NUMERO 273 in edizione telematica 12 ottobre 2019 IRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

l’importante è partecipare La strada è ancora lunga, molto lunga. Qualcosa di positivo a Doha si è visto, ma dire che l’atletica italiana è guarita, o anche solo convalescente, ci pare fuori luogo. Che Giomi usi toni soddisfatti non è la prima volta, salvo poi doversi ricredere (evidentemente chi prova a credergli, non lui…): analizzando freddamente non bisogna dimenticare che l’unica medaglia è venuta da una specialità che il prossimo anno (e forse mai più, a meno di ravvedimenti di cui al momento non c’è traccia) non farà parte del programma olimpico, ossia la 50 km di marcia. E se non contiamo il bronzo della Giorgi, che giustamente è stata indirizzata verso la distanza più lunga per evitarle ulteriore delusioni (e squalifiche) sui 20 km, il miglior piazzamento è il sesto posto della staffetta maschile 4x400, al quale si aggiungono a livello di finalisti due settimi posti(Tortu sui 100 e la 4x100 femminile) e tre ottavi (Crippa sui 10000, Tamberi nell’alto e Stecchi nell’asta), per un complesso di punti (16) che pone l’Italia al 26° posto della classifica a punti, undicesima a pari con la Svizzera tra le nazioni europee, dove ci precedono Polonia (56), Ucraina (44), Olanda (30), Bielorussia e Francia (25), Svezia (25), Belgio e Norvegia (20), Spagna (19) ed Estonia (17). Insomma, i festeggiamenti è meglio rimandarli visto che il confronto con gli ultimi anni non segnala sostanziali miglioramenti.

Qualche risultato positivo c’è stato, ma non si deve al tempo stesso dimenticare le dimensioni di una squadra nella quale a pochissimi è stato negato il viaggio, col risultato di ascoltare nelle interviste a caldo dei primi giorni (poi probabilmente deve essere intervenuto qualcuno ad invitare a maggior prudenza) atleti e atlete soddisfatti nonostante l’eliminazione. Eallora a livello federale si deve fare chiarezza: o si portano tutti quelli che hanno il minimo consapevoli che il record più importante da ottenere è quello del numero di partecipanti, oppure si fanno scelte precise, conseguenza della partecipazione ad impegni non soltanto di bandiera e quindi ai meeting dove il confronto ha un significato e prepara ai sfide più probanti.

SPIRIDON/2

Stando alle dichiarazioni di fine manifestazione, il c.t. Antonio La Torre ci è parso il più equilibrato, così come negli anni abbiamo imparato a conoscerlo: nessun trionfalismo, semmai soltanto qualche parola di troppo per rincuorare Filippo Tortu, indubbio talento, al quale però i confronti con Berruti e Mennea pensiamo possano giovare ben poco. Da sempre riteniamo infatti – e facciamo l’esempio della sua specialità, ma vale per qualsiasi altra gara – che chi corre regolarmente in 10”10, centesimo più centesimo meno, una volta ogni tanto trova le condizioni ideali per scendere di qualche centesimo sotto i 10” netti. Ma questo non vuol dire che acquisisca un nuovo status, ossia che il 9”99 (ripetiamo, è un esempio) diventi il suo standard abituale, da cui ripartire la gara successiva. No, tornerà ai 10”10 o giù di lì.

Tortu è indubbiamente un talento che va considerato, ma anche preservato da tutte quelle comparsate che possono minarne gli equilibri, non avendo certo il carattere estroverso di un Tamberi. E lo stesso discorso, se si vuole che continuino a migliorare, vale per Re, Crippa, Jacobs e la Palmisano, e per chi sta al momento ancora un gradino più sotto come Stecchi, atteso comunque a conferme già nel prossimo inverno, e pochi altri. Piuttosto ci si dovrebbe incominciare a preoccupare seriamente dell’involuzione di qualcuno, prima fra tutti Alessia Trost. E magari per allenarla, buttiamo lì, anzichécontinuare a insistere suTamberi padre, perché non provare ad affidarla a quella Valeria Musso che continua a plasmare ottimi saltatori in alto?

Le staffette meritano poi un discorso a parte, fermo restando che per quanto ci riguarda solo la 4x400 è degna della massima considerazione essendo la 4x100 troppo aleatoria e addirittura condizionante – almeno per come viene valutata dalle nostre parti – per velocisti che possono aspirare a risultati individuali, in quanto l’atletica è e rimane sport individuale, con tutte le sane rivalità che ne derivano, e non sport di squadra. Riguardo alla staffetta mista poi confermiamo la prima impressione di una buffonata, al paridelle gare europee con numero ridotto di salti e lanci, utile a regalare effimera gloria a chi spera di potersi mettere una medaglia in più al collo ed in questo modo di dimostrare chissà che. E parimenti ci pare assurdo la definizione di semifinalisti per 24 atleti. Probabilmente anche il baronetto inglese al vertice della Iaaf deve darsi una regolata, perché finora sembra soltanto in grado di dimostrare l’antico postulato che essere stato un grande atleta non significa poi saper allenare o dirigere.

Un’ultima considerazione generale. A dispetto di tutte le remore della vigilia, questi Mondiali di Doha hanno proposto ottime gare e, come ci è capitato di leggere in uno scritto di Luciano Barra, il fatto che si sia gareggiato in tempi e condizioni climatiche poco gradite agli europei, non deve far dimenticare che l’atletica del Vecchio Continente non è al momento trainante e viceversa mai ci si è preoccupati se, per esempio, gli africani doveva combattere il freddo delle nazioni nordiche (basta ricordare, al proposito, proprio la rassegna iridata di 2004). Tanto più che, alla resa dei conti, i migliori hanno finito per emergere, indipendentemente da dove si gareggiava. Giorgio Barberis

SPIRIDON /3

fuori tema

Cosa aggiungere, di nuovo, ai commenti seguiti ai campionati mondiali di Doha e dopo le lunghe e non sempre agevoli ore trascorse dinanzi agli schermi. Nulla. Se non prendere atto che l'apparizione di piccoli, nuovi spiragli ha reso appena meno ostile l'orizzonte. Se non confermare che l'atletica italiana vive più di sofferenza che di benessere. Che sarebbe stato onesto e utile se un quarto della rappresentativa fosse rimasto a casa. Che la nostra incidenza agonistica in un panorama internazionale è inesorabilmente bloccata ai confini europei. Che le prospettive di crescita in vista dell'Olimpiade di Tokyo sono al momento pura utopia. Che sul territorio nazionale, tra diretti fruitori degli spettacoli sportivi, organi di informazione affidati all'idiozia e comparti politico-amministrativi centrali e periferici distratti il ruolo della disciplina ha subito un ulteriore calo in termini di coinvolgimento e di attrattiva. Direttore tecnico, uomo di diffuse esperienze, da poco su una torre di comando che di ben altri tempi necessiterebbe, avendone le qualità, e di lui se ne dà per certo il possesso, per un drastico salto di valori, a commento di Doha Antonio La Torre ha tenuto a sottolineare "l'inversione di un mood". Se abbiamo bene interpretato l'uso di un termine che avrà costretto nove dirigenti di società tradizionali su dieci alla febbrile consultazione di un vocabolario o di internet, di quel mood abbiamo visto poco. Ma la fiducia negli uomini ci sostiene.

