Post/teca materiali digitali a cura di sergio failla 01.2011

ZeroBook 2011 Post/teca materiali digitali

Di post in post, tutta la vita è un post? Tra il dire e il fare c'è di mezzo un post? Meglio un post oggi che niente domani? E un post è davvero un apostrofo rosa tra le parole “hai rotto er cazzo”? Questi e altri quesiti potrebbero sorgere leggendo questa antologia di brani tratti dal web, a esclusivo uso e consumo personale e dunque senza nessunissima finalità se non quella di perder tempo nel web. (Perché il web, Internet e il computer è solo questo: un ennesimo modo per tutti noi di impiegare/ perdere/ investire/ godere/ sperperare tempo della nostra vita). In massima parte sono brevi post, ogni tanto qualche articolo. Nel complesso dovrebbero servire da documentazione, zibaldone, archivio digitale. Per cosa? Beh, questo proprio non sta a me dirlo.

Questo archivio esce diviso in mensilità. Per ogni “numero” si conta di far uscire la versione solo di testi e quella fatta di testi e di immagini. Quanto ai copyright, beh questa antologia non persegue finalità commerciali, si è sempre cercato di preservare la “fonte” o quantomeno la mediazione (“via”) di ogni singolo brano. Qualcuno da qualche parte ha detto: importa certo da dove proviene una cosa, ma più importante è fino a dove tu porti quella cosa. Buon uso a tutt*

sergio

Questa antologia esce a cura della casa editrice ZeroBook. Per info: [email protected] Per i materiali sottoposti a diversa licenza si prega rispettare i relativi diritti. Per il resto, questo libro esce sotto Licenza Creative Commons 2,5 (libera distribuzione, divieto di modifica a scopi commerciali). Post/teca materiali digitali a cura di Sergio Failla

01.2011 (solo testo)

ZeroBook 2011

Post/teca

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Internet 2010: cosa è successo?

Tutti gli avvenimenti che hanno animato il mondo di internet nel corso dell'ultimo anno. Nel 2007 un team di ricercatori del Nemertes Research Group aveva analizzato il tasso di crescita del traffico dati in Rete e aveva inferito che nel 2010 Internet sarebbe arrivata al collasso. L’ipotesi avanzata dagli studiosi si basava sull’osservazione che la crescita della quantità di informazioni veicolata delle infrastrutture di Rete planetarie sarebbe stata superiore a quella che lo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche avrebbe potuto sostenere. Fortunatamente questa previsione apocalittica si è rivelata infondata, grazie anche al crescente sviluppo di tecnologie di cloud computing, e la salute generale dell’universo Internet alla fine del 2010 non è affatto critica.

Al contrario, nonostante gli effetti della crisi economica mondiale, Internet e il web sono in ottima salute, al punto da diventare sempre più uno strumento imprescindibile per la ricerca di qualsiasi tipo di informazioni, per la comunicazione, per sostenere le attività delle imprese, per l’intrattenimento. Uno sguardo alle statistiche, riferite all’Italia, aiutano a focalizzare l’entità del fenomeno Internet come si profila alla fine del 2010. Ad ottobre di quest’anno sono circa 24 milioni gli italiani che accedono a Internet, un po’ più del 50% dell’intera popolazione. In particolare, sono circa 21 milioni gli utenti che dichiarano di connettersi alla Rete almeno una volta alla settimana. In realtà, però, gli utenti che usano Internet sporadicamente sono ormai una percentuale esigua, infatti mediamente gli italiani vanno online almeno 5 volte a settimana, evidenziando quanto la Rete e i suoi servizi stiano diventando ormai sempre più indispensabili nella vita quotidiana di gran parte della popolazione. Quello che rattrista è che invece nel nostro paese l’utilizzo della Rete a scuola rimane bloccato alla stessa incidenza del 2004. Segno evidente che, a dispetto di tanti annunci di riforma e di ammodernamento delle compagini scolastiche da parte dei nostri governi, nulla di sostanziale è mai stato fatto realmente per offrire ai giovanissimi un vero cambiamento negli strumenti tecnologici, con l’effetto di migliorare radicalmente la qualità della formazione primaria. In che posizione si trova l’Italia rispetto agli altri paesi più industrializzati per quanto riguarda l’utilizzo della Rete? La Gran Bretagna è la nazione più internettizzata, con un utilizzo di Internet da parte di più dell’80% della popolazione. Seguono Germania,

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Giappone, Canada, Stati Uniti e Francia, tutti con quote superiori o uguali al 70%. Argentina e Spagna hanno una percentuale di utilizzo intorno al 60-65% dell’intera popolazione. L’Italia, con la sua percentuale leggermente superiore al 50%, si posiziona al nono posto, mostrando un significativo attardamento nella diffusione e nell’uso di Internet. Ancora una volta, non si può non attribuire alle politiche governative nazionali la responsabilità principale dell’arretratezza tecnologica che continua a connotarci. In questo contesto, quali sono state le principali tendenze che quest’anno hanno caratterizzato lo sviluppo di Internet? I social network e in particolare Facebook sono le aree del web più frequentate in assoluto dagli utenti. A novembre 2010 risultano essere 12 milioni gli italiani iscritti al social network creato da Mark Zuckerberg, cifra che corrisponde al 26% dell’intera popolazione. Invece, rispetto al totale degli utenti Internet del Bel Paese, corrispondono al 62% degli uomini e al 65% delle donne. Negli USA, addirittura, Facebook assorbe agli utenti più tempo di permanenza online di Google , ponendosi a buon diritto come il sito più frequentato in assoluto. Questo sorpasso non deve passare inosservato: è la spia di un cambiamento epocale nelle abitudini dei netizen. Se finora, infatti, la quota più ampia del tempo speso in Rete è stata dedicata alle ricerche di informazioni, ormai la maggior parte dei frequentatori del web preferisce dedicarsi a interagire con altri utenti attraverso spazi di aggregazione sociali. In questo senso Facebook è diventato una sorta di web nel web, di hub in cui tutti i contenuti e le attività che si svolgono da ogni parte del web vengono riversate, condivise e discusse. L’unico problema di tutto questo è quello che gli esperti di comunicazione definiscono “rumore sul canale”. In altri termini, dal momento che tutte le informazioni presenti in Facebook sono introdotte direttamente dagli utenti e quindi non sono prefiltrate, si corre il rischio di trovarsi sommersi da una valanga di contenuti totalmente eterogenei e di scarso interesse, con l’esito di non riuscire a trovare notizie e contenuti realmente interessanti solo con enorme difficoltà. Proprio il tentativo di risolvere questo problema potrebbe essere il punto di partenza verso un’ulteriore evoluzione di Facebook o di altri social network, o più in generale del web. Un altro social network in crescita considerevole è Twitter, in cui l’effetto rumore però è ancora più elevato e aggravato dall’estrema asfitticità delle informazioni veicolate – ogni post non può superare i 140 caratteri. Risultato: una crescita rapidissima nel numero di iscrizioni accompagnata però da un tasso di abbandono tra i più alti tra quelli registrati in tutti i social network: il 60% degli utenti abbandona Twitter già il mese successivo alla creazione dell’account. Tra gli altri social network appare sempre più inarrestabile l’affermazione di YouTube, che sta espandendo i suoi servizi in direzione dello streaming televisivo. I media center per la TV usciti quest’anno infatti puntano a integrare tra i loro servizi l’accesso a Internet e ai contenuti video esistenti, in primo luogo proprio di quelli di YouTube . Un esempio per tutti è la Google TV, presentata in anteprima all’IFA di Berlino, un set top box

6 Post/teca che porta l’utente verso una perfetta convergenza di Internet e televisione, in un ambiente che dal punto di vista tecnologico è basato sull’agilissimo quanto versatile sistema operativo Android. Sebbene possa essere considerato un progetto di quest’anno, sarà comunque solo nel 2011 che potremo iniziare a valutare l’impatto di questa nuova tecnologia – e in generale dell’integrazione tra televisione e Internet – sull’evoluzione del rapporto della popolazione con i media. In questo scenario, contraddistinto da una parte dall’esigenza di socialità attraverso la Rete e dall’altra da una crescente convergenza di televisione e Internet, non poteva non inserirsi Apple. Anche Apple propone il suo media center, Apple TV , con caratteristiche sicuramente innovative, anche se ancora lungi dall’affermarsi pienamente sul mercato e non ancora commercializzato in Italia. Il contributo veramente innovativo di Apple in realtà si colloca su un altro versante, altrettanto importante: quello dell’esportazione verso il mobile di tutti i contenuti e i servizi Internet. Prima con l’introduzione dell’iPhone, quest’anno giunto alla quarta versione, poi con il lancio dell’iPad, vero fenomeno tecnologico di punta del 2010, l’azienda di Steve Jobs detta nuove regole all’approccio all’universo Internet. Alla base di tutto sono le app, i software concepiti per funzionare all’interno dei device portatili di piccole dimensioni e capaci di svolgere ciascuno una serie di funzionalità ben definite. Il principio è: per ogni servizio, un’app. Lo stesso vale per i servizi e le attività che si riferiscono a Internet e al web. Vuoi leggere le notizie del tuo giornale online preferito? Usa l’app di quel giornale. Vuoi seguire gli aggiornamenti di Facebook? Usa una delle app dedicate proprio al social network. Vuoi fare un acquisto su eBay, c’è un’app dedicata. E così via, convincendo alcuni analisti che proprio a causa delle app il web in senso tradizionale, basato sul browser, sia ormai in agonia avanzata. In effetti è azzardato affermare che le app distruggeranno il web tradizionale. Certo è che, come già definito dalle caratteristiche del Web 2.0, non è più concepibile un web statico, fatto di compartimenti stagni non interrelati se non mediante qualche link. Ormai Internet e il web sono innanzi tutto servizi che stimolano la creatività e la produttività diretta degli utenti e l’idea portante è: connessi sempre e dovunque. Con l’effetto di riversare in Rete ogni esperienza fatta e condividerla con i propri contatti. In questo senso il social network Foursquare rappresenta un esempio interessante di tendenza che nel 2011 potrà svilupparsi in modo sempre più forte. Si tratta di un social network pensato proprio per un utilizzo da smartphone dotato di GPS. Il funzionamento è semplice: grazie al GPS Foursquare è in grado di localizzare la posizione fisica dell’utente dovunque si trovi durante la giornata. Nelle mappe associate al servizio la posizione viene individuata su una mappa in cui sono presenti esercizi commerciali, ristoranti, alberghi e ogni tipo di punto d’interesse. Ogni volta che l’utente accede a uno di questi luoghi predefiniti effettua un check, ossia registra la sua presenza e rende la cosa visibile alla comunità di Foursquare. Ovviamente questo permette di creare relazioni tra gli utenti

7 Post/teca basandole proprio sulla prossimità fisica o sui commenti ai luoghi e, dall’altra parte, consente agli esercenti di proporre servizi e promozioni commerciali sulla base della presenza fisica reale di un iscritto a Foursquare in un determinato luogo. Per esempio: i primi venti utenti che fanno un check in piazza Duomo a Milano vincono uno sconto del 20% sull’acquisto di un prodotto a propria scelta alla Rinascente. Insomma, la vita reale passa ormai attraverso Internet e non potrà più separarsene. Considerando la crescita vertiginosa degli acquisti di smartphone – non solo Apple, ma anche quelli basati su Android o su altri sistemi operativi per mobile – c’è da pensare che entro pochissimi anni la maggior parte degli accessi a Internet verrà effettuata mediante dispositivi ultraportatili. A conferma di una tendenza che ha iniziato a manifestarsi pienamente quest’anno e che sta gettando le basi per l’Internet del futuro. fonte: http :// www . webmasterpoint . org / speciale / internet -2010. html

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Tecnologia 2010: i fatti principali. Che cosa è successo?

Gli eventi tecnologici che hanno segnato il 2010: nuovi prodotti, tecnologie annunciate e affermate nel 2010 Il 2010 probabilmente non sarà ricordato come un anno in cui sono state lanciate tecnologie che hanno cambiato radicalmente la vita umana. Però ci sono numerose innovazioni tecnologiche che sono assolutamente rilevanti e che lasceranno il segno negli anni a venire. Proviamo a capire qual è il retaggio tecnologico di quest’anno che sta volgendo al termine. La quasi totalità degli appassionati di gadget e dispositivi hi-tech ricorderà il 2010 come l’ anno dell ’ iPad . Sicuramente il tablet di Apple ha introdotto una nuova ondata di energia nel mercato. Se infatti il 2009 ha visto concentrare intorno ai netbook le attenzioni di chi cercava dispositivi portatili con caratteristiche simili ai computer, a partire da aprile di quest’anno l’universo dell’hi-tech si è concentrato sulla tavoletta supertecnologica di Apple e tutti – utilizzatori ed esperti – hanno fatto a gara a tesserne le lodi o a evidenziarne i (non pochi) difetti e limiti. Tutti gli altri produttori, come era accaduto per l’iPhone, hanno iniziato a creare nuovi tablet PC pronti a lanciare la sfida a Cupertino su questo nuovo segmento di mercato. Oggi, alle soglie del 2011, si sa bene che l’iPad ha creato un nuovo

8 Post/teca oggetto tecnologico finalizzato a effettuare navigazioni veloci sul web, a leggere libri, giornali e riviste in formato digitale, ma soprattutto a mettere a disposizione dell’utente un universo quasi infinito di applicazioni che aprono il dispositivo a una serie inesauribile di opportunità di utilizzo, i cui confini sono solo nella fantasia degli sviluppatori.

Sull’onda dell’iPad, ha raggiunto la sua maturità anche un altro tipo di dispositivo, l’ebook reader, che somiglia molto al tablet di Apple, ma in realtà serve quasi esclusivamente a permettere la lettura di libri e giornali digitali nel modo più confortevole per la vista. Inoltre permette l’inserimento di appunti e segnalibri, così come di introdurre sottolineature e note che possono essere direttamente apposte sul testo. Insomma, l’idea di fondo è: scordatevi i libri di carta, ormai ogni testo si può visualizzare, e meglio, su uno schermo elettronico. La tecnologia che sta alla base di oggetti come il Kindle di Amazon , arrivato al terzo modello, è l’E Ink, un particolare tipo di display che ottimizza la qualità del contrasto e rende i caratteri e le immagini in bianco e nero – tipiche della maggior parte dei libri e dei giornali in commercio – perfettamente nitide e riposanti per la vista. Già a dicembre 2009 Amazon ha dichiarato che il lettore di ebook Kindle è l ’ oggetto più venduto della storia dell’azienda, mentre le vendite di ebook hanno superato quelle dei libri cartacei. Un trend che si è mantenuto nel corso del 2010 e che seguiterà a crescere negli anni futuri. Al punto che parecchi analisti si chiedono se non sia già segnato il destino dei libri e delle librerie tradizionali... Un’altra tecnologia che nel 2010 ha mostrato tutte le sue reali potenzialità è il sistema operativo per dispositivi mobili creato da Google, l’Android, arrivato alla versione 2.3 Gingerbread. Nato inizialmente come piattaforma software per smartphone di ultima generazione, la versatilità del sistema operativo ha consentito di adattarlo con successo a una quantità di device diversi, dai tablet PC ai netbook, aprendo le porte a un universo di applicazioni di portata imprevista. Essendo basato su un codice open source, la comunità di sviluppatori ha accolto con entusiasmo Android e ha iniziato a creare app che hanno decretato il vero successo dei dispositivi basati su questo sistema operativo, che sono ormai intesi come i veri anti iDevice. Quasi tutti gli utenti che hanno acquistato un iPhone hanno dichiarato che la più valida alternativa al melafonino è proprio uno smartphone con Android. Proprio lo sviluppo pressoché esponenziale di applicazioni per dispositivi mobili – e da pochissimo è entrato in campo anche Windows Phone 7, che segue una filosofia simile – è la vera novità del 2010, che sta spostando le abitudini degli utenti dall’uso di device diversi per ogni differente funzione all’idea che possa esserci un unico dispositivo con cui fare tutto, a condizione di installarvi l’applicazione che serve. Inoltre, questo dispositivo jolly è portatile e può essere connesso a Internet in modo permanente. A ben pensare, questa è a tutti gli effetti una piccola rivoluzione. Altra tendenza in atto nel 2010 è stato il sorpasso dei dispositivi mobili rispetto a

9 Post/teca quelli fissi: si vendono sempre meno computer desktop rispetto ai portatili e agli ultraportatili. E nel campo della telefonia, sono sempre più numerosi gli utenti che preferiscono spendere qualche euro in più e portare a casa uno smartphone anziché accontentarsi del solito telefonino con poche funzionalità. E utilizzare così lo smartphone come sostituto del PC per la navigazione sul web e per la comunicazione (email, chat, accesso ai social network, ecc.). Ovviamente, perché un dispositivo multifunzionale possa davvero essere continuamente arricchito con nuove applicazioni, è necessario che disponga di una banca di memoria di massa ampia. Una delle tecnologie che ha consentito infatti lo sviluppo dei nuovi smartphone e dei computer ultraportatili è proprio la miniaturizzazione delle memorie flash, che consentono di immagazzinare montagne di informazioni occupando un ingombro assolutamente ridotto. Un esempio di queste nuove memorie sempre più ampie e contemporaneamente sempre più fisicamente compatte è la nuova memoria flash SDXC , apparsa per la prima volta nel 2009, ma solo quest’anno arrivata a pieno titolo sul mercato. Permette di archiviare fino a 2 terabyte di dati e di trasferirli alla velocità di 104 megabyte per secondo. Questa tecnologia nei prossimi anni permetterà per esempio di realizzare nuovi dispositivi per le videoriprese capaci di riprendere in alta definizione, o addirittura in 3D, senza più rischiare di esaurire rapidamente la memoria disponibile. Restando nell’ambito dell’audio/video, il 2010 è l’anno dell’introduzione sul mercato dei primi televisori 3 D . Sebbene gli utenti che li hanno provati ne diano un giudizio positivo, questa nicchia di mercato al momento ha una crescita quasi azzerata . Le ragioni sono diverse, ma innanzi tutto il problema è che mancano i contenuti che giustificano l’acquisto, non certo a basso costo, di questi apparecchi televisivi sofisticatissimi. Ci sarà da attendere il 2011 per vedere se e come l’industria di produzione di contenuti televisivi e di intrattenimento si orienterà a offrire agli utenti un catalogo di proposte capaci di valorizzare al meglio la tecnologia dell’home 3D. Intanto, in Italia Sky ha inaugurato l ’ era del broadcasting in 3 D , trasmettendo il 3 ottobre scorso la Ryder Cup di golf. L’altro fronte dell’intrattenimento aperto alle più ampie sperimentazioni è quello dei videogiochi. Nel 2010 sono state introdotte sul mercato la Kinect per Xbox 360 e la PlayStation Move . Quest’ultima è un controller provvisto di una sfera che si connette otticamente a una videocamera collegata alla console. Il controller dispone di accelerometri e giroscopi che permettono di rilevare in ogni istante la posizione del device e la velocità con cui si sposta. Uno strumento che dà modo ai giocatori di gestire tutte le azioni del gioco in modo estremamente naturale e istintivo. Kinect invece è semplicemente – si fa per dire – una videocamera, che registra la posizione del corpo del giocatore ed è in grado di leggerne i movimenti interpretandoli come comandi per guidare le azioni del gioco. Un dispositivo rivoluzionario che parecchi sviluppatori vogliono adattare a un utilizzo con il PC per la gestione dinamica e naturale di applicazioni di nuova concezione . Guardando alle tecnologie informatiche e telematiche, sicuramente il 2010 ha portato

10 Post/teca un consolidamento del cloud computing . L’utilizzo delle “nuvole” permette di erogare servizi telematici e informatici a costo più basso per le imprese, rendendo più snella e accessibile la gestione di processi che, diversamente, avrebbero un costo molto elevato o, in riferimento alle piccole e medie imprese, addirittura proibitivo. In questo senso, la tendenza in atto porta i sistemi aziendali a concentrarsi sempre meno sulla creazione di impianti di gestione di dati estremamente performanti, per spostare il baricentro sull’ottimizzazione delle reti e sulla versatilità dei client, con grande vantaggio in termini di riduzione degli investimenti in hardware. A queste innovazioni più rilevanti si possono aggiungere altre tecnologie minori, che però lasceranno il segno nel 2011. Ne menzioniamo due. L’arrivo sul mercato del primo computer compatibile con lo standard USB 3.0 . Questo standard permetterà di connettere dispositivi che gestiscono masse di dati di grandi dimensioni – soprattutto di tipo multimediale – a velocità tali da ridurre al minimo i tempi di trasferimento delle informazioni. L’introduzione della connessione wireless Wi - Fi Direct , che permette di interfacciare dispositivi diversi in modalità Wi-Fi senza bisogno dell’intermediazione di un router. Una piccola rivoluzione che permetterà di mettere in rete quasi ogni tipo di device digitale in modo immediato e semplificato. fonte: http :// www . webmasterpoint . org / speciale / tecnologia -2010- i - fatti - principali - che - cosa - e - successo . html

------"Sai cosa si fa quando non se ne può più? Si cambia." — Alberto Moravia, Gli indifferenti (esistonostorie) (Source: neverneverland, via raelmozo)

------"La vita ti mette continuamente di fronte a grandi scelte: pandoro o pane e nutella? Figa o culo? Berlusconi o… ? .. merda!" — spaceman 70 : ma anche porcodio, eh?

11 Post/teca via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

------progettomayhem: Se nasci poeta non puoi morir brigante. Tutt’al più maledetto.

------"L’occasione fa l’uomo ladro… e la donna puttana." — (via imlmfm)

------"Tutto ciò che cresceva aveva bisogno di tanto tempo per crescere; e tutto ciò che finiva aveva bisogno di lungo tempo per essere dimenticato." — Joseph Roth (via hollywoodparty) (via cutulisci)

------"Niente è statico. Tutto va a pezzi." — Chuck Palahniuk - Fight Club (via bacinella) (via lalumacahatrecorna)

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12 Post/teca Orgasmi spaam:

Il sesso della mattina è una masturbazione di coppia, in bilico tra onirico e ciclette. Entrambi concentrati su se stessi, ci si aggrappa ad un orgasmo rintanato giù giù giù nel nostro inconscio, quasi impaurito e che potrebbe sparire da un momento all’altro. Mi aiuto con godimenti passati; il cucchiaio di Totti nel derby del 5-1, il mio primo 30 all’Università, le tette di Moana Pozzi. Lunghe scopate che portano a brevi orgasmi prima di un secondo sonno.

Il sesso del pomeriggio. Oh sì, il sesso del pomeriggio è il sesso. Siamo giovani esperti, con una mattina alle spalle, ma non ancora proni del peso della giornata intera. Il futuro è nostro. Davanti a noi solamente colpi che scivolano lenti e decisi. Lunghi orgasmi spezzano il ritmo tra un cambio di posizione e l’altro.

La sera scivolo nell’oblio del sogno erotico, dove la poca luce non ti distrae dall’ascolto dei suoi gemiti. Mi afferro a loro per farmi portare fuori dal tunnel del mio stesso piacere.

------"Una grande città europea: uno studente ventiduenne molto carino e piuttosto effeminato conversa al tavolo di un bar con due ragazze. Il gruppetto non si avvede di essere diventato oggetto di attenzione da parte di tre coetanei “machi”. Cominciano a piovere insulti omofobi pesantissimi. Non

13 Post/teca reagiscono. I veri maschi si avvicinano facendosi più minacciosi. Il ragazzo si alza, seguito dalle amiche, e tenta di allontanarsi. Viene inseguito e di nuovo insultato. Si ferma, coraggiosamente cerca di reagire, e qui i veri maschi lo aggrediscono fisicamente, ferendolo al padiglione auricolare sinistro con un frammento di vetro. Se il taglio fosse stato inferto pochi centimetri più in basso, all’arteria, avrebbe rischiato la vita. La città: Roma; il quartiere: Trastevere. La sera: il 28 dicembre scorso. La stessa aggressione a Barcellona, Berlino o Parigi comporterebbe l’aggravante della motivazione omofoba. In Italia no. Perché il Parlamento italiano – sobillato da coloro che credono, o fingono di credere, nell’ordine del creato – nel 2009 ha bocciato la proposta di legge Concia." — Credenze e aggressioni (via dottorcarlo) (via coqbaroque)

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14 Post/teca G 8 spaceman 70 : Trovo incredibile che l’Italia sia nel G8, che sia tra i primi Paesi industrializzati del mondo. Abito in periferia, a pochi km dalla Ferrari, ma cosa vedo intorno? Capannoni, piccole industrie, il distretto ceramico mezzo in crisi, le fabbriche di prosciutti e le fabbriche di quegli hamburger che mangiamo nei McDonald. Un comparto metalmeccanico vecchio di decenni, strade, strade, strade ovunque e ferrovia nessuna. Una società che si regge sul fossile. Combustibile, ma fossile. Tanti neri venuti in Italia per sopravvivere. Girano in bici. La sera senza fari, con quei giubbetti rifrangenti omologati-per-scendere-dall’auto. E i padroncini con auto grosse, inquinanti, straniere per lo più. I ricchi, quelli tanto ricchi, non si fanno vedere. Qualcuno non abita neanche più qui, sta a Milano o New York. Un tessuto di tanti microscopici artigiani e bottegai amici tra di loro che gravitano attorno a poche industrie dalla qualità scadente, ma dalla grande quantità. Un’agricoltura in cui i contadini non sono padroni. Ci si fa strada perché si è amici di amici. Anche se uno è onesto su ciò che vale non gli si crede. Si diffida, si teme di spartire una fetta troppo piccola. Qualche cittadino ha i pannelli solari, qualcun’altro il fotovoltaico. Altrimenti regnano gli infissi di mia nonna. L’ecologia affidata alla coscienza e alle tasche del singolo individuo. Case nuove sfitte, case vecchie in rovina. Ogni anno meno servizi e si cerca di evitare di dover fruire di pubblici autobus, corriere, cure sanitarie, scuole perché diventa sempre tutto peggio. In ritardo. E’ un paesaggio di parassiti incoscienti. Beppe Grillo dice “scarafaggi”. Ci si fa strada sul terreno, ci si riproduce, si mangia. All’Esselunga sempre il pienone. Un paesaggio vecchio, nebbioso e fermo. Senza lungimiranza, senza senso della cultura di cui sarebbe ricco, senza guida. La nascita, il matrimonio e la morte consegnati monopolisticamente a dei preti. Con cerimonie magiche. Dei, spiriti, reliquie, figli di dei, martiri, vergini evocati per proteggere, raccomandare, richiamare sensi di colpa,

15 Post/teca tranquillizzare, vegliare, controllare. Stupirsi nel trovare più “moderno” l’orto sotto casa della fabbrichetta che produce cartone per imballaggi. Nessun ideale, nessuna spinta, poche passioni frustrate. Forse ho visto troppi film, sono un idealista, immagino le cose “grandi”, magnifiche come Lorenzo il Magnifico, ma anche il suo regno era retto su servi. E’ come il catalogo Ikea e l’Ikea, come mangiare i biscotti nel Mulino Bianco e mangiarli a casa propria, il 3D e guardare dalla finestra, Matrix e qui. Vedo e non comprendo. Non riesco a fare il salto successivo. Non so rispondere a “perché?” e a “come posso superare tutto ciò?”. Come può essere che l’Italia sia nel G8? Di quali Lorenzo il Magnifico devo inorgoglirmi di essere servo? (da un blog privato)

------"comunque 2011 una sega.dove sono le macchine volanti? dove sono i proiettori di ologrammi al posto delle tv? dove sono le macchine che si ribellano ai loro creatori e ci costringono a una lotta senza pietà nè speranza in trincee costruite usando resti di suore? dov’è la nostra colonia su marte? dov’è il calcio giocato dai robot coi cannoni al posto delle braccia che la neo geo mi aveva promesso? dove sono i campi di concentramento in cui gli orribili mutanti ci confinano? dove. sono. i. miei. orribili.

16 Post/teca mutanti? undici, torna quando avrai fatto i tuoi compiti, dai, da bravo. e non ti do del 1990 solo perché non ce la farei a sopportare di nuovo zenga che esce a vuoto su caniggia." — servizio deragliamenti uppsala : uno si aspetta grandi cose , poi invece muore (via batchiara) (via vivenda)

------"- Mi sto sentendo con una del ‘92. - E cosa vi dite? - Boh, però metto un sacco di faccine per sembrare giovane!" — L. (via fabulousfabio)

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All'età di 64 anni è morto Pete Postlethwaite, interprete shakespeariano e volto noto del cinema britannico. L'attore è deceduto domenica in un ospedale dello Shropshire. Ad annunciare la notizia della morte è stato l'amico e giornalista Andrew Richardson. Nonostante soffrisse da tempo di cancro, aveva continuato a lavorare anche nelle ultime settimane. Lascia la moglie e due figli. L'esordio cinematografico di Postlethwaite risale a "I duellanti" (1977) di Ridley Scott, ma la popolarità arriva negli anni 90 quando interpreta "L'ultimo dei Mohicani" (1992) di Michael Mann e "Nel nome del padre" (1993) di Jim Sheridan, per cui ottiene la nomination all'Oscar come miglior attore non protagonista. Indimenticabile nel ruolo del direttore della banda dei minatori in "Grazie, signora Thatcher" (1996) di Mark Herman, ha partecipato anche a "I soliti sospetti" (1995) di Bryan Singer, "Dragonheart" (1996), "Amistad" (1997) e "Jurassic Park" (1997) di Steven Spielberg che lo ha definito "il miglior attore del mondo". Ha lavorato anche con Sofia Loren in "Cuori estranei" (2002) diretto dal figlio

17 Post/teca della diva, Edoardo Ponti, e presentato alla Mostra di Venezia. Nel 2004 è stato insignito dell'Order of the British Empire. Di recente è apparso in "The Town", "Inception" e "Scontro tra Titani" di Rita Celi Pubblicato da Trovacinema fonte: http :// trovacinema . repubblica . it / multimedia / copertina / addio - a - postlethwaite - quotmiglior - attorequot - per - spielberg /27688590/1/1

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"Vivere con 100 cose"

È la tribù dei minimalisti

Il diktat arriva dagli Stati Uniti. Con un manuale e un messaggio:"Basta schiavitù degli oggetti. I consumi dovranno essere ridimensionati, tanto vale cominciare subito" dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

NEW YORK - "Si comincia dagli armadi dei vestiti, del resto ne abbiamo sempre tanti, troppi. Ridurre il proprio guardaroba è il primo gesto catartico, e ti dà forza per proseguire col resto della casa. Buttare via tanto, ti vaccina contro la tentazione di comprare ancora più di prima. Dopo qualche mese anche le tue abitudini di consumatore cominceranno a cambiare". Sono i consigli pratici del manuale "La sfida delle 100 cose", la Bibbia di un nuovo movimento. L'autore Dave Bruno di San Diego, in California, è adorato dai suoi fan su Facebook e ha seguaci in tutti gli Stati Uniti. Famiglie intere aderiscono a quella che si definisce una "nuova aritmetica della vita", ovvero: "minima addizione, massima sottrazione".

Liberarsi di tutto il superfluo, e resistere alla tentazione di nuovi acquisti impulsivi, dettati dai riflessi pavloviani che scatena in noi la pubblicità o l'emulazione del vicino. Imparare a vivere con 100 cose, appunto, non una di più. "In realtà quel

18 Post/teca numero non va visto come un feticcio", spiega Bruno che è aperto a compromessi e mediazioni, "ma aiuta a concentrarsi, a tenere d'occhio l'obiettivo finale". O i molteplici obiettivi. Perché il movimento delle "cento cose" in America piace agli ambientalisti, ovviamente, ma raccoglie anche consensi di colore molto diverso.

Ha una funzione economica: l'America vuole imparare a vivere entro i limiti del proprio reddito, curandosi dalla tentazione di indebitarsi. Ha una dimensione psicologica, la liberazione dallo stress, e non a caso sorge in parallelo la figura professionale del "life-coach", colui o colei che ti allena alla vita, una sorta di psicoterapeuta delle scelte quotidiane. Infine c'è una scelta educativa: bisogna preparare figli e nipoti a vivere sereni con meno cose, visto che queste saranno le prime generazioni occidentali costrette a ridimensionarsi rispetto ai genitori. E così con tante motivazioni diverse, un esercito di famiglie americane si riconosce nella nuova definizione di "personal downsizers".

Il "downsizing" era stato sinonimo delle feroci ristrutturazioni aziendali, licenziamenti di massa per fare più profitti, e come risultato finale produceva un'industria manifatturiera sempre più rimpicciolita. Ora il "downsizing" lo adotta questa nuova tipologia di consumatore. Il Washington Post racconta una giornata in casa della famiglia Swindlehurst, a Minneapolis, che inizia dal grande gesto di catarsi: svuotare armadi, soffitte, ripostigli, cantine e garage. Sembra la riscoperta di una tradizione antica, gli yard-sale, la vendita sul marciapiede di casa degli oggetti di troppo, che le famiglie americane hanno sempre praticato per svuotarsi del superfluo in occasione di matrimoni, traslochi, funerali.

Ma ora è diverso, il grande ripulisti non è la premessa per tornare all'assalto degli ipermercati. Uno studio della compagnia assicurativa MetLife rivela che il 40% della "generazione millennio" (americani nati fra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta) è convinta di avere già tutto il necessario: erano solo il 28% nel 2008, agli albori della grande crisi. La percentuale di quelli che si sentono sotto pressione per "comprare di più" è scesa dal 66 al 47% durante la recessione. E non è un fatto esclusivamente generazionale. Il 77% degli americani di ogni età si dice convinto che per migliorare la qualità della vita oggi le relazioni con gli altri esseri umani sono più importanti del benessere materiale.

Sean Gosiewski, direttore della Alliance for Sustainability, saluta questa evoluzione

19 Post/teca dei valori: "Ci aspettano vent'anni in cui dovremo tutti ridimensionare le nostre aspettative di consumo e adottare abitudini di vita più semplici, tanto vale cominciare subito e con lo spirito giusto". Per esempio usando i primi giorni di riposo del 2011 per riunire la famiglia e redigere la lista delle "cento cose di cui non possiamo davvero fare a meno". Un gioco divertente, assicurano i fan del movimento, e che ci aiuta a scoprire tanto di noi stessi. Oltre a liberare spazio disponibile, metri quadri preziosi, occupati da stratificazioni di oggetti inutili forse già al momento del primo acquisto. (03 gennaio 2011)

fonte: http :// www . repubblica . it / esteri /2011/01/03/ news / vivere _ con _ cento _ cose -10801248/? ref = HREC 2-9

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SABATO 1 GENNAIO 2011

Almeno questo

Trovarsi a capodanno a tavola con un’epidemiologa tedesca che vive in Svezia e lavora per la Comunità Europea, e si occupa di tutte le epidemie che esplodono sul suolo europeo, o quelle in giro per il mondo su cui l’Europa interviene economicamente, logisticamente o scientificamente. Chiederle se prima o poi moriremo tutti di ebola o di marburg. Sentirsi dire che no, di quelle malattie non moriremo. Stanno in posti troppo piccoli e remoti. Ma soprattutto quelli che si ammalano di ebola e marburg cominciano a sanguinare da tutte le mucose nel giro di un giorno e mezzo, e nessuno ti mette su un aereo se sanguini da tutte le mucosa (segnatevelo, in caso). Quindi, insomma, questo post è per quelli che hanno avuto un anno di merda. Non posso assicurarvi che il 2011 sia meglio, però vi posso dire con una dose di affidabilità abbastanza elevata che di febbre emorragica africana non si morirà. È già qualcosa, no? Dice, però, la signora, che si muore al mondo soprattutto di diarrea. Che non è una malattia, dice ancora, ma piuttosto un sintomo, un disturbo causato da batteri, virus, salcazzo, che porta alla morte per disidratazione. Dice che devi essere povero sfasciato per morire di diarrea. Povero al punto che non leggi Freddy Nietzsche. Sì sì, ce ne sono. Buon anno a tutti, manica di pirla. fonte: http :// www . freddynietzsche . com /2011/01/01/ almeno - questo /

------i post dell'una e passa di notte che nessuno legge e nessuno dovrebbe scrivere

20 Post/teca uds: quando ero piccolo e giocavo in cortile mi piaceva un sacco guardare le formiche (sono pigro da lustri, se posso un attimo vantarmi). quei cazzo di doppi puntini neri con le zampe non si fermavano mai. stavano sempre in fila per uno, ordinate come erano ordinate le camerette degli altri bambini secondo mia madre, tutto il santo giorno ad andare, non so, dalla crepa del muro a alla crepa del muro b e viceversa, oppure fino alla stretta aiuola dei vicini. tutta la loro vita in fila. tranquille. sicure. ce ne fosse stata una che sgarrava. secondo me è perché non hanno idea di cosa sia la felicità, lo hanno barattato col poter sopportare trenta volte il loro peso. voi umani invece andate in fila per un po’, poi vi fanno assaggiare la felicità per qualche secondo, senza stare a dirvi che no, non è possibile diventi uno stato definitivo, e da quel momento in poi cominciate a correre intorno completamente a caso finché non ne trovate un altro pezzetto. e poi ancora. e ancora. però fate fatica a sopportare il peso di un muscolo grande come un pugno che si rompe. augurare la felicità è pericoloso, perché comporta tutto quel correre in giro chiedendosi come mai non si riesca più a sentirsi così. e il terrore di perderla quando la si trova. e il terrore di non assaporarla il giusto. e il terrore di non trovarla più. e il terrore di non ho idea se ne valga la pena, non chiedetemelo. sto guardando le formiche. via: http :// plettrude . tumblr . com /

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Forse è questo ciò che chiediamo l’uno all’altro: un posto dove poter smettere di fuggire. (via cheppalleee) via: http :// nives . tumblr . com

------“Per il nuovo anno sto stilando una lista di cattivi propositi. E sono fermamente intenzionato a metterli in

21 Post/teca pratica tutti”. via: http :// ilnuovomondodigalatea . wordpress . com /2011/01/01/ propositi - per - il -2011/ (via myborderland)

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La letterina di Natale di M. Mantellini - Una missiva scritta alla vigilia per provare a cambiare cose piccole. Piccole ma significative. E chissà mai che il panciuto lappone non ci dia ascolto

Roma, 24 dicembre 2010

Caro Babbo Natale,

Ti scrivo questa lettera per la faccenda dei regali che non arrivano mai. Sono molti anni che ti spedisco le stesse richieste ma - scusami se mi permetto - non mi pare che i miei piccoli desideri siano stati ancora esauditi. Mi rendo conto che il momento è difficile, nevica molto e gli aeroporti chiudono, i soldi scarseggiano ovunque, il prezzo del cibo per le renne lo immagino. Però mi hanno sempre detto che tu sei superiore a queste umane questioni, così mi permetto di mandarti un breve riassunto.

1- Mi piacerebbe che molte più persone in Italia utilizzassero Internet. Non sono mai stato un tifoso della tecnologia in sé, davanti ad un computer nuovo vengo colto dalla stessa eccitazione (quasi) che ho per il crick della macchina. Tuttavia penso, da molto tempo, ostinatamente, che mentre il crick solleva solo automobili (di poco, tra l'altro, quanto basta per sfilare la ruota e metterne un'altra) attraverso le reti di computer noi abbiamo sollevato di molto la qualità delle nostre vite. O per lo meno, per me e per molte altre persone che conosco è stato così. Non voglio annoiarti troppo: con Internet siamo collegati agli altri, meglio informati, collaboriamo a grandi progetti senza nemmeno conoscere i nostri compagni di viaggio. La metà degli abitanti di questo paese che non sa cosa sia la rete, non sa cosa si perde, mi piacerebbe tu riuscissi a convincerli.

2- Essere cittadini informati tiene lontane le tentazioni. Avrai notato anche tu che nei paesi autoritari Internet è spenta, controllata o pesantemente filtrata. La ragione di tutto questo è molto semplice e non c'è bisogno che te la dica io. Navigare dentro le differenze ci aiuta a scoprire e comprendere gli altri. Internet è una palestra di accettazione dell'altro. Anche se alcuni sostengono (secondo me sbagliano) che tutto questo confrontarsi alla fine rafforzi solo le proprie personali inclinazioni. Se tu potessi non sarebbe male se per il prossimo Natale riuscissi a raccontare ai politici di questo paese l'importanza di tutto questo. Giusto ieri guardavo la diretta della seduta del Senato. Ho notato un certo numero di senatori alle prese con il touch screen dei loro iPad. Puoi per cortesia bloccargli il sistema operativo fino a quando continueranno a legiferare sui temi della Rete in maniera tanto demenziale?

22 Post/teca

3- Sergio Maistrello qualche anno fa diceva che non gli piaceva troppo l'espressione "cittadini digitali". È una frase molto usata, di quelle che solitamente usiamo per raccontare le avanguardie. Da un decennio sentiamo parlare di musica digitale, di libro e commercio elettronico, i quotidiani ed i libri di carta traboccano dell'aggettivo "virtuale". Anche la realtà si è fatta virtuale, tutto è rapidamente diventato virtuale, dall'alpinista alla colonscopia . Ma in particolare, chi diavolo sarebbero i "cittadini digitali"? Maistrello diceva che quando, in Rete come altrove, inizieremo a parlare semplicemente di "cittadini", al posto di questi fantomatici "cittadini digitali", una parte importante del percorso sarà compiuta. Io sono d'accordo con lui. Si tratta di aggettivi brutti, che tengono a rispettosa distanza l'innovazione piuttosto che descriverla e favorirla. Così, come ultimo regalo di fine anno, caro Babbo, ti chiedo questo: puoi per cortesia passare rapidamente sopra la biblioteca di Babele e allontanare definitivamente la parola "digitale" dalla parola "cittadini"? Un caro saluto, il sempre tuo Massimo

Manteblog fonte: http :// punto - informatico . it /3062099/ PI / Commenti / contrappunti - letterina - natale . aspx

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20110104

LUCIA ANNUNZIATA

Chi ha ragione delle due sinistre che guardano alla Fiat? Hanno ragione gli uomini del Pd, cioè i suoi principali leader, che si sono schierati per l’accordo con Marchionne - sia pur con una serie di distinguo - o i dirigenti della Fiom che lo hanno respinto senza se e senza ma?

Il lodo Marchionne, che come tale si è ormai configurato, comunque lo si guardi, è, innanzitutto, per il centrosinistra forse la prima decisione che deve affrontare senza poterla

23 Post/teca circumnavigare.

Senza il soccorso di un «ma anche»; è il primo luogo mentale cui non si può sottrarre. In questo senso, la cosa più ovvia da dire oggi, alla vigilia del referendum Mirafiori che si terrà fra un paio di settimane, è che l’appuntamento è per la sinistra una presa d’atto, ovvia, pubblica, definitiva, di una sconfitta. Il piano Fiat ne tocca in effetti la cassaforte di famiglia, il suo core business, lo zoccolo duro dei suoi elettori, e la idea stessa di mondo che ci ha proposto nell’ultimo mezzo secolo. In particolare per la sinistra italiana, lavoro e diritti sono sempre stati presentati come armoniosamente (e utilmente) compatibili, una realtà inscindibile. In questo senso, quando la Fiat chiede nuovi termini di organizzazione, qualunque essi siano, e qualunque ne sia la ragione, le nuove condizioni costituiscono obiettivamente per questa area politica la conclusione di un intero ciclo storico. Qualunque parte le varie anime della sinistra sceglieranno di giocare in questa trattativa, quella di chi lavora con Marchionne o quella di chi lo rifiuta, qualcosa è già perso, comunque - da Mirafiori non uscirà nessun vincitore.

Sono condizioni nuove di cui si discuterà con accanimento per molto tempo. Ma intanto c’è molto da

24 Post/teca ragionare sul fatto che, dopo sedici anni di Silvio Berlusconi, identificato da molti addirittura come costruttore di un «regime», la sinistra sia stata messa con le spalle al muro non dal Premier ma da un manager di una antica azienda. Manager e Azienda entrambi - è utile qui ripeterlo - considerati dei seri interlocutori da parte di questa stessa sinistra. Un vero e proprio paradosso, una sorta di poetica vendetta della storia. Come è stato possibile? Avanzo qui solo alcune delle moltissime, possibili, spiegazioni.

La prima è che Silvio Berlusconi, a dispetto di tutti i suoi modi forti, le sue leggi ad personam, i suoi assalti alla Costituzione, si riveli alla fine un avversario meno efficace di quel che si teme. Il viceversa di questa possibilità è che la sinistra abbia trascorso più di un decennio a capire chi era Berlusconi, e a dividersi su come combatterlo, perdendo di vista la società che, intorno, galoppava in tutt’altre direzioni. L’elemento della vicenda Fiat che più colpisce, alla fine, forse è proprio questo: quanto impreparata sia arrivata la classe politica del centrosinistra all'appuntamento con Marchionne. Le domande che si sta facendo ora nella spirale finale delle decisioni, in realtà avrebbero dovuto essere se non anticipate, sicuramente affrontate prima. Il Pd - e non solo, dal momento che questa è una storia che fa cambiare

25 Post/teca il volto alla industrializzazione dell’Italia - avrebbe dovuto sapere, anticipare, dirigere, insomma.

E non è che Marchionne abbia messo tutti dinanzi a un fatto compiuto: della Fiat si sa tutto, la vicenda si è sviluppata in perfetta trasparenza da almeno un paio di anni, e dall’estate scorsa, cioè dal referendum per Pomigliano, la conflittualità fra Fiom e manager Fiat è passata al calor bianco. Ma lo scontro è rimasto per mesi nel ghetto delle «relazioni industriali», come si dice in gergo per indicare che è rimasta tutta una questione di fabbriche e di sindacati. La storia che in questi giorni arriva alla conclusione è maturata - è necessario ricordarlo - confusa in mezzo alle varie agende della politica. Il governo per mesi è stato a guardare perché non aveva - per divisioni interne - il ministro dello Sviluppo economico, il Pd si è perso nella lotta interna fra le sue varie anime (veltroniane, dalemiane, popolari, centriste, cattoliche di ordinanza o meno) dopo la nomina di Bersani, mentre i centristi seguivano affascinati la «rupture» fra Fini e Berlusconi. Se un giorno qualche ragazzo in vena di fare i conti con questo Paese farà una ricerca per la sua tesi di laurea sul giornalismo nell’anno 2010 troverà (possiamo anticiparlo) molto più spazio dedicato alle escort di Silvio, alle case di Montecarlo, e allo scontro fra Palazzo

26 Post/teca

Chigi e Magistratura. Un ordine di interessi perfettamente riscontrabile anche sui fogli di informazione di sinistra.

Di operai si è parlato poco, negli ultimi anni. Solo lo stretto necessario. Con una fondamentale incredulità della trasformazione in corso nel mondo. L’agenda politica intorno a cui la sinistra si è avviluppata nel 2010, a guardarsi indietro, ci appare oggi come estremamente laterale, se non addirittura irrilevante. Questa è la vera responsabilità dell’area democratica: essersi fatta bloccare da Berlusconi come un cervo abbagliato dai fari di una macchina, mentre il resto del Paese e del mondo continuavano a correre.

Oggi che l’operazione Marchionne si scopre decisiva, la sinistra vi arriva così troppo tardi per avere soluzioni diverse, o anche solo per avviare una discussione. Ma può sempre fare peggio: può ad esempio, di fronte alla difficoltà, cedere alla tentazione di lacerarsi - come sa fare benissimo, e come effettivamente già sembra incline, anche questa volta, a fare. fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / gEditoriali . asp ? ID _ blog =25& ID _ articolo =8254& ID _ sezione =& sezione =

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27 Post/teca La Confindustria va in crisi e le Coop fanno l'alleanza di roberto mania

La crisi della rappresentanza non è uguale per tutti. Anzi. Picchia duro nell'industria, nei suoi sindacati e nella centenaria Confindustria. Con il caso Fiat-Chrysler la globalizzazione è entrata per la prima volta, e con prepotenza, anche nelle relazioni industriali. Così non è più detto che la strada dei rapporti sociali sia prevalentemente nazionale. Nell'incertezza c'è chi corre ai ripari, rafforzandosi, mettendo un po' di fieno in cascina, superando le vecchie barriere ideologiche, gli antichi legami culturali e gli apparentamenti partitici del secolo passato. I grandi raggruppamenti delle cooperative italiane hanno deciso di cominciare a mettersi insieme. Si chiamerà l'"Alleanza delle cooperative" oppure la "Federazione delle cooperative". Il nome uscirà prima del 26 o 27 gennaio quando a Roma verrà pubblicamente celebrato il patto tra Lega Coop (le cooperative rosse), la Confcooperative (le bianche) e l'Agci (le laiche).

Alleanza molto graduale, ma che in ogni caso chiude con la stagione delle divisioni politiche e anche con quella, più recente, dello scontro tra "coop bianche" e "coop rosse" provocato dal tentativo di Unipol (Lega) di lanciare un'opa sulla "Banca nazionale del lavoro". Si volta pagina e la nascente Alleanza riguarderà il centro e non le aree regionali, non intaccherà i rispettivi organigrammi né i patrimoni di ciascuno. Si comincerà con una sorta di portavoce unico (come hanno già fatto con "Rete Imprese Italia" i commercianti e gli artigiani) in particolare nel rapporto con il governo nazionale e gli organismi comunitari di Bruxelles. La lobby delle cooperative punta a fare massa critica, a far pesare insieme le sue 43 mila imprese (dall'agro-alimentare alla grande distribuzione, dalle banche alle costruzioni fino alle cooperative dei servizi alla persona) con 1,1 milioni di lavoratori e un fatturato superiore a 125 miliardi di euro l'anno.

(31 dicembre 2010) fonte: http :// www . repubblica . it / rubriche / lobby /2010/12/31/ news / confindustria _ coop -10743066/

------Per uscire da una vite occorre

28 Post/teca necessariamente: 1. Dare piede contrario alla rotazione 2. Barra in avanti 3. Centralizzazione dei comandi cessata la rotazione 4. Richiamata e ripresa del volo normale In genere dopo mezzo giro l’aereo torna in assetto normale. Alcuni velivoli antichi, o velivoli molto grandi, o caricati troppo o con baricentro arretrato, o comunque particolarmente dediti a cadere in vite però potrebbero proseguire anche due giri. Il pilota deve mantenere fiducioso il piede contrario alla rotazione nonostante la situazione sgradevole fisicamente e spaventosa, e sperare che la vite finisca prima di toccare terra. Situazione sgradevole fisicamente e spaventosa. Stiamo vivendo gli ultimi 15 anni come una vite. "

29 Post/teca

— 3nding e la vite (via 3 nding )

------"La guerra di religione: “in pratica vi state uccidendo per decidere chi abbia l’amico immaginario migliore”." — - Richard Jeni (via imlmfm)

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IL CASO BATTISTI: TUTTI I DUBBI SUI PROCESSI E LE CONDANNE; ESPOSTI PUNTO PER PUNTO PERCHÉ IL BRASILE HA ACCOLTO IL "MOSTRO" di Carmilla

Questa nuova versione delle nostre FAQ sul caso Battisti, già lette da centinaia di migliaia di utenti e tradotte in molte lingue, cadono in un momento di isteria collettiva mai visto in Italia dai tempi di Piazza Fontana e della colpevolizzazione di Pietro Valpreda. Battisti si trova da quasi due anni, mentre scriviamo, in un carcere brasiliano. Ha ottenuto asilo politico in Brasile, concesso dal ministro della giustizia Tarso Genro e ripetutamente avvallato dal presidente Lula. La stampa italiana, a fronte di un’opinione pubblica sostanzialmente indifferente, si è scatenata con toni da linciaggio. Battisti è tornato a essere il mostro, l’assassino per vocazione, il serial killer. Il Brasile è stato dipinto (per esempio da Francesco Merlo, su La Repubblica del 15 gennaio) come una democrazia da operetta, abitato da una popolazione quasi scimmiesca. Persino il presidente Napolitano, che non brilla per attivismo, si è mobilitato a sostegno della richiesta di estradizione del criminale del secolo. Seguito ovviamente dal PD di Walter Veltroni, in perfetta armonia con le componenti più reazionarie del governo e delle presunte “opposizioni”. Va notato che tanto furore non era mai stato esercitato nei confronti, per esempio, di Delfo Zorzi, quando era sospettato di essere coautore della strage di Piazza Fontana e riparato in Giappone. Per non dire dei membri delle Forze dell’ordine uccisori, dagli anni Settanta a Genova 2001, di oltre un centinaio di

30 Post/teca militanti di sinistra, tutti quanti assolti da giudici compiacenti e da politici complici. O degli autori del massacro del Circeo, uno dei quali poté espatriare con il passaporto italiano in tasca. Urgeva aggiornare le nostre FAQ, anche alla luce di un’indiretta replica del sostituto procuratore di Milano Armando Spataro, apparsa su Il Corriere della Sera del 23 gennaio 2009, nella rubrica delle lettere. Nonché di un articolo in cui era intervistato il Pietro Mutti, massimo accusatore di Battisti (“specialista in giochi di prestigio” nell’attribuire ad altri le proprie responsabilità, lo definisce una sentenza citata più sotto; ma ne vedrete delle belle), pubblicato da Panorama del 25 gennaio 2009. Confidiamo che una lettura pacata di quanto segue faccia sorgere, in chi è in buona fede, molti dubbi sull’effettiva colpevolezza di Battisti. Comunque, a noi non preme dimostrare che Battisti sia innocente. Ci interessa, piuttosto, denunciare le distorsioni che la cosiddetta “emergenza” provocò, negli anni Settanta, nelle procedure processuali italiane, fondate, come ai tempi dell’Inquisizione, su “pentimenti” veri o fasulli (1). Perché Cesare Battisti fu arrestato, nel 1979? Fu arrestato nell’ambito delle retate che colpirono il Collettivo Autonomo della Barona (un quartiere di Milano), dopo che, il 16 febbraio 1979, venne ucciso il gioielliere Luigi Pietro Torregiani. Perché il gioielliere Torregiani fu assassinato? Perché, il 22 gennaio 1979, assieme a un conoscente anche lui armato, aveva ucciso Orazio Daidone: uno dei due rapinatori che avevano preso d’assalto il ristorante Il Transatlantico in cui cenava in folta compagnia. Un cliente, Vincenzo Consoli, morì nella sparatoria, un altro rimase ferito. Chi uccise Torregiani intendeva colpire quanti, in quel periodo, tendevano a “farsi giustizia da soli”. Cesare Battisti partecipò all’assalto al Transatlantico? No. Nessuno ha mai asserito questo. Si trattò di un episodio di delinquenza comune. Cesare Battisti partecipò all’uccisione di Torregiani? No. Anche questa circostanza – affermata in un primo tempo – venne poi totalmente esclusa. Altrimenti sarebbe stato impossibile coinvolgerlo, come poi avvenne, nell’uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta in provincia di Udine lo stesso 16 febbraio 1979, quasi alla stessa ora. Eppure è stato fatto capire che Cesare Battisti abbia ferito uno dei figli adottivi di Torregiani, Alberto, rimasto poi paraplegico. E’ assodato che Alberto Torregiani fu ferito per errore dal padre, nello scontro a fuoco con gli attentatori. I media insistono nell'indicare Cesare Battisti come l'uccisore di

31 Post/teca

Torregiani, spesso addirittura dicono che è stato lui a ferire Alberto e a ridurlo in sedia a rotelle. Alberto non rettifica mai, nemmeno per amore di precisione. Non rettifica mai nemmeno Spataro. Perché? Ciò è inspiegabile. Gli assassini reali (Sebastiano Masala, Sante Fatone, Gabriele Grimaldi e Giuseppe Memeo) furono catturati poco tempo dopo l’agguato, e hanno scontato condanne più o meno lunghe. Il procuratore Armando Spataro, ne Il Corriere della Sera del 23 gennaio 2008, dice che Battisti “giustiziò” Luigi Pietro Torregiani, reo di avere reagito con le armi a una rapina che aveva subito. Anche questo è inspiegabile. La dinamica dei fatti è molto diversa, Spataro stesso la spiegò altre volte: Torregiani e un collega fecero fuoco, con revolver di grosso calibro, su chi stava rapinando la cassa del ristorante Transatlantico in cui cenavano con amici. Perché dunque Cesare Battisti viene collegato all’omicidio Torregiani? Anzitutto perché, per sua stessa ammissione, faceva parte del gruppo che rivendicò l’attentato, i Proletari Armati per il Comunismo. Lo stesso gruppo che rivendicò l’attentato Sabbadin. Cos’erano i Proletari Armati per il Comunismo (PAC)? Uno dei molti gruppi armati scaturiti, verso la fine degli anni ’70, dal movimento detto dell’Autonomia Operaia, e dediti a quella che chiamavano “illegalità diffusa”: dagli “espropri” (banche, supermercati) alle rappresaglie contro le aziende che organizzavano lavoro nero, fino, più raramente, a ferimenti e omicidi. I PAC somigliavano alle Brigate Rosse? No. Come tutti i gruppi autonomi non puntavano né alla costruzione di un nuovo partito comunista, né a un rovesciamento immediato del potere. Cercavano piuttosto di assumere il controllo del territorio, spostandovi i rapporti di forza a favore delle classi subalterne, e in particolare delle loro componenti giovanili. Questo progetto, comunque lo si giudichi (certamente non ha funzionato), non collimava con quello delle BR. Il procuratore Spataro ha detto che gli aderenti ai PAC non superavano la trentina. Gli indagati per appartenenza ai PAC furono almeno 60. La componente maggiore era rappresentata da giovani operai. Seguivano disoccupati e insegnanti. Gli studenti erano tre soltanto. La sigla PAC fu comunque usata da altri raggruppamenti. Trenta o sessanta fa poca differenza. Ne fa, invece. Cambiano le probabilità di partecipazione alle scelte generali dell’organizzazione, e anche alle azioni da questa progettate. Teniamo presente che, se le rapine attribuite ai PAC sono decine, gli omicidi sono quattro. La

32 Post/teca partecipazione diretta a uno di questi diviene molto meno probabile, se si raddoppia il numero degli effettivi. Cesare Battisti era il capo dei PAC, o uno dei capi? No. Questa è una pura invenzione giornalistica. Né gli atti del processo, né altri elementi inducono a considerarlo uno dei capi. Del resto, non aveva un passato tale – come ex ladruncolo e teppista di periferia, privo di formazione ideologica - da permettergli di ricoprire un ruolo del genere. Era un militante tra i tanti. In sede processuale Battisti fu però giudicato tra gli “organizzatori” dell’omicidio Torregiani. In via deduttiva. Secondo il dissociato Arrigo Cavallina, avrebbe partecipato a riunioni in cui si era discusso del possibile attentato, senza esprimere parere contrario. Solo con l’entrata in scena del pentito Mutti – dopo che Battisti, condannato a dodici anni e mezzo, era evaso dal carcere e fuggito in Messico – l’accusa si precisò, ma ancora una volta per via deduttiva. Poiché Battisti era accusato da Mutti di avere svolto ruoli di copertura nell’omicidio Sabbadin, e poiché gli attentati Torregiani e Sabbadin erano chiaramente ispirati a una stessa strategia (colpire i negozianti che uccidevano i rapinatori), ecco che Battisti doveva essere per forza di cose tra gli “organizzatori” dell’agguato a Torregiani, pur senza avervi partecipato di persona. Eppure, di tutti i crimini attribuiti a Battisti, quello cui si dà più rilievo è proprio il caso Torregiani. Forse si prestava più degli altri a un uso “spettacolare” (si veda l’impiego ricorrente nei media di Alberto Torregiani, non sempre pronto, per motivi anche comprensibili, a rivelare chi lo ferì). O forse – visto chi ci governa e le proposte formulate qualche anno fa dal ministro Castelli, in tema di autodifesa da parte dei negozianti – era l’episodio meglio capace di fare vibrare certe corde nell’elettorato di riferimento. Comunque, chi difende Battisti ha spesso giocato la carta della “simultaneità” tra il delitto Torregiani e quello Sabbadin, mentre Battisti è stato accusato di avere “organizzato” il primo ed “eseguito” il secondo. Ciò si deve all’ambiguità stessa della prima richiesta di estradizione di Battisti (1991), alle informazioni contraddittorie fornite dai giornali (numero e qualità dei delitti variano da testata a testata), al silenzio di chi sapeva. Non dimentichiamo che Armando Spataro ha fornito dettagli sul caso – per meglio dire, un certo numero di dettagli – solo dopo che la campagna a favore di Cesare Battisti ha iniziato a contestare il modo in cui furono condotti istruttoria e processo. Non dimentichiamo nemmeno che il governo italiano ha ritenuto di sottoporre ai magistrati francesi, alla vigilia della seduta che doveva decidere della nuova domanda di estradizione di Cesare Battisti, 800 pagine di

33 Post/teca documenti. E’ facile arguire che giudicava lacunosa la documentazione prodotta fino a quel momento. A maggior ragione, essa presentava lacune per chi intendeva impedire che Battisti fosse estradato. La simultaneità fra il delitto Sabbadin e quello Torregiani dimostra un’unica ideazione. Ma andrebbe provato che Battisti partecipò effettivamente all’uccisione di Sabbadin. Inizialmente, il pentito Mutti incolpò Battisti di avere sparato al macellaio. Purtroppo per lui, il militante dei PAC Diego Giacomin si dissociò e rivelò di essere stato lui stesso a uccidere il negoziante. Non fece altri nomi. Una complice, non menzionata da Mutti, fu condannata all'ergastolo. Vive oggi in Francia Comunque, quello a Cesare Battisti e agli altri accusati del delitto Torregiani fu un processo regolare. No, non lo fu, e dimostrarlo è piuttosto semplice. Perché il processo Torregiani, poi allargato all’intera vicenda dei PAC, non fu regolare? Precisiamo: non fu regolare se non nel quadro delle distorsioni della legalità introdotte dalla cosiddetta “emergenza”. Sotto il profilo del diritto generale, il processo fu viziato da almeno tre elementi: il ricorso alla tortura per estorcere confessioni in fase istruttoria (2), l’uso di testimoni minorenni o con turbe mentali, la moltiplicazione dei capi d’accusa in base alle dichiarazioni di un pentito di incerta attendibilità. Più altri elementi minori. I magistrati torturarono gli arrestati? No. Fu la polizia a torturarli. Vi furono ben tredici denunce: otto provenienti da imputati, cinque da loro parenti. Non un fatto inedito, ma certo fino a quel momento insolito, in un’istruttoria di quel tipo. I magistrati si limitarono a ricevere le denunce, per poi archiviarle. Forse le archiviarono perché non si era trattato di vere torture, ma di semplici pressioni un po’ forti sugli imputati. Uno dei casi denunciati più di frequente fu quello dell’obbligo di ingurgitare acqua versata nella gola dell’interrogato, a tutta pressione, tramite un tubo, mentre un agente lo colpiva a ginocchiate nello stomaco. Tutti denunciarono poi di essere stati fatti spogliare, avvolti in coperte perché non rimanessero segni e poi percossi a pugni o con bastoni. Talora legati a un tavolo o a una panca. Se i magistrati non diedero seguito alle denunce, forse fu perché non c’erano prove che tutto ciò fosse realmente accaduto. Infatti il sostituto procuratore Alfonso Marra, incaricato di riferire al giudice istruttore Maurizio Grigo, dopo avere derubricato i reati commessi dagli agenti della Digos da “lesioni” a “percosse” per assenza di segni permanenti sul corpo

34 Post/teca

(in Italia non esisteva il reato di tortura, e non esiste nemmeno ora), concludeva che la stessa imputazione di percosse non poteva avere seguito, visto che gli agenti, unici testimoni, non confermavano. Dal canto proprio il PM Corrado Carnevali, titolare del processo Torregiani, insinuò che le denunce di torture fossero un sistema adottato dagli accusati per delegittimare l’intera inchiesta. Nulla ci dice che il PM Carnevali avesse torto. Almeno un episodio non collima con la sua tesi. Il 25 febbraio 1979 l’imputato Sisinio Bitti denunciò al sostituto procuratore Armando Spataro le torture subite e ritrattò le confessioni rese durante l’interrogatorio. Tra l’altro, raccontò che un poliziotto, nel percuoterlo con un bastone, lo aveva incitato a denunciare un certo Angelo; al che lui aveva denunciato l’unico Angelo che conosceva, tale Angelo Franco. La ritrattazione di Bitti non fu creduta, e Angelo Franco, un operaio, fu arrestato quale partecipante all’attentato Torregiani. Solo che pochi giorni dopo lo si dovette rilasciare: non poteva in alcun modo avere preso parte all’agguato. Dunque la ritrattazione di Bitti era sincera, e dunque, con ogni probabilità, anche le violenze con cui la falsa confessione gli era stata estorta. Sisinio Bitti riportò lesioni permanenti ai timpani. Se le era procurate da solo? Ammesso il ricorso alle sevizie in fase istruttoria, ciò non assolve Cesare Battisti. No, però dà l’idea del tipo di processo in cui fu implicato. Definirlo “regolare” è a dir poco discutibile. Tra i testi a carico di alcuni imputati figurarono anche una ragazzina di quindici anni, Rita Vitrani, indotta a deporre contro lo zio; finché le contraddizioni e le ingenuità in cui incorse non fecero capire che era psicolabile (“ai limiti dell’imbecillità”, dichiararono i periti) (3). Figurò anche un altro teste, Walter Andreatta, che presto cadde in stato confusionale e fu definito “squilibrato” e vittima di crisi depressive gravi dagli stessi periti del tribunale. Pur ammettendo il quadro precario dell’inchiesta, c’è da considerare che Cesare Battisti rinunciò a difendersi. Quasi un’ammissione di colpevolezza, anche se, prima di tacere, si proclamò innocente. Può sembrare così oggi, ma non allora. Anzi, è vero il contrario. A quel tempo, i militanti dei gruppi armati catturati si proclamavano prigionieri politici, e rinunciavano alla difesa perché non riconoscevano la “giustizia borghese”. Battisti vi rinunciò perché disse di dubitare dell’equità del processo. Tralasciate violenze e testimonianze poco attendibili in fase istruttoria, il processo fu però condotto a conclusione con equità. Non proprio. Accusati minori furono colpiti con pene spropositate. Il già citato Bitti, riconosciuto innocente di ogni delitto, fu ugualmente condannato a tre anni e mezzo di prigione per essere stato udito approvare, in luogo pubblico,

35 Post/teca l’attentato a Torregiani. Era scattato il cosiddetto “concorso morale” in omicidio, direttamente ispirato alle procedure dell’Inquisizione. Il già citato Angelo Franco, pochi giorni dopo il rilascio, fu arrestato nuovamente, questa volta per associazione sovversiva, e condannato a cinque anni. Ciò in assenza di altri reati, solo perché era un frequentatore del collettivo autonomo della Barona. Secondo Luciano Violante, una certa “durezza” era indispensabile a spegnere il terrorismo. E Armando Spataro sostiene che, a questo fine, l’aggravante delle “finalità terroristiche”, che raddoppiava le pene, si rivelò un’arma decisiva. Spezzò anche le vite di molti giovani, arrestati con imputazioni destinate ad aggravarsi in maniera esponenziale nel corso della detenzione, pur in assenza di fatti di sangue. Ciò non vale per Cesare Battisti, condannato all’ergastolo per avere partecipato a due omicidi ed eseguito altri due. Di Torregiani e Sabbadin si è detto. Veniamo a Santoro e Campagna. Mutti accusa Battisti di essere l’omicida di Santoro, ma poi le prove lo costringono ad ammettere di essere stato lui, l’assassino. L’uccisione dell’agente Campagna avviene dopo che i PAC sono stati sciolti, e un gruppetto di quartiere ne perpetua le gesta. L’assassino si chiama Giuseppe Memeo, reo confesso. Ha sparato con la stessa pistola che aveva ucciso Torregiani. Mutti ne parla per sentito dire. Memeo aveva un complice biondo, altro 1,90. Battisti? Ne parleremo tra poco. Al termine del processo di primo grado Battisti, arrestato in origine per imputazioni minori (possesso di armi, che peraltro risultarono non avere mai sparato), si trovò condannato a dodici anni e mezzo di prigione. Le condanne all’ergastolo giunsero cinque anni dopo la sua evasione dal carcere. Ma qui è tempo di parlare dei “pentiti” e, soprattutto, del principale pentito che lo accusò. Per poi entrare nel merito degli altri tre delitti. Vediamo di capire che cos’è un “pentito”. Se ci riferiamo ai gruppi di estrema sinistra, vengono così chiamati quei detenuti per reati connessi ad associazioni armate che, in cambio di consistenti sconti di pena, rinnegano la loro esperienza e accettano di denunciare i compagni, contribuendo al loro arresto e allo smantellamento dell’organizzazione. Di fatto una figura del genere esisteva già alla fine degli anni ’70, ma entra stabilmente nell’ordinamento giuridico prima con la “legge Cossiga” 6.2.1980 n. 15, poi con la “legge sui pentiti” 29.5.1982 n. 304. Manifesta i pericoli insiti nel suo meccanismo sia prima che dopo questa data. Quali sarebbero i “pericoli”? La logica della norma faceva sì che il “pentito” potesse contare su riduzioni di

36 Post/teca pena tanto più elevate quante più persone denunciava; per cui, esaurita la riserva delle informazioni in suo possesso, era spinto ad attingere alle presunzioni e alle voci raccolte qui e là. Per di più, la retroattività della legge incitava a delazioni indiscriminate anche a distanza di molti anni dai fatti, quando ormai erano impossibili riscontri materiali. Esistono esempi di questi effetti perversi? Il caso più clamoroso fu quello di Carlo Fioroni, che, minacciato di ergastolo per il sequestro a fini di riscatto di un amico, deceduto nel corso del rapimento, accusò di complicità Toni Negri, Oreste Scalzone e altre personalità dell’organizzazione Potere Operaio, sgravandosi della condanna. Ma anche altri pentiti, quali Marco Barbone (oggi collaboratore di quotidiani di destra), Antonio Savasta, Pietro Mutti, Michele Viscardi ecc. seguitarono per anni a spremere la memoria e a distillare nomi. Ogni denuncia era seguita da arresti, tanto che la detenzione diventò arma di pressione per ottenere ulteriori pentimenti. Purtroppo ciò destò scandalo solo in un secondo tempo, quando la logica del pentitismo, applicata al campo della criminalità comune, provocò il caso Tortora e altri meno noti. Pietro Mutti fu l’accusatore principale di Cesare Battisti. Chi era? Fu, per sua stessa confessione, il fondatore dei PAC. Figurò tra gli imputati del processo Torregiani, sebbene latitante, e l’accusa chiese per lui otto anni di prigione. Fu catturato nel 1982 (dopo che Battisti era già evaso), a seguito della fuga dal carcere di Rovigo, il 4 gennaio di quell’anno, di alcuni militanti di Prima Linea. Mutti fu tra gli organizzatori dell’evasione. Era stato compagno di cella di Battisti, quando questi era in carcere per reati comuni, e autore della sua politicizzazione (un ruolo curiosamente poi rivendicato dal dissociato Arrigo Cavallina). Di quali delitti Mutti, una volta pentito, accusò Battisti? Tralasciando reati minori, per tre omicidi. Battisti (con una complice e con lo stesso Mutti, che sulle prime cercò di negare la sua presenza) avrebbe direttamente assassinato, il 6 giugno 1978, il maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Udine Antonio Santoro, che i PAC accusavano di maltrattamenti ai detenuti. Avrebbe direttamente assassinato a Milano, il 19 aprile 1979, l’agente della Digos Andrea Campagna, che aveva partecipato ai primi arresti legati al caso Torregiani. Tra i due delitti avrebbe preso parte, senza sparare direttamente ma comunque con ruoli di copertura, al già citato omicidio del macellaio Lino Sabbadin di Santa Maria di Sala. Di tutto ciò si è già discusso. L’omicidio Sabbadin è tra quelli di cui più si è parlato. In un’intervista al gruppo di estrema destra francese Bloc Identitaire, il figlio di Lino Sabbadin, Adriano, ha dichiarato che gli assassini del padre sarebbero

37 Post/teca stati i complici del rapinatore da questi ucciso. O la sua risposta è stata male interpretata, o ha dichiarato cosa che non risulta da alcun atto. Meglio tralasciare le dichiarazioni dei congiunti delle vittime, la cui funzione, nel corso degli ultimi quattro anni, è stata essenzialmente spettacolare. Cesare Battisti è colpevole o innocente dei tre omicidi di cui lo accusò Mutti? Lui si dice innocente, anche se si fa carico della scelta sbagliata in direzione della violenza che, in quegli anni, coinvolse lui e tanti altri giovani. Qui però non è questione di stabilire l’innocenza o meno di Battisti. E’ invece questione di vedere se la sua colpevolezza fu mai veramente provata, nonché di verificare, a tal fine, se l’iter processuale che condusse alla sua condanna possa essere giudicato corretto. In caso contrario, non si spiegherebbe l’accanimento con cui il governo italiano, con il sostegno anche di nomi illustri dell’opposizione, ha cercato di farsi riconsegnare Battisti prima dalla Francia e oggi dal Brasile. A parte le denunce di Mutti, emersero altre prove a carico di Battisti, per i delitti Santoro, Sabbadin (sia pure in ruolo di copertura) e Campagna? No. Quando oggi i magistrati parlano di “prove”, si riferiscono all’incrocio da loro effettuato tra le dichiarazioni di vari pentiti (Mutti e altri minori) e gli indizi indirettamente forniti dai “dissociati”, tipo Cavallina. Armando Spataro continua ad asserire che prove e riscontri vi sarebbero. Continua a dirlo, ma non specifica mai quali. Cosa si intende per “dissociato”? Chi prenda le distanze dall’organizzazione armata cui apparteneva e confessi reati e circostanze che lo riguardino, senza però accusare altri. Ciò comporta uno sconto di pena, anche se ovviamente inferiore a quello di un pentito. In che senso un dissociato può fornire indirettamente indizi? Per esempio se afferma di non avere partecipato a una riunione perché contrario a una certa azione che lì veniva progettata, pur senza dire chi c’era. Se nel frattempo un pentito ha detto che X partecipò a quella riunione, ecco che X figura automaticamente tra gli organizzatori. Cosa c’è che non va, in questa logica? C’è che sia la denuncia diretta del pentito, che l’indizio fornito dal dissociato, provengono da soggetti allettati dalla promessa di un alleggerimento della propria detenzione. La loro lettura congiunta, se mancano i riscontri, è effettuata dal magistrato che la sceglie tra varie possibili. Inoltre è comunque il pentito, cioè colui che ha incentivi maggiori, a essere determinante. Tutto ciò in

38 Post/teca altri paesi (non totalitari) sarebbe ammesso in fase istruttoria, e in fase dibattimentale per il confronto con l’accusato. Non sarebbe mai accettato con valore probatorio in fase di giudizio. In Italia sì. Nel caso di Battisti mancano altri riscontri? Vi sono solo dei riconoscimenti di testi che lo stesso magistrato Armando Spataro ha definito poco significativi. Eppure dice che “le confessioni di Mutti (…) sono state convalidate da molte testimonianze e dalle successive dichiarazioni di altri ex terroristi” (Il Corriere della Sera, 23 gennaio 2009). Si tratta sempre di Mutti e di Cavallina. Quanto ai testi, basti dire che l’autore del delitto Santoro aveva la barba (e qui ci siamo, Mutti parla di una barba finta), era biondo (Battisti avrebbe potuto tingersi i capelli) ed era alto 1,90 (qui non ci siamo più: Battisti supera di poco l’1,60). Ma il pentito Pietro Mutti non può essere ritenuto credibile? Vi sono motivi per asserire che sia mai caduto nel meccanismo “Quanto più confesso, tanto meno resto in prigione”? Emerge dal dibattimento che condusse a una sentenza di Cassazione del 1993. Citiamo testualmente: “Questo pentito è uno specialista nei giochi di prestigio tra i suoi diversi complici, come quando introduce Battisti nella rapina di viale Fulvio Testi per salvare Falcone (…) o ancora Lavazza o Bergamin in luogo di Marco Masala in due rapine veronesi”. Più sotto: “Del resto, Pietro Mutti utilizza l’arma della menzogna anche a proprio favore, come quando nega di avere partecipato, con l’impiego di armi da fuoco, al ferimento di Rossanigo o all’omicidio Santoro; per il quale era d’altra parte stato denunciato dalla DIGOS di Milano e dai CC di Udine. Ecco perché le sue confessioni non possono essere considerate spontanee”. Teniamo inoltre conto che Mutti, colpevole di omicidi e rapine, ha scontato solo otto anni di prigione. Un privilegio condiviso con l'uccisore di Walter Tobagi (anche quel caso, su cui permangono molti dubbi, fu istruito da Armando Spataro), con il pluri-omicida Michele Viscardi e con molti altri pentiti. Ci sono altri motivi per dubitare della sincerità di Mutti? Sì. Le denunce di Pietro Mutti non riguardarono solo Battisti e i PAC, ma furono a 360 gradi, e si indirizzarono nelle direzioni più svariate. La più clamorosa riguardò l’OLP di Yasser Arafat, che avrebbe rifornito di armi le Brigate Rosse. In particolare, elencò Mutti, “tre fucili AK47, 20 granate a mano, due mitragliatrici FAL, tre revolver, una carabina per cecchini, 30 chilogrammi di esplosivo e 10.000 detonatori” (mica tanto, a ben vedere, a parte il numero incongruo dei detonatori; mancava solo che Arafat consegnasse una pistola ad

39 Post/teca aria compressa). Il procuratore Carlo Mastelloni poté, sulla base di questa preziosa rivelazione, aggiungere un fascicolo alla sua “inchiesta veneta” sui rapporti tra terroristi italiani e palestinesi, e chiamò persino in giudizio Yasser Arafat. Poi dovette archiviare il tutto, perché Arafat non venne e il resto si sgonfiò. Ciò ha a che vedere con le armi, provenienti dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, mercanteggiate nel 1979 da tale Maurizio Follini, che Armando Spataro dice essere stato militante dei PAC? Questo Follini era mercante d’armi e, secondo alcuni, spia sovietica. Fu tirato in ballo da Mutti, ma in relazione ad altri gruppi. Meglio stendere un velo pietoso. Dopo avere notato, però, quanto le rivelazioni di Mutti tendessero al delirio. Mutti non sarà attendibile per altre inchieste, ma nulla ci garantisce che, almeno sui PAC, non dicesse la verità. Nulla ce lo dice, infatti, se non un dettaglio. Nel 1993, la Cassazione ha mandato assolta una coimputata di Battisti (nel delitto Santoro), anche lei denunciata da Mutti. Parlo del 1993. Per dieci anni la magistratura aveva creduto, a suo riguardo, alle accuse del pentito. Ciò dovrebbe commentarsi da solo. Anche ammesso che il processo che ha portato alla condanna di Cesare Battisti sia stato viziato da irregolarità e imperniato sulle deposizioni di pentiti poco credibile, è certo che Battisti ha potuto difendersi nei successivi gradi di giudizio. Non è così, almeno per quanto riguarda il processo d’appello del 1986, che modificò la sentenza di primo grado e lo condannò all’ergastolo. Battisti era allora in Messico e ignaro di ciò che avveniva a suo danno in Italia. Il magistrato Armando Spataro ha detto che, per quanto sfuggito di sua iniziativa alla giustizia italiana, Battisti poté difendersi in tutti i gradi di processo attraverso il legale da lui nominato. Ciò è vero solo per il periodo in cui Battisti si trovava ormai in Francia, e dunque vale essenzialmente per il processo di Cassazione che ebbe luogo nel 1991. Non vale per il processo del 1986, che sfociò nella sentenza della Corte d’Appello di Milano del 24 giugno di quell’anno. A quel tempo Battisti non aveva contatti né col legale, pagato dai familiari, né con i familiari stessi. Questo lo dice lui. Be’, lo dice anche l’avvocato Giuseppe Pelazza di Milano, che si assunse la difesa, e lo dicono i familiari. Ma certamente si tratta di testimonianze di parte. Resta il fatto che Battisti non ebbe alcun confronto con il pentito Mutti che lo accusava. Si era sottratto al carcere, d’accordo; però il dato oggettivo è che non poté intervenire in un procedimento che commutava la sua condanna da dodici anni di prigione in due ergastoli (nessun altro imputato nel processo

40 Post/teca ebbe una condanna simile, inclusi gli assassini di Torregiani!), e gli attribuiva l’esecuzione di due omicidi, la partecipazione a svariato titolo ad altri due, alcuni ferimenti e una sessantina di rapine (cioè l’intera attività dei PAC). Questo era ed è ammissibile per la legge italiana, ma non per la legislazione di altri paesi che, pur prevedendo la condanna in contumacia, impone la ripetizione del processo qualora il contumace sia catturato. Ma Battisti sottoscrisse delle deleghe ai suoi legali, perché lo rappresentassero, lui contumace. E’ stato ampiamente dimostrato, dai periti di parte, però scelti tra quelli della Corte di Parigi, che le firme furono falsificate (forse a fin di bene). Le deleghe erano in bianco, e furono redatte nel 1981. Battisti asserisce la propria innocenza, salvo fatti minori attribuibili ai PAC, senza fornire prove concrete. Ma Battisti non è tenuto a provare nulla! L’onere della prova spetta a chi lo accusa. Quanto alla sostanza della questione, vediamo di ricapitolarla: 1) un’istruttoria che nasce da confessioni estorte con metodi violenti; 2) una serie di testimonianze di elementi incapaci per età o facoltà mentali; 3) una sentenza esageratamente severa; 4) un aggravio della stessa sentenza dovuta all’apparizione tardiva di un “pentito” che snocciola accuse via via più gravi e generalizzate. Il tutto nel quadro di una normativa inasprita e finalizzata al rapido soffocamento di un sommovimento sociale di largo respiro, più ampio delle singole posizioni. Ciò non toglie che gran parte della sinistra sia compatta nel sostegno a un magistrato come Armando Spataro, e sia unanime nel richiedere al Brasile l’estradizione. Questo è un problema della sinistra, appunto. C’è da chiedersi se sia a conoscenza di ciò che non il solo Spataro, ma altri magistrati che come lui furono tra i protagonisti della repressione dei movimenti degli anni ’70 e dei primi anni ’80, pensano dei casi di Adriano Sofri o di Silvia Baraldini. Immagino – o forse spero – che non pochi esponenti della “sinistra” (chiamiamola così) ne resterebbero un po’ scossi. Per non parlare del “malore attivo” (?) a cui Gerardo D’Ambrosio ha attribuito la morte di Giuseppe Pinelli. O del rimbalzo di un proiettile contro un sasso volante che ha ucciso Carlo Giuliani. La denigrazione dei magistrati ha il suo contraltare nella santificazione dei magistrati. Inutile menare il can per l’aia. Cesare Battisti non ha mai manifestato pentimento. Il diritto moderno – l’ho già detto - reprime i comportamenti illeciti e ignora le coscienze individuali. Reclamare un pentimento qualsiasi era tipico di Torquemada o di Vishinskij. Il rigetto da parte di Battisti dell’ipotesi di lotta

41 Post/teca armata è esplicito nei suoi romanzi Le cargo sentimental e Ma cavale, non tradotti in Italia. Essendo uno scrittore, si esprime tramite la scrittura. Ha persino esultato quando, in Francia, è stato momentaneamente liberato. Lo farebbe chiunque. Da perfetto vigliacco, si è sottratto all’estradizione ed è riparato in Brasile, dove è andato a vivere nientemeno che a Copacabana. Chi conosca Copacabana, sa che oltre la spiaggia e gli alberghi si estendono caseggiati popolari. Lì viveva Battisti. Ma adesso basta con queste stronzate. Battisti è stato tutto ciò che volete, salvo una cosa: non è mai stato ricco. Non è mai stato il prediletto dei salotti di cui favoleggia Panorama. Era il portinaio dello stabile in cui abitava. Si permetteva ogni tanto un caffè al bar di immigrati sotto casa. Armando Spataro dice, sul numero citato del Corriere della Sera, che Battisti non è mai stato un criminale politico, bensì un delinquente comune, assetato di denaro. Spataro sovrappone il percorso di Battisti prima della politicizzazione, quando era un semplice delinquente di periferia, a quello successivo. Nessuna delle azioni che gli sono attribuite quale “terrorista”, vere o fasulle, obbediva a fini di lucro personale. Battisti fu un militante dei settori armati di quella che era chiamata “autonomia operaia”. Lo sanno tutti, Spataro incluso. Negare la natura politica dei suoi atti, per indurre il governo brasiliano a concedere l’estradizione, è la menzogna più colossale che circondi la vicenda Battisti. Un delinquente comune non rivendica la sua affiliazione ai “Proletari Armati per il Comunismo”. Del resto, i fascisti, i parafascisti, i post-fascisti dell’Italia odierna citano di continuo la sua posizione di “comunista” quale aggravante. Mentre gli ex-comunisti manifestano nei confronti di Battisti identico orrore, visto che incarna le idee che hanno rinnegato. Non c’è mai stato caso più “politico”, da Valpreda a oggi. Non si può liquidare così, in una battuta, un problema più complesso. Esatto. Non si può liquidare così il problema più generale dell’uscita, una buona volta, dal regime dell’emergenza, con le aberrazioni giuridiche che ha introdotto nell’ordinamento italiano. Ma ciò può essere oggetto di altre FAQ, che prescindano dal caso specifico fin qui trattato. Quanto agli accusatori, che gridano a squarciagola “dagli all’assassino!”, osservino le proprie mani. Sono abbondantemente macchiate di sangue. Hanno applaudito un poco tutto, a cominciare dai bombardamenti su Belgrado, fino ad arrivare alle stragi in Libano e a Gaza. Si sono arrossate negli applausi a “missioni umanitarie” condite da massacri. Hanno dato il via libera all’eliminazione sociale dei soggetti deboli, sul mercato del lavoro. Davvero, oggi, i “nemici dell’umanità” si

42 Post/teca chiamano Battisti o Petrella?

NOTE 1) Cfr. I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa. Sorvegliare e punire, l’Inquisizione come modello di violenza legale, Bompiani, 1988. 2) L’uso della tortura, nei processi contro i terroristi di sinistra fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, è scrupolosamente documentato nel volume Le torture affiorate, coll. Progetto Memoria, ed. Sensibili alle foglie, 1998. 3) Su Panorama del 25 gennaio 2009 il giornalista Amadori, sentita la famiglia, mette in dubbio la labilità della memoria di Rita Vetrani - chiamata a testimoniare, lei minorenne, contro lo zio. I referti dei periti, poco contestabili, sono riportati testualmente in L. Grimaldi, Processo all’istruttoria, Milano Libri, Milano, 1981. *** APPENDICE - Le domande assurde di Panorama a cui Battisti non risponde Su Panorama del 12 febbraio 2009, il giornalista Giacomo Amadori ha elencato una serie di domande, raccolte tra i magistrati e gli ex compagni, cui Cesare Battisti non saprebbe o non vorrebbe rispondere. Ebbene, ci proviamo noi, quale appendice alle nostre FAQ. Qualche considerazione in chiusura.

