L'importante È Partecipare

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L'importante È Partecipare NUMERO 273 in edizione telematica 12 ottobre 2019 IRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] l’importante è partecipare La strada è ancora lunga, molto lunga. Qualcosa di positivo a Doha si è visto, ma dire che l’atletica italiana è guarita, o anche solo convalescente, ci pare fuori luogo. Che Giomi usi toni soddisfatti non è la prima volta, salvo poi doversi ricredere (evidentemente chi prova a credergli, non lui…): analizzando freddamente non bisogna dimenticare che l’unica medaglia è venuta da una specialità che il prossimo anno (e forse mai più, a meno di ravvedimenti di cui al momento non c’è traccia) non farà parte del programma olimpico, ossia la 50 km di marcia. E se non contiamo il bronzo della Giorgi, che giustamente è stata indirizzata verso la distanza più lunga per evitarle ulteriore delusioni (e squalifiche) sui 20 km, il miglior piazzamento è il sesto posto della staffetta maschile 4x400, al quale si aggiungono a livello di finalisti due settimi posti(Tortu sui 100 e la 4x100 femminile) e tre ottavi (Crippa sui 10000, Tamberi nell’alto e Stecchi nell’asta), per un complesso di punti (16) che pone l’Italia al 26° posto della classifica a punti, undicesima a pari con la Svizzera tra le nazioni europee, dove ci precedono Polonia (56), Ucraina (44), Olanda (30), Bielorussia e Francia (25), Svezia (25), Belgio e Norvegia (20), Spagna (19) ed Estonia (17). Insomma, i festeggiamenti è meglio rimandarli visto che il confronto con gli ultimi anni non segnala sostanziali miglioramenti. Qualche risultato positivo c’è stato, ma non si deve al tempo stesso dimenticare le dimensioni di una squadra nella quale a pochissimi è stato negato il viaggio, col risultato di ascoltare nelle interviste a caldo dei primi giorni (poi probabilmente deve essere intervenuto qualcuno ad invitare a maggior prudenza) atleti e atlete soddisfatti nonostante l’eliminazione. Eallora a livello federale si deve fare chiarezza: o si portano tutti quelli che hanno il minimo consapevoli che il record più importante da ottenere è quello del numero di partecipanti, oppure si fanno scelte precise, conseguenza della partecipazione ad impegni non soltanto di bandiera e quindi ai meeting dove il confronto ha un significato e prepara ai sfide più probanti. SPIRIDON/2 Stando alle dichiarazioni di fine manifestazione, il c.t. Antonio La Torre ci è parso il più equilibrato, così come negli anni abbiamo imparato a conoscerlo: nessun trionfalismo, semmai soltanto qualche parola di troppo per rincuorare Filippo Tortu, indubbio talento, al quale però i confronti con Berruti e Mennea pensiamo possano giovare ben poco. Da sempre riteniamo infatti – e facciamo l’esempio della sua specialità, ma vale per qualsiasi altra gara – che chi corre regolarmente in 10”10, centesimo più centesimo meno, una volta ogni tanto trova le condizioni ideali per scendere di qualche centesimo sotto i 10” netti. Ma questo non vuol dire che acquisisca un nuovo status, ossia che il 9”99 (ripetiamo, è un esempio) diventi il suo standard abituale, da cui ripartire la gara successiva. No, tornerà ai 10”10 o giù di lì. Tortu è indubbiamente un talento che va considerato, ma anche preservato da tutte quelle comparsate che possono minarne gli equilibri, non avendo certo il carattere estroverso di un Tamberi. E lo stesso discorso, se si vuole che continuino a migliorare, vale per Re, Crippa, Jacobs e la Palmisano, e per chi sta al momento ancora un gradino più sotto come Stecchi, atteso comunque a conferme già nel prossimo inverno, e pochi altri. Piuttosto ci si dovrebbe incominciare a preoccupare seriamente dell’involuzione di qualcuno, prima fra tutti Alessia Trost. E magari per allenarla, buttiamo lì, anzichécontinuare a insistere suTamberi padre, perché non provare ad affidarla a quella Valeria Musso che continua a plasmare ottimi saltatori in alto? Le staffette meritano poi un discorso a parte, fermo restando che per quanto ci riguarda solo la 4x400 è degna della massima considerazione essendo la 4x100 troppo aleatoria e addirittura condizionante – almeno per come viene valutata dalle nostre parti – per velocisti che possono aspirare a risultati individuali, in quanto l’atletica è e rimane sport individuale, con tutte le sane rivalità che ne derivano, e non sport di squadra. Riguardo alla staffetta mista poi confermiamo la prima impressione di una buffonata, al paridelle gare europee con numero ridotto di salti e lanci, utile a regalare effimera gloria a chi spera di potersi mettere una medaglia in più al collo ed in questo modo di dimostrare chissà che. E parimenti ci pare assurdo la definizione di semifinalisti per 24 atleti. Probabilmente anche il baronetto inglese al vertice della Iaaf deve darsi una regolata, perché finora sembra soltanto in grado di dimostrare l’antico postulato che essere stato un grande atleta non significa poi saper allenare o dirigere. Un’ultima