Sempre in tema di campionati mondiali, poiché il confinamento della disciplina in una frequenza televisiva gregaria, aggiunta all'inspiegabile assenza a Doha di una voce radiofonica, ha precise responsabilità, e poiché alcune invasioni di campo sono state plateali, qualcuno si sarà chiesto e si chiederà come e perché il ciclismo – con le indigestioni di dirette e differite, dal palio cittadino alla fiera paesana, e con il rischio di rendere ai più indigesta, anche per via di inascoltabili telecronache, una splendida disciplina – violenti sistematicamente i palinsesti televisivi. La risposta è una e una sola: la responsabilità è del direttore di Rai Sport Auro Bulbarelli e di chi, ai vertici dell'azienda di Stato, ne regge il ruolo.

Sul piano generale degli scivolosi rapporti esistenti tra la dirigenza sportiva nazionale (Giovanni Malagò con le sue trincee all'esterno e all'interno di un Foro Italico ridotto ad un amaro spezzatino) e la nuova composizione ministeriale delegata alle politiche giovanili e allo sport (Vincenzo Spadafora), cresce il contrasto sul versante invernale Milano-Cortina. Non è novità che una vigilia olimpica sia segnata da una ingombrante quantità di polemiche, di dissapori e di interessi, leciti e meno, contrapposti. C'è chi vuole e chi non vuole. C'è chi non lo vuole, ma Spadafora ne è immune, ed è il caso dell'aeroporto di Sant'Anna di Fiames, inaugurato nel 1962, sei anni dopo l'edizione olimpica invernale, prima cronologicamente nella storia dello sport nazionale, utile nei tracciati incrociati Venezia-Milano-Torino e chiuso nel 1976 dopo un gravoso incidente. Ed è il caso dei litigi, e qui Spadafora c'entra mani e piedi, di attualità e relativi alla nomina dell'uomo che dovrà gestire l'evento nel massimo dei ruoli. C'è chi lo vuole e chi non lo vuole: Stefano Domenicali, l'uomo che nel 2008 subentrò a Jean Todt nella gestione della Ferrari uscendone pochi anni dopo, era il 2014, con note poco esaltanti, secondo tradizioni aziendali e padronali, con un unico titolo per case costruttrici e una sequela di modeste prestazioni individuali. Si tratta di uno di quei casi in cui ognuno insegue le proprie idee, affidandole ai comunicati e non ai confronti diretti, dando la chiara sensazione di come in alcune altitudini il buon senso sembri smarrirsi. Lo vuole Malagò, non lo vuole, almeno in apparenza per una questione formale, Spadafora, che nel poco tempo al vertice del dicastero sembra aver fatto punto o poco per migliorare la confusione ereditata dal predecessore Giorgetti con l'istituzione di Sport&salute. Scopiazzando senza pudori Archibald Joseph Cronin: e lo sport resta a guardare. Ma anche Thomas Bach, ancora per poco, dalla sede di Losanna. [email protected]

SPIRIDON/4

Doha, la lingua batte ….

Le cifre sono crudeli ma significative. 67 azzurri in gara per 7 finali. Percentuale grama, gramissima. A mo’ di consolazione se i mondiali precedenti erano andati “malissimo” questi sono andati solo “male”. L’Italia che brilla a Iokohama e nell’Europeo a squadre come tante altre nazioni del vecchio continente va alla deriva nelle prove iridate con un 67% di eliminazioni al primo turno e non più di cinque personali stagionali. Crippa è la classica mosca bianca in un coro di mosche nerissime. Il dato più sconcertante che intervistati a caldo alla Rai la maggior parte degli eliminati non aveva auto-coscienza del proprio risultato quando addirittura non si professava lieto della prestazione. Oggi 15 metri di triplo maschile e 6 metri di lungo femminile non assicurano neanche un tricolore junior e ci vergogniamo di chi ha esposto la maglia azzurra a una simile figura. Dalle parole del citì La Torre sembra che qualche atleta abbia nascosto le proprie precarie condizioni fisiche. Ma possibile che la Federazione non metta un occhio clinico con i propri staff dentro lo stato di forma dei convocati? Convocare a scatola chiusa solo perché si è raggiunto il minimo? Per tanti medagliati (guarda i pesisti) lo stagionale è stato il punto di partenza per issarsi verso uno squillante primato. Per troppi azzurri il mondiale è stato un malinconico punto d’arrivo. La Torre assicura “Chi ha sbagliato pagherà”. L’aveva detto Giomi dopo la deludente passata stagione. Vogliamo scommettere che alla prossima edizione dei mondiali gli azzurri saranno più di 70? Ci sono logiche legate ai voti, ai premiolini per i club militari, spartizioni clientelari dietro questo andazzo. Con errori lungo il percorso. Sprecata la finale della mista con un campo di concorrenti ridotto dove si poteva scalare un piazzamento decoroso, miscelata male la composizione della 4 x 400 maschile e insufficiente il primato della 4 x 100 dato che qui correvano i Tortu e gli Jacobs e non i Checcucci e i De Gregorio, con tutto il rispetto. Mentre scriviamo il capitano per tutte le stagioni Tamberi, più clown che atleta, uscito di scena quando l’alto vero entrava in gioco, si sta godendo le Seychelles. Il Jovanotti dell’atletica sa in cuor suo che non potrà più scalare il 2.39 del primato e in ogni stagione, complici infortuni, ricadute e chiari di luna, ha sempre una giustificazione per le sue contro performance. Nell’occasione in finale ha fatto peggio che in qualificazione, disperdendo energie per il campo. Show che funzionano quando vinci ma quando sei un piazzato (e neanche dei migliori) risultano persino un po’ patetici. Sarà un nostro pallino ma sotto sotto ribadiamo che per Tortu il futuro vero è nei 200 e non nei 100. I tre metri di distacco incassati dal Coleman della situazione sono incolmabili. Invece nei 200 la scalata per un possibile podio olimpico risulterebbe molto più agevole e nel segno di Berruti che, a suo tempo, constatati i propri limiti sulla distanza breve, si esaltò nel mezzo giro di pista. Ancora una volta in sede di commento la Federazione è stata trattata con i guanti bianchi. Onore al merito della lucidità di Tilli di fronte alla tesi consolatorie di Giomi. Un po’ di sano esercizio del diritto di critica non guasterebbe. Quando Stano è stato squalificato gli esperti (e quanto avremmo voluto saperlo!) non ci hanno offerto l’unico dato fondamentale: l’atleta era scorretto nello stile o no? E la Caporale ha incassato le giustificazioni più assurde senza replicare. Si dirà: “non era compito suo”. Ma un giornalista non è un megafono a disposizione dell’interlocutore. Usciamo con un raffica di noni posti, con il 31esimo posto nella classifica a punti medagliere e con il 26esimo nella classifica a punti. L’unica medaglia vinta è nella 50 chilometri di marcia femminile che non è prevista nel programma olimpico il che la dice lunga sulle nostre prospettive di podio all’altezza di Tokyo 2020. Inoltre lo spirito di squadra percepito tra tanti musi lunghi sembra evaporato, marginalizzato in tante conventicole di settore. Enzo Rossi come citì avrà avuto pure tanti difetti ma sapeva fare spogliatoio e gasare i propri atleti. Daniele Poto