Pubblicato Gennaio 30, 2009 03:17 AM fonte: http :// www . carmillaonline . com / archives /2009/01/002924. html

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4/1/2011 Il mercato al posto

43 Post/teca della politica

MARIO DEAGLIO

Ci possono essere molte buone ragioni per essere d’accordo e forse altrettante per essere in completo disaccordo con le strategie dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. Su un punto, però, sostenitori e avversari debbono convenire: queste strategie rappresentano il principale elemento di discontinuità sulla scena politico- economica italiana degli ultimi decenni.

Il passaggio dalla cosiddetta «prima» alla cosiddetta «seconda» Repubblica non ha infatti portato ad alcuna vera discontinuità: ha determinato un certo ricambio, forse peggiorativo, della cosiddetta classe politica lasciando sostanzialmente intatti i meccanismi di fondo dell’economia e della società. Non ha di fatto modificato né la concertazione sui problemi del lavoro, ossia la soluzione delle controversie

44 Post/teca mediante un dialogo teso a raggiungere un equilibrio tra le parti, sovente con la mediazione del governo; né le procedure atte a realizzare mutamenti nel potere economico attraverso aggregazioni e aggiustamenti più o meno grandi, largamente concordati nei cosiddetti «salotti buoni».

Con il loro misto di concretezza e di durezza, i casi industriali di Pomigliano e di Mirafiori stanno invece proponendo un’alternativa radicale ai meccanismi della concertazione. La quotazione in Borsa, iniziata ieri, di una galassia di titoli con il marchio Fiat e la parallela suddivisione del gruppo stesso in due grandi aree - che potrebbero avere destini economici e industriali differenti - propone un’alternativa quasi altrettanto radicale ai meccanismi interni del capitalismo italiano.

Pomigliano e Mirafiori hanno posto l’esigenza di un forte cambiamento nelle relazioni industriali in Italia e quindi anche nel ruolo non solo del sindacato ma anche della Confindustria che pure in passato è ripetutamente riuscita a reinventarsi mediante riforme interne.

Parallelamente, i nuovi titoli Fiat potrebbero di fatto indurre un mutamento di funzioni della Borsa

45 Post/teca

Italiana, altro ente che ha cercato di reinventarsi: da quello prevalente di luogo in cui vengono ratificati, con nuove configurazioni azionarie, cambiamenti decisi altrove a quello di vero «campo di battaglia», di vero terreno di scontro tra vari progetti finanziari e industriali. Anche in questo caso, come per la concertazione, si avrebbe una sostanziale riduzione dello spazio riservato ai pubblici poteri e quindi una profonda modificazione nei rapporti tra economia e politica.

Negli incontri Fiat-sindacati, così come nell’incontro di ieri tra Marchionne e i media, sono state di fatto delineate non solo due proposte specifiche di investimento industriale, ma un nuovo modello di relazioni industriali e un nuovo modello di funzionamento della Borsa italiana. Il tutto è privo di un’incastellatura teorica e di una particolare armatura giuridica, ambedue tipiche del cambiamento graduale all’italiana. Ha il merito di squarciare il velo dell’ipocrisia sul grave indebolimento produttivo italiano che politici e parti sociali hanno a lungo cercato di non vedere.

I rapporti tra economia e politica ne dovrebbero risultare profondamente modificati, alla politica non viene richiesta alcuna particolare benedizione né alcun particolare aiuto.

46 Post/teca

La politica stessa viene di fatto sostituita dal mercato e dal profitto, ma sarebbe un errore immaginare che il riferimento al mercato e al profitto sia necessariamente tipico di una politica miope, della ricerca di un «mordi e fuggi» a favore degli azionisti: il ciclo di investimenti proposto si articola infatti su uno o più decenni e non certo su pochi trimestri e l’impegno finanziario è di tutto rispetto. Al posto della vecchia Fiat, con la sua componente «istituzionale» nel quadro dell’economia italiana, che, proprio per questo, racchiudeva al suo interno settori produttivi molto diversi tra loro, con un complicato sistema di rapporti con il settore pubblico, si propongono almeno due grandi imprese, una nel settore dell’auto e un’altra in vari settori legati alla motorizzazione, con logiche di alleanze, crescita ed espansione molto diverse tra loro. In grado, secondo questo progetto, di competere sul mercato globale senza particolari «garanzie» e di essere separatamente molto più efficienti di quanto non fossero rimanendo unite.

Le discontinuità sono sempre scomode, il loro esito contiene una componente di incertezza e occorre capire se l’Italia di fatto accetterà la particolare discontinuità che le viene proposta. Dovrebbe però essere chiaro che nell’attuale contesto mondiale è difficile pensare a vie alternative per

47 Post/teca una nuova crescita, il rilancio dell’occupazione, l’interazione tra produzione e ricerca scientifica. E’ difficile vedere qualcosa di diverso di un’Italia che vivacchia e che si allontana sempre più rapidamente dal gruppo dei Paesi di testa, nei quali si sviluppano e si applicano le tecnologie da cui dipende il nostro futuro; di un’Italia eccessivamente attenta agli scontri tra i politici e clamorosamente lontana dai grandi movimenti di idee, di invenzione, di produzione, che stanno dando al pianeta una nuova dimensione. [email protected] fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / gEditoriali . asp ? ID _ blog =25& ID _ articolo =8255& ID _ sezione =& sezione =

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«Io, Dario Fo e l'eterno

'68 del Mistero buffo» di Toni Jop

Ma tu, che di mestiere fai il tecnico di computer nelle valli di alta montagna e non hai ancora quarant'anni sai chi è Dario Fo? Che domande, sì che lo so. E Mistero Buffo, sai cos'è? Madonna, ci sono cresciuto dentro, così volevano i miei genitori.

Ecco cos'è Mistero Buffo in questo inizio di 2011: è una di quelle «cose» che ciascuno di noi si porta dentro, un teatro, un mucchio di parole, un corpo, una parabola in crescita, un ambiente mentale, una lunghissima poesia senza «a capo», un Vangelo interpretato da una intelligenza

48 Post/teca senza potere, una immensa nuvola di tenerezza forte come un maglio, parola di chi non ha parola, discreto canto senza regole, esperienza morale, riso gentile, il bagliore di vittoria riflesso da una barricata di liberazione che sogna convinzione e non vittoria. Quando apparve al sole del lontanoe tumultuoso 1969, Mistero Buffo sembrò a molti unsegnale, l'avviso di una utopia realizzata: forse era nato o stava nascendo l'Uomo Nuovo, quello che avrebbe costruito il Mondo nuovo, sostituendo la critica alle armi, la comprensione allo schiaffo, l'uguaglianza alla legge del più forte.

Gramsci aveva detto: abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza e Fo – con Franca, sempre – aveva detto: io ci provo, vado avanti e poi si vede.

Mise a punto uno sguardo sulla storia e sul contemporaneo che partiva dai Vangeli, apocrifi, irregolari e inventò una giostra di «crisi» meravigliosa, orgogliosamente «pop», popolare, mossa da un ritmo, da una frequenza che aveva a che fare con la musica dei corpi mentre sussurrava urlando: la vita è roba nostra, non del potere. Messo in scena da altri giullari, ora,42 anni dopo la prima «apparizione » Mistero Buffo torna nelle mani e nelle ossa di Dario e Franca, e plana in un altro mondo. Domani a Milano, al teatro Lirico. Un'altra Milano, un'altra Italia ma il Mistero è sempre più buffo.

Sei un po' matto. Quella è roba che scotta, anche e soprattutto per chi se la porta sulle spalle: Mistero Buffo è una fatica fisica anche per un giullare nato come te... chi te lo fa fare?

«Sì, sì. Ci provo ancora, nonostante tutto tira un'aria che sembra annunciare primavera, quei ragazzi delmovimento, quelli che sono scesi in piazza in queste settimane: lo sento che non si fermeranno, sento che non è finita con Marchionne, sento che la Fiom, la Cgil non sono acqua passata, a loro è appesa in gran parte la dignità dell'umanità di oggi e di domani, sono loro imuratori, e anche noi, giullari...».

Benedetto “fiol de Deo”, non saranno invecchiati le tue Madonne, i tuoi Gesù belli, cari fantasiosi che danno vita alla creta, i tuoi

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Bonifaci ottavi, i tuoi papi mercanti di indulgenze, non sarà invecchiata la tua tigre accogliente e dispotica?

« Chiudi gli occhi e pensa: chi ti ricorda Bonifacio Ottavo? Un altro papa, ovvio, ti lascio il nome nell' ipofisi. Chi ti ricorda la Madonna se non la madre, la grande madre, dolce come una donna, forte e intelligente come una donna? E la tigre cosa ti insegna oggi, forse qualcosa di diverso da quel che insegnava ieri?»

Riso e dolcezza, riso e dolcezza, Dario: hanno consegnato il Nobel nelle mani di un rivoluzionario davvero pericoloso, il più pericoloso perché predichi, ad una età in cui non puoi finire in galera, che la rivolta senza amore semplicemente non è...

«Entusiasmo, figliolo. Torno a quei ragazzi del Movimento: loro hanno capito da soli la lezione e nessuno gliel'ha insegnata, grande generazione, tutto intorno a loro sostiene altro e cioè che se non prevarichi e non metti sotto i piedi gli altri non sarai nessuno, questa è vita fratello... ».

Adesso basta – si fa per dire -: sei un fottuto sessantottino con la testa tra le nuvole e il corpo in purgatorio...

«Ecco, bravo che me lo ricordi: la signora Gelmini ha detto che il Sessantotto è finito e sepolto..

Ha ragione, in molti hanno provveduto a seppellirlo e lei ha fatto la sua parte con la riforma universitaria, dopo Marchionne, dopo Berlusconi e le sue tv....

«Nessuno seppellisce il Sessantotto perché, bada, è immortale. Può darsi che la signora in questione abbia ragione mentre fa il conto della spesa. Ma quello sa fare, per il resto non sa nulla, non sa nemmeno che senza Sessantotto lei, una donna, col cavolo che starebbe al governo: femminismo e uguaglianza tra i sessi è roba che nasce lì. Si tornerà lì, in questo calderone di crisi e di parole oggi apparentemente senza senso quando l'idiozia del potere sarà costretta a fare un passo indietro. E col

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Purgatorio ci andrei cauto: se lo sono inventato in Vaticano qualche secolo fa perché gli serviva a far soldi e a mietere potere...».

A proposito del Vaticano: com'è che si sono seccati alla prima uscita di Mistero Buffo? Mi sembra un lavoro non lontano dal clima di un morbido presepe...

«Ricordando, il Vaticano si lamentò con lo Stato italiano per aver permesso che si recitasse in pubblico una cosa simile. Poi, è vero che Mistero Buffo rivendica al popolo la titolarità del sentimento religioso, della religiosità più profonda che ha a che fare con il senso della vita e della morte. Così Dio non è lontano da Bacco, Gesù è molto vicino a Dioniso. Nella cultura popolare, queste distanze sono cancellate: per esempio, nel “Risus Pascalis” , abolita nell'Ottocento, la gente si dava da fare per scatenare la gioia per la resurrezione, per la vittoria contro la morte, era una festa allegrissima e vitalissima...».

Dal punto di vista della tecnica teatrale, da Oltretevere hanno sempre posto l'accento sulla compostezza ortodossa e misterica con cui Jacopone da Todi aveva tessuto le laudi, tanto per dire che tu eri fuori...

«Meglio fuori che male accompagnati. Però, con Jacopone hanno confezionato uno dei loro falsi meglio riusciti: bisogna leggerlo davvero per capire quanto fosse sanguigna e accesa la sua critica all'ordine delle cose che allora regnava. Te lo recito?»

Diamolo per fatto. Se non sbaglio, hai continuato per anni ad arricchire il panorama del Mistero...

«Vero, e così per metterlo in scena tutto ho calcolato che servirebbero dieci giorni e dieci notti. Stavolta torno in scena con una parte che mette assieme pezzi vecchi e fondamentali con pezzi nuovi, ma poi cambiamo in corso d'opera. E l'opera è il corpo, siamo noi, i nostri corpi, il più grande mistero buffo».

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3 gennaio 2011 fonte: http :// www . unita . it / culture / io - dario - fo - e - l - eterno - br -68- del - mistero - buffo -1.264059

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S ' ode a destra

Il lavoro ieri e oggi di Bruno Ugolini

Fiat: tre ipotesi per bloccare gli anni 50

Anno orribile per il sindacato questo 2010. Dovrei dire, però, per il sindacato più grande, la Cgil. Non per Cisl, Uil e Ugl, la nuova Triplice: appaiono liete e soddisfatte per come vanno le cose. Noncuranti del fatto che sia stato l'anno che ha registrato il massimo grado di divisione non solo tra le sigle ma nello stesso mondo del lavoro. Con un depotenziamento dell'autorità sindacale complessiva. Non bastano infatti i riconoscimenti formali di mass media, governo e imprenditori.

Ora che succederà? E’ possibile, come fa Marchionne, immaginare piani A, B,C. Nel primo la Cgil capeggiata da Susanna Camusso (unica seria novità del 2010) conquista un nuovo accordo unitario con altri sindacati e Confindustria sulla rappresentanza e la Fiat rientra nei ranghi della Confindustria stessa. Lo sbocco suggerito anche da un esito del referendum non lineare e che mostra, come per Pomigliano, stati di sofferenza. È così aperta anche con la Fiom la trattativa sul nuovo contratto nazionale del settore (anche se non è chiaro quale altra azienda potrà parteciparvi oltre la Fiat) magari inserendo in un nuovo consiglio di sorveglianza alla tedesca dirigenti sindacali come Landini. Anche lui, come i sindacati della Chrysler, un po’ padrone dell’azienda.

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Il piano B vede tramontare tali ipotesi. Gli scioperi generali di Fiom e Cgil scuotono il Paese, radicalizzano la lotta politica ma non mutano le scelte di Marchionne. Il rischio, come diceva Aventino Pace, è di “andare come tori nella nebbia”. Nelle aziende e non solo alla Fiat trovano nuovi spazi i Cobas. Addio al sindacato come soggetto politico generale. E i risparmi sul lavoro non fanno decollare i vecchi modelli Fiat.

C'è una terza ipotesi. La Cgil, la Fiom non si accontentano delle giuste proteste. Decidono di stare comunque nelle "nuove" fabbriche per spingere i sindacati "nominati" e non eletti a farsi carico dei problemi degli operai, a proporre alternative a condizioni disumane che corrompono l'integrità psicofisica del lavoratore, a imporre un'informazione seria sugli investimenti promessi. Un modo per riconquistare sul campo una rappresentanza negata, fino a ottenere un nuovo sistema di relazioni nei luoghi di lavoro. Compito difficile, anche per le difficoltà di delegati sindacali semiclandestini: senza le agevolazioni assegnate solo ai "nominati". Non una guerriglia ma una guerra impegnativa. Col contributo delle numerose altre categorie che finora non hanno subito le umilianti sconfitte riservate alla Fiom. E per ricostruire dal basso l'unità sindacale che nel 2010 è sembrata andare definitivamente a pezzi.

Fantasticherie? Può essere. Ma possono essere fantasticherie anche quelle di tanti tifosi che dai loro scranni decretano gli osanna ai moderni presunti vincitori e brindano ai nuovissimi anni 50. Dovrebbero perlomeno ricordare che dopo gli anni 50 arrivarono gli anni 60 e 70.

3 gennaio 2011 fonte: http :// sodeadestra . blog . unita . it / fiat - tre - ipotesi - per - bloccare - gli - anni -50-1.263937

------"Noi maschi, specie quelli grandicelli, siamo ciò che diciamo. Non siamo il lupo cattivo, non siamo maniaci stalker, non stiamo già

53 Post/teca morendo dietro di voi se vi chiediamo il numero o un appuntamento. Meno che mai se vi invitiamo ad un aperitivo o al cinema, o a pranzo. Non siamo – e non vogliamo da voi – ciò che il vostro istinto vi sta suggerendo. Anzi, mettiamola così: dopo i 30, soprattutto, quello che vogliamo ve lo facciamo capire molto bene. Se non lo capite, è perché non lo vogliamo – e quindi non ve lo abbiamo detto/chiesto, guarda un po’ – e non siete autorizzate a fare neppure un educated guess." — Dall ’ articolo “ E tu , ce l ’ hai la SdC ?” di Guy (via pollicinor)

------"se ci abbracciamo molto forte ci stai anche tu, al centro del mio mondo insieme a me" — happy new year . (a chi mi dice non-ci-sto) (via anarchaia)

------La merda che strasborda dal cervello [ pt . 1]

54 Post/teca oneblood: nonmenefregauncazzo: Si parta dall’assioma che la maggior parte delle donne abbia merda mescolata a materia grigia dentro il cazzo di cranio. In alcune accezioni si ha solamente merda. Questa merda rimane dormiente, tipo le cellule terroriste, fino ai 30 anni circa, ma si possono manifestare casi in cui piccole quantità interferiscano con il comportamento standard dei soggetti anche in età prematura. Basti pensare alle vostre compagne delle medie/superiori che si truccano come delle troie e fumano per apparire più grandi. E 15 anni dopo truccarsi ancora di più per apparire più giovani. Questa è la merda che era rimasta dormiente e si è attivata allo scoccare dell’ora X. Verso i 30 anni per le donne è un casino. Ci sono quelle sposate, accasate, realizzate, con figli e poi ci sono quelle che fanno finta di esserlo. Le classiche “sono felice così”/”sto bene così”. Ma dentro di loro lo sanno che tra un po’ non potranno più dare alla luce figli, non saranno più così avvenenti, la pelle non sarà più così tonica e potranno contare solo sulla loro personalità, solo su quanto sono interessanti, seducenti e tutte quelle belle cose che vanno oltre all’aspetto fisico. Purtroppo queste non si rendono conto del fattore M. La merda inizia ad attivarsi, a sconvolgere i pensieri, ad annebbiare la mente. La donna non sa più a cosa pensare, non sa come rendersi più interessante… cambio acconciatura? cambio look? compro delle scarpe nuove! sì, ecco, un bel paio di scarpe nuove! E se cambiassi la montatura degli occhiali? Magari la prendo verde! Che pazzah che sono! Oppure te le vedi partecipare ai vari corsi di cucina finlandese o di meditazione indù o che cazzo ne so, basta che siano cose stranissime e nuovissime per non sfigurare con le altre durante le patetiche cene dove si beve solo chardonnay (almeno 20€ a bottiglia, perchè sono tutte, ovviamente, intenditrici) e si parla di quanto siano sfigati gli uomini e di quanto non ci siano più maschi in giro. E tra una risata e l’altra assale loro la tristezza di essere lì, in 4-5, sole, a sparlare degli uomini, sapendo che tutte le loro amiche che non sono a tavola con loro sono abbracciate ai loro uomini, progettando un futuro assieme, ridendo delle future zitelle.

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Una sorta di Sex & the city ambientato a Gemona del Friuli o a Ravenna. Presente, che tristezza? Poi oh, quando sei in giro li riconosci subito questi esseri col cranio pieno di merda. Tipo quando sei in vacanza sono quel gruppetto di 5-6 donne che ridono sempre e che la sera ballano sguaiatamente in infradito e pareo, perchè sono troppo easy per vestirsi bene la sera. Non hanno niente da perdere, loro. Quelle cagate le lasciano a quelle troie che si accaparreranno i maschi più superficiali, che badano molto alle apparenze, al bel vestito, alle scarpe col tacco. Loro non sono interessate a quel tipo di uomo. Loro vogliono quello più profondo. Quello intellettuale, colto, sensibile. Ed è chiaro che gli uomini in estate fan di tutto per sembrare intellettuali e sensibili. Generazioni di bagnini riminensi che indossano costume e tocco. Alla fine, seleziona seleziona seleziona, si ridurranno all’ultima notte per scoparsi un tedesco che indossa i sandali con le calze (che per la cronaca sarà un imponente alemanno in viaggio di studio/affari in questa esclusivissima location). Anche su facebook le riconosci al volo, ste cretine. Innanzitutto i loro status sono o citazioni coltissime e raffinatissime, o frasi in spagnolo/inglese. Nel caso si trattasse di pensieri propri, la donna con la merda nel cervello si scorge perchè questi sono descritti con frasi solitamente molto sintetiche, con un numero assurdo di segni di interpunzione. Una quantità spropositata di “punti” e virgole. Per enfatizzare. Qualsiasi cosa. Qualsiasi. Cosa. Esempio. Io per scrivere che oggi è una bella giornata e il cielo è azzurro ecc ecc scriverei: “cazzo che bella giornata oggi raga” la donna affetta da fattore M, invece, scriverà: “Blu. Vedo solo blu. E azzurro.” e dopo 5 minuti aggiornerà lo status: “Todo es azul. La vida es azul. El mundo es azul. El sol brilla.” Le stesse caratteristiche sono riscontrabili nei blog di ste poverette, che, credendosi delle novelle Fabio Volo (che poi, come cazzo si fa a voler tendere a Fabio Volo, Cristo di un Dio?), scrivono post ricchi di sti cazzo di incisi che

56 Post/teca enfatizzano anche l’odore della merda. E niente, apparentemente gira sta voce per cui ora “scrivere con molti punti fermi = scrittrice”. Prendo un blog a caso, non cercatelo, tanto non lo trovate. E’ di una mia amica ultratrentenne:

“Mangio una mela. E’ rossa. E’ rossa come le emozioni. Come la vita. Fuori è tutto grigio. Milano è grigia. Il rosso non sta un granchè bene col grigio. Forse Milano vorrebbe essere rossa. Come questa mela” No, scusa, vaffanculo. Piantala per dio onnipotente.

Come scrissi tempo fa: non sei una scrittrice, sei solo una scema con una connessione ad internet. FAI. BASTA. (tel’ho scritto seguendo le regole della tua poetica del cazzo e della merda.) E internet alla fine è diventata un po’ una discarica, una fogna dove tutte ste cretine si ritrovano per darsi consigli su come arginare la merda che tenta con tutte le sue forze di scappare da quel cranio, o come mascherarla con qualche atteggiamento disindividuante. E così fioriscono blog ultraprolissi che nessuno si caga, fioriscono siti dove ognuna pubblica una poesia e all’istante si è poetesse, fioriscono video su youtube dove con una drammatizzazione e un enfasi che nemmeno nelle peggiori fiction italiane si riscontra si parla di questa o quell’altra stronzata.

Perchè alla fine cos’è che cercano, ste poverine? Un po’ di considerazione, un po’ di attenzioni, qualcuno che le faccia sentire importanti per un giorno o due. E quindi eccole, quelle che si tuffano a capofitto in tutta quella serie di situazioni sfigatissime perchè convinte che saranno loro a sbrogliare la situazione, saranno loro l’ago della bilancia o ciò che la farà pendere definitivamente da una parte o dall’altra. Per cui eccole schierarsi con una minoranza piuttosto che con un’altra e quando parli con loro di questa minoranza si fanno tutte serie serie e con aria solenne ti spiegano che il problema è gravissimo e che loro stanno facendo di tutto per risolvere; ci

57 Post/teca stanno mettendo tutte loro stesse, anteponendo il fine ultimo anche alla propria vita. Ma il percorso è lungo, e meno male che ci sono loro. [fine della prima puntata] ps. ciò che ho scritto vi potrebbe offendere. Questo vuol dire che siete donne e avete merda nel cervello. Iscrivetevi subito ad un corso di urinoterapia o datevi alla coltivazione di bonsai giganti. can’t wait for parte 2

------"Alla fine di tante discussioni su Cesare Battisti resta un dubbio: ma se non avesse la faccia che ha, con quel ghigno da furfante che ha mostrato ai fotografi due o tre volte di troppo, ne staremmo ancora parlando? In fondo un motivo ci deve pur essere, se a distanza di tanti anni il suo volto è ancora sui titoli dei tg, mentre di tanti altri latitanti non si parla semplicemente più. Non si parla più di Giorgio Pietrostefani, che per i giudici italiani è colpevole dell’omicidio di Luigi Calabresi. Nessun La Russa si permette di minacciare fuoco e fiamme contro la Svizzera che non intende estradare Alvaro Lojacono, complice dell’assassinio di Moro, divenuto

58 Post/teca cittadino elvetico; nessuno propone sanzioni contro il Nicaragua se il brigatista Casimirri gestisce suo ristorante in riva all’oceano." — Un latitante troppo fotogenico - Leonardo (via federicochi) (via hneeta)

------Così gli scrittori si odiano ennelletti: Un duello molto famoso fu quello fra Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli che incrociarono le spade il 9 agosto del 1926. I due scrittori dopo un incontro casuale nel quale si erano accusati a vicenda di «maldicenze letterarie» si diedero appuntamento nella villa romana di Luigi Pirandello. Vinse Bontempelli che infilò la spada nell’ avambraccio destro di Ungaretti procurandogli una ferita di «tre centimetri». (Source: ricerca . repubblica . it , via lalumacahatrecorna)

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“Mi piace dire. Dirò meglio: mi piace parolare. Le parole sono per me corpi toccabili, sirene visibili, sensualità incorporate. Forse perché la sensualità reale non ha per me interesse di nessuna specie – neppure mentale o di sogno, il desiderio mi si è trasferito in ciò che mi crea ritmi verbali o li ascolta da altri. Rabbrividisco se qualcuno parla bene.”

Pessoa (via yoruichi) pessoa, chi altri. (via lalumacahatrecorna) via: http :// luciacirillo . tumblr . com / post /2584019042/ mi - piace - dire - diro - meglio - mi - piace - parolare - le

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Druckerei spaam: Entro in una copisteria per stampare la mia tesi. Dietro al bancone c’è il monolito di

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2001 - Odissea nello Spazio. Io : salve. Dovrei stampare la mia tesi Monolito : per quando? Io : questa sera Monolito: impossibile Accanto a me c’è una vecchia signora, borsetta nera e guanti di pelle nera, quelli corti senza svastica. Le afferro la testa per i capelli e gliela sbatto un paio di volte sul bancone poi, tenendola ben stretta sotto la morsa del mio braccio, la trascino fino alla copiatrice gigante a colori. Sollevo il coperchio e dentro ci blocco la capoccetta della vecchia tramortita. Programmo 100 copie a colori e pigio invio. Fa Flap….Fa Flap…Fa Flap. Dopo 12 copie da 100 gr. di carta l’una, formato A5, fisso di nuovo il monolotio e chiedo Io : salve. Dovrei stampare la mia tesi Monolito : … Io : è per questa sera Monolito: alle 18 va bene? Sento un vuoto dentro di me. Prendo strade a casaccio e mi ritrovo in un McDonald’s appena innaugurato. Lo si capisce perché non vedo scarafaggi in coda. Ordino tagliolini al burro. Ci vuoi qualcosa da bere, tesoro? Il burro, faccio io. Mentre aspetto gli chiedo se si può piangere in questo locale. No - dice lei senza mollare la cassa con lo sguardo - fuori però c’è un apposito angolo. Fuori fa freddo. Con altri due signori, intorno ad una specie di posacenere anni ‘90, piangiamo, ognuno a modo suo. Un giovane passante si ferma e ci chiede qualcosa per piangere. Mi dispiace - faccio io - ma mi son rimaste solo 2 paranoie. ——————— La stampa della tesi mi porta dentro un provvisorio limbo, prima di chiudere definitivamente, con la discussione, una lunga fase della mia vita. È stato un viaggio incredibile. Per questa ragione ho usato la citazione del nobel Mullis: “Back in the 1960s and early ’70s I took plenty of LSD. A lot of people were doing that in Berkeley back then. And I found it to be a mind-opening experience. It was certainly much more important than any courses I ever took.”

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Leggerli entrambi 3 nding : Dal libro di Edoardo Montolli Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello

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Stato: Genchi: “Litigammo tutta sera e per buona parte della notte. Ero infuriato: il mancato riscontro sul viaggio di Falcone, l’abbaglio su Maira, e ora l’arresto di Scotto per le confessioni di due personaggi improbabili come Candura e Scarantino che rischiavano di far naufragare l’inchiesta. Pietro Scotto no. Lui no. Strilla Genchi, strilla convinto che ogni cosa sarà persa se lo arresteranno (Pietro Scotto). E quel che poi accade è ciò che non sarebbe mai dovuto accadere. Un nodo alla gola che si porterà dietro per sedici anni: Fu allora che La Barbera scoppiò a piangere. Pianse per tre ore. Mi disse che lui sarebbe diventato questore e che per me era prevista una promozione per meriti straordinari. Non volevo e non potevo credere a quello che mi stava dicendo. Ma lo ripeté ancora. E ancora. E furono le ultime parole che decisi di ascoltare. Me ne andai sbattendo la porta. L’indomani mattina abbandonai per sempre il gruppo Falcone-Borsellino. E le indagini sulle stragi”. È la notte tra il 4 e il 5 maggio 1993. Genchi si chiama fuori. Il 14 un’autobomba esplode a Roma, in via Fauro. L’attentato pare diretto al giornalista Maurizio Costanzo, che ci stava passando, ma che al momento dello scoppio era ancora fuori bersaglio. Sulla stessa via, a una manciata di metri, c’è parcheggiata la Y10 di Lorenzo Narracci, vice di Contrada al Sisde, che abita lì. C’è chi si chiede se il vero obiettivo fosse lui. La strategia della tensione si sposta poi a nord. Il 27 tocca a Firenze, via dei Georgofili, agli Uffizi: cinque morti e trentasette feriti.Il giorno dopo, Pietro Scotto viene arrestato. L’11 luglio, il ministro dell’Interno Nicola Mancino promuove La Barbera dirigente superiore e col grado di questore lo assegna alla direzione centrale della polizia criminale di Roma. L’anno successivo diventerà il nuovo questore di . L’agente indicato da Spatuzza, in mare con Contrada quando Borsellino saltò in aria. Ebbero la notizia prima di tutti

È tutta racchiusa in cento secondi la verità sulla strage di via D’Amelio, dove il 19 luglio 1992 morirono e la sua scorta. Un vuoto di cento secondi che ora – grazie alle rivelazioni del pentitoGaspare Spatuzza e del testimone Massimo Ciancimino, incrociate con vecchie perizie del consulente antimafia Gioacchino Genchi – si riempie di due nomi: quelli di un uomo di mafia e di un servitore dello Stato. Il doppio Stato.

L’uomo di mafia è Gaetano Scotto, della famiglia palermitana dell’Arenella, che il

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6 febbraio 1992 risulta aver telefonato a un’utenza del Cerisdi (il centro studi che ha sede nel castello Utveggio sul Monte Pellegrino che domina Palermo, dove il Sisde aveva un ufficio “coperto” e da dove, secondo molti, sarebbe stato premuto il detonatore dell’autobomba che ha ucciso Borsellino) e parlato con un dirigente per 4 minuti; poi fu condannato all’ergastolo per quella strage. leggi tutto L’uomo dello Stato è Lorenzo Narracci, all’epoca funzionario del Sisde e fedelissimo di Bruno Contrada (allora numero tre del servizio civile con delega all’antimafia, poi condannato in Cassazione a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa). Narracci fu indagato con Contrada a Caltanissetta in una delle inchieste sui “mandanti esterni” delle stragi, poi archiviata nel 2002. Ora però è stato riconosciuto sia da Spatuzza sia da Ciancimino jr: il pentito dice che Narracci era presente nel garage in cui fu imbottita di tritolo la Fiat 126 che poi sventrò via D’Amelio; il figlio di don Vito dice di averlo visto in un hotel di Palermo dove erano presenti anche suo padre e il “signor Franco”, l’uomo degli “apparati” che lo assistè per trent’anni; quel giorno, nel bar dell’hotel, Narracci avrebbe parlato con Scotto.

Sebbene di nuovo indagato a Caltanissetta, Narracci al momento non è colpevole di nulla: il rischio che, 18 anni dopo, la memoria dei testimoni sia confusa è forte. Ma, se il doppio riconoscimento trovasse conferma, sarebbe il tassello mancante di un mosaico di “coincidenze” che lascia senza fiato. Perché Narracci è, nel migliore dei casi, l’uomo delle coincidenze (come ha ricordato ieri Marco Lillo, il suo nome emerse pure a vario titolo nelle inchieste sulle stragi di Capaci e di via Fauro, senz’alcuna responsabilità penale).

Quattro uomini in barca. Nel pomeriggio di domenica 19 luglio 1992 Narracci è in gita in barca al largo di Palermo con alcuni amici e amiche, fra cui Contrada, un capitano dei carabinieri e il proprietario della barca,Gianni Valentino, un commerciante di abiti da sposa in contatto con il boss Raffaele Ganci (condannato all’ergastolo per le stragi del ’92). Racconterà Contrada a verbale che, dopo pranzo, Valentino riceve una telefonata della figlia “che lo avvertiva che a Palermo era scoppiata una bomba e comunque c’era stato un attentato. Subito dopo il Narracci, dal suo cellulare o dal mio, ha chiamato il centro Sisde di Palermo per informazioni più precise”. Appreso che la bomba è esplosa in via D’Amelio, dove abita la madre di Borsellino, Contrada si fa accompagnare a riva, passa da casa e, in serata,

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raggiunge via D’Amelio con Narracci.

Ma gli orari ricostruiti da Genchi non tornano. Tutto in 100 secondi. L’istante esatto della strage è fissato dall’Osservatorio geosismico alle ore 16, 58 minuti e 20 secondi. Alle 17 in punto, 100 secondi dopo l’esplosione, Contrada chiama dal suo cellulare il centro Sisde di via Roma. Ma, fra lo scoppio e la chiamata, c’è almeno un’altra telefonata: quella che ha avvertito Valentino dell’esplosione.

Dunque, in 100 secondi, accadono le seguenti cose: la bomba sventra via D’Amelio; un misterioso informatore (Contrada dice la figlia dell’amico) afferra la cornetta di un telefono fisso (dunque non identificabile dai tabulati), forma il numero di Valentino e l’avverte dell’accaduto; Valentino informa Contrada e gli altri; Contrada afferra a sua volta il cellulare, compone il numero del Sisde e ottiene la risposta dagli efficientissimi agenti presenti negli uffici (solitamente chiusi la domenica, ma guardacaso affollatissimi proprio quella domenica).

Tutto in cento secondi. Misteri su misteri. Come poteva la figlia di Valentino sapere, a pochi secondi dal botto, che – parola di Contrada – “c’era stato un attentato”? Le prime volanti della polizia giunsero sul posto 10-15 minuti dopo lo scoppio. E come potevano, al centro Sisde, sapere che era esplosa una bomba in via D’Amelio già un istante dopo lo scoppio? Le prime confuse notizie sull’attentato sono delle 17:30. Le sale operative di Polizia e Carabinieri parlavano genericamente di “esplosione” e di “incendio nella zona Fiera” fino alle 17:10– 17:15 senz’aver ancora individuato il luogo preciso, forse a causa dell’isolamento dei telefoni dei condomìni adiacenti, coinvolti nell’esplosione. Valentino e Contrada, però, in alto mare, pochi secondi dopo le 17 già sapevano tutto: “Attentato”.

Escludendo che la figlia di Valentino e gli uomini Sisde siano veggenti e ricordando i rapporti di Valentino con i Ganci, viene il dubbio che l’informazione sia giunta da chi per motivi “professionali” ne sapeva molto di più: magari qualcuno appostato in via D’Amelio o sul Monte Pellegrino (dove il Sisde aveva una succursale occulta in contatto col mafioso Scotto), che attendeva il buon esito dell’attentato per comunicarlo in diretta a chi stava in barca. Nel qual caso la gita dei nostri marinaretti assumerebbe tutt’altro significato. Purtroppo la chiamata non ha lasciato tracce: proveniva da un fisso (abitazione, ufficio o cabina). E Valentino nel

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frattempo è morto. Ma ora, quando quei 100 secondi misteriosi sembravano sepolti per sempre, i ricordi di Spatuzza e Ciancimino hanno provveduto a riaprire il caso.

Marco Travaglio (il Fatto Quotidiano, 29 maggio 2010)

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Mirafiori , 23 dicembre 2010: l ’ accordo della vergogna ze - violet : uomoinpolvere: @ Wu _ Ming _ Foundt : La FIOM di Torino decifra e commenta l’accordo separato di Mirafiori (PDF) Sostieni la Fiom L’analisi essenziale del testo dell’accordo. CANCELLAZIONE RSU: non ci saranno più le RSU elette liberamente e democraticamente dai lavoratori, saranno sostituite dalle “vecchie RSA” previste dall’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, nominate esclusivamente dal sindacato esterno. Le RSA potranno essere nominate solo dalle organizzazioni firmatarie dell’intesa del 23 dicembre 2010, mentre coloro che non hanno firmato, non potranno nominare nessun rappresentante e i lavoratori saranno impossibilitati ad eleggere propri rappresentanti facenti parte delle organizzazioni non firmatarie (in questo caso la FIOM- CGIL). Commento: viene totalmente smantellata la rappresentanza sindacale. I lavoratori non potranno più eleggere i propri rappresentanti in modo libero e segreto. Saranno solo le organizzazioni sindacali esterne, firmatarie dell’intesa, che potranno nominare propri rappresentanti, non più istanza dei lavoratori e delle loro condizioni di lavoro, ma esclusivamente di rappresentanza “politica” delle burocrazie sindacali. ASSEMBLEE: le assemblee potranno essere indette e svolte solo da coloro che hanno firmato l’intesa, viene conseguentemente negato anche il diritto di indire le assemblee di

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organizzazione, quindi anche l’ora all’anno di assemblea spettante alle organizzazioni sindacali esterne, non potrà essere indetta da coloro che non hanno firmato l’intesa. Commento: le organizzazioni non firmatarie dell’intesa, anche se confederali, non avranno più il diritto di indire assemblee (nemmeno l’ora di organizzazione), privando i lavoratori di un confronto democratico con organizzazioni sindacali non “accondiscendenti”.

------Adieu, Anne Francis. Salutaci Leslie, se puoi

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Ci ha lasciato Anne Francis, l'attrice che interpretò la splendida e innocente Altaira nel Pianeta Proibito. Aveva 80 anni. Ne dà notizia il Los Angeles Times . Il 26 novembre scorso si era congedato Leslie Nielsen, che nel film era il comandante J.J. Adams dell'astronave C- 57D, mandata su Altair IV per scoprire che fine aveva fatto la spedizione inviata vent'anni prima. Sigh.

Arrivati sul pianeta, trovano che tutti i coloni sono morti misteriosamente, tranne uno, il dottor Morbius (Walter Pidgeon), e sua figlia Altaira, che non ha mai visto nessun essere umano tranne il padre. C'è anche Robbie, il primo robot del cinema di fantascienza a seguire le Tre Leggi della Robotica di Isaac Asimov. E c'è uno dei mostri più terrificanti dello schermo: inarrestabile, invincibile e invisibile.

Classe 1956, e che classe.

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Altaira (in piscina): Si tuffi! Comandante Adams: Non ho il costume da bagno Altaira: Cos'è un costume da bagno?

La Neytiri della mia generazione. Senza bisogno di grafica computerizzata. fonte: http :// attivissimo . blogspot . com /2011/01/ ci - lascia - anne - francis - pianeta - proibito . html

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Le donne sottovalutate dalla Storia: Beulah Henry pubblicato: martedì 04 gennaio 2011 da Sexyvia

Per continuare degnamente la serie di donne sottovalutate dalla Storia secondo l ’ autore Mark Juddery , non possiamo evitare di parlare di Beulah Henry, una donna che ha svolto un mestiere che in passato è stato esclusivo appannaggio degli uomini, almeno per quanto viene ricordato, e che si tinge di mito e di leggenda, risultando quindi ancora più interessante: Beulah Henry infatti era un’inventrice. Vissuta a cavallo tra il XIX e il XX secolo (è morta nel 1973), Beulah Henry si guadagnò, già negli anni ‘20 e ‘30, il soprannome di “Lady Edison”, proprio per la fervente attività e le numerose invenzioni attribuitele. Nonostante infatti i brevetti ottenuti ufficialmente siano stati soltanto 49 circa, pare che il numero degli oggetti inventati da Beulah possa aggirarsi intorno ai 110. Beulah è stata una donna fuori dal comune in tutto, soprattutto per l’epoca: indipendente, intraprendente, sorprendentemente capace; frequentò due college nella Carolina del Nord e nel 1924 si trasferì a New York, dove fondò due compagnie, vivendo in diversi hotel della città, senza sposarsi mai (o almeno è quel che ci viene riportato, in realtà le notizie su questa figura di donna così particolare non sono molte).

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Tra le sue numerosissime invenzioni, ce ne sono alcune che potrebbero aver contribuito a determinate rivoluzioni tecnolgiche: Protograph ad esempio fu un primitivo modello di fotocopiatrice, funzionante con una macchina da scrivere manuale, mentre la prima macchina da cucire senza bobine e quella con il “zig-zag” cambiarono sicuramente il lavoro delle sarte di allora. Altre invenzioni, non tecnologicamente avanzate, ma ugualmente importanti nella vita quotidiana riguardano ad esempio l’ormai scontato apriscatole, senza il quale invece potremmo fare davvero fatica in cucina; i bigodini, che hanno rivoluzionato la vita estetica di molte donne; diversi giocattoli per bambini, tra cui una bambola che poteva chiudere gli occhi e cambiarne il colore. Insomma una donna straordinaria, di cui si sa poco e nulla purtroppo. Non si tratta comunque dell’unica inventrice della Storia, ma di una delle poche i cui meriti sono stati parzialmente riconosciuti, nonostante il suo mestiere fosse esclusivo appannaggio maschile. Sono diverse invece le donne inventrici che proprio perchè tali, non hanno mai potuto registrare brevetti e riceverne compensi e riconoscimenti: “Mary S.”, morta nel 1880 ad esempio, fu costretta a vendere tutte le sue invenzioni a personaggi di sesso maschile, per somme misere; gli acquirenti dei suoi brevetti invece, fecero fortuna e acquisirono una fama immeritata. Quanti casi simili potrebbero essere disseminati nella Storia senza che a noi ne sia giunta traccia? fonte: http :// www . pinkblog . it / post /7746/ le - donne - sottovalutate - dalla - storia - beulah - henry # continua

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Le donne sottovalutate dalla Storia: Murasaki Shikibu pubblicato: mercoledì 15 dicembre 2010 da Sexyvia

Tressugar ha pubblicato un interessante spunto di riflessione riguardo il mondo femminile; intervistando Mark Juddery, autore del libro “Overrated: The 50 Most Overhyped Things in History”, la domanda che ha generato risposte sicuramente stimolanti, ha voluto sottolineare un aspetto storico del tutto contrario rispetto al tema

67 Post/teca del libro, ma sicuramente inevitabile: quali figure di donne nella Storia sono state sottovalutate? Juddery ha fatto dieci nomi di donne che secondo lui avrebbero potuto essere più famose di come sono state in realtà; certo non si tratta di sconosciute e la loro notorietà in qualche modo l’hanno guadagnata, altrimenti i loro nomi sarebbero caduti nell’oblio; la Storia è costellata di donne messe in ombra dal predominio maschile, è il destino di un genere a lungo sottovalutato forse proprio perchè temuto. Ma di quelle davvero sepolte, sotto ogni punto di vista, anche se eccezionali, purtroppo non ce ne rimane traccia. Per fortuna però possiamo ancora discutere, anche se con pochissime informazioni, di donne come Murasaki Shikibu , la scrittrice giapponese che diede alla luce forse il primo romanzo della storia, considerato ancora oggi un capolavoro, “Genji Monogatari”. Un mito effettivamente poco conosciuto, una donna vera ma allo stesso tempo leggendaria, perchè vissuta un millenio fa, perchè cresciuta in modo diverso in una società che non dava particolare peso alle doti femminili, e perchè la sua personale storia si perde nella notte dei tempi, tra storie reali e storie inventate.

A cominciare da come viene ricordata, tutto ciò che la riguarda è avvolto nel mistero: Murasaki Shikibu probabilmente non fu il suo vero nome; alcuni studiosi ipotizzano che in realtà si chiamasse Takako, ma non possiamo averne la certezza; il soprannome con cui è conosciuta potrebbe derivare dal nome di uno dei personaggi del suo romanzo, Murasaki, che in giapponese significa color porpora o viola, e dal mestiere di suo padre, Shikibu, Maestro Cerimoniere. Murasaki Shikibu, o anche Lady Murasaki, crebbe intorno all’anno 1000 (forse nel 973) in modo anomalo: avendo perso la madre quando era molto piccola, fu cresciuta dal padre, contro le usanze e le abitudini dell’epoca. Tametoki, funzionario alla corte imperiale, le insegnò tutto ciò che allora veniva fatto conoscere soltanto agli uomini e si lamentò spesso del fatto che la ragazza fosse molto più intelligente e recettiva del fratello maschio; così Lady Murasaki, poi ancella dell’imperatrice Shoshi/Akiko, iniziò a scrivere e oltre all’opera che ha portato il suo “leggendario” nome fino a noi, compose quasi sicuramente anche altri due lavori (Diario di Murasaki Shikibu e le poesie contenute nelle Raccolte di Murasaki Shikibu), ma non ci è dato sapere se fu ancora più prolifica. Anche la sua morte è avvolta nel mistero: c’è chi sostiene che sia morta nel 1014, quando il padre tornò d’improvviso a Kyoto, oppure fra il 1025 e il 1031, a un’età piuttosto avanzata per l’epoca.

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Genji Monogatari è considerato il primo romanzo moderno o psicologico della storia: ben lungi da un improbabile e semplicistico romanzo rosa, si tratta di una vera e propria saga composta da 54 libri, che raccontano la vita di Genji, figlio di un imperatore del Giappone, passata alla ricerca di una donna idealizzata e sfuggente, in realtà mai trovata, che potesse ricordargli la madre morta quando era piccolo. Storie d’amore si intrecciano dunque con la vita di corte, tracciando minuziosamente un contesto estremamente affascinante e per noi molto esotico. Ammaliante e misteriosa la figura di questa donna eccezionale, giunta fino a noi ma forse non con la fama che le sarebbe giustamente toccata; probabilmente un mito, in tutti i sensi, per tutte le epoche e per ogni cultura; sicuramente un faro femminile nella Storia e un modello per tutte coloro che come me, sognano di scrivere il romanzo della loro vita. fonte: http :// www . pinkblog . it / post /7656/ le - donne - sottovalutate - dalla - storia - murasaki - shikibu

------"Tutte le mattine ho preso la buona abitudine, dopo la doccia, di farmi un 10 minuti di air guitar, nudo davanti allo specchio. Come levetta per le distorsioni uso il mio pisello." — wah wah (via spaam)

------"Se Marchionne fosse il Direttore di una mensa scolastica le cose andrebbero così: obbligherebbe i genitori a pagare una retta mostruosa rispetto alla qualità del cibo prendendo contemporaneamente i soldi dallo

69 Post/teca Stato, farebbe cucinare i bambini, minacciandoli di aprire una mensa altrove lasciando tutti senza cibo e senza mensa. Ma dico, voi a un Direttore così la fareste gestire una mensa scolastica? E la FIAT?" — 3nding (via 3 nding )

------"Ormai viene ammesso senza remore da commentatori di differente ispirazione, come Innocenzo Cipolletta e Loretta Napoleoni (1). Alle origini dell’attuale crisi economica ci sono le guerre in Iraq e in Afghanistan. Per finanziare imprese militari che gli Stati Uniti non potevano permettersi, l’amministrazione americana, attraverso la Federal Reserve, quasi azzerò i tassi di interesse, in modo da avere disponibilità dei capitali ingenti liquidi che le necessitavano. Tutti i governi occidentali furono obbligati, come sempre accade, a fare lo stesso per reggere il passo. Simultaneamente gli Usa, in cerca di

70 Post/teca consenso a favore della guerra tra le classi medie, resero agevole – sempre tramite la Federal Reserve, che guida il comportamento delle altre banche - l’ottenimento di mutui per l’acquisto delle case, senza riguardi per la solvibilità degli acquirenti. Non lo dico io, lo scrive Cipolletta." — Economia Metapolitica (via misantropo) (via flatguy)

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Economia metapolitica di Valerio Evangelisti

Ormai viene ammesso senza remore da commentatori di differente ispirazione, come Innocenzo Cipolletta e Loretta Napoleoni (1). Alle origini dell’attuale crisi economica ci sono le guerre in Iraq e in Afghanistan. Per finanziare imprese militari che gli Stati Uniti non potevano permettersi, l’amministrazione americana, attraverso la Federal Reserve, quasi azzerò i tassi di interesse, in modo da avere disponibilità dei capitali ingenti liquidi che le necessitavano. Tutti i governi occidentali furono obbligati, come sempre accade, a fare lo stesso per reggere il passo. Simultaneamente gli Usa, in cerca di consenso a favore della guerra tra le classi medie, resero agevole – sempre tramite la Federal Reserve, che guida il comportamento delle altre banche - l’ottenimento di mutui per l’acquisto delle case, senza riguardi per la solvibilità degli acquirenti. Non lo dico io, lo scrive Cipolletta. Affluirono capitali, però in larga misura speculativi, attratti dalla pacchia che si profilava. Il mercato immobiliare diventò un nuovo Far West, un oggetto di conquista. Tutto ciò, nelle intenzioni, sarebbe stato riequilibrato dalle materie prime dei Paesi assoggettati. Non fu così. Le guerre divennero pantani, incapaci di compensare ciò che costavano. La finanza crebbe oltre misura, con

71 Post/teca un volume di scambi insostenibile. Chi aveva venduto titoli di dubbia consistenza, confidando in un imminente rialzo dei tassi, restò deluso. I mutui sulle case furono le prime sabbie mobili delle eccessive esposizioni bancarie; seguirono altre voragini. Gli istituti di credito, a quel punto, tirarono frettolosamente i remi in barca, dopo un paio di naufragi illustri. Vendettero all’estero quote di debito in abbondanza, confezionate in pacchetti che includevano consistenti percentuali di pattume. Troppo tardi. La crisi non era più ciclica, ma strutturale. Digiune di prestiti, le compagnie europee non abbastanza solide cominciarono a chiudere, quelle più forti a delocalizzare. Il dogma monetarista, affermatosi dopo il tracollo del campo socialista e socialdemocratico, vuole che il costo del lavoro sia il primo da comprimere nei momenti difficili. Così è stato. Ovviamente i consumi, nei paesi occidentali, sono crollati, in vista di discutibili eden futuri nelle potenze economiche dette emergenti (Cina, Brasile, India, in parte Russia). Peccato che laggiù larghi settori di popolazione restino esclusi da ogni sviluppo, e dunque non in grado di assorbire l’intera sovrapproduzione dell’Occidente. Peccato altresì che, via via che le nuove potenze emergono, siano in grado di produrre cloni o evoluzioni degli stessi manufatti tipici dell’Ovest, a volte di altissimo contenuto tecnologico. Caduta del saggio di profitto, sovrapproduzione. Tra queste due coordinate, e altre conseguenti, ecco i fondamenti di una crisi niente affatto volatile. Potrebbe rimediarvi solo il raggiungimento degli obiettivi economici prefissati con le avventure militari. Nulla lascia prevedere che ciò sia possibile. Aprire altri fronti di guerra, provarci di nuovo? Malgrado le ringhiose esortazioni del governo israeliano, e di alcuni Stati arabi (come rivelato da Wikileaks), nessuno al momento se lo può permettere. Si è parlato di “crisi di sistema”. In parte è vero, ma se per sistema si intende il capitalismo in senso lato, finanziario e produttivo, questo mai cade da solo. Se non contrastato, ha molte armi per reagire e sopravvivere. In primo luogo limitare la propria appendice voluttuaria, la democrazia (2). Desta invidia, in numerosi osservatori occidentali, il modello russo. Limitazione drastica del controllo dal basso, nell’ambito di un assetto economico niente affatto socialista, affidato a strati privilegiati costruiti dall’alto, pezzo per pezzo (con epurazioni periodiche, sotto pretesti giudiziari, dei tasselli che non funzionano o si rivelano troppo ingombranti). Analoga ammirazione suscita il modello cinese. Gli strumenti della vecchia “dittatura del proletariato” al servizio di una crescita prettamente capitalistica (checché ne pensi Diliberto), con classi egemoni create ad hoc. Coloro che criticavano “da sinistra” il socialismo reale, asserendo che la facciata nascondeva le forme di accumulazione del sistema

72 Post/teca che diceva di combattere, avevano ragione da vendere. La vecchia arma primaria con cui il capitalismo affronta storicamente le proprie crisi, l’autoritarismo, è verificabile in tutto il mondo occidentale, Unione Europea inclusa. Questa non fa che generare organi centrali di controllo economico sottratti a ogni vaglio democratico e investiti di pieni poteri. Il monetarismo, la UE lo ha elevato a dottrina centrale e indiscutibile addirittura per costituzione (costringendo a votare di nuovo chi si era espresso contro, fino a non fare votare per nulla la sua ultima riproposizione, il “Trattato di Lisbona”). I parlamenti sono stati esautorati delle loro prerogative attraverso limitazioni di mandato, o meccanismi di voto alterati sino a escludere opposizioni ostili alla filosofia di fondo. Ogni impegno è volto a impedire che i cittadini possano influire sulle scelte determinanti che li riguardano. Naturalmente, l’effetto è più sensibile nelle fabbriche, la cellula autoritaria per eccellenza. Guai a ostacolare l’efficientismo dei padroni, salvo una trasmigrazione delle aziende. Si pisci di meno, si mangi di meno, si lavori fino allo sfinimento, dal giorno alla notte. Altrimenti produrremo (senza peraltro vendere) dove la forza-lavoro costa quasi un cazzo, e dove i diritti dei lavoratori confinano con quelli della prima rivoluzione industriale. Sindacati gialli, forti solo di una base di pensionati iscritti a forza per presentare la dichiarazione dei redditi, applaudono entusiasti. Due ipotesi alternative: o non hanno capito nulla, o hanno capito troppo e sono complici. Buona la seconda. Ma come si fa, senza riuscire a vendere ciò che si è prodotto (per esempio automobili), a tenersi sul mercato? Il fatto è che il capitale finanziario ha finito col sovrapporsi al capitale reale. Hilferding lo aveva previsto, ma anche Marx lo aveva intuito (con la formula D-M-D: si rilegga il primo volume de Il Capitale per vedere cosa significa). La “M”, merce, è comunque uscita di scena. Paesi prosperi come l’Irlanda o la Spagna sono messi in un angolo, declassati da entità futili quali le agenzie di rating. Agenti fasulli e obbrobriosi, che solo una teoria forsennata come il monetarismo, privo di qualsiasi base scientifica (come aveva dimostrato il compianto Federico Caffè in Lezioni di politica economica, Bollati-Boringhieri, 1980), poteva formulare. Ebbene, proprio il monetarismo è la dottrina ufficiale dell’Unione Europea. Non conta quanto un Paese sia vitale e produttivo. Conta, per valutarlo, il suo indebitamento. Verso cosa? Verso un debito complessivo più grande. Tutti sono indebitati. Specialmente l’Africa, il continente più ricco di materie prime e di giacimenti. Guarda caso, sembra il più povero. I suoi abitanti fuggono al nord inseguiti dalla fame. Chi li perseguita? Una povertà naturale? No, il debito. Chi è ricco diventa povero, chi è povero diventa ricco. C’è qualcosa che non va. Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: è un errore di calcolo. Non ha niente a che vedere con l’economia propriamente intesa, cioè con la

73 Post/teca ripartizione delle risorse tra gli appartenenti al genere umano, cercando di far sì che esistano beni per tutti. E’ una follia collettiva che va oltre le atrocità del capitalismo, cioè la versione moderna del rapporto tra padroni e schiavi. Siamo alla servitù delle cifre, si produca o no. Siamo servi di un registratore di cassa in mano altrui, che pare manipolato da un folle. Ma folle non è poi tanto. Sceglie quale classe colpire, per farla vittima delle sue bizzarre matematiche. E’ sempre la classe subalterna, quella dei salariati e degli stipendiati. Tutto si tocchi salvo i profitti e le rendite, essenziali ai fini dell’algebra astratta del regno della finzione economica. Dove chi non produce guadagna, chi produce soffre, chi sarebbe ricco è povero, chi è povero lo è per calcoli immateriali e per flussi di ricchezza inesistente fatti apposta per non beneficiarlo. Il “debito pubblico” è un’astrazione legata a un’ideologia stupidissima, oggi l’unica insegnata nelle università – il “monetarismo”, più la sua variante volgare, la Supply Side Economy, cara a Reagan, alla Thatcher, a Pinochet – e il sistema, vergognoso, vi ha costruito sopra un intero edificio teorico. Smettiamo di essere servi di un pallottoliere privo di senso. Ma ricordiamoci anche di un vecchio motto: “Senza la forza la ragion non vale” (Andrea Costa, Avanti!, 1881). Non è un invito al terrorismo, bensì un’esortazione a tenere le piazze con la determinazione del dicembre scorso.

NOTE (1) Innocenzo Cipolletta, Banchieri, politici e militari, Laterza, 2010; Loretta Napoleoni, La morsa. Le vere ragioni della crisi mondiale, Chiarelettere, 2009. (2) Cfr. Vladimiro Giacchè, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, Derive / Approdi, 2008.

Pubblicato Gennaio 4, 2011 fonte: http :// www . carmillaonline . com / archives /2011/01/003739. html

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"l'intelligenza totale dell'umanità è costante, e gli uomini stanno aumentando di numero" via: http :// xmau . com / notiziole / arch /201012/007001. html

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Guido Catalano - le carte in tavola eclipsed: ho visto donne uscire in lacrime dal proprio parrucchiere

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maledicendo tinte, messe in piega, tagli, colpi di sole sbagliati ho sempre pensato che i cessi pisciati sia colpa dell’uomo finché una donna mi ha confessato che per non sedersi esse sono in grado di farla stando intrespolate in piedi sulla tazza e spisciazzando tutto ho visto donne strapparsi l’odiato vello dai loro corpi morbidi utilizzando tecniche degne di un inquisitore medievale soffrendo in silenzio ho visto gambe traballanti su tacchi inauditi sfidare le leggi della gravità dell’equilibrio e del buon senso ho avuto più volte la certezza che le borse delle donne siano portali dimensionali verso la sfera dell’entropia quasi tutte le donne si guardano di nascosto su qualsivoglia superficie riflettente ogni qual volta si presenti l’occasione per vedere se sono belle se la tua donna non lo fa mai preoccupati potrebbe essere una vampira da quando sul mio blog ho messo una poesia che si intitola “io ho visto le donne nude” ho ricevuto – ad oggi – 18.414 visite di gente che cerca su google “donne nude” contro 18.290 che cerca il mio nome e cognome la poesia è stata inserita sei mesi fa il blog è stato aperto cinque anni fa

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immagino che chi cerca “donne nude” su internet all’alba del 2011 non possa avere più di dodici o tredici anni se io avessi avuto internet a dodici-tredici anni mi sarei devastato di seghe garantito al limone verde, signori mi spiace di essere andato fuori tema la poesia era iniziata bene comunque giuro che se leggerò ad alta voce questa poesia davanti a delle persone davanti a delle persone sensibili o a bambini non dirò seghe ma pippe o pugnette come fanno alla tele io per avere quasi quarant’anni ho visto pochissime donne nude vere pochissime ne ho baciate pochissime ci ho fatto l’amore le tette in assoluto è la mia parte preferita sessuale gli occhi quella che cambia le carte in tavola

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“Ti rendi conto che, se c’è una cosa che gente della mia età non sopporta di sentire, è gente della tua età che ci fa la predica sulla morale? Guarda il mondo intorno a te. Il mondo che voi ci avete lasciato in eredità. Credi che ci conceda qualche possibilità di fare le cose per principio? Sono stufa di sentir dire che la mia generazione non ha valori. Che siamo materialisti. Che ci manca ogni senso della politica. Lo sai perché succede? Prova un po’ a indovinare. Sì, risposta esatta: perché è così che ci avete educati! Saremo anche i figli della Thatcher, per quel che vi riguarda, ma siete voi quelli che hanno votato per lei, e più di una volta, e poi avete continuato a votare per tutti quelli che sono venuti dopo di lei, e ne hanno pedissequamente seguito le orme. Siete voi che ci avete educato a essere gli zombi consumisti che siamo. Avete gettato tutti gli altri valori dalla finestra, o no? Il cristianesimo? Non ce n’è bisogno. La responsabilità collettiva? A cosa mai è servita? Produrre merci? Fabbricare delle cose? Roba da sfigati. Sì, lasciamo che siano gli sfigati dell’Estremo Oriente a

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fabbricare tutto per noi così possiamo stare seduti sulle nostre chiappe davanti alla tv, a guardare il mondo che va in pezzi - su uno schermo gigante e ad alta definizione, naturalmente.” — Jonathan Coe, I terribili segreti di Maxwell Sim, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 49-50.

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tempibui: Che mi piaci lo sai e che ti aspetto pure. E immagino che tu lo abbia capito perchè non sei idiota. Quindi basta. Se vuoi, sono qui. Se no non eri tu quello giusto.

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“Una mente di terz’ordine è felice solo quando pensa come la maggioranza”, ha scritto A..A. Milne, il creatore di Winnie the Pooh. “Una mente di second’ordine è felice solo quando pensa come la minoranza. Una mente di prim’ordine è felice solo quando pensa”. Nel 2011 avrai ottime opportunità di coltivare questa definizione di una mente di prim’ordine, Acquario. Secondo la mia lettura dei presagi astrali, la vita complotterà per rafforzare la tua intelligenza. Se deciderai di affilare il tuo ingegno, di usare la lingua in modo più preciso e di vedere il mondo con maggiore chiarezza e obiettività, tutto andrà per il verso giusto. Per cominciare, compila una lista di tutto quello che potresti fare per spingere la tua intelligenza oltre i suoi limiti attuali.

Acquario, di Rob Brezsny ( http :// www . internazionale . it / oroscopo / )

------«E’ l’omosessualità di

77 Post/teca Pasolini a fare ancora paura all’Italia»

Intervista a Marco Belpoliti, scrittore, critico letterario, curatore delle opere di Primo Levi, in libreria per Guanda il suo “Pasolini in salsa piccante”

«Pasolini non è la vittima o addirittura il martire delle trame occulte che dal 1969, e anche prima, hanno intorpidito e manipolato la storia del nostro paese: Pasolini assassinato dai servizi segreti deviati; Pasolini che scopre le piste nere, gli autori degli attentati neofascisti e per questo viene eliminato». «Di Pasolini oggi ci viene offerto un santino quasi fosse il Padre Pio della sinistra, bisognosa, come i fedeli dello stigmatizzato di San Giovanni Rotondo, di uno sciamano che decifri in modo rabdomantico il presente, un sant’uomo cui rivolgersi con religioso stupore e abbandonata fiducia per conoscere il nostro futuro anteriore». A trentacinque anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, ucciso nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975 all’idroscalo di Ostia, la figura dell’intellettuale friulano continua a fare scandalo. Ma questa volta non sono la sua opera o le sue idee a suscitare dibattito, bensì la sua trasformazione in una sorta di “icona progressista”, chiamata in causa e utilizzata per sondare il lato in ombra della società italiana da parte di chi, specie a sinistra, preferisce le scorciatoie e le formule precostituite al faticoso lavoro dell’analisi e del confronto con la realtà quotidiana. Questa sembra essere almeno la lettura delle sorti toccate alla vicenda umana e intellettuale del poeta friulano proposta da Marco Belpoliti nel suo libro Pasolini in salsa piccante, un volume articolato in quattro saggi accompagnati dalle fotografie di Ugo Mulas che esce oggi per Guanda (pp. 144, euro 12,50) - e che sarà presentato a Roma alla Libreria Feltrinelli di Piazza Colonna alle ore 18 dall’auotre insieme a Andrea Cortellessa e a Walter Siti. Belpoliti, scrittore, critico letterario, curatore delle opere di Primo Levi, e autore de

78 Post/teca

Il corpo del capo e Senza vergogna, due indagini sulla ”narrazione del populismo” attraverso i corpi e le immagini, per il titolo del suo libro si è ispirato ad alcune battute tratte da Uccellacci e uccellini, quando Totò e Ninetto Davoli immaginano come mangiarsi il Corvo, “I maestri sono fatti per essere mangiati in salsa piccante”. Così, spiega il critico, oggi si deve «mangiare Pasolini per capirlo meglio, per trarre forza da lui, dalla sua contraddizione, per non subirla, ma per declinarla. Per non restare vittime del complesso Pasolini che attanaglia ancora chi attende la palingenesi generale della nostra società, tutta da salvare o tutta da perdere, inclinazione moralistica che il poeta per primo avrebbe, ne sono certo, colpito e sferzato con la sua urticante vis polemica». Per Belpoliti Pasolini è stato soprattutto «un uomo e un poeta che usava contraddirsi per restare vivo, per capire e farci capire, un esercizio che gli costava fatica e dolore ma che gli era inevitabile». Da questo spirito contraddittorio si dovrebbe perciò partire per leggere oggi la sua opera. “Mangiare” Pasolini dunque, per non tradirlo. Ma cosa significa concretamente? Dobbiamo uscire dal “complesso di Pasolini” che ci fa dire ogni volta “chissà cosa avrebbe detto su questo o su quello”, “chissà cosa avrebbe scritto”. Dobbiamo responsabilizzarci e prendere posizione, utilizzando la sua opera ma senza nasconderci dietro di essa. Credo che quella di Pasolini sia diventata un’icona, non è neppure più un’immagine, ma solo un’icona. L’icona del santo, del taumaturgo, del profeta... E invece Pasolini va restituito alla sua storicità, e come si può farlo? Affrontando il tema della sua omosessualità, del suo amore per i ragazzi eterosessuali, del suo desiderio, e collocando tutto ciò al centro della sua opera, perché questa era la sua ispirazione fondamentale. Nel libro lei spiega come l’omosessualità di Pasolini sia troppo spesso considerata anche dai suoi estimatori come un «elemento su cui sorvolare, mentre costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana», vale a dire? L’etica di Pasolini era fondata sulla sua estetica. Può sembrare una formula ma era effettivamente così. La lettura che lui dava ad esempio della crisi della società italiana era una lettura legata ai suoi amori, di lui omosessuale per dei ragazzi eterosessuali. Questo lo sfondo su cui vanno lette le sue analisi sulla realtà, il che non significa diminuire in alcun modo la potenza delle sue visioni o la lucidità delle sua analisi, ma dargli la giusta collocazione. Perciò è questo elemento della vicenda pasoliniana, così centrale a suo giudizio, a suscitare ancora scandalo? Certamente. e questo a destra come a sinistra. Vorrei chiedere al sindaco di Roma Alemanno, che ha ricordato in questi giorni la figura di Pasolini, come pensa di

79 Post/teca regolarsi con l’omosessualità del poeta, con il suo amore per i ragazzi. Perciò, certo che fa scandalo, nessuno ne parla. Alemanno ha parlato di un museo per Pasolini: potranno trovarvi posto i suoi “ragazzi di vita”? Anche il considerare l’uccisione di Pasolini come uno dei molti “misteri italiani” non sembra convincerla e, nel libro, la attribuisce alla «propensione alla paranoia che attanaglia la sinistra italiana». Perché? Nelle indagini sulla morte di Pasolini ci sono dei buchi macroscopici, evidenti a tutti e molte cose oscure e mai chiarite. Questo non significa però che si debba pensare al “complotto”, ma solo a una vicenda che deve essere ancora chiarita completamente. Del resto lo stesso Pasolini, nell’ultima intervista che rilasciò a Furio Colombo prima della sua morte, spiegava come l’interpretazione complottista delle vicende italiane non lo convincesse affatto. Per questo non credo che ci sia da cercare una “pista politica” per spiegare la sua morte e che questa ricerca attenga piuttosto all’indole paranoica di una sinistra che cerca di spiegare tutto, compresa la sua stessa sconfitta politica negli ultimi vent’anni, attraverso il ricorso a questa categoria.

