi, che si trattava di misure che non si discostavano molto da quelle attuate nella vecchia Europa. La particolarità delle persecuzioni contro gli anarchici, appunto, non consistette nelle tecniche o tattiche repressive stesse, ma nell'utilità che esse ebbero nella «costruzione discorsiva» di un nemico della società nazionale. Con alcune sfumature, per la propaganda nazionale – e non solo nazionalista – diffusa dalle classi dominanti delle società argentina e brasiliana, l'anarchismo non solo costituì una minaccia alle istituzioni locali, ma soprattutto una minaccia d'origine straniera contro la patria stessa. In poche parole, le idee libertarie erano estranee alla realtà politica e sociale locale, non facevano parte della sua tradizione e perciò estranee anche alle classi lavoratrici argentina e brasiliana. Quest'idea non era molto lontana dalla concezione dello straniero come

444 criminale – ladro, truffatore, prostituta, lenone, ecc. – che si diffuse nei due paesi sudamericani durante l'ultimo decennio del XIX secolo e che collaborò alla «costruzione» di una nazione particolarmente escludente dell'«altro». In ogni caso, lo sfruttamento di questo concetto, specie dall'élite più conservatrice, non solo contribuì a legittimare il ruolo direttivo delle classi dominanti, ma anche a creare divisioni all'interno delle classi popolari e a predisporre la società locale contro le manifestazioni di un movimento operaio che in entrambi i paesi ebbe un carattere eminentemente cosmopolita. Anche se il discorso e la praxis anti-anarchica dell'élite locale si manifestarono fin dall'inizio della «grande immigrazione», esse comparirono nella scena pubblica soprattutto nei momenti di crisi e instabilità politica. Certamente i periodi di agitazione operaia indussero le classi dominanti a segnalare gli anarchici stranieri come la loro causa materiale diretta, ma anche i moti radicali in Argentina e quelli federalisti in Brasile, servirono per puntare sui militanti libertari le armi della repressione. È vero che gli anarchici chiamavano a manifestare contro lo sfruttamento capitalista e statale, riuscendo in diverse occasioni a scatenare momenti di agitazione sociale, particolarmente fra gli operai, tuttavia molte volte divennero i capri espiatori di un'élite incapace di risolvere in un altro modo le sue contraddizioni. La massima espressione di questa «via d'uscita», per quanto riguarda il momento storico della nostra ricerca, ebbe luogo dopo i maggiori periodi di agitazione operaia visti fino ad allora nell'Argentina e nel Brasile: 1902 per il primo caso e 1906 – particolarmente nello stato di Sao Paulo – per il secondo. È indubbio l'attivissimo ruolo che svolsero i militanti anarchici nello svolgimento degli scioperi e, soprattutto, nell'impostazione solidale che essi ebbero, coinvolgendo simultaneamente diverse categorie industriali di lavoratori, ma altrettanto evidenti erano le pessime condizioni di vita degli operai e la loro esclusione dai benefici delle emergenti società industriali. Eppure, furono gli attivisti europei e gli anarchici per primi, a subire le misure repressive che pretendevano di ristabilire l'«ordine» e la «pace sociale» corrotta dall'«agitazione straniera»: la ley de residencia in Argentina e la lei Adolfo Gordo nel Brasile. Per la prima volta, le élites argentina e brasiliana raccolsero un'ampia accettazione intorno alle misure da prendere contro gli agitatori d'origine estera – e cioè l'espulsione decretata direttamente dall'esecutivo, senza bisogno di processo giudiziario. Tuttavia, più importante fu il consenso raggiunto, circa l'idea che il «disordine» o la «dissoluzione sociale», fossero una conseguenza diretta dell'immigrazione.

445 Tuttavia, nonostante l'applicazione delle leggi, della razzia dei mezzi operai e dell'espulsione di centinaia di attivisti europei – nella sua stragrande maggioranza anarchici – i movimenti dei lavoratori non si arrestarono, il che rese evidente non solo l'inefficacia della nuova legislazione, ma anche l'incapacità delle classi dominanti di affrontare le contraddizioni sociali derivate dall'integrazione dei loro paesi nell'economia mondiale. La questione fondamentale è, dunque, che le leggi brasiliana e argentina contro gli stranieri – di indubbia ispirazione anti-anarchica, come altre legislazioni approvate in diversi paesi d'Europa dalla fine del XIX secolo –, più che un senso pratico, ebbero un valore politico, in quanto riuscirono a raccogliere consenso fra l'élite locale – anche se molti mezzi a stampa liberali si opposero tenacemente alle misure legislative –, ma soprattutto un valore ideologico, poiché nascondevano l'origine del conflitto sociale spostandolo sull'azione di certi soggetti perniciosi per l'unità nazionale. In ogni caso, la repressione dei militanti libertari d'origine italiana in terre sudamericane, non riguardò solamente i governi locali. L'intervento delle autorità diplomatiche dell'Italia non fu rara e non poche volte la repressione degli anarchici fu il risultato dell'azione diretta dei Consolati e delle Legazioni. Ne è un esempio la persecuzione degli attivisti libertari nel 1894-1895 a Sao Paulo, che finì con l'espulsione del novellarese Felice Vezzani, dell'imolese Arturo Campagnoli e del ravennate Ludovico Tavani, tra gli altri. Sembra che nell'Argentina la preoccupazione dei rappresentanti del re per la diffusione dell'anarchismo italiano, non desse luogo a misure particolarmente punitive – almeno da ciò che mostrano le carte consultate – mentre nel caso brasiliano, la collaborazione fra agenti diplomatici e polizia locale ebbe risultati più evidenti. Questo, però, è attribuibile ai diversi modi in cui la gamma di attori politici guardavano al fenomeno dell'immigrazione anarchica, piuttosto che alla maggiore o minore efficienza delle polizie locali. Infatti, questa diversità di punti di vista, derivata dai particolari rapporti con le realtà locali, creò diversi gradi d'intendimento fra gli agenti diplomatici italiani e i governi sudamericani, che sfociarono in risposte diverse per far fronte alla minaccia anarchica. Dal punto di vista dei rappresentanti diplomatici italiani, l'arrivo continuo di attivisti libertari dalla penisola, costituì una minaccia reale per la stabilità delle «comunità italiane» nel Sudamerica. La preoccupazione era per il potenziale successo che gli attivisti italiani avrebbero potuto avere fra gli operai emigrati dalla penisola, ma soprattutto per l'eventuale perdita d'influenza delle società «etniche» di mutuo soccorso