Doha, Mondiali, il venerdì con i record delle 4X100 italiane Il coordinatore delle Staffette, il Prof Filippo Di Mulo, ha centrato con il suo affiatato Team il bersaglio ambizioso: la 4X100 femminile in finale con 42”90, primato nazionale, volgendo a profitto una squalifica eccellente; la 4X100 maschile, 38”11, record, manca la finale e contesta il passaggio del testimone, il bastoncino, degli USA.Sentenziava il Gran Maestro Carlo Vittori che il problema da risolvere nella Staffetta è mettere d’accordo quattro fottuti egoisti. Il Coach del quartetto a Stelle a strisce in semifinale non c’è riuscito. Il nostro Filippo, erede ideale di Peppino Russo, l’epoca di Livio Berruti, di palermitane radici, ha catalizzato l’amalgama, ha realizzato il massimo ed ha risposto con i risultati a chi lo aveva crocefisso per alcune squalifiche delle Staffette azzurre.Filippo Di Mulo, allievo in pista del Maestro di Sport Mario Lombardo, etneo, è stato di valore regionale nel giro di pista, la sua umiltà è pari alla competenza, alla personalizzazione degli allenamenti che hanno prodotto campioni in serie: Scuderi, il prototipo, Cavallaro, Licciardello, Rao, Di Gregorio, la Pistone, Giuseppe Leonardi, 400 metri, assente a Doha perché infortunato.Nelle Staffette record precedenti: Anita Pistone e Emanuele Di Gregori. .La notte della Maratona maschile e la degna gara di e Eyob Faniel.Nelle strade di Doha la calura e l’umidità si attenuavano. Gli etiopi controllavano le fughe dei primi chilometri, dei tre italiani, , il più blasonato, Eyob Faniel, seguiva a distanza il gruppo di testa Yassine Rachik.Rachik, 12 esimo, e Faniel, 16 esimo, hanno dato il massimo. Nella Chiodata la Maratona memorabile di Massimo , Argento nel Mondiale di Siviglia 1999, al caldo torrido. I tempi di Siviglia e Doha non sono comparabili, ma Rachik con l’allenatore già programmano l’Olimpiade di Tokio, che può coinvolgere Faniel e Meucci, che, causa i postumi di traumi muscolo. Pino Clemente

SPIRIDON/5

… dove il dente duole

I primi a provarli avrebbero dovuto essere gli organizzatori una volta fatto il conto dei biglietti venduti, ma cosa vuoi che importi agli emuli di Paperone che sguazzano nei petroldollari, dell'incasso al botteghino ? Poi a contare, per loro e per la IAAF, sono semmai i diritti televisivi, essendo pure armati, costoro, di una spropositata quantità di aria condizionata per lo stadio . . . all'aperto, roba da fare storcere bocca e naso ad una già di per sé non troppo agreabile Greta, la paladina dell'ecosostenibile, e pazienza per la sorte incondizionata toccata invece fuori dallo stadio a maratoneti e marciatori. Strani brividi, indecifrabili, quelli provati assistendo al doppio trionfio dell'etiope di casacca olandese Sifan Hassan su 1.500 e 10.000 metri. Razionalizzando capisci che sono solo brividi di imbarazzo per tanta, improvvisa superiorità.

Brividi di spaesamento in questo mondo che se mai marcirà sarà di ultra-garantismo a prescindere da tutto - per prima cosa dalla realtà - per lo spagnolo che fu cubano Orlando Ortega, bronzo aggiunto sugli ostacoli alti perchè un involontario cattivone – il giamaicano McLeod – andando fuori giri davanti a lui lo ha . . . ostacolato nella sua probabile rincorsa al podio. Pare che la IAAF, già che c'era, gli abbia anche restituito 10 caramelle mou che un bimbo discolo gli rubò all'asilo e aggiunto una pentola a pressione che il nostro, quando era ancora cubano, non era mai riuscito a procurarsi, sull'isola. Da brividi e da farsi grattare in testa poi la decisione del bronzo aggiunto al quarto del martello, il polacco Nowicki, che però era di suo un terzo vero, essendo frutto di un lancio nullo non riconosciuto il terzo posto dell'ungherese Halasz, il quale Halasz se gli fosse stato annullato quel nullo avrebbe poi saputo di doverlo ancora raggiungere il bronzo, nei lanci successivi : dall'inibizione di tale volontà ecco riconosciuto pure a lui un bronzo fatto di aria fritta.

Quando Beckett e Ionesco al cospetto della IAAF diventano nessuno.