Guido Caldiron in data:05/11/2010 fonte: http :// www . liberazione . it / news - file /- E -- l - omosessualit --- di - Pasolini - a - fare - ancora - paura - all - Italia ---- LIBERAZIONE - IT . htm

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La volta che venne giù la statua di Saddam La caduta della statua di Saddam Hussein fu orchestrata dall'esercito americano in cerca di consensi Un'inchiesta di New Yorker e Pro Publica racconta che cosa successe davvero quel giorno a Baghdad 4 GENNAIO 2011

Una delle immagini più note della guerra in Iraq è sicuramente quella della statua di Saddam Hussein che viene tirata giù dalla folla in piazza Firdos a Baghdad, il 9 aprile del 2003. Diffusa in tempo reale da tutte le televisioni del mondo, divenne subito il simbolo della liberazione dell’Iraq. “Baghdad è caduta”, titolavano il giorno dopo molti giornali. Erano passati solo venti giorni dall’inizio della guerra. Oggi sappiamo che quello che sembrava la fine di una guerra breve in realtà fu l’inizio di un lungo e sanguinoso conflitto, avviatosi sulla via della risoluzione solo parecchi anni dopo. E

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un ’ inchiesta congiunta di New Yorker e ProPublica rivela ora alcuni particolari di quella giornata che mostrano come quelle immagini di straordinaria potenza visiva furono possibili anche grazie all’operazione mediatica orchestrata dall’esercito americano con la collaborazione di diversi mezzi di comunicazione, affascinati e distratti da quello che stavano osservando. Peter Maas, che era presente in piazza come inviato, spiega sul New Yorker quello che successe davvero quel giorno. I media esagerarono il numero delle persone presenti Le foto riprodotte da ProPublica mostrano che piazza Firdos in quel momento era semi vuota e che i media si concentrarono soltanto sulle immagini del gruppo di persone sotto alla statua per dare l’idea che fosse affollata. Peter Mass spiega così l’operazione: «Se guardi bene le riprese ti accorgi che raramente sono state usate inquadrature ampie e che la maggior parte delle persone che erano presenti erano soprattutto giornalisti e marine: c’erano pochissimi iracheni». Gli Stati Uniti fornirono la mazza e la bandiera irachena Fu il sergente dell’esercito americano Leon Lambert a dare agli iracheni presenti in piazza la mazza con cui colpire la base della statua di Saddam per poi tirarla giù. La stessa bandiera irachena che poi fu issata sulla statua fu portata in piazza da un americano, il tenente Casey Kuhlman, che l’aveva comprata come souvenir. L’intera operazione durò in tutto due ore circa: durante quel periodo di tempo la CNN continuò a trasmettere immagini dalla piazza ogni quattro minuti. I media ignorarono altri episodi più importanti Maass dice che nella fretta di coprire quello che stava accadendo in piazza Firdos i media tralasciarono di seguire storie più importanti. «Quel giorno Bagdad era violenta e caotica. La città veniva saccheggiata da centinaia di persone che a bordo di camion, taxi, cavalli e carriole portavano via tutto quello che trovavano nei palazzi del governo, nei musei e persino negli ospedali». Le testate chiesero a molti giornalisti di coprire soltanto quella storia «Invece di incoraggiare gli inviati a trovare le notizie, molte testate li chiesero ai loro giornalisti di raccontare soltanto quello che era già passato nelle immagini televisive». Quando un giornalista cercò di spiegare al suo direttore che in realtà pochi iracheni erano stati veramente coinvolti durante la rimozione della statua, e che quelli presenti sembravano farlo più per compiacere la stampa che per altro, si sentì semplicemente rispondere di riattaccare il telefono e correre a scattare qualche foto. Piazza Firdos peggiorò la guerra? Maass cita infine uno studio della George Washington University, che dimostra le conseguenze negative prodotte dall’enfasi mediatica sugli eventi di piazza Firdos. La ripetizione di quelle immagini su tutti i canali e su tutti i giornali trasmise erroneamente l’idea che la guerra era già stata vinta e distolse l’attenzione dall’Iraq proprio nel momento in cui ce ne sarebbe stato più bisogno. «Senza l’immagine di quella statua che veniva giù»,

81 Post/teca si legge nello studio «sarebbe stato molto più difficile dire “Missione Compiuta”». fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/04/ iraq - statua - saddam /

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“Quando si vive non accade nulla. Una volta ogni tanto - raramente- si fa il punto, ci si accorge che ci si è appiccicati ad una donna, impelagati in una sporca faccenda. La durata di un lampo. Poi la sfilata ricomincia, ci si rimette a fare l’addizione delle ore e dei giorni. Lunedì, martedì, mercoledì. Aprile, maggio, giugno. 1924, 1925, 1926. Vivere è questo. Ma quando si racconta la vita, tutto cambia.

Jean - Paul Sartre, La Nausea via: http :// gaeoskin . tumblr . com /

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PROPOSITI PER IL 2011. 1. Smetterla di farmi seghe mentali con venuta finale per ogni minchiata possibile. 2. Scrivere ‘sta storia, mandarla alla casa editrice e farla finita con questa cosa. 3. Conoscere nuove persone. 4. Non perdermi in quel di Milano a giugno per il concerto dei SOAD. 5. In relazione al punto precedente: prenotare volo e ostello. 6. Avere 80 crediti entro maggio. 7. Smetterla di martoriarmi le labbra, ormai in versione post-scartavetratura. 8. Trovare una soluzione per questo benedetto tatuaggio ( aka trovare un tatuatore migliore o uno che assecondi le mie scempiaggini senza rimproverarmi, come al solito ). 9. Non essere così timida. 10. Avere quel tantinoino di fiducia in più in me stessa che mi farebbe portare a termine tutti i punti precedenti e quelli seguenti. 11. Smetterla di colmare i malumori con lo shopping compulsivo. 12. Leggere tutti i libri già comprati prima di acquistarne degli altri ( questo punto non si realizzeràmai ). 13. Riuscire ad andare a Brindisi ad agosto. 14. Smetterla di distrarmi così facilmente ogni volta che studio. 15. Smetterla di incazzarmi per ogni cosa. Più che fare delle cose, devo smetterla di farne tante ._. via: http :// coactusvolui . tumblr . com / post /2567334450

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------pantherain: Cinque cose che si possono trovare nella mia borsa: 1) Una specie di amuchina; 2) cellulare; 3) agenda; 4) iPod; 5) forcine. Cinque cose in camera mia: 1) la scritta Amor vincit omnia sul muro; 2) librilibrilibri; 3) foto; 4) vestiti sparsi; 5) collane in ogni dove. Cinque cose che ho sempre desiderato fare nella vita: 1) scrivere i libri che ho in testa ( quoto, ma il problema è che non ci riesco, e la casa editrice attende.. argh ;_; ); 2) inviata di guerra; 3) visitare Istanbul, Gerusalemme e Sarajevo; 4) imparare decentemente l’inglese; 5) imparare a cucinare. Cinque cose che fai sempre in una giornata: 1) leggere/scrivere; 2) oziare su internet; 3) spuntini vari; 4) riflettere su cose inutili; 5) progettare acquisti / cambiamenti estetici. Cinque cose che mi rendono molto felice: 1) entrare in libreria e uscire con una busta pesante; 2) ricevere regali / fare regali azzeccati; 3) ascoltare l’iPod e passeggiare a temperature miti; 4) mangiare; 5) i giusti complimenti per le giuste cose. Cinque cose con cui sono in fissa ultimamente: 1) cappuccino al ginseng; 2) libri classici; 3) acquisto compulsivo di collane; 4) malumore notturno; 5) perder tempo traducendo lett. francese anziché studiar contemporanea. Cinque cose nella mia lista delle cose da fare: 1) viaggi estivi; 2) imparare a cucinare alla perfezione ( quoto ); 3) trovare il lavoro per cui mi sto facendo il culo sui libri; 4) continuare con i tatuaggi; 5) essere serena.

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Cinque cose che gli altri potrebbero o meno sapere di me: 1) mi piacciono le lentiggini ( per la precisione: impazzisco per le lentiggini ); 2) sogno continuamente di morire in acqua; 3) non mi permettono di mettermi l’apparecchio; 4) adoro mangiare; 5) ho un’idea di famiglia che molti non capirebbero. via: http :// coactusvolui . tumblr . com / post /2488698157

------quartodisecolo: Faccio la dieta dissociale: il primo che rompe i coglioni su cosa devo o non devo mangiare, lo mando ‘affanculo. via: http :// mariaemma . tumblr . com /

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Passo con gli evidenziatori sulle cicatrici . Sto scaricando talmente tanti film che nemmeno se mi fossero concessi 70 anni supplementari di vita probabilmente riuscirei a guardarli tutti. Ho la casa piena di libri di cui di nemmeno la metà ricordo la trama. Mi piacerebbe che per ogni difficoltà che affronto mi dessero gettoni free per farci qualcosa di fico. Tipo che, se per ogni persona che mi ha fatto del male avessi un buono sconto da spendere in qualche negozio di scarpe, probabilmente avrei almeno 56 paia di scarpe Louboutin nell’armadio. Poi però lo so che entrerebbero in gioco anche le cose che ho fatto di male io. Perchè anche se non vuoi, finisce sempre che ferisci le persone senza nemmeno accorgertene. Ti escono fuori parole sgradevoli, rabbia che dio solo sa da che parte era nascosta e dei desideri che sarebbe meglio non farli sapere a nessuno altrimenti i tuoi vicini ti farebbero internare tempo zero.

Ho mangiato una mela rossa ma visto che non mi piaceva ho deciso di mangiare del cioccolato al peperoncino: ed è la storia della mia vita, parto con un sacco di buone intenzioni e poi per strada succede sempre qualcosa che me

84 Post/teca ne fa imboccare una dove non ci sono cartelli ma gente sbronza seduta sul ciglio, zero luce e braccia che tentano in tutti i modi ditoccarti. Lascivia e gola.

Ci sono troppe donne insicure. Più mostro le mie debolezze e più, inspiegabilmente, la gente mi mostra le proprie. Abbiamo una paura fottuta, tutti quanti, tutti fottutamente quanti, di non venire capiti, amati e accettati per quello che siamo che abbiamo smesso di sforzarci di capire che anche gli altri hanno gli stessi nostri desideri.

Ma ho deciso, questa volta di smettere. Voglio esserci. E fare di vizi di forma , virtù . via: http :// pescanoce . blogspot . com /2011/01/ passo - con - gli - evidenziatori - sulle . html

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Exeter come Napoli, inglesi furiosi

Londra, 03-01-2011 Si va da Exeter, nel Devon, a Epping, nell'Essex, fino a Warrington nel Cheshire. Sui giornali inglesi arrivano le foto dei cumuli di immondizia, e questa volta le strade non sono quelle della Campania, che alcuni lettori, indignati, richiamano nei commenti di protesta. Il problema, qui, non è di ciclo di smaltimento inefficace o parziale, ma di austerity: molti comuni hanno tagliato drasticamente la spesa per rirportare sotto controllo il bilancio, alle prese con trasferimenti da Londra quasi dimezzati. E allora, anche il servzio della raccolta dei rifiuti cittadini può essere rallentato, anzi, interrotto, a fine anno. Una scelta catastrofica a fine anno, quando l'accumularsi dei resti di cenoni e feste in famiglia e dei pacchi dei regali scartati sotto l'albero aumenta il volume dell'immondizia. A Exeter, dice il Daily Mail , ai cittadini è stato detto che il camion dei netturbini non sarebbe più passato dall'8 dicembre all'8 gennaio. Risultato, topi e gabbiani sempre più aggressivi fra montagne di immondizia cresciuti a dismisura in strada, e mamme costrette a tenere.. ai domiciliari gli incauti figli che pensavano di poter passare qualche ora di svago fuori, grazie alla pausa natalizia delle scuole. A Birmingham, il problema ha assunto caratteristiche quasi napoletane: qui il personale

85 Post/teca addetto alla raccolta dei rifiuti è in sciopero per rivendicazioni salariali. Ma non va meglio in uno dei 'giardini' della Gran Bretagna, lo splendido Dorset, dove molte località registrano stop nella raccolta dei rifiuti ormai da tre settimane. A Edimburgo, in Scozia, A Edimburgo, bidoni pieni da cinque settimane: non se ne può più e di fronte alla minaccia di proteste popolari le autorità cittadine non hanno saputo trovare soluzione milgiore di inviti ai citadini a portare i sacchetti di rifiuti nei parcheggi di supermercati nei cortili delle scuole. Un fai da te che, scrive il Telegraph, si è presto trasformato in un mezzo disastro, con code, ingorghi e altri cumuli di immondizia. Ricordando l'ironia e il sarcarsmo che ha accompagnato sulla stampa britannica, non di rado, la cronaca dell'interminabile emergenza campana, verrebbe da porre una sola domanda: a quando i piloti della Royal Air Force in missione sui marciapiedi con la scopa in mano? fonte: http :// www . rainews 24. it / it / news . php ? newsid =148829

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20110105 "Potrei illudermi, credere di esser bella, di appartenere alla categoria delle donne belle e ammirate, perché davvero tutti mi guardano. Ma io so che non si tratta di bellezza, ma di qualcos’altro, si qualcosa di diverso, che appartiene forse allo spirito. Sono come voglio apparire, anche bella se gli altri lo vogliono, o carina, carina diciamo per i familiari, per loro e basta, insomma posso diventare come gli altri vogliono che sia. E crederci. Anche credere che sono

86 Post/teca affascinante. Dal momento che lo credo, so anche farlo diventare vero agli occhi di chi mi vede e desidera che io sia di suo gusto."

— Marguerite Duras - L’amante (via batchiara) via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

------"Io non sono stata rapita dagli alieni. A me, gli alieni, m’hanno abbandonata qui." — progettomayhem:

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Cominciamo a parlare del collasso europeo di REDAZIONE il 18 DICEMBRE 2010 · 1 COMMENTO in DAZIBAO,RIVISTA Franco Berardi Bifo

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Il progetto europeo sta attraversando la sua crisi più profonda. La causa di questa crisi è il collasso finanziario iniziato nel settembre del 2008, ma la tragedia che ne è seguita in Europa sembra inarrestabile. Dichiarata l’emergenza dopo la crisi greca di primavera, si è costituito di fatto un direttorio politico-finanziario che si ispira rigidamente ai princìpi del monetarismo neoliberista – i princìpi che hanno portato all’esplodere della crisi attuale. Il direttorio Trichet-Sarkozy-Merkel sta imponendo ai governi nazionali politiche di riduzione della spesa pubblica e del costo del lavoro il cui effetto imminente sembra essere la deflazione e una recessione di lungo periodo. Per salvare il sistema finanziario le risorse vengono dirottate dalle strutture sociali verso il sistema bancario, e questo comporta il taglio della spesa sociale, la riduzione dei salari, la precarizzazione del lavoro. La competizione con i paesi di nuovo sviluppo, si dice, richiede l’abrogazione di fatto dell’eredità su cui riposa la modernità europea: la tradizione umanistica, illuminista, socialista e democratica che fino a pochi anni fa costituiva l’orizzonte insostituibile del discorso ufficiale europeo. In nome di una nuova necessità, inevitabile come un evento della natura, si impongono regole il cui effetto non può che essere la devastazione della civiltà sociale europea. Chi non accetta le regole della nuova necessità sarà fuori del gioco, mentre coloro che vogliono rimanere nel gioco devono accettare ogni punizione, ogni rinuncia ogni sofferenza che la nuova necessità richiede. Ma cos’è la nuova necessità, e

88 Post/teca perché mai dovremmo subirla? Inquietante è il silenzio con cui assistono a questo processo l’opinione pubblica e l’intellettualità europea – ammesso che esistano ancora. Intellettuali come Habermas, Derrida e molti altri, negli anni scorsi affermavano la necessità di un’unità politica del continente, perché l’unione non fosse unicamente una potenza finanziaria. Quel loro auspicio sembra oggi realizzato, ma in maniera amaramente paradossale. L’unità politica è finalmente realizzata, ma la sua funzione è unicamente affermare il primato assoluto del finanziario, il dominio degli interessi delle banche e delle corporazioni sulla democrazia, sul Parlamento europeo e sui Parlamenti nazionali. In un’intervista a Massimo Giannini, uscita sulla «Repubblica» di qualche settimana fa, il ministro Tremonti aveva dichiarato che è inutile accalorarsi tanto su quello che accade a Roma, dal momento che le decisioni essenziali ormai non si prendono più lì, ma in sedi europee totalmente sottratte alla discussione parlamentare. In Italia ci si appassiona (si fa per dire) alla crisi terminale del regime berlusconiano. Ma è davvero Berlusconi il problema? O la devastazione della civiltà sociale è iscritta nelle regole imposte dall’interesse della classe finanziaria globale che ha fatto dell’Unione europea il suo strumento più rigido e distruttivo? via: http :// www . alfabeta 2. it /2010/12/18/ cominciamo - a - parlare - del - collasso - europeo /

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A rivista anarchica. Numero speciale. Di Nadia Agustoni [ Con un articolo di Paolo Finzi su una singolare figura dell'anarchismo.] Copertina bianca con il personaggio di Anarchik che in una vignetta dice: “ Ehi! Sono passati quarant’anni!”, così il numero speciale di “A rivista anarchica”, 258 pagine 10 euro, festeggia un compleanno importante. E’ passata molta politica da queste parti, cultura (libri, musica, interviste, rubriche, dibattiti) e sempre rinnovata la presenza “dell’utopia”, del pensare un mondo diverso e un fare concreto, con progetti che hanno toccano i campi dell’editoria, delle comunità, dell’attivarsi nei quartieri e tra i rom e gli ultimi della società. Da pagina 121 a pagina 210 tutte le foto delle copertine: dal n 1, che ricorda un po’ i vecchi volantini e il ciclostile e quindi il n.2 con il volto di Pietro Valpreda e con la storia che ci viene incontro. Continuando troviamo altri pezzi di passato: “Gli anarchici non archiviano. 1969/1979” e siamo al gennaio 1980, l’inizio di un decennio di rimozioni, di sfaldamenti e di fughe in avanti e indietro… Molti collaboratori della rivista hanno scritto un pezzo apposito (c’è anche la sottoscritta), e niente appare più importante o meno importante: è un insieme che si compone sotto gli occhi e tutto conta perché tutto ha contato; dal sindacalismo libertario all’antimilitarismo, dalle donne agli uomini, dal femminismo all’ecologia sociale. Su “A rivista” sono apparsi scritti di Colin Ward, Murray Bookchin, Alex Comfort, e molti inserti speciali sono stati dedicati ai classici del pensiero anarchico come a questioni attuali. I cd di De Andrè, con inediti, e il cofanetto “ A forza di essere vento” sullo sterminio degli zingari, sono alcune delle altre realizzazioni della rivista, fatte con la cura che sempre contraddistingue il lavoro della redazione e del direttore Paolo Finzi. Dori Ghezzi nel suo breve intervento dice una cosa importante: “ Fino a un certo punto della mia vita, per me il concetto di anarchia è stato una versione distorta rispetto a ciò che l’anarchia è nella

90 Post/teca sua vera essenza; e credo che questo possa capitare alla maggior parte delle persone condizionate da un’informazione che troppo spesso usa a sproposito la parola anarchia. La presa di coscienza di che cosa significasse è maturata conoscendo da vicino chi si dichiarava anarchico con consapevolezza e onestà.” A rivista anarchica, numero speciale 358, 10 euro. La diffusione del numero avverrà anche in due serate che la redazione sta organizzando: c/o Circolo Arci “La Scighera” a Milano giovedì 24 febbraio 2011 e ancora da definire riguardo la località a fine maggio/inizio giungo in Emilia Romagna. Per informazioni scrivere [email protected] Propongo di seguito l’intervento di Paolo Finzi “Quell’edicola che non c’è più”.

(Franco Pasello) Quell’edicola che non c’ è più. Di Paolo Finzi Nella terza di copertina di ogni numero di “A” c’è l’elenco dei nostri punti-vendita. Fino allo scorso numero, a Milano, accanto a librerie, qualche edicola, centri sociali, ecc. c’era anche questa curiosa indicazione: vendita diretta davanti alla Stazione Nord (p.le Cadorna) tutti i mercoledì dalle 17 alle 19. Se andavi lì, nel luogo e nell’orario indicati, trovavi lui, Franco Pasello, in piedi, di fronte all’entrata più affollata della stazione, proprio nell’ora di punta del rientro. In mano Umanità Nova, “A”, magari Sicilia Libertaria, e appoggiati per terra o nella borsa (per evitare grane con i vigili o i poliziotti), alcuni libri – magari proprio quello ordinatogli la settimana prima da quello studente residente nel Varesotto e da quel professionista, tutto elegante, che faceva il pendolare da Como. Franco era un’edicola umana, o – se preferite – un uomo/edicola. Con regolarità, da decenni, presidiava quel luogo in quell’ora. Così come aveva fatto per più di vent’anni, il sabato (prima per tutta la giornata, poi – sai, è dura andarci direttamente dal lavoro dopo la

91 Post/teca nottata del venerdì, quando si fa il pane triplo – solo al pomeriggio) alla Fiera di Sinigaglia, il mercato delle pulci milanese. Per tanti anni da solo, poi insieme con Lillino e Patrizio, poi di nuovo da solo. Era mitico Franco, aveva un’innata capacità di vendita, era la gioia di noi editori. In realtà il trucco c’era, quel ragazzone che con il passare degli anni diventava più vecchio restando sempre un ragazzone, investiva molto di sè in quell’attività apparentemente commerciale. Sembrava che vendesse, in realtà cercava l’occasione per parlare, per spiegare le nostre idee, per dire e ascoltare commenti sull’attualità, per “cuccare” o almeno cercare di farlo con le ragazze. Era solido come un’edicola vera, te lo ritrovavi lì con la pioggia e il gelo (che a Milano non mancano, con un inverno che può andare da ottobre a marzo), sempre con la sua chiacchiera, il suo sorriso, la sua comunicativa. Quando me lo ritrovavo al fianco in qualche corteo, si divertiva sempre a fare il confronto con la mia incapacità: io vendevo per venti euro, lui per settanta, più un abbonamento, più il cellulare di una ragazza, più il volantino della cena vegana dato a due di Mortara, ecc.. A volte mi sembrava anche eccessivo, al limite dell’insistenza. Franco non era amico dei Rom, era un Rom. Non a caso solo nei campi regolari e irregolari lui si sentiva del tutto a casa propria. Più ancora che in redazione, dove in media è venuto almeno una volta alla settimana per 35 anni – e, d’estate, quando non andava in ferie, ti si piazzava qui con la chiacchiera, ed era un problema (e solo qualche Franco ne parliamo la prossima volta, se no non riusciamo a fare la rivista nuova e ti tocca continuare a vendere quella vecchia lo faceva desistere). I suoi amici Rom (qualcuno anche amico mio) non gli rompevano, come noi a volte facevamo, con l’invito a curarsi i denti, a lavare più spesso i suoi vestiti, a darsi una regolata. Nei campi era amato, faceva foto a tutti, ma soprattutto parlava, stava ad ascoltare, cercava di capire quel mondo così diverso dal nostro. Dal nostro? Che dico: certo Franco, persona di grande sensibilità umana, di attente letture, di fini ragionamenti, partecipava anche al nostro

92 Post/teca mondo anarchico, ma la componente Rom è andata assumendo sempre maggiore peso nella sua vita. E lui, single certo non per scelta, ha sempre trovato nella grande famiglia allargata degli zingari, dei giostrai, dei Sinti la propria famiglia: quella famiglia che non ha mai avuto, da piccolo, e che non si è creato da grande (e chi lo conosce sa quanto ciò gli pesasse). E allora ti snocciolava le parentele, i Braidic, i matrimoni incrociati, le detenzioni (tante) e le scarcerazioni (poche), e le fuitine delle ragazze, i raid nei campi delle forze dell’ordine. E poi comprava e divorava tutto quanto c’era sui Rom, la loro storia. Aveva una forte etica del lavoro. Non saltava mai un turno di notte, aveva un’intima coscienza del valore sociale del panificare. Non era un “talebano”. Convintissimo delle idee anarchiche, dedito come pochi altri alla loro diffusione, aveva una mentalità aperta, frequentava anarchici di tutti i tipi, da quelli dei centri studi agli insurrezionalisti, attento a capire ma fermo nei propri convincimenti. Bazzicava i vegani e mangiava carne, era di fondo un individualista ma non si applicava etichette e non considerava quelle altrui dei filtri per l’amicizia o la collaborazione. Era critico verso le forme che gli apparivano troppo organizzate nel movimento anarchico, ma (per esempio) aveva tanti amici nella FAI (di cui non avrebbe mai fatto parte) e ne vendeva il settimanale anche se spesso non ne condivideva il taglio o alcune cose: era troppo libertario e serio per farsi condizionare, nella sua attività di venditore, da giudizi personali e contingenti. In questo, era più serio e affidabile di altri che, pur parlando di militanza e di organizzazione, introducono motivi polemici ad ogni piè sospinto. Era molto sensibile, anche troppo – se esiste il troppo. E per una sua vicenda personale, che aveva a che fare con amore, paternità e altre cose di grande rilievo personale, perse quasi la testa e arrivammo a litigare di brutto. Per tanto tempo ridusse di molto la sua frequentazione della redazione e si ritrovò “contro”, fortemente critici, tanti compagni e amici. Fu un periodo orribile per lui, per altri e altre, per noi.

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Capii in quei mesi, lunghi mesi, che cosa significhi “sangue del mio sangue”. Scientificamente Franco non era sangue del mio sangue, ma di fatto è come se lo fosse: non fui capace di rompere con lui – di litigare sì, e tanto – per quante stronzate potesse fare (e ne fece, quante ne fece in quel periodo). Era come un mio fratello minore, o forse Aurora e io eravamo per lui figure un po’ genitoriali – ed io in particolare, forse, in parte, quel padre che non ebbe mai e che ancora non tanto tempo prima di morire era andato a cercare a Lendinara, il paese del Rodigino in cui era nato 56 anni fa. Risultato: una volta saputo chi era, il padre lo cacciò, intimandogli di non farsi più vedere, se no avrebbe chiamato i carabinieri. Quanta sofferenza nel suo racconto di questo viaggio nella terra natia! Ne aveva vissute di cose forti, Franco. Come quella notte di una quindicina di anni fa’, quando si era ritrovato, come sempre, nel cuore della notte, solo con il panettiere per cui lavorava. Per una tragica fatalità, il suo “padrone” letteralmente perse la testa, risucchiata e maciullata negli ingranaggi di un macchinario. E da solo con quel cadavere decapitato e sanguinante, Franco aveva dovuto avvisarne la moglie, che abitava nello stesso stabile, finendo – Franco – all’ospedale sotto shock. E da qui aveva chiamato Fausta, della redazione di “A”. Noi, la sua famiglia. Tante immagini si affollano nella mente: la campagna per Monica Giorgi, Senzapatria, il periodo della sua appartenenza al gruppo Anarres (l’unica sua “appartenenza” che io ricordi), le sue critiche a tante cose che abbiamo pubblicato, la sua passione per la bici (rigorosamente l’unico suo mezzo di trasporto), la sua essenzialità nel vivere, con tirchierie e generosità. Tra tante immagini, spicca la nostra prima volta. Era il 1976, ero in corrispondenza con lui, giovane detenuto per rifiuto del servizio militare. Si era fatto vivo prima dal carcere militare di Gaeta, poi da quello civile (si fa per dire!) di Sondrio, per chiedere l’invio della rivista e di alcuni libri. Poi uscì e ci scrisse. Abitava non distante dalla redazione, ma non venne a trovarci. Insistetti e alla fine

94 Post/teca venne, era imbarazzatissimo, non spiccicava una parola, ma ci fece subito simpatia. Tornò, lo intervistai. Poi ci fece conoscere sua madre, fummo invitati a pranzo. Il ghiaccio era rotto. Ora tutto questo appartiene al passato. Franco è morto, un ictus a casa sua, mentre due Rom che lui aiutava da tempo (me ne aveva parlato) erano probabilmente passati a lavarsi i vestiti e a bere un caffè. Quei due Rom rumeni, che dormono in un’auto, non troveranno nessun altro gagio (come i Rom e i Sinti definiscono i non-appartenenti al loro popolo) che apra loro le porte della propria casa e della propria vita, come faceva con naturalezza Franco. Una cosa che nessuno di noi, pur grandi teorici della solidarietà e bla bla bla, farebbe mai. E che lui, invece, faceva. Concretamente. Ma anche qui il trucco c’era. Franco smettila di imbrogliarci. Ora che sei morto, lasciaci dire la verità: tu non sei mai stato un gagio. E i tuoi fratelli Rom, i soliti imbroglioni, lo sapevano o almeno lo percepivano. fonte: http :// lapoesiaelospirito . wordpress . com /2010/12/05/ a - rivista - anarchica - numero - speciale /

------Avatar ha ritmo nel senso che non ti addormenti ma ha un difetto enorme: non appassiona. Non è altro che un’accozzaglia di “già visto” che non aggiunge nulla nè al genere “fantascienza e dintorni” nè, ovviamente, alla storia del cinema. E poi fa ridere quando non c’è niente da ridere. Cose a cui ho pensato mentre mi -yawn-

95 Post/teca annoiavo: Il film si apre con un occhio che si apre ed è Lost. C’è Sigurni Uivah ed è Alien. Poi un robot gigantesco mezzo umano ed è Yattaman. C’è Michelle Rodriguez aka ANA LUCIA ed è Lost again. Un branco di lucertoloni ed è Giurassic Park. C’è Giovanni Ribisi ed è Phoebe Buffet. Una svaria di elicotteri e di aerei che compare dalla parte destra dello schermo ed è Apocalipse Now e anche Apocalipse now redux. L’eroe si infiltra da infiltrato ed è Cavallo di Troia. C’è un’enorme quercia che crolla ed è caduta del comunismo. Ci sono due che fanno l’amore in mezzo alle lucciole ed è Lady Oscar. La popolazione di indigeni lucertoloni blu si mette a pregare inchinandosi ad un albero -!- ed è Re Leone. C’è scissione tra fazioni di uno stesso partito ed è Sinistra Italiana. I lucertoloni si mettono a fare strana danza ed è All Blacks. Ah, i lucertoloni sono tutti blu e

96 Post/teca hanno capo anziano ed è I Puffi e Grande Puffo (sì, c’è anche Puffetta). L’Eroe viene schifato ma poi viene accolto come un Dio ed è Gesù Cristo. L’Eroe incita lucertoloni alla rivolta con grande profitto ed è Braveheart. Per dire quando parlo di accozzaglia. " — TuttoFaMedia (via darkpassenger) (via rinello)

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Gli operai , la FIAT e il PD Per comprendere meglio ciò che accade a Mirafiori e a Pomigliano è necessario affondare lo sguardo nelle tendenze storiche che muovono il capitalismo del nostro tempo. E bisogna scomodare Marx, che aveva colto come «legge fondamentale dell’accumulazione capitalistica » una tendenza già evidente ai suoi tempi e oggi conclamata: «Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioè ai mezzi di produzione…) anche la parte di questo lavoro vivo che non è pagato e si oggettiva nel plusvalore, dovrà essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato». Nel corso del suo sviluppo, dunque, il capitalismo riduce costantemente la quota di lavoro per unità di prodotto, cercando di sfuggire alla caduta tendenziale del saggio di profitto e di sostenere la competizione. Quella competizione che oggi si fa a se stesso, delocalizzando parte delle imprese nei paesi a bassi salari. Ma il capitale

97 Post/teca che espelle lavoro cerca di sfruttare più intensivamente quello che impiega, perché più ridotta diventa nel frattempo la quota da cui può estrarre plusvalore. André Gorz ha riassunto questa contraddizione che stritola i lavoratori: «Più la quantità di lavoro per una data produzione diminuisce, più il valore prodotto per lavoratore – la sua produttività – deve aumentare affinché la massa del profitto realizzabile non diminuisca. Si ha dunque questo apparente paradosso per cui più la produttività aumenta, più è necessario che aumenti ancora per evitare che il volume del profitto diminuisca». «La corsa alla produttività tende così ad accelerarsi, gli impiegati effettivi a essere ridotti, la pressione sul personale a inasprirsi, il livello e la massa dei salariati a diminuire». In questa morsa oggi, letteralmente, si soffoca. Chi ha la pazienza di leggersi la grande inchiesta della Fiom del 2008, cui hanno partecipato 100 mila lavoratrici e lavoratori, può farsene un’idea. Siamo dunque giunti a una fase storica nella quale o noi costringiamo il capitalismo a cambiare il suo modello di accumulazione, o esso trascinerà l’intera società industriale nella barbarie. Non è un’espressione di maniera. Non è uno slogan. Chi oggi, anche in buona fede,difende il nuovo contratto imposto da Marchionne, crede che il cedimento sia accettabile come un compromesso temporaneo, dovuto alla crisi in atto e ai vincoli della competizione mondiale. E’ un gravissimo errore. Questa idea fa parte di una campagna pubblicitaria che punta a far arretrare ulteriormente i rapporti di classe con un argomento puramente propagandistico: oggi occorre tirare la cinghia per poter ritornare allo splendore di prima. Ma prima il cielo era davvero così splendido? (lo scompongo ch’è lunghetto, non fatevi trarre in inganno dall’inizio pieno di tecnicismi, il resto è molto più leggibile ndr) Che questa sia una menzogna è possibile illustrarlo con una semplice analisi storica, con fatti scientificamente verificabili. Prima della crisi, nel 2000, nei paesi dell’Ocse si contavano 35 milioni di lavoratori disoccupati. Come ha spesso illustrato Luciano Gallino, i nuovi posti di lavoro creati in Europa sono stati in gran parte «a tempo» e precari. Negli Usa, non solo i nuovi posti di lavoro – per lo più nei servizi e con

98 Post/teca ampie quote di part-time femminile – sono stati gonfiati dal sistema di rilevazione statistica: una sola settimana di lavoro poteva «fare» un impiego annuale nelle stime generali sull’occupazione. Ma in quegli anni sparivano dalle statistiche oltre 2milioni di persone «occupate» nelle carceri di Stato (e in quelle private). E qualche anno fa abbiamo scoperto che tra il 1973 e il 2005 il reddito dei lavoratori «è lievemente diminuito». Ma sul paese più ricco del mondo, epicentro della crisi mondiale, voglio aggiungere due dati che persuaderanno il lettore. Nel 1995 il numero dei bambini al di sotto della linea ufficiale di povertà assommavano al 26,3%, quasi alla pari con la Russia di Yeltsin (26,6%), allora in vendita ai predoni di tutto il mondo e in mano alle mafie locali. In tale statistica – da un’inchiesta comparativa su 25 paesi – figuravano al 3° e 4° posto il Regno Unito (21,3%) e l’Italia (21,2), i paesi più zelanti nell’applicare verbo e dettami del pensiero neoliberista. E sempre per restare negli USA, già nel 1990 la National Association of State Board of Education aveva dichiarato senza mezzi termini: «Mai prima una generazione di teenagers americani è stata meno sana, meno curata, meno preparata per la vita di quanto lo fossero i loro genitori alla stessa età». Potremmo continuare. Ma qui è sufficiente ricordare è che già prima della crisi il capitale aveva saccheggiato il lavoro salariato e i redditi dei ceti medi, senza risolvere il drammatico problema della disoccupazione e diffondendo la precarietà. In Italia, dopo decenni di asservimento del ceto politico – di centro-sinistra e centro-destra – alle ragioni dell’impresa, è andata anche peggio. Nell’utilizzare il termine asservimento, non mi riferisco solo alle vendite del patrimonio pubblico, alla liberalizzazione di tanti servizi municipali. In questo caso penso alla deliberata volontà di scaricare sul lavoro i rischi dell’impresa, rendendo il lavoratore flessibilmente subordinato alle sue necessità. Dalla Legge Treu del 1997, alla Legge 30 del 2003, il capitalismo italiano ha potuto godere di condizioni di generosa disponibilità nell’uso della forza lavoro. Con quale esito? Mi è sufficiente sintetizzare i risultati di tale geniale strategia con un bilancio recente (2008) del Governatore della Banca d’Italia: «Negli ultimi vent’anni la nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti,

99 Post/teca bassi salari, bassi consumi, tasse alte». Tasse relativamente più gravose per gli operai che – secondo un’indagine Ires – tra il 2002 e il 2008 hanno lasciato al fisco, mediamente, 1.182 euro delle loro misere paghe. E per finire (dati Banca d’Italia 2008), la metà più povera della popolazione possedeva il 10% della ricchezza nazionale, mentre il 10% di quella più ricca deteneva il 44%. E allora torniamo alla Fiat, agli operai, ai partiti politici. Quanto abbiamo ricordato significa innanzi tutto una cosa: la politica moderata del centro-sinistra, che ha attuato – non diversamente dal centro- destra – le ricette neoliberiste, non è minimamente servita a difendere i ceti operai, anzi li ha ulteriormente impoveriti. Non ha ottenuto maggiori investimenti da parte delle imprese, ha contribuito a fare arretrare il paese nel suo complesso. Continuare su questa linea fallimentare, con l’idea di «uscire dalla crisi» secondo la ricetta moderata, costituirà una sciagura di portata incalcolabile per le masse popolari e per tutta la società industriale italiana. Il tracollo economico in cui siamo immersi non è la solita crisi ciclica. Altrimenti non avremmo avuto così tanta disoccupazione e povertà prima che essa esplodesse. Nelle fasi alte del ciclo – come sappiamo dalla lunga storia storia dei tracolli capitalistici – crescono ricchezza e occupazione. Noi abbiamo avuto soltanto la bolla finanziaria, cresciuta sul debito. La «crisi» di questi anni è il risultato di un gigantesco saccheggio di reddito che il capitale ha compiuto in una fase storica di debolezza del suo avversario di classe e del movimento operaio organizzato. Perciò dal presente imballo sistemico non si esce se non attraverso una altrettanto gigantesca opera di redistribuzione della ricchezza. Un compito di ampia portata, ne siamo consapevoli. Ma bisognerebbe innanzitutto incominciare a dichiararlo. Poi predisporre le forze. Perché oggi, per essere all’altezza delle sfide, bisognamettere in piedi un fronte di conflitto sociale di non comune ampiezza. Il comportamento «moderato» di tanti dirigenti del Pd, sostanzialmente favorevoli ad accettare la strategia di Marchionne, è a mio avviso un fatto drammatico, che impone una presa d’atto di tutte le persone che militano oggi nella sinistra. Il Pd: «un amalgama malriuscito» è stato definito da chi conosce la materia (e lo disse

100 Post/teca d’alema in persona, figuriamoci ndr), avendo ridotto la politica all’arte di «amalgamare» capipartito. Credo che sia stato qualcosa di ben più grave. La scelta veltroniana del «bipartitismo perfetto» rivela una lettura di retroguardia delle tendenze politiche mondiali. Laddove esso è stato storicamente dominante (Usa e UK) oggi appare una barriera all’esercizio della democrazia. Gli scienziati della politica hanno coniato in proposito il termine di cartel party, cartello di partiti, per indicare questo assetto di duopolio che emargina le voci e le culture politiche dissenzienti e realizza invariabilmente le medesime politiche alternandosi alla guida degli esecutivi. Ma è la scelta di equidistanza tra le classi, il moderatismo sociale, che oggi fa del Pd – sia detto con tutta la responsabilità che l’argomento e il momento richiedono – un partito inservibile. Ha privato la società italiana di una opposizione che portasse i bisogni del paese dentro il Parlamento. Qualcuno dei lettori ha mai sentito D’Alema, Veltroni, Bersani parlare – poniamo – di legge urbanistica e di problemi della città, di assetto del territorio, di riscaldamento climatico, di agricoltura biologica, di ritmi di lavoro e di sfruttamento in fabbrica, di beni comuni? Non aggiungo all’elenco precarietà e disoccupazione, perché sono presenti nel loro vocabolario, ma come slogan privi di qualunque contenuto. Mi permetto di continuare con le domande. Quanto, la sfida che Marchionne ha lanciato alla Fiom e alla classe operaia di Pomigliano e di Torino, si fonda sul calcolo di un’opposizione benevola di tanta parte del Pd? E infine una questione generale, relativa alla vita politica italiana recente: quanto il dilagare della Lega nelle zone operaie del Nord o la permanenza del potere berlusconiano, anche in queste ultime settimane, dipendono direttamente dall’assoluta incapacità del Pd – culturale ancor prima che politica – di rappresentare gli interessi delle masse popolari, di offrire agli italiani un progetto e almeno un’immagine diversa di società? Il moderatismo politico non è oggi una scelta di prudenza, di politica dei piccoli passi. È piuttosto un galleggiamento sull’esistente. Ma l’esistente, dominato oggi da forze predatorie, non rimane fermo, tanto meno procede verso il meglio. Si indietreggia lentamente sul terreno sociale, dei diritti, della democrazia. In una fase storica in cui solo la

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ripresa del conflitto può ridare equilibrio alla macchina economica e alla società, come anche significato e forza alla politica, i partiti moderati sono inservibili. Sono oligarchie parassitarie. Danno ospitalità permanente a professionisti che vivono di politica. E dobbiamo amaramente concludere: a che serve un Pd che crede di uscire dalla situazione in cui siamo precipitati replicando la politica che ci ha condotti sino a questo punto?

Piero Bevilacqua - Il Manifesto del 4 gennaio 2011

via: http :// classe . tumblr . com / post /2598707865/ gli - operai - la - fiat - e - il - pd

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tempibui: Amava sempre ripetermi mia nonna, quando ero piccola, un insegnamento da non scordare mai: “Stai attenta nella vita: se sputi in cielo, in faccia ti ritorna.”

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“I migliori afrodisiaci per le donne sono le parole, il punto G è nelle orecchie.” — Isabel Allende (via carapacedicristallo)

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flusso di cocenza uds: non capisco cosa vogliano dimostrare le coppie che, anche dopo anni, fanno tutto assieme. conosco veramente gente che lo vota perché è il presidente del . praticamente tutti i telefilm inglesi che mi capita di vedere prima o poi confermano i pregiudizi sul curioso concetto di igiene degli albionici. i giochi in scatola sono ok, specie quando uno dei partecipanti li prende troppo sul serio. a chi scherza su tutto tranne che se stesso non dovrebbe essere consentito votare. un naso leggermente aquilino in una ragazza è awwwww. non siamo esistiti per un sacco di tempo, non esisteremo per anche più tempo: non è che dormo troppo, è tutto

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allenamento. gli ottimi cattivi diventano buoni noiosi. svariati testimoni confermano che i vestiti anni ottanta erano imbarazzanti già negli anni ottanta. in amore di solito non soffre maggiormente chi ama di più, ma chi sa di aver meno speranze di trovare qualcun altro in caso finisca; di norma nei rapporti comanda chi ha potenzialmente più opzioni. il giorno libero passato al centro commerciale come fallimento del sistema capitalistico. sì, ovviamente sei l’eccezione a ognuna di queste frasi, tu che leggi, piccola splendente unicità in un universo composto al settanta per cento di noia e al trenta per cento di pessima pubblicità.

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Obiettivo 'migrazioni'. Di alfabeti

Una linea di ricerca condotta dall’Iliesi Cnr in collaborazione con Unesco e Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie mira alla traduzione sincronizzata dei testi filosofici mediante l’allineamento nelle lingue di alfabeto non romano, come ebraico, arabo, farsi e cirillico. L’innovativo programma sarà presentato a Roma, il prossimo 10 gennaio

Nella società della globalizzazione a migrare non solo le persone, ma anche le lingue e i saperi, questa l’idea di fondo di ‘Migrazioni di alfabeti’, linea di ricerca dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee del Consiglio nazionale delle ricerche (Iliesi-Cnr). Il programma, che si inserisce nell’ambito del più vasto progetto interdisciplinare 'Migrazioni', al quale prendono parte 13 Istituti del Cnr, sarà presentato a Roma, il prossimo 10 gennaio (Aula Marconi-Cnr, piazzale Aldo Moro 7, ore 9:30), durante un convegno organizzato da Maria Eugenia Cadeddu e Riccardo Pozzo dell’Iliesi-Cnr e introdotto da Tullio Gregory e Giovanni Puglisi (Commissione italiana per l’Unesco), con la partecipazione di Istituto di informatica e telematica (Iit-Cnr) e Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc-Cnr). L’innovativa linea di ricerca, che mira ad ampliare nell’era del Web 2.0 l’accesso alle opere filosofiche più significative di tutti i tempi e culture, mediante l’allineamento semantico di corpora filosofici nelle lingue di alfabeto non romano come l’ebraico, l’arabo, il farsi e il cirillico, coinvolge altri 2 Istituti del Cnr ed è realizzata in collaborazione con Unesco e Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie (Fisp). “L’obiettivo del nostro progetto è rendere accessibili in rete i testi filosofici nelle lingue originali e in traduzione sincronizzata”, spiega Riccardo Pozzo. “Oggi studenti e studiosi si documentano molto sui testi on line e grazie ai motori di ricerca possono trovare facilmente citazioni e corrispondenze fra ipertesti in romano, arabo e greco. Con il nostro progetto estenderemo questa possibilità anche alle altre lingue di alfabeto non latino”. Dal punto di vista tecnologico, ‘Migrazioni di alfabeti’ “rende necessarie importanti sinergie di e-science, che permettano di trovare le matrici per traslitterare da qualunque alfabeto in entrata a qualunque alfabeto in uscita, e che realizzeremo grazie alle diverse competenze disciplinari dei ricercatori Cnr coinvolti”, prosegue il direttore dell’Iliesi-Cnr. Dal punto di vista culturale, “la filosofia si presta particolarmente a questo esperimento di allineamento semantico multilingue per via del suo lessico limitato e codificato. Ad esempio, una stringa testuale in alfabeto greco antico come ‘conosci te stesso’ (gnōthi seautón) oggi traslitterata in maniera pressoché univoca in alfabeto romano, in futuro produrrà altre traslitterazioni. Una volta raggiunto

103 Post/teca questo traguardo, avremo ipertesti e libri elettronici in alfabeti diversi ma legati da comuni motori di ricerca che permetteranno l’individuazione sempre più precisa di citazioni in originale e in traduzione nonché l’elaborazione di confronti lessicali. Per il cinese si lavorerà sulle corrispondenze tra lemmi e ideogrammi”. La posta in gioco è non solo la comprensione linguistica ma lo scambio dialogico tra le diverse identità culturali grazie alle soluzioni informatiche sempre più raffinate. “L’Italia vanta un’antica tradizione di eccellenza nelle scienze umane”, conclude Pozzo, “nel XXI secolo diventa però strategico coniugare la filologia con la rivoluzione tecnologica della lettura. La migrazione degli alfabeti, dunque, rappresenta un banco di prova importante”. Al convegno parteciperanno tra gli altri: Gholamreza Aavani (Iranian Institute of Philosophy), Enrico Berti (Iliesi-Cnr), Marcelo Dascal (Tel-Aviv University), Hans Poser (Technische Universität Berlin), Evandro Agazzi (Universidad Autónoma Metropolitana de México), Gino Roncaglia (Università della Tuscia), Sandro Schipani ed Emanuele Raini (La Sapienza-Cnr), Aldo Gangemi (Istc-Cnr) e Domenico Laforenza (Iit-Cnr).

Roma, 5 gennaio 2011

La scheda: Che cosa: Convegno sul progetto ‘Migrazione di alfabeti’ Chi: Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee (Iliesi-Cnr) Dove: Cnr - Aula Marconi, Piazzale Ado Moro 7, Roma Quando: 10 gennaio 2011, dalle ore 9:30

------"Non basta essere governati oppressi dall’uomo più ricco del Paese. No, la cosa peggiore è che in molti tra quelli che non lo trovano adatto, credano che sia una vergogna internazionale, vorrebbero vederlo processato o almeno in pensione, ignorano una cosa fondamentale: è l’uomo più ricco perchè ogni giorno qualcosa diventa suo, o noi si contribuisce a finanziarlo. Anche chi non lo sopporta. Il centro nevralgico del

104 Post/teca berlusconismo non è l’uomo, ma il suo potere. Potere d’acquisto chiaramente. Io questa lista presente su Wikipedia la conoscevo bene ma è malamente aggiornata: Queste sono le attuali partecipazioni di Fininvest: # Mediaset 38,62% # Arnoldo Mondadori Editore 50,135% # A.C. Milan 100% # Mediolanum 35,130% # Teatro Manzoni 100% # Mediobanca 2% # Warnsing Design 20% Altre proprietá di famiglia: # Il Giornale (ceduto a Paolo Berlusconi nel 1992) # Edilnord (ceduta a Paolo Berlusconi nel 1992) # Programma Italia (fusa in Mediolanum) # Silvio Berlusconi Editore (fusa in Mondadori) # Medusa Film (confluita in Mediaset) # Jumpy (confluita in Mediaset) Questi quelli di cui ignoravo il collegamento…. The Space Cinema catena di multisala Lottomatica Uno degli azionisti è

105 Post/teca Mediobanca S.p.A. - 5,213% (di cui 1,314% in qualità di prestatore) Poi ci sono i decoder … Nei primi anni novanta, la Paolo Berlusconi Finanziaria s.r.l. acquisì da parte del gruppo Fininvest anche le attività edili (Italcantieri) ed immobiliari (gruppo Edilnord), oltre a quelle commerciali del Girasole, attive nella distribuzione tessile (Zambaiti). La PBF srl (con la figlia Alessia) detiene il 51% della Solari.com srl che dal sito risulta essere in liquidazione dal 30 gennaio 2008. Socio di minoranza, con il 49%, Giovanni Cottone su cui gravano pesanti sospetti di appartenenza alla malavita organizzata (fonte AntimafiaDUEMILA.com). La Solari.com è distributrice Amstrad, la quale, specializzata nel settore elettronico, ha cominciato a commercializzare i decoder DVB-T per digitale terrestre a gennaio 2005; lo stesso mese in cui è stato lanciato il servizio pay per

106 Post/teca view Mediaset Premium. Nel 2006 la Solari.com srl ha acquisito il marchio Garelli e da allora commercializza con questo logo gli scooter cinesi della Baotian Motorcycle Industrial Company. E molto altro ancora. Finanziarlo per farsi rovinare. Avete ancora qualche argomentazione valida contro chi ha deciso di andarsene dall’Italia?" — 3 nanosecondi dopo i nostri guai : Se vi ha fatto incazzare sapere di aver dato involontariamente i soldi alla Chiesa , allora è il caso che vi sediate un attimo (via 3 n 0 m 15 )

------"Ogni volta che un bimbo dice: ‘Io non credo nella Madonna puttana’, c’è una Binetti che da qualche parte cade a terra morta." — (scusate ma mi hanno fatto notare che non stavo mantenendo fede al nome del mio blog) [piú bimbi che dicono “madonna puttana” subito!] (via emmanuelnegro) (Source: madonnaliberaprofessionista, via ze - violet )

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107 Post/teca "Preferirei parlarti invece di scrivere, che scrivere è una vigliaccata, è dire le cose alle spalle, è rispondere quando si ha la risposta pronta e il momento di rispondere è già passato." — Io sono di legno — Giulia Carcasi (via impararedalvento) (Source: heart - attack , via biancaneveccp)

------"E se posso darle un consiglio prima di lasciarla, è di prendersi cura dei suoi occhi. Sono magnifici quando ci mette dentro qualcosa." — Prima di morire addio, Fred Vargas. (via esistonostorie) (via vivenda)

------"L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa." — ah, Cesare Pavese, quante ce ne sarebbero da dire su questa frase (via placesthatpull) (Source: it . wikiquote . org , via lalumacahatrecorna)

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Tardo Devoniano: perché avvenne l'estinzione di massa

Il risultato deve valere come monito per l'epoca attuale, in cui l'alto livello di invasione di nuove specie sovrasta di gran lunga la speciazione

L'impatto della specie invasive può arrestare il processo naturale di formazione di nuove specie dominanti e scatenare eventi di estinzione di massa: è questo il risultato di un nuovo studio pubblicato sulla rivista online ad accesso libero PLoS ONE. L'analisi è basata sul collasso della vita marina verificatosi sul nostro pianeta tra 378 e 375 milioni di anni fa e corroborerebbe l'ipotesi che gli attuali ecosistemi della Terra compromessi dalla perdita di biodiversità potrebbero andare incontro a un destino simile. Sebbene il pianeta sia stata teatro di cinque grandi eventi di estinzione, quello del Tardo Devoniano si distingue dagli altri: il tasso di estinzione non fu maggiore di quello normale, ma a venire meno fu la nascita di nuove specie. Partendo dai risultati di precedenti studi e utilizzando l'analisi filogenetica per esaminare alcuni eventi di speciazione, Alycia Stigall ricercatrice della Ohio University e autrice dell'articolo si è concentrata sui bivalvi dell'ordine Leptodesma(Leiopteria), su due brachiopodi Floweria e Schizophoria (Schizophoria), così come sui crostacei predatori dell'ordine Archaeostraca. Questi piccoli organismi marini dotati di guscio erano tra i più comuni abitanti degli oceani del Tardo Devoniano che, secondo le attuali conoscenze, hanno ospitato il più esteso sistema di barriere coralline di tutta la storia del pianeta. Altrove, sulla terraferma, in tale periodo iniziarono a formarsi le prime foreste e gli anfibi cominciarono a uscire dall'acqua. Con nuovi habitat disponibili e con l'instaurarsi di un nuovo clima, cominciarono a espandersi anche le popolazioni di specie invasive, favorite dalla possibilità di sfruttare diverse fonti alimentari: in tale periodo le specie invasive erano così prolifiche da impedire la nascita di nuove specie. Tutte le specie studiate subirono una sostanziale perdita di diversità durante il Tardo Devoniano, e le specie di Floweria si estinsero. L'intero ecosistema marino soffrì un enorme collasso; i coralli delle barriere furono decimati e queste non ricomparvero prima di 100 milioni di anni. La ricerca suggerisce che all'origine dell'estinzione di massa potrebbe esserci stata la mancanza della tipica modalità di formazione di nuove specie, la vicarianza, che si verifica quando una popolazione originaria viene divisa in due

109 Post/teca da un processo a lungo termine che modifica l'habitat, come il sollevamento di una catena montuosa o la formazione di un'isola dovuta all'innalzamento del livello del mare. Nuove specie si possono originare anche per dispersione, quando una sottopopolazione si sposta in un nuovo habitat. “Quella del Devoniano è definita estinzione di massa, ma fu in realtà una crisi di biodiversità”, ha spiegato la Stigall. “Questa ricerca contribuisce in modo significativo alla nostra comprensione delle invasioni delle specie su un arco temporale molto ampio: le registrazioni fossili documentano che questa principale modalità di speciazione si interruppe durante questo periodo. Il risultato deve valere come monito per l'epoca attuale, in cui l'alto livello di invasione di nuove specie sovrasta di gran lunga la speciazione”. (fc) fonte: http :// lescienze . espresso . repubblica . it / articolo / Tardo _ Devoniano :_ perch % C 3% A 9_ avvenne _ l _ estinzione _ di _ massa /1346144

------arewekidding: unavitadaimparare: prezzemolo: uds: in amore di solito non soffre maggiormente chi ama di più, ma chi sa di aver meno speranze di trovare qualcun altro in caso finisca; di norma nei rapporti comanda chi ha potenzialmente più opzioni.

tre righe di spiegazioni e duemilioni di anni di sbattimenti di neuroni

sai quelle rivelazioni che ti aprono a nuovi mondi?

Sai quelle rivelazioni che ti chiudono l’unico che hai, e rimani col buio dentro? ecco… via: http :// plettrude . tumblr . com / fonte: http :// arewekidding . tumblr . com / post /2607894004

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In un libro ci si tuffa

110 Post/teca come un birba nella zuffa, come in mare il cormorano o un pigrone sul divano, come un bacio sulla guancia, come lingua nell'arancia, come l'ape dentro il fiore o l'amante nell'amore, come amante nel guadagno o la rana nello stagno.

Versi di Roberto Piumini via: http :// mestierediscrivere . splinder . com / post /23822983/ in - un - libro - ci - si - tuffa

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Non credo che Cristo si scandalizzasse mai. Anzi, non s’è mai scandalizzato. Si scandalizzavano i Farisei.

Alberto Moravia, intervistato da Pasolini via: http :// lachimera . tumblr . com /

------"Chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà." — Ennio Flaiano (via alkemilk) (via washingmachine 9 )

------"Prima di lavorare alla Sagrada Familia,

111 Post/teca Antoni Gaudì realizzò la Pedrera, un condominio fantastico, tanto bello quanto poco “pratico”. Racconta la Lonely Planet che quando una inquilina si lamentò con Gaudì perché nessuna delle stanze riusciva a contenere il suo pianoforte, lui le suggerì di iniziare a suonare il flauto." — (River) Quando uno è un genio, è genio. (via eclipsed) (via paz 83 )

------"Non mi devi giudicare male anch’io ho tanta voglia di gridare ma è del tuo coro che ho paura perché lo slogan è fascista di natura." — Daniele Silvestri - Voglia di gridare Spesso, aprendo tumblr, mi viene in mente questa canzone. (via divara)

------L’addio al Duse di Bologna Se Verona ancora spera, Bologna ha già detto

112 Post/teca addio al teatro più antico della città, 400 anni di storia spazzati via da un Bondi qualsiasi. Il Duse non riaprirà nel 2011, il più antico della città, gestito dall’Eti fino alla sua soppressione, decisa a fine maggio dal Governo. Il 31 dicembre, infatti, scadrà il contratto di affitto del teatro pagato fino ad oggi dal ministero dei Beni Culturali. Vani i tentativi di salvataggio, guidati dall’assessore regionale alla Cultura Massimo Mezzetti e dal commissario di Bologna Anna Maria Cancellieri, più volte in missione a Roma negli ultimi mesi: il progetto di rilancio che avrebbe trasformato il Duse in parte attiva di un polo teatrale regionale non è andato in porto. Così, a pochi giorni dall’ultimo spettacolo (sul palco c’era Giorgio Comaschi e per l’occasione erano state organizzate anche visite guidate alla struttura), i dipendenti hanno voluto ricordare con un ultimo messaggio la scomparsa del teatro,

113 Post/teca ”un palcoscenico tra i più capienti e importanti d’Italia con i suoi 1.000 posti: da qui è passato e si è esibito tutto il meglio del teatro dagli anni ’50 al maggio scorso”. " — Tagli alla cultura. Gli effetti su alcuni dei più famosi teatri nazionali. ilfattoquotidiano.it (via 3 nding ) (via hneeta)

------A colazione da Ubaldo . Tragedia alfabetica in atto unico . Posted 1 day ago Ad Asti arriva l’Ammiraglio. - Buongiorno beve brandy? - Le 5 e 50. Credo che comincierò con caffè. - Dio. Dimentichi del drink. Dorotea!! Due datteri da divorare. - E l’espresso. - Favorisce frutta fresca? - Grazie generale gradisco. - Incontrai Innocenza ieri. - La lurida libertina? - mmm. Menzionavo la mia massaggiatrice. Mi massaggiò i malleoli ma mentre massaggiava mi morse la mutanda. - Neanche ai nani ne nega. - Odo ordunque onta? Onorerò l’onore!

114 Post/teca

- Per piacere. Parliamo più piano. Pratica puttanaggio per portar pane alla prole. Pensavo presumesse. - Qual qui-pro-quo questo. - Riccia? Rossa? Robusta? - Si sebbene sembra strano. - Troione. - Udii ugoleggiare “Ubaldo unico uomo.” - Voltato il vento, voleva valori vero? - Zoccola. FINE fonte: http :// wollawolla . tumblr . com / post /2582615916/ a - colazione - da - ubaldo - tragedia - alfabetica - in - atto

------ode al cazzo piccolo Posted 5 days ago ciò che piace alla pupilla e poi sazia la papilla ma che non soddisfa la pipilla fonte: http :// wollawolla . tumblr . com / post /2528007638/ ode - al - cazzo - piccolo

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Da quando sono morto vivo meglio ecco, credo che questo sia l’epitaffio definitivo che vorrei sulla mia lapide. via: http :// paz 83. tumblr . com / post /2608580315/ da - quando - sono - morto - vivo - meglio

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Dio è grande, ma Voltron è più forte. Dio mica ci ha: Aghi a neutroni: Piccoli aghi sparati dalla due estremità poste sulla testa del robot. Croce radioattiva: Croce energetica sparata dallo scudo posto sul petto del robot.

115 Post/teca

Dardi allo ionio: Raffica di missili sparati dalle bocche dei leoni poste sulle braccia del robot Elettro saetta: E’una lancia scagliata verso il nemico. Frusta Lama laser: Disco rotante dotato di spuntoni acuminati. Lingue di fuoco inferiori Lingue di fuoco superiori Missile al protone: Missili lanciati dalle bocche dei leoni che costituiscono i piedi del robot. Morso: Le bocche dei leoni che compongono le braccia e le gambe possono azzannare il nemico. Occhi laser Pistole rotanti: dalle parti esterne delle gambe in prossimità delle ginocchia del robot vengono lanciati una raffica di missili. Sfera distruttrice: E’ una mazza ferrata che viene scagliata contro il nemico. Ma soprattutto non è la combinazione di 5 leoni robot assemblati fra loro. Vogliamo ancora mettere Dio con Voltron difensore dell’universo? fonte: http :// paz 83. tumblr . com / post /2583657387/ dio - e - grande - ma - voltron - e - piu - forte - dio - mica - ci

------La nostra destinazione non è mai un luogo, ma un modo nuovo di vedere le cose»William Least Heat-Moon, Strade blu (via babbicciu) via nobordersdaily via: http :// placesthatpull . tumblr . com /

------avere ragione uds: le persone che guardano i telefilm si dividono in due categorie. ci sono quelli che rompono le balle con la lingua originale, e l’adattamento, e il doppiaggio, eh ma senti che voci gli hanno messo, eh ma che vergogna, eh ma il rispetto per l’opera originale, no per carità io non guardo più niente doppiato. e poi invece ci sono gli altri, quelli che non capiscono un cazzo. diccelo te a quelli lì! (con affetto, eh.)

116 Post/teca via: http :// thebeginningoftheend . tumblr . com / post /2498802855

------"Niente buoni propositi per il 2011: devo ancora realizzare quelli del ‘97." nubetossica (via waxen) (via batchiara) via: http :// thebeginningoftheend . tumblr . com / post /2380267926

------"I periodi in cui l’arte non ha grandi uomini […] sono periodi di decadenza spirituale . […]. In queste epoche silenziose e cieche gli uomini danno importanza solo al successo esteriore, si preoccupano unicamente dei beni materiali, e salutano come una grande impresa il progresso tecnico, che giove e può giovare solo al corpo. Le energie spirituali vengono sottovalutate, se non ignorate. […] L’arte, che in tempi come quelli, ha vita misera, serve solo a scopi materiali. E poiché non conosce materia delicata cerca un contenuto nella

117 Post/teca materia dura . Deve sempre riprodurre gli stessi oggetti. Il “che cosa” viene eo ipso meno; rimane solo il problema di “come” l’oggetto materiale debba essere riprodotto dall’artista. Questo problema diventa un dogma. L’arte non ha più anima. Su questa via del “come”, l’arte procede. Si specializza e diventa comprensibile solo agli artisti, che cominciano a lamentarsi dell’indifferenza del pubblico. Poiché in tempi simili l’artista medio non ha bisogno di dire molto e gli basta un minimo di “diversità” per farsi notare e osannare da certi gruppetti di mecenati e conoscitori (il che può comportare grandi vantaggi materiali), una gran massa di persone superficialmente dotate si butta sull’arte, che sembra così facile. In ogni “centro artistico” vivono migliaia e migliaia di artisti, la maggior parte dei quali cerca solo una maniera nuova, e crea milioni di opere d’arte col cuore freddo e l’anima addormentata. La “concorrenza” cresce. La caccia spietata al successo rende la ricerca

118 Post/teca sempre più superficiale. I piccoli gruppi, che casualmente si sono sottratti a questo caos di artisti e di immagini si trincerano nelle posizioni conquistate. Il pubblico, che è rimasto arretrato, guarda senza capire, non ha interesse per un’arte simile e le volta tranquillamente le spalle." Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte. trad. Elena Pontiggia, Milano, SE 1989, pp. 24-25. via http :// www . phemios . net via: http :// el - hereje . tumblr . com /

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Farsi passare una sbronza Il Guardian fa l'elenco dei metodi usati in giro per il mondo per riprendersi dopo una gran bevuta Noi ci mettiamo alcune delle migliori sbronze della storia del cinema: Dean, Murray, Hepburn e Dumbo

Il Guardian ha provato a fare un elenco dei metodi migliori per farsi passare la sbronza, probabilmente considerando che con i bagordi di queste settimane in molti ne avrebbero beneficiato. Gli scienziati dicono che l’importante è assumere soprattutto cibi ricchi di amminoacidi, che contrastano gli effetti dell’alcol. Ma a partire da questa indicazione di base, ogni cultura ha poi sviluppato le sue varianti. Con alcune soluzioni abbastanza estreme. Il piatto post-sbronza più diffuso dei paesi anglosassoni è sicuramente il cosiddetto Eggs Benedict: pane, uova, pancetta e salsa olandese. Si dice che la ricetta fosse stata messa a punto a fine ottocento da un cliente del Waldorf Astoria di New York, che se li fece preparare dalla cucina dell’hotel dopo una notte di bagordi. Oppure il Prairie Oyster , che va forte soprattutto negli Stati Uniti e infatti si vede in un sacco di film e serie tv: uovo crudo, salsa piccante, salsa Worcester. In Cina bevono molto tè verde. In Romania, Messico e Turchia raccomandano di mangiare

119 Post/teca trippa cucinata in brodo con aglio e panna. Che però non è esattamente un cibo molto pratico, che uno può tenere in frigo o fare in due minuti quando torna a casa e non sta affatto bene. Se la cavano meglio in Giappone, dove secondo il Guardian si usano prugne sottaceto. In Germania aringhe marinate e cipolla cruda. In Mongolia suggeriscono di inghiottire un paio di occhi di pecora cucinati in salsa di pomodoro. In Nuova Zelanda vanno più sul classico con torta al cioccolato e latte. E in Corea zuppa di carne e verza. Se poi si va indietro nel tempo si trovano rimedi ancora più strampalati. Una famoso rimedio celtico per esempio consigliava di ricoprire la persona con i postumi da sbronza con la terra umida della riva di un fiume. Mentre gli antichi romani si mangiavano un paio di canarini fritti, ma ci fermiamo qui perché la cosa si è fatta piuttosto grottesca.Noi non azzardiamo nessun consiglio, però vi segnaliamo alcune delle nostre sbronze cinematografiche preferite: quella di James Dean in Gioventù Bruciata, quella di Bill Murray in Ricomincio da capo, quella di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany e quella di Dumbo. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/05/ farsi - passare - una - sbronza /

------La nostalgia dei conservatori di

120 Post/teca sinistra

C'è qualcosa che accomuna l'opposizione della Fiom all'accordo Fiat- sindacati su Mirafiori e quella del Partito democratico alla riforma Gelmini dell'università, appena varata dalla maggioranza di governo. Sono le due più recenti manifestazioni di quella strenua difesa dello statu quo in qualunque ambito della vita sociale, politica, istituzionale, che è ormai da tempo la più evidente caratteristica della sinistra italiana, nella sua espressione sindacale come in quella politico-parlamentare. Si tratti di scuola, di rapporti di lavoro, di magistratura, di revisioni costituzionali o quant'altro, non c'è un settore importante della vita associata in cui il conservatorismo della sinistra non si manifesti con forza.

Forse ciò aiuta a spiegare una circostanza che sarebbe altrimenti incomprensibile: il fatto che l'opposizione di sinistra non si sia minimamente avvantaggiata in questi anni, stando ai sondaggi, delle gravi difficoltà di un governo che ha dovuto fronteggiare le conseguenze della crisi mondiale e che è stato inoltre investito da scandali e furibonde divisioni. Tanto è vero che tutti continuano a prevedere, in caso di elezioni, una vittoria (quanto meno alla Camera) del centrodestra.

La domanda che la sinistra italiana dovrebbe porsi è la seguente: perché nemmeno la forte disillusione di tanti italiani nei confronti di Berlusconi, il fatto che ormai più nessuno creda nella «rivoluzione liberale» sempre promessa e mai attuata spostano a sinistra l'asse politico del Paese? Può essere che la risposta giusta sia la seguente: dovendo scegliere fra ciò che ritiene un male (Berlusconi) e ciò che ritiene un male ancora maggiore (la sinistra), il grosso degli italiani continua a optare per la minimizzazione del danno, per il male minore. Una delle ragioni, forse, è che, tolta una cospicua ma minoritaria area di conservatori a oltranza, la maggioranza relativa degli italiani pensa che stare fermi condannerebbe il Paese alla decadenza economica e sociale e che risposte magari insufficienti, o anche sbagliate, ai problemi collettivi, siano comunque preferibili alle non risposte.

121 Post/teca

Ci sono due modi per fare opposizione a un governo. Il primo consiste nel contrapporre ai progetti governativi di modifica più o meno profonda dell'esistente, proposte diverse, che ovviamente si giudicano migliori, di modifica altrettanto o anche più profonda. Il secondo consiste nel difendere l'esistente. Quest'ultima è stata la scelta della sinistra in quasi tutti i campi di interesse collettivo. Ne è derivata una paurosa mancanza di idee nuove sul che fare, una mancanza di idee che ha fatto subito appassire la rosa appena sbocciata del Partito democratico.

Non è facile ricostruire le cause del conservatorismo della sinistra. Forse, una delle più importanti, è l'evidente nostalgia per la cosiddetta Prima Repubblica, che poi altro non è se non nostalgia per i tempi in cui la sinistra era rappresentata da un grande partito il Pci, rispettato e temuto da tutti, capace, pur dalla opposizione, di influenzare potentemente la vita pubblica e i costumi collettivi. Non avendo mai fatto davvero i conti con la storia comunista, la sinistra italiana, o ciò che ne resta, non ha saputo nemmeno fare i conti con tutto ciò che non andava nella Prima Repubblica. Ha finito per idealizzarla. Solo così si spiega il fatto che la sua opposizione alla destra sia sempre stata improntata al seguente ritornello: sono arrivati i barbari, i quali stanno distruggendo tutto ciò che di buono avevamo. Ma davvero era così buono ciò che avevamo? No, non lo era. Quasi tutti i problemi che ci attanagliano oggi (ne cito tre: debito pubblico, cattiva qualità dell'istruzione, cattivo funzionamento della giustizia) sono il frutto di pessime scelte della troppo mitizzata classe politica della Prima Repubblica, almeno dagli anni Settanta in poi. Il punto è che quella mal riposta nostalgia ha finito per alimentare una ideologia conservatrice, che si traduce nella pura e semplice difesa dalle minacce portate dai barbari di ciò che la Prima Repubblica ci ha lasciato in eredità. C'è poi, certamente, a spiegazione del conservatorismo, una ragione più generale. Fronteggiare i nuovi problemi, dall'invecchiamento della popolazione alla immigrazione, alla accresciuta competizione internazionale, significa dare risposte creative che rimettano in discussione molte soluzioni del XX secolo che si ritenevano a torto definitivamente acquisite.

Non essendo in grado di trovare risposte creative, la sinistra si è

122 Post/teca ridotta a giocare solo sulla difensiva. C'è chi pensa che il conservatorismo della sinistra venga da lontano, sia una eredità di quella incapacità di fare i conti con la modernità che caratterizzava il vecchio Partito comunista: fu proprio in polemica col Pci, oltre che con la Dc, che i socialisti craxiani si appellarono allora a una idea di modernità che avrebbe dovuto far circolare in Italia aria nuova. Ma è vero che ci sono stati anche momenti (diverse importanti decisioni del primo governo Prodi ne sono un esempio) in cui la sinistra ha saputo, sia pure con fatica, uscire dal recinto della conservazione sociale. E, comunque, non ha mai potuto perseguire la vocazione conservatrice, sua o del suo elettorato, senza pagare il prezzo di aspri conflitti interni. Ciò forse spiega anche la sua nota schizofrenia: finché si tratta di gestire, assieme alla maggioranza, nel chiuso delle commissioni parlamentari, certi provvedimenti, la sinistra può anche esibire fervore riformista. È costretta però a metterlo da parte (il caso della riforma Gelmini è esemplare) non appena deve fare i conti con le sollecitazioni della parte più chiusa e conservatrice del suo elettorato. Forse il discorso di Walter Veltroni al Lingotto, con il quale si inaugurò la segreteria del neonato Partito democratico, è stato l'ultimo tentativo (poi fallito come a suo tempo fallì il tentativo craxiano)di disegnare i contorni di una sinistra non conservatrice. Dopo di che, il nulla. In altri Paesi, sinistre messe alle corde sono state capaci di reagire e di rinnovarsi, di inventarsi idee nuove e proposte. La sinistra italiana ne sembra incapace. Continua a denunciare i barbari per evitare di parlare a se stessa e al Paese di progetti per il futuro.