446 fra i lavoratori e il calo di consenso intorno a esse. Le associazioni mutualistiche, infatti, costituirono non solo la forma organica più estesa della colonia italiana, ma anche quella che, grazie al «nazionalismo italiano», permise ai consoli e ai ministri del re in Sudamerica, un rapporto diretto con gli immigrati dalla penisola. Nel caso del Brasile, dove gran parte delle società etniche si schieravano apertamente con la monarchia – a differenza dell'Argentina, dove l'influsso dei repubblicani permise loro di controllare la stragrande maggioranza delle associazioni –, la paura della crescita dei dissidi fra gli italiani e, in conseguenza, la perdita della propria influenza sui compatrioti, indusse le autorità diplomatiche italiane, specie il console a Sao Paulo, a creare un certo clima di allarmismo rispetto alla presenza anarchica nel paese. Quest'allarmismo, che mirava a creare alleati nel governo brasiliano come nel governo italiano, creò le condizioni per l'accordo fra il consolato e la polizia locale per la persecuzione degli anarchici. Dal canto suo, il governo brasiliano vedeva con inquietudine l'arrivo di anarchici dall'Europa e particolarmente dall'Italia, con il vivo sospetto che si trattasse di una politica d'espulsione velata avviata dal governo italiano. Nel caso argentino, anche se la presenza anarchica si manifestò prima che in Brasile e si sviluppò in un grado maggiore, i rapporti fra i rappresentanti dell'Italia e le autorità locali, non diedero luogo a misure particolarmente repressive, oltre alla sorveglianza dei sovversivi. Probabilmente questo fatto era dovuto alle diffidenti relazioni che il governo argentino coltivò nel riguardo delle rappresentanze diplomatiche straniere, piuttosto che al poco interesse dell'élite locale per la diffusione dell'attivismo libertario. Di fatti, quando il governo locale dovette ricorrere a misure repressive, non dubitò di attuarle. Non a caso, verso la fine del 1893 espulse un gruppo di anarchici dal paese, tra i quali il forlivese Giovanni Ragazzini e l'anno successivo, dopo l'attentato di Sante Caserio in Francia che tanto colpì la borghesia mondiale dell'epoca, avviò trattative con il governo italiano per lo scambio d'informazioni sugli anarchici che si spostavano dall'Argentina nella penisola e viceversa. Fu però il poco interesse delle autorità sudamericane ad ascoltare i rappresentanti dei governi esteri, che portò il ministro d'Italia in Argentina, a lamentarsi in molte occasioni dell'indifferenza del governo argentino sull'attività anarchica e delle poche misure preventive adottate al riguardo. Nonostante nel Brasile i rapporti fra consoli e governo fossero più proficui in quanto alla persecuzione degli anarchici, questa fu intermittente e anche qui le autorità diplomatiche accusavano la passività del governo brasiliano di fronte alla crescita dell'anarchismo.

447 In tutto ciò, il governo italiano ebbe la sua propria linea di condotta rispetto agli anarchici. Negli anni '90, l'Italia rinnovò le sue politiche per far fronte alle attività sovversive nel paese, creando un servizio d'informazioni centralizzato per la compilazione dei rapporti di polizia sui singoli militanti – il Casellario Politico Centrale – e estendendo l'uso del «domicilio coatto» come punizione per gli agitatori. Inoltre, stabilì lo scambio diretto d'informazioni riguardanti la polizia internazionale, fra le rappresentanze diplomatiche italiane all'estero e la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza – evitando la partecipazione del Ministero degli Affari Esteri in materia – per la sorveglianza dei sovversivi. Tuttavia, l'iniziativa più importante fu quella di favorire l'allontanamento degli attivisti dall'Italia. Il governo italiano non si oppose all'espatrio di anarchici e socialisti e, anzi, stimolò i viaggi che li portavano il più lontano possibile dalla penisola. Nel caso del Brasile questo è particolarmente chiaro, poiché ci sono molte testimonianze sull'offerta di passaporti e persino di biglietti di viaggio per i sovversivi, consegnati dalle prefetture italiane, come alternativa al domicilio coatto. Non a caso, il governo italiano si oppose in modo sistematico a ogni accordo di carattere internazionale, inclusi quelli con il Brasile e l'Argentina, sull'espulsione di anarchici, limitandosi a supportare lo scambio d'informazioni fra le polizie dei diversi stati. Infatti, fu l'Italia a far fallire l'accordo dell'anno 1895 con il governo argentino sullo scambio d'informazioni riguardo all'imbarco e sbarco di sovversivi, poiché le prime comunicazioni dall'Italia finirono con il divieto di entrata nel porto platense di qualche anarchico italiano. Per l'appunto, fu allora che il governo argentino decise d'inviare un agente di polizia a Genova per informarsi sulla partenza di altri anarchici, agente con il quale il governo italiano si rifiutò di collaborare. Un ruolo simile compirono anche gli agenti d'immigrazione brasiliani stabilitisi nella penisola italica, il che permise al governo del Brasile di impedire l'entrata nel paese ad alcuni sospetti anarchici nella prima metà degli anni '90. La politica di «allontanamento dei sovversivi» dall'Italia non fu aperta né esplicita, anzi, fu talmente velata che persino gli agenti diplomatici in Sudamerica non ne furono del tutto consapevoli. Infatti, i tentativi delle rappresentanze italiane in Argentina e Brasile di raggiungere accordi con i governi locali per la sorveglianza dei sovversivi, non esclusero l'espulsione come eventuale misura punitiva. Occorsero ulteriori chiarimenti del Ministero dell'Interno italiano per far capire la mancanza di convenienza del rimpatrio degli anarchici nella penisola. Inoltre, l'espulsione dall'Italia non fu mai dichiarata esplicitamente ai rappresentanti italiani in Sudamerica. Invece, essi proposero

448 il finanziamento di agenti di Pubblica Sicurezza che si stabilissero nei paesi sudamericani per la sorveglianza degli anarchici d'origine italiana, passando a dipendere delle legazioni italiane. Il governo della penisola si fece parte dell'iniziativa e, in momenti diversi, inviò agenti in entrambi i paesi e finanziò le loro attività. In alcuni casi, però, il finanziamento fu sospeso dopo qualche anno, poiché ritenuto un servizio inutile alla polizia italiana, il che rese la sorveglianza sui sovversivi alquanto discontinua. Tuttavia, gli uffici diplomatici si avvalsero – come fecero anche gli agenti di P.S. inviati dall'Italia – di piccole reti di spie e agenti infiltrati nei circoli anarchici. Queste spie, che in generale collaboravano anche con la polizia locale, costituirono la risorsa fondamentale dei consolati per conoscere le attività e le azioni dei gruppi libertari locali. Consapevoli dell'intervento poliziesco e consolare attraverso l'infiltrazione di agenti informatori – e talvolta provocatori –, gli anarchici, dal canto loro, non mancarono di denunciare le spie che venivano scoperte, pubblicando sui propri giornali persino le loro fotografie. In ogni caso, l'interesse del governo italiano per gli anarchici emigrati dalla penisola in Argentina e in Brasile fu piuttosto scarso e anche se si mostrò disponibile a inviare ai rappresentanti diplomatici informazioni relative alla loro attività politica nella penisola, la sua preoccupazione si limitò a conoscere le informazioni sul loro eventuale rimpatrio. Così come è possibile riconoscere alcuni punti in comune fra i processi di sorveglianza e repressione dei militanti anarchici italiani in Argentina in Brasile – che, in ogni caso, non si discostavano molto delle misure «internazionali» contro gli attivisti dell'Idea –, si possono raccogliere anche alcune somiglianze sul processo di formazione e sviluppo del movimento libertario in questi paesi. In entrambi, di fatto, gli esordi dell'anarchismo sono strettamente legati all'arrivo di militanti europei. Nel caso argentino si trattava di spagnoli, italiani e in minore grado anche di francesi, mentre nel Brasile soprattutto italiani, portoghesi e, infine, spagnoli. Questa caratteristica fondamentale della presenza libertaria in Sudamerica, legata alle particolari caratteristiche della sua emergente classe operaia, composta prevalentemente di manodopera immigrata dall'Europa, fece dell'anarchismo una dottrina che si diffuse attraverso mezzi a stampa redatti nelle lingue d'origine degli attivisti. L'uso dello spagnolo in Brasile e del francese in Argentina nei giornali libertari, però, fu abbastanza limitato e diverso dello spagnolo in Argentina e del portoghese in Brasile, seppur in quest'ultimo caso i periodici anarchici nella lingua del paese apparvero solo nei primi anni del Novecento. Storia diversa è quella della stampa anarchica in lingua italiana, che in Argentina e in Brasile fu agli esordi della propaganda libertaria scritta. Noto è il