Brividi di rabbia quando l'ineffabile RAI al posto della diretta della più grande gara di getto del peso mai vista (per l'appunto . . .) propina ai suoi spettatori - peraltro orfani di concorrenza a scegliere come da tempo non accadeva – un ridicolo affastellarsi di immagini e parole centrato sull'epopea della Fidal nostra – anzi di Giomi - a questo mondiale, le carnevalate di Tamberi che si confondono con la faccia da funerale della Folorunso fuori in semifinale nella staffetta 4x400 fino ai salti dell'ultima assoluta del salto in lungo, la Strati, proposti e riproposti con tanto di intervista : occhi e cervello puntati sull'italietta rasoterra quando sopra è spettacolo puro, fortuna vuole che gli ultimi sette lanci finalmente mostrati (dei 60 totali) racchiudano le gemme più preziose dei primi due alla fine, Ryan Crouser che cappello da cowboy e mano con indice a mignolo a formare le corna, simbolo della sua università del Texas, si è arreso per un centimetro al connazionale, outsider e già campione del mondo nel 2015, Joe Kovacs.

Terzo perso nale sul podio anche per il kiwi Tom Walsh, tre in un centimetro per una Rai capace solo di andare a spanne. Brividi da scossa della ragione che viene malmenata quando senti il Giomi alle corde tentare di uscirne dicendo che ad esempio dalla Bogliolo vista in batteria ci si poteva aspettare ben altro di quanto raccolto in semifinale : Luminosa in stagione è stata proprio quello tra le nostre atlete, ma l'atletica è anche matematica e una diecina erano le avversarie che aveva davanti a sé in prospettiva di una improbabile finale mondiale, ha dovuto forzare e

l'esito è stato conseguente. Ma poi è davvero così importante avere non qualche medaglia ma solo qualche finalista in più ? Ancora, altri paesi raccolgono più medaglie spendendo meno, tagliare lo spreco di risorse (vedi stipendi pubblici per troppi) sarebbe la cosa più sensata da cui ripartire, con in tasca un bronzo frutto di 66 atleti presenti, di cui 10 marciatori. Molti di più gli stipendiati rimasti a casa. Roba da brividi, direbbe il buon Cottarelli. Mauro Molinari [email protected]

SPIRIDON/ 6 IL DIAVOLO E IL FORO di Ruggero Alcanterini

Gira che ti rigira, siamo condannati a vivere di rendita, si dell’eredità forse immeritata che ci hanno lasciato i visionari, Ricci, Del Debbio e Moretti, che di un pantano a valle di Ponte Milvio hanno fatto un luogo delle meraviglie. Il Foro Mussolini/Italico è stato oggetto per il secondo anno consecutivo di una analisi attenta e rivelatrice di dettagli, magari inediti o relativamente conosciuti, dissepolte immagini svelanti una manifattura artigianale, fatta di pale e picconi, di antica sapienza e materiali nobili per una creazione dalla vocazione non effimera, destinata per dichiarazione di Ricci (1937)ad ospitare i Giochi, perché il Foro sarebbe stato unico degno di tale ruolo. I Giochi Olimpici arrivarono soltanto nel 1960 e la si spuntò per un solo voto contro Losanna, a Parigi nel 1955 (la candidatura era stata presentata a Copenhagen nel 1950). Il Foro ruba la scena a San Pietro dal lato sinistro del MonsMalus (vi fu trucidato a tradimento Crescenzio) poi addolcito in Monte Mario, guardando il dispiegarsi del Fiume e l’area flaminia sull’altra riva, finalmente congiunta anche dal secondo ponte previsto, quello della Musica (un omaggio all’Auditorium di Renzo Piano) con tutto il suo patrimonio museale storico culturale (Maxxi, Etrusco, Arte Moderna…) e sportivo olimpico, col Palazzetto dello Sport e lo Stadio Flaminio, però abbandonati e in avanzato stato di fatiscenza. Imperdonabile vulnusl’assenza del Museo Nazionale dello Sport, inutilmente anticipato con grandi mostre a Milano (1935) e Roma (1960) ma avremo modo di tornare sull’argomento, visto che qualcuno accarezza l’idea di rilanciare l’offerta turistico culturale di Roma, proprio ripensando all’insieme di un incommensurabile patrimonio giacente , che abbisogna però di coordinamento e valorizzazione. Dunque, torniamo ai marmi spezzati ed ai mosaici sgretolati di quello che fu il Foro del Duce e che si accinge a vederne di belle, posto che si annunciano trasformazioni ed adeguamenti in funzione del business, tali che non mancheranno di aggiungere stress ad un complesso nato per essere usato, ma anche rispettato nella sua originalità. Francamente siamo sempre in attesa che qualcuno annunci la bonifica di quel che rimane dell’insultante Aula Bunker, ameba intrusa nella Casa delle Armi, l’accurato restauro di tutto quel che sta andando in rovina e la regolamentazione per una giusta fruizione di un bene culturale unico al mondo, di cui già troppo si è abusato ed ancora si vorrebbe. Onestamente, però, dobbiamo essere pessimisti, posto che progetti di copertura ed ampliamento di strutture funzionali allo spettacolo non soltanto sportivo sono di parecchio avanti, mettendo in discussione quel che sembrerebbe si dovesse a suo tempo fare, razionalizzando progetti e programmazioni su Foro Italico e Flaminio. E poi ? Poi, nel super convegno organizzato da Bugli e Vollaro per SCAIS in collaborazione con Maffei per AMOVA, si è rivangata un po’ la storia e su questo ho avuto modo di ricordare che Roma ha rischiato addirittura la follia di una “moderna” struttura nella cavea del Circo Massimo (proposte di Lucchini e Compans nel 1907), che lo Stadio Nazionale more greco di Piacentini e Pardo ( poi del Partito Fascista e Torino, prima di essere Flaminio