Angelo Panebianco 29 dicembre 2010 fonte: http :// www . corriere . it / editoriali /10_ dicembre _29/ la - nostalgia - dei - conservatori - di - sinistra - angelo - panebianco _ e 5574 c 82-1318-11 e 0-8894-00144 f 02 aabc . shtml

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05/01/2011 - PERSONAGGIO "Io, condannata dalla

123 Post/teca nascita a non dimenticare nulla"

Louise Owen è un caso rarissimo al mondo: "Ricordo ogni istante vissuto" VALENTINA ARCOVIO NEW YORK

In vita sua non ha mai dimenticato una faccia o un compleanno. Non è mai successo che mancasse a un appuntamento o che durante un concerto le sfuggisse qualche nota. Louise Owen, violinista newyorkese di 37 anni, ricorda sempre tutto. Ogni istante della sua vita è impresso indelebilmente nella sua testa. Perché Louise ha quella che si dice «memoria autobiografica superiore» o ipertinesia, una condizione che le permette di ricordare ogni attimo vissuto come se fosse accaduto pochi secondi prima. Più che una memoria di ferro, Louise è come un vero e proprio «archivio umano» che ha iniziato a registrare gli eventi già da quando era piccolissima. «Ho tantissimi ricordi vividi di quando ero una bambina molto piccola. Ma credo di aver capito che la mia memoria autobiografica è insolita – racconta - quando avevo 12 anni. Era il 22 marzo 1986 nella settimana di Pasqua e sono andata a trovare mia nonna. Lei mi ha dato un calendario dove c’erano delle fotografie bellissime per ciascuna delle 52 settimane. Allora ho iniziato a scrivere sul calendario i compleanni di amici e familiari. Li ricordavo tutti. Poi mi sono accorta di poter addirittura scrivere a ogni data quello che era successo l’anno prima. E ho iniziato a scrivere tutto dal 1 gennaio in poi». Comprensibile lo stupore della nonna che stentava a credere come la sua nipotina facesse a ricordare ogni giorno dei 12 mesi precedenti.

«Quando lei mi ha detto che la maggior parte della gente non ricorda gli eventi di ogni giorno della loro vita – dice Louise - mi resi conto per la prima volta che la mia memoria funzionava in modo diverso». Se infatti chiediamo a Louise una data casuale, dal 1985 in poi, lei ricorda perfettamente quale giorno della settimana era e quello che ha fatto in ogni istante della giornata. «Ricordo se c’era il sole o la pioggia e le notizie che ho ascoltato al tg o che ho letto sul giornale», aggiunge.

124 Post/teca

Louise definisce i suoi tuffi nel passato come «viaggi nel tempo». «Se qualcuno parla di uno dei giorni degli ultimi 25 anni - dice Louise - viaggio immediatamente nel tempo e ricordo vividamente gli eventi e le emozioni che ho provato quel giorno, con la stessa immediatezza, come se fosse successo pochi istanti prima anziché tanti anni addietro». Tutto senza sforzi. «Per me è come un gioco mentale – spiega - che faccio con me stessa, pensando a quello che è successo in un giorno particolare per quanto lontano sia il ricordo. Per esempio, l’altro giorno mentre stavo camminando per Central Park, ho iniziato a pensare automaticamente a cosa ho fatto un anno fa, il 30 dicembre. Poi a cosa ho fatto due anni prima. Poi tre anni prima fino a ritornare indietro nel 1985».

Immaginate i vantaggi. «Nella mia professione – confessa - ho la fortuna di non rischiare mai di sbagliare una prestazione». Per la sua famiglia e i suoi amici Louise è un custode della loro storia. «Sono la persona che si ricorda tutti i dettagli e gli eventi con grande chiarezza – racconta - e mi chiedono di aiutarli a ricordare le loro vite». Ma non è sempre facile gestire una capacità così speciale. A volte più che un dono, la memoria autobiografica di Louise si trasforma in una maledizione. «Ci sono momenti – racconta - in cui mi piacerebbe dimenticare alcuni degli eventi più dolorosi della mia vita. Se qualcuno parla di una semplice data dolorosa del mio passato, rivivo immediatamente il dolore di quella giornata. Ad esempio, rivivo la rottura di una relazione o una delusione lavorativa proprio come se fosse accaduto ieri anziché l’anno prima o addirittura 15 anni prima». Ma Louise ha trovato un modo tutto suo per difendersi. «Cerco di non soffermarmi sui ricordi brutti. Il mio passato, con i suoi eventi dolorosi, è sempre lì - dice - ma mi sforzo cercando di focalizzare la mia attenzione sulle parti belle della mia vita. Ora il mio scopo è quello di riempire il “database della mia memoria” solo di ricordi positivi. Così, anche se i ricordi dolorosi non scompaiono, i ricordi felici sicuramente superano quelli tristi».

Pur avendo una memoria di ferro, Louise è prima di tutto una single newyorkese alle prese ogni giorno con la vita frenetica della Grande Mela. Quindi, le capita a volte che qualcosa sfugga dalla sua testa. «Per questo anch’io uso un’agenda come fanno molte persone – dice - anche se spesso finisco per scrivere i miei appuntamenti solo dopo che sono già accaduti!» fonte: http :// www 3. lastampa . it / costume / sezioni / articolo / lstp /382436/

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125 Post/teca

20110106

La mia amica ha tre figli, il più grande ha undici anni e la piccola neanche due.

Dice che ha una paura fottuta che crescano, che comincino a provare il distacco che caratterizza tutti gli adolescenti e che si è resa conto che là fuori è davvero un brutto mondo.

E subito dopo sempre lei, la mia amica, mi ha raccontato

126 Post/teca che un paio di settimane fa ha preso l’autobus dopo anni e anni che non lo faceva e ad un certo punto, a una fermata davanti a una scuola, sono salite quattro “ragazzine” che avranno avuto si e no 13/14 anni. Parlavano di una festa e una delle quattro diceva che non sapeva se riusciva ad andarci perché non aveva i soldi, i suoi genitori non le volevano “sganciare” i trenta euro per

127 Post/teca entrare.

Allora una delle altre tre ad un certo punto, tirando fuori il cellulare e scorrendo la rubrica, ha detto: “senti chiama questo numero, è un mio amico. Se gli fai una s*ga ti sgancia 30 euro, per un p*mpino te ne da cinquanta. Se gliela dai arriva a 100. Così puoi venire alla festa e hai risolto il problema dei soldi.

del perché mi sento fortunata a non avere figli « blondeinside ’ s Blog

128 Post/teca

(viabatchiara) (via batchiara) via: l uciacirillo . tumblr . com /

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English vs. Tumblr English: WHY DON'T YOU.....! Tumblr: Y U NO...... ?!?!?! -- English: You're so immature and stupid. Tumblr: LOL DIS BITCH -- English: I'm single. Tumblr: Forever alone. -- English: I'm so mad! Tumblr: FUUUUUU *inserts gif* -- English: Anonymous. Tumblr: Anon. -- English: Dianna Agron is so hot. Tumblr: ASDFKLADA; -- English: My work/Mine Tumblr: MAH WORKZ -- English: *laughs* That's so funny!! Tumblr: WHAT IS AIR? -- English: Hey Tumblr: OHAI -- I think Tumblr pretty much wins here

129 Post/teca

via: http :// prettystuff -. tumblr . com / fonte: http :// directi 0 nlessyes -. tumblr . com / post /2621183301/ english - vs - tumblr

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“Ho capito che S. è una persona per cui manderei all’aria i miei progetti e i miei sogni, io che ho sempre messo il mio futuro e soprattutto il mio lavoro davanti a tutto. la sensazione che lui sia così, che lui sia quello per cui rivoluzionerei scelte, cambierei luoghi, mollerei una delle cose più mi piace al mondo, è stata bellissima. La paura che per lui non sia così, e non lo sarà mai è stata terribile. Sono con lui i ricordi più belli di questo 2010. i mille messaggi, quelli inaspettati, quelli che mi hanno fatto arrabbiare, quelli che ho mandato, senza aspettare una risposta, che infatti non è mai arrivata. I mille momenti di affetto sincero, lo stupore di incontrarsi, la bellezza della sua voce quando urla il mio nome. L’entusiasmo adolescenziale di una notte in cui gli ho detto ora facciamo un esorcismo e ci siamo fatti cacciare da un locale dove stavamo facendo l’amore. La notte passata a ballare, in un locale semivuoto. La notte passata a dormire a casa sua, abbracciati. Tutte le volte che ho pensato amarti mi affatica. Tutte le volte che ho detto basta, lui deve restare nel 2010. tutte le volte che mi sono venute le lacrime agli occhi solo a pensarlo. Tutte le volte in cui ho saputo, inevitabilmente, che finché sarò qui, lui sarà, per me, una possibilità. La lucidità con cui continuo a credere che le cose cambieranno, contro ogni possibile logica. La bellezza della notte in cui gli ho detto sono innamorata di te, e voglio stare con te. E le parole con cui lui ha risposto.” — laddove “ forse ” è la parola chiave

via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“Bambini, bambini, voglio confessarvi una cosa: i vostri genitori non esistono, li hanno inventati Babbo Natale e la Befana per ingannarvi, imbambolarvi e tenervi più buoni.” — ((( )))

130 Post/teca

via: http :// aitan . tumblr . com /

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Marina Abramović and her lover/collaborator Ulay performing Death Self. This performance consisted of the two artists seated in front of each other, connected at the mouth. They took in each other’s breaths until all of their available oxygen had been used up. The performance lasted only 17 minutes, resulting in both artists collapsing unconscious to the floor, having filled their lungs with carbon dioxide. This personal piece explored the idea of an individual’s ability to absorb the life of another person, exchanging and destroying it.

fonte: http :// couteaux . tumblr . com / post /2588045784/ obsoletedesolate - marina - abramovic - and - her

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“Scrivo perché è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale. Scrivo perché non so fare altro. Scrivo perché dopo posso dedicare i libri ai miei nipoti. Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato. Scrivo perché mi piace raccontarmi storie. Scrivo perché mi piace raccontare storie. Scrivo perché alla fine posso prendermi la mia birra. Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto.”

— Andrea Camilleri , “ Ecco perchè scrivo” (via chouchouette)

VIA: http ://3 nding . tumblr . com / post /2609430099/ scrivo - perche - e - sempre - meglio - che - scaricare - casse

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Contorsionismi elicriso: dotakon: Guardare al passato mi aiuta non tanto a comprendere gli errori compiuti per

131 Post/teca

evitare di ricaderci, quanto a compiere ancora gli stessi in forme sempre nuove ed imprevedibili. via: http :// plettrude . tumblr . com /

------Huck Finn non può essere corretto

CLAUDIO GORLIER

Qualche tempo fa il mio amico, il Nobel Wole Soyinka, scherzava con me sulle metamorfosi negli Stati Uniti del termine negro , diventato, nel segno del «political correct», nel corso degli anni prima black , poi Afroamerican e infine African American . «Spero», mi disse ridendo «che alla fine si fermino». Magari si fermano, ma certo insistono; a posteriori la New South Books, editrice americana, pubblica a cura dello studioso Alan Gribben una nuova edizione del capolavoro di Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn ( Adventures of Huckleberry Finn ) apparso nel 1885, e provvede per così dire alla ripulitura linguistica di due termini: injun (per indian , indiano d’America), e negro , appunto. È un modo curioso di rinnovare la memoria dello scrittore nel centenario della morte, il 2010. Singolare paradosso

132 Post/teca per uno scrittore maestro del comico, e nella fase finale del tragico, costretto in vita dalla moglie pudica a sostituire parole che riteneva sconvenienti, e se ne vendicò nel diario.

Per negro non può fare altro che rivoltarsi nella tomba. Lo capisco anche troppo bene, visto che sono stato autore, più di quarant’anni or sono, di una storia dei «negri degli Stati Uniti». Poco tempo dopo un serio studioso, Alessandro Portelli, iniziò in Italia la doverosa campagna contro la parola incriminata. Con l’impertinente Mark Twain mi sento in buona compagnia e penso che l’africano Soyinka si diverta. fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / gEditoriali . asp ? ID _ blog =25& ID _ articolo =8262& ID _ sezione =& sezione =

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05/01/2011 - Parigi, Asterix torna sulle barricate

Nella Francia gauchiste un nuovo vento di contestazione globale: da Freud a Sarkozy, nessuno si salva MASSIMILIANO PANARARI

Basta con Freud, codino e reazionario, dice nel suo ultimo pamphlet (Le crépuscule

133 Post/teca d’une idole, Grasset), che ha incendiato gli animi, e fatto inorridire gli psicanalisti, il filosofo Michel Onfray. Disobbedienza dura (sebbene «etica»…) all’ordine neoliberale, teorizzano il sociologo Albert Ogien e la filosofa Sandra Laugier. C’è stato uno scippo del futuro delle generazioni a venire a causa delle politiche pubbliche degli ultimi trent’anni, sostengono i ricercatori sociali Louis Chauvel, Cécile Van de Velde e Camille Peugny. Accidenti, cosa bolle nella «pentola di Obelix» del pensiero radicale d’Oltralpe? Un vento di rivolta culturale, come tipico di quel laboratorio della teoria critica e dell’ultragauche che è la Francia, alla cui sinistra non dispiace, infatti, identificarsi con Asterix, il piccolo spavaldo eroe della resistenza contro l’Impero romano omologatore e globalizzato (che fa tanto Stati Uniti…).

Scomparsa la generazione dei grandi maîtres-à-penser politicamente impegnati, che avevano reso la cultura francese del secondo Novecento un prodotto da esportazione planetario (basti pensare alle tournée in stile rockstar di Foucault e Baudrillard in America), l’attenzione del resto del mondo verso la Parigi intellettuale sembrava decisamente affievolita. Ma l’anno appena finito, anche se siamo lontani dagli antichi fasti, ha mostrato che la battaglia delle idee transalpina è di nuovo intensa e combattuta; e, naturalmente, lo è innanzitutto al crocevia tra cultura e politica. Lo spiegaLes Inrockuptibles, il settimanale (e sito) di musica e cultura influenzato sin dalle origini dalle idee del sociologo Pierre Bourdieu (uno degli esponenti per antonomasia del pensiero critico antiliberista). E, infatti, buona parte di queste «linee di frattura», come le chiama Les Inrocks, provengono proprio dalla sinistra radicale, non di rado fertile nel produrre idee originali, ancorché discutibili (soprattutto quando non scattano tremendi riflessi pavloviani stile la solidarietà nei confronti di un criminale come Cesare Battisti), oppure dalla sinistra «senza aggettivi» (riformista, si sa, è un termine che non è mai stato molto popolare nel lessico politico dell’Esagono).

Sullo sfondo, dopo i guasti provocati dalla recessione, si rinfocola la polemica contro l’economia finanziaria e neoliberista, che attraversa molti dei dibattiti culturali dell’anno scorso, e ha trasformato in un vero e proprio best seller il libro, assai poco frou-frou, di due sociologi, LePrésident des riches, enquête sur l’oligarchie dans la France de Sarkozy (Zones). Gli autori, marito e moglie, sono Michel Pinçon e Monique Pinçon-Charlot, e vivisezionano un Nicolas Sarkozy capo del «comitato d’affari della borghesia», vita pubblica e amicizie private, e forte incremento della sperequazione della ricchezza. I due non ci vanno giù per il sottile, con un notevole successo di pubblico che ha mandato questo testo sul passaggio dalla lotta di classe alla «guerra tra le classi» (dichiarata unilateralmente) - uno

134 Post/teca slogan che i due autori mutuano dal guru della finanza Warren Buffett - direttamente nella classifica dei libri più venduti dell’anno.

E mentre il mensile Le Monde diplomatique (punto di riferimento per i no global di tutto il mondo) si lamenta dell’assenza di un collante tra mobilitazioni degli studenti e analisi degli intellettuali sugli affanni del neocapitalismo, anche il Partito socialista in perenne crisi di identità si butta a sinistra. I socialisti di Martine Aubry hanno così adottato il documento sull’«uguaglianza reale» preparato dal portavoce del partito Benoît Hamon, con una serie di ricette decise, dal salario universale per i giovani, tenuti anche a una sorta di servizio civile obbligatorio della durata di un anno, al tetto per gli stipendi dei manager pubblici, che non deve essere più di 20 volte superiore a quello più basso all’interno dell’azienda. Dietro il progetto si intravede l’influsso delle idee del sociologo François Dubet, direttore di ricerca all’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales, esperto di diseguaglianze sociali (e scolastiche) e autore di un libro di grande circolazione, Les places et les chances (Seuil), come pure quello del filone culturale anglosassone dell’etica del care (sviluppato dai lavori della politologa Joan Tronto e della psicologa Carol Gilligan), che prescrive l’esigenza morale e politica della protezione delle persone più deboli.

Insomma, non sono certamente più i tempi del «’68 pensiero», ma l’Asterix gauchiste è sempre lì, sulle barricate. fonte: http :// www 3. lastampa . it / cultura / sezioni / articolo / lstp /382475/

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02/01/2011 - Somerset Maugham, il più cattivo del '900

Cinico, vendicativo, ricchissimo, ammirato e detestato. Nei primi racconti, l’autobiografia segreta del romanziere

135 Post/teca

MARIO BAUDINO

C’è una donna precocemente invecchiata che nasconde qualcosa. Sta acquattata fra le pagine di Honolulu, i primi racconti di Somerset Maugham ambientati fra le Hawaii, Sumatra, la Malesia, da poco ripubblicati per Adelphi. Ed è così sgradevole, Mrs Grange, che si rischia davvero di non volerla vedere, mentre nella piantagione sperduta nella foresta narra a un antropologo il tedio e l’infelicità della sua vita accanto a un marito che non ama, in un luogo che detesta. Relitti è il titolo scelto dal traduttore italiano, ed è perfetto.

Quella donna dalla pelle «consunta e secca», dai capelli arruffati e malamente tinti di un giallo vivido, squassata dai tic nervosi e goffamente truccata, è un relitto almeno quanto il marito, piantatore rovinato dalle crisi della gomma. Ha anche un terribile segreto, ma questa è un’altra storia. Quel che la rende memorabile sono le foto della sua giovinezza, quando era un’attricetta da strapazzo, e in tutto e per tutto simile a qualcuno che lo scrittore inglese aveva conosciuto bene, anzi voleva sposare a ogni costo.

Pelle chiara, lunghi capelli raccolti sul capo, occhi azzurri e fisico sensuale, si chiamava Sue Jones ed era una bella ragazza senza particolari qualità. Nel 1913 Maugham la scelse, nonostante già fosse conscio delle proprie tendenze omosessuali, e ne fu respinto: qualche anno dopo si vendicò ferocemente, alla sua maniera. Non fu certo la sola volta. In uno dei romanzi più celebri, Il fantasma nell’armadio (Cakes and Ale, del 1949), dove anche Sue Jones è ben presente, ora come personaggio positivo, mise talmente in ridicolo la figura dell’amico Hugh Walpole, scrittore molto popolare - ne ricavò Alroy Kear, fatuo emblema del perfetto imbecille - da farlo morire di crepacuore. Somerset Maugham è considerato l’uomo più malvagio e detestato del suo tempo (diciamo ben oltre la prima metà del Novecento, visto che è nato nel 1874 e morto nel 1965, a Nizza, smisuratamente ricco, devastato dall’Alzheimer e naturalmente solo). A partire dal 1907 ha avuto successo più di chiunque altro. Nel periodo d’oro di Hollywood riuscì a battere Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, quanto a numero di film tratti dalle sue opere: 98 contro 93.

Più tardi, trasferitosi sulla Costa Azzurra, mise insieme una collezione d’arte che oggi varrebbe cento milioni di dollari. Christopher Isherwood lo definì «una vecchia valigia coperta di etichette. Solo Dio sa che cosa ci sia dentro»; ma Raymond Chandler, il creatore di Marlowe, adorava i racconti dedicati all’agente segreto Ashenden (dove Maugham fa ampio uso della propria esperienza spionistica nella

136 Post/teca

Prima guerra mondiale). «Non esistevano - scrisse - altre grandi spy story - nemmeno una» che potessero stare alla pari. Fu un Re Mida che molti ammiravano, nessuno amava, tutti detestavano. Non fece mai nulla per mettersi in una luce favorevole, anzi. Fu spietato senza motivo con la figlia Liza, nei cui confronti il dissoluto Gerald Haxton, l’amante segretario dello scrittore, si comportava con vero e proprio sadismo, per esempio una volta gettandole il cagnolino dal finestrino dell’auto.

A 74 anni si lasciò convincere da Graham Sutherland a posare per un ritratto, e il risultato fu un quadro così sconvolgente, cattivo appunto, che lo scrittore lo acquistò non senza fatica ma poi, non riuscendo a reggerne la forza quasi demoniaca, lo sigillò in una stanza chiusa, proprio come quello di Dorian Gray nel romanzo di Wilde. L’ultimo tassello biografico viene dal lavoro di Selina Hastings, che in The secret Life of Somerset Maugham ha rivelato un particolare inedito: nel ’54, quando compì 80 anni, l’editore Heinemann decise di pubblicare un libro di saggi in suo onore. Non ci riuscì, perché i critici e gli scrittori invitati, anche quelli che sulla carta gli erano amici, si defilarono con le più svariate motivazioni. Lui non se adontò. Fino all’ultimo, anche nel pieno della demenza senile, non versò una lacrima. Era «violento come un tumore maligno», annota la pur favorevolissima biografa, e teneva fede al principio che la vita non ha senso.

Lo aveva enunciato spesso, per esempio nel Filo del rasoio (del 1949), e forse per la prima volta in Acque morte (1932), altro romanzo per molti aspetti straordinario dove semmai Maugham inclina con un pizzico di curiosità verso la teoria della reincarnazione. È l’ennesima avventura nei Mari del Sud, che rivela però in modo evidente - perché l’autore lo spiega in una sorta di prefazione che vale un racconto - il gioco di scatole cinesi da cui uscivano i suoi libri, il modo in cui sapeva, come nessuno, «spacchettare» le storie. Questa nacque grazie a poche righe scartate da La luna e sei soldi, uno dei romanzi di maggior successo, dove si ricrea l’avventura di Paul Gauguin a Tahiti: in esse lo scrittore descriveva un capitano di mare, un querulo malvagio che non aveva paura di nessuno, salvo della moglie. Era un cattivo naturale, forse un «tumore maligno» anche lui, di cui si diceva avesse «perso» in mare un passeggero importante, ricco e in fuga, che durante la navigazione gli aveva vinto alle carte il denaro consegnato per la misteriosa crociera.

Maugham intuisce che lì si nasconde un altro romanzo, e lo scrive da par suo. Ma ancora una volta compie un’operazione a lui abituale, il suo marchio di fabbrica: mette un doppio di se stesso, un medico oppiomane, come testimone e narratore; e lo lavora con una strategia più segreta. Il medico è infatti un esempio di ruvida

137 Post/teca bontà: come altri personaggi a lui simili nei libri dello scrittore britannico, cura gratis i poveracci, non ha ambizioni, vuole solo essere lasciato in pace. Capisce molto di quanto sta accadendo sul battello i cui occupanti incrocia casualmente, degli intrighi amorosi che si dipanano a terra fino alle conseguenze più catastrofiche, ma lascia che gli eventi procedano verso la tragedia senza alzare un dito. Semmai attutisce, copre, protegge i suoi interlocutori dalle conseguenze nefaste delle loro poco commendevoli azioni.

Il dottore è uno strano esempio di bontà per disinteresse o per accidia, che torna in molti romanzi e racconti e ha quasi sempre un riferimento autobiografico. «Credo nell’amore, credo nell’entusiasmo... anche se sono incapace di praticarlo» disse ormai molto anziano, quasi a suggello della propria vita, al nipote Robin che lo scrisse in un libro amaro e delizioso, Conversazioni con zio Willie (di Robin Maugham, pubblicato sempre da Adelphi). Doveva considerarsi, al fondo, molto buono. Almeno quanto il principe Miskin, L’Idiota di Dostoevskij, che solo per la sua natura di uomo buono scatena, pur senza esserne toccato, il male intorno a sé. L’interpretazione di Maugham, che sembra voler riscrivere, in tutta la sua opera, questo stesso libro, è evidente: così facendo svela la malvagità del mondo, oltre che l’insensatezza della vita.

L’uomo buono resta una sorta di santo, un’idea di Cristo ben presente allo scrittore, che ormai obnubilato faceva ripensando alla propria vita ironici paragoni, sul tipo: «Gesù aveva certi vantaggi che a me mancano». Un Cristo insensato a sua volta, ma non per questo meno ammirevole. Proprio come il giovane americano Laurence Durrel, Larry, che nel Filo del rasoio rifiuta la promozione sociale e un ricco matrimonio per compiere liberamente le sue esperienze in giro per il mondo, e spogliatosi di tutto sparire infine nella sterminata provincia, a vivere di un lavoro modesto. O come Walker, amministratore di un’isoletta nel Pacifico, irlandese autoritario e volgare che ama gli indigeni al modo ferocemente paternalistico dei colonizzatori; li aiuta, li protegge e li opprime. Ma quando viene assassinato, a opera del suo secondo che lo odia, muore come un santo, perdonando tutti. Walker è il protagonista di Makintosh, il primo racconto di Honolulu, scritto nel 1920.

Da allora per mezzo secolo l’uomo più cattivo del suo tempo non avrebbe più cambiato idea. Credeva in una sola cosa, e lo spiegò come meglio non si poteva al nipote Robin: «In tutto il mondo ci sono storie meravigliose da scrivere. Basta avere le palle». fonte: http :// www 3. lastampa . it / cultura / sezioni / articolo / lstp /382119/

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20110107 vesuviano: Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti siamo gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri, non abbiamo da mangiare …solo in mezzo al mare

------"[…] Ma il grosso dell’esercito vagava sulla sabbia senza scopo, come abitanti di una città italiana all’ora del passeggio."

— «Espiazione» (I. McEwan) (Source: cranioinaffitto)

------"Alla fine è come in matematica: puoi anche sentirti uno zero, tanto dipende tutto da dove e con chi stai." — (via tintenkiller)

------"Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile,

139 Post/teca la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità."

— Thomas Sankara (via alchemico) (Source: Wikipedia, via alchemico)

------"Diventare adulti non ha nulla a che vedere con il tempo che passa, ma con lo spazio che resta. Diventare adulti vuol dire venire a compromessi con la geometria delle cose che hai, e con quella delle cose che vorresti avere. Crescere vuol dire imparare ad accartocciare le cose, ad ordinarle, a tagliarle e spianarle perché occupino il giusto spazio. La faccia degli adulti è sempre segnata dalla stanchezza e dalla disperazione per questo inutile e continuo agire sulla dimensione delle cose. Gli adulti sono costantemente impegnati nel lavoro di fare spazio alle cose belle, di procurarsi un ripiano capiente e comodo dove poterle poggiare, prima che

140 Post/teca quello spazio si riempia di piccole ed inutili cianfrusaglie come la bancarella dei cinesi nelle sagre di paese"

— Preferisco dormire | I Love Quentin (via lafra) (via blondeinside)

------"Cameriere, portami da bere ancora un bicchiere di Franciacorta che ho da mettere alla porta, un’altra storia andata storta, stavolta l’amata è morta, sepolta e dannata, brindo a momenti piangenti come salici in calici d’annata, mica con uva annacquata. Bacco, guida tu questo insano caduto per mano di femmina, insisto, giacchè il meteo ha previsto banchi di nebbia sulla mia retina" — (via checcachicchi) Capa

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------"E’ necessario che una donna lasci un segno di sè, della propria anima, ad un uomo perché, a fare l’amore siamo brave tutte" — Alda Merini Ladra di Caramelle - FriendFeed (via bastet) Definitiva. (via batchiara) (via hneeta)

------"Se quando le ho detto ti amo non mi avesse detto passami l’insalata l’avrei sposata."

— Dino Risi, Versetti Sardonici (via alune)

------"Ci avevano detto che c’era un libro e su quel libro c’era il nostro destino: quello che non ci avevano detto era che il libro aveva le pagine bianche e il destino ce lo saremmo dovuto

142 Post/teca scrivere noi, senza la possibilità di sfogliare indietro se non per rileggerci, buona la prima anche quando buona non è." — But you and I , we ’ ve been through that , and this is not our fate « yellow letters (via batchiara) (via batchiara)

------alune: Garibaldi romanziere Mussolini violinista Reagan attore Clinton sassofonista Hitler pittore Berlusconi cantante tutti catalogati come artisti mancati. Perché non li hanno incoraggiati?

Dino Risi, Versetti Sardonici

------"Previsioni del tempo per questa notte: buio." — George Carlin Chiarina (via creativeroom)

------"Di santa pazienza e molto stupore

143 Post/teca ma senza pudore tre dubbi di vita amore in salita due figli o due figlie ed un puzzle da mille le poche parole lanciate nel mucchio sassate su specchio che crepan silenzi o timidi assensi col cenno del capo e un bacio non dato l’amore pensato"

— L ’ amore Pensato - Max Gazzè (via batchiara)

------Tutti abbiamo udito la donnetta che dice: Oh, è terribile quello che fanno questi giovani a se stessi, secondo me la droga è una cosa tremenda. Poi tu la guardi, la donna che parla in questo modo: è senza occhi, senza denti, senza cervello, senz’anima, senza culo, né bocca, né calore umano, né spirito, niente, solo un bastone, e ti chiedi come avran fatto a ridurla in quello stato i tè con i pasticcini e la chiesa.

144 Post/teca (Charles Bukowski) " — guerrilla radio (via hneeta) . (via emmanuelnegro) più droga meno chiese! (via ze - violet )

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"L’arte è un modo di perdonare al mondo il suo male e il suo caos."

— Laszek Kolakowski, Presenza del mito, il Mulino, 1992, pagina 66 (via reallynothing)

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06/01/2011 - TENDENZE- IL MATRIMONIO E' DIVENTATO PIU' FRAGILE Tutti insieme, separatamente

Vivono in case diverse,

rifiutano i figli, vogliono

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amori pendolari: un libro

racconta le nuove "famiglie" LAURA ANELLO

Vent’anni fa Woody Allen e Mia Farrow davano scandalo per la decisione di vivere in due case diverse, seppure fossero una coppia con tanto di bambini. Quella storia finì come finì, con il pasticciaccio della love story del regista con la figlia adottiva di lei. Ma fatto sta che oggi in Italia ci sono 600 mila coppie che abitano sotto due tetti diversi: amori Lat, dicono gli americani. Cioè Living apart together: si vive insieme, ma separatamente. E non perché divisi dal lavoro, da necessità di salute, da problemi familiari, ma per scelta.

E se le coppie Dink (Double income, no kids: doppio reddito, niente bambini) sono diventate 650 mila, cresce il fronte di quelle radicalmente Childfree: gente che di pargoli, pannolini e notti insonni non ne vuole proprio sapere e che furoreggia su Internet con un decalogo molto spassoso che elenca le ragioni per non procreare: dal denaro ai viaggi, dal tempo libero alla forma fisica. Stima accreditata, 138 mila coppie. Di sicuro, il 6 per cento delle italiane tra 20 e 30 anni dichiara di non avere alcuna intenzione di diventare madre. Mentre, al contrario, il 40 per cento delle coppie sterili fa di tutto per avere figli, ricorrendo a tecniche di procreazione assistita che funzionano nel 35 per cento dei casi.

Una nuova galassia di sigle, tendenze, nuove forme di relazione fotografata dalla psicologa palermitana Alessandra Salerno, docente di Teoria e tecniche delle dinamiche familiari e di coppia all’Università di Palermo, nel volume«Vivere insieme», da poco pubblicato per Il Mulino. Il compendio di anni di indagini svolte in un team di ricerca guidato da Angela Maria Di Vita, docente di Psicologia clinica. Mirate a rispondere a una domanda cruciale: quali sono le nuove forme di famiglia? «Fino a pochi anni fa - dice la Salerno - superata l’età del fidanzamento, esistevano tre grandi categorie entro cui identificare un individuo: single, convivente o coniuge. Adesso lo scenario si è fatto molto più complesso». E molto più difficile perché, paradossalmente, la debolezza del matrimonio contemporaneo è che mette a fondamento l’amore, con tutte le sue attese e le sue fragilità. Due o tre generazioni fa, erano altre le basi su cui costruire l’unione coniugale: fuga dalla famiglia d’origine, rispettabilità sociale, figli, stabilità economica.

Ecco allora che, superato il modello di unione tradizionale, si fanno avanti le nuove

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forme di relazione. A partire da quelle a distanza, su cui (oltre a Lat), si sprecano le definizioni: coppia del weekend, a coabitazione intermittente, a convivenza alternata, con doppia residenza, amore pendolare, amore a distanza, amore part time. «Le nuove tecnologie insieme alla diffusione dei voli low cost - dice Salerno - consentono oggi di accorciare le distanze e di mantenere una forma di condivisione della reciproca quotidianità anche a distanza di chilometri. Dalle indagini risulta che la distanza fisica non coincide con un allontanamento affettivo».

Sono tre le macro-categorie di chi sceglie due cuori e due capanne: quelli che escono da un’esperienza matrimoniale con le ossa più o meno rotte e non vogliono ripetere l’esperienza, gli indecisi che non si sentono mai pronti al grande passo di mettere insieme libri e pantofole, e infine gli ex conviventi che si sono presi la famosa pausa di riflessione durante una crisi. E hanno scoperto che a distanza funziona meglio.

fonte: http :// www 3. lastampa . it / costume / sezioni / articolo / lstp /382633/

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“ho fatto il cretino ad una cena dei cretini. ci son cascati tutti.” — cristiano valli (via gravitazero)

via: http :// gravitazero . tumblr . com / post /2635453674/ ho - fatto - il - cretino - ad - una - cena - dei - cretini - ci

------Italia 150 via alla festa schizofrenica

di massimo gramellini

Nel sovrano disinteresse del popolo sovrano e della maggioranza più che assoluta dei suoi rappresentanti, comincia stamattina la sarabanda delle celebrazioni per i 150 anni dell’Italia Unita. Comincia a Reggio Emilia, con l’omaggio al Tricolore da parte del Presidente della Repubblica: uno dei pochi a crederci davvero, e non solo per dovere d’ufficio. Dopo il rito della bandiera (che di anni ne ha oltre duecento) arriveranno le ricorrenze vere. Le prime elezioni nazionali del 27 gennaio 1861,

147 Post/teca riservate a una minoranza di maschi abbienti, alfabetizzati e mangiapreti (la Chiesa aveva proibito le urne ai cattolici): il più votato risultò Cavour con 620 voti. L’assedio di Gaeta con cui il 13 febbraio si archiviò a suon di bombe la resistenza dei Borboni, appena in tempo per non sciupare la seduta delle Camere riunite nel cortile torinese di Palazzo Carignano, quando il Capo dello Stato, che allora era il Re, rivolse ai parlamentari la prima di una lunga e mai terminata serie di prediche inutili: «Signori deputati! Signori senatori! L’Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra!». Fino a quel 17 marzo, una domenica, in cui i pochi italiani che sapevano leggere appresero dalla Gazzetta Ufficiale che il Parlamento aveva proclamato il Regno d’Italia con il voto contrario di due soli senatori, dei quali taceremo i nomi per non togliere a Bossi il piacere di scoprirli e di andare a deporre sulle loro tombe una decalcomania del Sole delle Alpi. Qualche malizioso potrebbe chiedere di protrarre il gioco delle ricorrenze al 18 aprile 1861, 150° anniversario della prima rissa parlamentare, e mica fra cicchitti e bocchini: fra Garibaldi e Cavour, che sarebbe poi morto quattro mesi dopo, lasciando l’Italia più o meno dove sta adesso: nei pasticci.

Ci attende un anno di inni, parate, discorsi e baruffe sulla Patria, ma nessuno può dire se alla fine del 2011 gli italiani si innamoreranno di lei o se ne saranno definitivamente nauseati. Probabilmente continueranno a trattarla come ora, con amore comparativo: parlandone bene solo quando sono all’estero. L’italiano non considera l’Italia la sua Patria, così come - sia chiaro - non considererebbe Patria la Padania, la Borbonia o qualsiasi altra comunità più vasta della sua famiglia, del suo quartiere o, forse, della sua città che gli chiedesse di emettere fattura fiscale. Per un italiano ciò che appartiene a tutti, per il semplice fatto di non appartenere soltanto a lui, non appartiene a nessuno. Ci sono voluti quattordici secoli, dalla fine dell’Impero Romano all’Unità, per cucirci addosso questo atteggiamento mentale. Ne mancano quindi ancora dodici e mezzo per rimetterci in pari.

Ma non è onesto affermare che rispetto al Centenario del 1961 lo spirito di Patria si sia affievolito. Il divario fra settentrionali e meridionali era molto più aspro cinquant’anni fa, e si manifestava nelle forme di una diffidenza razzista che non di rado trascendeva nell’ostilità. La differenza è che allora non c’erano, né a Nord né a Sud, partiti di massa disposti a cavalcarla. Ciò che l’emigrazione, i matrimoni e la tv hanno unito in questi decenni è stato in parte disfatto dalla politica, che ha sistematicamente eroso i simboli dell’unità nazionale, dalla Costituzione ai miti fondativi (esagerati ma autentici, come tutti i miti) del Risorgimento e della Resistenza. Come nel mondo capovolto di Alice, la Patria ha cessato di essere una parola di destra e si è spostata verso il centro, se non proprio a sinistra. Ma

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chiunque, a destra e a sinistra, intenda oggi fondare un partito, sostituisce le ideologie con le microappartenenze territoriali e vede quindi nella Patria tutta intera un inciampo. Sono i politici, non i cittadini, ad aver rimosso la ricorrenza del 2011. Infatti, nel dibattito «elezioni a marzo sì-elezioni a marzo no» che li appassiona da mesi, nessuno dei leader ha neanche minimamente pensato che sovrapporre i veleni di una campagna elettorale alle celebrazioni del Centocinquantenario sarebbe come invitare una banda di bulli muniti di pennello e vernice alla festa di compleanno della scuola. Nordisti e sudisti che insultano l’Italia sulle piazze d’Italia, mentre il Capo dello Stato scopre targhe commemorative e omaggia bandiere risorgimentali: fra le tante schizofrenie di questo beneamato Paese, che almeno questa ci venga risparmiata.

fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / hrubrica . asp ? ID _ blog =41

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“E come può il mio amore essere limpido se è la mia nazione che l’inquina…” — Sulle Labbra (via chouchouette)

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“Da piccola temevo il futuro e nessuno mi ha avvisata che non sarebbe mai arrivato.” — Altan (via thistumblrwillsaveyourlife)

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Un diverso punto di vista sul mercato automobilistico italiano

Via Dagospia Un milione e mezzo di auto prodotte in Francia nei primi nove

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mesi del 2010. In Germania 4,1 milioni circa, oltre 930mila in Gran Bretagna e 1,4 milioni in Spagna. Solo 444mila in Italia. Parliamo di fior di Paesi europei che, in un anno certo non di grande boom, hanno prodotto in casa loro una enorme quantita’ di auto, con leggi civili e costi europei. E per carita’ di Patria non citiamo Polonia e Repubblica Ceca, che qualcuno potrebbe non ritenere paragonabili in tutto e per tutto all’Italia. Questi dati desolanti pubblicati oggi da Repubblica , e con la precisazione ad esempio che in Germania l’operaio guadagna 500 euro al mese più’ del collega italiano, sono un macigno sulle tante balle spacciate da anni dalla Fiat e dai suoi giornali e politici amici. Il problema dunque non e’ la globalizzazione, ne’ la Fiom Cgil che pure qualche suo problemino culturale lo ha. Il problema sono la Fiat, il suo management e la famiglia che ne mantiene il controllo con l’aiuto di molti soldi altrui. Ieri era uscito un altro dato: Audi investira’ in quattro anni oltre 11 miliardi, dei quali circa meta’ in Germania. Marchionne, ma di cosa stiamo parlando? Qui ci sono sul tavolo 11 miliardi di investimenti della sola Audi, non certo un produttore di auto di massa per il popolo. La grande abilita’ della Fiat e’ stata in questi anni far credere a tutti che c’era un problema di mercato mondiale di cui era vittima la Fiat, ma che, soprattutto, le auto non si vendono perche’ per motivi di contesto esterno si produce poco e male in Italia. E’ vero l’esatto contrario: si progettano e si vendono male le auto fiat sicche’ la produzione in Italia cala a livelli ridicoli. Ma gli esperti di auto e di marketing, oltre che i normali consumatori, pensano davvero che le auto Fiat si vendono poco perche’ costano troppo care? Per colpa dei privilegi del ricco e satollo operaio Fiat? Appare triste in questo quadro la soddisfazione del grande vecchio di casa Agnelli. Parliamo di quel Gabetti che assolto per ora dal Tribunale di Torino, insieme a Grande Stevens Avvocato Franzo, ma condannati entrambi da Consob, ha sempre rivendicato di aver fatto la cosa giusta nel

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garantire agli Agnelli il controllo di Fiat. Ad ogni costo. via: http :// www . pasteris . it / blog /2011/01/06/ un - diverso - punto - di - vista - sul - mercato - automobilistico - italiano

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Vi volevo raccontare della mia malattia e altre amare riflessioni

venerdì 7 gennaio 2011 Proverbio: Scherza coi fanti ma lascia stare gli alpini. Dopo che ho letto questo proverbio alla mia morosa lei mi ha chiesto se mi poteva lasciare. Le ho spiegato che si trattava di un’amara riflessione sugli alpini che muoiono nei teatri di guerra ma non è servito a niente.

Se non era per oggi, ché bisogna andare a lavorare, sarei stato in pigiama da mercoledì sera fino a lunedì mattina. È che sono malato. Molto malato. Ho un’influenza, o qualcosa di simile. Non le prendo mai, le malattie, ma stavolta sì, l’ho presa, e ho deciso che è la mia malattia. Dico, lasciami qui sul divano, io con la mia malattia. Mi dice Vieni a letto, io le dico no, lasciami morire qui, con la mia malattia.

Ieri ho usato della candeggina. È stato bellissimo. fonte: http :// eiochemipensavo . diludovico . it /2011/01/07/ vi - volevo - raccontare - della - mia - malattia - e - altre - amare - riflessioni /

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Penso che di giuseppe civati

Quello che penso su Mirafiori e dintorni, senza avere la pretesa di essere conclusivo. Perché sono preoccupato, ma è anche vero che prima o poi i cosiddetti 'rottamatori' si sarebbero dovuti confrontare con il problema dell'auto.

Penso che abbiamo perso vent'anni, al solito, anche sotto il profilo della famosa modernizzazione del sistema produttivo e del passaggio dal capitalismo familiare (e familistico) all'internazionalizzazione di tutto, dei destini delle imprese e anche della vita del singolo lavoratore. Che potrebbe essere un'opportunità, se solo venisse colta nella sua complessità.

Penso che non è un derby tra Fiom e Marchionne in cui il Pd non sa da che parte stare, perché il Pd potrebbe condividere alcune cose e rifiutarne delle altre e perché non è questo il punto.

Penso che dire che cosa farei io al posto degli operai della Fiat è insultante e sbagliato.

Penso che quando si parlava di Pomigliano, tutti a farne la caricatura, perché erano 'terroni' e non avevano voglia di lavorare.

Penso che chi chiedeva cautela avesse ragione e forse è evidente ora che si parla del tempio della cultura operaia del Pci e della sinistra italiana (e c'è sempre l'articolo 40 della Costituzione, da qualche parte).

Penso che sia un brutto accordo, quello di Torino, e che ce ne siano in giro di migliori, in Italia, e non perché siano meno impegnativi, ma perché contengono clausole e impegni ben diversi. Perché il contributo che i sacrifici dei lavoratori rendono alla redditività aziendale è riconosciuto e compensato, in termini monetari e anche in termini di adeguati turni di riposo.

Penso che non si può partire da un caso specifico per riformare una partita

152 Post/teca così delicata. E penso che ragionare "sotto ricatto" non è mai la cosa migliore.

Penso che la questione produttività vs. diritti è mal posta, così, ed è soltanto una parte del problema, perché per essere competitivi ci vuole qualcosa in più.

Penso che se fosse la Chrysler direttamente, senza la retorica provinciale della Fabbrica Italia (che a me ricorda quell'altra fabbrica, quella che vola), i giudizi sarebbero molto più cauti.

Penso che è una multinazionale e forse ci vorrebbe l'Europa, finalmente, a dire alcune cose sui rapporti tra le economie nazionali e la dimensione multinazionale, sulle imprese e sui diritti.

Penso en passant che i toni di Marchionne degli ultimi giorni siano proprio stronzi.

Penso che se si vuole il modello tedesco (e per una volta non si parla di sistema elettorale) allora bisogna parlare anche di chi partecipa al consiglio di sorveglianza e qual è il ruolo delle maestranze nella direzione dell'azienda. Perché la Mitbestimmung potrebbe essere una chiave. E a Mirafiori non lo è stata, anche se ora la Cisl dice che magari.

Penso che se si parla di modello americano, bisognerebbe fare qualcosa per la partecipazione azionaria dei dipendenti. Non dopo, prima di chiudere gli accordi e di disegnare presunti nuovi modelli per il Paese.

Penso che altre cose ancora dovrebbe essere la politica a porle, altrimenti la politica non serve a nulla.

Penso che se il governo non fa niente, sulla base di un calcolo e non di un formale «lasciare alle parti sociali il compito di discuterne», è l'opposizione a dover prendere l'iniziativa.

Penso che vorrei saperne di più degli investimenti del gruppo Chrysler-Fiat perché mi pare che con il passare dei mesi si siano parecchio ridimensionati.

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Penso che il problema sia se riusciamo ancora a produrre auto e soprattutto se siamo competitivi producendo queste auto.

Penso che anche il tema della ricerca da qualche parte lo si dovrebbe anche porre.

Penso che bisogna stare attenti a come si legge l'art. 19, perché i lavoratori devono essere compiutamente rappresentati e che è ora che il Parlamento faccia qualcosa in proposito, anche alla luce delle proposte del Pd.

Penso che il segretario del Pd debba farsi sentire più degli altri, perché Chiamparino e Marchionne sono la stessa persona, ma la direzione politica del partito compete al suo leader.

Penso che se non si esercita la leadership, se non se ne discute con gli alleati, hai voglia poi a parlare di Terzo Polo e di congelamento delle primarie.

Penso che non si debba tornare al '93, ma che ce ne voglia uno nuovo, con uno schema rinnovato, in cui la responsabilità sia assunta da tutte le parti in causa. E che la politica, se vuole un ruolo, in Italia e in Europa, lo debba interpretare, ora o (quasi) mai più. fonte: http :// civati . splinder . com / post /23843830

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“Se per un istante Dio si dimenticherà che sono una marionetta di stoffa e mi regalerà un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto quello che penso, ma in definitiva penserei tutto quello che dico. Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano. Dormirei poco, sognerei di più, andrei, quando gli altri si fermano, starei sveglio, quando gli altri dormono, ascolterei, quando gli altri parlano e come gusterei un buon gelato al cioccolato!! Se Dio mi regalasse un pezzo di vita, vestirei semplicemente, mi sdraierei al sole lasciando scoperto non solamente il mio corpo ma anche la mia anima. Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si sciogliesse al sole. Dipingerei con un sogno di Van Gogh

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sopra le stelle un poema di Benedetti e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna. Irrigherei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro spine e il carnoso bacio dei loro petali. Dio mio, se io avessi un pezzo di vita non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente che amo, che la amo. Convincerei tutti gli uomini e le donne che sono i miei favoriti e vivrei innamorato dell’amore. Agli uomini proverei quanto sbagliano, a pensare che smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi. A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo. Agli anziani insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con la dimenticanza. Tante cose ho imparato da voi, gli Uomini! Ho imparato che tutto il mondo ama vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel risalire la scarpata. Ho imparato che quando un neonato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo tiene stretto per sempre. Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall’alto al basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi. Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, ma realmente, non mi serviranno a molto, perché quando mi metteranno dentro quella valigia, infelicemente starò morendo.” — Gabriel García Márquez - Iodellavitanonhocapitouncazzo :

fonte: http :// iodellavitanonhomaicapitouncazzo . tumblr . com / post /2636010006/ se - per - un - istante - dio - si - dimentichera - che - sono - una

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Quando Pesci ed Acquario si uniscono in una relazione amorosa, ciò che ne viene fuori è una relazione ricca di passione e creatività. Sono partner molto idealisti come individui. Pesci ama viaggiare con la propria mente ed Acquario, spesso viene fuori con nuove invenzioni e modi diversi di fare le cose. La loro relazione scava a fondo alla ricerca della verità e delle possibili soluzioni per risolvere i problemi; entrambi, inoltre, tendono ad essere introspettivi. Acquario è frettoloso nel giudicare chi non accorda con le sue opinioni, mentre Pesci è troppo compassionevole anche con chi in realtà non ne ha bisogno.

155 Post/teca

Acquario e Pesci sono prima di tutto amici oltre ad essere amanti eccellenti. I problemi tra loro sono rari, ma a volte Acquario può rivelarsi troppo intellettuale e riservato per Pesci che a sua volta si rivela troppo altruista ed ingenuo per i gusti di Acquario. Qualche volta le diverse reazioni dinanzi una situazione possono creare una barriera tra i due; Acquario è molto veloce nell’allontanare chi è in disaccordo con le sue idee e Pesci fa in fretta a buttarsi in altre situazioni. In qualche occasione la coppia avrà conflitti, ma sono entrambi capaci di perdonare e dimenticare.

Acquario è governato da Urano e Saturno mentre Pesci da Giove e Nettuno. Urano influenza con idee iconoclastiche e pratiche innovative: Saturno fornisce la guida per agire in base a queste idee e l’abilità di organizzare i dettagli che possa animarli. Giove interviene con la filosofia, l’insegnamento e la comprensione mentre Nettuno focalizza sulla spiritualità; in questo modo Pesci ama apprendere cose nuove ed eccitanti come il partner. Quando Acquario ha una nuova idea, e questo capita spesso, Pesci è desideroso di capirlo dal punto di vista intuitivo. Questa coppia crea una relazione profonda grazie alle loro risorse complementari intellettuali ed emotive.

Acquario è un segno d’aria, Pesci un segno d’acqua; è una relazione motivata rispettivamente dall’intelletto e dal sentimento. Man mano che va avanti la storia, l’unione diventa più flessibile. Quando le cose vanno bene, sembra che si sia raggiunta la perfezione ma quando le cose vanno male, la comunicazione diventa terribile. Pesci ama trovarsi dove si mescolano le azioni e l’intelletto di Acquario; Acquario, a sua volta, può imparare la tolleranza ed il calore dal riservato Pesci.

Pesci Acquario è una coppia che forma un buon team di lavoro; pur se in disaccordo riescono a trovare il punto di equilibrio. I conflitti nascono a causa dei bisogni di dolcezza e supporto emotivo di Pesci mentre Acquario è più focalizzato sulle idee che sui sentimenti.

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Acquario inizia nuovi progetti e li cambia spesso; Pesci riesce ad accettarli finchè ha un ruolo ben preciso per migliorare la loro relazione. Quando fanno delle cose insieme, non discutono mai su chi si prende il merito per gli obiettivi raggiunti. Entrambi sono più abili nell’iniziare a fare una cosa piuttosto che portarla a termine; se la relazione diventa troppo noiosa per Acquario, Pesci sarà d’accordo con lui e deciderà di allontanarsi.

Qual è il miglior aspetto della relazione Pesci Acquario? Il miglior aspetto della relazione è il loro interesse reciproco nel coltivare la conoscenza e nell’accettare idee moderne e cosmopolite. Sono una coppia unita riguardo all’entusiasmo, l’energia ed il desiderio per una relazione aperta, onesta e sincera. fonte: http :// www . oroscopo . it / servizi / amore / pesci - acquario . html

Come Sedurlo... … Impara a far sì che film tragici e brani musicali drammatici facciano scendere una lacrima dai tuoi occhi. Il tuo Pesci apprezzerà la sensibilità – e asciugherà le tue lacrime con baci.

… Entra in contatto con il tuo amore compassionevole e intimo per ogni essere umano dell’universo. Il tuo Pesci può aiutarti a enfatizzarlo con tutte le forze, e ti aiuta a capire perché loro meritano il tuo amore.

… Impara come comunicare mille espressioni d’amore – tutte senza dire una parola. Il tuo Pesci sarà capace di leggere la tua anima guardando nei tuoi occhi.

… Offri appoggio al tuo Pesci; impara come tenerlo con i piedi per terra, senza deprimerlo troppo, facendolo scendere dalle nuvole. Il tuo Pesci ti insegnerà come sognare e osservare stelle cadenti nel cielo.

… Pensa ai modi con cui mostrare al tuo Pesci che una storia d’amore vera può nascere, realmente, tra voi due ed egli vi mostrerà in che modo questa

157 Post/teca storia d’amore può durare per sempre.

… Ama le belle arti e il buon vino – il tuo Pesci ti amerà per tutto ciò.

Da Evitare…

... Non credere che il tuo Pesci diverrà, nel vostro rapporto, l’esperto dal punto di vista finanziario. Un Pesci affiderà spesso le questioni finanziarie agli altri, poiché la sua mente é altrove.

... Non rimproverare il tuo Pesci troppo duramente di essere un sognatore a occhi aperti invece di un intraprendente. Il Pesci è noto per essere in sintonia con il lato spirituale, non quello materiale.

… Non criticare il vero amore all’antica. Il Pesci crede che esista e non ha intenzione di accontentarsi di una relazione amorosa occasionale.

… Non buttar giù il tuo Pesci così per caso; puoi ferire i suoi sentimenti senza neanche accorgertene. Un Pesci non potrebbe urlare di dolore o gettare cose dalla finestra quando viene ferito, ma sta comunque male interiormente.

… Non trattare il tuo Pesci troppo superficialmente; non giocare con lui e non lasciar che ti veda condurre il gioco. Un Pesci non ama questo comportamento, poiché ciò va contro le sue idee sull’amore vero e sull’unione spirituale.

… Non soffocare i suoi impulsi artistici – questo è un segno veramente creativo, e tu puoi essere un punto fermo nella via della felicità e diventare la sua bella opera d’arte. fonte: http :// www . oroscopo . it /12/ il - segno - dei - pesci /455/ Seduzione - Segno - Pesci . html

------fotonico:

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Tessera 21 Il mio locale preferito, un piccolo club per fumatori dove si accede per mezzo di tessera magnetica, che la prima cosa che ti porta il proprietario dopo il suo sorriso e una stretta di mano, è un posacenere. È buio, ma le piccole luci sono calde.Odore di sigaro, aria lattiginosa e una pila di libri sempre diversi sul bancone. Si può persino mangiare, anche se la scelta è limitata al più strepitoso panino con la pancetta della vostra vita. L’impianto audio non smette mai di farti compagnia. C’era solo una coppia, che chiacchierava distratta in un angolo. Io seduto al banco aspettavo il mio drink che è arrivato con un libro di poesie giovanili di sylvia plath. E per settantacinque interminabili minuti una nenia d’un vecchio, che cantava una canzone di chiesa di quando era ragazzino, unita al progressivo incalzare e salire della musica strumentale ed ero ridotto uno straccio. È bastata la musica per prendermi per mano è condurmi in un trip dentro al mio cuore. È così potente la musica. Ma tu sai ascoltare? sì

via: http :// batchiara . tumblr . com /

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“Ogni persona ha una stella, ogni stella ha un amico, e ogni persona ha qualcuno che gli somiglia, una stella simile alla sua che si porta dentro come confidente.” — Orhan Pamuk (via apneadiparole)

via: http :// biancaneveccp . tumblr . com / ------

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“Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia.” — Agota Kristof - Trilogia della città di K. (via arentweallrunning)

via: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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L'Epifania di Prudenzio

Poesia

di un triplice dono

di Inos Biffi L'adorazione dei Magi e il loro triplice dono d'oriente. È il tema dei versi di Prudenzio assegnati all'ufficio delle letture nella festa dell'Epifania: dimetri giambici acatalettici, non particolarmente ispirati, ma chiari e lineari. Essi volgono in poesia il passo di Matteo (2, 11): "I Magi, entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro,

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incenso e mirra", illustrati nel loro significato arcano. Alludono infatti al sorprendente mistero racchiuso in quel bambino, invitato dal poeta a riconoscere il senso inteso da quelle insegne: "Riconosci, o bambino, i segni della potenza e della regalità che il Padre tuo ti ha assegnato". E precisamente il prezioso tesoro dell'oro e l'odore fragrante dell'incenso ne simboleggiano la dignità regale e la divinità; mentre la polvere di mirra ne raffigura la mortalità e ne presagisce la sepoltura. Quanto a Betlemme, si trova nobilitata e innalzata su tutte le città della Giudea, per il privilegio di aver dato i natali a Colui, che, disceso dal cielo e fattosi carne, è guida alla salvezza. Per decisione del Creatore, in conformità con l'annuncio siglato dai Profeti, sarà lui - prosegue l'inno - a esercitare il giudizio e ad assumere il regno: "Un regno che si estende a tutto l'universo, da oriente a occidente, e comprende ciò che sta sopra i cieli o giace negli inferi". Sentiamo nei versi di Prudenzio echeggiare diversi richiami e motivi scritturistici. Vi sono intessuti l'oracolo di Michea, "E tu, Betlemme, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda" (5, 1-3); le promesse divine fatte al Messia: "Lo scettro del tuo potere stende il Signore (...) A te il principato nel giorno della tua potenza" (Salmi, 110 [109]); la sua esaltazione da parte di Dio, che "gli donò il nome che è al sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre" (Filippesi, 2, 9-11); l'implorazione per il re messianico: "O Dio, affida al figlio del re la sua giustizia" (Salmi, 72 [71], 1) o l'affermazione stessa di Gesù: "Il Padre ha dato ogni giudizio al Figlio" (Giovanni, 5, 22). Il racconto della venuta dei sapienti d'oriente, attratti come primizie nella luce della stella, mentre rievoca le vicissitudini passate d'Israele, delinea, in anticipo profetico, la missione universale di Gesù, l'Israele nuovo, riconosciuto dalle nazioni ma rifiutato dalla sua gente. Nelle sue precoci tribolazioni si ripetono le vicissitudini dolorose del popolo ebraico oppresso in Egitto dal Faraone, ora riapparso nella figura di Erode che vanamente trama di uccidere il bambino. Nella festa dell'Epifania, rievocando la venuta dei Magi che "si prostrarono e lo adorarono", la Chiesa rinnova la sua fede gioiosa in Gesù, Figlio di Dio, unico Salvatore del mondo e ne proclama la signoria. Tutta l'identità e la consistenza della Chiesa si risolvono e si raccolgono in questa assoluta adorazione. Nessun altro salvatore, che non sia l'identico Gesù incontrato a Betlemme da quei misteriosi scrutatori degli astri, riesce anche solo minimamente a incantarla o a distrarla. Al di fuori di lui, proclamato ogni giorno dalla medesima Chiesa come il suo "solo Signore", ci sono solo ingannevoli idoli, intenti a traviarla. Anzi, essa stessa, la Chiesa, sa di brillare nel mondo come l'esclusiva e provvida stella che a tutti gli uomini rischiara la

161 Post/teca strada e si ferma dove si trova il bambino.

(©L'Osservatore Romano - 6 gennaio 2011)

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Voglio ridere abbastanza da tenere in aria stormi di uccelli. (Source: cardia)

------zeigarnik: “The Zeigarnik Effect is the tendency to experience intrusive thoughts about an objective that was once pursued but left incomplete.” vedi: http :// lushlight . tumblr . com / post /2635489860/ zeigarnik - the - zeigarnik - effect - is - the - tendency

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20110108 questoblognonhaunnome: Sai solo quello che io ti mostro, il resto non lo immagini neanche. E’ per questo che rido. (via lalumacahatrecorna)

------"Ciò non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di

162 Post/teca libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito." — David Foster Wallace (via thistumblrwillsaveyourlife) (Source: 42 andpointless , via nives)

------"Sapere di non sapere è la cosa migliore. Fingere di sapere quando non si sa è una malattia." — Lao Tzu (via tattoodoll)

------" No, contrariamente a quanto molti di voi si

163 Post/teca aspettano, non suggeriamo ai fedeli di stroncarsi la statua in un orifizio a piacere, no. E non diciamo neanche che il solo pensiero di vivere in una città il cui Comune dovesse finanziare una stronzata del genere ci farebbe vergognare come merde, anche più degli abitanti di Adro. Anzi, noi siamo più che favorevoli a questa bella iniziativa, che trascende l’aspetto prettamente religioso, privilegiando invece quello della cultura popolare, dell’icona che protegge dalla malasorte. Ecco perché vorremmo addirittura potenziare l’iniziativa per attirare la fortuna e costringerla a volgere il suo sguardo (di una dea bendata, comunque…) verso la nostra beneamata città. Queste le nostre proposte: innanzitutto ci sembra più giusto che la statua della Madonna vada ad impreziosire la facciata del

164 Post/teca vescovado, invece di rompere i cogl… andare sprecata sul porto; luogo, questo, tradizionalmente più frequentato da troie, marinai, delinquenti e scaricatori che, durante i loro duri giorni di lavoro, non mancheranno di nominarla svariate volte (compresi i suoi stretti congiunti). A protezione scaramantica della nostra gente proponiamo anche sculture rappresentanti: * un bel corno rosso, al posto del Faro; * un ferro di cavallo all’ingresso dell’ospedale; * una zampa di coniglio al casello dell’autostrada; * un bel gobbo in comune al posto del sindaco; * un quadrifoglio al Punto SNAI; * una scarpa che pesta una merda davanti allo stadio A. Picchi. Ma soprattutto, all’interno del porto, una gigantesca statua di Don Zauker che si tocca i

165 Post/teca coglioni. Ecco, con questi potentissimi amuleti, unitamente all’immagine della Beata Vergine, la nostra città vivrà in pace e prosperità per mille e mille anni. " — DonZauker - Madonna portuale (via superfuji) (via 3 n 0 m 15 )

------"Che cos’è il genio? E’ fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione." — (“Il Necchi”) (Source: megliotardi)

------"A nascere son buoni tutti! Persino io sono nato! Ma poi bisogna divenire! divenire! crescere, aumentare, svilupparsi, ingrossare (senza gonfiare), accettare i mutamenti (ma non le mutazioni), maturare (senza avvizzire), evolvere (e valutare), progredire (senza rimbambire), durare (senza vegetare), invecchiare (senza troppo ringiovanire), e

166 Post/teca morire senza protestare, per finire… un programma enorme, una vigilanza continua… perché a ogni età l’età si ribella contro l’età, sai! E se fosse solo questione di età… ma c’è anche il contesto!" — Daniel Pennac (via clairefisher) (via lalumacahatrecorna)

------Confucianesimo e Taoismo: i grandi pensatori cinesi a confronto

Kong Zi, Lao Zi, Zhuang Zi: tutti “figli” dello Yi Jing

MASSIMO CICCOTTI

Un giorno, Zhuang Zi si addormentò in un parco: sognò di essere una bellissima farfalla. Vola di qua, vola di là, alla fine la farfalla, stanca, si

167 Post/teca addormentò. Anche la farfalla fece un sogno: sognò di essere Zhuang Zi. In quel momento Zhuang Zi si svegliò: ma non riusciva a capire se in quel momento era il vero Zhuang Zi o il Zhuang Zi che la farfalla aveva sognato. Non sapeva più se se era Zhuang Zi ad avere sognato di essere una farfalla, o se era una farfalla ad aver sognato di essere Zhuang Zi.

Associare il Libro dei Mutamenti alla base di confucianesimo e taoismo può sembrare un po' bizzarro, in quanto notoriamente Confucio e Lao Zi rappresentano due orientamenti filosofici contrapposti: tuttavia, se guardiamo appena oltre le apparenze, la situazione non è così contraddittoria come sembra.

La formazione dei testi canonici cinesi è indissociabile dal nome di Confucio. Nei Dialoghi Confucio ricorre a delle citazioni ed opera un uso didattico di un certo numero di testi, che egli stesso dichiara di avere modificato, rimaneggiato ed anche emendato. Nel II° secolo a.C. allorché si apre con la dinastia Han l'epoca imperiale, il primo grande storico cinese Sima Qian così descrive i Classici:

«Il Classico dei Mutamenti, che tratta del Cielo e della terra, dello Yin e dello Yang, delle Quattro Stagioni e

168 Post/teca dei Cinque Elementi è lo studio del divenire per eccellenza; Le Memorie sui Riti, che definiscono i rapporti tra gli uomini, sono lo studio della condotta; Il Classico dei Documenti, che ci tramanda le gesta dei re dell'antichità, è lo studio della politica; Il Classico delle Odi, che canta monti e fiumi, vallate e burroni, alberi ed erbe, animali ed uccelli, maschi e femmine, è l'espressione per eccellenza della poesia; Gli Annali delle Primavere ed Autunni, che distinguono il giusto dall'ingiusto, sono lo studio del governo dell'umanità.»

Sicuramente tali testi già esistevano all'epoca di Confucio, che se ne è servito nel suo insegnamento e, ciò facendo, li ha indubbiamente rimaneggiati e reinterpretati alla sua maniera in una ottica etica e pedagogica. In particolare, è attribuito a Confucio un notevole contributo al completamento delloYi Jing (Il Commentario alle immagini e Commento alle singole linee degli esagrammi, e le appendici, dette “Dieci Ali”). Ma anche Lao Zi e Zhuang Zi conobbero questo libro e ne furono ispirati nella scrittura dei loro “classici”, il Dao De Jing e il Zhuang Zi: la connessione tra i Yi Jing e taoismo è molto stretta: tutto il

169 Post/teca pensiero taoista è basato sulle teorie dello Yin e Yang, su quella dei Cinque Elementi e su quella degli Otto Trigrammi. L'eterno alternarsi delle energie primordiali, il flusso ciclico delle stagioni, le interazioni generative/distruttive dei Cinque Elementi sono intimamente legate al Libro dei Mutamenti. Ma chi erano questi personaggi? E che cosa hanno detto di importante per avere fama ancora ai nostri giorni?

Confucio e la sua scuola

Confucio è la latinizzazione operata dai gesuiti missionari (Confutius) del nome cinese Kong Fu Zi (Maestro Kong). Le notizie biografiche che possediamo sono scarse e di molto posteriori alla sua morte: secondo la tradizione, Confucio nacque nel 551 a.C. e morì nel 479, all'età di settantadue anni. Era originario del piccolo principato di Lu (attualmente lo Shandong, provincia costiera a sud di Pechino). Apparentemente di discendenza aristocratica, Confucio stesso fa allusione nei “Dialoghi” ad una giovinezza di condizioni modeste. Per le sue origini sociali, Confucio è rappresentativo di un ceto in ascesa, intermedio tra la nobiltà guerriera e il popolo dei contadini e degli artigiani: si tratta del ceto degli shi che, in virtù delle loro competenze in ambiti diversi e segnatamente nel campo culturale, finiranno per formare la nota categoria

170 Post/teca dei letterati-funzionari della Cina imperiale.

Confucio fu impegnato fin da giovane nella vita politica di Lu, e dopo aver ricoperto incarichi amministrativi subalterni divenne infine ministro della giustizia. La leggenda vuole che abbia poi lasciato il paese natale per protestare verso il malgoverno del suo sovrano: sta di fatto che verso la cinquantina egli rinuncia alla carriera politica. Deluso dal sovrano del suo paese tenta in seguito di offrire i propri servigi e i suoi consigli ad altri, pare senza grande successo.

Dopo i sessant'anni se ne torna a Lu, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita ad insegnare a discepoli sempre più numerosi. E' in questo periodo che, secondo la tradizione, avrebbe composto (o quanto meno riordinato) i testi che gli sono attribuiti. Confucio è influenzato dalle attitudini morali che un tempo erano proprie della classe nobile: moderazione, rispetto dei riti, fedeltà alle antiche tradizioni. La sua prospettiva è sostanzialmente conservatrice, nel senso che mirava a ristabilire il rispetto dei valori e soprattutto dei comportamenti tradizionali, anche dal punto di vista formale. Nella visione dei confuciani, la società doveva strutturarsi su una rete gerarchica ben stabilita e sul principio di un paternalismo autoritario, sanciti da pratiche

171 Post/teca formaliste e da comportamenti prescritti; l'organizzazione statale era improntata al modello delle relazioni esistenti nella famiglia. Come l'autorità del padre, contemperata dal suo impegno a procurare ai familiari prosperità e sicurezza, era indiscussa, così nello Stato, il condizionamento pervasivo di ogni pensiero e di ogni atto era ritenuto indispensabile per garantire l'ordine, la pace e la prosperità materiale. Ma cosa ha detto di “speciale” il buon Confucio? Per lui innanzitutto c'è «l'apprendimento», inteso però, non tanto come un procedimento intellettuale ma come esperienza di vita, come pratica che si condivide con altri, che è fonte di gioia. La finalità pratica della educazione consiste nella formazione di un «uomo di valore» sul piano morale e capace di aiutare gli altri nel sociale: in tal modo si delinea da subito il destino «politico» dell'uomo colto che, invece di tenersi in disparte per meglio assolvere ad un ruolo di coscienza critica, avverte invece la responsabilità di impegnarsi nel processo sociale e di governo. Una delle qualità dell'uomo di valore è il «senso di umanità», che si manifesta in virtù di tipo relazionale fondate sulla reciprocità e sulla solidarietà. La relazione che in natura fonda l'appartenenza di ogni individuo alla comunità umana è quella del figlio nei confronti del padre. Sulla «pietà filiale» si fonda la relazione politica tra

172 Post/teca suddito e principe, la relazione familiare tra moglie e marito e quella sociale tra amici. Poiché la famiglia è percepita come una estensione dell'individuo, lo stato come una estensione della famiglia, e poiché il principe è rispetto ai suoi sudditi ciò che un padre è rispetto ai suoi figli, non vi è soluzione di continuità tra etica e politica. ll sovrano, nell'ideale confuciano, dovrebbe incarnare spontaneamente il senso di umanità, imponendosi con la benevolenza e non con la forza, dovrebbe possedere la «virtù», che non è tanto la virtù in senso morale, in opposizione al vizio, quanto piuttosto la “virtus” latina intesa come ascendente naturale, carisma, che consente ad una persona di affermarsi senza nessuna coercizione.

Dopo la morte di Confucio, Mencio (372-287 a.C.) razionalizzò l'insegnamento di Confucio sulla "benevolenza" (o bontà di cuore) e sull'importanza dei valori morali nella società, dando così inizio a una disputa che avrebbe occupato i pensatori confuciani per diversi secoli. Mencio infatti sosteneva come norma della moralità la natura umana, che è fondamentalmente buona, per cui alla vita morale occorreva soltanto un processo di auto perfezionamento. Qui il discorso religioso diventa più esplicito, poiché il tentativo è quello di mostrare come il dio-cielo (concepito

173 Post/teca come forza morale) si rapporta all'uomo e lo aiuta a realizzarsi. Dong Zhong-Shu (197-104 a.C.) riuscì a far adottare il Confucianesimo come religione di stato sotto la dinastia degli Han (136 a.C.). Grazie a lui si svilupparono notevolmente la burocrazia imperiale e la meritocrazia, cui il sistema degli esami per il mandarinato diede forte impulso. Sotto questa dinastia, il confucianesimo si arricchì di una cosmologia e di una metafisica, basata sul dualismo di yin (principio femminile, ombra, freddo, riposo, passività, terra) e yang (principio maschile, luce, calore, energia, attività, aggressività, cielo). Xunzi (298-238 a.C.), che è il terzo fondatore del Confucianesimo, sosteneva invece che la natura umana è incline al male e solo attraverso un'educazione imposta dall'esterno, essa può vivere pacificamente e con dignità. Da notare che fu soprattutto Xunzi a sviluppare il lato pratico della religione confuciana con la sua dottrina dell'azione rituale. Confucio si era soffermato soprattutto sull'esigenza di vivere la vita con umanità e di preservare i riti tradizionali. Xunzi formalizzò e codificò questa prassi, introducendo nuovi riti, i quali, peraltro, essendo prevalentemente dei sacrifici ufficiali statali, erano poco sentiti dal popolo. Con l'avvento della dinastia Song (960-1279 d.C.) il pensiero confuciano

174 Post/teca entrò nella sua nuova e ultima fase di elaborazione. A partire dal XII sec. sorge praticamente il "neo- Confucianesimo", in direzione del panteismo e sotto l'influenza del Taoismo e del Buddismo. La preoccupazione fondamentale fu quella di studiare la storia passata e i testi classici, considerati depositari del modello ideale del "buon governo". L' impostazione del Confucianesimo data da Dong rimase praticamente invariata sino al 1905. Poi il culto statale venne riorganizzato nel 1907 e soppresso nel 1912. Durante la "rivoluzione culturale" maoista ci si scagliò contro il Confucianesimo in quanto tale, senza distinguere le idee originarie del fondatore da quelle, di alcuni suoi seguaci, che poi risultarono dominanti. Una campagna anti - Confucio è stata condotta anche nel 1973: sotto accusa furono quegli insegnanti che si servivano di metodi autoritari. La casa di Confucio venne saccheggiata dalle "guardie rosse": le preziose edizioni di antichi testi confuciani conservate nella biblioteca, la statua di Confucio, quelle dei suoi quattro discepoli e seguaci più celebri, i vasi sacrificali, gli antichi strumenti musicali, fra i quali il liuto: tutto andò distrutto. L'attuale governo cinese ha deciso da qualche anno di rilanciare in grande stile la figura del maestro Kong: gli Istituti Confucio – oggi presenti in più di 36 nazioni - servono non solo per

175 Post/teca apprendere la lingua e la cultura, ma anche per avere "una visione più chiara della Cina moderna". Grazie all'importanza della Cina nel mondo, gli studenti stranieri di lingua cinese crescono sempre più: secondo l'agenzia Nuova Cina nel mondo vi sono circa 30 milioni di stranieri che studiano cinese ed anche in Italia, nelle università di lingue, i corsi di cinese stanno avendo un boom di iscrizioni. (In Italia è stato aperto un Istituto Confucio nel 2005 presso l'Università “La Sapienza” di Roma. [www.istitutoconfucio.it]) Si può intuire, alla luce di questi cenni sul pensiero confuciano, come il progetto del governo cinese intenda promuovere non solo lo studio all'estero, ma anche diffondere le idee del grande filosofo in patria. Il desiderio di mostrare un volto noto alla cultura mondiale, la crisi della moralità e dei valori spirituali nel paese, la ricerca di identità ha fatto puntare tutto sul filosofo del V secolo a.C., sulla moralità da lui predicata, soprattutto la pietà filiale, l'obbedienza alle autorità, il sacrificarsi per il clan. La contraddizione apparente è che sia proprio il governo comunista a riportare in luce un filosofo che Mao ha tentato in tutti i modi di distruggere e che la Rivoluzione Culturale ha giudicato un simbolo della "arretratezza feudale": ma, come dicono i cinesi, “è del saggio cambiare opinione …”.

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La scuola taoista

Parallelamente allo sviluppo del confucianesimo, si sviluppano tendenze che possono sembrare antisociali e persi

no anarchiche, che continueranno ad alimentare, anche nell'era imperiale, una delle correnti più originali e vivaci della intellettualità cinese. La «scuola taoista» rappresenta la principale di queste tendenze. La condanna del lusso, della tecnologia, delle istituzioni, l'indifferenza e il distacco per le cose, tutti consigliano un ideale di sobrietà riferendosi alle piccole ed isolate comunità rurali. Per i taoisti i tempi oscuri in cui gli uomini ignoravano tutte le raffinatezze della

177 Post/teca civiltà erano l'età dell' oro: ogni progresso tecnico, ogni nuova istituzione rappresentano un passo in più verso l'asservimento dell'uomo e la degradazione delle sue virtù naturali. Lo stato doveva essere leggero e limitato alle dimensioni del villaggio, la virtù dei governanti doveva essere misurata su un'intuitiva saggezza e non su un elaborato possesso di nozioni, il rapporto con la natura poteva essere stabilito in termini di convivenza e non di assoggettamento. Il taoismo ha costituito nella civiltà della Cina il momento libertario dell'evasione dagli obblighi e dalle coazioni, dell'iniziativa individuale, del piacere e della curiosità personale (ha dato un contributo senza pari all'elaborazione della scienza, della tecnologia e della medicina), della fantasia (la pittura e la letteratura cinesi sono dominate dalle concezioni taoiste) e anche della trasgressione dagli obblighi politici o familiari.