449 periodico “La Questione Sociale”, fondato nel 1885 a Buenos Aires da Errico Malatesta, insieme ai compagni ravennati Francesco Pezzi e Luigi Minguzzi, tra gli altri, il primo giornale anarchico apparso nell'America Latina. Nel Brasile il numero unico “I° Maggio”, uscito nel 1892 a Sao Paulo, è la prima testimonianza della stampa anarchica in lingua italiana del paese. In seguito, molti fogli libertari in quella lingua apparvero in entrambi i paesi e, lontani da sparire, costituivano ancora agli inizi del Novecento, notevoli punti di riferimento non solo per gli italoparlanti, ma anche per tutto il movimento anarchico. Quello fu il ruolo che svolsero, seppur per strade diverse, «L'Avvenire» di Buenos Aires e «La Battaglia» di Sao Paulo, entrambi usciti per più di otto anni. In termini generali – e forse anche schematici –, è possibile asserire che lo sviluppo delle principali correnti dell'anarchismo si legò intimamente alle sorti del movimento operaio locale. Oltre alla nascita della stampa libertaria in lingua italiana sotto l'impronta dell'anarchismo organizzatore, i momenti di maggiore sviluppo delle agitazioni operaie e dell'espansione delle associazioni di classe, diedero spazio alla crescita dei gruppi che si richiamavano all'organizzazione, mentre i deflussi del movimento operaio coincisero con una maggiore influenza dei circoli antiorganizzatori. Fu così che nei momenti di maggiore agitazione sociale – strettamente legati ai movimenti operai – cioè 1901-1902 in Argentina e 1906-1907 in Brasile, le tendenze organizzatrici prevalsero sopra quelle antiorganizzatrici, portando i principi libertari al loro momento culmine di espansione e influenza fra i lavoratori. Tutto ciò va ribadito poiché, oltre ai diversi gradi di sviluppo di entrambe le tendenze in tutti e due i paesi sudamericani e ai loro diversi processi di costituzione e permanenza nel tempo, le loro dinamiche e interazioni con la realtà locale, furono alquanto variegate. Mentre in Argentina la costituzione dei primi circoli libertari di lingua italiana ebbe forme organiche proprie che si richiamavano al comunismo anarchico, la comparsa dell'anarchismo italiano nel Brasile si manifestò in gruppi che univano anarchici e socialisti. In effetti, i giornali paulisti «Gli Schiavi Bianchi» e «L'Asino Umano», così come il Circolo Socialista Internazionale, nacquero dall'aggregazione di attivisti libertari e socialisti che consideravano di avere obiettivi comuni nella diffusione dei principi socialisti. Quest'impostazione dei rapporti permisero l'avvicinamento degli anarchici, ad altri socialisti italiani, quali Alcibiade Bertolotti e ad attivisti brasiliani come Estevam Estrella e agli spagnoli capeggiati da Valentìn Diego. Seppur con l'uscita de «L'Avvenire» nel 1894, s'inaugurasse l'«organizzazione autonoma» degli anarchici, l'impostazione dei rapporti con i socialisti si prolungò ancora diversi anni, il che facilitò rapporti

450 permanenti di collaborazione fra le due correnti. Evidentemente, questa condivisione degli spazi di agitazione e propaganda, fu possibile grazie all'impronta organizzatrice dei primi attivisti libertari italiani in Brasile. In Argentina, invece, i primi gruppi anarchici – il periodico «La Questione Sociale», il Circolo Comunis Anarchico e il Circolo di Studi Sociali – si organizzarono autonomamente e rivendicarono fin dall'inizio l'anarchia, anche se questo non fu esattamente un impedimento alla collaborazione con i socialisti in alcune iniziative e soprattutto alla formazione delle prime società operaie di carattere classista, almeno fino all'anno 1890. Anche qui, la prevalenza della corrente organizzatrice fu fondamentale per l'integrazione con i militanti socialisti. In aggiunta, occorre enfatizzare che nella repubblica platense l'azione degli organizzatori unitamente ai socialisti, ebbe luogo in un momento d'importanti manifestazioni del movimento operaio, sia per la dichiarazione di alcuni scioperi, sia per la formazione di molte società operaie. Nel Brasile, intanto, fino alla svolta del secolo, gli scioperi furono quasi inesistenti e poche le associazioni di lavoratori che si formarono, il che sicuramente influì nella più prolungata collaborazione fra anarchici e socialisti. In Argentina, l'ascesa delle tendenze antiorganizzatrici all'interno del movimento anarchico, legata al deflusso del movimento operaio degli anni precedenti, rese più tese le relazioni fra gli anarchici e i socialisti, dando luogo a innumerevoli episodi di scontri verbali e persino fisici nelle conferenze e meeting che condivisero. Nonostante ciò, l'anarchismo antiorganizzatore riuscì a trovare un'ampia base nel paese e a consolidare la collaborazione sistematica fra gli attivisti libertari delle diverse origini «etniche», segnatamente agli stretti rapporti fra gli anarchici italiani e spagnoli. Dal canto loro, gli antiorganizzatori italiani nel Brasile non raggiunsero una reale autonomia, se non nei primi anni del Novecento, almeno nel campo della pubblicistica, con la comparsa del giornale «Germinal» di Sao Paulo e, qualche anno dopo, de «La Battaglia» di Oreste Ristori. Le tendenze antiorganizzatrici avevano avuto una certa spinta con l'arrivo di Gigi Damiani nel Brasile, ma fino all'avvio della stagione di agitazioni operaie, esse si erano sviluppate soprattutto grazie alla collaborazione con i compagni organizzatori. Come si è già detto, nei momenti di ripresa dei movimenti operai, sia in Argentina come in Brasile, le tendenze organizzatrici raggiunsero il loro massimo grado di sviluppo, estendendo la loro influenza a gran parte dei sindacati. Nella repubblica platense, questo periodo s'inaugurò nel 1897 e si prolungò fino alla metà del primo decennio novecentesco, basando il suo successo anche nell'attiva e stretta collaborazione fra gli anarchici d'origine spagnola e italiana. Il ruolo svolto dai giornali «La Protesta