SPIRIDON/ 7 già nella disponibilità del Comune, come oggi appunto è il Flaminio, anche allora gestito con non pochi problemi dall’Istituto per l’Educazione Fisica - INEF) erede in linea praticamente diretta del Domiziano, tutt’ora sotto Piazza Navona e anticipatorio dello Stadio dei Marmi. E poi?Poi la verità vera sulla scelta del Totocalcio per finanziare il CONI, ovvero un modo consigliato da Einaudi e Andreotti per garantire l’autonomia, per non dipendere dalla politica, come invece sarebbe capitato con il mefistofelico contributo diretto dello Stato. Il Palazzo H, oggi nella disponibilità dell’Università di Scienze Motorie, come ieri dell’Accademia Nazionale di Educazione Fisica, fu recuperato da Onesti definitivamente nel 1952, dopo la salvifica occupazione delle forze angloamericane sino al 1948, la trasformazione in Hotel Felix per l’Anno Santo del 1950 e la riunione dei vertici del Patto Atlantico presieduti da Eisenhower (1951). Lui, Onesti, che con Zauli, Saini, Garroni, Fabian, Mazzuca, Chamblant, Favre, aveva fatto miracoli per mettere in piedi, tra il ‘56 e il ’60, addirittura due Eventi Olimpici a Cortina e Roma, che hanno lasciato il segno nella storia sociale di Roma e del Bel Paese, lui che all’esordio, una volta eletto Presidente, nel 1946, si era arrangiato in qualche stanza di un vecchio albergo tra piazza Venezia e il Quirinale, il Luxor, lui che, quando nel 1978 ricevette dal TAR l’ingiunzione di lasciare dopo trentadue anni la Presidenza, non fece una piega, annunciando ad amici e giornalisti in attesa della sentenza, che i tramezzini da consumarsi di li a poco sarebbero stati cibo dell’ultima cena, quella del suo mandato, lui, Onesti, si dimise senza por tempo in mezzo per evitare il Commissariamento dell’Ente, passando a Carraro il testimone che glisuggeriva ormai da tre anni la Tedofora di Emilio Greco trasferita dal PalaEur nella hall d’ingresso del Palazzo, andando temporaneamente a condividere una stanza d’ufficio con De Stefani, senza fare una piega. Quello non fu soltanto l’inizio della fine fisica di Onesti, ma di fatto la catarsi di un’epoca virtuosa, irripetibile, in cui il sacrificio e la passione profuse erano di gran lunga superiori a prebende e privilegi.Un periodo bellico e post bellico, primo repubblicano dello sport italico, in cui nessuno staccava mai la spina e i risultati sinergici con il sociale erano voluti e palesi, ancorché progettualmente sofferti, dalla scuola degli studenteschi, alla promozione con gli enti espressione di partiti e chiesa, ai Giochi della Gioventù con i Comuni, all’impiantistica sostenuta dal credito, alla formazione dei buoni maestri di sport.Insomma, eravamo alla conclusione di un capitolo, mentre se ne apriva un altro, quello che ancora stiamo scrivendo, dagli esiti incerti, imprevedibili tanto quanto il futuro del Foro alle prese con diaboliche tentazioni , in continua metamorfosi, tra passato e futuro, in crisi d’identità, tra le lusinghe del marketing e la cinica realtà del business.

FOTO D’EPOCA L’atleta americana Betty Robinson vince la finale dei 100 m. E’ il 31 luglio 1928 alle Olimpiadi di Amsterdam.

SPIRIDON/8

Animula vagula, blandula... … scelti da Frasca

Da un documento del 1956: letteratrasmessa a Luigi Chamblant, vicesegretario generale e responsabile dei servizi di ragioneria: <>. Bruno Zauli, segretario generale del Coni, oggetto Giochi olimpici invernali, 23 luglio 1956.

Aveva appena pronunciato quelle parole che il lord rientrava, ma non era solo. Dietro di lui si avanzava, sfiorando appena il tappeto, una splendida creatura, alla cui vista Sandokan non poté trattenere un'esclamazione di sorpresa e di ammirazione. Era una fanciulla di sedici o diciassette anni, dalle forme superbamente modellate, dalla cintura così stretta che una sola mano sarebbe bastata per circondarla, dalla pelle rosea e fresca come un fiore appena sbocciato. Aveva una testolina ammirabile con due occhi azzurri come l'acqua di mare, una fronte d'incomparabile precisione, sotto la quale spiccavano due sopracciglia leggiadramente arcuate e che quasi si toccavano. Il pirata nel vedere quella donna si era sentito scuotere fino in fondo all'anima. Quell'uomo così fiero, così sanguinario, che portava quel terribile nome di Tigre della Malesia, per la prima volta in vita sua si sentiva affascinato dinanzi a quel leggiadro fiore sorto sotto i boschi di Labuan. Da Le Tigri di Mompracem, di Emilio Salgàri (Verona 1862-Torino 1911), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1969.

In questi ultimi giorni, <> dei responsabili federali, Enzo Rossi si è trovato in difficoltà. Romano di Zagarolo, venuto all'atletica circa 25 anni fa dal calcio (era soprannominato Dumbo e giocava con la squadra del Volsinio), si impegnò come atleta nel biennio '57-'58, specialista nei 400 ostacoli, e poi divenne dipendente del Ministero della Difesa. Allenatore della Compagnia Speciale Atleti dell'Esercito alla Cecchignola, Rossi è stato a contatto con campioni di grido, impegnandosi a fianco del capitano Casciotti (ora colonnello e vice- presidente vicario della Fidal) e del collega Vanni Loriga… Il settore tecnico, nei suoi vertici, ha sempre avuto un impoverimento professionale. Marcello Pagani, cittì nel 1969, fu estromesso nell'inverno '70. Gli successe il prof. Cacchi. Poi, nel '74, si scelse Rossi e la triade compromissoria (gli altri erano Sandro Giovannelli e Piero Massai). Ma le cose, dopo sette anni, paiono giunte a un momento di tensione irrisolvibile. Alfredo Berra (Torino 1928- Grottaferrata1998), da Tuttosport del 29 gennaio 1981.

Nel 1967 Menotti sceglie come opera inaugurale un Don Giovanni diretto da Thomas Schippers, con la propria regia e le scene astratte di Henry Moore. Schippers, dall'incontro con Visconti nel 1958 ad ora e fino alla morte, guarda e guarderà con estrema attenzione alle nuove frontiere della messa in scena: con Louis Malle, con Wieland Wagner, con Menotti e presto con il più dissacrante di tutti, Patrice Chéreau, sempre con quella capacità di raccordo e con quell'"entusiasmo pensato" che Teodoro Celli gli riconosceva come eredità morale di Victor de Sabata… D'un altro nome non si può tacere percorrendo il cammino di Schippers, il nome di Dimitri Mitropoulos. Il direttore greco era giunto negli Usa nel 1936, invitatovi da Koussevitzki alla Boston Simphony. Recava con sé dall'Europa una nozione del dramma nella musica per gli Usa ancora sconosciuta. La sinergia fra le esperienze acquisite nella Germania degli anni fra le due guerre mondiali e il DNA greco ha inferto pel tramite delle sue mani (raramente dirigeva con la bacchetta) un possente ictus drammatico, una dimensione d'ancestrale tragedia nel senso più stretto dell'etimo: quello di liturgia purificatrice della colpa e del sangue. A tal segno l'hanno saputo esprimere solo Furtwängler e de Sabata. Da Thomas Schippers, Apollo e Dioniso, Eros e Thanatos, di Maurizio Modugno (Roma 1950), Zecchini Editore, Varese 2009.

