LA FORMA DEL MONDO Commento E Analisi Di Roberto Fontana Su L
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LA FORMA DEL MONDO Commento e analisi di Roberto Fontana su L’AMBARKANTA di J.R.R. Tolkien Introduzione L’Ambarkanta è un saggio breve, sull’origine e la forma del mondo, scritto da J.R.R. alcuni anni dopo aver interrotto la stesura del Quenta Silmarillion (probabilmente 1930-1937), la narrazione che sarebbe poi stata pienamente sviluppata nel Silmarillion vero e proprio. La versione originale è stata pubblicata da Christopher Tolkien nel IV volume della “History of Middle-earth”, The Shaping of Middle-earth, 1986. Qui compaiono anche delle note di Christopher e delle cartine in bianco e nero che schematizzano gli spaccati di Arda e la forma dei continenti nelle varie ere, cartine che ho personalmente ridisegnato, colorandole ed arricchendole di riferimenti. La pagina di copertina porta il seguente frontespizio: Ambarkanta La forma del mondo Rúmil `Cw#6aE4# È interessante notare che, come indicato nell’intestazione, l’autore a cui il saggio viene attribuito è Rúmil, lo stesso studioso di Valinor che, secondo la tradizione, avrebbe inventato la prima forma di scrittura elfica, i Sarati: questo personaggio era giù stato introdotto nei R.R., mentre non figurava nel successivo Quenta. Riappare ora in questo frammento, come suo autore, ed anche successivamente verrà indicato come autore di altri saggi. Nel Silmarillion gli viene attribuita la scrittura dell’Ainulindalë, la Musica degli Ainur, e del Valaquenta, il Novero dei Valar; famosa la sua raccolta “I Equessi Rumilo” (Le massime di Rúmil), che è una collezione di suoi pensieri dai primi giorni degli Eldar in Valinor, e che tratta anche il linguaggio Valarin. Ma il documento di maggior interesse per gli storici è il testo chiamato “Gli Annali di Aman” (o di Valinor), che narra gli eventi successi anno per anno in Valinor fino alla creazione del Sole e della Luna, ed è quindi una delle probabili fonti del Quenta Silmarillion; la cronistoria di Rúmil si ferma però al Destino dei Noldor nell'A.V. 1496, e non prosegue con le gesta degli Esuli nella Terra di Mezzo: questo fa pensare che Rúmil non si sia mosso da Túna, oppure che si sia mosso con la compagnia di Finarfin, e sia quindi tornato indietro con lui dopo la pronuncia della Profezia di Mandos. Rúmil era anche interessato alle lingue: ne imparò moltissime, e produsse alcuni studi di linguistica elfica, ora perduti, ma che Pengolodh il Saggio lesse e sui quali si basò per due suoi lavori, il Lhammas ed il Lhammasethen. Inoltre, quando Pengolodh venne in Valinor a metà della Seconda Era, Rúmil revisionò il suo Quenta Silmarillion, aggiungendo alcune note, come la menzione dei veri nomi di Mandos e Lórien (Námo e Irmo). Nei R.R. Eriol incontra Rúmil in Tol Eressëa, che gli racconta gran parte della storia dei Primi Giorni, mentre nei R.P. Ælfwine non ha rapporti con lui, ma ne legge gli scritti, ed incontra invece Pengolodh, che gli narra molte storie, fra cui l'Ainulindalë. 1 Il testo inizia con il seguente titolo Della foggia del Mondo Tutt’attorno al Mondo ci sono le Ilurambar, o Mura del Mondo. Sono come ghiaccio e vetro e acciaio, fredde, trasparenti e dure, oltre ogni immaginazione dei Figli del Mondo. Non possono essere viste, e nemmeno possono essere oltrepassate, se non attraverso la Porta della Notte. Le Mura del Mondo vengono citate anche nel Silmarillion a proposito delle aule di Nienna: “Le sue aule si trovano a occidente dell’Occaso… Le finestre di casa sua guardano fuori delle pareti del mondo” [S., Valaquenta]; ma è solo nell’Ambarkanta che esse vengono descritte dettagliatamente. Esse sono sferiche, fredde ed impenetrabili, ed avvolgono tutto il Mondo, cosicché si comprende perché “Il Mondo era sferico in mezzo al Vuoto” [S., Ainulindalë]. Fuori delle Mura del Mondo si estende Kúma, o Ava-kúma (vedi mappe I e II), la Tenebra Esterna, il Vuoto. Questo muro era già stato citato nei R.R. con il nome « Muro delle Cose », e si afferma essere di colore « blu intenso », mentre ciò che si estende fuori di esso è chiamato anche in questo testo Kúma, ma è definito come « l’immensità priva di stelle », « l’oscurità esterna »; nel S., invece, non ne viene dato il nome elfico, ma viene mantenuta la definizione usata nell’Ambarkanta: « Mura del Mondo », ed anche « Mura della Notte »; al di fuori, vi è « il Vuoto », « il Vuoto Atemporale », senza però riportarne il nome elfico. Anche la Porta della Notte, Ando Lómen, è menzionata sia nei R.R. che nel S.; nel primo testo, d’altronde, l’origine di questa porta è di tutt’altra natura: « Così avvenne che gli Dèi osarono un'impresa enorme, la più potente di tutte le loro opere; infatti, fabbricata una flotta di zattere e barche magiche