INTRODUZIONE. È Il 12 Dicembre 1969, Ore 16,37, Milano
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INTRODUZIONE. È il 12 dicembre 1969, ore 16,37, Milano, piazza Fontana, salone della Banca Nazio- nale dell’Agricoltura: una bomba esplode uccidendo quattordici persone e ferendone novanta. La storia d’Italia ebbe il suo più cruento spartiacque da quando la guerra era finita: alle sue spalle un “prima” tormentato ma vissuto; davanti a sé un “dopo” magmatico e ancora da af- frontare. Questo lavoro propone una ricostruzione della strage di Milano attingendo in partico- lar modo alle fonti rappresentate dagli articoli apparsi sui giornali nei giorni successivi al 12 dicembre e dalle testimonianze, che con gli anni presero forma di libro, dei giornalisti che vis- sero in presa diretta quell’evento. Evento che sarà osservato dall’angolatura della carta stam- pata, analizzando gli articoli scritti in quel periodo ed esaminando l’operato di chi li firmò. Lo studio muove dalle coordinate storiche del biennio 1968 – 1969 in Italia: un peri- odo caratterizzato dalla forte frammentazione politica, sia a livello generale sia all’interno dei singoli partiti, che portò all’immobilismo e al susseguirsi di Governi d’attesa incapaci di ri- spondere a una società in fermento che chiedeva riforme atte a migliorare le condizioni di vita generali. Un fermento che ebbe il suo apice con le esperienze della contestazione studentesca nelle università e dell’autunno caldo nelle fabbriche: due momenti che portarono alcune mi- gliorie nel campo dell’istruzione ma ancor più in ambito lavorativo; due momenti che stavano indicando la strada di un cambiamento. Ma questa stagione fu interrotta dalla strage di Mila- no. Il secondo e il terzo capitolo dell’elaborato entrano nel vivo della questione: si ana- lizzano i resoconti apparsi sui giornali il 13 e il 14 dicembre concentrandosi sia sugli editoriali scritti dalle firme più autorevoli delle varie testate, sia sulle testimonianze raccolte dai cronisti fra i sopravvissuti alla strage e fra la gente comune che aveva vissuto di riflesso la tragedia, infine dando conto dei primi passi mossi dagli inquirenti nella ricerca degli autori 1 dell’eccidio. Fin da subito si avverte il risvolto politico della vicenda: la maggior parte delle interpretazioni e delle opinioni sia dei giornalisti sia della gente prese forma da questa pro- spettiva; così si fece largo la tendenza a intuire la colorazione politica dei colpevoli. Altra ca- ratteristica che emerge è l’opacità che gravitò attorno ai fatti e alle indagini svolte. Il quarto capitolo avrà come oggetto il 15 dicembre 1969: il giorno dei funerali delle vittime innocenti della strage e della risposta spontanea e unitaria che Milano diede alla bom- ba, o meglio a chi l’aveva ordita. Ma il 15 dicembre registrò anche inquietanti colpi di scena: un anarchico in stato di fermo, Giuseppe Pinelli, nel corso di un interrogatorio volò dalla fine- stra di un ufficio al quarto piano della Questura di Milano; un altro anarchico, Pietro Valpre- da, presentatosi al Palazzo di Giustizia di Milano per rendere conto di un volantino anticleri- cale, alla fine dell’interrogatorio si vide portato via di peso da due agenti della squadra politi- ca: su di lui cadde l’accusa di reato di strage, sarebbe stato lui a uccidere. La chiave di volta la offrì un tassista milanese, Cornelio Rolandi, che sostenne di aver trasportato un cliente nei pressi della Banca Nazionale dell’Agricoltura poco prima dell’esplosione. Quel cliente sareb- be stato Pietro Valpreda. In questi tre episodi si possono scorgere tre elementi che accompa- gnarono la vicenda di Piazza Fontana: la voglia di reagire e di non cedere a tentazioni autori- tarie, il fitto mistero e l’illusione scaturita da un’apparente soluzione del caso. I giornalisti si trovarono a operare in un frenetico susseguirsi di eventi, dove non era agevole districarsi né distinguere tra realtà e menzogna. Ci fu una frattura all’interno della ca- tegoria: da un lato chi senza il minimo dubbio percorse la rassicurante strada delle versioni dei fatti proposte dalle autorità e non esitò a condannare gli anarchici, dall’altro chi viaggiò ostinatamente in direzione contraria tentando di demistificare artefatte spiegazioni dei fatti volte a occultare particolari segreti se non proprio indicibili. Questi giornalisti sfidarono la scrittura di una pagina di Storia a senso unico, la rivisitarono e inserirono delle correzioni. 2 Infine il titolo. La frase: “io l’ho saputo dai giornalisti” è di Licia Rognini Pinelli e spiega come lei stessa scoprì la morte del marito. Il senso individuale di queste parole appar- tiene solo e soltanto alla signora Pinelli e alle sue due figlie Silvia e Claudia. Ma queste stesse parole racchiudono anche un senso collettivo: i giornalisti furono i primi narratori e i primi storici della strage di piazza Fontana, dalle loro penne nacquero le prime cronache e i primi commenti di quello che stava succedendo: furono per l’opinione pubblica la fonte principale delle notizie e delle interpretazioni. A quei giornalisti che raccontarono Piazza Fontana con il coraggio necessario ad an- dare controcorrente non perché mossi da ottuse prese di posizione ma perchè spinti dalla ri- cerca della verità attraverso l’indagine giornalistica, vorremmo dedicare una riflessione che testimonia come la loro lezione sia rimasta viva lungo l’incedere della Storia e abbia trovato cittadinanza alle più diverse latitudini; è quasi superfluo ricordare che rimase e rimane invisa a molti. “Io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo” (Anna Politkovskaja). 