SPIRIDON/9

Aldo Savoldello. Il “sogno impossibile” che culla da bambino è quello di diventare un mago. «Il disegno di mio padre però, era vedermi avvocato e campione di atletica leggera, una disciplina sportiva che praticavo con buoni risultati da ragazzo». Ma chi è Aldo Savoldello? È il nome di battesimo di uno dei più grandi prestigiatori, in arte Silvan, il famoso Mago Silvan. A sette anni, in vacanza con la famiglia a Crespano del Grappa, una sera vede esibirsi un prestigiatore e ne rimane affascinato. Alla richiesta della partecipazione di un bambino Savoldello si propone, ricevendo i primi applausi. Da quel momento comincia a leggere libri sulla magia ed a fare esperimenti. Il padre, preoccupato, lo porta addirittura da uno psichiatra per capire cosa non funzioni nel figlio. Diventerà uno dei suoi più grandi fan... Dalla autobiografia La magia della vita (Mondadori) apprendiamo come il bambino cerchi di emulare Mandrake, l’eroe dei fumetti, con la marsina e il cappello a cilindro. «Quando frequentavo le lezioni di catechismo nella mia parrocchia veneziana rimanevo affascinato da alcuni racconti biblici. Don Oreste ci parlava del bastone di Aronne che si tramuta in serpente, di Mosè e la spartizione delle acque, del roveto ardente che non si consuma. Ne restavo soggiogato». Ad otto anni è chierichetto (gli attuali “ministranti”, nda) ed inizia i suoi primi giochi di prestigio, che impara leggendo Il Corriere dei Piccoli. «Ma li modificavo sempre, per renderli più mirabolanti». L’esordio assoluto è proprio all’Oratorio Don Bosco, ad 11 anni di età, nel sestiere veneziano di Cannareggio, con un pubblico composto dai suoi insegnanti e dagli amici. Sappiano per certo che nell’occasione l’armamentario magico è contenuto in una scatola di cartone per scarpe... Si esibisce in uno spettacolo-fiume di quattro ore e mezzo, col nome d’arte di Saghibù. Lo pseudonimo deriva da Aldo Savoldello, il suo vero nome, da Otello Ghigi, il nome del suo primo maestro e da Ranieri Bustelli, famoso prestigiatore degli anni Trenta. «Di quel primo spettacolo ricordo un numero. Dentro un cilindro c’erano dei bigliettini su cui erano scritti dei nomi di città. Invitavo i preti presenti a prenderne uno e poggiarlo sulla propria fronte. Poi scandivo: “C-a-t-a-n-z-a-r-o”». Così, mentre i cinque fratelli e le due sorelle affrontano l’Università per diventare stimati professionisti, egli si ferma alla terza liceo. O meglio, si laurea anche lui, ma in arte magica nel 1965, al Congresso dei Prestigiatori di Berlino Ovest, dove gli viene assegnato l’Oscar mondiale della magia. Silvan ricorda con affetto i salesiani che, a suo dire, gli hanno insegnato molto e lo hanno aiutato anche nel difficile cammino della sua brillante carriera. «I salesiani – confida – mi hanno dato una morale salda, un’educazione perfetta. Insegnando quell’umiltà che rappresenta la dote primaria del cristiano e l’amore per il lavoro. È stata questa la ricetta del mio successo». Proprio vero: Don Bosco e i suoi “figli” continuano a far nascere prestigiatori; in America Latina il 31 gennaio i Circoli magici sono soliti commemorare il santo con convegni e spettacoli. Non si vede, del resto, quale altro abitante del calendario cattolico potrebbe rispondere meglio all’occorrenza con il patrono degli illusionisti, visto che già a 10 anni Giovannino Bosco era abilissimo nel carpire i segreti ai vari saltimbanchi di paese che incontrava nelle fiere dell’Astigiano. Tornato a casa poi, si esercitava a ripetere i giochi finché non si sentiva in grado di organizzare lui stesso esibizioni funamboliche.

SPIRIDON/10

Ah! Dimenticavo. Qual è il significato del nome “Silvan” e come nascono le tre paroline pronunciate per decenni: “Sim Sala Bin”? Non ancora ventenne il nostro mago partecipa col nome d’arte Silvan alla trasmissione televisiva di Enzo Tortora Primo Applauso, un talent show ante litteram. È stata Silvana Pampanini a consigliare quello pseudonimo, sostituendolo a Saghibù, alquanto tenebroso e stregonesco. “Sim Sala Bin” letteralmente significa “Che la magia si compia” e proviene dal ritornello di una canzoncina danese. «All’inizio adoperavo un’altra formula: “Tac tac c’è rumba yama cler”». Infine, il grande lato umano del Mago Silvan. «A volte i bambini mi spaventano con certe loro uscite. A Torino un bambino mi disse: “Tu che sei tanto bravo, perché non fai tornare in vita il mio papà?”. Rimasi allibito e profondamente commosso. Cosa rispondere? Seppi solo dirgli che non potevo e non sapevo fare questo gioco, anche perché il suo papà stava bene dove si trovava in quel momento. Stava meglio di noi». Pierluigi Lazzarini Exallievo e Storico di Don Bosco

“La speranza viene da noi giovani, come osate? Avete rubato la mia infanzia e i miei sogni con le vostre parole vuote. Le persone stanno soffrendo, le persone stanno morendo, interi ecosistemi stanno crollando”. Queste le parole con cui Greta dall’Onu ha rovesciato sull’Occidente (in Asia non se la filano) il suo implacabile j’accuse ecologico. È la green economy che si fa largo a gomitate. Che ci infligge in ogni Tg servizi angoscianti sui ghiacciai che si ritirano per il global warming, dando per scontato che esso sia causato dall’uomo, e per ciò contenibile con la riduzione delle emissioni di CO2. Queste sì che son parole vuote, Greta. Lo sai bene che sull’argomento gli stessi scienziati non sono concordi. Ma udendo queste tue parole le persone semplici, soprattutto gli anziani, si spaventano. Vivono male, minati dai complessi di colpa. Passano gli ultimi anni, mesi, ore di vita (così preziosi per loro e i loro cari) in uno stato di perenne angoscia, e questo sì che fa male. È dimostrato dalla scienza medica: l’ansia fa ammalare. Tu ci stai uccidendo, Greta. E poi la speranza non viene da voi giovani. La speranza è la vita in sé, e tu che ne hai tanta davanti rovini a noi il poco che ce ne resta. Come osi? Come osi farlo proprio tu, borghesuccia viziata che vivrai molto più a lungo dei tuoi avi grazie al sistema capitalista che disprezzi? Le persone stanno soffrendo? Sì, le fai soffrire tu coi tuoi allarmi isterici e infondati. Le persone stanno morendo? Sì, ma sempre più tardi e sempre meno povere. Gli ecosistemi stanno crollando? È sempre successo, e ai crollati se ne sostituiscono di nuovi. Non ti perdoneremo mai, Greta, di aver rovinato i nostri tramonti.