Secondo la leggenda che fa di lui un contemporaneo di Confucio, vissuto nel VI-V secolo a.C., sarebbe Lao Zi ( 老子) ad aprire la «via taoista». Tuttavia esistono a livello scientifico dei dubbi sulla reale esistenza storica di Lao Zi. Come tutti personaggi mitici, strane leggende sono state tramandate sulla sua nascita, quantomeno originale: sua madre l'avrebbe portato in grembo 81 anni (ovvero nove volte nove anni, dato che

178 Post/teca il 9 è un numero magico), e sarebbe venuto al mondo con i capelli e le sopracciglia bianche! Da cui il soprannome di Laozi, che oltre “Vecchio Maestro” può essere tradotto come “Vecchio Bambino”. Ben presto gli venne attribuita una favolosa longevità: 80 anni, poi 160, 200 anni, e anche più! Successivamente, la figura di Lao Zi subì un processo di divinizzazione: divenne il dio della Longevità sotto una particolare forma, quella di Shoulao, una delle sue emanazioni. Shoulao è molto popolare in Cina, e nei musei si trova spesso la sua immagine (in ceramica, pittura, ecc...). È facilmente riconoscibile per il cranio smisurato e calvo, a forma di proiettile e per la fronte prominente, la lunga barba bianca, il bastone di legno, spesso portato da un ragazzino, il suo assistente. La tradizione vuole che in un momento di innumerevoli e sanguinose guerre tra i diversi regni e feudi in cui il territorio cinese si componeva, Lao Zi sviluppasse una dottrina mirante ad arrestare le guerre che imperversavano. Questa dottrina, il taoismo, cercò di stimolare un equilibrio nella società facendo riferimento ad una forza che plasma, circonda e fluisce sempre tra tutte le cose. Sempre secondo la leggenda, Lao Zi, demoralizzato per il declino dei Zhou, sarebbe partito per dirigersi ad ovest. Quando giunse all'ultimo passo

179 Post/teca prima della steppa, il guardiano del passo gli disse: «Dato che state per ritirarvi dal mondo, vi prego di voler comporre un libro per me». Lassù Lao Zi scrisse le cinquemila parole del Dao De Jing (IL Classico della Via e della Virtù), poi se ne andò e nessuno seppe dove morì. Il Dao De Jing (detto anche Lao Zi) si presenta in una forma completamente differente da tutte le opere che l'hanno preceduta: invece di una esposizione didattica sotto forme di domande e risposte, alla maniera dei “Dialoghi” di Confucio, si ha qui una serie di versi ritmati e rimati, di estrema concisione e connotati da uno stile un po' esoterico. Il contenuto si astiene deliberatamente da ogni riferimento a luoghi, eventi, personaggi, che consentano una datazione dell' opera: di qui il numero impressionante di interpretazioni e traduzioni esistenti.

La tradizione ha fat

180 Post/teca

to di Zhuang Zi 庄子 il secondo maestro taoista dopo Lao Zi: peraltro una lettura attenta dei testi induce a rimettere in discussione la sequenza tradizionale invertendone l'ordine e collocando la composizione del Zhuang Zi (l'opera attribuita al maestro) nel IV sec., prima di quella del Lao Zi databile all' inizio del III sec. Occorre inoltre precisare che i due nomi, che oggi vengono sempre citati assieme, non furono associati prima dell' età imperiale: fu infatti solo nel II sec., all'epoca Han, nel II° sec. a.C. che apparve l'etichetta di «scuola taoista» 道家 (dao jia) nella classificazione delle sei grandi scuole di pensiero degli Stati Combattenti operata da Sima Qian nelle Memorie di uno storico (shi ji).

Il Zhuang Zi, come testo, è steso in una

181 Post/teca prosa esuberante, di alta qualità letteraria e poetica: in confronto all'anonimo Lao Zi, il Zhuang Zi appare come una vera e propria opera di autore dal tono marcatamente personale. Tuttavia esso rimane comunque una miscellanea di scritti rappresentativi di correnti alquanto diverse, scritti in periodi diversi, di cui solo una parte viene attribuita a Zhuang Zi. A differenza di Lao Zi, Zhuang Zi è un personaggio di cui almeno è certa l'esistenza, anche se si sa molto poco su di lui. Il suo nome personale era Zhou e sarebbe stato originario dell'area meridionale di Chu, vissuto tra la fine del IV e l'inizio del III sec a.C. Dopo aver occupato un posto amministrativo subalterno, si sarebbe deliberatamente ritirato dal mondo, offrendo di se stesso l'immagine di un personaggio eccentrico che costituisce l'oggetto di numerosi aneddoti.

La disputa filosofica

Il tema centrale della speculazione cinese è il seguente: esistono uomini di vari tipi e condizioni (politici, artisti, scienziati) e per ciascuno esiste la più alta forma di sviluppo della quale il tipo è capace. Ma quale è la più alta forma di sviluppo di cui un uomo «come uomo» è capace?

Secondo i filosofi cinesi è nientemeno che quella del «saggio» e l'ideale di un

182 Post/teca saggio è l'identificazione dell'individuo con l'universo. Il dibattito filosofico cinese non è tanto sulla domanda “Cos'è la verità?” ma “Dov'è la Via?”, (Dao) ovvero il modo di regolare lo stato e di guidare l'esistenza individuale. Questo termine, Dao (detto anche Tao), di cui sovente si attribuisce il monopolio ai taoisti, è di fatto un vocabolo corrente nella letteratura antica e significa «strada, via», «cammino» e per estensione «metodo, modo di procedere». Inoltre, a causa della fluidità delle categorie grammaticali del cinese antico, Dao può anche significare «camminare», «avanzare», ma anche «parlare, enunciare». Così ogni corrente di pensiero ha il suo dao, in quanto propone un insegnamento sotto forma di enunciati la cui validità non è di ordine teorico, ma si fonda su un insieme di pratiche. Nel dao l'importante non è attingere il fine quanto piuttosto saper procedere. la Via non è mai tracciata in precedenza, ma si traccia mano a mano che vi si cammina Nel pensiero cinese prevale la riflessione in rapporto all'azione piuttosto che in rapporto alla conoscenza in sé. Piuttosto che un «sapere cosa», e cioè la ricerca della verità, la conoscenza è soprattutto un «sapere come» e cioè la ricerca del come ordinare e dirigere la propria vita nell'ambito di uno spazio sociale. Il pensiero confuciano porta ad una

183 Post/teca visione di tipo «politico», nel senso di un ordinamento del mondo secondo la visione umana, mentre i taoisti privilegiano una visione «artistica», nel senso della partecipazione dell'uomo alla gestazione del mondo.

La mente umana è capace di due tipi di conoscenza, quella razionale e quella intuitiva: la prima tradizionalmente associata alla scienza, la seconda alla religione. In occidente si privilegia la razionalità, in oriente l'intuito: per meglio dire, i cinesi hanno sempre sottolineato la natura complementare dell'intuitivo e del razionale: taoismo e confucianesimo ne sono la dimostrazione.

La conoscenza razionale appartiene al campo dell'intelletto, la cui funzione è discriminare, dividere, confrontare, misurare ed ordinare in categorie. L'astrazione è una caratteristica tipica di questa conoscenza, perché per poter analizzare l'immensa varietà di forme e fenomeni non possiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti, ma se ne devono scegliere solo alcuni significativi. Il mondo naturale, d'altra parte, ha una varietà e complessità infinita, nella quale le cose non avvengono in successione, ma tutte contemporaneamente: è chiaro che il nostro sistema astratto di pensiero concettuale non potrà mai descrivere o comprendere questa realtà nella sua complessità: tutta la conoscenza

184 Post/teca razionale è necessariamente limitata.

Poiché tuttavia la nostra rappresentazione della realtà è molto più facile da afferrare che non tutta la realtà stessa, noi tendiamo a confondere le due cose e a prendere i nostri concetti e i nostri simboli come se fossero la realtà.

Zhuang Zi ricorre ad ogni procedimento possibile per deridere la ragione discorsiva: nel suo libro, con una forma di suprema ironia, spesso usa le parole con un significato opposto a quello usuale, mostrando così di aver capito che spesso l'umorismo è ben più efficace e corrosivo di un lungo discorso. Predilige il dialogo serrato o l'aneddoto paradossale che si conclude con un tocco di nonsenso finalizzato a produrre un sussulto, un balzo in una verità altra rispetto a quella della logica ordinaria 1. Un altro suo procedimento consiste nell'intavolare una discussione pesudo-logica con tutte le apparenze della razionalità, per concluderla in modo delirante.

Zhuang Zi e Hui Zi passeggiavano sull'argine del fiume Hao. Zhuang Zi esclamò: «Guardate i pesci, come sguazzano a loro agio. E' questo il piacere dei pesci». Hui Zi replicò: «Ma voi non siete un pesce: come potete sapere quale è il piacere dei pesci?».

185 Post/teca

Zhuang Zi gli ribatté:«E voi non siete me; come potete dunque sapere che io non so quale è il piacere dei pesci?». E Hui Zi di rimando: «Io non sono voi, e dunque di certo non so ciò che sta in voi. Ma voi di certo non siete un pesce, ed è dunque evidente che non sapete quale è il piacere dei pesci.» Zhuang Zi rispose: « Riprendiamo dall' inizio, se non vi dispiace. Voi mi avete chiesto come sapevo qual è il piacere dei pesci: dunque, per farmi questa domanda, sapevate che lo sapevo. Ebbene lo so, standomene qui in riva al fiume.»

Ciò che è messo ironicamente in causa non è più soltanto l'uso che si fa del linguaggio, ma il linguaggio stesso. Per Zhuang Zi il linguaggio non può dirci nulla sulla vera natura delle cose per il fatto che è esso stesso a porre non soltanto i nomi (名 ming), che diamo alle cose ma al contempo le cose stesse (实 shi). Cos'è che permette di decidere che qualcosa «è questo» o non lo è? Zhuang Zi si diverte a mettere le proprie idee in bocca a Confucio sovvertendone il ruolo. La sua critica verso Confucio è feroce: lui aveva detto al suo discepolo Zilu:

«Vuoi che ti insegni cos'è la conoscenza? Sapere che si sa quando si sa, e sapere che non si sa quando non si sa, questa è la conoscenza»

Inoltre aveva affermato di sè nei

186 Post/teca

Dialoghi:

«Io, a quindici anni decisi di dedicarmi allo studio; a trenta anni mi affermai saldamente nella società; a quaranta anni non ebbi più nessuna incertezza; a cinquanta anni compresi il Decreto del Cielo; a sessant'anni seppi ascoltare tutti; a settanta anni, riuscii a seguire i desideri del cuore senza violare le regole» (Dialoghi II-4)

Ed ecco la parodia che ne fa Zhuang Zi:

«A sessanta anni Confucio non aveva fatto altro che cambiare opinione sessanta volte. Ogni volta che aveva cominciato col dire “è così”, aveva poi concluso con “non è così”. Chi sa se per un uomo di sessant'anni la verità non si presenti sotto lo stesso aspetto di ciò che per cinquantanove anni fu per lui un errore?»

In un epoca in cui imperversavano le discussioni tra confuciani, moisti e sofisti, Zhuang Zi ritiene che non vi sia motivo di dare ragione agli uni piuttosto che agli altri. Questo lo induce a chiedersi: la ragione è davvero ragionevole? La ragione analitica funziona sul principio del terzo escluso: la tal cosa «è quella» o non lo è. Ma secondo Zhuang Zi è illusorio pretendere di affermare qualcosa, dato che è possibile,

187 Post/teca simultaneamente affermarne il contrario. I logici dicevano:

Asserire che nessuna proposizione prevale nell'argomentazione logica non può corrispondere alla realtà: l'argomentazione consiste in questo: l'uno dice che è così, l'altro dice che non è così, e prevale colui la cui proposizione corrisponde alla realtà

Ma Zhuang Zi risponde:

Supponendo che ci mettiamo a discutere, voi ed io, e che voi abbiate la meglio su di me, questo significherebbe che voi avete ragione e io torto? E se sono io ad avere la meglio su di voi, questo significherebbe che sono io ad avere ragione e voi torto? O forse invece avremmo ciascuno in parte ragione e in parte torto? Oppure avremmo entrambi ragione, oppure entrambi torto? E se non siamo capaci di dirimere noi stessi la questione, altri sarebbero ancora più confusi. A chi fare appello come arbitro? Se questo qualcuno è d'accordo con voi o con me, come potrebbe per ciò stesso essere arbitro? E se non è d'accordo né con me né con voi come potrebbe dunque arbitrare? Ma se è d'accordo sia con me sia con voi, l'arbitrato è forse possibile? Così dunque se nessuno – né io né voi né un terzo – è capace di dirimere la questione, potremmo forse ricorrere a qualcun

188 Post/teca altro?

Un' altro ostacolo fondamentale alla conoscenza è il linguaggio: l'imprecisione e l'ambiguità del nostro linguaggio sono indispensabili per i poeti i quali lavorano molto per associazioni, utilizzando i diversi strati subconsci del linguaggio stesso. La scienza mira invece a definizioni chiare e a relazioni prive di ambiguità: ecco quindi il linguaggio matematico come forma più alta di rigore e di logica. Il metodo scientifico dell'astrazione è molto efficace e potente, ma comporta un prezzo da pagare: via via che definiamo con maggiore precisione il nostro sistema di concetti esso si distacca sempre più dal mondo reale. Basta pensare alle complesse teorie fisiche moderne, la relatività, i quanti e alla estrema complicazione degli esperimenti nel mondo subatomico… chi di noi, poveri mortali, potrà mai avere una idea concreta di cosa è un orbitale di probabilità o di quanto grande sia un neutrino? E' così che per integrare i modelli matematici dobbiamo usare i modelli verbali, con tutte le loro imprecisioni ed ambiguità… un circolo vizioso! Più che un irrazionale, Zhuang Zi è un antirazionalista: mette in dubbio che la ragione analitica possa mostrarci cosa è il mondo.

Un giorno, Zhuang Zi si addormentò

189 Post/teca in un parco: sognò di essere una bellissima farfalla. Vola di qua, vola di là, alla fine la farfalla, stanca, si addormentò. Anche la farfalla fece un sogno: sognò di essere Zhuang Zi. In quel momento Zhuang Zi si svegliò: ma non riusciva a capire se in quel momento era il vero Zhuang Zi o il Zhuang Zi che la farfalla aveva sognato. Non sapeva più se se era Zhuang Zi ad avere sognato di essere una farfalla, o se era una farfalla ad aver sognato di essere Zhuang Zi.

Qui il problema, per Zhuang Zi, è che non vi è propriamente alcun modo di sapere se colui che parla è in stato di veglia o di sogno, così come non vi è alcun modo di sapere se ciò che si pensa sia conoscenza o ignoranza.

Mentre sogniamo, non sappiamo di sognare, interpretando un sogno nel mezzo di un altro sogno, e soltanto al risveglio sappiamo di aver sognato. Malgrado ciò gli sciocchi si credono desti: voi e Confucio non fate che sognare, ed io che dico che sognate, sono io stesso un sogno.

Ma se Zhuang Zi sottolinea le proprietà autodissolventi del linguaggio, lo fa per ricusarlo totalmente, o in vista di qualcos'altro? In realtà sembra che Zhuang Zi pensi a qualcosa «al di là del linguaggio». Il linguaggio dunque va usato avendo ben chiara la sua limitatezza: è per

190 Post/teca questo che Zhuang Zi conclude: «Colui che sa non parla, colui che parla non sa».

E ancora:

«La ragion d'essere della nassa è il pesce: una volta preso il pesce, si dimentica la nassa. La ragion d'essere della trappola è la lepre: una volta presa la lepre, si dimentica la trappola. La ragione delle parole è il senso: una volta afferrato il senso si dimenticano le parole. Dove troverò l'uomo che sappia dimenticare le parole, per scambiare con lui due parole?»

Rimane il fatto che anche l'esperienza diretta intuitiva della realtà non può essere descritta verbalmente, essendo il nostro linguaggio sostanzialmente limitato: per risolvere questo problema sono state individuate diverse strade: il misticismo indiano presenta le sue affermazioni sotto forma di miti, servendosi di metafore, di simboli, di immagini poetiche, di similitudini, di allegorie. Il linguaggio mitico è molto meno condizionato dalla logica o dal senso comune: è pieno di situazioni magiche e suggestive, non è mai preciso. I mistici cinesi e giapponesi hanno trovato un modo diverso per affrontare il problema del linguaggio: invece del mito si servono del paradosso, proprio per mettere in luce

191 Post/teca le incongruenze che nascono nella comunicazione verbale.

Nel suo intento di radicalizzazione, il Lao Zi presenta delle tesi paradossali più forti del Zhuang Zi, che per lo più si limita a ironizzare sulla relatività delle cose. Invece della domanda «come so che ciò che chiamo “conoscenza” non è ignoranza? E come so che chiamo “ignoranza” non è conoscenza?», il Lao Zi afferma:

Non considerare il sapere come sapere è somma cosa Considerare il non-sapere come sapere è una peste (Lao Zi, 71)

Il paradosso del Lao Zi consiste nel prendere in contropiede determinate abitudini di pensiero: preferire il debole al forte, il non-agire all'agire, il femminile al maschile, il sotto al sopra, l'ignoranza alla conoscenza. Il Lao Zi parla di preferenza, non di considerare soltanto il debole escludendo il forte, in quanto le coppie di opposizione nel pensiero cinese non sono mai a carattere esclusivo ma complementare, poiché i contrari sono in relazione non già logica, bensì organica e ciclica, sul modello generativo della coppia yin/yang.

Zhuang Zi arriva ad elogiare l'inutilità:

Mentre attraversava una montagna,

192 Post/teca

Zhuang Zi vide un albero dai lunghi rami e dal fogliame rigoglioso. Un boscaiolo che tagliava la legna lì vicino non toccava quell'albero. Zhuang Zi gli chiese il perché «Perché la sua legna non è buona a nulla» rispose il boscaiolo. «Grazie alla sua inutilità quest'albero giungerà al limite naturale della sua esistenza» concluse Zhuang Zi. (Zhuang Zi, XX)

Ma il paradosso più radicale consiste nell'affermare che il nulla ha più valore di qualcosa, il vuoto ha più valore del pieno:

Trenta raggi convergono nel mozzo Ma è proprio dove non c'è nulla che sta l'utilità della ruota Si plasma l'argilla per farne un recipiente Ma è proprio dove non c'è nulla che sta l'utilità del recipiente Si aprono porte e finestre per fare una stanza Ma è dove non c'è nulla che sta l'utilità della stanza Così il «c'è» presenta delle opportunità, che il «non c'è» trasforma in utilità (Lao Zi,11)

Con Zhuang Zi si apre una nuova era della riflessione filosofica, incentrata sulla grande questione del rapporto tra

193 Post/teca l'uomo ed il Cielo (o il Dao). In proposito il Zhuang Zi condivide con il Lao Zi la medesima intuizione iniziale: il Dao è il corso naturale e spontaneo delle cose, che bisogna lasciare agire. Il solo essere a staccarsene è l'uomo, con la sua pretesa di sovrapporvi le proprie parole e le proprie azioni. La condizione primaria per la ricerca del Dao è di rendersi disponibili, di mettersi in ascolto, in modo da poter captare le sottili vibrazioni che ci giungono dalla natura, malgrado i rumori che le si sovrappongono.

Con la solita irriverenza, così Zhuang Zi si esprime a proposito:

Il Maestro Dong Guo domandò al Maestro Zhuang: «Dov'è ciò che chiamate il Dao?» «Ovunque» disse Zhuang Zi.«Bisogna localizzarlo» riprese Dong Guo . «In questa formica» disse il maestro Zhuang. «E più in basso?» «In questo filo d'erba». « E più in basso ancora?» «In questo letame» disse il Maestro Zhuang. Il Maestro Dong Guo non aggiunse altro. (Zhuang Zi,XXII)

Nella visione politica di Confucio, l'uomo di valore (junzi) è l'incarnazione di una terna di valori:apprendimento (xue), il

194 Post/teca senso dell'umanità (ren) e lo spirito rituale (li). Poiché la famiglia è percepita come una estensione dell'individuo, lo stato come una estensione della famiglia, e poiché il principe è rispetto ai suoi sudditi ciò che un padre è rispetto ai suoi figli, non vi è soluzione di continuità tra etica e politica. Confucio converte dunque l'autorità del principe nell'ascendente dell'uomo esemplare, allo stesso modo in cui il«decreto celeste» è convertito da mandato dinastico in missione morale. Il sovrano che, nell'ideale confuciano, incarna spontaneamente il ren, imponendosi con la benevolenza e non con la forza, possiede il 德 de. Anche questo termine, che viene abitualmente tradotto con «virtù», viene rivisitato da Confucio. Non è tanto la virtù in senso morale, in opposizione al vizio, quanto piuttosto la «virtus» latina intesa come ascendente naturale, carisma, che consente ad una persona di affermarsi senza nessuna coercizione.

Il credo politico di Confucio lo conduce così a definire un ordine di priorità che resta sorprendentemente attuale:

Zigong chiese:«Cosa significa governare?» Il Maestro rispose:«Significa vigilare perché il popolo abbia cibo ed armi a sufficienza e assicurarsi la sua fiducia».

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Zigong chiese ancora:«E se si dovesse fare a meno di una di queste tre cose, quale sarebbe?». Il maestro rispose: «Sarebbero le armi». L'altro chiese di nuovo:«E delle altre due quale sarebbe?». Il maestro disse: «Sarebbe il cibo. In ogni epoca gli uomini sono stati sempre soggetti alla morte. ma un popolo privo di fiducia non sarebbe in grado di reggersi.» (Dialoghi XII,7)

L'esistenza di una teoria politica nel Lao Zi può sorprendere, se si fa riferimento ad una concezione largamente diffusa del taoismo come saggezza individuale. In effetti soltanto il Zhuang Zi si pronuncia per un deliberato disimpegno dalla politica, che nel Lao Zi rappresenta invece un aspetto primario della pratica del non- agire.

Confucio aveva detto:

«Governare (zheng) equivale ad essere nella rettitudine» (Dialoghi XII,17)

Il motto politico di Lao Zi è:

«reggere un grande stato è come friggere i pesciolini» (Lao Zi,60)

Quando si fa cuocere un pesciolino, non bisogna toccarlo e rivoltarlo,

196 Post/teca altrimenti si rischia si schiacciarlo: così non bisogna stancare il popolo con continui cambiamenti e amministrativi e nuove leggi. E Zhuang Zi incalza:

«Chi sa governare il mondo è come chi sa pascolare i cavalli. Si limita ad allontanare dai suoi cavalli tutto ciò che potrebbe nuocere loro» (Zhuang Zi, XXIV)

I taoisti non negano il rapporto dell'uomo con il mondo. Il Santo è colui che semplicemente riesce ad intrattenere tale rapporto senza lasciarsi «reificare dalle cose»: per Zhuang Zi si tratta di liberarsi, di svuotarsi del mondo, ma non per negarlo in nome della sua impermanenza, che è tematica squisitamente buddista. Fondendosi con il Dao, l'uomo ritrova invece il suo centro e non è più ferito da ciò che lo spirito umano considera abitualmente come sofferenza; declino, malattia, morte.

In mezzo ad un mondo che si perde, io solo cerco il vero cammino, ma come riuscirò a trovarlo? So che è impossibile. Ma so anche che se volessi costringerlo, questo mondo, commetterei un errore in più. Meglio lasciarlo qual è, senza cercare di stimolarlo,

197 Post/teca

e viverci in mezzo senza crucciarmi. (Zhuang Zi, XII)

Le varie scuole taoiste sottolineano tutte l'unità fondamentale dell'universo che è la caratteristica principale del loro insegnamento: l'aspirazione più elevata dei loro seguaci è quella di diventare pienamente consapevoli dell'unità e della interconnessione reciproca di tutte le cose, di trascendere la nozione di sé come individuo singolo e di identificarsi con la realtà ultima. Il raggiungimento di questa consapevolezza, chiamata «illuminazione» non solo è un atto intellettuale, ma una esperienza che coinvolge l'intera persona ed è fondamentalmente di natura religiosa.

Il confucianesimo, invece, è la giustificazione razionale e l'espressione teorica sistema sociale cinese dell'epoca. Il confucianesimo, in quanto filosofia della organizzazione sociale e quindi della vita quotidiana, pone l'accento sulle responsabilità sociali dell'uomo. La sua filosofia parla solo di valori morali e non vuole entrare nella sfera del metafisico.

In realtà, come abbiamo visto, questa distinzione è solo strumentale: la filosofia cinese è di questo mondo ed insieme ultramondana. Le due

198 Post/teca correnti di pensiero, benché rivali, si completavano reciprocamente: è difficile, di fatto, fare una separazione netta tra loro: in ogni pensatore infatti, si realizza una certa compenetrazione dei due modi di vedere la realtà.

Leggi anche: Parliamo di politica : i valori del PD ( Partito Daoista ) Dall ' oscurità del Caos all ' ordine dello Yi Jing Lo sciamanesimo e l ' arte divinatoria nella Cina antica

Bibliografia

1) Anne Cheng “Storia del pensiero cinese” - Ed.Einaudi-2000. 2) Fung Yu-lan “Storia della filosofia cinese”- Ed. Mondadori –1990 3) John A.G. Roberts “Storia della Cina”- Ed. Il Mulino-2001 4) Jaques Gernet “La Cina Antica: dalle origini all'impero” – Ed. Luni - 1994 5) M.Sabattini, P.Santangelo “Storia della Cina” – Ed. Laterza – 2003 6) J.J.L. Duyvendak “Tao Te Ching” – Ed. Adelphi – 1990 7) Yuan Huaqing, Giorgio La Rosa “I Classici Confuciani”- Ed. Vallardi – 1995 8) “Zhuang-zi” – Ed. Adelphi – 1992 9) F. Capra “Il Tao della fisica” – Ed. Adelphi - 1990 10) M. Abbiati “La lingua cinese” –Ed. Cafoscarina – 1992

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11) Alan W. Watts “Il Tao: la via dell'acqua che scorre” – Ed. Ubaldini - 1977 fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplrubriche / blog / grubrica . asp ? ID _ blog =300& ID _ articolo =60& ID _ sezione =& sezione =

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20110109 "L’amore non è un problema, come non lo è un veicolo: problematici sono soltanto il conducente, i viaggiatori e la strada." — Franz Kafka. (via saneinsane) (via creativeroom)

------"Io non invecchio. Divento vintage." — questoblognonhaunnome:

------"«L’Italia è un laboratorio del totalitarismo moderno. Il potere, abusando del diritto, privatizzandolo e considerandolo una merce, crea le premesse per un fondamentalismo politico e religioso e questo mina la democrazia. I vescovi italiani si oppongono al

200 Post/teca testamento biologico; quelli tedeschi ne hanno proposto una regolamentazione che è più avanzata di quella elaborata dalla sinistra italiana. Ad un anno dalla morte di Eluana, Berlusconi ha scritto una lettera alle suore che l’assistettero comunicando loro il suo dolore per non averle potuto salvare la vita. Ha ammesso pubblicamente che il potere ha tentato di appropriarsi della vita di Eluana; adesso sta proponendo alla Chiesa un “piano per la vita”, come moneta di scambio perché lo appoggi e gli permetta così di continuare a governare. Cioè ha svenduto lo Stato di diritto al Vaticano per quattro soldi»." — Stefano Rodotà intervistato da El Pais Qualcosa di sinistra » Piovono rane - Blog - L ’ espresso (via killingbambi) (via killingbambi)

------ora basta marikabortolami: voglio fondare una società, una religione, un’associazione qui in italia dove

201 Post/teca tutto inizia dalle 14 in poi. sono stufa di sottostare all’egemonia dei pazzi furiosi che si svegliano alle 6. perdio. facciamo dalle 15, che alle 14 siamo postprandiali.

------"Sono fatto così. O dimentico subito, o non dimentico mai." — Estragone, Aspettando Godot, Samuel Beckett. (via saneinsane) (Source: pandateque, via nives)

------"Ragazze seminude incapaci di parlare caratterizzate da un bassissimo quoziente di intelligenza, unitevi! Siamo al punto in cui se proclamate uno sciopero generale la TV italiana chiude. Potete chiedere quello che volete: pause più lunghe tra un pompino e l’altro, copioni composti esclusivamente da monosillabi non accentati, George Clooney, la pace nel mondo… qualsiasi cosa! Serivisse mai un sindacalista io sono qui. Costo anche poco, all’inizio." — cloridrato di sviluppina » Proletari del mondo . (via gianlucavisconti) (via biancaneveccp)

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“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.” — Cesare Pavese (via amberdrizzzly) TEORIA GENERALE DEL REBLOG. (via gianlucavisconti)

via: http :// piccole . rispostesenzadomanda . com /

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“Sono uno di quelli che per capire le cose ha assolutamente bisogno di scriverle.” — Murakami Haruki (via beatandlove)

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“Ho tante strade intorno e nessuna dentro.” — A. Baricco (via vetrosottile)

via: http :// biancaneveccp . tumblr . com /

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Quale paesaggio ci fosse dietro la Giconda di Leonardo è sempre stato un enigma. Ora Carla Glori, una studiosa di Savona, autrice di vari saggi sul celebre quadro sostiene di averlo sciolto: sarebbe Bobbio, una località del piacentino. La Glori parte, per l’identificazione del luogo, dal numero 72 scoperto da Silvano Vinceti (giornalista, scrittore e attualmente presidente del Comitato nazionale per la salvaguardia dei beni storici, culturali e ambientali) e tracciato sotto le arcate del ponte che si intravede sopra la spalla sinistra della Gioconda, a destra di chi guarda l’opera.

Glori, che aveva già individuato nella Gioconda la nobile Bianca Giovanna Sforza si dice convinta - grazie ad una documentazione storica ponderosa - che lo sfondo alla

203 Post/teca

Gioconda sia Bobbio, centro medioevale del piacentino. Il ponte sarebbe Ponte Gobbo, detto ponte Vecchio, devastato dall’onda del fiume Trebbia nel 1472. E per Leonardo, che deve aver amato l’idea di far spremere le meningi ai posteri, quel 72 era un indizio importante. Altro che riferimenti esoterici. fonte: http :// multimedia . lastampa . it / multimedia / cultura - e - arte / lstp /10147/

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Una musica che desse idea di un attacco alla baionetta

Dopo mezzogiorno veniva giù la pioggia tanto lietamente, che fu un piacere a sentirla. Il generale era sceso da basso, dopo aver rinnovato certe sue raccomandazioni al capitano Castiglia. Ad un tratto, mentre stavo chiacchierando con certi scolari dell’università di Padova il generale si affaccia, e mi dice: – Bandi, venite giù. Lo trovai tutto ilare in volto. Aveva sul naso gli occhiali, ed un pezzo di foglio in mano. – Ecco, – cominciò – mi sono accorto che fra tanti poeti che siete, non ce n’è uno che abbia voglia di mettere insieme quattro versi, per cantarli nel primo combattimento che avremo. Si direbbe che le vostre muse patiscano il mal di mare: è toccato dunque a me, – soggiunse – a tirar giù qualche verso; vogliate però compatirmi, perché fui sempre, e sono oggi più che mai, un cattivo poeta. E mi lesse i seguenti versi, che furono scritti sopra un pezzetto di carta ingiallita e sulla quale, poiché l’ho qui sott’occhio, si scorge una macchia, che può benissimo giudicarsi essere macchia di sangue:

Lo stranier la mia terra calpesta, Il mio gregge macella – il mio onor Vuol strapparmi – ma un ferro mi resta Un acciar per ferirlo nel cuor. Non sei stanco di giogo, d’oltraggi, Di codarde lusinghe, d’inganni? Questa terra – servili e tiranni Solo porta – ma prodi non più! Lo stranier, ecc.

La poesia era breve, ma prometteva di continuare. Come capirà facilmente il lettore, io avevo tutt’altra voglia che quella di mettermi a fare il critico; ma Garibaldi, per buona sorte, non mi pose il caso di dichiarare se i suoi versi mi piacevano o no; perché consegnandomi il foglio, soggiunse subito: – Io vorrei che a questi versi s’adattasse qualche musica; ma vorrei una musica vivace, buona a mettere il fuoco addosso alla gente, al pari della Marsigliese; in una parola, una musica che desse idea di un attacco alla baionetta… – Generale, mi piace tanto la musica; – risposi – ma, per mia disgrazia e vostra, l’arte dei capperi non l’ho imparata. – E che importa? Avrete sentito molte opere, m’immagino; adattate a questi versi la musica di qualche coro guerresco…

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Mi provai a cantar que’ versi sull’aria del coro di guerra dell’Ernani, ma al generale non piacque; provai due o tre altre arie ma ebbero la stessa sorte. Allora, pensai un momento, e percorsi colla celerità della folgore tutte le opere che avevo udite negli anni lieti in cui piacciono a tutti la musica e le ragazze, mi parve avere sciolto finalmente il gran nodo; e dissi, tutto allegro: – Senta, generale, senta se a questi versi andasse bene la musica del coro della Norma, che dice: «Guerra, guerra… ». E spiegato nuovamente il foglio, cominciai a cantare. Garibaldi me lo fe’ ripetere due o tre volte, e si provò anch’egli a cantarlo, e soggiunse: – Ora tornate su, scegliete gente che abbia buon orecchio e buona voce, insegnatele cotesta musica; e quando vi paia tempo, manderete ad avvisarmi e vi verrò a sentire. Salito che fui sul ponte, chiamai Enrico Cairoli e tanti altri, e lessi loro le strofe, e dissi che il generale voleva che imparassero a cantarle sull’aria del coro della Norma. In un baleno fu fatto intorno a me un bel cerchio e cominciai a concertare, battendo il tempo, come l’orecchio mi suggeriva. Quell’aria è bellissima e Wagner stesso le faceva tanto di cappello: ma la non è tale che possa imboccarsi lì per lì alle turbe profane da un maestro arciprofano, qual era ed è l’umile scrittore di questi capitoli. Per la qual cosa, per quanto battessi e ribattessi e cercassi tenere in tono e in misura i miei canarini, questi, trasformandosi in aquile, in falchi e in altri simili uccellacci, strillavano e urlavano come spiritati e non c’era modo di richiamarli al segno. Era un diavoleto, un tumulto di stonazioni tale, da squarciar le orecchie; io avevo perso la pazienza, e cominciavo a sfoderare i moccoli del mio bel paese; più si provava, e più cresceva la cananèa. Il pubblico cominciava a ridere a più non posso, e ci avrebbe fischiati tutti, se non era la paura del generale. Finalmente Giacomo Griziotti da Pavia audacissimo fra tutti e incapace di tener lungamente in briglia l’umor balzano, facendosi a suon di spinte in mezzo a noi, cominciò a cantare ad alta voce La bella Gigogin e tutti i miei coristi e tutto il riverito pubblico a fargli coro, che parve un finimondo. Durava da qualche istante, e cresceva gloriosamente quel baccano infernale, quando Garibaldi fece capolino. Corsi subito da lui. – Che musica è quella? – chiese. – L’avete inventata voi? – Non io; – risposi – è quel matto di Griziotti, che non vuol sentire il coro della Norma, e manda a rotoli il mio concerto e ci fa fischiare… – Eh diavolo!… – gridò il generale, e con un gran tonfo, si richiuse dentro.

(Giuseppe Bandi, “I Mille”, un libro bellissimo che da oggi si scarica qui) fonte: http://manyinwonderland.tumblr.com/post/573652310/una-musica-che-desse-idea-di-un-attacco-alla- baionetta

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205 Post/teca

20110110

"Il paradiso degli umani, se c’è, non è quello cattolico, ma è nelle teste di chi rimane. Non devi amare il prossimo o non peccare, devi farti amare. Se c’è, non è un premio, ma sei tu, per qualcun altro, che rimani, il paradiso degli umani." — Barabba: Il paradiso degli umani (via pensierispettinati)

(via pensierispettinati) fonte: http://barabba-log.blogspot.com/2011/01/il-paradiso-degli-umani.html via: http://pensierispettinati.tumblr.com/ via: http://curiositasmundi.tumblr.com/

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L’analfabeta politico apertevirgolette:

Il peggiore analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, nè s’importa degli avvenimenti politici.

Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche.

L’analfabeta politico è così somaro che si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica.

Non sa l’imbecille che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi, che è il politico imbroglione, il mafioso corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertolt Brecht

206 Post/teca via: http://apertevirgolette.tumblr.com/post/1592312021/lanalfabeta-politico

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"Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione." —

Victor Hugo (via scarligamerluss)

Infatti, qui in Italia…

(via ze-violet) via: http://ze-violet.tumblr.com/ via: http://scarligamerluss.tumblr.com/

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20110111

“Cos’è una storia non seria, si scopa ridendo?” — Il sommo Bart in Santa Maradona.

E tanto per dire che sì, una storia non seria dovrebbe solo farci ridere, farci sentire più belle, più sexy, più tutto. Farci osare, divertire e andare a sbronzarsi assieme, subito prima o subito dopo. Mai e poi mai lasciarci un velo di nebbia sul cuore.

Scopare ridendo. Gli uccelli allegri. Le passere migratrici.

(via divara) sante parole via: http://plettrude.tumblr.com/ fonte: http :// divara . tumblr . com / post /2690134756/ cose - una - storia - non - seria - si - scopa - ridendo

------gli uomini sono le nuove fighe (cit) blondeinside: allora io ho quattro amici uomini di cui mi fido parecchio e che stimo anche tanto, tutti e quattro.

207 Post/teca

Non si conoscono fra loro, sono estremamente diversi e sono tutti e quattro amici che reputo affidabili e sono anche persone con le quali io non mi sento affatto in imbarazzo a fare certe domande. Bene. Il primo è sposato da anni (la sottoscritta ha fatto da testimone al nozze), il secondo è un tizio che ha avuto più donne lui di qualsiasi altro uomo di mia conoscenza, il terzo è fidanzato (più o meno felicemente da un po’) e l’ultimo è single da una vita e ha avuto pochissime esperienze di love-affair. Credo quindi di aver post la domanda alle persone giuste, cioè a quelle che coprono tutto il copribile dell’esperienza maschile. La domanda era semplice semplice. Ci fosse sta una risposta simile all’altra, non dico tutte, ma due su quattro. No, mi hanno dato 4 risposte diverse. Poi dicono che quelle complicate siamo noi. C’ha davvero ragione la Soncini quando dice che gli uomini sono le nuove fighe. Io, per me, di risposta ne avevo una sola.

#vita da zitella fonte: http :// blondeinside . tumblr . com / post /2689968164/ gli - uomini - sono - le - nuove - fighe - cit

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“se ti porta cattivo umore, mandalo a cagare. un uccello si trova ovunque.” — PaolaSal, da me (via plettrude) gli uccelli allegri, quelli sì che sono i più difficili da trovare.

(via divara) il problema degli uccelli allegri è che amano volare di fiore in fiore, di solito fonte: http :// divara . tumblr . com / post /2689912256/ se - ti - porta - cattivo - umore - mandalo - a - cagare - un

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11/01/2011 - Ogni dio ha l'albero che si

208 Post/teca merita

Dalla quercia al faggio, dalla betulla all'acero, le piante hanno assunto in tutte le religioni valenze sacre. L'anno delle foreste ce lo ricorda ALESSANDRA IADICICCO

Cammina sempre in linea retta e, se manterrai la direzione, riuscirai a uscire dal bosco». Con questo semplice consiglio, formulato nel 1637 nel suo Discorso sul metodo, Cartesio tracciò la linea sottile, diritta, indelebile che separa una volta per tutte la natura dalla cultura. Davvero bastava un gesto, evidente come un dito puntato, per venire a capo del luogo - il bosco - per eccellenza più selvaggio, vergine, incontaminato, incolto: il contraltare esatto del logos coltivato dalla ratio occidentale? Ce lo chiediamo adesso, all’inizio del 2011 che è stato proclamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite l’anno internazionale delle foreste, come se lo chiedono i filosofi dacché il padre del pensiero moderno - Cartesio appunto - impose la rettitudine delle sue coordinate, l'orientamento infallibile degli assi cartesiani all’intrico di vegetazione per antonomasia inestricabile e impenetrabile. Ce lo chiediamo oggi e la domanda è: dove si trova mai, dov’era ai tempi di Cartesio, lo spazio di una natura inviolata e inviolabile? La questione non ha nulla a che vedere con il degrado ambientale, i disastri ecologici e la moria delle foreste amazzoniche. È una questione squisitamente culturale: di approccio, di metodo.

La foresta di cui è plausibile immaginare che l’autore del Discorso sul metodo avesse esperienza più diretta è quella di Compiègne, poco lontano da Parigi: una tenuta (molto ben tenuta) dov’era impossibile perdersi, una riserva di caccia che più riservata e esclusiva non poteva essere, un parco giochi per la famiglia reale. Paradossale la messinscena di un bosco che di fatto era un giardino. Ma non è per rimpiangere una natura originaria e perduta che si fa qui questo esempio. Di fatto, nell’Occidente moderno, più o meno da Cartesio in giù, il bosco è il luogo geometrico delle più raffinate (talvolta aristocratiche) astrazioni e costruzioni culturali. Metafora dell’inconscio nelle favole, meta di escursioni per i viandanti romantici, fonte di ispirazione per poeti e pittori, sfondo di meditazione per i pensatori, costituisce l’aldilà della ragione cui la ragione non può fare a meno di aspirare.

209 Post/teca

Cammina sempre dritto e uscirai dal folto. O ritorna sui tuoi passi e scegli di avventurartici… Se invece si volesse prescindere dallo spartiacque tracciato col righello da Cartesio per stabilire il binomio natura/cultura, ragione/avventura? Ci ritroveremmo in una foresta di simboli. Un mondo popolato di dèi, esseri fantastici, creature mitologiche e magiche. Una dimensione dallo spessore evocativo così profondo che le squadrate ascisse e ordinate non basterebbero a sondarla.

Ci riescono meglio i ghirigori - elegantissimi - di Émilie Vast che in punta di matita disegna il profilo delle latifoglie europee, non più di una ventina di specie, per raccoglierle nel suo meraviglioso erbario (L’erbario di Émilie Vast. Latifoglie d'Europa, Salani, 48 pp. 18 €). Sfogliandolo, leggendo le sue brevi, fiabesche notazioni, impariamo che nell’antica grecità l’acero era dedicato a Febo, il dio del terrore figlio di Ares dio della guerra, e i suoi rami potevano mettere in fuga il nemico in battaglia. Il castagno fu creato da Giove per la casta ninfa Nea, che a quel divino innamorato volle rifiutarsi dandosi la morte. Il noce era l’albero di Caria, l’amata di Dioniso, e anche di Persefone, la regina degli inferi: dunque un emblema ambiguo di fecondità e di desolazione. L’olmo invece era caro a Ermes, il solare messaggero degli olimpi, come agli Oneroi, le divinità della notte e del sogno. Ma non solo l’Ellade venerò piante tanto longeve, possenti, maestose. La quercia, maestà incontrastata delle foreste, fu sacra al greco Zeus, al latino Giove come a Thor, il dio del tuono della mitologia norrena, mentre i Druidi, che credevano nelle virtù magiche dei suoi germogli, li raccoglievano con falci d’oro per ornarne le corna di tori bianchi… La betulla, simbolo di purezza, saggezza e scienza, fu oggetto di culti sciamanici, adorata dagli amerindi e dalle popolazioni nordiche. Il faggio era foriero di luce e pilastro dell’anno solare per i Celti. E il grande frassino, Yggdrasil, che toccava con le radici il mondo infero e con le chiome quello celeste, era l'albero cosmico degli Scandinavi e dei Germani.

Sono giganti soprannaturali, eppure vivi: ancora oggi da ammirare in una natura resa significativa dai culti e dalla cultura. Li troviamo nelle foreste di Verzy, vicino a Reims, dove crescono i sontuosi faggi ritorti festeggiati al solstizio d'inverno. Nei boschi di Fontainebleau, dove tuttora vegeta la quercia di Giove. Sull’isola di Kos, dove con una corona di quattordici metri di diametro getta ancora la sua ombra il grande platano d’Ippocrate. Pare che il fondatore della medicina visitasse i pazienti sotto le sue fronde, confortandoli con la visione di quel simbolo di rigenerazione sul cui grande tronco levigato la corteccia ricresce sempre a placche come la pelle di un serpente. Ma non c’è albero che non sappia dare lo stesso conforto: perché l’albero, messo a fuoco dall’occhio che lo osservi con rispetto come depositario di antica

210 Post/teca sapienza, è per i popoli di ogni tempo tra i più grandi simboli della vita. fonte: http :// www 3. lastampa . it / cultura / sezioni / articolo / lstp /383173/

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“Certune si diranno: “E chi mi fa fare tutta questa fatica, e per cosa?” A loro rispondo con le parole della top model Veronica Webb: Il tacco mette il culo là dove deve stare: su un piedistallo.” — I tacchi : 12 centimetri sopra il suolo | VanityBlog via: http :// plettrude . tumblr . com / fonte: http :// blog . vanityfair . it /2011/01/ i - tacchi -12- centimetri - sopra - il - suolo /

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“Ma che cazzo vuol dire, quando finisce una relazione, “sappi che comunque ti stimo”? Ma sella un cavallo con la tua stima e galoppa fino a Fanculo centro.” — MentaMentina - FriendFeed (via xlthlx) fonte: http :// friendfeed . com / miononnoincariola /940 b 8233/ ma - che - cazzo - vuol - dire - quando - finisce - una

------stanzevuote: Per caso mentre tu dormi per un involontario movimento delle dita ti faccio il solletico e tu ridi ridi senza svegliarti così soddisfatta del tuo corpo ridi approvi la vita anche nel sonno come quel giorno che mi hai detto: lasciami dormire, devo finire un sogno

Antonio Porta

211 Post/teca via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

------littlemisshormone: - Disturbo? - No, rompi il cazzo.

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11/01/2011 - Addio a Lietta Tornabuoni

S'è spenta a Roma, aveva 79 anni

Grande critico cinematografico

ha seguito per "La Stampa"

gli eventi più importanti

accaduti in 50 anni non solo

nel mondo della celluloide

RAFFAELLA SILIPO

ROMA E’ mancata questa notte al Policlinico di Roma la nostra collega e grande critico cinematografico de La Stampa Lietta Tornabuoni. Era stata ricoverata in ospedale poco prima di Natale, dopo che si era sentita male a una proiezione cinematografica, ma le sue condizioni non avevano mai destato preoccupazione fino

212 Post/teca a un improvviso aggravarsi ieri.

Il suo vero nome era Giulietta, e avrebbe fra qualche mese compiuto ottant’anni: era infatti nata a Pisa il 24 marzo 1931 sotto il segno dell’Ariete da un’antica famiglia aristocratica, figlia di un militare e sorella di Lorenzo, noto pittore. Si era sposata giovanissima e trasferita a Roma, dove aveva intrapreso appena diciottenne la carriera giornalistica, che è stato sempre il suo vero grande amore. E' stata testimone dei fatti nazionali e internazionali più importanti degli ultimi cinquant’anni, dall'attentato terroristico alla squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco 72 fino al sequestro e omicidio di Aldo Moro, fatti che raccontava con meticolosa attenzione per i dettagli e sintesi fulminante del giudizio.

Aveva cominciato la professione nel 1949 a «Noi Donne», il settimanale dell'Udi, passando nel 1956 a «Novella», poi all'«Espresso»e all’«Europeo». Alla Stampa era arrivata nel 1970, dove ha continuato a lavorare fino a oggi, tranne un breve intervallo dal 1975 al 1978 al «Corriere della sera». Tra i suoi libri: «Sorelle d’Italia», «Album di famiglia della tv», «Era Cinecittà», dove raccontava la "grande famiglia" del cinema, e l’annuale appuntamento di «Al cinema», il volume che periodicamente raccoglieva le sue recensioni. Era critico cinematografico del nostro giornale dai primi Anni 90, aveva raccolto il testimone dal grande amico Stefano Reggiani: le sue recensioni asciutte e puntuali coglievano sempre il senso profondo dei film. Indimenticabili i suoi ritratti dei grandi del cinema che aveva conosciuto, come quello, tra gli ultimi, della sceneggiatrice Suso Cecchi d'Amico scomparsa in agosto. Non si faceva problemi ad alternare il mestiere del critico a quello del cronista, guardava la realtà con curiosità inesausta e affettuoso disincanto, senso dell'umorismo tutto toscano e severo rigore sabaudo, prima di tutto con se stessa. Una gran signora del giornalismo italiano. fonte: http :// www 3. lastampa . it / spettacoli / sezioni / articolo / lstp /383210/

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20110113 "Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità

213 Post/teca prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 – quando l’azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010. Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l’interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che

214 Post/teca le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti. A dispetto della retorica dell’impresa capace di “stare sul mercato sulle proprie gambe”, va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno. A fare le spese di questa gestione aziendale sono stati soprattutto i lavoratori. Negli ultimi dieci anni l’occupazione Fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere inferiori a quelle dei concorrenti, i salari medi sono tra i più bassi d’Europa e la

215 Post/teca distanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta: Sergio Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio."

— Fiat , lettera di 46 economisti : “ Produrre e lavorare meglio , con democrazia . Solidarietà alla Fiom ” - micromega - online - micromega (via paolo - c ) (via paolo - c )

------"il tempo passa lo stesso, anche se lo risparmi. Non c’è investimento più scellerato che metterlo da parte." — Cocci I. (via myborderland) (via metaforica)

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Universal, musica da biblioteca

La grande sorella del disco ha donato circa 200mila master alla US Library of Congress statunitense. Tra queste, vecchie incisioni di Billie Holiday e Bing Crosby. Al via la fase di digitalizzazione dei brani

Roma - È stato descritto come uno dei patrimoni audio più importanti di sempre, gentilmente offerto dalla major del disco Universal Music Group ad una delle biblioteche più vaste del mondo, la US Library of Congress.

Le primigenie registrazioni di circa 200mila canzoni della tradizione a stelle e strisce sono infatti state donate alla biblioteca, tutte risalenti ad un periodo storico che inizia con il 1920 e finisce con gli anni 40.

216 Post/teca

Brani di artisti leggendari come Bing Crosby - in una rara versione di "White Christmas" risalente al 1947 - Les Paul, Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Curiosi e appassionati potranno accedere al materiale sul sito web della biblioteca.

Una squadra di tecnici della stessa Library of Congress provvederà nelle prossime settimane ad una massiva opera di digitalizzazione dei brani donati da Universal nel formato disco originario.

La sezione dedicata alla musica può ora contare su un totale di 3 milioni e 200mila brani. Le operazioni di digitalizzazione - che si terranno al Packard Campus, in Virginia - dovrebbero terminare entro la prossima primavera.

Mauro Vecchio fonte: http :// punto - informatico . it /3067943/ PI / News / universal - musica - biblioteca . aspx

------"Cara Karen, se stai leggendo questa lettera vuol dire che ho trovato il coraggio di spedirtela. Quindi, buon per me. Non mi conosci molto bene, ma se me ne dessi l’occasione inizierei a parlare per ore e ore di quanto sia difficile per me scrivere. Ma questa.. Questa è la cosa più difficile che io abbia mai dovuto scrivere. Non c’è un modo facile per dirlo, quindi lo dirò e basta. Ho incontrato una persona. E’ stato un caso. Non la stavo cercando, non ero a caccia. E’ stata la tempesta perfetta.

217 Post/teca Lei ha detto una cosa, io un’altra. E all’improvviso volevo passare il resto della mia vita facendo quella conversazione. Ora ho questo sensazione nello stomaco. Potrebbe essere lei quella giusta. E’ completamente pazza, in un modo che mi fa sorridere. E’ estremamente nevrotica. C’è molto da sopportare. Quella persona sei tu, Karen. Ecco la buona notizia. La brutta è che non so come fare per stare con te. E questo mi spaventa a morte. Perchè se in questo momento non sono con te, ho la sensazione che non staremo mai più insieme. Il mondo è enorme, cattivo, pieno di svolte e cambiamenti. E le persone a volte si distraggono e perdono l’attimo.. L’attimo che avrebbe potuto cambiare tutto. Non so cosa succederà tra di noi, e non so spiegarti perchè dovresti perdere tempo con uno come me.. Ma cazzo, profumi di buono..

218 Post/teca Di casa. E poi fai un ottimo caffè. Quello conterà pur qualcosa, no?

Chiamami. Infedelmente tuo, Hank Moody." — (via somethingbeautifool) (via biancaneveccp)

------"Fino ai tempi di Demetrio Falereo gli Ateniesi conservavano la nave su cui Teseo partì insieme coi giovani ostaggi e poi ritornò salvo, una trireme. Toglievano le parti vecchie del legame e le sostituivano con altre robuste, saldamente connettendole fra loro, in modo che essa serviva di esempio anche ai filosofi quando discutevano il problema della crescenza, sostenendo alcuni che era la stessa nave, altri che non era più la stessa." — [Plutarco, Teseo, in Vite parallele, cit., p. 117] Paolo Nori . (via 11 ruesimoncrubellier ) (via 11 ruesimoncrubellier )

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219 Post/teca

"L’uomo è l’unico animale la cui esistenza è un problema che deve risolvere." — Erich Fromm (via avereoessere)

------"È una tranquilla notte di Regime. Le guerre sono tutte lontane. Oggi ci sono stati soltanto sette omicidi, tre per sbaglio di persona. L’inquinamento atmosferico è nei limiti della norma. C’è biossido per tutti. Invece non c’è felicità per tutti. Ognuno la porta via all’altro. Così dice un predicatore all’angolo della strada, uno dall’aria mite di quelli che poi si ammazzano insieme a duecento discepoli. Ce n’è parecchi in città. Dai difensori dei diritti dei piccioni alla Liga artica. Siamo una democrazia. Ogni tanto, sul marciapiede, si inciampa in qualcuno con le mani legate dietro la schiena. Forse la polizia lo ha dimenticato la notte prima. Ho guardato in alto, oltre le insegne illuminate e, obliqua su un grattacielo, c’era la luna.

220 Post/teca Le ho detto: Cosa ci fa una ragazza come te in un posto come questo?" — (Stefano Benni, Baol, 1990) 20 anni, eh. (via eclipsed) (via rispostesenzadomanda)

------Invece a BorgoPio le bandiere della pace costano ancora 5€ uri e un sorriso . cornerlist: [Che poi quello era un indiano di CampoDe’Fiori] E in cambio vi danno pure un po’ di SaggezzaRomana®. Tipo che il tipo, prima di darmi la bandiera mi ha detto: “Ma te credi che poi serve?” …Io gli ho risposto “Non lo so. Ma finché non smettono loro non smetto manco io” M’ha detto “bravo” e m’ha dato un sorriso di resto.

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L’inventore del pinyin Nel 1955 Zhou fu incaricato di mettere in piedi un gruppo di lavoro per diffondere il mandarino come lingua nazionale standard, semplificare i caratteri e concepire un alfabeto che fosse uno strumento per l'apprendimento dei caratteri e la diffusione del mandarino Il risultato dei lavori fu il pinyin, immediatamente adottato in tutte le scuole del paese

221 Post/teca

13 GENNAIO 2011 | MONDO | DI CECILIA ATTANASIO GHEZZI

«Quando superi i cento anni, smetti di minimizzare la tua età e cominci a gonfiarla». Così commenta il suo compleanno Zhou Youguang, l’inventore del pinyin, il sistema di traslitterazione dei caratteri cinesi approvato nel 1958 e universalmente adottato nel 1979. Perché questo sistema è così importante? Pinyin in cinese si scrive 拼音; provate a leggerlo e a memorizzarlo senza avvalervi della sua traslitterazione. Se ci riuscite, potete smettere di leggere quest’articolo. Il professor Zhou è nato il 13 gennaio del 1906 e oggi compie 105 anni, 106 se contati alla cinese. Durante la sua lunga esistenza ha conosciuto Mao Zedong, Zhou Enlai, Deng Xiaoping e, anche se ne parla con modestia, Albert Einstein («Gli ho fatto visita un paio di volte, ma non ho mai capito la teoria della relatività, quindi parlavamo di cose comuni»). La sua vita ricalca ed è fortemente condizionata dalla storia della Cina moderna. Zhou aveva sei anni quando la rivoluzione spazzò via l’ultimo imperatore nel 1912 e quarantatré quando il grande timoniere Mao Zedong fondò la Repubblica popolare cinese. Banchiere di successo, lavorò per la Sin Hua Trust & Savings Bank (oggi parte della Bank of China) e si trasferì nei suoi uffici di New York per tornare in Cina solo quando i comunisti guadagnarono definitivamente il potere nel 1949. Era un momento di grandi speranze e chi era stato all’estero tornava per portare il suo contributo alla nazione. Qui continuò a svolgere la sua ben remunerata attività fino al 1955 quando il governo gli chiese di mettere in piedi un gruppo di lavoro che si occupasse di riorganizzare la lingua nazionale. La lingua cinese infatti non aveva mai avuto un alfabeto. La scrittura era stata concepita come uno strumento per la creazione di un’entità statale stabile e duratura capace di governare immensi territori e grandi masse di popolazioni differenti. Proprio per questo mirava a segnalare i significati delle parole e non i suoni, che sono soggetti a cambiamenti. Con l’avvento della nuova Cina sotto il controllo del Partito comunista si apriva una nuova fase anche nella storia della lingua cinese. La lingua doveva tornare a essere strumento e garanzia dell’unificazione nazionale. Si definirono quindi tre strade da percorrere: diffondere il mandarino come lingua nazionale standard, semplificare i caratteri riducendo il numero dei tratti che li componevano e concepire un alfabeto che potesse rappresentare la fonetica e che fosse uno strumento ausiliare per l’apprendimento dei caratteri e la diffusione del mandarino. Quest’ultimo compito fu assegnato a Zhou Youguang e al suo gruppo di lavoro. All’epoca la linguistica era solo un hobby per Zhou, ma era comunque uno dei

222 Post/teca pochi cinesi che ne conoscesse qualche rudimento. Aveva persino scritto un libro, The Subject of the Alphabet, di cui la segreteria di Mao gli chiese una copia prima di affidargli l’incarico. Zhou all’inzio era scettico sulle sue capacità, ma si risolse ad accettare il lavoro nonostante il suo stipendio passasse da 600 a 250 yuan. Lavorò notte e giorno per tre anni con una ventina di persone. Il risultato fu il pinyin, letteralmente trascrizione dei suoni, un sistema che utilizza ventisei lettere dell’alfabeto latino e quattro segni diacritici per indicare il valore tonale delle sillabe. Appena l’alfabeto fu pronto, il governo lo adottò in tutte le scuole elementari del paese. Il pinyin è estremamente semplice e, indicando il suono dei caratteri cinesi, ha aiutato la popolazione a imparare il mandarino diventando uno strumento di comunicazione tra gli stessi cinesi che vivono in differenti regioni della Cina. Il risultato della politica di scolarizzazione del Partito comunista cinese, inoltre, è straordinario. In sessant’anni il tasso di analfabetismo è calato dall’80 al 10 per cento. Non solo. All’estero il pinyin è diventato il sistema ufficiale di trascrizione di nomi e toponimi cinesi, diventando il trait d’union tra la Cina e il resto del mondo. Oggi la maggior parte delle persone che scrive un testo in caratteri cinesi, lo fa sfruttando programmi che converono il pinyin in caratteri. Addirittura la versione cinese dell’alfabeto braille è basato su questo sistema. Tutto questo non è sfuggito a Zhou Youguang, che continua a lavorare nonostante la sua incredibile età. E lo nota ridendo in un’intervista del 2009 al China Daily: «Avete visto? I cinesi usano il pinyin per mandare sms e per digitare i caratteri sulla tastiera dei loro computer. È questo che mi rende felice!». Ed è per questo che chiunque debba scrivere in cinese lo ringrazia. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/13/ zhou - youguang - inventore - del - pinyin /

------"Sono libero da ogni pregiudizio. Odio tutti in eguale misura. - W. C. Fields" — (via imlmfm)

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223 Post/teca La tata che fotografò Chicago

Una monografica su Vivian Maier e sul suo archivio ritrovato di 100 mila negativi. Una vita da «nannie» e una passione nascosta (scoperta per caso) La signorina Maier, la tata con l’accento francese che deliziava i suoi bambini accompagnandoli a scuola con il furgone del gelataio,

224 Post/teca passò una vita a lavorare nelle case eleganti del North Side di Chicago. Ma nel giorno di riposo, dagli anni 50 fino alla fine degli 80, la signorina Maier - sempre vestita come una Diane Keaton di Io e Annie ante litteram, scarpe da uomo e cappellacci da pesca e vestiti a fiori e giacchette strette sulle spalle - prendeva la sua macchina fotografica, la borsa piena di rullini, e se ne andava in centro. Nessuno sapeva quel che facesse nel giorno di riposo Vivian Maier fino al 2008, quando un giovane agente immobiliare frequentatore delle aste di periferia comprò dei bauli pieni di 100 mila negativi già sviluppati e centinaia di rullini ancora da sviluppare. Messi all’incanto dal padrone di un deposito dove erano stati lasciati e mai più reclamati (l’affittuaria aveva smesso di pagare, e di lei si erano perse le tracce). Così l’agente immobiliare scoprì che quelle foto, scattate dalla signorina Maier nel giorno di festa, sono capolavori. Migliaia di capolavori. La vita delle strade di Chicago, umanissima e commovente, piena di humor e di dolore, attraverso i decenni. Una storia dell’America per immagini, «un poema epico e triste succhiato fuori dal cuore dell’America», come scrisse Jack Kerouac del libro più bello del suo amico Robert Frank, The Americans.

Ora i critici accostano la piccola tata di Chicago ai giganti: Frank, Dorothea Lange, Paul Strand, Helen Levitt, Louis Faurer, Steve Schapiro, nominando (non invano) perfino Henri Cartier-Bresson, il Picasso con la Leica. E da ieri la signorina Maier è planata, con l’ombrello di Mary Poppins, nel salotto buono dell’arte americana: si è aperta la sua prima mostra personale. Proprio a Chicago, la sua città. In autunno, la Powerhouse Books, raffinata casa editrice della fotografia e dell’arte che conta, pubblicherà il suo primo libro. Nel 2012 uscirà un documentario sulla sua vita così poco ordinaria. Mancava solo la signorina Maier, l’altra sera, al Chicago Cultural Center : perché la sua arte è così fresca e viva e appena adesso fa i primi passi nel mondo anche grazie a Internet che ha diffuso negli ultimi due anni le sue immagini in tutto il mondo. Ma la signorina Maier, che si è sposata soltanto con la sua Rolleiflex e come figli ha avuto soltanto quelli che le affidavano le famiglie per le quali lavorava, Non c’è più: è morta nel 2009, a 83 anni, senza essersi mai ripresa da una brutta caduta risalente all’anno prima. L’agente immobiliare le ha dedicato un blog ( vivianmaier . blogspot . com ), sviluppa e scannerizza digitalmente i tanti

225 Post/teca rullini esposti e poi dimenticati e cerca di diffondere la storia di Vivian Maier. Che, come Emily Dickinson, non fece mai nulla perché il pubblico vedesse la sua arte. Forse per modestia, per insicurezza, impossibile risolvere il mistero. Forse perché come diceva Cartier-Bresson «ogni foto è una scommessa» e scommettere non si addiceva a una tata gentile e solitaria con l’hobby dei film stranieri (era per metà francese e per metà austriaca). Ma quello che resta sono le fotografie. Le signore in pelliccia e gioielli che fuori dai grandi magazzini aspettano un taxi con l’espressione acida, le borse dello shopping come il fardello del loro materialismo. La tenera coppia di anziani che cammina controvento, i capelli scomposti e il papillon di lui che gira come le piccole pale di un mulino. La signora in rosso che nasconde le mani dietro la schiena e si torce le dita dalla tensione - perché? Il grande cesto della spazzatura in una strada di Chicago dove qualcuno ha adagiato un piccione morto su un giaciglio di sacchetti di carta stropicciati, piccolo gesto di tenerezza nella giungla d’asfalto. Il vecchietto male in arnese che sbuffa nella pipa e porta il cartellone da uomo-sandwich: la pubblicità di un barbiere fatta da lui che ha la barba lunga di tre giorni. Un ragazzo afroamericano a cavallo nel traffico, impassibile, un piccolo principe sotto i viadotti del metrò. Salvador Dalí in strada, fotografato dal basso mentre fissa quella strana signora che ha avuto l’impudenza di chiedergli uno scatto - il maestro arricciando i baffetti impomatati, stretto nel cappottone doppiopetto più spesso di un’armatura. E poi bambini, bambini, un esercito di bambini. Quello solitario nascosto dietro la porta di un negozio; i fratellini col grembiulino lurido e la faccia truce che paiono usciti da un libro di Diane Arbus; quello che pedala su una bici troppo grande e viene sgridato dalla mamma senza volto ma con la borsa di Hermès. Bambini malinconici, che stringono le loro bambole e i loro giochi in un mondo che non promette niente di buono, popolato di adulti in bianco e nero giganteschi e ostili, o assenti come i genitori di Charlie Brown. Matteo Persivale 10 gennaio 2011(ultima modifica: 13 gennaio 2011) fonte: http :// www . corriere . it / cultura /11_ gennaio _10/ persivale - tata - fotografo - chicago _52 ab 31 cc - 1 cab -11 e 0- a 4 b 5-00144 f 02 aabc . shtml

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20110114

226 Post/teca

"[…] Vidi che si allontanava e sentii di perdere l’unica persona capace di confortarmi, capivo adesso che i suoi silenzi nascevano da una calma che io avevo perduta, erano i silenzi di un cuore sensibile. E la sua cinica noia era soltanto paura di cedere." — Ennio Flaiano - Tempo di uccidere (via occhinelcellophane) (via biancaneveccp)

------"Nel mondo del lavoro, in troppi casi, non v ´è più negoziazione “all´ombra della legge”. Anzi non v´è più negoziazione, perché sempre più spesso si chiede a sindacati e lavoratori di prendere o lasciare un testo predisposto unilateralmente dalla parte più forte. Contratto collettivo e sindacato, i due strumenti che dall´800 hanno cercato di colmare il dislivello di potere tra datore di lavoro e lavoratori, vengono variamente svuotati. La soggettività del lavoratore si

227 Post/teca perde, e con essa la dignità del lavoro. Se l ´efficienza è l´unica bussola, rischiamo di tornare alla “gestione industriale degli uomini”. E la retribuzione non è più ciò che deve assicurare al lavoratore e alla sua famiglia “una esistenza libera e dignitosa”, come vuole l´articolo 36 della Costituzione, ma il prezzo minimo che si spunta sul mercato per vendere un lavoro di nuovo ridotto a pura merce. Dall´esistenza libera e dignitosa si tende a passare ad una sorta di “grado zero” dell´esistenza, alla retribuzione come mera soglia di sopravvivenza, come garanzia solo del “salario minimo biologico”, del “minimo vitale”." — rodotà su repubblica , preso da lipperatura . (via 11 ruesimoncrubellier ) rodotà ftw (via novaffanculotu) (via novaffanculotu)

------chouchouette: L’amore è diverso, l’amore è quotidiano. Ci si può innamorare tutti i giorni. Invece per farsi degli amici a volte ci vuole una vita ecco perchè i ritmi delle passioni sono diversi dai ritmi della vita. A. 16 anni (su L’Amore)

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(via biancaneveccp)

------"Se voto sì, mi toglie l’ombrello dal sedere?” “No” “E se voto no?” “Lo apro." — teresa (via myborderland) (via batchiara)

------"si ragiona come se una determinata facoltà o un percorso di studi possa garantire automaticamente, come una sorta di diritto divino, un lavoro certo e sicuro, una specie di rendita di posizione. E invece così non è. Ti garantirà un lavoro di successo se avrai studiato con passione qualcosa per cui provavi un reale interesse, e se sarai disposto, una volta terminati gli studi, ad imparare ancora, saper cogliere le occasioni, spesso anche a rischiare in proprio e a sacrificare, per avere successo, tempo ed energie. Altrimenti puoi aver preso la laurea

229 Post/teca più utile del mondo, ma finirai comunque a fare il disoccupato o il sottoccupato frustrato. Qualcuno lo dica a Sacconi e alla Gelmini. Potrebbe essere utile." — Il nuovo mondo di Galatea (via fastlive) (via fastlive)

------L’OROSCOPO 2011 DI TORINO CRONICA

10 GENNAIO 2011 di Torino Cronica ARIETE Il 2011 sarà l’anno di voi Arieti. Infatti, grazie ai vostri noti “colpi di testa” aprirete tutte le porte che puntualmente troverete sbarrate davanti a voi. Le vostre frasi ricorrenti saranno: “Scusi, ho sbagliato entrata”, “Mi perdoni, non

230 Post/teca sapevo che fosse occupato”, “Non sto guardando, ho gli occhi chiusi: rivestitevi, per favore”. Inutile, però, aprire le vie di fuga della nuova Porta Susa: quelle non sono state realizzate! Desistete dal fondare un Comitato Pendolari dell’Ariete e preferite una passeggiata ai giardini delle Porte Palatine o un giro tra negozi dentro Porta Nuova, finché non saranno passati i bollenti spiriti. Cari “arieti”, chiedetevi quindi dove vi porta la vostra testardaggine! In primavera sarete pieni di iniziativa, ma la sprecherete organizzando “apericena” al Lutece. In estate, avrete una carica esplosiva, ma butterete la vostra peak performance organizzando “aperitivi tematici” al Fluido. In autunno sparerete le ultime cartucce, per forza dell’abitudine, con gli “aperitivi alternativi” al Pastis. In inverno se solo sentirete parlare di uscite preserali minaccerete di chiudervi a guardare la versione torinese di X-Factor: X-Faus. TORO Il 2011 sarà il vostro anno, amici del Toro. Non ci riferiamo al segno zodiacale, né alla squadra di calcio, e tantomeno all’animale: stiamo parlando di Toro Assicurazioni. Infatti, la proverbiale testarda impulsività dei nati sotto il segno del Toro, vi porterà a eccessi che sprigioneranno energie incontrollabili: sarà una strage di fiancate nei passi carrabili in Vanchiglia; un disastro di cerchi in lega sugli spartitraffico di piazza Vittorio; una tragedia di fanalini nei parcheggi dell’8gallery; una catastrofe di lunotti tra i vicoli del Quadrilatero. Avrete il vostro momento di gloria in autunno, quando termineranno le celebrazioni di Italia 150 e qualcuno proporrà Torino capitale di qualcos’altro per il 2012: la vostra incornata sarà degna del miglior Pulici. Torino è del Toro e il Toro, si sa, è geloso delle proprie cose. Il vostro giorno favorevole è il sabato, che però passerete a lamentarvi del freddo di Torino, in inverno, e dell’inquinamento di Torino, in estate. GEMELLI Questo sarà l’anno dei Gemelli. Ma quello eterozigote, che poco ha da spartire con voi. La vostra doppia anima, infatti, vi metterà in crisi nel 2011: avrete la “Sindrome di Profumo” che a ogni passo vi farà pietrificare, sequestrati dal dubbio, ripetendovi come un mantra “Lo faccio o non lo faccio?”, “Vado o non vado?”, “Ci sto o non ci sto?”, “Centrosinistra o centrodestra?”. Il 2011 trascorrerà per voi come una mano a briscola. In primavera sarete giorno e notte al bingo di piazza Massaua. In estate monopolizzerete il ping

231 Post/teca pong della Cricca. In autunno metterete radici al videopoker in un bar di via Sacchi. In inverno, avrete voglia di fare sul serio, ma per contrappasso gli amici del torneo di Risiko vi organizzeranno, comodamente nel vostro nuovo alloggio di via Peyron, la tombolata di Natale. Fino a Pasqua. Affinità di coppia: molto buona con i Pesci, che viaggiano anche loro in coppia; evitate come i finti sconti in via Roma i segni d’acqua …come l’Acquario. A meno che non sia la Lurisia, in tal caso avrete uno sconto di 1 euro sulla guida Slow Food delle osterie d’Italia. C’è proprio da dire: “Osteria!”. CANCRO Finalmente è arrivato il vostro anno, cancerini! Purtroppo è quello appena trascorso. Nel 2011, invece, cercherete riposo per ricaricarvi. Avrete voglia di calma e arte: così andrete a mostre di design convincendovi che si tratta di “intuizioni di artisti molto avanti”. In primavera, stanchi del solito tran tran torinese cercherete novità meneghine: nei lunghi ritardi del Frecciarossa direte al vostro vicino “Adesso lavoro su Milano”. Verso l’estate, in preda ai consueti sbalzi d’umore, vorrete un ritorno alle origini: sarete così fagocitati in iniziative istituzionali torinesi, e facendo la scontata anticamera negli assessorati direte al primo che passerà “Serve una messa a sistema”. In autunno, ovviamente, avrete già cambiato idea: il non profit rappresenterà la svolta. Ai vostri genitori esterrefatti direte “Mi occupo di progetti”. L’esperienza durerà il tempo di una luna piena e in inverno tornerete al profitto: in giacca e cravatta sul Suv del vostro capoarea direte “Occorre efficientare le procedure”. Alla fine un dossier su La Stampa vi convincerà a comprare casa. Sceglierete un luogo simbolo della città: la casetta di piazzale Valdo Fusi, sviati forse dalla notizia, falsa, che i gianduiotti di Atrium saranno rimontati lì. Dopo il rogito vi addormenterete sognando questa “Wunderkammer sabauda”, il centro di una corona di Spine urbanistiche. LEONE Il 2011 è proprio l’anno del Leone. Ma nello zodiaco cinese, che corrisponde al nostro 1614. In quell’anno dubitiamo che qualcuno di voi fosse già in circolazione, anche se la “cronicità” torinese potrebbe aver conservato qualche amico Leone, probabilmente rimasto seduto in una delle poltrone di Palazzo

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Civico o Palazzo Lascaris. Tendenti all’autoincoronazione a re e regine, è meglio evitare esperienze come le “Primarie di partito”, che potrebbero portare brutte sorprese tra i finti amici tesserati. Questo, infatti, sarà per il Leone un anno di transizione, di passaggio. Tenterete di trasferirvi da via Cigna a corso Valdocco, ma resterete imbottigliati al Rondò della Forca in attesa che venga riaperto il sottopassaggio di corso Regina. Così, farete del sedile della vostra Fiat Punto, unica orginale Made in Mirafiori, il trono che tanto desiderate. VERGINE Come si dice da tanti anni, tra gli astrologi più autorevoli, il 2011 sarà l’anno della Vergine. Ma solo per chi ha come ascendente il Pungitopo. Si tratta infatti di una speciale congiuntura spaziotemporale che porta a unificare le Asl e a generare, in chi non ci sta, la terribile “Pantofologia Declamante”, meglio nota come “Pd”. I nati sotto il segno della Vergine rischiano di prendersela in primavera, durante la campagna elettorale. Ma la vostra proverbiale precisione “pistina” vi terrà alla larga dagli sbandamenti del ballottaggio. In autunno alcuni di voi otterranno un mutuo dai No Grat, che manifestano contro il grattacielo di IntesaSanPaolo, e lasceranno la casa dei genitori per un bilocale in sottotetto a Borgo San Paolo. In inverno penserete di aver scampato l’epidemia di Patologia Delirante, ma vi sarete presi il “Complesso di E-Pd-ipo”, che vi porterà a chiudere gli occhi. BILANCIA Il 2011 è l’anno della Bilancia. A dirlo, però, sono i dietologi delle Molinette. Voi “bilancini”, passerete tutto il vostro tempo libero a prendere le misure, del vostro girovita e della parete in soggiorno in cui sistemare il nuovo divano. Abitate a La Loggia e la prospettiva dell’Ikea a due passi è per voi la migliore notizia dopo il calendario sexy delle ragazze del softball di A1. Per voi sarà un anno di assestamento, della ricerca di un nuovo equilibrio, soprattutto quando i vigili urbani di piazza Vittorio vi chiederanno di toccarvi la punta del naso con le dita, alle 7 di mattina dopo una nottata da Giancarlo 2. I mesi caldi saranno perfetti per chi sta cercando il grande amore. Peccato però che il grande amore non stia cercando voi. SCORPIONE

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“L’anno dello Scorpione”: non è il 2011, ma un nuovo film con un parente di Bruce e Brandon Lee (entrambi morti lavorando a film per il cinema) che per scaramanzia ha cambiato cognome in Bianciotto. Il lungometraggio è in lavorazione a Torino da gennaio a dicembre, occupando il suolo pubblico e sottraendo parcheggi rispettivamente: dove abitate, dove lavorate, dove fate la spesa, dove abita la vostra vecchia zia ereditiera, dove lavate il cane la notte. Maledirete a vita la Film Commission, che tra l’altro è in opposizione al vostro segno. Autoritari per eccellenza gli Scorpioni vanno sempre per la loro strada: avrete perciò problemi con la Ztl ambientale. In autunno, dopo i preliminari di Champions League, attenti al Morbo di Mercedes: bisogna saper perdere. E’ proprio sulle sconfitte dell’altra squadra di Torino che costruirete la vostra fortuna, puntando venti euro più vostra zia e il cane alla Snai di via Tripoli. SAGITTARIO Il 2011 è l’anno dei segni metà cavallo e metà umano: il Sagittario si addice perfettamente all’identikit, se solo non fosse così bisognoso di libertà e quindi fuori tutta la notte a perdere tempo tra Quadrilatero e Murazzi. Se avete meno di 30 anni avrete voglia di viaggiare in Sudamerica, andare a lavorare a New York, aprire un locale a Barcellona e abitare a San Salvario. Se avete più di 30 anni aspetterete le occasioni del Byblos di Ospedaletti per i weekend di maggio, archivierete documenti all’Unicredit, maledirete il nuovo locale che vi hanno aperto sotto casa e abiterete in Basso San Donato dove convivete con martellate e piallature dei vostri vicini che ristrutturano. Il sabato mattina. In amore tutto filerà liscio. Ma per i vostri amici. Voi invece resterete single convinti, certi di bastarvi da soli, come un candidato alla primarie del Pd. CAPRICORNO Il 2011 potrebbe sembrare il vostro anno, cari Capricorni. Avrete grande fortuna quando i saldi dell’Epifania transitano nel segno. Dopo, purtroppo, saranno soltanto mesi di carestie e bisogni impellenti. Ma voi avete pazienza e vi darete da fare: vi iscriverete a corsi di teatro, danza afro, sommellier, taglio e cucito, guida sicura, nuoto sincronizzato, cucina medievale, design d’interni. Passerete parecchie sere all’Artintown a San Salvario nella speranza di istruire qualcuno su quanto avrete imparato, ma naturalmente sarete da soli tutto il tempo.