451 Humana» e «L'Avvenire», entrambi pubblicati a Buenos Aires, fu fondamentale, costituendo il secondo il nodo di confluenza dell'ampia rete di anarchici organizzatori di lingua italiana nel paese. In ogni caso, la confluenza delle diverse origini «etniche» fra gli anarchici, non solo si verificò nel campo organizzatore, ma anche in quello antiorganizzatore, grazie soprattutto al giornale «El Rebelde». Nonostante la prevalenza degli anarchici organizzatori nell'Argentina all'epoca, particolarmente rinforzata dall'adesione di un importante numero di società operaie a questa corrente libertaria, anche gli antiorganizzatori contarono su una vasta rete di gruppi anarchici che svolgevano un importante lavoro di propaganda fra gli operai organizzati. Nel Brasile, fin dal 1902 lo sviluppo delle correnti organizzatrici fu analogo al caso argentino, tuttavia la stampa in lingua italiana favorevole all'organizzazione non ebbe delle testate proprie, per cui gli organizzatori italiani s'integrarono al lavoro che a riguardo svolgevano «O Amigo do Povo» prima e «A Terra Livre» poi. Invece, gli antiorganizzatori d'origine italiana, come dicevamo, riuscirono a pubblicare due periodici, fra i quali quello diretto da Oreste Ristori, divenne un punto di riferimento fondamentale non solo per gli anarchici contrari all'organizzazione, ma anche per quelli organizzatori aperti alla collaborazione con essi, che si verificò soprattutto nei momenti di maggiore agitazione operaia. L'impostazione «operaista» dell'anarchismo organizzatore in entrambi i paesi sudamericani, rinforzata nelle sue basi grazie al coinvolgimento degli attivisti libertari nello sviluppo dei movimenti operai, fu determinante nelle definizioni anarcosindacaliste del movimento libertario prevalente nelle realtà locali. L'origine straniera di questi attivisti e l'origine straniera della maggior parte della manodopera, creò un legame particolarmente stretto fra anarchici e le masse operaie: i primi, che tesero a costruire fin dall'inizio la base sociale fra i compatrioti – sia fra italiani, spagnoli e portoghesi –, realizzarono che la più adeguata forma organizzativa degli stranieri – emarginati da qualsiasi tipo di partecipazione politica reale nella società locale, tranne per quella di tipo «etnico», monopolizzata dalle diverse sfumature del nazionalismo europeo – era l'associazione economica. Questo fu fondamentale non solo per dare all'anarchismo organizzatore sudamericano una particolare declinazione sindacalista, ma anche per rendere gli antioriganizzatori più sensibili ai vantaggi che offrivano i sindacati alla propaganda libertaria. Potremmo andare oltre e suggerire, almeno come ipotesi, che sia stato questo avvicinamento al sindacalismo e il relativo successo delle pratiche libertarie in questo campo, una delle ragioni che inibirono lo sviluppo delle

452 tendenze individualiste in Brasile e Argentina – almeno fino alla seconda metà del primo decennio del XX secolo. In ogni caso, la fisionomia che assunsero i movimenti anarcosindacalisti dell'Argentina e del Brasile fu alquanto diversa. Nel primo caso, l'importante sviluppo delle tendenze antiorganizzatrici prima del consolidamento del sindacalismo fra gli anarchici e ancora contemporaneamente a esso, introdusse l'idea all'interno del movimento anarchico dell'irrinunciabilità dei principi comunisti-anarchici persino nella lotta economica. Anche se i sindacati avevano come motivazione principale la rivendicazione economica, gli attivisti libertari non persero mai di vista il ruolo che essi avevano nella formazione degli operai ai principi anarchici – sia con la diffusione delle idee anarchiche, sia con l'«allenamento per la rivoluzione» attraverso gli scioperi –, così come non abbandonarono i metodi dell'azione diretta – boicottaggio, sabotaggio e persino l'uso della violenza – e la prospettiva dello sciopero generale rivoluzionario. In poche parole, il sindacato non fu concepito esclusivamente come uno strumento per il miglioramento delle condizione economiche dei lavoratori, ma anche e sopratutto come mezzo per la rivoluzione sociale. Nel Brasile, invece, la minore diffusione dell'anarchismo fra i lavoratori, la permanente collaborazione degli anarchici organizzatori con i socialisti soprattutto nel campo sindacale e, infine, il minore grado di organizzazione delle masse proletarie, spinse gli anarcosindacalisti del Brasile a dare un indirizzo sindacalista rivoluzionario al movimento operaio locale. Anche se l'azione diretta e le prospettive rivoluzionarie ispiravano questa tendenza, la propaganda dei principi anarchici all'interno dei sindacati non era prioritaria – come lo fu, invece, per gli antiorganizzatori brasiliani –, mentre la rivoluzione sociale era concepita come sostituzione dell'ordine vigente per i sindacati piuttosto che per le associazioni di libero patto. Al contrario di quello che successe in Argentina, dove le tendenze antiorganizzatrici spostarono il sindacalismo libertario verso posizioni anarco- comuniste, nel Brasile il sindacalismo rivoluzionario portò gli antiorganizzatori ad accettare i sindacati come legittime associazioni di lotta economica e a rifiutare quasi esclusivamente il loro carattere autoritario. Sicuramente un fattore che giovò al successo delle tendenze libertarie in Brasile e Argentina, almeno fino al primo decennio del Novecento, fu il poco ascendente per l'appunto, del socialismo. Anche riguardo allo sviluppo del movimento socialista, ci furono differenze notevoli fra i processi dei due paesi, tuttavia il suo principale ostacolo in entrambi fu lo stesso: la sua costituzione – come l'anarchismo – grazie all'attivismo di

453 militanti d'origine europea. Con le barriere imposte dalle élites delle repubbliche sudamericane alla partecipazione politica degli stranieri, le premesse socialiste d'integrarsi ai sistemi politici locali si videro seriamente ridotte. Anche se il suffragio universale non si stabilì in Argentina se non fino al 1912, mentre in Brasile – formalmente stabilito fin dal 1891 – escludeva analfabete e militari di basso grado, l'impossibilità degli stranieri di votare alle elezioni e, in conseguenza, il loro disinteresse per la politica locale, tolse ai leaders socialisti un'importante base d'appoggio. Nonostante le campagne avviate dai partiti socialisti per naturalizzare i cittadini d'origine straniera, non solo i lavoratori in generale, ma anche una parte importante degli stessi militanti, si arresero a rinunciare alla propria nazionalità. Inoltre, le pretese parlamentariste dei socialisti trovarono il rifiuto generalizzato dei sindacalisti e, ovviamente, degli anarchici. Infatti, i congressi operai che fondarono la FOA in Argentina e la COB in Brasile, respinsero a grande maggioranza qualsiasi tipo di partecipazione alle elezioni, mentre in quest'ultimo paese, socialisti come Giulio Sorelli e Edgard Leuenroth rinunciarono alla propria militanza per aderire a gruppi anarcosindacalisti. I processi di formazione e sviluppo dei movimenti anarchici dell'Argentina e del Brasile, in particolare per quanto riguarda le loro espressioni italiane, furono piuttosto diversi, ma non per quello mancarono di importanti relazioni. Una delle principali forme che presero questi rapporti, fu lo scambio di giornali libertari, la cui maggior parte attraversò le frontiere per arrivare dal Brasile in Argentina e viceversa. Questo tipo di rapporti fu molto generalizzato all'interno del movimento anarchico internazionale e, di fatto, gli anarchici dei paesi sudamericani scambiarono i loro mezzi a stampa con diverse e importanti testate pubblicate in Europa e segnatamente quelle della penisola, nel caso dei periodici in lingua italiana. Inoltre, lo scambio si operò anche con giornali socialisti, operaisti e persino repubblicani. Effettivamente, questo tipo di contatto non significò un rapporto politico necessariamente rilevante, ma neanche che un tipo di relazione più articolata, non esistesse. Altre forme di scambio, però, mostravano in modo più evidente i rapporti fra gli attivisti dell'Argentina e quelli del Brasile. Un indizio interessante lo troviamo nei periodici anarchici della prima metà degli anni '90, nei quali non sono rare le sottoscrizioni raccolte fra i compagni del Brasile, soprattutto a Sao Paulo e Rio de Janeiro. Questo fatto parla già di una relazione fra gruppi e individualità anarchiche dei due paesi, che è praticamente contemporanea alla nascita dei circoli libertari sudamericani. Sicuramente questo tipo di rapporto andò sparendo man mano che nel Brasile la stampa libertaria si estese, ricavando le sue sottoscrizioni grazie ai compagni