DA DOHA A KOBANE, ZARATHUSTRA E L’UMANO DELIRIO - E’ di questi giorni, durissimo, l’effetto che ci fa passare dallo smart skyline di Doha capitale mondiale dell’atletica, all’orrido scheletrico di Kobane capitale universale delle umane perversioni. Bastano un paio di click con l’arma più diffusa sul Pianeta, il telecomando, e si è virtualmente in grado di condividere l’ipereffimero, piuttosto che il più profondo insulto alla coscienza, a quel senso istintivo di lealtà e giustizia, che siamo in grado di reprimere, di violentare appunto con un click. Francamente, trovo difficile seguire impappinamenti per improbabili eredità, sperimentazioni gastronomiche e finanche i drammi dell’avvicendamento milionario sulle panchine del calcio. Ad un certo punto, mi sono chiesto: “Ma chi sono questi curdi, comunque pestati nel mortaio della storia?” Oltre il fascino misterico del loro profeta Zarathustra, ispiratore dello zoroastrismo, di cui si permearono millenarie religioni, civiltà e dinastie di re, da Dario ad Artaserse, credo sia assolutamente importante, fondamentale conoscere per capire un fenomeno come quello curdo, non dissimile da quello di tante altre etnie senza nazione, di minoranze fintamente tutelate, vessate a prescindere. I curdi sono ventidue milioni, ma sparsi e dispersi, scomodi perché allocati nel crocevia più congestionato del medioriente. Paradossalmente , la percentuale maggiore dei curdi vive in Turchia e la minore, appena il quattro per cento, nel territorio siriano oggetto della pesante escalation militare. In realtà, siamo di fronte all’ennesimo assalto pretestuoso, alla ulteriore messa in discussione di equilibri con indotto ricco di diverticoli. Infine, la cosa davvero impressionante è la spudoratezza con cui vengono turlupinati i curdi di frontiera, gli eroi salvifici anti ISIS, la capacità di sceneggiare la finzione dello stizzito disappunto e della sconcertata sorpresa tra il gatto americano e la volpe russa, la tempistica di bradipesche reazioni e intimazioni a futura memoria, di fantasiose sanzioni, piuttosto che la rassegnata temperanza della fatina UE, generosa con i satrapi e ingenerosa con i bisognosi. Alcanterini

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Da Atletica, mensile della Fidal, Anno XXXVI, 1970. Direttore Primo Nebiolo. Direttore responsabile Ruggero Alcanterini. Redattore capo Gianfranco Colasante. Gennaio. Da una corrispondenza di Ugo Politti. Il neo presidente federale Primo Nebiolo ha compiuto una visita ad alcune provincie della Sicilia. Il 20 ha presieduto a Palermo una riunione del Comitato regionale. L'indomani è stato ricevuto dalle autorità regionali e dal Sindaco del capoluogo, visitando lo stadio delle Palme. Il 22 si è recato a Catania, visitando il campo scuola e incontrandosi con il Magnifico Rettore. Accompagnato da Concetto Lo Bello, Assessore allo sport, il giorno successivo si è recato a Siracusa, dove ha visitato il campo scuola e la Cittadella dello sport. In serata ha proseguito per Messina, intrattenendosi con i dirigenti locali e visitando gli impianti del Cus locale. Febbraio. Dal taccuino di Nico Pacilio su Umberto Risi.<>. Marzo. 22-23, Genova, Palazzo della Fiera, primi Campionati Italiani indoor. Nel settore maschile vittorie di Abeti (60 in 6.7), Bianchi (400 in 49.0), Bonetti (800 in 1.51.8), Gervasini (1500 in 3.50.2), Arese (3000 in 8.02.0), Liani (60 ost. in 7.09), Azzaro (alto con 2.11), Righi (asta con 4.70), Lazzarotti (lungo con 7.51), Capiferri (triplo con 15.41), Bergonzoni (peso con 17.08), Lilion Snia Milano con Preatoni, Fusi, Trachelio (metri 200 x 1-2-3 in 2.28.2), Visini (2000 marcia in 8.02.8). Nel settore femminile vittorie di Molinari (60 in 7.5), Govoni (400 in 56.4), Ramello (800 in 2.16.4), Giuli (60 ost. in 8.9), Simeoni (alto con 1.64), Lugoboni (lungo con 5.70), Forcellini (peso con 13.79), Snia Libertas Torino con Di Meglio, Salasso, Lovisolo (metri 200 x 1-2-3 in 3.12.6). Bianca e Nera.Paola Pigni e Bruno Cacchi si sono sposati a Milano nella Chiesa dei SS. Martino e Silvestro il 25 marzo. Al rito hanno assistito le più importanti figure del mondo dello sport e della cultura, tra cui il prof. Deotto, Rettore Magnifico dell'Università statale, il fisiologo prof. Rodolfo Margaria, il vice presidente del Coni Adriano Rodoni, il presidente della Fidal e della Fisu Primo Nebiolo, i complessi direttivi della Snia, per i cui colori la Pigni gareggia e lavora, e del Cus Pro Patria San Pellegrino, di cui il prof. Cacchi è allenatore.La casa di Vincenzo Leone, ex-campione e primatista italiano dei 3000 siepi, ora valido allenatore delle FF.GG., e della signora Liliana, è stata allietata dalla nascita della primogenita Barbara. Nell'ospedale evangelico di Torino è morto il 2 aprile . Nato a Portacomaro nel 1892, il 22 agosto 1920 Arri aveva conquistato la medaglia di bronzo nella maratona olimpica di Anversa dietro il finlandese HannesKolehmainen e l'estone JuriLossman, precedendo altri 32 atleti. Lo starter nazionale Luigi Meschini è stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica. Dal resoconto di Elio Papponetti: A Vichy trionfo della Pigninel 57° Cross internazionale delle Nazioni. Assente per matrimonio (due giorni prima) l'irriducibile avversaria olandese Maria Gommers, sul rettilineo finale l'azzurra (sposatasi tre giorni dopo) riusciva a trovare la forza per prodursi in un ultimo progressivo e dopo una entusiasmante lotta gomito a gomito riusciva a precedere l'insidiosa polacca Kolakovska. Delle altre azzurre, maiuscola prestazione della simpatica Testerini (ottava), valida prova della Boniolo, caduta negli ultimi metri. Nel settore maschile, affermazione, nei seniores, dell'inglese Mike Tags dinanzi a Roelants e Wright (primo degli italiani Pizzi, 26°). Negli juniores, sesto e decimo . Nelle recensioni firmate da Salvatore Massara, spazio per Athletisme-L'Equipe Magazine, diretto da Marcel Hansenne con capo redattore Robert Parienté, per AtfsWomen's Track and Field Handbook di B. Cecins, I.M. Lokshin, L. Mengoni, J. Popper, per Athletics South African-AtletiekSuidAfrikaanse 1970 di Gert le Roux e per Sverige-Bästa 1969, curato da Rooney Magnusson. Universiade 1970. L'Italia ospiterà a Torino, dal 26 agosto al 6 settembre, la più importante manifestazione polisportiva della stagione. Iscritte 63 Nazioni con un totale di 2.316 atleti. Le gare di atletica sono in programma dal 3 al 6 settembre nei nuovi impianti in tartan dello Stadio Comunale.