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Verso fine anno, mollerete ogni hobby e finirete per fare pilates in centro, come tutti. Il vostro colore fortunato, quindi da portare perfino nell’intimo, è il malva, che tra l’altro è in congiunzione con Eataly. Giorno favorevole il lunedì mattina presto, dalle 5 e mezza alle 6 e 10. Se siete in turno alle presse di Mirafiori avrete successo, se siete cassintegrati prendetevela con gli altri condomini. ACQUARIO Il 2011 sarebbe stato l’anno giusto per voi per realizzarvi, amici dell’Acquario. Invece vi siete beccati il morbo del salutista. Ve ne accorgerete perché asciugherete il box doccia dopo esservi lavati e farete la spesa al Frutto permesso di via Napione. In primavera, per entrare nel Clan dei Vegetariani, mangerete frutta e verdura di Chivasso e abolirete tutti i cibi di provenienza animale. Nel dubbio continuerete a servirvi del takeaway cinese sotto casa. In estate, per entrare nella Setta dei Vegani, diventerete “crudisti”; chi di voi ha una sorella “vicina ai potenti” e come cognato il più influente produttore televisivo, verso luglio, potrebbe pubblicare un best-seller dal titolo “Crudo e mangiato (ma non digerito)”. Poiché siete ecologisti fino al midollo non userete veicoli a motore. La vostra pietra portafortuna è quella di Luserna: vorreste andare a prenderne una da usare come ciondolo, ma il treno arriva solo fino a Pinerolo. PESCI Il vostro 2011, anno meraviglioso per i Pesci, beneficierà del passaggio nella costellazione della linea Ryanair dalla Russia. L’effetto astrofavorevole svanirà, però, meno di un’ora dopo i ritardi al recupero bagagli. Per i nati nella prima decade, influsso positivo di Superga, in quadratura col segno. Chi è della seconda o terza decade invece subirà le traiettorie negative della Fiom e dei dipendenti Rai di via Cernaia che resteranno a casa. In primavera vi vanterete di esservi fatti sa soli, come il gelato di Grom. In estate dovrete affrontare delle sfide, specie per chi di voi farà il bagno nel Po per sfuggire alla calura torinese. Gli ultimi mesi dell’anno saranno speciali per le cuspidi con l’Ariete. Per tutti gli altri imbarazzi per gli inviti al Circolo della Stampa o borbottii per lo zig zag tra le cacche di cane di razza sulla pista ciclabile di corso Re Umberto, tratto Crocetta.

235 Post/teca fonte: http :// torinocronica . wordpress . com /2011/01/10/ loroscopo -2011- di - torino - cronica /

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14/1/2011 "Siamo tutti figli della vostra civiltà"

JOHN FITZGERALD KENNEDY

Dal discorso che JFK pronunciò nel 1961 in occasione dei 100 anni dell’Unità d’Italia.

Molti dei presenti non sono italiani né per sangue, né per nascita, ma ritengo che tutti noi abbiamo un grande interesse per questo anniversario.

Tutti noi, nel senso più vasto, dobbiamo qualcosa all’esperienza

236 Post/teca italiana.

E’ un fatto storico straordinario: ciò che siamo e in cui crediamo ha avuto origine in questa striscia di terra che si protende nel Mediterraneo. Tutto quello per la cui salvaguardia combattiamo oggi ha avuto origine in Italia, e prima ancora in Grecia. Perciò per me come Presidente degli Stati Uniti è un onore partecipare a questa occasione importantissima nella vita di un Paese amico, la Repubblica Italiana.

Aggiungo, ed è un altro fatto storico strano, che il nostro Paese, così importante per la civiltà occidentale, venne scoperto dall’ardita e difficile navigazione di un italiano, Cristoforo Colombo. Il nostro Paese aveva meno di un secolo quando furono poste le basi dell’Italia moderna.

L’Italia e gli Stati Uniti hanno un legame antico e uno nuovo, intrecciati inestricabilmente, nel passato, nel presente e, crediamo, nel futuro.

Il Risorgimento, da cui è nata l’Italia moderna, come la Rivoluzione americana che ha dato le origini al nostro Paese, è stato il risveglio degli ideali più radicati della civiltà occidentale: il desiderio di libertà e di difesa dei diritti individuali.

Lo Stato esiste per proteggere questi

237 Post/teca diritti, che non ci vengono grazie alla generosità dello Stato. Questo concetto, le cui origini risalgono alla Grecia e all’Italia, è stato, secondo me, uno dei fattori più importanti nello sviluppo del nostro Paese.

E’ fonte di soddisfazione per noi sapere che coloro che hanno costruito l’Italia moderna siano stati in parte ispirati dalla nostra esperienza, così come noi prima eravamo stati in parte ispirati dalla vecchia Italia. Per quanto l’Italia moderna abbia solo un secolo di vita, la cultura e la storia della penisola italiana vanno indietro di oltre duemila anni. La civiltà occidentale come la conosciamo oggi, le cui tradizioni e valori spirituali hanno dato grande significato alla vita occidentale in Europa dell’Ovest e nella comunità Atlantica, è nata sulle rive del Tevere.

A questo ruolo storico della civiltà italiana dobbiamo aggiungere il contributo di milioni di italiani che sono venuti nel nostro Paese ha rafforzarlo, a farne la loro casa e diventarne cittadini di valore.

Questi legami antichi tra il popolo dell’Italia e degli Usa non sono mai stati più forti di quanto lo sono oggi, né sono mai stati in maggiore pericolo. La storia dell’Italia post-bellica è una storia di determinazione e coraggio nell’affrontare una missione grande e

238 Post/teca difficile. Il popolo italiano ha ricostruito un’economia e una nazione distrutti dalla guerra, e ha svolto un ruolo vitale nello sviluppo dell’integrazione economica dell’Europa Occidentale.

E’ certamente l’esperienza più incoraggiante del dopoguerra: l’Italia ha migliorato il benessere del suo popolo, portandogli la speranza per una vita migliore e giocando un ruolo significativo nella difesa dell’Occidente.

Nel grande anniversario del 1961 vediamo che ancora una volta forze nuove e potenti tornano a sfidare le idee su cui si fondano sia l’Italia che gli Stati Uniti. Se dobbiamo affrontare questa nuova sfida, dobbiamo mostrare ai nostri popoli e al mondo che ci guarda, che chi è disposto ad agire nella tradizione di Mazzini, Cavour e Garibaldi, come di Lincoln e Washington, può portare agli uomini una vita più ricca e più piena.

Questo è l’obiettivo del nuovo Risorgimento, un nuovo risveglio delle aspirazioni più antiche dell’essere umano per la libertà e il progresso, e la fiaccola accesa nell’antica Torino un secolo fa guida la lotta degli uomini dovunque: in Italia, negli Stati Uniti, in tutto il mondo intorno a noi. fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / gEditoriali . asp ? ID _ blog =25& ID _ articolo =8294& ID _ sezione =& sezione =

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14/1/2011 - TACCUINO

Centrosinist ra e centrodestra Due crisi in fotocopia

MARCELLO SORGI

Un tempo si diceva: simul stabunt, simul cadent. Forse si tornerà a ripeterlo a proposito dei due maggiori partiti, nati uno dopo l’altro ed ora alle prese con crisi simmetriche e parallele. La malattia che sta consumando il Pd somiglia stranamente a quella di cui ha sofferto il Pdl fino alla rottura, con Veltroni nella parte di Fini e Bersani in quella di Berlusconi.

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Come Fini a Montebello, Veltroni ha convocato un’assemblea della sua corrente a Torino, città ad alto valore simbolico perché è lì che il partito fu fondato, dallo stesso ex-segretario adesso finito in minoranza. Bersani non ha gradito e ieri, in direzione, ha richiamato all’ordine i veltroniani, ricevendone per tutta risposta le dimissioni di Fioroni e Gentiloni dai loro incarichi di vertice. A questo punto il segretario ha frenato e la frattura è stata in qualche modo ricomposta. Ma la sensazione di tutti è che il Pd sia ormai alle soglie della dissoluzione, e che Bersani, pur godendo di una larga maggioranza interna (Franceschini e Fassino, che prima stavano con Veltroni, sono passati con il segretario), non sia in grado di governarlo e di imporre una sua linea.

In questo quadro il caso Fiat e il referendum di Mirafiori, più che l’ultima occasione di divisione sono apparsi come un pretesto per portare la situazione interna ai limiti di rottura. Che il maggior partito di opposizione decida di discutere di un problema importante, legato al mondo del lavoro, come l’accordo tra Fiat, Cisl e Uil, contestato da Cgil e Fiom, è del tutto legittimo. Ma che si riduca a farlo solo nel giorno in cui a Mirafiori si aprono le votazioni del referendum proclamato dall’azienda, e dopo che il fior fiore dei dirigenti, da Fassino a

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Livia Turco, da Chiamparino a D’Alema, fino ai cosiddetti rottamatori e al sindaco di Firenze Renzi, si sono espressi nei modi più svariati, è per lo meno singolare.

Se Bersani voleva schierare il partito con la Cgil, come è parso di capire alla vigilia della direzione, forse doveva pensarci un po’ prima. E in ogni caso doveva pensare per tempo ad aprire la discussione, senza aspettare l’ultimo momento. Tra l’altro non si capisce perché, dei tanti dirigenti che si sono schierati a favore del “sì” a Marchionne e al referendum, l’unico che sia stato severamente redarguito, come se non avesse titolo per esprimersi, sia Renzi. Sono queste incertezze, solo le ultime di una lunga serie, a dare la sensazione di un Pd alle soglie di un’implosione. Non è mai buona cosa, in una democrazia che per funzionare ha bisogno anche dell’opposizione, che il maggior partito della stessa opposizione si dissolva. fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / gEditoriali . asp ? ID _ blog =25& ID _ articolo =8295& ID _ sezione =& sezione =

------"E ridemmo, ridemmo insieme e da soli, a squarciagola e in silenzio, eravamo decisi a ignorare qualunque cosa andasse ignorata, decisi a costruire un nuovo mondo dal nulla,

242 Post/teca se nulla si poteva salvare nel nostro mondo, fu uno dei giorni più belli della mia vita, un giorno in cui vissi la mia vita e non pensai affatto alla mia vita." — — Jonathan Safran Foer In punta di note (via lunacrescente)

------"Sto cercando una cittadella arroccata nella quale ritirarmi con un gruppo di volenterosi, decisi a puntare il dito sull’Italia dall’alto di un esempio di dignità ed autonomia. In questo medioevo futuro avremo bisogno di uomini come te. Porta una balestra." — (ricevo strane convocazioni) dov’è che si firma? (via fastlive) Ci sto, preparo lo zaino e le frecce. (Fonte: eclipsed, via nipresa)

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Old Clint non invecchia, regna sull’immagine. C’è più suggestione nei suoi effetti speciali quasi elementari (lo tsunami) che in ore e ore di coglionate catastrofiste. C’è più miracolo nei raggi di luce con cui accarezza miseri arredi (la casa dei gemelli con madre tossica) che in tutta la fuffa tv natalizia.

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Ma “Hereafter” non è un capolavoro, e Matt Damon è solo l’ennesimo sensitivo che vive il suo dono come una maledizione. E’ una buona opera, un’opera buona che Eastwood tenta invano di fare sua – scrive Peter Morgan di “The Queen” e “Frost/Nixon”, produce Spielberg – smussando con abile tocco il soprannaturale e assecondando incroci che evocano fiaba (Dickens) e realtà (gli attentati a Londra) con grandi speranze di commozione terrena nel centro del mirino. Tutto è lieve, dosato, antico, foscoliano. Anche la retorica. (a lessio guzzano ) via: http :// plettrude . tumblr . com / fonte: http :// www . alessioguzzano . com / set . php

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Edwin Edwards , una storia Edwin Edwards ha ottantatré anni. È un politico, è americano, è bianco ed è democratico. Viene eletto governatore della Louisiana per la prima volta nel 1972, facendo molto parlare di sé per il suo essere perennemente sopra le righe: polemico, carismatico, impomatato, molto colorito, appassionato di lusso e bei vestiti. È un bianco democratico del sud, e nonostante sia un democratico del sud nato negli anni Venti, è un fortissimo sostenitore dei diritti civili: è stato il primo governatore della Louisiana a scegliere dei neri e delle donne per importanti incarichi della sua amministrazione. Ed è ateo: o meglio, non ha mai detto di essere ateo, ma ha detto che non crede nella resurrezione di Cristo e che, se c’è un paradiso, lui non crede di andarci. Fa due mandati, nel periodo in cui il settore petrolifero della Louisiana va alla grande. Nel 1979 la costituzione dello stato gli impedisce di candidarsi di nuovo. Aspetta quattro anni e si ricandida nel 1983: è così sicuro di vincere che dice che può perdere “solo se mi beccano a letto con una ragazza morta o con un ragazzo vivo”. Del suo avversario, un repubblicano a caso, ha poca considerazione: “è così lento”, dice, “che ci mette un’ora e mezza a

244 Post/teca guardare 60 Minutes“. Lo rieleggono, comunque, nel 1983: terzo mandato. La campagna elettorale costa più del previsto, così Edwards tira su dei soldi offrendo a seicento persone la possibilità di fare un viaggio con lui in Europa. Ognuno paga diecimila dollari, la maggior parte dei quali finisce a ripianare i debiti. Vanno in Francia e in Belgio: mangiano a Versailles e giocano al casinò di Montecarlo. Perché Edwin Edwards è anche fissato col gioco d’azzardo, coi casinò, con le scommesse. Tornano a casa, ognuno col suo bel adesivo: “I did Paris with the Gov.”. Per molti anni in Louisiana capita di imbattersi in auto con l’adesivo attaccato sul portabagagli. La terza legislatura non è un trionfo come le altre due. Il settore petrolifero aveva fatto la fortuna della Louisiana negli anni Settanta ma le cose sono cambiate. Le finanze dello stato se la passano male. Edwards introduce delle nuove tasse, cosa che non giova alla sua popolarità. Poi arriva il colpo di grazia, o meglio: quello che sembra il colpo di grazia. Il procuratore dello stato lo mette sotto inchiesta accusandolo di aver preso due milioni di dollari di tangenti in cambio di qualche favore a qualche azienda. Corruzione. Durante il processo, a un certo punto Edwards raggiunge l’aula dell’udienza con un mulo, partendo dal suo hotel: per rappresentare simbolicamente la rapidità e l’intelligenza del sistema giudiziario, dice. Tiene delle conferenze stampa che sono degli show. Alla fine viene assolto. La sua popolarità però è andata, anche perché la stampa inizia a indagare in modo più puntuale sulle sue abitudini: vengono fuori viaggi a Las Vegas durante i quali Edwards perde centinaia di migliaia di dollari giocando d’azzardo sotto falso nome e pagando con valigette piene di soldi di dubbia provenienza. Il suo mandato finisce, Edwards decide incredibilmente di candidarsi di nuovo. Si vota con una specie di maggioritario a doppio turno, senza primarie. Edwards viene sfidato da molti candidati, tra questi un democratico moderato che si chiama Buddy Roemer. A un certo punto, durante un dibattito, Roemer dice che se dovesse essere

245 Post/teca sconfitto darebbe il suo appoggio a chiunque. “Chiunque ma non Edwards”. I sondaggi lo davano per ultimo, prima del dibattito: dopo quella frase raggiunge e supera tutti gli altri. Edwards allora ribalta il tavolo e si ritira, prima del voto: sembra una resa incondizionata, ma così facendo impedisce a Roemer di allargare la sua coalizione cercando l’appoggio di tutti gli altri candidati. Roemer deve ancora essere eletto ed era già un governatore di minoranza. Vince, comunque. Ma Edwards si mette lì e aspetta, quattro anni. È il 1991 ed Edwards, ritenuto da molti un politico logoro e implicato in strani affari, decide di candidarsi a un quarto mandato da governatore della Louisiana. Gira un detto, in quegli anni, messo in giro da un giornalista locale: Edwards potrebbe vincere solo se il suo sfidante fosse Adolf Hitler. I repubblicani decidono di sfidare il pronostico candidando David Duke: un pazzoide suprematista bianco, negazionista dell’Olocausto, ex membro del Ku Klux Klan e di qualche gruppetto neonazista. E c’è sempre Roemer, il governatore uscente. Al primo turno Edwards prende il 34 per cento. Arriva secondo Duke, il nazista. Governatore eliminato. Ballottaggio: Edwards contro Hitler, o quasi. Edwards si prende l’appoggio dei democratici in massa e di molti repubblicani: persino il presidente George H. W. Bush lo sostiene pubblicamente. Chiunque ma non il nazista. Edwards vince: quarto mandato. Fa aprire diversi casinò, e quindi è tutto un fiorire di case da gioco, richieste di licenze, casinò sulle barche, permessi da accordare, favori da chiedere e da fare. Amministra ordinariamente le finanze dello stato. Emana un ordine esecutivo per proteggere gli omosessuali e i transessuali dalle discriminazioni da parte del governo statale per quel che riguarda servizi, contratti, condizioni lavorative. Annuncia che si candiderà per ottenere un quinto mandato, poi si sposa (per la seconda volta) e cambia idea, annunciando invece che alla fine del suo mandato andrà in pensione. Edwards finisce il suo mandato, non si ricandida, va in pensione. Nel 1998 un imprenditore texano lo accusa di aver ricevuto tangenti

246 Post/teca per quasi un milione di dollari. Le indagini vanno spedite e stavolta gli investigatori non vogliono che finisca come qualche anno prima: lo seguono, lo filmano, lo registrano, alla fine si ritrovano in mano un sacco di materiale e soprattutto un sacco di prove. Le licenze per i casinò venivano semplicemente vendute al miglior offerente. Edwards viene condannato, riconosciuto colpevole tra le altre cose di corruzione, associazione a delinquere, estorsione, riciclaggio di denaro. È il 2001. Edwards ha settantaquattro anni. Viene condannato a dieci anni di prigione e ci va sul serio: niente condizionale, niente domiciliari. I primi tre anni li passa in un carcere del Texas, poi lo trasferiscono in una struttura in Louisiana. Lui nel frattempo divorzia dalla seconda moglie e si mette con un’altra donna. Nel 2007 compie ottant’anni. Nel 2008 alcuni amici di Edwards, due suoi ex rivali politici e l’ex presidente George H. W. Bush chiedono all’allora presidente George W. Bush di graziarlo, alla fine del suo mandato. Bush nega la grazia, poi lascia la Casa Bianca, poi arriva Obama. Nel frattempo i dieci anni passano. Oggi, 13 gennaio 2011, Edwin Edwards è uscito di prigione. fonte: http :// www . francescocosta . net /2011/01/13/ edwin - edwards - una - storia /? utm _ source = feedburner & utm _ medium = feed & utm _ campaign = Feed :+ Francescocosta + ( francescocosta . net )

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Il futuro e i diritti

È una vittoria di principio, la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento. Una vittoria simbolica – il riaffermarsi dell'idea di Giustizia così come la definisce la Costituzione – destinata tuttavia a restare senza effetti concreti. Come quasi sempre accade in questo nostro disastrato paese non succederà nulla, alla prova dei fatti. Ora che la Consulta ha fatto decadere in parte i contenuti della legge che consentiva al premier di non presentarsi mai in aula il presidente del Consiglio dovrà farlo,

247 Post/teca invece: l'imputato si presenti, dice questa decisione in teoria. In pratica però esisteva già prima della legge un articolo del codice che definiva le occasioni di legittimo impedimento: il giudice, di nuovo e come sempre, deciderà di volta in volta se ci siano motivi validi, Silvio Berlusconi farà in modo di presentare giustificazioni che appaiano valide.

Si presenterà in aula il meno possibile, giusto qualche volta, diciamo un paio, per denunciare davanti alle telecamere all'uscita dall'aula la sua condizione di perseguitato. Può comunque dormire sonni tranquilli: tutti i processi in corso ripartono da zero per motivi legati alla nuova composizione dei collegi (gli anni passano, i giudici cambiano) dunque a conti fatti sono tutti destinati a cadere in prescrizione. Passeranno i mesi e forse gli anni, non ci saranno sentenze definitive per chi ha corrotto e comprato il comprabile, cose e persone, in spregio al diritto e alla decenza.

Lo spregio al diritto e alla decenza è del resto lo spirito del tempo. Ho ricevuto decine di lettere, in questi giorni, di operai di Mirafiori così come era accaduto nei giorni di Pomigliano. Ho visto anziani operai piangere. La responsabilità che grava sulle spalle dei lavoratori Fiat, in queste ore, è enorme, sproporzionata, ingiusta. Un Paese non può delegare le sorti del futuro di tutti alla decisione di chi non ha alternative al suo posto di lavoro. E' vero che il modello Fiat è destinato a fare scuola. E' proprio per questo che i lavoratori della Fiat non dovrebbero essere lasciati soli a decidere.

Ci dovrebbe essere un governo che prende posizione in favore del lavoro e dei diritti (ne abbiamo all’opposto uno che si appiattisce sul diktat di Marchionne), naturalmente un sindacato, ovviamente una sinistra ferma e coesa che si ponesse, unita, il problema della tutela dei lavoratori di oggi e di domani. Chi chiede agli operai di bocciare l'intesa lo fa da casa, dal caldo del suo salotto. Se è una rivoluzione quella che pesa sugli uomini di Mirafiori allora forza, tutti ai cancelli a fare la rivoluzione con loro. Gli inviti e gli appelli scritti al computer, col sigaro che fuma nel posacenere accanto, sono un insulto a quei vecchi che piangono, a quei giovani che scrivono “io come dico a mia moglie che ho perso il lavoro, come pago i libri di scuola ai miei figli, come gli compro da mangiare?”.

248 Post/teca

Cosa fareste voi, ciascuno di voi, se aveste 50 anni, due figli, 1800 euro al mese e nessuna alternativa? Bisognerebbe dire di no, certo, al ricatto.

Però bisognerebbe che un istante dopo ci fosse qualcuno che dicesse bravo, hai fatto la scelta giusta, eccoci qua a garantirti la vita, vieni. Eccomi, sono il governo del tuo paese, vieni. Eccomi, sono un imprenditore illuminato, ecco un posto nella mia azienda. Eccomi, sono l'opposizione, da oggi posso darti io da vivere. Stanno così le cose? Non mi pare proprio. Sono con le spalle al muro, a Mirafiori. Siamo tutti con le spalle al muro insieme a loro. L'atteggiamento di Marchionne è inaccettabile, tutti gli aut aut lo sono: non si porta via la palla dal campo a chi non accetta le nuove (odiose, illegittime) regole del gioco. Si decide insieme, si decide prima di scendere in campo la regola qual è. Lo sanno anche i bambini, persino quelli che fanno i capricci e la palla non la vogliono restituire: sanno che hanno torto.

L'altro corno del problema, però, è che la difesa dei diritti di tutti – negli ultimi decenni – è stata troppo spesso la mortificazione del merito di molti e l'alibi dietro cui si sono nascosti coloro che hanno approfittato della tutela collettiva (perché non sapevano, poveri di capacità e fuori mercato, o perché non volevano, colpevoli di opportunismo) per dare il meno possibile e prendere per sé a discapito degli altri, specialmente dei più giovani. E’ anche questa l’origine della tragedia della generazione senza futuro. Insieme ai deboli sono stati protetti i furbi. Questo anche va detto, in tempi di gravissima crisi economica e sociale: che troppo spesso le tutele garantiscono insieme chi lavora molto e chi poco, offrono giuste garanzie a chi non può e ingiuste tutele a chi non vuole e non sa. Questo avrei voluto sentir dire, anche, da chi difende giustamente i diritti di tutti. Da chi dice agli operai: votate No. Avrei voluto sentir dire mettiamoci al lavoro tutti insieme per ridisegnare i confini delle tutele collettive - per i vecchi come per i giovani che non avranno contratti equi né pensioni – per garantire chi sa e vuole fare e per mettere in fondo alla lista chi approfitta. Non l'ho sentito e temo che pagheranno i deboli, come sempre, e che vinceranno i furbi e i farabutti al potere, come tutto intorno a noi accade ogni minuto.

13 gennaio 2011

249 Post/teca concita de gregorio fonte: http :// concita . blog . unita . it / il - futuro - e - i - diritti -1.265933

------L’atomo di Rutherford compie cent’anni

14 gennaio 2011 tags: atomo, centenario, Rutherford di Roberto Cantoni

STORIA – I britannici ci vedono un plumcake, i francesi un farbretone. In Italia, invece, dicono abbia una spiccata somiglianza con un panettone. Comunque lo si veda, il primo modello dell’atomo descritto dal britannico Joseph John Thomson (1856- 1940) sembra sbizzarrire l’interesse degli appassionati di pasticceria. E a

250 Post/teca ragione: perché difficilmente si sarebbero trovati esempi migliori per illustrare un modello composto da un certo numero di elettroni (l’uvetta) spazialmente localizzati, immersi in una distribuzione di carica positiva diffusa (l’impasto lievitato). La formulazione del modello a panettone del 1904 seguiva la scoperta, sette anni prima, dell’elettrone, sempre a opera di Thomson. Con quella scoperta si capì che la materia era formata di due parti: una negativa, gli elettroni appunto, e l’altra positiva. Come fosse però organizzata quest’ultima, restava ignoto: la scoperta del nucleo avvenne infatti successivamente all’ideazione del modello di Thomson. Quest’ultimo resistette fino al 1909, anno in cui, con l’esperimento di Geiger-Marsden diretto dal fisico neozelandese di nascita e britannico di adozione Ernest Rutherford (1871-1937), fu scoperta l’esistenza del nucleo atomico.

Attorno al 1900, infatti, si iniziò a pensare che gli atomi fossero sfere permeabili. Nel 1909 Rutherford, con la collaborazione di Hans Geiger e Ernest Marsden, sottopose a verifica questa teoria con l’esperimento, oggi famosissimo, della lamina d’oro. L’esperimento era semplice: una sorgente radioattiva avrebbe sparato un fascio di particelle alfa, ognuna formata da due protoni e due neutroni (al tempo ci si sarebbe espressi diversamente, dal momento che il neutrone fu

251 Post/teca scoperto soltanto una ventina d’anni dopo, nel 1932) contro una sottilissima lamina d’oro. Attorno alla lamina d’oro era stato disposto uno schermo ricoperto di solfuro di zinco, in modo che le particelle alfa, colpendo lo schermo, lasciassero tracce microscopiche nel solfuro di zinco. Lo scopo dell’esperimento era trovare prove a favore della teoria secondo cui gli atomi sono sfere permeabili neutre. Ci si aspettava che le particelle alfa, dotate di alta energia, non avessero problemi a sfrecciare attraversando qualche atomo: esse avrebbero dovuto semplicemente passare dritte attraverso la lamina d’oro e lasciare delle tracce in una piccola regione dello schermo posto dietro la lamina. In realtà, lo schermo mostrava tracce nella parte dietro la lamina ma, sorprendentemente, ne mostrava alcune anche nella parte di fronte alla lamina.

Rutherford interpretò così i risultati dell’esperimento: la maggior parte delle particelle alfa erano passate senza problemi attraverso le regioni più esterne degli atomi, e le particelle alfa restanti dovevano aver rimbalzato contro qualcosa, dentro gli atomi, che fosse piccolo, denso e di carica positiva. Anche se ciò sconfessava la sua ipotesi che gli atomi fossero sfere permeabili, gli forniva elementi per una nuova ipotesi: che l’atomo avesse un nucleo. Questo nuovo modello spiegava i suoi risultati, e non solo: è stato una chiave di volta per lo sviluppo della moderna teoria atomica. I risultati dell’esperimento del 1909 furono analizzati nei due anni successivi e, nel 1911, esattamente cent’anni fa, Rutherford pubblicò un articolo in cui formulava un nuovo modello, che prese il nome di “modello planetario”. Come nel modello planetario vero e proprio a cui si riferiva,

252 Post/teca infatti, anche quello atomico prevedeva una carica positiva centrale concentrata in un volume ridotto (il “Sole” del sistema) e, a distanze considerevoli, minuscole cariche negative che vi orbitavano intorno (come i pianeti orbitano intorno al Sole) seguendo traiettorie ben precise. Ecco perché ancora oggi l’atomo viene rappresentato secondo il modello di Rutherford, per esempio nella bandiera dell’AIEA. Eppure, quel modello non vale più. O, per meglio dire, vale soltanto parzialmente. Già perché, se con il modello di Rutherford venivano risolte alcune delle questioni lasciate insolute dal “panettone” di Thomson, se ne aprivano altre, nuove. Per esempio, il modello planetario non andava per niente d’accordo con la teoria elettromagnetica della fisica classica: gli elettroni di Rutherford avrebbero dovuto emettere, orbitando attorno al nucleo, energia sotto forma di radiazione elettromagnetica, e di conseguenza spiraleggiare elegantemente fino a schiantarsi nel nucleo stesso. Ma ciò non accadeva. Fu soltanto con la meccanica quantistica, soprattutto con gli studi di Niels Bohr (1885-1962) prima, che di Rutherford era stato allievo, e con quelli di Werner Heisenberg (1901-1976) ed Erwin Schrödinger (1887-1961) poi, che si arrivò alla conclusione che non si poteva parlare di orbite né di traiettorie per gli elettroni, ma soltanto diprobabilità di trovare un elettrone in un certo punto dello spazio. Insomma, dal modello planetario sparivano non solo le orbite, ma anche gli elettroni intesi come oggetti identificabili singolarmente a un dato tempo e in un dato spazio. Gli elettroni formavano invece, secondo gli studi di inizio XX secolo, una nuvola che circondava il nucleo: un’entità, piuttosto che un insieme di unità. Ma la rappresentazione dell’atomo Rutherford è ormai entrata nella storia, e ci sono pochi dubbi sul fatto che neppure i prossimi centenari degli studi di Bohr e colleghi riusciranno a scalfire l’immagine a cerchi e sfere del suo modello. fonte: http :// oggiscienza . wordpress . com /2011/01/14/ latomo - di - rutherford - compie - centanni /# more - 14096

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Regalare un Gronchi rosa nel 2011 Una pubblicità in prima pagina sulla Stampa suggerisce un'idea per un regalo

253 Post/teca anacronistica, ma coraggiosa 8 GENNAIO 2011

Sulla prima pagina della Stampa di ieri, una pubblicità a fondo pagina invitava i lettori a «scegliere un regalo che vale» per una occasione particolare e a orientarsi sull’acquisto di un francobollo da collezionismo. L’annuncio pubblicitario, che suona allegramente anacronistico in tempi di videochat e iPad, comprendeva una riproduzione del Gronchi rosa, forse il francobollo più famoso della filatelia italiana che per un certo periodo riuscì a rendere pop il collezionismo di francobolli negli anni Sessanta, divenendo proverbiale sinonimo di oggetto prezioso fin dentro alle storie di Topolino.

La storia del Gronchi rosa e delle ragioni del suo valore si è un po’ perduta, nel frattempo. Per celebrare il viaggio del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi in Sudamerica, il 3 aprile del 1961 le Poste decisero di emettere una serie di francobolli commemorativi. Quello di colore rosa aveva un valore di 205 lire e rappresentava l’aereo del presidente in viaggio tra l’Europa e il Perù. Il disegnatore del francobollo aveva tratto l’ispirazione per il disegno da un vecchio atlante geografico e finì per sbagliare i confini dello Stato del Sud America. Sul Gronchi rosa, infatti, mancavano i territori nel bacino del Rio delle Amazzoni che il Perù aveva annesso dopo la guerra con l’Ecuador nei primi anni Quaranta. La scorretta rappresentazione dei confini non piacque all’ambasciatore peruviano in Italia, che protestò ottenendo la sospensione della distribuzione del francobollo. Per riparare al danno, le Poste provarono anche a far sparire dalla circolazione i Gronchi rosa già distribuiti, coprendo quelli sulle buste già affrancate con una versione corretta e di colore grigio dei confini del Perù. L’operazione delle Poste contribuì a rendere raro il Gronchi rosa e a farlo diventare uno dei pezzi più ambiti per i collezionisti italiani. A distanza di quasi cinquant’anni, non è ancora del tutto chiaro quanti Gronchi rosa abbiano circolato e quanti siano stati ritirati dalle Poste. I Gronchi rosa venduti, stando alle cifre ufficiali, furono 79.625, ma alcuni cataloghi di filatelia arrivano a ipotizzare cifre intorno al milione, forse confondendo la tiratura con l’effettivo numero di francobolli circolati. Anche a causa delle informazioni poco chiare sull’effettivo numero di Gronchi rosa ancora esistenti, lequotazioni del francobollo sono molto variabili. Un Gronchi rosa nuovo mai usato vale circa mille euro, mentre la quotazione si dimezza per gli esemplari che furono coperti dalle Poste con il francobollo grigio rivisto e corretto. Per le buste affrancate sia col Gronchi rosa che con la versione grigia riparatrice, le

254 Post/teca quotazioni oscillano tra i 900 e i 600 euro. Quelli che hanno più valore sono i francobolli che sfuggirono alle Poste e che hanno viaggiato con regolare timbro postale. Le quotazioni in questo caso sono sull’ordine delle decine di migliaia di euro e, nel caso delle buste che hanno viaggiato sull’aereo presidenziale, si può arrivare ai trentamila euro. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/08/ cosa - e - il - gronchi - rosa /

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20110115 iwdrm: “Mr. President, I’m not saying we wouldn’t get our hair mussed. But I do say no more than ten to twenty million killed, tops.” Dr . Strangelove or : How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (1964)

------"[…] soprattutto i giovani sono l’anima della protesta nelle strade, gli stessi cresciuti all’ombra del presidente dittatore, che un tempo forse ha rappresentato l’ancora di salvezza dalla povertà. Tante famiglie, soprattutto nella capitale, si sono affidate in questi anni alle raccomandazioni elargite dalla tentacolare e avidissima [cricca] famiglia del presidente per poter avere un lavoro, una casa, un posto qualsiasi. Ma adesso hanno deciso che è tempo di rialzare

255 Post/teca la testa, anche per i loro genitori, che li guardano andare a manifestare e sperano di rivederli tornare a casa […]" — no, non è l ’ Italia . (via ze - violet )

------"La Regione Sardegna non bada a spese: ristrutturata Villa Devoto, la sede di rappresentanza a Cagliari che Renato Soru non aveva mai voluto abitare e che intendeva restituire alla città. Il governatore Ugo Cappellacci si è fatto allestire nell’appartamento presidenziale una sala fitness attrezzata di tutto punto e una lussuosa stanza da letto, anch’essa sistemata e arredata in base alle esigenze dell’atletico inquilino. Quando si dice le priorità." — Una sala fitness per Cappellacci (via ladridipane) (via ladridipane)

------"Esiste una specie di morti viventi, di gente banale che a malapena ha coscienza di

256 Post/teca esistere se non nell’esercizio di qualche occupazione convenzionale." — - Robert Louis Stevenson (via imlmfm)

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3 nding : scarligamerluss: Secondo quanto riferito, tra i prodotti incriminati vi erano mele moldave con pesticidi, pane realizzato con forni non idonei, sale proveniente dal Marocco e infettato da batteri. Inoltre il console Usa riferisce che, secondo quanto appreso da un comandante dei carabienieri, fabbriche a Caserta producevano mozzarelle usando latte in polvere boliviano.

Wikileaks Italia : cibi avariati in Campania

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“non mi piace festeggiare i compleanni”. davvero? “sì”. e invece secondo me è una cazzata. secondo me si vede subito chi una festa di compleanno la vorrebbe eccome, l’ha sempre voluta, ma pensa perché mai qualcuno dovrebbe volermi festeggiare. e così le feste di compleanno se le beccano sempre i bambini che attirano l’attenzione, quelli che la vogliono, anzi, la pretendono una festa di compleanno. io ho costruito un’esistenza sull’organizzare feste per chi non le voleva, o sull’accarezzare l’unico cucciolo che se ne stava zitto e buono in un angolo. e allora ecco cosa penso. se non hai sbagliato a capire, se hai scelto bene il tuo festeggiato, succederà che magari per tutta la festa resterà un po’ rigido, un po’ imbarazzato, ma alla fine, soli nel buio della vostra stanza, ti stringerà forte e ti dirà, nessuno aveva mai organizzato una festa di compleanno per me. come quel cucciolo che continua a starsene zitto e buono in un angolo, ma da quando l’hai accarezzato quella prima volta quando ti avvicini tu scodinzola. tienili vicino al cuore, quell’abbraccio e quello scodinzolio. è un bellissimo mestiere, quello dell’apriscatole, se scegli le scatole giuste.”

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— vienimi nel cuore (via allieandnoah) via: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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20110116 "- Questo libro contiene la verità in ogni sua parte, giusto? - Sì, è vero. - A lei piacciono i gamberi? - Bè, a dire il vero sì. - Perché nel levitico, giusto un paio di righe prima di ‘giacere con un maschio è un abominio’, dice che è un abominio anche mangiare i crostacei. [..] Il punto è che se lei può mangiare i gamberi, io posso succhiare il cazzo." — Queer as folk. (via ilventocontinuaasoffiareforte) (via lalumacahatrecorna)

------"Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d’oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco,

258 Post/teca così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale”. Giovanni Paolo II" — Lame Duck su FB (via wollawolla) Presto Beato, poi Santo. Poi mi chiedono a che serve sbattezzarsi… ecco a cosa serve, a non avere niente a che fare con questi criminali. (via noneun) (via hardcorejudas)

------mercipuorlapromenade: l’inverno finirà e ci piacerà ballare più di quanto non ci piaccia già e si parlerà di quando mi dicevi ma che begli occhi che hai (chissà come mi vedi bene)

(via alune)

------Caro professore, come la mettiamo con gli intellettuali, Torino e la Fiat? Cosa avete combinato? «Non va così male, come si potrebbe pensare perchè quelli che hanno ancora la forza di parlare qualche cosa giusta l’hanno detta, si sono schierati per il no

259 Post/teca all’accordo di Mirafiori, hanno difeso i diritti degli operai. Il mio rammarico è la politica, quella dei partiti e degli amministratori, e anche il sindacato. Dopo la vittoria del sì cosa facciamo, che lotte pensa di mettere in campo la Cgil? Il diritto di sciopero è un diritto individuale sancito dalla Costituzione, possiamo iniziare da qui, ma dobbiamo pensare ad autorganizzarci, a trovare nuovi sbocchi». Ci sono i partiti per questo? «Ma quali partiti vuol trovare… Il sindaco Chiamparino e il suo possibile successore Fassino si sono schierati apertamente con Marchionne, comprende il disastro in cui viviamo? Non siamo qui per divertirci». Se c’è una città dove l’impresa, la fabbrica, il lavoro, la condizione operaia hanno alimentato cultura e professioni, politica e sindacato, questa è Torino. Qui è nata l’industria dell’auto, questa è la città di Antonio Gramsci, del capitale e dei

260 Post/teca comunisti, questa è la company town per eccellenza dove alla fine degli anni Settanta ancora 130mila cittadini vivevano stretti alla Fiat. Se in altri tempi fosse comparso Sergio Marchionne con le sue proposte sapete cosa sarebbe successo? Il Pci avrebbe organizzato una conferenza operaia chiamando le più belle teste della politica, dell’economia, del sindacato e delle imprese a discutere di Fabbrica Italia. Sui grandi giornali, anche su quelli della Fiat, si sarebbero aperti dibattiti senza fronzoli. Il ministro del Lavoro, magari un democristiano duro e testone come Carlo Donat Cattin, avrebbe chiamato sindacati e impresa attorno a un tavolo per evitare dolorose fratture. Il parlamento avrebbe raccolto le sollecitazioni dell’impresa e del lavoro. Oggi non è rimasto quasi più nulla di tutto questo patrimonio, ogni soggetto gioca per sè e quello che risulta devastante, anche se

261 Post/teca pochi ne comprendono la tragica portata per la nostra democrazia, è la distruzione progressiva dei corpi intermedi di rappresentanza sociale, dal delegato di fabbrica fino al sindacato confederale. Anche gli intellettuali, di ogni origine e vocazione, hanno smarrito negli ultimi anni il loro ruolo di ricerca, di proposta, rifugiandosi in comodi incarichi accademici o mettendo la propria scienza al servizio della tv in cambio di pubblici riconoscimenti e generose retribuzioni. Diceva un grande torinese come Norberto Nobbio che «il compito dell’intellettuale è di seminare il dubbio e non di raccogliere certezze " — Vattimo e la Fiat: le colpe degli intellettuali italiani (da qui) (Fonte: seia)

------“ L ’ uguaglianza ” - Trilussa cornerlist: Fissato ne l’idea de l’uguajanza

262 Post/teca un Gallo scrisse all’Aquila: - Compagna, siccome te ne stai su la montagna bisogna che abbolimo ‘sta distanza: perché nun è né giusto né civile ch’io stia fra la monnezza d’un cortile, ma sarebbe più commodo e più bello de vive ner medesimo livello.-

L’Aquila je rispose: - Caro mio, accetto volentieri la proposta: volemo fa’ amicizzia? So’ disposta: ma nun pretenne che m’abbassi io. Se te senti la forza necessaria spalanca l’ale e viettene per aria: se nun t’abbasta l’anima de fallo io seguito a fa’ l’Aquila e tu er Gallo.

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20110117

" Peggiore insulto per un giornalista? Secchio di fango. Hack. Reporter amatoriale. PR. Corrispondente diversamente abile. Blogger. Apple non risponde alle tue chiamate."

- sondaggio di Joy Of Tech (luglio 2008) mailinglist: Punto-Informatico, Virgolette

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Il vero amore e' come i reumatismi: non li si capisce

263 Post/teca se non dopo averli avuti.

> Marie von Ebner-Eschenbach Mailinglist Buongiorno.it

------Da Venezia partono i roghi di libri . Vogliamo fare qualcosa ? uomoinpolvere: “L’assessore alla cultura della provincia di Venezia, l’ex-missino-oggi- berlusconiano Speranzon, ha accolto il suggerimento di un suo collega di partito e intimerà alle biblioteche del veneziano di: 1) rimuovere dagli scaffali i libri di tutti gli autori che nel 2004 firmarono un appello dove si chiedeva la scarcerazione di Cesare Battisti; 2) rinunciare a organizzare iniziative con tali scrittori (vanno dichiarati “persone sgradite”, dice). Il bibliotecario che non accetterà il diktat “se ne assumerà la responsabilità”. Si allude forse al congelamento di fondi, al mancato patrocinio delle iniziative, al mobbing, a campagne stampa ostili? La proposta ha avuto il plauso del COISP, un sindacato di polizia. Così il bibliotecario ci pensa due volte, prima di mettersi contro l’ente locale e le forze dell’ordine. Una cricca di “sinceri democratici” si sta già muovendo per estendere la cosa a tutto il Veneto, ed è probabile che l’iniziativa venga emulata oltre i confini regionali. Ecco cosa si può leggere sul “Gazzettino”: «Scriverò agli assessori alla Cultura dei Comuni del Veneziano perché queste persone siano dichiarate sgradite e chiederò loro, dato anche che le biblioteche civiche sono inserite in un sistema provinciale, che le loro opere vengano ritirate dagli scaffali […] Chiederò di non promuovere la presentazione dei libri scritti da questi autori: ogni Comune potrà agire come crede, ma dovrà assumersene le responsabilità. Inoltre come

264 Post/teca comunale a Venezia, presenterò una mozione perché Venezia dia l’esempio per prima […] Scriveremo agli assessori regionali Marino Zorzato e Elena Donazzan, perché estendano l’iniziativa in tutto il Veneto.» A questa schifezza dovremmo reagire tutti, non solo gli scrittori direttamente coinvolti o i bibliotecari direttamente minacciati. - Dovrebbero farsi sentire i cittadini, i lettori, i frequentatori delle biblioteche. - Dovrebbero farsi sentire amministratori, forze politiche e associazioni di Venezia e dei comuni circostanti. - Dovrebbe cercare di scriverne chiunque lavori nell’informazione o abbia un bloget similia; - Dovrebbe dire qualcosa l’Associazione Italiana Biblioteche. - Dovrebbero dire qualcosa i sindacati dei dipendenti pubblici. - Dovrebbero muoversi gli editori, anche legalmente, con querele e cause civili, a fronte di un’azione che procura loro danni materiali e morali. - Andrebbero mandate mail di protesta ai giornali (non solo a quelli veneti), andrebbero affissi volantini e lettere aperte alle bacheche di biblioteche e sale di lettura. - Andrebbero diffusi e linkati post come questo (in calce al quale metteremo gli aggiornamenti sulla vicenda) e qualunque altro articolo, testo o video che informi su questo personaggio, sulle sue intenzioni liberticide e su eventuali iniziative dei suoi emuli e sodali. Se sottovalutiamo l’iniziativa perché è stupida, si crea un precedente. E’ un’iniziativa tanto più pericolosa quanto più è stupida.”

Chi è questo Speranzon

Chi è il tizio che gli ha dato l ’ idea approfondisci e commenta su Mazzetta e su Giap | Wu Ming Foundation Questo è nazismo! Il solo aver pensato e detto queste cose è nazismo! Ancora prima che questi ordini vengano eseguiti! Contro il nazismo non ci può essere indifferenza! (via 3 n 0 m 15 )

------"[…] Su proposta di Marx. nel I congresso

265 Post/teca dell’Internazionale (Ginevra 1866) fu votata questa risoluzione: “Noi dichiariamo che la limitazione dell’orario di lavoro è la condizione indispensabile perché gli sforzi per emancipare i lavoratori non falliscano”. Di conseguenza veniva proposto che il limite legale per l’orario di lavoro fosse di 8 ore. La richiesta delle 8 ore era nata d’altra parte subito dopo l’abo-lizione della schiavitù nel 1861 tra la classe operaia americana. Ci sarebbero voluti decenni di lotte e di sangue. La giornata internazionale di lotta per le 8 ore, il 1° maggio, su cui si è costruito il movimento operaio mondiale, commemorava la strage di Chicago del 1886. I primi risultati furono tutti frutto di lotte di categoria: ad esempio in Inghilterra nel 1872 edili e meccanici strappano le 9 ore, mentre in Russia bisogna aspettare il 1882 per imporre almeno le prime limitazioni al lavoro minorile e femminile, e solo nel 1896-1897 i

266 Post/teca tessili di Mosca conquistano le undici ore e mezzo. Eppure sarebbero stati i lavoratori russi a ottenere per primi le 8 ore. Con la rivoluzione del 1917 E’ significativo che la giornata di 8 ore non fu richiesta al padronato o al governo provvisorio, ma imposta dal basso: gli operai rivoluzionari al termine delle 8 ore suonavano la sirena per dare il segnare di uscire e tutti uscivano. […]" — Un secolo e mezzo di lotte per ridurre l ’ orario di lavoro di Antonio Moscato (via selvaggiamente) (via emmanuelnegro)

------"Davvero una vita non basta: così poco tempo e così tanti coglioni da mandare affanculo." — Daniele Luttazzi (via visionarylandscapes) (via svalvolataontheroad)

------"Il nostro bottino di guerra è la conoscenza del mondo." —

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Wislawa Szymborska (via ilventocontinuaasoffiareforte) (via colorolamente)

------"Legalizzare la mafia sarà la regola del duemila, sarà il carisma di Mastro Lindo a regolare la fila e non dovremo vedere niente che non abbiamo veduto già." — Francesco De Gregori - Bambini Venite Parvulos (via alchemico) (via alchemico)

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verita - supposta : E succede che domenica pomeriggio mi vada di traverso il caffè: una persona che sa esattamente come la penso su certi temi mi dice che c’è la possibilità di farsi nel giro di pochi minuti da € 5.000 in su puliti puliti senza fare nulla. Dico interessante, e dov’è l’albero su cui crescono i soldi? Niente albero, mi spiega, sta per ripartire il decreto flussi e mi chiede se voglio entrare nel giro dei soldi spiegatomi durante la precedente regolarizzazione.

In pratica funziona così: per avere il permesso di soggiorno lo straniero deve essere assunto per almeno un anno, con questo documento può entrare in Italia e rimanerci. Prima parentesi da aprire è che lo straniero in questione è già dentro lo Stato, essenso noi il paese con le leggi più ad cazzum mai conosciute. Ma questa è un’altra storia, come direbbe Lucarelli. La paura vera arriva quando scopri che chiunque può assumere chiunque. A me per esempio è stato chiesto di assumere uno o due cinesi. Possono essere un colf e un cuoco per esempio. Poco importa io non abbia i soldi per mantenere neanche me stessa. I cinesi mi daranno cash i soldi per pagargli i

268 Post/teca contributi per tutto l’anno e a me non verrà chiesto un soldo. Anzi, per ricompensare la mia bella disponibilità da ItalianoBravaGente mi pagheranno il disturbo con € 5.000 ciascuno. Ed ecco che potrò finalmente togliermi qualche sfizio. Basta fare bene i conti, a tot sfizi da soddisfare dovranno corrispondere n disperati che pur di stare in questa repubblica delle banane si toglono l’ultimo pane di bocca.

Adesso, è vero che a me 10.000 euro, ma anche solo 5.000 farebbero comodo, e chi dice di no? Son mica ricca io. Però bisogna sempre controbilanciare i valori delle cose. Possibile la dignità di una persona valga solo 5.000 euro? La mia moralità? La mia coerenza? La mia capacità di aproffittare della disperazione altrui? A queste mie domande mi viene risposto che i cinesi son ricchi e bastardi e non mi sto aproffittando di niente, sto solo prendendomi il giusto compenso per permettere a loro di spadroneggiare sulla mia terra. So benissimo che la persona che ho di fronte ha già contato quanti cinesi pagheranno i suoi sfizi e dato che l’avermi proposto una cosa simile rappresenta per me un insulto alla mia persona non vedo nessun problema nel dire chiaramente che: puoi fare quello che vuoi, tu. Per me chi fa una cosa del genere ha un solo nome: pezzo di merda. Significa abbassarsi al livello della feccia che ogni giorno critico, significa inserirsi nel sistema della lotta fra poveri che tanto disprezzo, significa diventare esattamente come quelli che si fanno pagare per portare nel nostro paese uomini ridotti come stracci che affrontano il deserto o il mare e spesso ci muoiono. Significa essere neanche uno sciacallo ma qualcosa di ben peggiore. Se vuoi aiutare uno straniero fai tutto questo senza farti pagare, se lo stai facendo per soldi è da merde umane che meritano solo sputi e disprezzo. E soprattutto, te lo dico con il cuore visto che i cinesi non conoscono il sardo, spero che i soldi fatti in questo modo servano tutti, fino all’ultimo centesimo, per “mexina”. Maledico? Eh direi di si, tu maledici l’umanità e i disperati e io non posso maledire una che con una casa, un lavoro, un letto e il frigorifero pieno succhia il sangue ai disperati?

------lollodj: “Agenti ed esperti federali stanno cercando di rintracciare un geniale «pirata elettronico» che da diversi giorni è riuscito ad immettersi in decine

269 Post/teca di computer di una vasta rete nazionale di comunicazioni, la «Internet» (…)” E’ il 20 marzo 1990 ed è la prima volta che la parola internet compare sul quotidiano La Stampa Piste

------"Dove bruciano i libri, alla fine bruciano anche le persone." — Heinrich Heine (via easynameforanurl) (via emmanuelnegro)

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”Siamo due sconosciuti?” dice lei. ”Siamo due sconosciuti che si riconoscono.” dice lui.

(Fonte: misswasabisauce, via lalumacahatrecorna)

------raelmozo: Fondo pagina (1/1 – 15/1) « Magari Domani Notizie, notiziole e notiziacce che potrebbero esservi sfuggite:

1 Gennaio 2011: Grande Raccordo Anulare, Roma. Il conducente di una Fiat Seicento non agevola il sorpasso ad opera di una Ferrari, uno sgarbo che i passeggeri del bolide non gradiscono, comincia un inseguimento che si conclude col pestaggio del 32enne conducente della utilitaria. Un carabiniere si accorge dell’aggressione e chiama i colleghi del 112. Arrestati i due della Ferrari – che risulterà noleggiata – già noti alle forze dell’ordine, sull’auto vengono rinvenuti oltre venti mila euro in contanti.

2 Genneaio 2011: Londra, scienziati annunciano il ritorno dei salmoni nel Tamigi, intanto una misteriosa malattia stermina i numerosi cani della tenuta reale di Sandringham, la regina Elisabetta chiede all’Animal Health Trust di

270 Post/teca indagare.

4 Gennaio 2011: Un settantenne di Carrara ha denunciato l’Asl nella quale, anni fa, gli è stato prescritto un farmaco anti-Parkinson, tale medicinale avrebbe indotto l’uomo a una compulsione per il gioco d’azzardo portandolo a sperperare i risparmi di una vita. Nell’attesa del processo la controparte scarica la responsabilità alla casa farmaceutica. 5 Gennaio 2011: Ultima tendenza degli allevatori di cani di razza: la vendita a rate dei cuccioli, con tanto di “garanzia” e diritto di recesso. Lo denuncia l’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente (Aidaa). Ristoratori veneti contro il governatore ed ex ministro dell’agricoltura Luca Zaia, la colpa quella di essere un habitué di un ristorante cinese di Padova.

6 Gennaio 2011: Cola e patatine al posto dell’ostia durante la messa, questo lo spot che la Pepsi e la Doritos avevano intenzione di mandare in onda durante il Superbowl del 3 febbraio. Lo spot, intitolato “Nutri il tuo gregge” (la cui idea nasce da un concorso sul web indetto dalle due ditte), ha suscitato la viva protesta della comunità cattolica, che alla fine ne ha ottenuto il blocco.

7 Gennaio 2011: Della serie non è mai troppo tardi; una settantacinquenne di Reggio Emilia ha prelevato con l’inganno un campione di saliva a un uomo di cento anni ricoverato in un istituto, un uomo di sua conoscenza e su cui nutriva un sospetto, quello che fosse il suo padre naturale. E il test del Dna le ha dato ragione.

8 Gennaio 2011: Non solo donne e uomini nel mirino della follia e della censura nazista, ma anche animali, come il cane Jackie, alias Hitler (nella foto), a cui la padrone Josefine, esule tedesca in Finlandia, aveva insegnato ad alzare la zampa ogni volta che veniva pronunciato il nome del fhurer, parodia che il diretto interessato – o qualche zelante sottoposto – non doveva aver mandato giù, visto che nel pieno della seconda guerra mondiale, Josefine e il suo compagno Tor vennero convocati dall’ambasciata tedesca in Finlandia per riferire del comportamento del loro meticcio. Racconta la vicenda lo storico Klaus Hillenbrand sulle pagine del Die Tageszeitung.

9 Gennaio 2011: Rachel e Richard Strauss e la piccola Veronica, sono la

271 Post/teca famiglia più ecologica del mondo; nel 2010 hanno prodotto un solo sacchetto di spazzatura contenente qualche lametta usa e getta e qualche penna a biro esaurita, tutto il resto lo hanno riciclato, riusato o addirittura regalato a chi ne aveva bisogno – come alcuni vecchi mobili –, inoltre hanno installato pannelli solari e una caldaia a legna per il riscaldamento della casa, ed è inutile dirlo, fanno il compostaggio dei rifiuti organici da cui traggono fertilizzante per il loro orto. La famiglia inglese a impatto zero è convinta che tutti potrebbero farlo e sostengono che sia soprattutto un investimento economico.

10 Gennaio 2011: un 38enne romano si è presentato agli studi di Cinecittà pretendendo di entrare nella casa del Grande Fratello in quanto nuovo concorrente; addosso gli è stato trovato un coltello e un pugno di ferro.

11 Gennaio 2011: negli italiani non più giovanissimi è vivido il ricordo dell’Uomo Tigre, il cartoon degli anni settanta (ma mandato in onda fino ai novanta), e sembra non l’abbiano dimenticato nemmeno in madre patria, il Giappone, in cui ultimamente molte azioni di beneficenza a favore di orfanotrofi vengono firmate, appunto, dall’Uomo Tigre. Il primo episodio è avvenuto il giorno di Natale, e da allora si sono ripetute donazioni anonime in tutto il paese con le stesse modalità.

12 Gennaio 2011: il telescopio Hubble fotografa l’ “Oggetto di Hanny”, una nube verde nei pressi della galassia Ic2947, il nome della nube è un omaggio all’insegnante elementare Hanny Van Arkel che nel 2007 ha individuato per la prima volta l’oggetto attraverso il progetto web “Galaxy zoo”. Alcuni scienziati hanno definito l’Oggetto di Hanny come uno dei più curiosi fotografati finora dal super telescopio Hubble.

14 Gennaio 2011: Bielorussia, un cacciatore colpisce una volpe, si avvicina intenzionato a finirla, ma la volpe è ancora vitale, reagisce e con la zampa sfiora il grilletto del fucile, parte un colpo che colpisce il cacciatore alla gamba. Alla fine volpe libera e cacciatore in ospedale.

15 Gennaio 2011: uno studio svedese ha stabilito il maggiore contributo nell’inquinamento degli uomini, specie se single, rispetto alle donne. Tale differenza sarebbe dovuta alla maggiore propensione degli uomini ad

272 Post/teca utilizzare mezzi privati e a mangiare carne (la carne implica un consumo energetico superiore per la produzione rispetto alle verdure). In Norvegia e Germania gli uomini sono più inquinanti delle donne solo del 6 e 8%, in Svezia del 22% e in Grecia del 39%

------"A costo d’esser pedante, penso che finchè ci saran mamme che si fan passare al telefono l’uomo che sta possedendo la figlia messa a carponi, per raccomandargli il futuro della posseduta; nonne che sono orgogliose di nipotine che si rifan le labbra alla bisogna; nipotine che escon dalla Questura dopo sei ore d’interrogatorio con il sorriso soddisfatto ; ragazzine che evadono da istituti di affidamento per affidarsi a una discoteca del nord, ebbene: non ce la potremo prender più di tanto con quello lì di Arcore." — La questione femminile . « Anskijeghino ’ s Blog (via gianlucavisconti) Bisognerebbe vedere come si e’ arrivati a tutto questo. (via coqbaroque) (via hardcorejudas)

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273 Post/teca Eugenio Scalfari dixit : emmanuelnegro: ze - violet : hollywoodparty: ANZITUTTO l’aritmetica. A Mirafiori ha votato il 94 per cento dei dipendenti, 5.136, tra i quali 441 impiegati, capireparto e capisquadra. Le tute blu, cioè gli operai veri e propri, erano dunque 4.660 in cifra tonda. I «sì» all’accordo sono stati il 54 per cento e i «no» il 46 per cento. Al netto del voto impiegatizio i «sì» hanno vinto per 9 voti, due dei quali contestati. Marchionne aveva dichiarato che per andare avanti doveva avere almeno il 51 per cento. Con il voto dei colletti bianchi lo ha avuto, ma senza quel voto no: ha avuto il 50 più nove voti (o sette), per arrivare al 51 gli mancano 41 voti. Questa è l’aritmetica, che ovviamente non dice tutto ma dice già abbastanza. Dice cioè che la situazione di Mirafiori che esce da questa votazione sarà assai difficilmente governabile tenendo soprattutto presente che una parte notevole dei «sì» ha votato di assai malavoglia e molti l’hanno esplicitamente dichiarato. Ed ora una prima domanda alla quale, oltre che Marchionne, dovrebbero rispondere i dirigenti Cisl, Uil e gli altri firmatari dell’accordo: è possibile che in queste condizioni il 49,91 per cento degli operai di Mirafiori sia privo di rappresentanza? Sulla base di un referendum del 1995 infatti – ribadito nell’accordo Fiat-Cisl-Uil ed altri – la rappresentanza è riservata soltanto ai sindacati che hanno firmato l’accordo, ma i loro delegati non saranno eletti dai dipendenti, saranno «nominati » dai sindacati firmatari. Avete capito bene? Nominati. Esattamente come avviene per i deputati nominati dai partiti con la legge elettorale chiamata «porcellum», porcheria dal suo autore, il leghista Calderoli, circondata ormai da una generale e bipartisan disistima. La «porcheria» della rappresentanza a Mirafiori che esclude anziché includere, è in regola, lo ripeto, con quanto stabilito dalle intese sindacali vigenti, ma è clamorosamente contraria al buonsenso e al ruolo di una rappresentanza effettiva. Dequalifica metà dei dipendenti al ruolo di «anime morte» reso celebre da Gogol e prassi costante nelle campagne della Russia zarista fino alla rivoluzione del 1905. Si può adottare nella Fiat del 2011? Ancora qualche numero. I lavoratori di Mirafiori iscritti alla Fiom sono seicento; quelli non iscritti a nessun sindacato sono più di duemila.

274 Post/teca

Sommandoli insieme, i lavoratori che non avranno rappresentanza saranno a dir poco 2.600 su un totale di cinquemila. Se ne deduce sulla base dei numeri che la maggioranza largamente assoluta degli operai di Mirafiori non sarà rappresentata. Bonanni e Angeletti ritengono che una situazione del genere sia accettabile da veri sindacalisti, senza degradarli oggettivamente a sindacalisti «gialli»? su Repubblica di oggi oppure qui oh, ecco. A parte il solito “e se ci arriva pure barbabianca di raepub…” tutto tende a dimostrare che il rilancio non c’entra una mazza: volevano eliminare la Fiom e di riflesso la contrattazione sindacale ovunque e non gli pare vero che quella merda di marchionne gli faccia tutto il lavoro lercio. A spese nostre, chiaro. chiaro.

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I CABLE DI BABBO NATALE gio 23 dicembre 2010

Tramesso dall'ambasciatore al Polo Nord. Assolutamente non confidenziale.

Elenco di cose per cui ringraziare Babbo Natale o chi per lui.

Ringrazio Babbo Natale perchè siamo ancora vivi, vegeti non so.

Ringrazio Babbo Natale perchè il 25 dicembre finisce la promozione dei libri di Bruno Vespa.

Ringrazio Babbo Natale perchè c'ero nell'82 e per fortuna c'erano Pertini e Bearzot.

Ringrazio Babbo Natale perchè se Gasparri è ancora lì, allora c'è speranza per tutti. Perchè se il PD prende ancora dei voti, c'è davvero speranza per tutti. Perchè se Calderoli è ministro, beh no, allora non c'è rimasta nemmeno la speranza.

Ringrazio Babbo Natale perchè i miti erediteranno la terra, se nel frattempo cominciano ad incazzarsi un po'.

Ringrazio Babbo Natale perchè se non c'era Wikileaks con cavolo che sapevo che Berlusconi tirava tardi ai festini, faceva leggi ad personam e trafficava con Putin. Col cavolo che lo sapevo.

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Ringrazio Babbo Natale perchè il mondo è un mezzo schifo, ma non è che poi su Plutone si stia tanto meglio.

Ringrazio Babbo Natale perchè le centrali nucleari sono il futuro e sono sicure, come del resto diceva quella pubblicità dell'Eternit.

Ringrazio Babbo Natale perchè il Papa non cambia idea sul preservativo. Prima c'è da sistemare quella cosa del Sole che gira intorno alla Terra.

Ringrazio Babbo Natale perchè non sono stato miracolato all'Aquila e liberato in Iraq.

Ringrazio Babbo Natale perchè se D'Alema ancora parla, con gli Amatori posso perdere tipo una quindicina di campionati da qui alla pensione.

Ringrazio Babbo Natale perchè le madonnine non piangono più, e in effetti non si capisce perchè.

Ringrazio Babbo Natale perchè non vivo in un paese che mortifica ogni giorno la scuola pubblica e ne approffitto per ricordare a Babbo Natale che mi sono trasferito in Germania.

Ringrazio Babbo Natale per quel giorno che ho stretto la mano a Mario Monicelli, perchè lui era lui e noi non eravamo un cazzo.

Ringrazio Babbo Natale perchè la risposta è comunque 42. Perchè tortelli e vino non sono ancora fuorilegge. Perchè il tempo sistema le cose, o mal che vada si crepa prima. Perchè sorridi ancora nelle foto in bianco e nero. Perchè ci sono ancora cose per cui vale la pena.

Ringrazio infine Babbo Natale perchè, per fortuna, era la nipote di Mubarak. E non la mia. fonte: http :// www . lorenzoc . net / index . php ? itemid =1968

------"Oggi vorrei cambiare il mondo, ma non trovo lo scontrino."

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— Insopportabile - FriendFeed (via batchiara) (via soggettismarriti)

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Il tredicesimo segno zodiacale Si chiama Ofiuco, ma non viene preso in considerazione dagli astrologi che usano ancora le mappe del cielo dei babilonesi 17 GENNAIO 2011

Ofiuco è una delle 88 costellazioni moderne, significa “colui che porta il serpente”, viene spesso chiamata Serpentario e stando agli articoli pubblicati dai quotidiani negli ultimi giorni rappresenta anche il tredicesimo segno zodiacale, ignorato dagli astrologi accusati di non aver tenuto conto del moto di precessione della Terra, che nel corso dei secoli ha cambiato il nostro modo di vedere la volta celeste. L’esistenza dell’Ofiuco è naturalmente nota da tempo agli astronomi, ma l’argomento è tornato in voga in seguito a un articolo pubblicato sullo Star Tribune, un giornale del Minnesota, dove l’astrofisico Parke Kunkle ha ricordato che nel corso dei millenni la Terra ha cambiato il proprio asse di rotazione a causa della sua forma non perfettamente sferica e delle forze gravitazionali lunari. Il moto di precessione, che impiega circa 25.800 anni per fare un giro completo (immaginate il movimento di una trottola), fa sì che la posizione delle stelle sulla sfera celeste cambi lentamente. Le stelle restano lassù dove sono, ma ci appaiono collocate diversamente perché intanto la Terra si muove e cambia il proprio orientamento. Gli astrologi non tengono conto di questo cambiamento e continuano a usare mappe del cielo basate sui sistemi adottati circa duemila anni fa dai babilonesi per misurare lo scorrere del tempo. Ofiuco fa ormai parte delle costellazioni dello zodiaco, ma non ha dato il nome a un segno astrologico. Il periodo della sua data astronomica va dal 30 novembre al 17 dicembre, ma non è invece contemplato nelle date astrologiche. Niente di così grave, come ricorda il divulgatore scientifico Piero Bianucci sulla Stampa:

L’attrazione gravitazionale dei corpi celesti, unico modo con cui possono interagire con noi, è trascurabile (fatta uguale a 1 la forza in media esercitata da Marte, quella di Venere è 52, di Giove 5,8 di Saturno 0,2, mentre quella dell’ostetrica che segue il parto vale duemila miliardi). Tutto bene, tutto vero. Ci sarà comunque sempre qualcuno che ribatterà: eppure il mio oroscopo è quasi sempre giusto. L’argomento

277 Post/teca da opporre è semplice: le previsioni sono così generiche che ci si stupirebbe del contrario.

Hoard Chua-Eoan su Time racconta, invece, la storia del segno zodiacale che, se comparisse nell’oroscopo, sarebbe rappresentato come un uomo nerboruto che affronta una enorme anaconda. Diversi miti raccontano la vicenda del Serpentario. Secondo gli antichi greci, la costellazione ricorda la storia di Asclepio, figlio della mortale Arsinoe e del dio Apollo. I due concepirono insieme un figlio, ma Arsinoe decise di sposarsi con un altro uomo, facendo adirare Apollo. Artemide, la sorella del dio greco, uccise Arsinoe per vendicare il fratello, mentre ad Aclepio fu risparmiata la vita. Il ragazzino fu accudito e cresciuto dal centauro Chirone. Aclepio divenne molto abile nel curare le malattie e nel ridare giovinezza alle persone. Il serpente, simbolo di rigenerazione perché cambia la propria pelle tornando “giovane” fu associato alla figura di Aclepio, facendo adirare gli dei che non gradivano ci potesse essere un mortale in grado di dare la giovinezza ai propri simili. Zeus uccise Aclepio con un fulmine, ma Apollo decise di riportalo in vita rendendolo il dio della medicina. Il ragazzo diventato dio è quindi ora nella costellazione del Serpentario.

Un altro mito ha una magnifica opera d’arte associata alla sua storia: il Laocoonte, la scultura che si trova a Roma scolpita da Michelangelo. Si trova nei Musei Vaticani e mostra il veggente e sacerdote troiano Laocoonte con i propri due figli attaccato da un serpente. E perché Laocoonte fu punito? Perché aveva sconsigliato ai cittadini di Troia di accogliere entro le mura il cavallo di legno. La dea Atena inviò alcuni giganteschi serpenti per uccidere lui e i suoi figli. I troiani interpretarono la punizione come un segno e abbandonarono le ultime esitazioni facendo entrare il cavallo entro le mura.

L’elemento comune ai due miti è quello del serpente, ripreso nelle raffigurazioni della costellazione di Ofiuco. Per Chua-Eoan c’è però una terza storia che potrebbe avere a che fare con la costellazione che latita dai nostri oroscopi.

Tiresia era considerato l’uomo più intelligente della terra e fu portato al cospetto degli dei per risolvere un contenzioso tra Zeus e la sua sposa Era. Zeus insisteva nel sostenere che il sesso piaceva più alle donne che agli uomini; Era invece sosteneva il contrario. L’unico a poter conoscere la risposta era Tiresia. Perché? Una volta mentre stava camminando nella foresta, si imbatté in due enormi serpenti che si stavano accoppiando. Incuriosito e per nulla spaventato all’idea di disturbare i due simboli della saggezza attirò la loro attenzione. Tiresia fu punito e venne

278 Post/teca trasformato in una donna. Molti anni dopo, passeggiando nello stesso bosco, incontrò nuovamente i due serpenti che si stavano accoppiando. Attirò nuovamente la loro attenzione e così fu trasformato in un uomo.

Visto che Tiresia aveva vissuto sia come uomo che come donna era il giudice ideale per risolvere la disputa tra Zeus ed Era. Alla domanda su chi fosse più interessato al sesso, Tiresia indicò le donne senza alcuna esitazione. Era non la prese benissimo e lo rese cieco. La costellazione viene tradizionalmente associata al primo mito, quello di Aclepio, ma la storia di Tiresia – concludono su Time – è forse la più moderna e attuale da associare a Ofiuco. La sua esistenza, nota da tempo, non perturba comunque l’astrologia e gli oroscopi, che erano e restano fregnacce. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/17/ ofiuco - oroscopo /

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“Sette semplici regole per vivere alla macchia: 1. mai fidarsi di uno sbirro con l’impermeabile; 2. attenzione all’amore e all’entusiasmo, sono temporanei e facili a fluttuare; 3. quando ti chiedono se ti importa dei problemi del mondo guarda profondamente negli occhi chi te lo chiede: non te lo chiederà di nuovo; 4. e 5. E se ti viene detto di guardare te stesso… non guardare mai; 6. mai fare o dire qualcosa che la persona davanti a te non può capire; 7. mai creare niente verrà male interpretato ti incatenerà e ti seguirà per tutta la vita.” — I’m not there (via attraversoilvuoto) via: http :// falcemartello . tumblr . com /

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Uomini, donne e bambini: ecco perché vi sterminiamo di Flore Murard - Yovanovitch

Perché un’immane strage di 300.000 civili, come quella causata dalle

279 Post/teca bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki in un Giappone che aveva già deciso di arrendersi, non è comunemente considerata un «genocidio»? E il Presidente Truman non visto come assassino di massa al pari di Hitler, Stalin, Mao o Pol Pot?

È con questa domanda provocatoria che Daniel J. Goldhagen, storico di fama mondiale e già autore del controverso bestseller I volenterosi carnefici di Hitler (1996), apre uno dei più esaustivi e potenti saggi sugli eccidi di massa del 20° secolo: Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia dell’umanità. Gli stermini di massa avrebbero causato approssimativamente tra i 127 e i 175 milioni di vittime (se si tiene conto anche delle carestie organizzate): più dei caduti delle due guerre mondiali. Tanto per cominciare.

ESSERI UMANI CONTRO Così arriva subito la domanda di tutti i tempi: perché degli esseri umani scelgono di eliminare altri esseri umani, compresi donne e bambini? Lo storico americano si addentra negli agghiaccianti meccanismi degli eccidi di armeni, curdi, maumau, maya, bosniaci musulmani e di tutti coloro che Stalin, Mao o gli Khmer rossi hanno considerato dissidenti... E svela le numerose tecniche, oltre alla «soluzione finale», per eliminare, anche a lungo termine, altri gruppi con conversioni forzate, marce della morte, campi e Gulag, purghe, sterilizzazioni e stupri di massa....

Se l’Olocausto è stato il genocidio per antonomasia - per l’entità dell’annientamento totale degli ebrei e senza precedenti nella Storia - Goldhagen ritiene che stragi di massa di minore portata hanno avuto meccanismi non molto diversi. Prendendo in contropiede la storiografia ufficiale, lo studioso vede nell’«eliminazionismo» una costante buia della Storia.

BASTANO I MACHETE E non è la «modernità» (tecnologia, burocrazia e camere a gas), come diffusamente ritenuto, ad aver permesso ciascun genocidio: «Stentavamo a capire che bastavano machete», come confessa l’ex-segretario dell’ONU Boutros-Ghali nel caso del mancato riconoscimento del colossale eccidio di massa ruandese. Né pseudo cause socio-strutturali, come dimostra il caso del Sudafrica, dove anni di

280 Post/teca

Apartheid non sfociarono, all’ascesa dei «neri» al potere, in un attacco contro i «bianchi», bensì nella strada della riconciliazione. Né tantomeno una presunta natura umana «barbarica», che si presumerebbe annidata in tutti noi e che farebbe di tutti noi potenziali massacratori.

Goldhagen dimostra invece che l’avvio di un genocidio è sempre una «strategia» politica per la redistribuzione del potere, un «programma di morte» pianificato a tavolino. Ben lontano dall'essere sfogo o esplosione di follia improvvisa, è una scelta consapevole: «razionale».