454 residenti nel paese. Quello che non sparì, però, fu le corrispondenze fra gli anarchici dell'Argentina e del Brasile, le quali costituirono un mezzo molto più significativo per la costruzione e il consolidamento dei rapporti con gruppi e singole personalità del movimento anarchico del vicino paese. Sia nelle corrispondenze che informavano sulle vicende del movimento libertario e operaio d'oltre il confine, come talvolta anche nelle note pubblicate sulla rubrica «piccola posta», s’evidenziarono legami di collaborazione e persino d’identità politica fra i corrispondenti. Senz’altro, le corrispondenze e le collaborazioni pecuniarie fra gli attivisti e gruppi libertari dell’Argentina e del Brasile furono i principali meccanismi per il sostentamento di una rete libertaria «bi-nazionale» che, per quanto riguarda gli anarchici italiani, sembra essere stata particolarmente solida. A questo punto, occorre almeno menzionare che la grande quantità di circoli libertari di lingua italiana sparsi per il mondo, permise a quelli del Sudamerica di stabilire rapporti più o meno stabili anche con i compagni degli Stati Uniti, di Londra, di Parigi e, in generale, con i gruppi raccolti intorno ai più importanti periodici anarchici di lingua italiana pubblicati in Europa. Ovviamente, il legame degli attivisti residenti in Sudamerica con i compagni in Italia fu particolarmente importante, così come il loro interesse per le vicende del movimento nella penisola, il che, oltre ai continui rapporti epistolari, portò i «sudamericani» all’organizzazione di diverse campagne solidali con i compagni perseguitati e con la propaganda libertaria in Italia. In ogni caso, la grande quantità di attivisti d’origine italiana stabiliti nelle città argentine e brasiliane e la loro vicinanza, resero le loro reti più fitte e attive di quelle create con la penisola. Un fatto di primo ordine per la comprensione della vitalità delle reti sudamericane si trova, però, nei frequenti spostamenti di molti anarchici italiani dall’Argentina al Brasile e viceversa. Anche l’Uruguay fece parte di questa dinamica di «mobilità libertaria», accogliendo in maniera temporanea o definitiva diversi attivisti d’origine italiana. Probabilmente i rapporti fra i primi gruppi libertari sudamericani di lingua italiana nacquero da conoscenze fatte precedentemente in Europa, tuttavia fin dai primi anni ’90 questi legami furono creati e alimentati dai viaggi che per diversi motivi portarono gli attivisti italiani a passare i confini delle repubbliche meridionali. Uno dei primi propugnatori della stampa anarchica italiana del Brasile, Galileo Botti, aveva già partecipato ad alcune iniziative pubblicistiche a Buenos Aires, così come il campano Guglielmo Marocco, noto nello stato brasiliano del Parà verso la fine del secolo, era passato in Brasile dopo aver partecipato ai gruppi anarchici argentini. Molti si

455 spostarono da una parte all’altra alla ricerca di opportunità di lavoro, ma alcuni furono costretti a farlo, colpiti da decreti di espulsione o mandati di cattura. Un caso paradigmatico fu il trasferimento di pressoché tutta la redazione de «L’Avvenire» da Sao Paulo a Buenos Aires, dopo l’espulsione di cinque anarchici nel 1895, tra essi l’emiliano Felice Vezzani, l’imolese Arturo Campagnoli e il ravennate Ludovico Tavani. Altro caso particolare fu quello del modenese Luigi Magrassi, che verso la fine del 1902 fuggì dalla ley de residencia argentina e si rifugiò a Sao Paulo. Egli, in entrambi i paesi, fu una figura di spicco nel fronte dell’anarchismo organizzatore, partecipando attivamente alla redazione di diversi giornali ed essendo probabilmente l’unico anarchico a partecipare ai congressi di fondazione della FOA, tenuto a Buenos Aires nel 1901 e a quello dove nacque la COB, a Rio de Janeiro nel 1906. Anche se in molti casi l’emigrazione anarchica italiana non fu necessariamente motivata da ragioni politiche, la presenza di innumerevoli attivisti libertari in Argentina e Brasile fu la causa principale della costituzione di un movimento politico propriamente detto. Questo non sarebbe stato possibile, a nostro avviso, se gli anarchici non si fossero integrati nel mercato locale del lavoro. Fu in questo campo, che le idee libertarie si diffusero e grazie al quale, la sua propaganda raggiunse una notevole notorietà fra le classi popolari delle repubbliche sudamericane. Da questo punto di vista, è impossibile concepire la migrazione libertaria come puramente politica, poiché la sua presenza effettiva e reale nel mercato del lavoro offrì chiavi di lettura precise sulle realtà economica, sociale e politica dell’Argentina e del Brasile. Certamente, fu fondamentale che questo mercato del lavoro fosse dominato prevalentemente da manodopera d’origine straniera e segnatamente italiana il che, oltre alla condivisione di una stessa lingua, consentì agli anarchici venuti dalla penisola – e anche ai socialisti – di presentarsi come alternativa alla leadership «etnica» dominata da repubblicani e monarchici, che aveva la sua base sociale fra professionisti, imprenditori e proprietari. In poche parole, i sovversivi italiani raggiunsero la propria integrazione nelle società locali come attori rilevanti, grazie al loro inserimento nel mercato locale del lavoro piuttosto che nelle dinamiche politiche locali. La relazione fra anarchismo e proletariato è particolarmente evidente nel movimento operaio che si andò costituendo in Argentina e Brasile fin dagli ’90, al quale la propaganda libertaria si accostò, assumendo e rinforzando le rivendicazioni dei lavoratori stranieri, collaborando con la costituzione delle associazioni di mestiere e delle federazioni e partecipando attivamente alle lotte sindacali. Questi particolari