3 CAPITOLO 1. QUADRO STORICO. In Italia il biennio 1968 – 1969 fu caratterizzato da trasformazioni sociali e da cambia- menti politici, economici e culturali che attraversarono gran parte della società. I protagonisti di questa stagione furono gli studenti e gli operai: i due soggetti collettivi che più si batterono per un rinnovamento dell’istruzione, delle condizioni lavorative e, in generale, per un miglio- ramento della qualità della vita. Le rivendicazioni spesso portarono a violenti scontri con le forze dell’ordine, con le frange più conservatrici della popolazione e con una classe politica sospesa fra la necessità di attuare importanti riforme e l’esigenza di formare governi stabili per adempiere i doveri istituzionali. 1.1 LA SITUAZIONE POLITICA.1 Le elezioni politiche del 19 – 20 maggio 1968 fecero segnare i seguenti risultati alla Camera: Dc 39,1%, Pci 26,9%, Psu (Psdi e Psi unificati) 14,5%, Msi 4,4%, Pli 5,8%. Oltre al- la vittoria democristiana e al consolidamento del Pci, la sconfitta del Psu (Psdi e Psi unificati) è il dato che più influì sulla sesta legislatura in quanto “le elezioni del 1968 rendevano più dif- ficile il ritorno al centro – sinistra e ne turbavano gravemente gli equilibri originari”,2 prova ne sia che all’interno del Psu, in seguito all’esito elettorale, si formarono due correnti: l’una propensa a un ritorno al centro – sinistra, l’altra orientata su posizioni attendiste. Sarà quest’ultima linea – vista con favore anche da Giuseppe Saragat, colui che più di tutti si era speso per la fusione – a prevalere: il 31 maggio 1968 il Comitato centrale del Psu optò per il “disimpegno” governativo. 1 Per lo svolgimento del paragrafo ci siamo avvalsi principalmente delle linee – guida presenti in G. Mammarel- la, L’Italia contemporanea (1943 – 1985), Bologna, il Mulino, 1989. 2 G. Mammarella, L’Italia contemporanea (1943 – 1985), op. cit., p.347. 4 Quello appena eletto si rivelò un Governo monocolore d’attesa, che condusse il Paese fino al 19 novembre 1968 quando, come da programma, si dimise il Governo presieduto da Giovanni Leone. Il Presidente della Repubblica Saragat, dopo un turno di consultazioni, affidò a Sandro Pertini (Presidente della Camera) un mandato esplorativo, che avrà come esito il primo Go- verno presieduto da Mariano Rumor, insediatosi il 16 dicembre 1968 e formato da esponenti della Democrazia cristiana, del Partito socialista unitario e del Partito repubblicano. L’unica azione rilevante che il Governo riuscì a portare a termine fu la riforma delle pensioni: il clima sociale si stava sempre più inasprendo e anche le dinamiche politiche non favorivano uno svolgimento adeguato del programma legislativo. La primavera – estate 1969 sarà infatti caratterizzata dalla fine dell’unità del Psu, espe- rienza che era iniziata alle fine del 1965, e dalla conseguente scissione del partito in due cor- renti: una socialista e una socialdemocratica. Il 5 luglio – all’indomani della separazione fra le due componenti – con l’uscita dall’Esecutivo degli esponenti socialdemocratici, Rumor pre- senterà le dimissioni. Il Presidente della Repubblica affidò ancora l’incarico a Rumor “che tentò di riannodare le file del centro – sinistra, ma invano”;3 dopo una “missione esplorativa”4 condotta da Amintore Fanfani (Presidente del Senato) apparve chiaro come l’unica soluzione percorribile, già adottata anche nel recente passato,5 fosse un Governo monocolore democri- stiano: una nuova risoluzione temporanea, in attesa di poter tornare alla formula del centro – sinistra. La crisi dell’Esecutivo era accompagnata da una crisi dei partiti, minati al loro interno da “un inasprimento delle lotte per il potere”6 che portava all’immobilismo in una fase in cui 3 Ivi, p.363. 4 Ibidem. 5 Nella primavera del 1960 Fernando Tambroni, non riuscendo a trovare un’intesa con i socialdemocratici e con i repubblicani, formò un Governo monocolore democristiano (per la costituzione del quale furono decisivi i voti del Movimento sociale). 6 G. Mammarella, L’Italia contemporanea (1943 – 1985), op. cit., p.363. 5 si sentiva sempre più urgente il bisogno di vedere attuate riforme soprattutto in ambito scola- stico, lavorativo e urbanistico. In questo contesto le difficoltà dei socialisti non rimasero un caso isolato: all’interno della Dc, a fine settembre 1969, in seguito all’alleanza fra i fanfaniani, il gruppo facente capo a Paolo Emilio Taviani e una parte della sinistra di Base si andò delineando sia una rottura in seno ai “dorotei”7 (all’interno dei quali si formò la corrente Andreotti – Colombo) sia una nuova maggioranza: l’on.