con l'aiuto di Ulmo - e diversamente nessuna di loro sarebbe stata in grado di navigare sulle acque di Vai - si diressero verso il Muro delle Cose, e qui costruirono la Porta della Notte (Moritarnon o Tàrn Fui, come la chiamano gli Eldar nelle loro lingue). Essa esiste ancora, tutta nera e gigantesca nella muraglia blu intenso. I suoi pilastri sono del basalto più resistente e così pure l'architrave; sopra vi sono scolpiti grandi draghi di pietra scura, dalle cui mascelle spira lentamente un fumo tenebroso. Possiede battenti indistruttibili, che nessuno sa come venissero costruiti o collocati, in quanto agli Eldar non fu concesso di prender parte a quell'opera tremenda, l'ultimo segreto degli Dèi; e neppure un attacco da parte del mondo intero può forzare la porta, che si apre soltanto con una parola magica. Urwendi è l'unica a conoscerla, oltre a Manwé, che gliela comunicò; perché oltre la Porta della Notte si trova l'oscurità esterna e chi l'attraversa può fuggire il mondo e la morte, udendo cose non ancora destinate all'orecchio degli Abitanti della Terra, e ciò non deve accadere. Nell'Est, comunque, l'opera degli Dèi fu d'altro genere; qui infatti fu innalzato un grande arco, che si dice sia d'oro lucente e chiuso da battenti d'argento, nonostante pochi anche fra gli Dèi l'abbiano visto, per l'abbondanza di vapori incandescenti che spesso gli aleggiano intorno. Anche i Cancelli del Mattino si aprono solo dinanzi a Urwendi; la parola che pronuncia è la medesima usata per la Porta della Notte, ma a rovescio » In questa prima concezione cosmogonica, Sole e Luna dovevano passare, a tempo debito, attraverso la Porta della Notte, uscire nel Vuoto esterno, qui rinfrancarsi e rivitalizzarsi, e quindi rientrare nelle Cerchia del Mondo attraverso i Cancelli del Mattino. Questo meccanismo era legato allo scorrere del tempo (gli Ainur Anno, Mese e Giorno), ed anche alla profezia del ritorno finale di 2 Melkor (quando il Sole e la Luna cercheranno di passare insieme attraverso la Porta della Notte, questa crollerà e Melkor potrà tornare). Nel S., questa concezione cambia totalmente: Sole e Luna non escono nel Vuoto esterno, ma passano sotto il Mondo (vedi oltre); i Cancelli del Mattino scompaiono dalla narrazione, mentre la Porta della Notte vi rimane, ma è menzionata solo perché Melkor è confinato nel Vuoto Atemporale attraverso di essa; Urwendi non è più la custode, ma ora è Eärendil a guardarle, affinché Melkor non possa ritornare. Rimane invece senza risposta la domanda su come abbiano fatto i Valar ad oltrepassare queste mura arrivando dall’esterno, appena dopo la creazione del Mondo, o se essi abbiano invece il potere di poterle attraversare liberamente; quest’ultima possibilità sarebbe però in contraddizione col fatto che Melkor, una volta esiliato nella Tenebra Esterna, non possa attraversarle se non per mezzo della Porta della Notte, sorvegliata da Eärendil [S., Il viaggio di Eärendil e la Guerra d’Ira]. Ancora più incomprensibile è il fatto che Melkor, dopo essere stato scacciato da Tulkas all’Inizio dei Giorni nella tenebra esterna, “oltrepassò con il suo esercito le Mura della Notte, e giunse all’estremo nord della Terra di Mezzo” [S., L’inizio dei giorni]; lo stesso Christopher Tolkien, in una sua nota al testo, definisce l’argomento “intrattabile” in questo contesto e rimanda alla cosmologia tolkieniana più tarda. Entro queste mura è compreso il globo della Terra: sopra, sotto e da ogni lato vi è Vaiya, l’Oceano Cerchiante. Ma questo è più simile al mare sotto la Terra, e più simile all’aria sopra la Terra. In Vaiya sotto la Terra risiede Ulmo. Sopra la Terra si trova l’Aria, che è chiamata Vista, e sostenta uccelli e nuvole. Perciò è chiamata nella sua parte superiore Fanyamar, o Dimora delle Nuvole, ed in quella inferiore Aiwenórë, o Terra degli Uccelli. Ma questa aria si stende solo sopra la Terra di Mezzo ed i Mari Interni, ed i suoi veri confini sono i Monti di Valinor ad Ovest e le Mura del Sole ad Est. Per la qual ragione le nuvole giungono raramente a Valinor, e gli uccelli mortali non oltrepassano i picchi delle sue montagne. Ma nel Nord e nel Sud, dove maggiormente c’è freddo ed oscurità e la Terra di Mezzo si estende quasi fino alle Mura del Mondo, Vaiya e Vista ed Ilmen confluiscono insieme e si confondono. Ilmen è quell’aria che è chiara e pura, essendo permeata di luce benché non dia luce. Ilmen è situata sopra Vista e non ha grande profondità, ma è più profonda ad Ovest ed Est, e meno nel Nord e nel Sud. A Valinor l’aria è Ilmen, ma talvolta Vista vi affluisce, specialmente nella Dimora Elfica, di cui una parte si trova alle pendici orientali delle Montagne; e se Valinor è oscurata e l’aria non è mondata dalla luce del Reame Beato, prende la forma di nuvole e grigie nebbie.