456 processi sboccarono poi nella prevalenza delle correnti anarchiche organizzatrici, che nell’Argentina crearono una delle prime manifestazione dell’anarcosindacalismo al mondo, mentre nel Brasile costituirono un movimento di tipo sindacalista rivoluzionario, guidato però da attivisti anarcosindacalisti. In ogni caso, dall’inizio dell’attività di propaganda svolta dagli anarchici italiani fino alla costituzione di veri e propri movimenti operai, il percorso no fu breve, né esente da problemi: occorsero anni di collaborazione e tensione fra le tendenze organizzatrici e antiorganizzatrici, fra queste e i gruppi socialisti, oltre a riflessioni e dibattiti che portarono progressivamente a posizioni di maggiore chiarezza e definizioni più precise sul ruolo dell’anarchismo nel movimento operaio locale. Si rende necessario notare che, al di là del legame evidente fra le tendenze organizzatrici e l’associazionismo operaio, anche le correnti antiorganizzatrici ebbero la loro base nel proletariato, così come installarono i loro dibattiti e polemiche all’interno de – e in riferimento a – la classe operaia, seppur la loro azione avesse avuto risultati diversi nelle realtà argentina e brasiliana. Una considerazione rilevante è quella che riguarda le migrazioni di tipo rurale. La maggior parte dei migranti italiani che decisero di andare in Brasile e in Argentina, furono contadini o individui e famiglie legate alla produzione agraria, così come la maggior parte arrivarono in Sudamerica per dedicarsi ad attività agricole, specie nel Brasile. Nonostante ciò, il lavoro di propaganda libertaria nelle zone rurali brasiliane e argentine fu pressoché inesistente, almeno fino ai tentativi del giornale paulista «La Battaglia», che dal 1905 cercò d’intervenire nelle fazendas dello stato, senza però grande successo. Non conosciamo attivisti d’origine italiana che si fossero insediati nelle zone rurali, oltre agli anarchici della colonia Cecilia, che tuttavia non svolsero propaganda e si limitarono a tentare di portare avanti il progetto comunitario. Parte dei superstiti dell’esperienza comunitaria, specie le famiglie Artusi e Agottani, originarie del parmense, continuarono a legarsi alla vita rurale, ma sembra che il loro rapporto con il movimento libertario, si fosse limitato all’invio di sottoscrizioni ad alcuni periodici del Brasile e dell’Italia, piuttosto che ad ampliare la base del movimento nella ruralità brasiliana. È chiaro che, almeno fino ai primi anni del XX secolo, l’anarchismo argentino e brasiliano costituì un fenomeno esclusivamente urbano e, dunque, legato al mercato del lavoro nelle città, principalmente a Buenos Aires, Rosario, Sao Paulo, Rio de Janeiro e Santos, ma non solo. Anche altre città e persino alcuni piccoli centri urbani, videro manifestazioni del movimento anarchico o la presenza di più di un attivista. Il caso vuole,

457 che fu proprio nelle città sudamericane, grazie ai loro dinamici mercati del lavoro, che si sviluppò il movimento libertario. Non a caso, l’anarchismo – e particolarmente quello d’origine italiana – allargò la sua base in questo scenario, conquistando per la causa libertaria, molti operai che nella penisola non avevano mai partecipato a movimenti o partiti politici e persino italiani che in patria erano appartenuti alle fila del Partito Socialista. Tuttavia, non tutto fu guadagno per gli anarchici: ci furono quelli che arrivarono dall’Italia avendo difeso l’ideale libertario, ma che trovando nella «terra promessa» dell’oltreoceano meridionale la propria «America», diventarono imprenditori o ebbero successo economico e poi abbandonarono la lotta politica. Altri semplicemente si allontanarono dei gruppi libertari e dei compagni, mentre alcuni come Vitaliano Rotellini ed Emilio Zuccarini cambiarono gli ideali rivoluzionari per confortevoli posizioni all’interno delle élites italiane nell’America del Sud, arrivando a dirigere il giornale «Fanfulla» di Sao Paulo, il primo e «La Patria degli Italiani» di Buenos Aires, il secondo. Si è già detto che lo stretto legame degli anarchici con i lavoratori immigrati, attraverso il mercato del lavoro, non ebbe come unico risultato le pratiche libertarie di tipo sindacale, seppur queste avessero avuto un successo maggiore. Gli attivisti libertari non si limitarono alle agitazioni operaie e, di fatto, queste apparvero soprattutto in momenti specifici di conflitto fra i lavoratori e i padroni. La loro attività riguardò anche la propaganda e le agitazioni di tipo anticlericale, antimilitarista, antimonarchica e antipatriottica, nelle quali concordarono spesso con socialisti e persino con i repubblicani radicali. Non fu raro che nelle ricorrenze del XX Settembre i gruppi libertari pubblicassero numeri unici che criticavano il patriottismo dell’élite italiana in Sudamerica e che convocassero manifestazioni di protesta contro le celebrazioni patriottarde. Proprio in mezzo a una di queste manifestazioni, l’anarchico Polinice Mattei morì a Sao Paulo, dopo essere attaccato da un gruppo di nazionalisti. Seppur l’iniziale tentativo libertario d’inserirsi politicamente nelle «colonie italiane» concorrendo con le tendenze repubblicane non ebbe successo, gli anarchici diedero una certa continuità ad alcune delle premesse politiche dei repubblicani radicali, quali la critica al clericalismo e alla monarchia. Questo, unitamente ad analoghi processi d’insediamento nell’America Latina come «esuli», alla costruzione di circoli politici composti da individui originari della penisola e alla pubblicazione di giornali di lingua italiana, dimostra ancora la persistenza fra gli anarchici di formule politiche che ben potremmo identificare come risorgimentali. La vera novità, la costituì la rivendicazione della questione sociale come

458 parte del «programma anarchico», concetto pressoché sconosciuto nella politica sudamericana. Non a caso il primo giornale in lingua italiana apparso nell’America Latina ebbe precisamente il nome di «La Questione Sociale». L’integrazione politica e sociale degli attivisti libertari d’origine italiana in Argentina e Brasile, anche se ebbe un importante punto d’appoggio in alcune rivendicazioni repubblicane, andò sviluppandosi grazie all’incontro con gli immigrati anarchici spagnoli, portoghesi e, in grado minore, francesi. Questo processo – che, in ogni caso, si svolse in modo diverso in Brasile e in Argentina – risultò fondamentale per la costruzione d’una identità propria dei movimenti libertari di entrambi i paesi, che interagendo con la realtà sociale e politica locale, riuscì a convocare militanti della sinistra locale delusi dei processi politici a cui avevano partecipato. Il confronto delle diverse prospettive libertarie, ma soprattutto il riscontro fra militanti e gruppi delle diverse origini etniche, diede al movimento anarchico un carattere marcatamente cosmopolita e variegato, dove giornali, gruppi di propaganda, centri di studi e società di resistenza di diverse nazionalità e di diverse tendenze, si relazionavano – non senza tensioni e polemiche – in modo particolarmente dinamico. In questo modo, integrazione economica e integrazione politica furono, allo stesso tempo, condizioni fondamentali per l’integrazione sociale e culturale non solo dei singoli, ma anche dell’anarchismo stesso come movimento politico. In tutto ciò, molti anarchici emigrati in Argentina e in Brasile dall’Emilia e dalla Romagna ebbero una partecipazione ragguardevole nelle vicende del movimento operaio e libertario locale. La domanda da farsi, però è: svolse qualche ruolo di rilievo il background regionale degli attivisti romagnoli ed emiliani nella formazione e sviluppo dei movimenti anarchici brasiliani e argentini? In Italia, le reti fra i gruppi libertari delle diverse correnti oltrepassarono i confini regionali e le realtà locali, dando una certa consistenza «nazionale» a queste tendenze. Tuttavia, le particolari condizioni in cui nasceva ogni gruppo – fra le quali le caratteristiche regionali e provinciali non erano per niente secondarie – ne condizionavano le fisionomie e le dinamiche e, di conseguenza, i modi di rapportarsi con il movimento della penisola. In alcune regioni, infatti, si verificarono forme e manifestazioni «uniche» dell’anarchismo, che interagirono in modo complesso con le altre realtà libertarie italiane – nel paese e all'estero. Nel caso della Romagna, la polemica e molto criticata tendenza anarco-possibilista, capeggiata da Germanico Piselli, fu una di esse. Questa corrente postulava la «possibilità» di partecipare alle elezioni