CALCOLO RAZIONALE Questa nuova e radicale lettura dello sterminio come «calcolo politico lucido» è uno degli aspetti più interessanti di questo saggio che, dati alla mano, confuta e spazza via false quanto radicate idee comuni sula presunta «irrazionalità» delle aggressioni sterminazioniste.

A giocare un ruolo scatenante fondamentale sono infatti le visioni dei carnefici circa una presunta «nocività» delle potenziali vittime: in primis l’ideologia malata che fa dell’altro un morbo da «sradicare» per tornare a una presunta «purezza» (Dio, il Volk o la Nazione, ecc). I veri strumenti preparatori: i discorsi che fanno dei nemici «demoni», «sottouomini», «ratti», «serpenti», «babbuini»,«bacilli infetti» (o «pecore nere», come nel recente referendum svizzero anti-stranieri, ndA.). È il processo di «disumanizzazione» dell’altro che porta a trucidarlo: in uno dei capitoli più drammatici del libro, ex-genocidari hutu confessano che non consideravano i tutsi «esseri umani ma scarafaggi»...

TESTIMONIANZE DIRETTE I pregi di questo libro sono immensi: dalle testimonianze dirette raccolte sul campo al rigore delle fonti storiografiche; riporta alla luce stermini dimenticati, come quello del popolo herero dell’Africa sudoccidentale a opera dei coloni tedeschi o dei kikuyu dai britannici, e tanti altri per mano di coloni francesi, belgi, ecc. Senza tralasciare il razzismo che ancora oggi permea la storia «minore» dei popoli «non-bianchi». Domanda dopo domanda, Goldhagen ci porta con genialità, in una indagine che si legge senza fiato, alla radice stessa dello sterminio. E lancia un appello affinché la comunità internazionale si doti di conoscenza, capacità di anticipazione e reale volontà politica per

281 Post/teca fermare in tempo stragi in corso o latenti, che esploderanno negli anni a venire. Questo libro dovrebbe diventare un manuale per giovani e dirigenti politici, in un’Europa dove fanno la loro riapparizione discorsi xenofobi anti-migranti, espulsioni e deportazioni, che sono e sono sempre stati all'origine di una «cultura» eliminazionista.

8 gennaio 2011 fonte: http :// www . unita . it / culture / uomini - donne - br - e - bambini - br - ecco - perche - br - vi - sterminiamo - 1.264774

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Punto e a capo. hangthedjhangthedjhangthedj: Le virgole sono delicate, accarezzano i discorsi, li accompagnano facendoli crescere. Costruiscono. Mi piacciono. (Le parentesi no) Mi piace il coraggio dei punti esclamativi. Che sanno prendere posizione, come spade, tra le parole. Che sorprendono o feriscono, mai annoiano. Che sono stati emotivi, prima di tutto. L’urgenza che esprimono. Il loro essere suono di per sé. Questo mi piace. (Le parentesi no) Mi piacciono i punti interrogativi, quando le domande sono ben poste. Quando le domande sono bisogni e i bisogni desideri. D’affetto, soprattutto. (Le parentesi no) Adoro i punti di sospensione. Che sono tre, non due né quattro. Lo spazio esatto del non detto. Qui i pensieri contano i passi che li separano dalle parole, in silenzio. Un silenzio che è timidezza o paura, mai arroganza. E’ un silenzio gentile, che non ferisce. Mi piace. (Le parentesi no) I punti fermi mi piacciono, sono forti e drammatici. Forse un po’ tristi, come ogni fine. Se non esistesse il punto e a capo sicuramente mi piacerebbero di meno. Se non avessi la possibilità di ricominciare. Ogni volta. A lettere maiuscole. Le parentesi no. Le parentesi sono sleali. E vigliacche. Come quando proteggono frasi che non corrono il rischio di essere dette. Come quando

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hanno la forma di abbracci al buio. Ché tanto, siamo tutti capaci di abbracciare. Di notte. fonte: http :// hangthedjhangthedjhangthedj . tumblr . com / post /2580482158/ diabbraccieparentesi via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

------"Papa Woytila sarà beatificato. Famoso il miracolo del balcone, dove comparve accanto a uno che di mestiere faceva scomparire la gente" — La Palestra 15 gennaio 2011 | Daniele Luttazzi News (via scarligamerluss). (via gravitazero)

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L ' onore di Cipputi Rossana Rossanda

Hanno votato tutti i salariati, a Mirafiori, sull'accordo proposto dall'amministratore delegato Marchionne. Tutti, una percentuale che nessuna elezione politica si sogna. E sono stati soltanto il 54% i sì e il 46% i no, un rifiuto ancora più massiccio di quello di Pomigliano. Quasi un lavoratore su due ha respinto quell'accordo capestro, calato dall'alto con prepotenza, ed esige una trattativa vera. Per capire il rischio e la sfida di chi ha detto no, bisogna sapere a che razza di ricatto - questa è la parola esatta - si costringevano i lavoratori: o approvare la volontà di Marchionne al buio, perché non esiste un piano industriale, non si sa se ci siano i soldi, vanno buttati a mare tutti i diritti precedenti e al confino il solo sindacato che si è permesso di non firmare, la Fiom, o ci si mette contro un padrone che, dichiarando la novità ed extraterritorialità di diritto della joint venture Chrysler Fiat, si considera sciolto da tutte le regole e pronto ad andare a qualsiasi rappresaglia. L'operaia che è andata a dire a Landini «io devo votare sì, perché ho due bambini e un mutuo in corso, ma voi della Fiom per favore andate avanti» dà il quadro esatto della libertà del salariato. E davanti a quale Golem si è levato chi ha detto no. Tanto più nell'epoca che Marchionne, identificandosi con il figlio di Dio, ha definito «dopo Cristo», la sua. Si vedrà che farà adesso, con la metà dei dipendenti che gli ha fatto quel che in Francia chiamano le bras d'honneur e la sottoscritta non sa come si dica in Italia, ma sa come si fa; perché alla

283 Post/teca provocazione c'è un limite, o almeno c'era. Nulla ci garantisce, né ci garantirebbe anche se avesse votato «sì» l'80 per cento delle maestranze, che Marchionne sia interessato a tenere la Fiat, a farla produrre quattro volte quanto produce ora, a presentare quali modelli e se li venderà in un mercato europeo stagnante, nel quale la Fiat stagna più degli altri. Se avesse intelligenza industriale, o soltanto buon senso, riaprirebbe un tavolo di discussione, scoprirebbe le sue carte, affronterebbe il da farsi con chi lo dovrà fare. Questo gli hanno mandato a dire i lavoratori di Pomigliano e quelli di Mirafiori. Da soli, solo loro. Perché la famiglia Agnelli, già così amata dalla capitale sabauda da aver pianto in un corteo interminabile sulle spoglie dell'ultimo della dinastia che aveva qualche interesse produttivo, l'avvocato, non ha fatto parola. In questo frangente si è data forse dispersa, non si vede, non si sente, pensa alla finanza. Né ha fatto parola il governo del nostro scassato paese, che pure, quale che ne fosse il colore, ha innaffiato la Fiat di miliardi, ma si lascia soffiare l'ultimo gioiello in nome della vera modernità, che consiste nel sapere che non si tratta di difendere né un proprio patrimonio produttivo, né i propri lavoratori - quando mai, sarebbe protezionismo, da lasciare soltanto agli Usa, alla Francia e alla Germania che si prestano a raccogliere le ossa dell'ex Europa. A noi sta soltanto competere con i salari dell'Europa dell'Est, dell'India e possibilmente della pericolosa Cina. Tutti i soloni della stampa italiana hanno perciò felicitato Marchionne che, sia pur ingloriosamente e sul filo di lana, è passato. La sinistra poi è stata incomparabile. Quella politica e le confederazioni sindacali. Aveva dalla sua parte storica, che è poi la sua sola ragione di esistere, una Costituzione che difende come poche i diritti sociali in regime capitalista. Gli imponeva - gli impone - quel che chiamano il modello renano, un compromesso non a mani basse, keynesiano, fra capitale e società, che garantisce in termini ineludibili la libertà sindacale. Fin troppo se le confederazioni sono riuscite fra loro, attraverso qualche articolo da azzeccagarbugli dello statuto dei lavoratori, a impegolarsi in accordi mirati a far fuori i disturbatori, tipo i fatali Cobas, per cui oggi nessuno osa attaccarsi all'articolo 39, che - ripeto - più chiaro non potrebbe essere. La Cgil ha strillato un po' ma avrebbe preferito che la Fiom mettesse una «firma tecnica» a quel capolavoro suicida. Quanto ai partiti non c'è che da piangere. D'Alema, che sarebbe dotato di lumi, Fassino, Chiamparino, Ichino, il Pd tutto hanno dichiarato che se fossero stati loro al posto degli operai Fiat - situazione dalla quale sono ben lontani - avrebbero votato sì senza batter ciglio. Diamine, non c'erano intanto 3.500 euro da prendere? Ma che vuole la Fiom, per la quale è stato coniato lo squisito ossimoro di estremisti conservatori? Molto basso è l'onore d'Italia, scriveva un certo Slataper. Da ieri lo è un po' meno. Salutiamo con rispetto, noi che non riusciamo a fare granché, quel 46% di Cipputi che a Torino, dopo Pomigliano, permette di dire che non proprio tutto il paese è nella merda. fonte: http :// www . ilmanifesto . it / archivi / commento / anno /2011/ mese /01/ articolo /4005/ via: http :// articoliscelti . blogspot . com /

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Tanti auguri ..

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Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali! Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento! Tanti auguri a chi crederà sul serio che l’orgasmo che l’agiterà - l’ansia di essere presente, di non mancare al rito, di non essere pari al suo dovere di consumatore - sia segno di festa e di gioia! Gli auguri veri voglio farli a quelli che sono in carcere, qualunque cosa abbiano fatto (eccettuati i soliti fascisti, quei pochi che ci sono); è vero che ci sono in libertà tanti disgraziati cioè tanti che hanno bisogno di auguri veri tutto l’anno (tutti noi, in fondo, perché siamo proprio delle povere creature brancolanti, con tutta la nostra sicurezza e il nostro sorriso presuntuoso). Ma scelgo i carcerati per ragioni polemiche, oltre che per una certa simpatia naturale dovuta al fatto che, sapendolo o non sapendolo, volendolo o non volendolo, essi restano gli unici veri contestatori della società. Sono tutti appartenenti alla classe dominata, e i loro giudici sono tutti appartenenti alla classe dominante

Pier Paolo Pasolini (da Saggi sulla politica e sulla società , a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Mondadori, Milano 1999) via: http :// miciomannaro . tumblr . com / post /2444511151/ tanti - auguri

------Ho studiato moltissimi filosofi e moltissimi gatti. La saggezza felina è infinitamente superiore.

Hippolyte Taine via: http :// bastet . tumblr . com /

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giovedì 13 gennaio 2011

Il trucco del popolo

Mi succede da quando ero ragazzino che la gente mi attribuisca appartenenze di classe, ideologie, atteggiamenti nei quali non mi riconosco. Capita a tutti nella vita. Come si è e come gli altri ci vedono sono due concetti diversi come occhio destro e occhio sinistro: permettono di osservare le cose da prospettive leggermente diverse, e questo ci dà una terza dimensione che altrimenti perderemmo. È un equilibrio delicato: un lieve strabismo di Venere è interessante, dà indipendenza, aiuta l’anticonformismo; se si procede con la divergenza, si diventa tendenzialmente sociopatici. Tocca stare attenti, insomma. A me però — l’ho già detto, lo so, ’spettate un secondo, questa e un’introduzione — capita che degli sconosciuti mi diano dell’intellettuale nella torre d’avorio, dell’altezzoso miliardario, del comunista borghese, del fighetta. E va be’, cazzi loro. Come dicevo poi uno si fa delle domande, chiede a chi lo conosce, capisce se c’è dal vero o no. A me ormai non fa più effetto, se non nel darmi modo di qualificare il parlante come un pirla. Detto questo, il fenomeno, l’artificio retorico, insomma il trucco ormai mi affascina. È un classico molto diffuso ovunque del mondo, e ha implicazioni molteplici. Ho deciso di rifletterci e scriverci della roba. Ci sono poi le espressioni “fighetta”, “snob” e “radical chic” che vanno sgrovigliate, perché soffrono di un diffusissimo uso spensierato. Insomma cercherò di farla breve, ma non lo so mica se ce la faccio. * * * Cominciamo col dire di chi accusa gli altri di essere quella cosa lì. In questo tipo di formulazione è irrilevante se si usi un termine o l’altro: vengono percepiti come sinonimi. La ragione è semplice, e sta nel fatto che l’effetto non è veramente diretto al destinatario dell’attribuzione, ma a chi la estende e a chi ascolta. Poi spiego anche le parole una per una, ma per ora limitiamoci alla situazione e al meccanismo. Perché io sostengo che non sia la sostanza dall’accusa a funzionare, ma la dinamica. Non conta se si sia effettivamente una cosa, l’altra o l’altra ancora. Conta solo avere l’occasione di dirlo davanti a qualcuno. Immaginiamo che ci sia una platea che ascolta due persone discutere di qualsiasi argomento. Se non siamo al golf club o in una discarica di Calcutta, è facile che la platea sia socialmente eterogenea. Senza stare ad aprire una parentesi che non sarei in grado di affrontare sulla questione delle classi sociali e del loro mutamento in questi decenni, è indubbio che in una platea ci si senta molto più popolo che a casa propria, anche se non lo si è. È normale, siamo animali sociali, siamo in una certa misura gregari per DNA, o forse siamo anche solo furbi. È l’effetto che si sperimenta al concertone, allo stadio, nelle situazioni in cui si condivide con un sacco di gente un contesto, un interesse, una passione, lacrime e sudore, e si è massa, appunto, popolo. In qualsiasi platea, anche se in misura inferiore, si verifica lo stesso fenomeno. Ma se anche così non è, se la platea è larga, è facile che un furbo voglia accaparrarsi il popolo e lasciare all’avversario l’élite, che è meno consistente in termini numerici e, in una situazione di gruppo, paga lo scotto del volersi distinguere. L’élite nelle masse scompare, si mimetizza. In un paese cristiano cattolico come Italia,

286 Post/teca aggiungerei il concetto per cui morto di fame is cool, the boss was on a cross. Ripeto e ribadisco: è un trucchetto, non c’è niente di sostanziale, ma fa leva su ingranaggi talmente oliati da essere molto difficili da fermare o anche solo svelare. Se a un certo punto della discussione qualcuno difende una posizione che può sembrare meno ovvia, meno comune di un’altra, il suo antagonista può giocare il jolly e dirgli che è uno snob, un radical chic, un fighetta. Non importa se lui stesso non conosca il significato delle parole che usa; non importa se le parole siano appropriate rispetto alla persona; non importa che questa eventuale categorizzazione sia effettivamente rilevante per la discussione. Il fatto è che in quel momento si avvia il meccanismo, it’s a kind of magic, si crea immediatamente un effetto irresistibile: chi parla diventa come chi ascolta, e chi ascolta è popolo; l’altro è un diverso, un nemico di classe, un antagonista comune. È un trucco che dà identità a chi si scaglia e al pubblico, accomunandoli tra loro mentre li definisce. L’altro, il damerino, fa solo da sponda; a questo punto potrebbe anche sparire, mentre scrosciano gli applausi. Perché se non è bravissimo, ormai c’è troppa trippa per gatti, e io gatti non si faranno convincere facilmente a levarsi di torno. C’è il valore del gesto apparentemente rivoluzionario — «Il re è gauche caviar!» — che mette tutti d’accordo, coi pugni alzati contro il niente, ma avvinti persi dal momento masaniello (è aggettivo, va minuscolo, tiè). C’è la percezione della propria semplicità, la propria purezza popolare, la propria umanità: il gusto pieno della vita che esplode in bocca. È chiaro che chi appartiene davvero a una classe sociale — posto che le cosiddette, e fatto salvo che le medesime, ma senza perdere di vista la misura in cui — difficilmente lo sbandiera. Capita che lo dichiari, ma di rado, e senza tante menate. Io sono figlio di un medico e di una casalinga, un altro è figlio di operai, un altro dei baroni von Minkiowitz. Chissenefrega. Mica tocca ripeterlo. Chi lo ribadisce ossessivamente deve remare contro l’evidenza, oppure lo fa perché usa il trucco del popolo, oppure entrambe le cose. È il caso di Sarah Palin, di tutta la retorica del Tea Party, così come di molta nostra destra populista. Daniela Santanché è una di quelle che più spesso sguainano la propria natura popolare, vicina alla pancia della gente, mica come bla bla. Il punto, avrete capito, è tutto nel mica come: io sono come voi, sono diverso da lui che [X]. Che poi l’essere dalla parte della gente di Daniela Santanché sia quanto di meno realistico al mondo non ha importanza, non conta. Conta il meccanismo. Conta che chi ascolta si senta benissimo, un neonato innocente, una vergine beata al cospetto della società, con sodali e nemici ben chiari, delineati come in un libro per bambini molto piccoli, di quelli col mostro cattivo cattivo tutto nero, che non ci si sbaglia più.

Cominciamo con l’analisi dei termini che vengono utilizzati per descrivere degli interlocutori di cui, a quanto pare, dispiace la natura più delle posizioni. Natura apparente, inesistente, fuffa, come dicevo. Radical chic. Un’espressione talmente rotonda che gira in bocca come una ciliegia al maraschino, chiude come lo sputo del nocciolo, tra francese e inglese, scherzo e fucilata. Non serve la conoscenza della lingua; basta il suono per avere un’idea di perculo gustoso. Serve invece un po’ di conoscenza della lingua per capire a chi sia effettivamente indirizzato lo sberleffo, come funzioni, da dove venga qualcosa di così preciso e irresistibile. Il dizionario Oxford dice così: radical chic noun the fashionable affectation of radical left-wing views : [as adj. ] completely immersedhimself in the subculture of radical chic liberals.• the dress, lifestyle, or people associated with this.

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ORIGIN 1970: coined by U.S. writer Tom Wolfe.

Vi chiedo per prima cosa di soffermarvi sulla seconda riga. noun Radical chic è un sostantivo. Non è un aggettivo. Certo, si può usare come aggettivo, soprattutto visto che in inglese quella funzione è, come dire, automatica, ma insomma non è come stronzo. Stronzo è un sostantivo, ma si usa come aggettivo, tanto che uno può essere “stronzo” o “uno stronzo”. Radical chic no. In inglese non si può essere “a radical chic”. Perché? Perché chic in questo caso è sostantivo, e sta per sciccheria, eleganza, raffinatezza, ovvero un concetto astratto. A esso si aggiunge un aggettivo, radical, che sta per radicale. Starebbe per radicale, anzi, ma a causa di Pannella e Bonino (sempre in mezzo ai maroni) la parola non si può usare in quel senso. Inutile fare finta che non sia così. E allora tocca scartarlo. Tocca dire rivoluzionario, più che estremista. L’espressione è molto difficile da tradurre, comunque. Ci si prova con una serie di espressioni alternative plausibili, e libere anzichenò. Sciccheria della rivoluzione. Sciccheria rivoluzionaria. Mondanità della rivoluzione. Rivoluzione in frac. Rivoluzione in lungo. Rivoluzione in smoking. Gran galà della rivoluzione. Gran ballo delle molotov. Se si traduce radical chic con espressioni come “rivoluzionari da salotto”, “compagni in smoking” eccetera, si sbaglia. Perché? Perché il sostantivo in inglese va dopo l’attributo. Quindi, esattamente come “passive aggressive” si traduce “aggressivo passivo”, e non “passivo aggressivo”, come sento dire spesso — «Sì, prendimi da dietro, testa di cazzo, che poi ti spacco la faccia!» — con un certo gusto, nello stesso modo radical chic non è un radical che è chic, è elegante, caspita, col cashmere e le scarpe di cavallino, ah però, il signorino, non si fa mancare niente. No, cari amici. È eleganza, esclusività, sciccheria legata estremismo, alla rivoluzione, alle molotov eccetera. Vedete un po’ voi quanto tirare di qua o di là. Ma non invertite l’ordine degli addendi perché, non ci crederete, il risultato cambia. Torniamo all’Oxford Dictionary. the fashionable affectation of radical left-wing views l’affettazione mondana di posizioni di estrema sinistra O qualcosa del genere. Ora andiamo in fondo. ORIGIN 1970: coined by U.S. writer Tom Wolfe. Sua enormità Tom Wolfe nel 1970 scrive un articolo per il New York Magazine, intitolato Radical Chic. Racconta di una festa organizzata da Leonard Bernstein per raccogliere fondi per le Pantere Nere. In particolare, racconta l’eccitazione palpabile nella New York ricca, elegante e impegnata derivante dalla presenza di rivoluzionari in carne e ossa alle feste. In certi giri, avere fisicamente un rivoluzionario in salotto era fonte di un gasamento sommo. Descrive il corto circuito tra queste persone del mondo dei ricchi e dei colti, artisti osannati in girocollo eccetera, e l’ammirazione per le cattive e fighissime Pantere Nere; la portabilità di certe idee quando non si rischia niente; la facilità con cui le classi sociali potessero in alcuni casi fare ammuina, scambiarsi di posto, trovare assurdi vasi comunicanti per i propri scopri reciproci: sostegno economico e culturale da una parte, allure violenta, autentica, popolare e democratica dall’altra. Di questo parla Tom Wolfe. A questo si riferisce l’espressione. (Il libro è stato pubblicato in Italia da Castelvecchi prima, poi altrove non so.) Ora. Le espressioni strascinate come le cime di rapa sono tipiche di chi fa il furbo o scrive molto male. Quindi radical chic va detto a chi è straricco, mondano, e abbraccia idee rivoluzionarie di estrema sinistra dal salotto di casa. Se si piega il concetto verso il centro, si arriva a stabilire una

288 Post/teca serie di concetti assurdi, senza un che di logico o sostanziale, che finiscono coll’essere solo molto reazionari, oltre che fuori bersaglio: chi è rivoluzionario deve essere uno straccione per forza; chiunque abbia i soldi è partecipe della mondanità; chi ha i soldi deve essere di destra per coerenza; qualunque pensiero di sinistra è estremista e rivoluzionario. Tutto questo, come è evidente a tutti, è falso. È pieno di gente a sinistra che non ha nessuna idea da estremista o rivoluzionario, e ce ne sono anche che si rigirano nel conservatorismo più polveroso. Ci sono ricchi che non fanno alcuna vita mondana. Ci sono mondani poi non così ricchi. Ci sono mondani destri, sinistri, senza schieramento. Insomma, basta così. Chi subisce il fascino del radical chic (ripeto che è un concetto, non una persona), finge un afflato nei confronti di una classe sociale molto inferiore alla propria. Si finge in una certa misura proletario. Eppure l’espressione viene vissuto da tutti come elemento imprescindibile di un’ambata vincente, quasi sinonimo del suo compare, un termine che però risulta essere il suo contrario: snob. fonte: http :// www . freddynietzsche . com /2011/01/14/ il - trucco - del - popolo -% E 2%80%94-2- radical - chic /# more -8922

http :// www . freddynietzsche . com /2011/01/13/ il - trucco - del - popolo /

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Dalla narrativa alla cronaca nera, la nuova età dei Fumetti

«Più colore»: quante volte i giornalisti si sentono ripetere questa frase dal proprio caposervizio. Il pezzo è accurato, ci sono i fatti, le fonti hanno confermato. Eppure: «Mancano le immagini», «non vedo i personaggi». Un bel reportage, un’inchiesta solida, ma fredda. Alla fine ce l’ha vinta il capo, ma il cronista conserva il diritto di mugugnare, e pensare: «Ci manca solo che mi chieda di disegnare». Bene; se lo facesse, farebbe quello che fanno autori come Joe Sacco, Ted Rall, o Igort: giornalisti, sì, chi più chi meno, ma prima di tutto fumettisti. Protagonisti di quello che è stato battezzatocomic journalism, l’ultimo ircocervo editoriale di genere che si sta facendo spazio nel panorama del fumetto; o, meglio, della graphic novel.

Nato come reazione degli autori underground anni Settanta alle gabbie standard degli albi, è il fumetto nella sua piena evoluzione, che diventa romanzo, e che da Will Eisner in poi si riscatta da decenni di occhiate snob di chi pensava di segregarlo nel retrobottega della cultura di serie B, definita con sprezzo "pop". In Italia l’ondata è inarrestabile e, di fatto, la graphic novel ha sdoganato il fumetto per platee di lettori più ampie, perché ne ha frenato la serialità, insita neicomics, ha allungato le storie, divenute auto-conclusive, e ha dato spessore ai personaggi. Il volume è lievitato, e il formato è diventato simile ai libri. Il passaggio ricorda quello dal poema al romanzo.

E una volta incassato il riconoscimento, la graphic novel ha cominciato a figliare. Generi e sottogeneri. Non solo fantasy e supereroi, ma vita reale, storia e cronaca. La stessa fame di realtà che oggi fa vendere i libri-inchiesta dei giornalisti, e che infine ha contaminato il

289 Post/teca comic journalism, il giornalismo a fumetti. Tendenza che ha radici antiche ma cittadinanza da un ventennio, da quando cioè sulla scena si è presentato un giovane maltese naturalizzato americano, Joe Sacco, che con Palestina ha trasformato il suo taccuino in uno storyboard, i suoi schizzi in un documentario di grande efficacia. Sacco è prima di tutto un reporter, di formazione – laureato in giornalismo all’Università dell’Oregon – e per sensibilità, metodo, occhio. Racconta quello che ha visto, nei luoghi in cui i fatti si verificano.

Per mesi ha vissuto nei Territori occupati, dove è tornato per la sua ultima graphic novel, Gaza 1956 (Mondadori), sulla strage dei civili a Khan Yunis, durante la guerra tra Egitto e Israele. Sacco ha raccolto le testimonianze dai sopravvissuti e verificato i documenti. Ma la sua è anche una ricostruzione viva, capace di restituire al lettore il contesto, l’ambiente, le facce, come un grande reportage. «A partire dai libri di Sacco passando per l’attentato alle Torri gemelle raccontato da Art Spiegelman, gli autori di fumetti hanno dimostrato come le graphic novel siano perfette per fare giornalismo di inchiesta», spiega Luca Crovi, conduttore di Tutti i colori del giallo, redattore alla Sergio Bonelli, sceneggiatore e colui che ha inciso la definizione di graphic novel sulla Garzantina: «L’unione fra testi e disegni permette un linguaggio diretto, semplice, che non può prescindere da una ricca documentazione.

Condensa in poche istantanee gli eventi e lascia aperti certi interrogativi drammatici». Quindici anni fa Sacco è volato nella Bosnia devastata dalla pulizia etnica: Gorazde e Neven (The Fixer) sono altri due capisaldi del giornalismo disegnato che sono valsi all’autore il titolo di pioniere del genere. Come ha ammesso Igort, al secolo Igor Tuveri, Sacco è stato fonte d’ispirazione anche per il suo Quaderni ucraini (Mondadori), la prima parte di un dittico dedicato ai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Tra i maggiori cartoonist italiani e fondatore della Coconino Press, un faro nell’editoria dellagraphic novel, anche Igort ha vissuto per due anni in Ucraina, viaggiando fino in Siberia e collezionando un materiale umano e storico sterminato (per il prossimo Quaderni russi e siberiani).

Era partito sulle orme di Cechov, e si è ritrovato davanti alla memoria di un popolo cementificata su uno degli olocausti dimenticati dello stalinismo: l’Holodomor, il genocidio per fame indotta che ha sterminato tra 7 e 10 milioni di ucraini. «È un’esplorazione sul campo – la definisce Igort – per capire cos’è rimasto del sogno comunista. Storie vere, che ho disegnato con l’aiuto di interviste, incontri con i sopravvissuti, documenti dei servizi segreti, filmati».

Eccolo il reporter dei fumetti: non ha invadenti telecamere o microfoni, ma solo una matita in tasca; non ha scritto "stampa" in faccia e non ha l’urgenza di mandare il servizio. Sacco lo definisce slow journalism: c’è tutto il tempo per capire e interagire, senza l’ansia da notizia a tutti i costi. Questo ti permette di addentrarti, anche per mesi, dove altri non riescono, in zone schiacciate dalle dittature: il canadese Guy Delisle è uno dei pochi ad essere riuscito a raccontare dall’interno un Paese ai confini del mondo come la Corea del Nord, in Pyongyang.

Una forma di puro reportage illustrato ripetuta con Shenzen, sulla Cina, e con Cronache birmane. Anche Ted Rall, giornalista americano finalista al Pulitzer, per una decina di anni ha girato l’ex Unione Sovietica, in Asia centrale, per capire cosa ci fosse dietro ai tragitti geopolitici di gas e petrolio. Petrolio, pallottole e potere e Stan Trek sono il risultato di questa lunga inchiesta: un collage di fotografie, articoli e fumetti, in Italia pubblicati dalla Becco Giallo.

La casa editrice che ha per vocazione la graphic novel giornalistica, fondata nel 2005 da Federico Zaghis e Guido Ostanel, con un nome che omaggia il settimanale satirico antifascista costretto a chiudere nel 1926.

Ha collane dedicate alla cronaca nera, ai misteri italiani, a biografie di grandi personaggi ed è in libreria in questi giorni con fumetti sulla tragedia della Moby Prince, sugli omicidi di Mauro Rostagno e di Anna Politkovskaja: «C’è tanta voglia di verità da parte dei lettori, di capire – spiega Zaghis –. E noi abbiamo provato a intercettarla, su argomenti che restano radicati nella memoria collettiva del Paese».

Lo stragismo, per esempio, con un volume dedicato a piazza Fontana in occasione dei quarant’anni, o un altro sulla stazione di Bologna. Vicende piene di zone d’ombra, come Ustica, il delitto Pasolini, l’omicidio di Ilaria Alpi. O fatti di violenta attualità come il G8 di Genova e l’incidente ThyssenKrupp. «Ogni graphic viene seguita come un’inchiesta giornalistica, con continuo rimando alle fonti. Gli sceneggiatori sono per lo più giornalisti, come Marco Rizzo che ha scritto il libro su Peppino Impastato, e Francesco Barilli su piazza Fontana».

Il successo? «Raccontare vicende complicate "semplificandole" attraverso il fumetto», aggiunge Zaghis, che riflette sulla possibilità che la graphic novel davvero possa diventare un mezzo d’informazione e di educazione per i più giovani, e non solo: «Molti insegnanti si sono rivolti a noi. Il volume su Impastato è stato adottato da scuole del palermitano, ma anche del trevigiano. Mentre quelli su Cernobyl’ e sul petrolchimico di Porto Marghera servono per parlare ai ragazzi di temi ecologici».

Anche se i tempi di produzione della graphic novel sono più lunghi, l’impressione è che l’impostazione abbia qualcosa dei libri d’inchiesta orientati alla logica degli instant book d’attualità. È avvenuto così per il caso Stefano Cucchi, il ragazzo morto in in carcere: Non mi uccise la morte (Castelvecchi) attraverso le illustrazioni di Toni Bruno mostra le ultime ore prima di un insensato patibolo.

Ogni tavola è un pugno allo stomaco, e nella resa di un’atmosfera da incubo Stefano ha gli occhi spenti. Il nero si staglia forte sul bianco e diventa il colore che rappresenta, più di qualsiasi articolo di giornale, il buio della giustizia. Ilario Lombardo

290 Post/teca fonte: http :// www . avvenire . it / Cultura / Fumetti _201101171027258630000. htm

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20110118 "Abbandono il festino la tazza il tamburo e torno al fiore di spina. Il vostro modo di uccidere di cantare e fare all’amore non mi appartiene." — Fiore di spina, Raffaele Carrieri. Poesie di Raffaele Carrieri (via insalatadiparole) (via cutulisci)

------"Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole." — Giovanni Verga (via thelisteningfriend) (via fotonico)

------thelastdomino:

Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia. Il concetto di felicità presuppone che uno sia contentissimo, che

291 Post/teca se ne vada in giro ridendo, abbracciando tutti, dicendo sono felice, che meraviglia. È chiaro che anche un mal di denti gli toglierà la gioia e, quindi, la felicità. Penso che la serenità sia una cosa diversa. La serenità ha molto dell’accettazione, ma include anche un certo autoriconoscimento dei propri limiti. Vivere in armonia non significa non avere conflitti, ma poter convivere con gli stessi serenamente. Josè Saramago

(via batchiara)

------"Oggi, ogni tanto, voltandomi indietro, ripenso alla mia vita come un lungo discorso che ho ascoltato. La retorica a volte è originale, a volte piacevole, a volte inconsistente (il discorso dell’incognito) a volte maniacale, a volte pratica, a volte come l’improvvisa puntura di un ago, e io l’ascolto da tempo immemorabile: come pensare, come non pensare; come comportarsi, come non comportarsi; chi detestare e chi ammirare; cos’abbracciare e quando scappare; cos’è entusiasmante, cos’è massacrante, cos’è lodevole, cos’è superficiale, cos’è sinistro, cos’è schifoso, e

292 Post/teca come restare un’anima pura. Si direbbe che parlare con me non sia un ostacolo per nessuno. Questa forse è una conseguenza del mio essere andato in giro per anni con l’aria di chi aveva un gran bisogno che qualcuno gli rivolgesse la parola. Ma qualunque ne sia la ragione, il libro della mia vita è un libro di voci. Quando mi chiedo come sono arrivato dove sono, la risposta mi sorprende: “Ascoltando”." — Philip Roth - Ho sposato un comunista (appena finito) (Fonte: checcachicchi)

------"C’era una volta un coniglio bianco che respirava dal culo: un giorno si è seduto ed è morto." — robe di FB mi fa ridere, son da troppe ore sui libri, forse. (via checcachicchi)

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“La vita è quella cosa che ti capita mentre sei impegnato a fare altri progetti.”

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— Andrea C. su facebook (via cheppalleee) via: http :// falcemartello . tumblr . com /

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“Sì, ma, più che pensarti e pensarti / eventualmente incontrarti vorrei, / e più che scriverti e telefonarti / eventualmente baciarti vorrei.” — Paolo Conte, Paso Doble (via hollywoodparty) via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“I gatti hanno intercettato i miei passi all’altezza delle caviglie per cosi lungo tempo che la mia andatura, sia in casa che fuori, è stata paragonata a quella di un uomo che che cammina nell’acqua, scavalcando basse onde” — Roy Blount Jr (via PlacidiAppunti) via: http :// piccole . rispostesenzadomanda . com /

------curiositasmundi: soggettismarriti: ● Se colorado caffé non mi fa ridere, sono sostenuto. ● Se dico che Zalone mi fa schifo, sono snob. ● Se penso che la bionda che legge Chi e Divaaccanto a me sull’autobus sia un po’ oca sono pregiudizievole. Shame on me? Se espongo una soluzione democratica, sono comunista Se ritengo che la tua auto è un camion a trazione integrale inutile e dannosa sono invidioso. Se esprimo conceti laici, sono ateo (e comunista) via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

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“È uscita, per Einaudi, per la collana Letture, a cura di Paolo Bertinetti, una raccolta di racconti di Beckett, intitolata Racconti e prose brevi, che comprende un racconto nel quale, all’inizio, nell’originale, c’è l’espressione «I was feeling awful». Questo racconto, e questa espressione di Beckett, sono già stati tradotti almeno due volte. Una volta, in dialetto reggiano (da Daniele Benati), così: «A stèv mäl» (Stavo male). Un’altra volta, in italiano (edizioni SE, traduzione di Valerio Fantinel), così: «Avevo una tarantola di inquietudini in petto». In questa nuova edizione «I was feeling awful» è tradotto così: «Pessimo stato d’animo» (traduzione di Valerio Fantinel).” — Paolo Nori » Awful via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“Nascondermi non mi ha reso più forte, solo più silenziosa.” — … aspetta un attimo » Blog Archive » Polvere – Certe cose non sono come andare in bicicletta via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“Chi apre il periodo, lo chiuda. È pericoloso sporgersi dal capitolo. Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi. Lasciate l’avverbio dove vorreste trovarlo. Chi tocca l’apostrofo muore. Abolito l’articolo, non si accettano reclami. La persona educata non sputa sul componimento. Non usare l’esclamativo dopo le 22. Non si risponde degli aggettivi incustoditi. Per gli anacoluti servirsi del cestino.

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Tenere i soggetti al guinzaglio. Non calpestare le metafore. I punti di sospensione si pagano a parte. Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata. Per le rime rivolgersi al portiere. L’uso del dialetto è vietato ai minori di 16 anni. È vietato servirsi del sonetto durante le fermate. È vietato aprire le parentesi durante la corsa. Nulla è dovuto al poeta per il recapito.” — L’uovo di marx, Ennio Flaiano, Libri Scheiwiller, Milano 1987 via: http :// comeberlino . tumblr . com /

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This amazingly creative photos are product of Spanish photographer called Chema Madoz. Jose Maria Rodriguez Madoz (born 1958) better known as Chema Madoz, is a Spanishphotographer, best known for his black and white surrealist photographs.

Chema Madoz studied Art History at Universidad Complutense de Madrid between 1980 and 1983. It is here that he was first exposed to the study of photography and imaging.

In an interview published in 2001, Chema explains that he currently uses a Hasselblad camera to take his photos. The book, Chema Madoz: Objetos 1990–1999 was presumably shot entirely with this camera, rather than the 6×6 Mamiya he has used previously.

fonte: http :// www . funzu . com / index . php / crazy - pics / amazingly - creative - photos -11122010. html ? utm _ source = wahoha . com & utm _ medium = referral & utm _ campaign = wahoha

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“Se credi che la conoscenza costi troppo, prova con l’ignoranza.” — Un professore (via dottorblaster) via: http :// falcemartello . tumblr . com /

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------"Noterete che al mondo vi sono assai più coglioni che uomini; ricordatevene." — - François Rabelais (via imlmfm)

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Mirafiori, Pomigliano, e il pensiero fragile di marco simoni

18 GENNAIO 2011 Per chi volesse risparmiare tempo, una versione breve è sull’Unità di oggi. Caro Peppe, il tuo intervento sul voto a Mirafiori e sulla fragilità del pensiero di sinistra mette il dito nella piaga, che è un esercizio sempre utile. Nel contrastare la globalizzazione, dici, la sinistra ha perso il suo anelito globale. Tuttavia, allo stesso tempo, non ti spingi a suggerire vie di guarigione, non compi il passo successivo. C’è una contraddizione irrisolvibile insita nell’approccio che ha caratterizzato il fronte del No al referendum, e che la sinistra italiana fa fatica a guardare direttamente, come se ignorare le questioni semplici, ma di fondo, possa contribuire a superarle. Un pensiero politico che si nutra delle istanze di liberazione, sostanziale e non solo formale, dei gruppi più deboli e delle persone che li compongono, non può non salutare come positivi i fenomeni di abbattimento dei confini, che riguardano le merci, i capitali, ma anche le persone: l’apertura rende tutti più ricchi, sia dal punto di vista materiale, che immateriale: la globalizzazione è dunque una grande opportunità di maggiore conoscenza, benessere economico e dunque maggiore libertà. E’ talmente ovvio da non costituire base di alcuna politica il fatto che questi fenomeni vadano compresi, corretti, e indirizzati, ma non è questo il punto. Infatti, questi stessi fenomeni, e non solo a causa delle storture drammatiche che hanno caratterizzato lo specialissimo mercato finanziario, hanno anche l’inevitabile effetto di amplificare alcune diseguaglianze, specialmente se osservate dalla prospettiva nazionale. Quello che non si discute a sufficienza, tuttavia, ignorando questa contraddizione tra maggiore prosperità e maggiori diseguaglianze, è il metro e la misura delle diseguaglianze, metro e misura invece, senza i quali, tutte le

297 Post/teca vacche sono nere, o rosse forse. Rispetto all’accordo di Pomigliano, quello di Mirafiori conteneva una clausola in più: l’esclusione della rappresentanza dei sindacati non firmatari, esclusione conforme ad un articolo dello Statuto dei Lavoratori che in passato è servito ai sindacati confederali per limitare la competizione dei sindacati di base. Data la dimensione della FIOM, è evidente che con quella clausola si apre un problema di democrazia. Tuttavia, è anche evidente che, posta in questi termini, ossia legata alla dimensione e importanza della FIOM, non si tratta più di un problema di principio o di diritti: se fosse così il problema varrebbe anche per qualsiasi sindacato di base, mentre invece fino a ieri nessuno ha contestato quella norma. E’, al contrario, un problema – molto serio e vero – contingente e relativo al caso specifico. Si potrebbe giustamente notare che quel che conta, anche nella valutazione dei diritti per i quali è importante battersi, non è la forma, ma la sostanza, e che la sostanza della questione nel caso di Mirafiori e delle altre fabbriche della FIAT è rappresentata dalla forza, anche numerica, della presenza della FIOM. Tuttavia, questo è un paese dove la sostanza del diritto di sciopero – altro che rappresentanza! – per almeno quattro, o forse cinque, milioni di lavoratori precari – quasi tutti di età inferiore ai 40 anni – è stata sistematicamente messa in secondo piano da almeno 15 anni, accanto alla sostanza del diritto ad un salario dignitoso, una minima stabilità, e la possibilità di immaginarsi un futuro ragionevole, fatto di cose normali, come una casa e una famiglia. Allora ecco che la misura inizia a perdersi, e rischia – o forse ha la certezza – di non essere percepita proprio da quella fetta, molto larga, e prevalente tra meno anziani, di lavoratori che vivono al confine tra lavoro e non-lavoro, che il lavoro pienamente inteso, non l’hanno mai conosciuto. Pensi che da domani “gli appelli scritti al computer, col sigaro che fuma nel posacenere accanto”, comedescritto con grande efficacia da Concita De Gregorio, si replicheranno a favore dei milioni di giovani uomini e donne italiane con il reddito in picchiata e le prospettive assottigliate? Forse no, ma la ragione non sta nel fatto che si tratta di sfruttati di serie B, ma dipende dal fatto che l’assenza di metro e misura rende impossibile immaginare e concepire sia la politica, che le politiche. Nel caso di Pomigliano, né la FIOM né la CGIL si erano schierate per il No, ma per la libertà di scelta. Il loro dissenso all’accordo, comunque forte e visibile, era tutto mosso dalla cosiddetta clausola di responsabilità secondo la quale non si può scioperare sui termini dell’accordo per la durata dell’accordo: la loro contrarietà, in altri termini, non riguardava i nuovi turni, o le pause, o il salario che, a me come a te, tracciano i confini di esistenze così dure. Ma allora, ancora, quale è il metro e la misura della diseguaglianza in questa vicenda? Io non ne sono più sicuro. Il diritto di sciopero che non deve conoscere limitazioni, nemmeno in accordi collettivi?

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Oppure una paga troppo bassa per un lavoro troppo duro – che giustamente è stato il tema che ha finito per prevalere nel dibattito, pur in assenza di una chiara richiesta che si opponesse a quella dell’azienda? Oppure, come anche si è letto, il tema riguarda le retribuzioni esagerate, fuori dal senso comune, che manager globalizzati riescono ad attribuirsi in virtù del maggiore ruolo che una economia globale assegna loro? Il punto è che senza una riflessione di merito, è impossibile sia circoscrivere la natura di una battaglia politica, che pensare agli strumenti da impiegare per combatterla. A seconda del peso delle diverse dimensioni cambiano i confini della battaglia, cambiano i luoghi in cui la discussione politica andrebbe concentrata. Senza metro e misura, come sottolinei anche tu, sia pur indirettamente, diventa persino difficile individuare dove sia il cuore del conflitto, capire chi siano i veri avversari: forse gli operai serbi e polacchi che vorrebbero costruire le macchine e accontentarsi di meno salario? Le tecnocrazie della regolamentazione dei mercati, in Europa o al WTO? I dirigenti delle aziende multinazionali? Il grande capitale finanziario? Come si scorge da queste ultime battute, se si rimane senza misura, che poi significa senza una riflessione complessiva che sia in grado di includere, accanto agli operai della FIAT anche i milioni di precari che subiscono, forse ancora maggiormente, il peso degli aggiustamenti economici legati ai fenomeni di globalizzazione, (dunque in assenza di profondità, come da te rilevato) è un attimo ricominciare a costruirsi nemici immaginari, costruzioni mentali confortevoli e pigre, che servono solo a confondere ulteriormente l’analisi. Senza misura il pensiero rimane ostaggio della gioventù che fu degli odierni rivoluzionari col sigaro che fuma accanto al computer, e rimane completamente sguarnito il campo della vera battaglia politica che andrebbe ingaggiata. Qual è la vera battaglia politica? Quella che considera il presente e il futuro, l’epoca del mondo sempre più aperto, come una prateria di opportunità per chi ha a cuore la libertà delle persone e delle associazioni di cui fanno parte. fonte: http :// www . ilpost . it / marcosimoni /2011/01/18/ mirafiori - pomigliano - e - il - pensiero - fragile /

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Tra papi ed elefanti di haramlik

In Vaticano ne sanno, di cose del mondo, quindi non si capisce bene a che

299 Post/teca gioco voglia giocare Benedetto XVI intervenendo in modo tanto goffo e inopportuno sull’attentato in Egitto, nello stesso giorno in cui l’imam di Al Azhar andava ad abbracciare il vero Papa dei cristiani copti, Shenuda III, e a mostrare la faccia davanti alla prevedibile rabbia della gente sconvolta.

Perché, oltre a non essere riconosciuto, appunto, come proprio Papa dai suddetti copti, il Papa di Roma incarna anche un cristianesimo occidentale che, a torto o a ragione, viene percepito in Medio Oriente come un retroterra ideologico di tutte le bombe che il cosiddetto scontro di civiltà ha fatto piovere su quella regione, dalla prima Guerra del Golfo ad oggi. E, siccome la Chiesa di Roma è la prima ad affermare che l’attuale aumento della cristianofobia in Medio Oriente è da imputare direttamente a ciò che l’Occidente ha fatto in Iraq, non mi spiego per quale motivo abbia voluto associare, in modo tanto eclatante, la propria figura a un attentato in cui è morta gente di religioni che non sono la sua: gente copta e – già – musulmana. In uno scenario in cui la priorità, per i cristiani di quelle terre, è quella di ricordare a tutti che non sono la quinta colonna di potenze straniere e aggressive, ma orientali – e in questo caso egiziani – come e più dei loro concittadini musulmani.

E’ ovvio, quindi, che in Egitto si affronti questo disastro richiamando il concetto di nazione, prima ancora che di religione, e che ci si aspetti dalle diplomazie mondiali appoggio e rispetto in questo senso. E quindi, ripeto: passi per il povero Frattini, che dal basso della sua pochezza starnazza di chissà quali interventi dell’UE in Egitto. Egli è un cretino, pericoloso come tutti i cretini ma, almeno, intelligibile. Ma il Papa? La diplomazia vaticana? Che diamine si propongono, con interventi irritanti per i musulmani d’Egitto e imbarazzanti per i copti? Chiedo, perché l’impressione è che cerchino martiri giocando sulla pelle degli altri. fonte: http :// www . ilcircolo . net / lia /2889. php

------"Primo: non seguire corsi di scrittura creativa. Secondo: esperire il dolore attraverso una lunga

300 Post/teca malattia. Terzo: vivere almeno due anni in un paese sconosciuto di cui non si parla la lingua. Quarto: lavorare in miniera. Il quinto è facoltativo: ci vuole almeno un matrimonio fallito alle spalle."

—Cose che insegna Philp Roth nei suoi corsi di scrittura creativa (via manyinwonderland)

(Source: inveceerauncalesse, via lunacrescente) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

------Gli elenchi del telefono di marco bardazzi

Nel palazzo dove abito sono arrivati, come ogni anno, gli elenchi del telefono. Ho visto la pila di giganteschi volumi nell'androne, pagine bianche e pagine gialle, e non ho potuto fare a meno di pensare: "Ma chi li usa più?". Passano gli inquilini, ma la pila non diminuisce: nel fine settimana mi sembra che nessuno abbia preso la propria copia gratuita degli elenchi. Un bambino ha chiesto al padre, aspettando l'ascensore: "Papà, quelli che sono?". Non aveva mai visto un elenco del telefono. Un tempo l'elenco era un punto di riferimento della casa. Stava di solito in un cassetto o in uno scaffale sotto l'oggetto con cui viveva in simbiosi:

301 Post/teca il telefono. Oggi nelle case il telefono, nella migliore delle ipotesi, è un cordless che non si sa mai dove è finito. Ma cresce il numero delle famiglie che il numero fisso non lo hanno più, usano solo il cellulare. Quindi, a che serve l'elenco del telefono? Non ricordo l'ultima volta in cui l'ho usato. Se vado su PagineBianche . it o PagineGialle . it , faccio assai più in fretta che non sfogliando il librone (peraltro diventato troppo ingombrante nelle nostre case). Le mie figlie, poi, gli "elenchi del telefono" li hanno sulla rubrica del cellulare e nella lista degli amici su Facebook. Del librone non sanno che farsene. Così la pila degli elenchi resta là, immobile, nell'androne.

Che c'entra con questo blog? Semplice: domani la sorte degli elenchi del telefono potrebbe toccare ai quotidiani di carta… fonte: http :// marcobardazzi . com / blog 8/2011/01/17/ gli - elenchi - del - telefono /

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La donna è mobile qual piuma al vento, muta d'accento e di pensiero. Sempre un amabile leggiadro viso, in pianto o in riso, è menzognero. La donna è mobil qual piuma al vento, muta d'accento e di pensier, e di pensier, e e di pensier.

È sempre misero chi a lei s'affida, chi le confida mal cauto il core! Pur mai non sentesi felice appieno chi su quel seno

302 Post/teca non liba amore! La donna è mobil qual piuma al vento, muta d'accento e di pensier, e di pensier, e e di pensier. da: Rigoletto, atto III - il Duca fonte: http :// opera . stanford . edu / Verdi / Rigoletto / III . html

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Destra e sinistra ai tempi della rete di vittorio bertola

Oggi pomeriggio ho scritto la posizione del Movimento 5 Stelle torinese sull ’ accordo di Mirafiori, e l’ho pubblicata. Uno dei primi commenti è stato: “non siete di sinistra, di più”. E io sono rimasto perplesso: perché? Destra e sinistra sono termini che ormai vogliono dire poco; le forze politiche attuali (anche quelle “di sinistra”) sono nei fatti allineate al sistema e ne traggono beneficio e rendita di posizione, e a quel punto il modo in cui partecipano al teatrino diventa francamente poco rilevante: alleandosi al primo o al secondo turno, alleandosi con entusiasmo o dopo parole di fuoco, alleandosi su tutto o solo sulle spartizioni interessate, ma sempre alleandosi col PD±L di turno e permettendo ad esso di restare al potere, in cambio di briciole del potere stesso. Se vogliamo operare una distinzione, dobbiamo dunque operarne una teorica: tra forze politiche che pensassero al bene comune, ci si potrebbe dividere tra quelli che pensano che il bene comune si ottenga lasciando il più possibile liberi di fare i singoli cittadini, e quelli che pensano che il bene comune si ottenga con un grandioso schema pianificato in cui lo Stato è al centro di tutto. Questa, nella lontana galassia in cui i politici sono onesti e disinteressati, sarebbe la differenza tra la destra e la sinistra. In questo schema, un internettaro come me non può che stare dalla parte della libertà; Internet è il meraviglioso prodotto della libera e

303 Post/teca incontrollata iniziativa individuale di tantissime persone, senza alcuna pianificazione o alcun controllo centralizzato, e con regole che (almeno nella sua fase costitutiva) si evolvevano davvero dal basso. E allora com’è che su Mirafiori parlo di tassare le stock option all’80% o mettere dazi alle importazioni? Beh, vedete, Internet è anche il meraviglioso prodotto della libera condivisione, ovvero di tante persone che hanno usato la propria libertà per farsi tra loro del bene invece che del male, capendo che così si sarebbero ottenuti vantaggi superiori per tutti. La competizione a somma zero, quella in cui ognuno costruisce per sé solo sottraendo agli altri, non sta nello spirito della rete, né funziona. Insomma, condivisione e competizione non sono - come ci hanno fatto credere - due concetti tra loro inconciliabili, ma sono due facce della stessa medaglia. La competizione promuove l’innovazione e l’ingegno, ma non potrebbe esistere se non partisse da una base condivisa di sapere e di opportunità. Compito della politica è mantenere l’equilibrio tra le due facce della medaglia, lasciando libere le persone di sviluppare al meglio le proprie attitudini e le proprie potenzialità, ma garantendo la solidarietà necessaria perché possano esistere diritti, sicurezze e opportunità per tutti, senza le quali non c’è civiltà ma solo la giungla, e a lungo termine non c’è benessere per nessuno. E’ per questo che è così difficile interpretare secondo i vecchi schemi quello che diciamo; e intanto, io mi colloco fieramente a destristra. Ma anche un po’ a sinestra. fonte: http :// bertola . eu / nearatree /? p =2058 via: http :// www . pasteris . it / blog /2011/01/18/ destristra - e - sinestra /

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20110119

19/01/2011 -

Cornetto, il "copyright" è veneziano

Nel '600 arrivò in Laguna il dolce

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che celebrava la vittoria sui turchi torino

Il parco che circonda la Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence, a pochi passi da Nizza, sembra quasi irreale per le sculture e le fontane di Miró e Chagall. Accanto, il piccolo bar nascosto nel verde è arredato con tavolini e sedie intarsiate di Giacometti. La locandiera spolvera il marmo del bancone, sospira e chiede ai turisti italiani: «Adoro il mio lavoro e mi piace farlo come si deve, perciò ditemi, non mi offendo: il mio cappuccino è buono come il vostro?». Il primato italiano è un mito. Non fosse altro che il cappuccino lo prepariamo da più tempo. E lo serviamo insieme al «cornetto», alias «brioche», alias «croissant»: la loro patria, nonostante i nomi francesi, è l’Italia. Più precisamente, Venezia.

La tesi è di Gianni Moriani, ideatore del master in «cultura, cibo e vino» all’Università Ca’ Foscari che sull’argomento ha scritto un libro «Cornetto e cappuccino. Storia e fortuna della colazione all’italiana» (edizioni Terra Ferma). Le prime notizie del caffè, materia indispensabile per un buon cappuccino, lo descrivono «acqua negra» e sono del 1615: le portarono a Venezia i viaggiatori da Costantinopoli. Per gli stretti rapporti economici i commercianti italiani, levantini e lungimiranti, decisero d’importarlo. Trent’anni dopo, nel 1645, accade ciò che oggi si definisce un boom: Goldoni alla bevanda dedica una commedia, Bach compone una cantata. L’«acqua negra» entra nella cultura e frequentare i «caffè» diventa un modo di essere della borghesia veneziana. Ma il lusso, come spesso accade, finisce per essere gustato anche dalla povera gente. E dei poveri frati: uno di loro, nel 1683, inventa il cappuccino.

Marco da Aviano, diplomatico raffinato dall’eloquio straordinario, viene mandato a Vienna dal Papa per coalizzare la lega cattolica contro il nemico turco. Qui, per gustarsi un caffè (che da Venezia intanto aveva raggiunto il resto dell’Europa) entra in una bottega accanto al Duomo: non gli piace granché, l’aroma è troppo forte, chiede di aggiungere acqua, poi latte e il colore scuro vira verso il marrone. Assomiglia a quello del saio che indossa. L’esclamazione di chi lo serve, per quanto lapalissiana, è la più immediata: «Kapuziner!».

Ma non esiste cappuccino senza croissant, e il professore Moriani, nel libro, spiega anche le origini del dolce che nel nord Italia si chiama «brioche» e nel centro sud «cornetto». Il primo termine deriva da «brier», impastare, il secondo ha una chiara valenza popolare partenopea. Ma «croissant» che vuol dire?

L’origine della nascita del dolce è nella scelta francese del nome: significa «crescente». Come la luna nella bandiera turca. Già perché il cornetto è legato all’assalto ottomano a Vienna nel 1683, un anno decisivo per la colazione italiana. I turchi strategicamente pensarono di sorprendere l’esercito di notte. A far fallire l’attacco, una categoria che di notte lavora, i fornai. A molti di loro si deve la vittoria dell’Austria e a uno soltanto la creazione del dolce per festeggiarla: una pastafrolla a forma di mezzaluna - appunto «crescente» - il «kipferl»: per mangiare simbolicamente gli ottomani.

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E così, poiché la repubblica di Venezia confinava con l’Austria, «il dolce - dice certissimo il professor Moriani - prima di arrivare in Francia per la golosità di Maria Antonietta, è sbarcato in laguna col nome “chifel”. Ci sono tomi, documenti a confermarlo».

Un cumulo di certezze per il professore e la barista della Fondation Maeght che in attesa della risposta sulla qualità del suo cappuccino scruta l’espressione degli italiani: «Lo so, il segreto è nell’equilibrio dei sapori e nella consistenza della schiuma. Battaglia persa: sono doti che voi avete nel dna».

ELENA LISA fonte: http :// www 3. lastampa . it / cucina / sezioni / notizie / news / articolo / lstp /384961/

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Il cane e' un gentleman. Spero di andare nel suo Paradiso, non in quello degli umani.

> Mark Twain mailinglist Buongiorno.it

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Re Juan Carlos ha presenziato qualche giorno fa ad una riunione molto solenne, in cui gli venivano presentati, per essere poi accreditati, un gruppo di ambasciatori colombiani. Il tutto in pompa magna, con lui vestito in altissima uniforme e seguendo un protocollo estremamente formale come è di prassi in una delle corti più antiche del continente. Peccato che a un certo punto, subito dopo essere entrato nella sala sfarzosa e accolto da un nugolo di fotografi e giornalisti, si sia sentito nella sala attigua il suono del suo cellulare che aveva dimenticato acceso su un mobile. A tal punto il re di Spagna, con aristocratico aplomb – Noblesse Oblige verrebbe da dire - si è allora allontanato un attimo dagli astanti per andare a spegnere il cellulare. Una piccola gaffe resa ancor più divertente da due piccole noticine a latere: la suoneria che veniva riprodotta era quella della risata di un bambino (registrazione della risata del nipotino) e il tutto è stato ripreso per essere diffuso in youtube, cosicché il fatterello si è allargato universalmente.

(da una mailinglist)

------"[…] il paese ha litigato per due decenni sulla

306 Post/teca giustizia, sull’informazione, sulla laicità, sulla cultura, sull’inizio della vita e la fine della vita – temi altissimi benché discussi con deprimente approssimazione – ma quando riusciremo a guardarlo da lontano rischiamo di vedere scene di film porno con anziani." — La facciamo finita ? | Politica | Il Post (via bolso) (via marikabortolami)

------"Il lavoro nobilita l’uomo” significa “sgobbare tutta la vita per due soldi nobilita l’uomo”, e questo non ha proprio nessun senso. Sgobbare tutta la vita per due soldi può essere una spiacevole necessità, non un’aspirazione. Se uno passa la vita a sgobbare per due soldi rischia di annullarsi nello sgobbare, di immedesimarsi con il suo sgobbare. È terribile quando uno diventa il lavoro che fa: “mio cugino è un autista”, “è morto un cameriere”, “è nato uno spazzino”. Quando uno finisce con l’immedesimarsi con

307 Post/teca il proprio particolare tipo di sgobbare, il poco tempo libero che ha non lo dedica più a ciò che veramente gli interessa, ma a riprendere fiato. Il tempo libero serve solo a rigenerarsi per lo sgobbare. In questo modo uno si svuota, perde interesse per tutto e inizia a bere, a distruggersi di canne e a dilapidare i due soldi che guadagna con puttane e video poker. Allora è meglio dire “il lavoro è il padre dei vizi”. Questo ha senso." — in coma è meglio : IL LAVORO È IL PADRE DEI VIZI (via tigella) (via bisax)

------"Più una società è stanca, più ammira nella prostituzione la caduta dei suoi stessi ideali." — Ennio Flaiano, Taccuino del marziano, 1960 (via imlmfm)

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308 Post/teca Vaticano, ma quanto ci costi? helene benetti, 18 gen 2011

Città del Vaticano è il più piccolo stato del mondo, si estende su 44 ettari di terreno, ha 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta a 407.095 euro; la sua economia (con i suoi profitti) si basa sugli investimenti, mobili e immobili, sul patrimonio esistente, sulle rendite e sulle rimesse delle diocesi sparse nel mondo. I suoi beni immobili sono spesso esenti da imposizione di tasse, così come i suoi commerci, i contratti e le donazioni. In Italia il Vaticano è leader in ben quattro settori economici: immobiliare, turismo, sanità ed educazione privata. Qui, più che altrove, si intrecciano proprietà immobiliari, attività bancarie, imprese industriali, finanziamenti diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato e di Enti Pubblici.

Il governo italiano, infatti, con la stessa mano con cui continua nella politica criminale dei tagli alla spesa pubblica, ai servizi sociali e ai finanziamenti alle scuole e alle università pubbliche, elargisce con tanta disinvoltura oltre 5 miliardi di euro l’anno al Vaticano, l’equivalente dell’intera Finanziaria 2011. Sul versante istruzione pubblica a fronte di un taglio triennale di circa 8 miliardi di euro, che significa la perdita di 140 mila posti di lavoro, l’espulsione in massa dei precari e la drastica cancellazione di materie, scuole e classi, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la Finanziaria 2011 aumenta di 245 milioni le risorse alle scuole private (in maggioranza cattoliche) che vengano quasi raddoppiate, raggiungendo così i 526 milioni annui di finanziamento statale. Non tocca migliore sorte all’Università pubblica su cui incidono pesantemente gli effetti negativi dei tagli introdotti dalla coppia Gelmini-Tremonti di circa 1,4 miliardi, a fronte di un finanziamento alle Università cattoliche che dal 2004 costano allo Stato oltre 110 milioni di euro. E ben 50 milioni sono stati destinati all’Università Campus Bio-Medico, università privata che si autodefinisce “opera apostolica della Prelatura dell’Opus Dei”, che “intende operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido fondamento del sapere umano, poiché l’autentico progresso scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità”, il cui

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“personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università [...] considerano l’aborto procurato e la cosiddetta eutanasia come crimini in base alla legge naturale [...] (dalla Carta delle finalità). Sempre sul versante scuola vi è lo scandalo degli insegnanti di religione i cui stipendi ci costano ogni anno 650 milioni di euro. Infatti dal 2003 gli oltre 22.000 insegnanti di religione cattolica sono diventati dipendenti statali a tutti gli effetti, con stato giuridico, trattamento economico e diritto alla mobilità equivalenti a tutti gli altri insegnanti. L’idoneità all’insegnamento della religione cattolica è data dal Vescovo e non occorre nemmeno avere una laurea, basta un diploma di magistero in scienze religiose rilasciato da un istituto approvato dalla Santa Sede. Altro fatto vergognoso riguarda la fornitura idrica al Vaticano che l’art. 6 dei Patti Lateranensi rende completamente gratuita. L’Italia si fa carico da allora dei 5 milioni di metri cubi d’acqua consumati in media all’anno dallo Stato Pontificio. Per le acque di scarico, Città del Vaticano si allacciava all’Acea, Azienda del Comune di Roma incaricata dello smaltimento, ma si rifiutava di pagare le bollette perché non riconosce la tassazione imposta da enti appartenenti a stati terzi! Dal 2004 gli paghiamo anche quelle: con uno stanziamento di oltre 30 milioni di euro per dotare il Vaticano di un sistema di depurazione proprio. Alla prodigalità dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica, si è peraltro aggiunto anche il particolare favore con cui le Regioni, pur gravate da incipienti deficit di bilancio, hanno continuato a dispensare a suo favore contributi pubblici sotto ogni forma, dai buoni scuola, ai generosi finanziamenti al comparto della sanità convenzionata, fino alle recenti sovvenzioni a favore della formazione dei volontari del movimento per la vita per favorire il loro ingresso nei consultori (leggi governo Cota!). I maggiori introiti nelle casse vaticane sono in realtà rappresentati da tre grandi voci di entrate che rappresentano tre grandi voci di spesa per lo Stato italiano, fra finanziamenti diretti e mancati introiti fiscali, che in concreto significano per noi cittadini più tasse e meno servizi: L’IMBROGLIO DELL’OTTO PER MILLE 1 MILIARDO e 67 milioni di euro, per l’anno 2010, destinato per il 80% alle spese interne della Chiesa quali il sostentamento del clero (33,6%), le esigenze di culto (catechesi, tribunali ecclesiastici, manutenzione e rinnovo degli immobili, gestione del patrimonio); solo il 20% dei fondi sono destinati a

310 Post/teca interventi caritativi, a dispetto di quanto vorrebbero farci credere le campagne pubblicitarie che, in prossimità della denuncia dei redditi, invadono le Tv e le radio nazionali con lo slogan: “Con l’otto per mille alla Chiesa cattolica, avete fatto tanto per molti”. Altro problema è la ripartizione dei fondi: nella realtà, soltanto un terzo degli Italiani sceglie a chi devolvere l’8 per mille, ma ugualmente l’85% viene assegnato ogni anno alla Chiesa Cattolica. Infatti la ripartizione della quota dell’otto per mille non direttamente assegnata (per mancata indicazione di preferenza da parte dei contribuenti) avviene proporzionalmente ridistribuita in base alle preferenze. Ciò avvantaggia la Chiesa cattolica rispetto alle altre istituzioni aventi diritto in quanto, storicamente destinataria della maggior parte delle preferenze. L’ESENZIONE ICI SUGLI IMMOBILI, ANCHE SUGLI ALBERGHI A 5 STELLE La Chiesa Cattolica gode dell’esenzione totale dell’ICI relativamente ai fabbricati destinati in via esclusiva all’esercizio del culto e le relative pertinenze. Dal 2007 è prevista anche l’esenzione dell’Ici per gli immobili di proprietà del Vaticano adibiti a scopi commerciali, basta “che sia mantenuta una piccola struttura destinata ad attività religiose.” Si calcola che tale ulteriore “regalo” comporti un minor gettito per i già dissestati comuni italiani di almeno 1 MILIARDO di euro all’anno. Gli enti ecclesiastici sono 59.000 e posseggono circa 90.000 immobili, che rappresentano il 22% dell’intero patrimonio immobiliare dell’Italia: parrocchie, oratori, conventi, seminari, case generalizie, missioni, scuole, collegi, istituti, case di cura, case di riposo, ospedali… Il loro valore è di almeno 30 miliardi di Euro, ma sono esenti dalle imposte sui fabbricati (ICI), da quelle sul reddito delle persone giuridiche, sulle compravendite e sul valore aggiunto (IVA), in quanto tutti, anche gli alberghi a 5 stelle, sono classificati “non commerciali”: infatti, dal 2007, è sufficiente che nell’immobile vi sia una cappella votiva per classificarlo “non commerciale” e ottenerne l’esenzione totale. ELUSIONE FISCALE LEGALIZZATA NEL BUSINESS DEL TURISMO CATTOLICO Il Vaticano è oggi uno dei più potenti broker nel turismo mondiale, si calcola che gestisca un flusso annuo da e per l’Italia di 40 milioni di visitatori. In tutta Italia preti e suore gestiscono 250.000 posti letto in quasi 4 mila strutture e l’attività è in larga misura esentasse e frutta 5 miliardi di euro all’anno. In cima alla piramide organizzativa del turismo cattolico sta l’Opera Romana

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Pellegrinaggi, a fianco della quale svolge un ruolo importante l’Apsa, l’amministrazione patrimoniale della Santa sede, che gestisce gli immobili della Chiesa e spesso gli utili alberghieri. Entrambe le società hanno sede nella Città del Vaticano, godono dunque di un regime di extraterritorialità che in un settore ricco e in forte espansione come il turismo si traduce in un formidabile ombrello fiscale e significa non presentare bilanci e sfuggire alle leggi italiane in materia fiscale, di igiene, prevenzione, ecc. Non si tratta soltanto dell’Ici non pagata per alberghi, ristoranti, bar di proprietà degli enti ecclesiastici, ma anche del mancato gettito di Irpef, Ires, Irap e altre imposte, sulla cui elusione sta indagando da tempo la commissione europea. I lavoratori delle “case religiose”, sempre più spesso veri e propri alberghi rintracciabili sul circuito commerciale, sono spesso suore o preti o volontari o legati da contratti anomali di collaborazione. Quindi la Chiesa non deve pagare le imposte sul lavoro dipendente. Inoltre, se i preti impiegati in queste strutture percepiscono uno stipendio, alle suore la Cei non versa neanche un euro, nonostante si alzino all’alba e lavorino 12 ore al giorno: questo significa che non avranno mai, a differenza dei preti, né uno stipendio, né una pensione. Inutile gridare all’ennesima discriminazione con soldi pubblici: sappiamo molto bene cosa il Vaticano pensa delle donne!! Nel sito della Cei, a questo proposito, si legge negli ultimi tempi una ricorrente lamentela per il fatto che, visti gli indici di crescita, la catena turistica religiosa deve ricorrere sempre più spesso al personale esterno; e il personale esterno “non garantisce le stesse prestazioni di suore e preti, pretende di essere pagato per gli straordinari e cerca di introdurre tutele sindacali…”. Sia pure con i limiti enormi di libertà imposti dalla giurisdizione pontificia. I privilegi fiscali della Chiesa e le minori spese, si traducono in un vantaggio sulla concorrenza e nella possibilità di praticare prezzi fuori mercato. Se i prezzi calano il fatturato esplode. E lo stato italiano lo favorisce in ogni modo, con le esenzioni e con i finanziamenti diretti. I 3.500 miliardi di lire versati dall’erario alla Chiesa per il Giubileo sono serviti in buona parte a riorganizzare la rete di accoglienza turistica, trasformando conventi, collegi e ostelli in moderne catene alberghiere, tutti esentasse, tutti con una minuscola cappella incorporata!

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http :// medea . noblogs . org /2011/01/12/ vaticano - ma - quanto - ci - costi / via: http :// informarexresistere . fr / vaticano - ma - quanto - ci - costi . html

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Blogger usate l'archivio storico della Stampa “Agenti ed esperti federali stanno cercando di rintracciare un geniale «pirata elettronico» che da diversi giorni è riuscito ad immettersi in decine di computer di una vasta rete nazionale di comunicazioni, la «Internet» (…)”

E’ il 20 marzo 1990 ed è la prima volta che la parola internet compare sul quotidiano La Stampa. Repubblica lo aveva anticipato di pochi mesi , il 24 gennaio dello stesso anno. Gli archivi storici dei giornali sono una miniera ancora non sfruttata a dovere dai blogger : quello di Repubblica arriva al 1984 ma quanti lo usano? Quello della Stampa ( http :// www 3. lastampa . it / archivio - storico ) è una bomba: è online dal 29 ottobre scorso e arriva al 1867 presentando ogni singola pagina scansionata. Mitico.

Si apprendono cose meravigliose. Esempio: la prima volta che viene citato Silvio Berlusconi siamo nel 1974, lui ha 38 anni ed è già miliardario. Cosa fa? Organizza feste ad Arcore. Non ci credete? Cercate (8/12/1974 “Un principe fugge dall'auto dei rapitori che urta per la nebbia uno spartitraffico” articolo di Gino Mazzoldi)

Tre anni dopo diventa Cavaliere (2° articolo). Al 4° articolo ci si comincia a chiedere chi sarà questo Alberto Dell’Utri, fratello di Marcello, e chi rappresenti (4/2/1978 “Sorpresa e interrogativi per la Venchi Unica 2000”, articolo di Adriano Provera). Ma è al 5° che il nostro dichiara per la prima volta le sue vere intenzioni: salvarci dai comunisti costruendo case « Fossi giovane e non avessi la possibilità di avere una casa » dichiara, «anch'io forse avrei delle tentazioni rivoluzionarie, diventerei un ribelle.» (7/2/1978 “Città complete chiavi in mano”, marchetta di Pier Mario Fasanotti).

Al 6° articolo si scopre che tra queste nuove emittenti private C'è poi «Tele Milano» che ha sede a «Milano Due», uno dei quartieri residenziali più «chic» della città. E' diretta da Gabriele Ceccato e ne è direttore artistico Mike

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Bongiorno. Si dice sia finanziata dall'impresario edile Berlusconi.(20/08/1978 “Editori, politici, finanzieri nel businness chiamato tv” articolo di Gino Mazzoldi). All’8° articolo il noto direttore artistico di TeleMilano lascerà basita la cronista dichiarando «Adesso questa è la mia attività principale». E’ il 5 ottobre 1978 (“Mike scende in campo con una maxi-tv privata” articolo di Adele Gallotti).

E chi non ha la possibilità di avere una casa? La prima volta che compare il termine Brigate Rossesulla Stampa è il 26 gennaio 1971. Qualcuno ha lanciato bottiglie molotov contro alcuni autocarri sulla pista prove della Pirelli di Lainate, lasciando un foglietto di rivendicazione vicino all’ingresso. Due mesi dopo (!) La polizia sta vagliando la posizione di un pittore, Enrico C. e sta ricercando un'altra persona, Renato C. di 30 anni , che potrebbero essere i capi delle fantomatiche « Brigate Rosse » che il questore ha definito « ne di destra, ne di centro, ne comunisti » Fino a stasera nessun mandato dì cattura è stato pero spiccato. I funzionari della squadra politica hanno interrogato a lungo Margherita C., amica di Renato C. (25/3/1971 “Indagini a Milano sulle Brigate rosse”, articolo di g.m.) fonte: http :// piste . blogspot . com /2011/01/ blogger - usate - larchivio - storico - della . html

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Ma è un libro di sole domande? «Un corpo che ne acchiappa un altro in un campo di segale va considerato una cosa buona o cattiva? Consideri la pioggia un anestetico? Il dolore purifica?» Esce per Guanda «Interrogative Mood», di Padgett Powell, un libro che non contiene neanche un punto fermo

Le tue emozioni sono pure? I tuoi nervi flessibili? Che rapporto hai con le patate? Costantinopoli dovrebbe chiamarsi ancora così? Un cavallo senza nome ti rende più o meno nervoso di uno che il nome ce l’ha? Secondo te, i bambini hanno un buon odore? Se li avessi davanti a te in questo momento, mangeresti salatini a forma di animale? Potresti stenderti sul marciapiede e riposarti un po’? Volevi bene al padre e alla madre, e i Salmi ti sono di conforto? Se finisci all’ultimo posto in tutte le categorie, la cosa ti secca abbastanza da spingerti a risalire? Ti suonano mai alla porta? Hai qualcosa sul gozzo? Un novello Mendeleev ti potrebbe incasellare con precisione in una tavola periodica delle identità, oppure ti ritroveresti un po’ in tutti gli elementi? Quante flessioni consecutive riesci a fare?