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CT giovanili: tripletta di titoli per Erdmann e Tahou

Allo stadio Comunale di Bellinzona si sono disputati i Campionati cantonali con la partecipazione di oltre duecento concorrenti con risultati interessanti. Nel medagliere spiccano la VIRTUS Locarno con 27 medaglie e 10 titoli e la SA Bellinzona con 16 medaglie e 9 titoli. A livello individuale, due atleti hanno firmato una tripletta: il lanciatore locarnese Giona Erdmann (in foto) e la bellinzonese Maëva Tahou (SAB). Doppiette per Giada Battaini (USC), Christian Reboldi (SAB), Rémy Piffaretti (ATM) e Elias Hadu (Virtus).

Nella finale dei 100 piani maschili sono state mantenute le promeLa finale dei 100 metri U18 maschili ha mantenuto i pronostici della vigilia : Mattia Schenk, fresco di medaglia di bronzo ai Campionati Svizzeri di categoria, è emerso nel finale e in 11”06 ha vinto il titolo e abbassato il personale di un decimo, precedendo Nathan Oberti arrivato in 11”09, mentre completa il podio Christian Reboldi in 11”18. Reboldi ha firmato una doppietta nei salti: in Alto è salito a 1.83 m per superare Leo Pedrioli (1.73, Virtus), mentre nel Lungo atterrando a 6.72 ha battuto Nicola Fumagalli (GAB) che si è migliorato fino a 6.57 m; in entrambi i casi, si inserisce per il bronzo il momò Gioele Bähler (ATM). Martello, disco e peso sono stati per la Virtus e per Giona Erdmann, che ha firmato tre ori davanti al compagno Anthony De La Paz; doppio bronzo per Fabio Dominé (SFG Biasca), che poi nel giavellotto si è arreso solo a Michel Rossi (SAB). Sui 400 s’impone nettamente Matteo Romano (ATM) su Daniel Barta (SAM). Daniele Romelli (VIGOR), invece, sui 1’500 m supera il duo GAB Luca Innocenti e Siro Gentilini.

Rémy Piffaretti (ATM) vince due ori sui 100 ostacoli in 15”29 e nel salto in alto salendo a 1.69 m, come Lucio Arnaboldi (USA) che vince dal canto suo il giavellotto con 37.63 sul compagno Stefano Porta. Nei lanci, da ricordare la doppietta del campione svizzero Elias Hadu (Virtus) che vince martello e disco. Ottimo il 14.05 che regala il titolo nel peso a Nicolas Cerutti (USA) su Hadu. Splendida anche la gara nel lungo, con Nathan Codiroli (SAB) che vince l’oro con 6.14 metri, la medesima misura di Matteo Borri (SAL) relegato al secondo posto allo spareggio. Sugli 80 metri vola Giona Pasteris (SAB) in 9″47, di misura su Joao Sepulveda (ASSPO, 9”49) e bronzo per Codiroli di un niente su Marco Ventura (ASM). Giulian Guidon (GAB) in 1’30”45 domina i 600 metri davanti a Vincent Bettosini (ASM), già argento negli ostacoli, e Nicola Fattorini (ASM).

Tra le ragazze, la grande protagonista è stata Maëva Tahou che sui 100 metri vince in 12”98 su Sofia Orlando (SAM) e Melina Oberli (Vigor). Per gli altri due ori precede la compagna d’allenamenti Ulla Rossi sui 100 ostacoli, dove completa il podio Nina Altoni (SFG Airolo). Emozionante e ricca di sorpassi la gara del salto in lungo che ha dato alla SAB la tripletta con Tahou (5.43 m), Rossi (5.37 m) e Bernadette Gervasoni (5.33 m). Ulla Rossi s’impone poi nell’alto con 1.53 metri su Siria Cariboni e Marta Tagliabue (GAB). Zoe Ranzoni vince secondo logica gli 800 m in 2’15’’ davanti a Cariboni e Giorgia Merlani (USC). Nel lanci, Giada Battaini firma la doppietta peso e disco, dove si migliora a 31.98 m. Selina Barandun (Virtus) si prende il doppio argento. Nel giavellotto, primato personale e titolo per Lisa Patocchi (Virtus) con 36.97 m davanti a Battaini (36.11 m) e Barandun (30.64 m).

Gaia Iten fa la doppietta nei salti tra le ragazze U16: nel lungo con 4.96 m s’impone in una gara avvincente sul duo dell’Atletica Mendrisiotto con Alina Lazzaroni (4.82 m) e Irene Rivera (4.78 m). Nell’alto invece sale a 1.45 m per precedere il duo SAB Emma Bolliger – Lara Pedrioli a 1.35. La favorita degli 80 metri Desirée Regazzoni (FGM) domina in 10”27 su Sara Broggini (SAM, 10”55) e Matilda Rosa (USC, 10”75). Broggini si impone invece in 12”92 sugli 80 ostacoli. Intensa ed emozionante la finale sui 600 metri, che vede la caduta a 30 metri dal traguardo di Giulia Salvadè (Vigor), mentre la sorella Sara in 1’41”73 salva il titolo su Petra Crescini (ASM, autrice di una grande volata finale) e Zoe Moser (GAB), tutte sotto 1’42’’. Nei lanci emerge ancora una volta la Virtus con Joanne Hartmeier che sfiora i 40 metri nel giavellotto, Mia Schaufelberger nel disco e Claudia Gilgen nel martello. Claudine Albisetti (USA) s’impone nel peso. L Stampanoni, da FTA