459 unitamente ai settori più radicali della sinistra, quali il socialismo rivoluzionario nel caso romagnolo, come mezzo di propaganda e di agitazione sociale. Questa tendenza, però, nonostante il soggiorno di almeno tre anni dello stesso Piselli in Argentina, non ebbe praticamente seguito nell’oltreoceano meridionale. D'altra parte, le particolarità dell'anarchismo dell'Emilia e della Romagna si legano soprattutto ai suoi processi di formazione e sviluppo. Già negli anni della Prima Internazionale nella penisola, le sezioni, i gruppi e gli attivisti dell'Emilia e della Romagna svolsero un ruolo di prim'ordine nell'espansione e nella maturazione dell'internazionalismo italiano. A Bologna si aprì la stagione di adesioni all'AIL verso la fine del 1871, a Rimini nacque la Federazione Italiana dell'Internazionale l'anno dopo, l'Emilia e la Romagna furono l'epicentro del tentativo insurrezionale internazionalista del 1874 e, infine, uno dei suoi principali agitatori fu un romagnolo: Andrea Costa. L'imolese, infatti, segnò lo sviluppo dell'anarchismo in queste regioni, fin dalla fine degli anni '70, con la propria svolta verso posizioni non insurrezionali e che presto si manifestarono parlamentariste. Lungo il decennio degli '80, i forti legami del Costa con gli ex internazionalisti emiliani e soprattutto romagnoli, crearono grande confusione nelle loro posizioni e, nonostante l'intervento del Malatesta contro il parlamentarismo costiano, molti anarchici rimasero legati all'individualità dell'imolese. Anche se la maggior parte di questi anarchici rifiutavano la lotta politica e la partecipazione alle elezioni – seppur molti la vedessero come utile per l'agitazione sociale –, la loro identificazione con la figura dell'imolese, li portò ad accettare senza rimorsi una stretta collaborazione con i socialisti. Probabilmente questo fatto è alla radice della netta prevalenza delle tendenze organizzatrici all'interno del movimento anarchico emiliano e romagnolo. Tuttavia, questa caratteristica dell'anarchismo regionale non è sufficiente per spiegare la prevalenza degli anarchici organizzatori fra gli emiliani e i romagnoli che si stabilirono in Sudamerica, poiché questa corrente prevalse anche sugli anarchici italiani e, in generale, sul movimento libertario delle repubbliche sudamericane. Quello che si può constatare, invece, è che gli anarchici antiorganizzatori originari dell'Emilia e della Romagna non aderirono politicamente a questa corrente nelle loro provincie d'origine. Anzi, sembra che essi non avessero aderito nemmeno all'anarchismo nelle proprie regioni. Casi emblematici come quello del forlivese Giovanni Ragazzini e del fiorentino d'origine reggiana, Orsini Bertani, in Argentina, oppure quello del ravennate Luigi Bezzi nel Brasile, ne sono l'esempio. Peraltro, questo non vuole dire che tutti gli organizzatori

460 fossero arrivati in Sudamerica già con un percorso libertario sulle spalle. Certo è, che personaggi come Angelo Canovi e Rosolino Giuseppe Siboni furono attivisti noti in Italia e poi svolsero anche in Sudamerica un ruolo di rilievo, ma certo è anche che molti organizzatori che furono nella prima linea dell'anarchismo sudamericano, come Arturo Campagnoli e Luigi Magrassi, non si erano formati politicamente nelle terre d'origine. Invece, gran parte dei militanti emiliani e romagnoli che espatriarono dall'Italia come anarchici – e per essere stati anarchici – non lasciarono impronte nei loro soggiorni sudamericani. È impossibile sostenere che tutti avessero abbandonato la militanza, ma sicuramente non svolsero ruoli simili a quelli dimostrati nella penisola nei lavori di agitazione e propaganda. In ogni caso, risulta chiaro che, dall'Italia nell'America Latina, l'anarchismo emiliano romagnolo – se così lo possiamo chiamare – sperimentò un evidente ricambio degli attivisti più in vista. Nonostante l'attiva partecipazione di diversi attivisti emiliani e romagnoli nei movimenti libertari dell'America del Sud, sembra che i più importanti gruppi locali di lingua italiana non avessero stabilito rapporti particolarmente stretti con i compagni dell'Emilia e della Romagna – oltre ad alcune corrispondenze –, e neanche con i loro circoli né con i loro giornali. Questo potrebbe indicare che effettivamente il ricambio di attivisti emiliani e romagnoli condizionasse in modo importante i rapporti costruiti con il movimento in Italia. Poiché i nuovi militanti non avevano stretti legami con i compagni dell'Emilia e la Romagna, le relazione internazionali tessute dai gruppi sudamericani, mancarono di un rapporto effettivo con le provincie emiliane e romagnole. Questo fatto sembra essere stato determinante anche su un altro aspetto e cioè, l'inesistenza di rapporti della maggior parte degli anarchici emiliani e romagnoli con il movimento libertario di queste regioni. Di conseguenza, l'assenza di legami politici precedenti con i compagni migrati dalle stesse provincie, limitò in qualche modo l'aggregazione propriamente politica fra gli anarchici emiliani e romagnoli residenti nell'America del Sud. Pochi sono i casi che conosciamo di gruppi libertari dell'Emilia e della Romagna costituiti in Argentina o in Brasile in base alla loro origine regionale: solo il gruppo di castellani che andarono stabilendosi a Santa Fe fin dalla fine degli anni '80 e il gruppo di Giovanni Zirardini e Arturo Mazzanti, il quale però si abbinò con vari socialisti costiani della Romagna. Infatti, più che gruppi propriamente politici, sembra che queste aggregazioni rispondessero al bisogno di creare reti personali che facilitassero l'integrazione sociale alla società locale. Questo non vuol dire che i romagnoli non avessero partecipato agli stessi circoli e iniziative, ma piuttosto che essi non avevano