considerazione generale. A dispetto di tutte le remore della vigilia, questi Mondiali di Doha hanno proposto ottime gare e, come ci è capitato di leggere in uno scritto di Luciano Barra, il fatto che si sia gareggiato in tempi e condizioni climatiche poco gradite agli europei, non deve far dimenticare che l’atletica del Vecchio Continente non è al momento trainante e viceversa mai ci si è preoccupati se, per esempio, gli africani doveva combattere il freddo delle nazioni nordiche (basta ricordare, al proposito, proprio la rassegna iridata di Helsinki 2004). Tanto più che, alla resa dei conti, i migliori hanno finito per emergere, indipendentemente da dove si gareggiava. Giorgio Barberis SPIRIDON /3 fuori tema Cosa aggiungere, di nuovo, ai commenti seguiti ai campionati mondiali di Doha e dopo le lunghe e non sempre agevoli ore trascorse dinanzi agli schermi. Nulla. Se non prendere atto che l'apparizione di piccoli, nuovi spiragli ha reso appena meno ostile l'orizzonte. Se non confermare che l'atletica italiana vive più di sofferenza che di benessere. Che sarebbe stato onesto e utile se un quarto della rappresentativa fosse rimasto a casa. Che la nostra incidenza agonistica in un panorama internazionale è inesorabilmente bloccata ai confini europei. Che le prospettive di crescita in vista dell'Olimpiade di Tokyo sono al momento pura utopia. Che sul territorio nazionale, tra diretti fruitori degli spettacoli sportivi, organi di informazione affidati all'idiozia e comparti politico-amministrativi centrali e periferici distratti il ruolo della disciplina ha subito un ulteriore calo in termini di coinvolgimento e di attrattiva. Direttore tecnico, uomo di diffuse esperienze, da poco su una torre di comando che di ben altri tempi necessiterebbe, avendone le qualità, e di lui se ne dà per certo il possesso, per un drastico salto di valori, a commento di Doha Antonio La Torre ha tenuto a sottolineare "l'inversione di un mood". Se abbiamo bene interpretato l'uso di un termine che avrà costretto nove dirigenti di società tradizionali su dieci alla febbrile consultazione di un vocabolario o di internet, di quel mood abbiamo visto poco. Ma la fiducia negli uomini ci sostiene. Sempre in tema di campionati mondiali, poiché il confinamento della disciplina in una frequenza televisiva gregaria, aggiunta all'inspiegabile assenza a Doha di una voce radiofonica, ha precise responsabilità, e poiché alcune invasioni di campo sono state plateali, qualcuno si sarà chiesto e si chiederà come e perché il ciclismo – con le indigestioni di dirette e differite, dal palio cittadino alla fiera paesana, e con il rischio di rendere ai più indigesta, anche per via di inascoltabili telecronache, una splendida disciplina – violenti sistematicamente i palinsesti televisivi. La risposta è una e una sola: la responsabilità è del direttore di Rai Sport Auro Bulbarelli e di chi, ai vertici dell'azienda di Stato, ne regge il ruolo. Sul piano generale degli scivolosi rapporti esistenti tra la dirigenza sportiva nazionale (Giovanni Malagò con le sue trincee all'esterno e all'interno di un Foro Italico ridotto ad un amaro spezzatino) e la nuova composizione ministeriale delegata alle politiche giovanili e allo sport (Vincenzo Spadafora), cresce il contrasto sul versante invernale Milano-Cortina. Non è novità che una vigilia olimpica sia segnata da una ingombrante quantità di polemiche, di dissapori e di interessi, leciti e meno, contrapposti. C'è chi vuole e chi non vuole. C'è chi non lo vuole, ma Spadafora ne è immune, ed è il caso dell'aeroporto di Sant'Anna di Fiames, inaugurato nel 1962, sei anni dopo l'edizione olimpica invernale, prima cronologicamente nella storia dello sport nazionale, utile nei tracciati incrociati Venezia-Milano-Torino e chiuso nel 1976 dopo un gravoso incidente. Ed è il caso dei litigi, e qui Spadafora c'entra mani e piedi, di attualità e relativi alla nomina dell'uomo che dovrà gestire l'evento nel massimo dei ruoli. C'è chi lo vuole e chi non lo vuole: Stefano Domenicali, l'uomo che nel 2008 subentrò a Jean Todt nella gestione della Ferrari uscendone pochi anni dopo, era il 2014, con note poco esaltanti, secondo tradizioni aziendali e padronali, con un unico titolo per case costruttrici e una sequela di modeste prestazioni individuali. Si tratta di uno di quei casi in cui ognuno insegue le proprie idee, affidandole ai comunicati e non ai confronti diretti, dando la chiara sensazione di come in alcune altitudini il buon senso sembri smarrirsi. Lo vuole Malagò, non lo vuole, almeno in apparenza per una questione formale, Spadafora, che nel poco tempo al vertice del dicastero sembra aver fatto punto o poco per migliorare la confusione ereditata dal predecessore Giorgetti con l'istituzione di Sport&salute. Scopiazzando senza pudori Archibald Joseph Cronin: e lo sport resta a guardare. Ma anche Thomas Bach, ancora per poco, dalla sede di Losanna. [email protected] SPIRIDON/4 Doha, la lingua batte ….
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