461 necessariamente come criterio costitutivo l'affinità regionale. Anzi, se origine regionale e formazione di gruppi coincidevano, si dovette più ai rapporti politici costruiti in precedenza, che alla prevalenza di un'identità propriamente territoriale. Nonostante ciò, le identità regionali e provinciali, a nostro avviso, furono importanti per la costruzione di spazi d'integrazione sociale e di socialità, anche fra gli anarchici, seppur nel loro caso non fossero solo essi a parteciparvi. Purtroppo, allo stato attuale delle ricerche non è possibile ricostruire i modi di sociabilità libertaria che avevano coinvolto manifestazioni regionali. Conosciamo solo l'importanza quantitativa della migrazione anarchica emiliano e romagnola in Sudamerica – apparentemente superata solo da quella d'origine toscana – e la minoritaria componente di queste regioni sul totale degli emigrati della penisola. Queste constatazioni non consentono di fare collegamenti esaustivi fra l'una e l'altra, anche se si può presumere che, alla svolta del secolo, il tasso di emigrati dall'Emilia e dalla Romagna per ragioni politiche – sarebbero da aggiungere socialisti e repubblicani – era particolarmente alto al confronto con altre regioni italiane. Mancano studi però sull'emigrazione dalle provincie emiliano romagnole alla volta del Sudamerica, sia per motivazioni politiche che per motivazioni economiche, per avere un quadro più completo dell'espatrio anarchico e della sua relazione con le migrazioni economiche. Al momento si può asserire soltanto che gli attivisti emiliani e romagnoli che migrarono in Argentina e in Brasile ebbero percorsi individuali piuttosto diversi, sia nella partenza come all'arrivo. Alcuni partirono fuggendo dalle repressioni e altri fuggendo dai problemi economici; alcuni si trasferirono da soli, altri con la famiglia paterna e altri ancora con la famiglia formata da sé; alcuni erano bambini, altri adolescenti e altri erano già genitori; alcuni videro diverse città europee prima di arrivare in Sudamerica, altri non avevano mai visto nessun'altra se non la propria; infine, alcuni partirono anarchici, mentre altri non sapevano nemmeno che avrebbero aderito all'ideale libertario. Lo studio e l'analisi dei percorsi dei singoli attivisti, infatti, rivela una così ampia varietà di motivazioni, condizioni e risultati delle migrazioni, che si rende impossibile guardare al fenomeno in un modo univoco. Questa prospettiva «microstorica», però, oltre a permettere di riconoscere l'ampia gamma di percorsi individuali, consente di osservare come i singoli attivisti si rapportavano con i gruppi e con le correnti del movimento anarchico. Anche se i militanti si riconoscevano in una tendenza o nell'altra, generalmente stabilivano rapporti con gruppi e compagni di entrambe, il che dimostra la

462 flessibilità dei «confini» fra organizzatori e antiorganizzatori, da una parte e le diverse sfumature che coesistevano all'interno dei gruppi e all'interno delle correnti libertarie. La maggior parte degli anarchici emiliani e romagnoli decisero di stabilirsi in forma definitiva in Sudamerica. Alcuni lo fecero perché vi «trovarono l'America» oppure perché vi trovarono la tranquillità economica che mancava in Italia. Altri perché costruirono famiglie o perché riuscirono ad inserirsi in reti sociali sufficientemente protettive da sentirsi sicuri. Probabilmente la partecipazione al movimento anarchico sudamericano ha collaborato alla costruzione di solide reti sociali che, a lungo termine, risultarono efficienti meccanismi d'integrazione nella società locale. In ogni caso, tentare di ricostruire le motivazioni che indussero gli anarchici a restare in Sudamerica può risultare un compito alquanto sterile. Allo stesso modo, le motivazioni di quelli che decisero di rientrare in Italia non sono molto più chiare, seppur probabilmente questioni familiari non fossero secondarie. Ci sono però quelli che, dopo essere stati espulsi dall'Argentina e imbarcati per la penisola, tornarono con lo scopo di unirsi nuovamente alla lotta libertaria in Italia, prendendone persino un'attivissima parte, anche se alcuni – come Felice Vezzani – dovettero stabilirsi in seguito in altre città europee. La varietà dei percorsi individuali mostra diversi gradi d'impegno politico e livelli di partecipazioni alle vicende del movimento anarchico nella penisola, come altrettanto diversi furono anche in Brasile e Argentina. Nonostante tutto, il rientro in Italia di diversi attivisti libertari fu fondamentale per inserire in forma definitiva i gruppi anarchici in lingua italiana dell'Argentina e del Brasile, nella rete internazionale dell'anarchismo italiano. Anche se non si può disconoscere il ruolo che ebbero la circolazione di giornali e lo scambio di corrispondenza fra gli anarchici italiani sparsi per il mondo, fu la partecipazione diretta dei militanti nelle vicende dei movimenti libertari locali, sia nelle Americhe che in Europa e altrove, il motore principale per la costruzione di un movimento su scala internazionale. Nel caso dell'Argentina e del Brasile, la particolare «simbiosi» degli anarchici italiani con gli spagnoli e i portoghesi, diede ai movimenti libertari locali una fisionomia propria e, allo stesso tempo, rafforzò il loro inserimento nell'anarchismo internazionale grazie alle reti degli attivisti della penisola iberica. È interessante quanto paradossale che la repressione del movimento libertario avesse avuto un ruolo per niente secondario nella sua diffusione planetaria. Con ragione, gli anarchici sostenevano che le persecuzioni non facevano che accrescere il movimento, non senza vantarsene. La repressione in Italia fu la causa diretta dell'«emigrazione politica» degli attivisti libertari

463 e questa, a sua volta, il fondamento dell'«internazionalizzazione» dell'anarchismo italiano, lo stesso che fu ben noto in Argentina e in Brasile a governanti e lavoratori, grazie anche a individui nati nelle terre emilane e romagnole che un giorno decisero di abbracciare l'ideale dell'anarchia.

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477 Indice

Introduzione...... 3

Capitolo 1. Le migrazioni italiane, l’America del Sud e gli anarchici dell’Emilia e della Romagna alla fine del XIX secolo...... 22 1.1 «Migrazione politica» e «migrazione di massa» nella seconda metà del secolo XIX: il caso italiano...... 22 1.2 L’emigrazione dall’Italia e dall’Emilia Romagna nell’America del Sud (1876- 1900)...... 35 1.3 Gli italiani in Argentina fra i due secoli...... 57 1.4 Gli italiani in Brasile fra XIX e XX secolo...... 80 1.5 Gli anarchici emiliani e romagnoli partono per il Sudamerica...... 98 (1880-1900)

Capitolo 2. Internazionalisti e anarchici in Emilia e Romagna (1871-1900)...... 120 2.1 L’esordio dell’anarchismo in Emilia e Romagna: Gli internazionalisti emiliani e romagnoli e la Federazione Italiana dell’Internazionale (1871-1879)...... 120 2.2 Fra legalitari e intransigenti: gli anarchici dell’Emilia e della Romagna dalla svolta Costa al Congresso di Capolago (1879-1891)...... 148 2.3 Gli anarchici dell’Emilia e della Romagna dal Congresso di Capolago alla fine del secolo (1891-1900)...... 180

Capitolo 3. Emiliani e romagnoli nel movimento anarchico argentino (1885-1903)...... 196 3.1 Nascita e formazione del movimento libertario in Argentina e gli anarchici italiani (1876-1889)...... 196 3.2 Gli anarchici emiliani e romagnoli e l’auge dell’anarchismo antiorganizzatore (1890-1894)...... 215

478 3.3 L’ascensione dell’anarchismo organizzatore e gli anarchici emiliani e romagnoli (1895-1898)...... 245 3.4 Gli anarchici dell’Emilia e della Romagna tra agitazione operaia e repressione (1899-1903)...... 285

Capitolo 4. Emiliani e Romagnoli nel movimento anarchico brasiliano (1890-1907)...... 317 4.1 Gli emiliani e i romagnoli e agli esordi dell’anarchismo in Brasile (1890-1895)...... 317 4.2 Emiliani e romagnoli nell'ascesa dell'anarchismo nel Brasile (1896-1901)...... 356 4.3 Gli anarchici dell’Emilia e della Romagna dall'ascesa degli scioperi alla legge Adolfo Gordo (1902-1907)...... 395

Conclusione...... 444

Bibliografia Generale...... 465

Indice...... 478

479