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Tendi a prediligere le Isole Sottovento o quelle Sopravvento? Un uomo con la brillantina in testa e il chewinggum in bocca ti ricorda un criminale o ti attrae per il suo fascino sbarazzino? Hai familiarità con le posizioni religiose a proposito dei vari zoccoli di animali? In quale circostanza, o insieme di circostanze, potresti pescare un pesce gatto a mani nude? Spenderesti di più per un tessuto di spugna migliore? Lo zucchero fa per te? Se un docile esemplare di bestiame ti passasse accanto diretto al macello, gli accarezzeresti il sedere? Le scarpe troppo «tecniche» ti disturbano? Hai un debole per i gioielli? Ricordi la tua passione per la filosofia ai primi anni d’università? Hai il mal di testa? Perché gli alieni non vengono in nostro soccorso? Sapevi che tra gli indiani d’America le donne allattavano i figli fino a cinque anni, semplicemente chinandosi a dar loro il seno in posizione eretta? Hai mai assistito a una partita di shuffl eboard in un campo nudista? Se tutti i campi da tennis potessero avere solo una superficie, quale dovrebbe essere? Nella tua economia, in generale, sei per il laissez-faire o per il socialismo? Se potessi disegnare la bandiera di una nazione, quale sarebbe il colore o i colori predominanti? Gli alberi vanno potati? Rimani perplesso sul da farsi di fronte a un paio di mutande con l’elastico rotto, ma per il resto in buone condizioni? Balli? Aver raccolto bottiglie di Coca-Cola per riscuotere il prezzo del vuoto a rendere è uno dei ricordi fondamentali della tua infanzia? Hai mai ferito o ucciso un animale per sbaglio? Mangeresti carne di carogna? In materia di cuscini, sei un uomo da guanciale di piume o di piumino d’oca? Sei un uomo? Metteresti duecento dollari nella classica busta rossa e me li daresti? Ti sei mai dovuto preoccupare del rischio che gelasse l’acqua nelle tubature, o hai mai avuto a che fare con tubature gelate? Come va la salute? Se si potesse dire che nutri sia speranze che timori, diresti di avere più speranze che timori, o più timori che speranze? Tutti i tuoi affari sono sotto controllo? Avresti la benché minima idea, se per qualche motivo dovessimo ricominciare da capo, di come reinventare la radio, o anche solo il telefono? Ricordi quei particolari elastici di caucciù delle guaine che reggevano le calze da donna prima dell’invenzione dei collant? Chi è secondo te il miglior quarterback di tutti i tempi? Tra un meccanico e uno psicologo, secondo te chi dovrebbe guadagnare di più all’ora? Sei felice? Tendi a chiederti se gli altri sono felici? Conosci le differenze, empiriche o teoriche, tra muschi e licheni? Hai mai visto un animale dal passo più felpato dell’elegantissi ma volpe rossa? Sei disposto a chiudere un occhio nei confronti dei delitti passionali, rispetto ai loro cugini, i delitti premeditati? Comprendi perché il sistema giudiziario lo faccia? I calzini scompagnati ti infastidiscono per aspetti meno evidenti del colore? Ti è chiaro cosa intendo? Ti è chiaro perché ti faccio tutte queste domande? Diresti che ti è molto chiaro, o pochissimo, oppure ti trovi in un punto

315 Post/teca imprecisato del mare melmoso della preveggenza? Dovrei dire forse mare melmoso della lucidità mentale? Dovrei andarmene? Lasciarti in pace? Dovrei importunare solo me stesso con questo spirito interrogativo?

Sei bravo ad andare in bicicletta? Imparare ad andarci, da bambino, è stato facile oppure no? Hai avuto il piacere di insegnarlo a un bambino? Le tue emozioni sono ricche, varie e intense, oppure sono misere, limitate, fragili e insignificanti come uno sputo? Ti fidi almeno di te stesso? Non è dura – e scusami la banalità dell’espressione – essere te? Se potessi fare cambio e diventare, che so, Godzilla, non lo faresti al volo, tesoro? E in tal caso, non rinunceresti a quell’orrendo taglio di capelli, a quel guardaroba austero e a quello stile deprimente per cominciare a divertirti un po’, nei panni di Godzilla? Cosa dobbiamo darti per convincerti a diventare Godzilla e a lasciarci in pace? Dobbiamo aspettare la tua risposta? Soffri mai di quella sinusite che ti fa sentire il verso di un procione dentro la testa? Sei affascinato quanto me dalla scienza, anzi dall’arte, dell’artiglieria? Sei nauseato quanto me dalla locuzione «scienza e arte», e ancor più nauseato da «scienza, anzi arte»? Chi è il tuo pittore preferito? Il tuo apprezzamento di un bell’oggetto – diciamo, per esempio, questa rivoltella con il calcio in madreperla – è influenzato dall’aver dovuto lavorare sodo per ottenerlo, oppure lo valuti allo stesso modo di un bell’oggetto che ti è capitato tra le mani facilmente? Hai un giorno della settimana preferito? Te l’ho detto che mi sono rifugiato, anzi in realtà ho chiesto soccorso allo Shodlik Palace Hotel di Tashkent, in Uzbekistan? Quanto peso si dovrebbe chiedere di portare a un portatore bambino? Ti sei mai interrogato sui racconti rubati nella valigia di Mister Hemingway al binario di una stazione di Parigi? Il fatto che non ne avesse una copia, e che avesse così tanti bagagli da non riuscire a contarli, non sono la prova che era un tronfio bifolco e se l’è meritato? Capisci cosa intendo che si sia meritato? Desideri, come tutti noi, avere un carattere più solare? Ti piacerebbe imparare a sollevare pesi? Ti conforta l’affermazione che ci sia ancora al mondo della gente che sa quel che fa? Oppure, come me, concordi sul fatto che la gente che sa quel che fa ha cominciato a morire intorno al 1945 ed è oramai a un passo dall’estinzione? E che è stata rimpiazzata da gente falsa che sa solo atteggiarsi? Che tra una decina d’anni, quando tutti andranno in Segway parlando a un cellulare incastonato nei loro iTeeth, saremo in dolorosa presenza di un mondo totalmente insensato? Che una gran parte della popolazione mondiale sarà impegnata ad autodistruggersi, se non sarà già morta di fame, mentre una piccola parte della popolazione mondiale si esalterà all’idea del rapido acquisto online di una T-shirt dal costo esorbitante? Hai provato a usare la spugnetta antigraffi o tibetana alla

316 Post/teca mandorla della Zenith Chemical Works di Chicago su dei mobili di qualità? Un aeroplanino di carta ben fatto ti darebbe un pizzico di piacere? Posto che ti venisse garantito di non subire danni né in un caso né nel l’altro, preferiresti passare del tempo in compagnia di un terrorista o di un produttore di cereali per la colazione? Qual è, a tuo modo di vedere, l’incarnato ideale di una mucca? Esiste una legge di natura per cui i sacchetti di plastica sono attratti dai neonati analoga a quella per cui i tornado sono attratti dalle case prefabbricate? Capisci esattamente cosa s’intende con l’espressione « crema pasticcera »? Sarebbe meglio se le cose andassero meglio, e peggio se andassero peggio, oppure meglio se andassero peggio e peggio se andassero meglio? Hai mai sentito il termine « straccivendolo », e hai idea di cosa faccia, o facesse, uno straccivendolo? È ancora possibile comprare kit elettronici per il fai-da-te presso aziende come Heathkit, Lafayette Radio e Knight-Kit?

Un corpo che ne acchiappa un altro in un campo di segale va considerato una cosa buona o cattiva? C’è un motivo per cui la clorofilla è verde invece che, supponiamo, rossa, o è uno dei tanti esempi della cosiddetta casualità darwiniana? Se qualcuno dicesse che un certo modo di suonare la chitarra – e sto pensando al Clapton dei Cream – ha un suono valvolare, questa affermazione avrebbe un significato per te? Sai che esistono gli aquiloni da combattimento? Riesci a immaginare che fortuna accumulerebbe chi riuscisse a creare geneticamente un gattino che resta perennemente cucciolo? Riesci già a immaginarti (e non ce l’ho con te in particolare: saremo tutti orrendi e sembreremo tutti delle vecchie) che aspetto orrendo avrai da donna vecchissima? In linea di principio, preferiresti avere cento sacchetti da un chilo o un sacchetto solo da cento chili? Si può presumere che l’universo sia a corto di energie, oppure che stia trovando nuove energie, oppure che stia mantenendo le energie che ha? Se ti facessero osservare che «Due sconosciuti entrano in confidenza, e man mano abbassano la guardia e fanno meno caso alle buone maniere, finché non vengono commessi degli errori, e così la confidenza diminuisce al punto che la loro distanza supera quella che c’era prima che si incontrassero », saresti propenso a dirti d’accordo? Sai che la vipera del Gabon è abbastanza forte da abbattere una mucca? Sai cosa s’intende con l’espressione «fiume dalle acque nere»? In quale campo la tua mancanza di conoscenze ti preoccupa o ti dispiace di più, botanica o matematica? Se l’architettura è musica congelata, non ci meritiamo un libro completo di ricette per cucinarla? Quando senti la frase « Quelli sì che erano tempi » o qualsiasi allusione simile ai bei tempi andati, sei propenso a catalogare chi parla come un sentimentale, o gli dai atto che quelli erano davvero tempi migliori? La casualità darwiniana giustifica il fatto che cani e gatti e non, per dire, scimmie e

317 Post/teca opossum, siano diventati animali domestici, oppure lo si deve a forze di altro tipo, magari spirituali? Ti chiedi, quando rifletti su cose come chi ha avuto per primo la furbizia di mangiare un’ostrica, chi sia stato il primo ad avere l’idea di tessere: non trovi che un momento del genere abbia segnato davvero una svolta epocale, al contrario di tutti gli sfigati nano-aggiustamenti odierni, che in pratica equivalgono a poter giocare a dama contro un microchip? Ho dimenticato la domanda che dovevo fare adesso? Era «Sta piovendo?»? Consideri la pioggia un anestetico? Il dolore purifica? Hai i nervi saldi come quelli delle mutillidi, le «formiche di velluto» che si affaccendano costantemente sulla terra bassa e umile avvolte nella loro livrea di velluto carminio e seta nera? Sai come stabilire con certezza se la formica di velluto punge? Hai mai visto il monumento bronzeo a Mendeleev a San Pietroburgo, raffigurante a parete intera la tavola periodica degli elementi? Sai che sotto il monumento c’è della spazzatura? Hai mai ricevuto del contravveleno? Perché contra-veleno e non anti-? Non è una meraviglia, la lana? Hai l’impressione che i traghetti siano coinvolti in un numero esagerato d’incidenti? Riesci a immaginare un equivoco divertente generato dal confondere le parole contrazione econtrattazione? Sei un consumatore di vitamine? E dal confondere confusione con contusione, o ipnosi conammoniaca anidra o elettrolisi? Se alle persone di sangue blu si stende il tappeto rosso, la gente comune non diventa verde d’invidia, e i rivoluzionari incavolati neri? Sai com’è in realtà il canto di un usignolo? *** Padgett Powell è uno scrittore americano; ha scritto quattro romanzi, uno dei quali, Edisto, è stato finalista al National Book Award . I suoi testi sono apparsi su The New Yorker , Harper ’ s Magazine , The Paris Review , Esquire e nelle antologie Best American Short Stories e Best American Sports Writing. Vive a Gainesville, in Florida, e insegna scrittura alla University of Florida. Questo testo è tratto dal suo nuovo libro Interrogative Mood (Guanda). fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/18/ interrogative - mood - padgett - powell

------il papa ha detto reallynothing: Tutta questa storia del papa che ha detto tipo che l’educazione sessuale è contraria alla fede cattolica è un falso, veramente. Il papa non ha mai detto

318 Post/teca una cosa del genere, tipo. Ma ovviamente tutti a fare i galletti scandalizzati del pollaio, tipo per dimostrare che sono gente molto sveglia, così. In realtà il papa ha parlato di una «minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione». Tipo che i corsivi sono miei. E tipo che quello che in realtà ha detto il papa è pure peggio di quello che uno dice che ha detto e che invece non ha detto. Ma tanto che volete stare a capire.

------vivenda: Non esistono donne brutte. Dipende solo da quanta vodka bevi. (proverbio russo) vale anche per gli uomini, eh via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“In questo preciso istante sono di fronte al cancello della sede italiana di hello kitty. È tutto fottutamente rosa. Che faccio, detono?” — nonmenefregauncazzo:

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“Il pensiero può essere elevato senza avere l’eleganza, ma, nella misura in cui non avrà eleganza, gli verrà meno la capacità di agire sugli altri. La forza senza la destrezza è una semplice massa.” yoruichi:Pessoa_ Il libro dell’inquietudine via: http :// falcemartello . tumblr . com /

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“Prima di amare impara a camminare sulla neve senza lasciare traccia”.

Proverbio Turco (via chetusiapermeilcoltello) non l’ho capito,ma mi piace (via cubeinthedesert)

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I lutti, ce ne son di due tipi:
i lutti che uno muore, ciao, e lì non c’è un cazzo da fare,
e i lutti che sei tu, nella tua testa, che devi ammazzare una persona
che invece esiste, cammina, vive
respira
scopa, anche, magari anche bene,
insomma sta sul tuo stesso pianeta, che è intollerabile
specie quando sei sicuro che quella lì è la persona della tua vita, quella giusta
e ogni secondo passato a star lontani
è uno spreco di perfezione
e quindi niente, questa persona qua è viva, lutto un paio di palle
e tu la vorresti accanto nei tuoi giorni belli, e meno belli
e farle capire che con te potrà essere sempre se stessa
e prendere le sue paure e farle piccoline
e dirle le cose senza bisogno di dirle
e tenerla per mano tutta la vita

Te

Tutto questo, se ti amassi, ovviamente
ma non ti amo

Perché no ? » Blog Archive » Poesia d ’ amore (via fastlive)

via: http :// biancaneveccp . tumblr . com / post /2733226822/ i - lutti - ce - ne - son - di - due - tipi - i - lutti - che - uno

------emmeintumblerland: cancheabbaia: elicriso: Il vombato è un simpatico animaletto a pelo corto che vive in Australia. Classificato nella specie dei mammiferi, non ha molto senso

320 Post/teca dell’orientamento. Si perde continuamente nelle grandi praterie e per strada, non è raro per un australiano di provincia o città ritrovarsi il vombato attaccato all’uscio di casa, all’alba, in cerca di riparo e protezione. Sono un vombato. esser vombato e non saperlo. via: http :// verita - supposta . tumblr . com /

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Stefano Rodotà Laicità e governo sulla vita Lezione tenuta il 10 marzo 2010 nell’Aula Magna dell’Università di Torino in occasione della consegna del premio Adriano Vitelli “Laico dell’anno”

PREFAZIONE a cura del Centro Studi del Pd

Non troverete in queste note le “cose da fare” ma, speriamo, qualcosa da dire e soprattutto qualcosa su cui riflettere. Diciamo pure uno strumento di studio per il PD, per i suoi dirigenti e iscritti a ogni livello. L’ambizione è seminare pensieri e annotazioni, senza un ordine rigido e con grande curiosità. Potranno essere gli atti di un convegno o brevi saggi, lezioni, position papers su argomenti particolari. Insomma sarà un interrogarsi sui mutamenti, visibili e non, di economia cultura e società. Con uno sguardo all’Europa e ai territori, alla “nazione italiana” e alla visione larga che un partito deve coltivare sempre su di sé e sul proprio tempo. Giocoforza guarderemo un po’ al di là dell’urgenza e dell’agenda, senza però scordarci mai di quel che siamo e del pluralismo fecondo che ci ha fatto nascere. Sta qui, crediamo, l’anima di un progetto politico oggi in campo anche per tornare a tessere le trame della cultura e della democrazia, in un disegno che esige qualcosa di più del solo primato del governo. Esige in primo luogo un dizionario. Non perché siamo “senza parole”. Tutt’altro. Uguaglianza Libertà Responsabilità o Persona, sono termini vitali e bellissimi, oggi come in passato. Il punto, casomai, è rileggerne lo sviluppo e proiettarli in avanti. Farli sentire tutt’uno con milioni di donne e uomini: qui, in casa nostra, come altrove. Al fondo quel che ci serve è un’idea del Paese diversa dalla miscela di populismo e antipolitica che sembra aver sfondato gli argini bassi di partiti offuscati nel loro prestigio. Di questo vogliamo discutere. Della nostra funzione e del bisogno di riscoprire uno spirito di comunità. Il sentirsi parte di uno stesso destino contrastando le spinte a “fare da soli” nell’illusione che sia possibile una salvezza dei singoli, siano essi individui, imprese, territori. La realtà è che la politica è l’opposto: è l’idea irriducibile secondo cui, nonostante tutto, è sempre meglio camminare e pensare insieme.

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LAICITA' E GOVERNO DELLA VITA

Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione. All’inizio del millennio, nel 2001, uno studioso americano, Alan Wolfe, scriveva che, dopo il secolo della libertà economica e quello della libertà politica, si era ormai entrati nel secolo della libertà “finale” – la libertà morale1. Condivisibile o no che sia questa interpretazione, è certo che mette in evidenza un mutamento qualitativo (di paradigma?), sottolinea una sorta di passaggio, un cambiamento di gerarchia, un definitivo ampliarsi dei soggetti in campo. Viviamo ormai in quella che è stata chiamata la “repubblica delle scelte”2. Sì che, parlando di laicità, non possiamo più ritenere che l’orizzonte delle analisi sia individuato soltanto dal rapporto tra due poteri, lo Stato e la Chiesa, “ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani”, o dallo stesso confronto tra secolarizzazione e religiosità. E’ già avvenuta, e continua a manifestarsi, una diversa e più complessa distribuzione dei poteri, che nella persona non ha soltanto il suo punto di riferimento, ma la individua come protagonista istituzionale. Considerata da questo punto di vista, la laicità, oltre che come principio di organizzazione costituzionale e sociale, si manifesta ormai anche come principio di governo della vita. Non è un caso, ma il risultato di un processo culturale e politico, l’affermazione che troviamo nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”. Di questa diversa premessa si fatica ad accettare le inevitabili conseguenze. Si racconta una società frammentata, una deriva iperindividualistica, il congedo da qualsiasi valore. Nel tempo che viviamo, con le paure e le regressioni culturali che l’accompagnano, vien forte la tentazione di mimare un incipit giustamente famoso, e annotare che “uno spettro s’aggira per l’Italia – lo spettro dell’autodeterminazione”. E tuttavia, se spingiamo lo sguardo sul mondo, ci avvediamo che spiriti analoghi si manifestano nei luoghi più diversi. Ma, se così è, non sarà pure vero che il tanto parlar polemico e aggressivo contro l’autodeterminazione ci dice che il tema è lì, ineludibile? Molti segni ci confermano che è così. Per cogliere la sostanza del mutamento, e le ragioni dell’inquietudine o della ripulsa, proviamo allora a muovere da quanto è scritto nella sentenza n. 438 del 2008 della Corte costituzionale. Il punto chiave è il seguente: “la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute”. Si coglie qui, nitidamente, una distribuzione di poteri, anzi un trasferimento di poteri, la cui portata può essere meglio colta attraverso due rapidi esercizi di riflessione storica. Il riferimento all’articolo 13, dunque alla libertà personale, consente di risalire, fino al 1215, alla Magna Charta e al suo habeas corpus, all’antica promessa che il re fa ad ogni “uomo libero”: “non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese”. Siamo di fronte all’abbandono di una prerogativa regia, ad

322 Post/teca una autolimitazione di un potere che, proprio per i caratteri dell’impegno assunto, nella fase precedente era stato con tutta evidenza esercitato in maniera sostanzialmente arbitraria, peraltro in conformità con la sua natura. Quell’atto, se così si può dire, laicizza il potere del re. Quel che ne risulta, infatti, non riposa più sulla sovranità/sacralità, ma si cala nel mondo, si presenta come l’esito di una negoziazione complessa, manifesta l’avvio di un intrecciarsi di fattori che, in tempi assai successivi, porterà a quella “autolimitazione” dello Stato sovrano come atto di fondazione dei diritti pubblici subiettivi. Facciamo un salto di più di sette secoli, e giungiamo ai primi mesi del 1947, quando l’Assemblea costituente discute e approva l’articolo 32 della Costituzione. Qui la salute viene affermata come diritto fondamentale dell’individuo, si prevede che i trattamenti obbligatori possano essere previsti soltanto dalla legge. Ma si aggiunge: “ la legge non può in nessun caso violare il limite imposto dal rispetto della persona umana”. E’, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall’articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell’articolo 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato. Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus, ad una autolimitazione del potere. Il corpo intoccabile diviene presidio di una persona umana alla quale “in nessun caso” si può mancare di rispetto. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini la sua promessa di intoccabilità: “non metteremo la mano su di voi”, neppure con lo strumento grazie al quale, in democrazia, si esprime legittimamente la volontà politica, dunque con la legge. Anche il linguaggio esprime la singolarità della situazione, poiché è la sola volta in cui la Costituzione qualifica un diritto come “fondamentale”, abbandonando l’abituale riferimento all’inviolabilità. La rottura è netta. Nel lontano habeas corpus la volontà sovrana cedeva di fronte al presidio della legge, alla garanzia affidata appunto alla legge e alla giurisdizione (il giudizio dei pari). Questo è il modello storico, che nel Grundgesetz, nella Legge fondamentale di Bonn coeva della nostra Costituzione, viene riprodotto, poiché anche per il diritto alla vita e alla incolumità fisica si prevede la possibilità di limitazione in base alla legge. L’autolimitazione del sovrano è sempre accompagnata da una riserva, dal potere di rimettere la mano su quel diritto. Proprio questo modello è abbandonato dalla Costituzione italiana che, nata in una temperie storica e culturale per questi temi simile a quella tedesca, imbocca una strada completamente diversa, con piena consapevolezza, testimoniata dallo scandalo manifestato da taluni costituenti per questo abbandono ritenuto incompatibile con la natura stessa del Parlamento. Non siamo, infatti, di fronte alla tradizionale autolimitazione del potere. Si opera un vero e proprio trasferimento di potere, anzi di sovranità. Sovrana nel decidere della propria salute, e dunque della propria vita come ci dicono le sempre più comprensive definizioni di salute, diviene la persona.

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Passiamo così al secondo esercizio storico, spingendo lo sguardo ancora più indietro, a quel quarto secolo prima di Cristo quando Ippocrate formula il giuramento che accompagnerà nei secoli la professione medica. Come nella promessa del re inglese, anche nella promessa del medico greco scorgiamo sullo sfondo una storia di violazioni, di abusi, senza la quale la necessità di un giuramento non sarebbe stata avvertita. “Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa” – recita solennemente il giuramento. E aggiunge, tra l’altro: “In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi da ogni offesa e da ogni danno volontario”. Di nuovo una autolimitazione del potere che, tuttavia, nel tempo manifesterà una sostanziale inadeguatezza. La conferma la troviamo facendo questa volta un salto addirittura di ventitre secoli, così giungendo sempre all’ultimo dopoguerra, al 1946, quando viene celebrato a Norimberga il processo ai medici nazisti. La scoperta drammatica dell’abuso del potere medico attraverso la sperimentazione sugli esseri umani (scopriremo poi che lo stesso era avvenuto in Giappone) provoca una immediata reazione, affidata a un documento che prenderà il nome di Codice di Norimberga, che si apre con le parole “il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario”, seguite da una serie di specificazioni che indicano le condizioni essenziali perché il consenso possa essere considerato valido. L’affermazione di una radicale libertà e autonomia del soggetto, nata come reazione alle terribili pratiche naziste, si estenderà progressivamente all’intera materia dei rapporti tra il paziente e il medico e, infine, al riconoscimento alla persona del diritto al governo della propria vita, al pieno esercizio della sovranità sul proprio corpo . La “rivoluzione” del consenso informato modifica le gerarchie sociali ricevute, dando voce a chi era silenzioso di fronte al potere del terapeuta, e definisce una nuova categoria generale costitutiva della persona. Consentire equivale ad essere. Non a caso il rovesciamento della relazione medico-paziente, fondato sulla nuova disciplina del consenso, è stata descritta come nascita di un nuovo “soggetto morale”. Dall’autolimitazione del potere del medico, definita unilateralmente dal giuramento, si passa anche in questo caso ad un integrale trasferimento del potere alla persona. Qui la laicizzazione è resa ancora più evidente dalla sostituzione di una morale esterna, quella definita dalla deontologia medica, con una tutta risolta all’interno della sfera personale dell’interessato. Qui si coglie con nettezza il momento fondativo di quel rapporto tra consenso informato e diritto fondamentale all’autodeterminazione che ritroveremo nella sentenza della Corte costituzionale già ricordata, e che ormai informa nella sua interezza la dimensione della vita e del corpo, com’è detto esplicitamente nell’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Non a caso, nel novembre del 1983, il Bundesverfassungsgericht, la Corte costituzionale tedesca, aveva riconosciuto “l’autodeterminazione informativa” come diritto fondamentale della persona, di nuovo operando una distribuzione di potere, sottraendo le informazioni personali al potere incondizionato dello Stato (la sentenza era stata occasionata dalla legge sul censimento) ed al potere dei “signori dell’informazione”. Anche qui, come nella relazione tra medico e

324 Post/teca paziente, assistiamo alla nascita di una nuova soggettività. Dove prima era soggezione a poteri esterni pubblici e privati troviamo un potere attribuito direttamente alla persona. Lì nasceva un nuovo soggetto morale, qui un nuovo soggetto sociale. La suggestione di questo modello porterà a proporne una estensione in altri ambiti e, soprattutto in ambiente tedesco, si parlerà di “autodeterminazione biologica” e, ancor più specificamente, di “autodeterminazione relativa al materiale biologico”. Ma questa ansia di aggettivare l’autodeterminazione, comprensibile nel momento in cui si voleva estenderne la rilevanza, rischia ora di farle perdere l’ormai raggiunta generalità, ed è bene che venga abbandonata. L’attenzione, allora, deve essere piuttosto rivolta al consenso informato, al suo costituire il riferimento di base nel momento in cui si affronta il tema dell’autodeterminazione. Considerata dal punto di vista della tradizionale cultura giuridica, quella degli studiosi di diritto privato in particolare, “consenso informato” si presenta come una tautologia, ritenendosi implicata nel consenso la necessaria informazione, sì che l’eventuale distorsione informativa rileva solo se si traduce in uno specifico vizio del consenso stesso. Diverso è il punto di vista dal quale considerare il consenso informato quando riguarda l’autodeterminazione e rileva come strumento per governare la vita. L’aver accompagnato il termine “consenso” con la specificazione “informato” individua un modo peculiare di distribuire poteri e responsabilità. L’onere dell’informazione si sposta dalla persona interessata al medico, ai molti interessati alla raccolta di dati personali, ad istituzioni pubbliche. Sono questi i soggetti che devono fornirgli l’informazione necessaria perché la sua decisione possa essere davvero libera e consapevole. Questa constatazione smentisce la tesi di chi guarda al trasferimento di poteri alla persona, ed alla autodeterminazione che ciò comporta, come ad una iperindividualizzazione, alla negazione di ogni legame sociale, al sostanziale isolamento della persona. E’ vero il contrario. E’ la tradizionale idea privatistica, e in sostanza mercantile, del consenso a isolare l’individuo. Quando, invece, si parla di consenso informato, nel senso appena indicato, è una rete di rapporti ad emergere. Ma questo vuol forse dire che l’autodeterminazione si impiglia in questa rete fino a restarne prigioniera, perdendo così forza e autenticità? Non è così, perché la persona ha il diritto di disporre delle informazioni, non l’obbligo di utilizzarle, e meno che mai di uniformarsi agli aspetti direttivi che possono contenere. Nella dimensione dell’autodeterminazione nessuna informazione può divenire normativa. Altra questione, ovviamente, è quella delle eventuali regole sull’esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione, che tuttavia non possono essere in conflitto con i caratteri essenziali di questo diritto. Ritenendo che l’autodeterminazione, proprio perché riguarda la vita, debba essere circondata da particolari cautele, si è osservato che non si può ammettere un suo esercizio sbrigativo. E si è osservato, polemicamente, che l’ordinamento giuridico esige che la validità della manifestazione del consenso risponda a rigorosi requisiti formali pure quando riguarda atti socialmente e economicamente di piccola portata, quale può essere la vendita di un ciclomotore. Muovendo da premesse come questa, e accettando queste semplificazioni, si è negato che il consenso possa essere

325 Post/teca ricostruito facendo riferimento alle abitudini e agli stili di vita della persona, com’è avvenuto nella lunga vicenda che ha accompagnato il morire di Eluana Englaro. Ma, quando si fa riferimento al diritto fondamentale all’autodeterminazione, il consenso può essere ridotto alla misura dell’autonomia privata quale ci è stata consegnata dalla tradizione privatistica? Per evitare fraintendimenti culturali, e improprie conclusioni politiche, è bene ricordare che quella nozione di autonomia e le conseguenti regole sul consenso sono state costruite avendo come punto di riferimento le dinamiche di mercato e le conseguenti esigenze di certezza nella circolazione dei beni. Non a caso il codice civile, quando parla appunto del contratto, lo definisce “un rapporto giuridico patrimoniale”. Basta questo per rendersi conto della improprietà dei tentativi di adoperare quei riferimenti e quelle categorie giuridiche per delineare il quadro istituzionale in cui si colloca il diritto all’autodeterminazione, che riguarda la vita, per sé irriducibile alla logica del mercato, e che deve piuttosto essere riferito al tema della personalità e, in definitiva, della sovranità. Giustamente Paolo Zatti ha messo in evidenza che “la dignità, l’identità, la libertà e l’autodeterminazione, la privacy nei suoi diversi significati sono prerogative da declinare con la specificazione ‘nel corpo’”3, dunque nella vita. Questa diversa consapevolezza è ben evidente nella gran parte delle discussioni, purtroppo non sempre in quelle italiane, e ha lasciato un segno in diverse leggi, che hanno esplicitamente individuato modalità di accertamento della volontà della persona che si distaccano nettamente dai criteri adottati in altri settori del diritto. Proprio l’aver scelto questa diversa strada ha attirato critiche tanto severe, quanto inconsapevoli della peculiarità della materia, sulla motivazione del nostro caso giurisprudenziale più importante, quello relativo appunto alla vicenda di Eluana Englaro. In quella sentenza, infatti, la Corte di Cassazione ha fatto esplicito riferimento agli stili di vita come uno dei criteri da seguire per l’accertamento dell’effettiva volontà della persona relativa alle sue scelte sulla fine dalla vita. Questa è esattamente la strada seguita dal Mental Capacity Act inglese del 2005 e dalla legge tedesca del 2009 sulle disposizioni del paziente. Vale la pena di ricordare alcune di queste norme, con la legge inglese che, alla persona chiamata a decidere al posto dell’incapace, impone l’obbligo di prendere in considerazione desideri e sentimenti, credenze e valori ai quali la persona aveva ispirato la propria vita e che, proprio nel momento della decisione più drammatica, quella sul morire, illuminano tutto il suo itinerario esistenziale, agganciano la decisione a questa complessità e non la rinsecchiscono nell’esclusività burocratica di un atto formale. La legge tedesca è altrettanto esplicita: “La volontà presunta va accertata in base a elementi concreti. Devono essere considerati, in particolare, dichiarazioni orali o scritte fatte in precedenza dall’assistito, i suoi convincimenti etici o religiosi ed eventuali altri suoi valori di riferimento”. L’autodeterminazione si identifica così con il progetto di vita realizzato o perseguito dalla persona. E qui la vita è davvero quella di cui ci parlava Montaigne, “un movimento ineguale, irregolare, multiforme”, irriducibile a schemi formali, governato da un esercizio ininterrotto di sovranità che permette quella libera costruzione della personalità che troviamo iscritta in testa alla nostra e ad altre costituzioni. Sovranità

326 Post/teca e proprietà sono parole che, non da oggi, accompagnano la definizione del nostro rapporto con il corpo, dunque con la vita tutta intera. Lo sapeva bene John Locke quando parlava di un uomo “padrone di se stesso e proprietario della propria persona e delle sue azioni e del proprio lavoro” 4. Intorno a questo tema si è affaticata assai la scienza giuridica, prima incerta, poi ben decisa a liberare corpo e vita dal terribile involucro proprietario che, se all’origine era valso a individualizzare il potere sulla vita e a sottrarlo a poteri esterni, così laicizzandolo, tuttavia lo proiettava poi in una dimensione dove quel potere di disposizione, conquistato dal singolo, serviva soprattutto a legittimare l’alienazione della sua forza lavoro, dando prevalenza alla dimensione mercantile. Non quello della proprietà, allora, ma quello della personalità diveniva il contesto all’interno del quale doveva essere collocato il governo della vita. Respinto sullo sfondo, o escluso del tutto, il riferimento alla proprietà, si creava la condizione propizia all’incontro con la sovranità. Pur con indubbie forzature concettuali rispetto alle sue più generali teorizzazioni, quella parola esprime icasticamente proprio la condizione di una persona sottratta alle pretese e alle interferenze di altri poteri. Certo, tra “sovrani” sono sempre possibili tensioni o conflitti. Ma, proprio per evitare che la vita divenga un campo di battaglia, è stato disegnato un perimetro, sono stati definiti confini che, come si è detto, il potere politico e il potere medico non possono varcare. Sì che, anche quando bilanciamenti o composizioni si rivelano possibili o necessari, ciò esige non solo una considerazione paritaria dei poteri in campo, ma soprattutto l’impossibilità di ritenere che lo Stato abbia giurisdizione sulla vita. Una estrema forma di rifiuto del pubblico? Una deriva individualistica esasperata? Ho già accennato al modo in cui, al contrario, si stabiliscono nuove forme di legame sociale, e su questo punto tornerò più avanti. Ma la questione deve essere piuttosto affrontata tenendo l’occhio rivolto alla pretesa di considerare il corpo della donna come luogo pubblico, denunciata da Barbara Duden5. Una volta di più, in queste materie soprattutto, il pensiero delle donne ha indicato la strada, sottolineando l’illegittimità di considerare il corpo, qualsiasi corpo, come un luogo pubblico. E di questo abbiamo conferma dalla complessiva dinamica istituzionale che consente di affermare che si è ormai realizzata una “costituzionalizzazione della persona”, che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha trovato espressione eloquente. Il richiamo della Carta impone di guardare al suo articolo 1 che, riproducendo le parole di apertura della legge fondamentale tedesca, ci parla di una dignità umana inviolabile, che dev’essere rispettata e tutelata. Ma, se il nuovo modo di riferirsi alla sovranità libera la vita da soggezioni e ipoteche, il principio di dignità si carica ancora di doppie letture, di ambiguità pericolose. Considerando il rapporto tra libertà e dignità, queste sono viste talora in opposizione insanabile, con la prima portatrice del valore dell’autonomia della persona, mentre la dignità sarebbe un veicolo di imposizione autoritaria di valori limitativi di quell’autonomia, tanto che qualche studioso statunitense ha enfatizzato a tal punto il conflitto tra libertà e dignità da costruire quest’ultima come una versione dell’“onore” nazista. Il fraintendimento è clamoroso, ma rivela l’esistenza di un problema. Si può sciogliere la contraddizione di cui la dignità sembra essere

327 Post/teca prigioniera? La via da seguire è indicata dall’articolo 36 della nostra Costituzione, dove si parla di “esistenza libera e dignitosa”. E la Corte costituzionale tedesca, nel 1983, ha scritto che “il fulcro dell’ordinamento costituzionale è il valore e la dignità della persona, che agisce con libera determinazione come membro di una società libera”: linea, questa, che si ritrova nella ricca giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’autonomia della persona. La dignità, la sua definizione e applicazione, dunque, non possono essere separate dalla libertà delle persone alle quali si riferiscono, sfuggendo così al rischio di una riduzione a strumento di imposizione autoritaria. Spingendo poi lo sguardo anche nella direzione dell’eguaglianza, incontriamo l’articolo 3 della Costituzione e il suo riferirsi, insieme, a libertà e eguaglianza. Dobbiamo concludere che l’ineliminabile associazione con la libertà è la via che immunizza dagli eccessi dell’eguaglianza e dalle ambiguità della dignità, che tanto avevano inquietato nel secolo passato e che proiettano ancora un’ombra sulle discussioni di oggi? Ma si può poi dire che questa attrazione nell’ambito dell’autodeterminazione fa perdere alla dignità la sua natura di valore comune? Si riaffaccia così, prepotente, la nostalgia di una “morale normativa”, che sarebbe addirittura il saldo bastione del quale il diritto ha bisogno per non perdersi nei mille rivoli delle morali individuali, e ottenere il necessario consenso collettivo. Queste controversie ci mettono di fronte ad una realtà nella quale il consolidarsi dell’autodeterminazione come principio di governo della vita e come misura della laicità di un ordinamento non ha fatto tacere resistenze profondamente radicate, che continuano a mettere in discussione la piena legittimità della nuova distribuzione dei poteri, e il silenzio al quale alcuni di questi dovrebbero essere tenuti. L’iconografia tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di descrizioni nelle quali figure diverse si contendono il corpo e la vita di una persona. La virtù e il diavolo, il sacerdote e il principe, il medico e il soldato, le donne tentatrici e i mercanti avidi sono tutti lì intorno ad una spoglia, privata di libertà e autonomia, quasi a simboleggiare una sorta di impossibilità di sciogliersi pienamente dalla fitta rete di legami che, più che circondare, avvinghiano la vita. Un grumo di quelle rappresentazioni è ancora presente nelle nostre società, e si manifesta in forme e con mezzi diversi, tanto più poveri e mortificanti quanto più è povera e mortificante la cultura che esprimono, come accade sempre più spesso dalle nostre parti. I mezzi di comunicazione ci restituiscono immagini inquietanti. Il pane e le bottiglie d’acqua sul sagrato d’una chiesa o davanti ad una clinica, le scritte che rivendicano la proprietà d’un corpo e d’una vita, la presentazione del diritto come un’arma che uccide ripropongono con deliberata violenza la negazione dell’autodeterminazione. La vita non è tua, è di altri, di un Dio che te l’ha donata, di uno Stato che se ne impadronisce, di una società che vuole controllarla, di un potere medico che pretende l’esclusività della cura. Lo ha detto con l’abituale nettezza il Presidente del consiglio che, usando come postini due membri del Governo, ha mandato una lettera alle suore che avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato “per non aver potuto evitare la sua morte”. Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al quale è stato impedito di imporre le sue mani per una guarigione altrimenti impossibile. E’ la rivendicazione di un potere sulla

328 Post/teca vita, di cui il politico vuole tornare a essere l’unico depositario. E questa pretesa compare anche come il frutto d’una nuova alleanza tra Trono e Altare, ostentatamente esibita in occasioni pubbliche e ufficiali attraverso le “rassicurazioni” offerte alle gerarchie ecclesiastiche che il loro punto di vista rimane il solido fondamento dell’azione di governo. In quest’uso strumentale dei valori cogliamo la drammatica povertà d’una politica che ritiene che tutto sia negoziabile, pronta a sacrificare a qualsiasi sua esigenza la vita delle persone. Con il pretesto di affermare altissimi principi, si apre la strada al ritorno di una morale normativa e, soprattutto, si dà una nuova prova di quell’abbandono della legalità costituzionale che sta disgregando non solo le istituzioni, ma il tessuto sociale nel suo insieme. Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i varchi faticosamente aperti negli anni passati perché l’autodeterminazione potesse essere concretamente esercitata. In un’ansia di rivincita, l’alleanza tra libertà e tecnologie viene rovesciata. Le tecniche contraccettive avevano reso possibile l’avvio di una sessualità liberata e di una maternità consapevole. Ma le tecnologie della riproduzione, la pillola del giorno dopo, la pillola Ru 486 diventano l’occasione per introdurre nuove proibizioni, e così riprendere il controllo del corpo delle donne. Le tecnologie della sopravvivenza vengono rovesciate nell’obbligo di sopravvivere, attraverso manipolazioni sconosciute alle leggi degli altri paesi. Si dovrà rinunciare ai loro benefici per il timore di divenirne, poi, prigionieri? Questa continua, aggressiva perdita di laicità produce i suoi contraccolpi. Per liberarsi di una mano pubblica che vuole ancora una volta impadronirsi di corpo e vita delle persone, e così nega il nuovo habeas corpus, si fugge in paesi che non conoscono questi vincoli, dando così origine a inedite forme di emigrazione o, per meglio dire, a vere e proprie richieste di un provvisorio asilo politico per sfuggire alle prepotenze legislative del proprio Stato (non solo l’Italia). Per nascere e per morire, si varcano gli ormai labili confini nazionali, con un turismo dei diritti che delegittima il Parlamento e le regole da esso approvate per lanciare un manifesto ideologico, con la cinica consapevolezza che saranno aggirate. Si predica la morale comune e, creando occasioni di rifiuto e conflitto, si fa di tutto per cancellare ogni possibilità di discussione comune. La moralità dell’autodeterminazione è sacrificata alle convenienze. E quel rifugiarsi altrove trasforma i diritti di tutti in privilegio dei pochi che hanno le risorse necessarie per far valere le proprie decisioni. La pienezza della cittadinanza è negata, al suo posto troviamo il risorgere della cittadinanza censitaria. Avrai tanti diritti quante sono le risorse che puoi impiegare per procurarteli nel mercato del mondo, inseguendoli magari su Internet. E proprio qui, nel cuore del mondo nuovo della tecnologia, cogliamo una ambiguità e un rischio, ma pure una chiave per meglio intendere quali dovrebbero essere i rapporti tra autodeterminazione e responsabilità pubbliche. La rete è la grande metafora del mondo di oggi, un’occasione di libertà. Ma che cosa diviene il navigare in rete quando esso non è il frutto di una scelta libera, ma di una ostilità o di un abbandono che obbligano le persone a rifugiarsi in Internet correndo anche i rischi di una frequentazione non sempre assistita dalla necessaria consapevolezza critica? Vi è spesso, in questi casi, una reazione aggressiva, quella di censurare siti ritenuti pericolosi. Una via

329 Post/teca inutile, e impraticabile. La responsabilità pubblica consiste piuttosto nel riconoscere le buone ragioni dei cittadini e nel creare il contesto all’interno del quale le loro scelte possano essere davvero libere e consapevoli, mettendoli così al riparo da possibili rischi, senza cadute autoritarie o scivolate paternalistiche in contrasto con il principio di laicità. Invece di proclamare a parole, ad esempio, il dovere di accompagnare i morenti, la buona strada è quella di prevedere, come già fanno diverse leggi, una indennità al familiare che vuole restare accanto al suo congiunto nella fase finale della sua esistenza. Non è vero, dunque, che il riconoscimento pieno dell’autodeterminazione segni un radicale congedo da ogni presenza pubblica. Segna, al contrario, il passaggio dalla presenza aggressiva alla presenza consapevole. “La percezione della libertà dei cittadini (…) è parte dell’identità costituzionale della Repubblica Federale di Germania”. Queste sono parole della Corte costituzionale tedesca nella recentissima sentenza del 2 marzo 2010 sulla conservazione dei dati personali, una indicazione preziosa nell’orizzonte europeo sul necessario rispetto della persona “costituzionalizzata”, che ridisegna i doveri degli Stati e potrebbe senza fatica esser riconosciuta come parte del nostro quadro costituzionale, se la costituzionalità fosse ancora, nel nostro paese, un bene al quale i poteri pubblici devono inchinarsi rispettosamente. Percezione è parola forte, che ci porta al di là delle astrazioni e dei doveri puramente formali, obbliga a un ascolto continuo della società, implica una attenzione per la concretezza e la materialità del vivere. Proprio questo irrompere della realtà, del vissuto delle persone, dell’”homme situé” e non disincarnato di cui ci ha parlato Albert Camus, inquieta. L’autodeterminazione temuta dovrebbe lasciare il posto al ritorno di quello che davvero sarebbe un fantasma, un soggetto astratto immune dalle contaminazioni della realtà, decorporalizzato. Ma è questa l’unica via possibile per ricostruire l’universalità del soggetto? O è proprio la concretezza della persona che ci restituisce un dato di realtà che unisce e non divide, che implica un mutuo riconoscimento, e così fonda una universalità che non nasce in opposizione alla diversità? L’astrazione del soggetto era indispensabile per uscire dalla società degli status e aprire così la via al riconoscimento dell’eguaglianza. Oggi la stessa eguaglianza ha il suo fondamento nel riconoscimento pieno della diversità, dunque nell’emergere di una persona che l’entrata nel mondo delle relazioni giuridiche non espropria della sua individualità. Non è vero, dunque, che in questo modo il soggetto si autoistituisce, mentre questo dovrebbe essere il compito del diritto. Chi propone questa tesi è, una volta ancora, prigioniero di vecchie categorie, fraintende il ruolo del diritto, che avrebbe senso solo se costruisse una dimensione immune dalle contaminazioni della realtà. Ma ormai il diritto ha dovuto prendere atto della impossibilità di scorporare la persona dal contesto in cui vive. Dovrebbe saperlo soprattutto la cultura italiana che ha una guida netta in quell’articolo 3 della Costituzione, che non è una norma a due facce, l’una volta verso la conservazione dell’eredità, l’eguaglianza formale; l’altra rivolta alla costruzione del futuro, l’eguaglianza sostanziale. A ben leggere, infatti, la novità si manifesta fin dalle prime parole di quell’articolo, dove si parla di dignità sociale e, più avanti, si dà rilievo alle “condizioni personali e sociali”, un riferimento, questo, sconosciuto

330 Post/teca alle costituzioni del tempo e che sarà ripreso più avanti da costituzioni come quella spagnola. Proprio l’attenzione per il contesto consente di ritenere impropria l’identificazione dell’autodeterminazione con l’attribuzione di un potere nella sostanza arbitrario, insofferente di qualsiasi limite. E, allo stesso tempo, impedisce di leggere i vincoli esistenti come una smentita della qualificazione dell’autodeterminazione come diritto fondamentale della persona. L’autodeterminazione vive in un contesto che la collega con la dignità e la libertà, principi che immediatamente la sottraggono ai condizionamenti derivanti, in primo luogo, dalla logica di mercato. Diversi documenti internazionali, ultima la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vietano che il corpo possa essere fonte di profitto, ponendo così un principio che riguarda la vita intera. Questa non è limitazione dell’autodeterminazione, una nuova sua soggezione a logiche paternalistiche. E’ invece la creazione delle condizioni necessarie per sottrarre la persona a forme di condizionamento legate soprattutto a difficoltà economiche, che possono spingere a fare del corpo una merce tra le altre. Davvero possiamo confondere la disperazione con la libertà? L’autodeterminazione come sovranità sul sé, inoltre, identifica un perimetro che esclude la possibilità di esercitare un potere sugli altri. Lo sappiamo da molto tempo. Ma qui, tra i tanti, s’incontra un interrogativo radicale: si può costruire l’uomo? Per rispondere, bisogna distinguere tra ciò che ricade nella sfera della persona e quello che tocca la sfera di altri. E partire, ad esempio, dalla constatazione delle opportunità sempre più ricche offerte da scienza e tecnologia non solo per “riparare” il corpo, ma per “migliorarlo”. Dopo la vicenda di Oskar Pistorius, il corridore sudafricano che corre con due protesi di fibra di carbonio al posto della parte inferiore delle gambe, un’altra atleta paraolimpica, Aimée Mullins, ha affermato che “modificare il proprio corpo con la tecnologia non è un vantaggio, ma un diritto. Sia per chi fa sport a livello professionistico che per l’uomo comune”. Valutazioni etiche a parte, qui l’autodeterminazione s’incontra con l’eguaglianza. Chi potrà godere dell’offerta tecnologica? Solo i benestanti? Si delinea così lo scenario di una società castale, le cui preoccupazioni si manifestano sempre più frequentemente, com’è di recente avvenuto quando si è appreso di una ricerca biologica che, condotta finora sui topi, promette straordinari miglioramenti di memoria e intelligenza. Una volta ammessa l’autodeterminazione, in queste materia diventa essenziale l’eguaglianza nell’accesso. Rischiamo, altrimenti, non tanto quella che è stata descritta come una possibile guerra tra umani e post-umani, ma un profondo, drammatico “human divide”, l’estrema diseguaglianza incarnata nei corpi. Ma costruire un altro? Lasciamo da parte casi limite come quello della clonazione o quello, reale e ben più inquietante, della decisione di usare le tecniche riproduttive per far nascere un figlio sordomuto, che i genitori, sordomuti, ritenevano meglio accetto nella loro comunità. In quest’ultimo caso, l’abuso del potere di scelta consiste nel condannare un altro ad una “vita dannosa”, già ritenuta dalla giurisprudenza una pretesa inammissibile, fonte di responsabilità per danni a carico dei genitori, tanto da far parlare di un “diritto di non nascere”. Ben diverso si presenta il caso del ricorso alla terapia genica per evitare la trasmissione di malattie. Davvero la scelta dei

331 Post/teca genitori violerebbe un diritto a ricevere un patrimonio genetico non modificato o dev’essere piuttosto collocata nella ben diversa dimensione della cura? Via via che si entra nel mondo nuovo della scienza e della tecnologia l’autodeterminazione guadagna nuovi spazi e, proprio per questo, richiede un ambiente pienamente laicizzato, dove tutte le opportunità possano essere valutate senza pregiudizi e avendo come riferimento primario i diritti della persona. Pensare che da dilemmi sempre più difficili si possa uscire limitando l’autodeterminazione, non rappresenta soltanto una forzatura, ma può divenire una mossa che pregiudica la stessa libera costruzione della personalità, il nostro libero stare nel mondo. Scienza e tecnologia non aprono soltanto spazi di libertà, e così possono affrancare da costrizioni naturali e culturali. Avviano anche processi di espropriazione, di riduzione drammatica della libertà di scelta che possono essere contrastati proprio esaltando al massimo le potenzialità dell’autodeterminazione. Non voglio qui insistere sulle tecnologie del controllo. Voglio segnalare quella che chiamerei la consegna della persona alla società dell’algoritmo. Riflettendo sull’ultima crisi finanziaria, si è messo in evidenza come molte decisioni sugli investimenti fossero affidate ad algoritmi messi a punto da matematici e fisici. Una delle potenze che governano il mondo, Google, è stata costruita sulla base di un algoritmo che decide su raccolta, selezione, presentazione delle informazioni. Algoritmi sono sempre più alla base della ininterrotta produzione di profili individuali, familiari, di gruppo, che sono divenuti elemento costitutivo della società della classificazione e producono nuove gerarchie sociali. La stessa costruzione del’identità viene sottratta alla consapevolezza della persona e affidata all’“autonomic computing”. La persona di nuovo consegnata all’astrazione, disincarnata, ridotta a fantasma tecnologico? Se la dimensione della laicità e dell’autodeterminazione si connota sempre più nettamente come il presidio della persona contro l’invadenza di qualsiasi potere, di queste nuove prospettive, e dei nuovi poteri che esse manifestano, non possiamo disinteressarci. Si torna così alle parole iniziali, senza la pretesa di chiudere un cerchio, ma sottolineando con più convinzione come a quel principio e a quel diritto sia affidata la pienezza della persona. Non dirò che la laicità sia il più umano dei principi, ma pure ad esso è affidata la nostra problematica umanità.

Stefano Rodotà Laicità e governo sulla vita

1 A. Wolfe, The Final Freedom, in “The New York Times Magazine”, 18 marzo 2001. 2 L. M. Friedman, The Republic of Choice. Law, Authority and Culture, Harvard U. P., Cambridge (Mass.), 1990. 3 P. Zatti, Maschere del diritto volti della vita, Giuffré, Milano, 2009, p. 86. 4 J. Locke, Il secondo trattato sul governo (1690), sec. 44. 5 B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, tr. it di G. Maneri, Bollati Boringhieri, Torino, 1994. note

332 Post/teca fonte: http :// giannicuperlo . ilcannocchiale . it /2010/12/20/ laicita . html

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”Ho studiato moltissimi filosofi e moltissimi gatti. La saggezza felina è infinitamente superiore”. Hippolyte Taine

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20110120 "Camminare è come ballare, un ballo solitario e sensuale." — Imparare a camminare sui tacchi , Spora on Vanity blog (via spora) (via batchiara)

------"No, ma veramente ho voglia di un viaggio vecchio stile. Nessuna mail, nessun post sul blog, nessuna foto su tumblr, cellulare spento. Un viaggio stile “andatevene a fare in culo tutti, io sono felice e ve lo faccio sapere solo tramite lettere che arriveranno già vecchie”." — Io, parlando con un’amica. (via micronemo) E io approvo. via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

------"Molti uomini vivono in pacifica coesistenza con la propria coscienza sporca." — - Henry Miller (via imlmfm)

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------"Difficile dimenticare il silenzio che seguì: nessun deputato si alzò, e ancor oggi la nostra storia stenta a non essere storia criminale. Ancor oggi si vorrebbe sapere perché i deputati che si ritenevano onesti rimasero appiccicati alla poltrona. Craxi pagò appropriatamente, perché le sentenze erano passate in giudicato e la legge è legge, ma pagò per molti: anche per Berlusconi, che con il suo aiuto costruì il proprio apparato di persuasione televisiva e profittò del crollo della Prima Repubblica sostituendola con un suo privato giro di corrotti e corruttori. I deputati rischiano di restar seduti anche oggi, come allora: per schiavitù volontaria, o peggio. Il sermone oggi necessario deve essere un impegno a che simili ignominie non si ripetano. Proprio perché il conflitto d’interessi è sorpassato, e siamo di fronte a un conflitto fra decenza e oscenità, fra

335 Post/teca servizio dello Stato e servizio dei propri comodi, fra libertinaggio innocente e libertinaggio commisto a reati. Da molto tempo, c’è chi ha smesso di parlare di Palazzo Chigi: preferisce parlare di palazzo Grazioli come sede dell’esecutivo, e fa bene. Che si salvi, almeno, l’aura associata ai luoghi italiani del potere. Domenica scorsa, Berlusconi ha fatto dichiarazioni singolari, oltre che ridicole. Definendo gravissima, inaccettabile, illegale, l’intromissione dei magistrati nella vita degli italiani ha detto: “Perché quello che i cittadini di una libera democrazia fanno nelle mura domestiche riguarda solo loro. Questo è un principio valido per tutti, e deve valere per tutti. Anche per me”. L’uguaglianza fra cittadini equivale per lui alla libertà di fare quel che si vuole, in casa: anche un reato, magari. Non riguarda certo l’uguaglianza di fronte alla legge. L’antinomia stride, e offende. Siamo ben

336 Post/teca lontani dall’ingiunzione di Eraclito, se tutto diventa lecito nelle mura domestiche, e non appena succede qualcosa di criminoso l’uguaglianza cessa d’un colpo, e comincia l’età dei porci di Orwell, in cui tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri."

— Il sermone della decenza - Repubblica . it (via flatguy) (via mumblemumblr)

------"Col tempo si dimentica perfino la paura di calpestare le righe tra le piastrelle." — David Grossmann, Che tu sia per me il coltello. (via bloodylabyrinth) (Fonte: valinonfarumore, via soggettismarriti)

------I giudici se vogliono giudicare bisogna che si facciano eleggere i giornalisti se vogliono scrivere non devono criticare i sindacalisti devono alzarsi in piedi quando mi vedono entrare l’opposizione non deve opporsi se no non

337 Post/teca vale e insomma una buona volta lasciatemi lavorare ho sei ville in Sardegna e le bollette da pagare e forse dovrei farmi ricoverare Mi consenta mi consenta senta c’è troppa anomalia in questa società violenta

I giudici se vogliono restare non ci devono arrestare la stampa estera l’Italia non la deve riguardare e io a casa mia mangio con chi mi pare e insomma Bettino smettila di telefonare più di quello che ho fatto proprio non lo posso fare ho sei televisioni sulle spalle da mantenere e forse mi dovrei far ricoverare Mi consenta mi consenta senta c’è troppa finanza in questa società violenta

338 Post/teca E i tre saggi se sono saggi non si devono impicciare e la Rai deve essere complementare e perdio spiegatemi cosa vuol dire complementare e non dite che non so l’italiano che mi fate incazzare e i giudici i processi li devono stipulare e i giornalisti non devono esageracerbare e forse mi dovrei far ricoverare Mi consenta mi consenta senta c’è troppa poca Fininvest in questa società violenta

E i giudici si alzino in piedi prima di giudicare e se la mafia mi vota cosa ci posso fare e il milione di posti l’avevo detto per scherzare e voglio tremila guardie del corpo che mi devono guardare

339 Post/teca e un ritratto di sei metri vestito da imperatore e che sono fascista non me lo dovete dire e i giornalisti prima di scrivere si facciano eleggere e i rigori contro il Milan non li dovete dare e gli agit-prop vadano in Russia ad agitproppare e non chiamatemi Bokassa o vi faccio fucilare e i giudici il paese non lo possono sventrare e a me gli avvisi di garanzia non li dovete mandare e forse mi dovrei un po’ calmare ma se io sono Dio cosa ci posso fare Mi consenta mi consenta senta no c’è più religione in questa società violenta " — Stefano Benni, Bokassa Rap tratto da ”Il Manifesto” di venerdì 29 luglio 1994

(via checcachicchi)

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340 Post/teca "Casa non è dove vivi, è dove ti capiscono" — (via stenmind) (via batchiara)

------"E’ una cosa ben schifosa, il successo. La sua falsa somiglianza con il merito inganna gli uomini." — - Victor Hugo (via imlmfm)

------Manager filosofi e secoli in svendita imlmfm: Tutti padroni, tutti leader, tutti ribelli. Tutti filosofi manager, benefattori della patria. Tutti liberisti, anzi liberi, di decidere sulla pelle degli altri. Fanno offerte che non puoi rifiutare. Perché la legge del mercato, sai com’è. Lo sappiamo: non esiste. Altrimenti ci spieghino com’è possibile che un pugno di speculatori abbia il potere di ridurre sul lastrico decine di milioni di persone, intere nazioni, così, da un giorno all’altro. A meno che non intendano la legge della giungla. Ma che si dica, senza ipocrisie. Tutti padroni, tutti leader, tutti ribelli. Anche i democratici, pure tanti a sinistra. Parlano di una classe politica oscena. Autobiografici. In nome del mercato, tutto è lecito: umiliare i lavoratori, screditare chi non piega il capo, permettere che tutto resti uguale. Anche cancellare cent’anni di lotte combattute nei campi del sud, nelle fabbriche a nord, in altri paesi lontani, dove i nostri nonni fuggirono per un futuro meno amaro, dopo essere scampati alla fame e alle trincee. Ma se è questo il gioco, giocatelo voi. Andate avanti, anzi, rotolate giù fino al fondo del

341 Post/teca burrone. Non potremo che tirare un sospiro di sollievo. E non ci fermeremo sull’orlo per guardarvi cadere: saremo già al lavoro per rimuovere le vostre macerie.

------"El burdo fascismo berlusconiano, la vulgaridad extrema de los perfectos ignorantes de la Lega Nord y la pasividad cómplice de los llamados partidos de “centro derecha” son los responsables de esta odiosa forma de censura. De aquí a quemar libros en la plaza pública no hay más que un paso. Pobre Italia, gobernada por un anciano degenerado, y en manos de la peor escoria de la sociedad." — Luis Sepulveda (aggiornamento in coda a Profezie post coitum - Michela Murgia ) “en manos de la peor escoria de la sociedad” (via emmanuelnegro) (Fonte: uomoinpolvere, via ufficioreclami)

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“La vita è così: un giorno non hai possibilità e l’altro te le giochi male.” — L ’ amore non è il mio forte .: (via youcanwearit) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

342 Post/teca

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“ma che c’hai nel cervello due neuroni? uno che va sull’altalena e l’artro che spigne?” — detto zen romano (via animo - to ) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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Constatazioni. inpuntadinote: Ho bisogno di una libreria nuova. Di una casa nuova, di una vita nuova, di una nuova me. via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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Mi hanno detto: "Ci vuole coraggio!" chouchouette: Mi mancano i libri, le alzatacce alle 6 del mattino per correre al treno e le corse alle 6 di sera per tornare a casa. Mi manca l’odore della biblioteca di lettere e la sua luce quando fuori piove. Mi manca il suo giardino in primavera e il chiacchericcio degli studenti che si ripetono teorie, filosofie e autori nei giorni prima degli esami. Mi manca la mia assuefazione dentro le parole dei testi da studiare, il mio leggere e sottolineare e continuare a fare schemi inutili. Mi manca la paranoia pre-esame e il mio ripetere lateoria del foglio bianco mentre andiamo a darlo, il vostro “non so niente”, “non mi ricordo niente” e i caffè offerti perchè alla fine abbiamo preso il voto che ci meritavamo o l’ombra di vino quando non succedeva. Mi mancano i “dai, ce la possiamo fare!” i “quando ha spiegato questo non c’ero!” e tutti i pensieri per laurearsi e far valere la borsa di studio chè altrimenti i soldi per studiare non c’erano. Mi mancate voi e l’attesa, il giorno della discussione, che sembra non arrivare mai, che vuoi che non arrivi mai ma continui a dire a tutti che non vedi l’ora che arrivi… E poi? Aspetti un anno, ti prometti di iscriverti alla specialistica, ma oggi un anno equivale ad una vita e le cose

343 Post/teca

cambiano a ritmi sconvolgenti, non hai perso la passione e la voglia di immergenti di nuovo nella routine corso-studio-esame, a costo di fare mille sacrifici, ma adesso è come se non dipendesse più da te, la borsa di studio sembra un privilegio, il posto d’alloggio un giochetto da furbi e ti accorgi che per le passioni ci vuole corraggio, anche per quelle che dovrebbero essere un tuo diritto.

Ho p a u r a. via: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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“A- sei un bugiardo cronico B- è vero A- sei un bugiardo a priori, a prescindere B- sì A- ma io ti scopro sempre sempre sempre B- lo so A- e sai perchè? … Lo sai? B silenzio A- perchè anch’io sono una bugiarda cronica, una bugiarda a priori, a prescindere, una bugiarda senza sensi di colpa B- bene A- no, bene un cazzo. Bene un cazzo. Perchè ogni cazzata che mi racconti, ogni minima cazzata, io lo so che è una cazzata perchè probabilmente avrei detto la stessa cazzata io, uguale. E non te ne farò passare una B- e che facciamo? A- che facciamo? B- te ne vuoi andare? me ne devo andare? A- no. Stiamo insieme per sempre. Per sempre. Insieme e in paranoia B- in paranoia… A- sì. In paranoia. All’erta. Sapendo che ce lo vogliamo mettere in culo con amore il più possibile B- ma non è colpa nostra A- no, infatti. E ti controllerò ogni messaggio in entrata e in uscita nel cellulare

344 Post/teca

B- e io scoprirò la tua password e ti leggerò la posta elettronica ogni ora A- e io ti frugherò nelle tasche dei pantaloni per trovare dei bigliettini o degli accendini regalati da chissà-chi B- e io ti controllerò nelle tasche laterali della macchina per cercare cd ed oggetti sospetti A- e io contrellerò gli scontrini che hai nelle tasche del giacchetto per vedere se hai pagato una o due colazioni B- …io controllerò se trovo la ricevuta di un’autostrada per andare da qualche parte che non mi avevi detto A- io controllerò se nello scontrino della spesa c’è qualcosa che non arriva a casa B- e io controllerò le lenzuola e se le cambi troppo spesso ti chiederò perchè e se non le cambi le annuserò e cercherò dei capelli sul cuscino A- e io ti controllerò scrupolosamente ogni data di ogni dedica su ogni libro B- e io ti controllerò il cestino della spazzatura di camera per vedere se ci sono preservativi, lettere, cerotti, cicche di sigarette che tu non fumi A- e io guarderò nel lavello quanti piatti e quanti bicchieri ci sono da lavare dopo che mi hai detto di aver cenato da solo B- e io ti chiederò chi ti ha messo in testa quella canzone che canticchi A- e io ti controllerò i titoli delle playlist di I-tunes perchè non si sa mai B- eh? A- sì, non si sa mai B- e io vorrò sapere con chi stavi parlando al telefono con quella voce A- e io ti risponderò di farti i cazzi tuoi! A e B ridono. Ridono molto. Moltissimo A- e un giorno troverò un capello lungo e rosso arrivato col vento dalla finestra nella vasca B- e io troverò una mail di un fidanzato di quando avevi 12 anni A- e io troverò uno scontrino con due cene al giapponese che magari ci sei andato con la tua mamma, ma magari no B- e io troverò un biglietto dell’eurostar Mestre-Udine e non saprò che cazzo ci sei andata a fare A- e magari me lo avevano dato per fare un filtro B- magari A- però mi urlerai qualcosa B- ti manderò affanculo

345 Post/teca

A- e io scoprirò del rossetto su una tazzina da caffè B- e andrai a letto con qualcun’altro A- e andrò sicuramente a letto con qualcun’altro B- ma questo credo che non lo scoprirò mai A- credo anch’io B- sarà sicuramente qualcuno di cui non sono mai stato geloso A- sarà qualcuno di cui non hai mai sentito neanche parlare B- e allora anch’io ti tradirò A- ma non lo sapremo mai B- mai A- ti amo B- anch’io.” — DIALOGO, da una nota su FB (via youcanwearit) via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“ Non è un paragone col nostro Premier, intendiamoci, però risulta che Hitler fosse sotto controllo medico ben più di una persona normale. Che, per tenere botta fosse costantemente dopato, letteralmente, e assumesse regolarmente qualcosa come 82 farmaci diversi. La pervitina, ad esempio, che è un eccitante oggi noto come crystal meth o “droga del Führer”, gli veniva somministrata per mantenerlo negli incontri pubblici e nei meeting adeguatamente hitleriano: nel senso che non si poteva permettere che qualcuno, dopo averlo visto, ne ricavasse un’impressione di ammosciamento. Allo stesso modo, avendo la necessità di essere un amante all’altezza del suo potere, pare provato che Hitler si sottoponesse a forti dosi di testosterone e di ormoni prelevati dalla prostata o dallo sperma di tori giovani, una specie di Red Bull ante litteram disgustosa solo a dirsi ma necessaria - secondo le convinzioni mediche dell’epoca - a garantire una potenza sessuale, anche quella, adeguatamente hitleriana. Faccende di Stato e faccende di letto si mischiano, quindi, non da oggi. Poi c’è la questione delle flatulenze, sì insomma delle puzzette, che è

346 Post/teca tragicamente incredibile: vegetariano, cronicamente afflitto da meteorismo, Hitler non poteva certo permettersi di emettere gas intestinali durante qualche delicato incontro con capi di stato o generali. Per evitargli l’imbarazzo, nei decenni, è stato curato facendogli assumere con regolarità un farmaco a base di stricnina, un alcaloide potente e mortale che in quegli anni, in piccole dosi, veniva usato per scopi medici. Solo che, se assunto per molto tempo, ha tra i suoi effetti collaterali convulsioni, delirio, paranoia, e infine pazzia. Pensare che la Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto, siano stati causati da un uomo che era tenuto costantemente fatto come un cammello e mitridatizzato al veleno per ragioni di flatulenza, beh, è uno scherzo atroce impossibile da accettare. ” — War Berlusconi krank ? (via hneeta) via: http :// verita - supposta . tumblr . com /

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Il volto spietato del potere

di GIUSEPPE D'AVANZO

IL berlusconismo arriva al suo compimento. Ci dovevamo arrivare prima o poi e ora - ecco - ci siamo. Quel che si scorge è l'inizio di un lungo tormento. Sapevamo di vivere in un Paese dove al governo c'è un uomo solo - un grottesco Egoarca - che altrove sarebbe già stato allontanato per la sua evidente inadeguatezza politica e insufficienza etica. Sapevamo che quell'uomo solo, che stringe nelle sue mani il filo del potere economico, politico e mediatico, non può permettersi di allontanarsi dal governo perché è il governare, è il potere, sono i dispositivi di dominio che proteggono l'opacità della sua storia, l'irresponsabilità dei suoi comportamenti, il suo futuro. Buona parte dei disordini istituzionali che hanno accompagnato la vita pubblica degli

347 Post/teca ultimi quindici anni - lo sappiamo - è figlia di questa anomala e umiliante condizione in cui viviamo; una condizione che sollecita in tanti o la rassegnazione o una depressione cinica. Ci aspettavamo giorni difficili, ci attendono lacrime e sangue. Non bisogna nasconderselo perché, dopo il videomessaggio di Berlusconi, c'è una circostanza che è diventata chiara come acqua di fonte: quell'uomo non vorrà mai lasciare il Palazzo, qualsiasi cosa accada, qualsiasi siano le sue responsabilità accertate, qualsiasi siano le urgenze del Paese.

Il Sovrano, accusato di concussione e di aver fatto sesso con una minorenne, non accetta di farsi processare. Esige di essere immune. Comunica che se l'impunità gli sarà negata, spingerà la sua avventura autocratica fino alle estreme conseguenze, incurante di condurre l'Italia nel gorgo di un tragico conflitto e le istituzioni dello Stato al collasso con risultati oggi del tutto imprevedibili per il futuro del Paese.

La risolutezza annunciata dal capo del governo non è la caparbietà di un "combattente nato", come pure qualche anima fioca dirà. È la nascita di un potere postpolitico e neoautoritario. È postpolitico perché il processo del governare - che cosa è necessario al Paese? qual è l'agenda delle priorità? come affrontarla? - è ormai del tutto separato e scisso dallo spettacolo mediatico che diventa la più autentica rappresentazione del nostro destino pubblico. Questa scena di cartapesta, che impasta e mescola la realtà trasfigurandola, liquida del tutto i meccanismi democratici che diventano irrilevanti al punto che esprimono soltanto un vuoto. Il capo dello Stato, che ha chiesto appena 24 ore fa trasparenza, è sconfessato. Il Parlamento dei nominati mostra tutta la sua ininfluenza. L'opposizione non trova nemmeno il luogo per esercitare le sue prerogative.

È un potere neoautoritario perché Berlusconi è stato esplicito: "la magistratura sarà punita". Chi gli ha scritto il discorso aveva consigliato "adeguata reazione". Il capo del governo ha corretto "punizione". Perché gli è chiara la strada che intende esplorare: l'unificazione nella sua persona di tutti i poteri. C'è un ostacolo lungo questa via: l'indipendenza del potere giudiziario. Deve essere liquidata. È quel che reclama. Con animo da mercante, potrebbe ripensarci soltanto se gli sarà concessa l'impunità (già si

348 Post/teca ode il lavorio di chi crede alla possibilità di "ridurre il danno").

In ogni caso il capo del governo annuncia nuove misure graduali da stato di emergenza perché è un'emergenza l'autonomia della magistratura anche se il solo a sentirsi minacciato è lui. "State sereni", dice Berlusconi. È una frase chiave. Ci rassicura: la vita andrà avanti normalmente con le sue permissività, i suoi piaceri, i suoi sogni ma - purtroppo - per colpa di una magistratura che lavora con fini politici occorre qualche misura eccezionale necessaria per proteggere la cosiddetta "libertà" che nel lessico del Sovrano equivale a "piacere". Si avvera la profezia di Slavoj Zizek. Nel futuro dell'Italia appare una sorta di autoritarismo permissivo che ha per formula più divertimento e più misure straordinarie. Più "piacere" e meno libertà. Sapremo comprendere i principi eversivi di questo discorso? C'è ancora da qualche parte nella nazione un amor proprio che avverte come degradante, disonorevole, vergognoso per tutti la presenza di quest'uomo al vertice dello Stato? Ammesso che davvero esista nella nostra democrazia ipermediatizzata, si riuscirà a rendere consapevole l'opinione pubblica di che cosa è accaduto, di perché accaduto e per responsabilità di chi.

Nel suo monologo - mai che l'arrogante accetti un contraddittorio, una domanda, la contestazione di "un fatto" - Berlusconi ha truccato le carte come gli accade sempre. Come è possibile dimostrare, ha corrotto Ruby, l'ha costretta a tacere di aver fatto sesso con lui, minorenne. Si è fatto firmare una dichiarazione che lo scagiona. Berlusconi l'ha letta ieri in tv condendo la sua difesa con bubbole e fiabe: mi difenderei volentieri nel processo (questo è un falso indiscutibile), ma la procura di Milano è incompetente (altro falso); non ho mai toccato quella ragazza (ancora un falso). È un altro aspetto della nostra nascente democrazia neoautoritaria. Il Sultano pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. È il paradigma che sempre il capo del governo oppone ai fatti nella convinzione che, in ogni occasione, la forza del suo triplice potere possa piegare la verità, ogni verità, tutte le evidenze. Corrompe i testimoni (già gli è capitato con David Mills, ora c'è ricascato con Ruby che dice: mi vestirà d'oro). Impone all'informazione che possiede e controlla di far deflagrare quelle "verità capovolte" nella mente e nei cuori degli italiani che, otto su dieci, s'informano dalla tv e dunque da fonti quasi esclusivamente sue.

349 Post/teca

Trasforma un suo affare privato in un affare pubblico mobilitando le istituzioni (governo, parlamento) che considera cosa sua. Questo spettacolo nero ha un significato politico. Berlusconi ci dice che, al di fuori della sua "verità", non ce ne può essere un'altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si scorge oggi nell'affaire Ruby, come nella "crisi di Casoria" del 2009, un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l'irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura l'impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del premier come fabbrica di menzogne che finora ha preparato il castigo per chi dissente e da oggi annuncia la "punizione" delle istituzioni dello Stato che non si conformano. Quel che è abbiamo visto ieri in televisione è il nuovo volto di un potere che diventerà spietato, se politica e società non si uniranno per fermarlo. È il paradigma di una macchina politica che deve convincerci della pericolosità di Berlusconi. C'è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip o l'ennesimo episodio del conflitto tra politica e magistratura? Diffidate di chi vi racconterà queste favole. Berlusconi sta mettendo le mani sulla nostra democrazia e bisogna decidere soltanto che la misura è colma. (20 gennaio 2011)

fonte: http :// www . repubblica . it / politica /2011/01/20/ news / il _ volto _ spietato _ del _ potere -11430387/? ref = HRER 3-1

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Il viaggiatore leggero Sellerio ristampa la raccolta di articoli di Alex Langer, con la prefazione di Goffredo Fofi 20 GENNAIO 2011

L’editore Sellerio ha ristampato una raccolta di articoli di Alex Langer che era uscita nel 1996 con il titolo “Il viaggiatore leggero“. Langer fu un intellettuale e politico ambientalista e pacifista, prima di uccidersi a 49 anni nel 1995. Di lui parla Goffredo Fofi nella prefazione del libro. Pubblichiamo anche l’ultimo articolo di Langer contenuto nella raccolta. Se si dovesse chiudere in una formula ciò che Alex Langer ci ha insegnato, essa non potrebbe che essere: piantare la carità nella politica. Proprio piantare, non

350 Post/teca inserire, trasferire, insediare. E cioè farle metter radici, farla crescere, difenderne la forza, la possibilità di ridare alla politica il valore della responsabilità di uno e di tutti verso «la cosa pubblica», il «bene comune», verso una solidarietà tra gli umani e tra loro e le altre creature secondo il progetto o sogno di chi «tutti in sé confederati estima / gli uomini, e tutti abbraccia / con vero amor, porgendo / valida e pronta ed aspettando aita / negli ultimi perigli e nelle angosce / della guerra comun». Dico carità nel preciso senso evangelico, poiché Alex era un cristiano, dei non molti che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici che era possibile conoscere in quegli anni nel «movimento» (e oggi sono ancora di meno) e non, come tanti di noi che gli fummo contemporanei e amici, di fragilissime convinzioni «marxiste» oppure, al meglio, mossi confusamente da una visione solo etica del cristianesimo. La «diversità» di Alex, la sua superiorità sui suoi amici e compagni, gli veniva anche da una storia famigliare più ricca, a cavallo tra lingue e culture, tra Germania e Italia e tra ebraismo e cattolicesimo, ma nessuno vide mai in questo il marchio del privilegio, poiché essa era caratterizzata in lui da una convinzione di umiltà reale e non esibita, non appariscente, dalla propensione all’ascolto degli altri, di tutti, dalla libertà dei collegamenti e dalla scelta di «far da ponte». Quante volte Alex Langer non ha teorizzato nei suoi testi la funzione e l’imprescindibile necessità dei «ponti»? Ricordava tanti anni fa Piero Calamandrei fondando, a guerra appena conclusa, una rivista che si chiamava «Il ponte», il significato metaforico ma anche concreto dei ponti, da riedificare dopo le distruzioni della guerra che si era accanita a distruggerli. Ponti veri, che gli uni o gli altri avevano fatto saltare, e che dovevano mettere di nuovo in comunicazione e in «commercio» persone e città, culture e territori. Ponti ideali, che potessero permettere ai vinti e ai vincitori, tutti infine perdenti, sopravvissuti ai conflitti e alle stragi e cioè al dominio della morte, di ritrovare nell’incontro e nel dialogo la possibilità di un futuro migliore. (L’attaccamento di Alex alle sue radici regionali e la sua ambizione cosmopolita gli hanno permesso una concretezza precisa, mai parolaia, e una visione ampia, internazionale, nel filone di quell’utopia che era stata per un tempo di una parte del movement americano, quella che diceva di doversi preoccupare ostinatamente di due ambiti da tenere strettamente collegati tra loro: «il mio villaggio e il mondo»). Il progetto semplicissimo e immenso di far da ponte tra le parti in lotta, che ad Alex costò infine la vita, è fallito e continua a fallire in un mondo dove le incomprensioni permangono e prosperano gli odi, sollecitati dai diversi poteri e dal peso dei torti ricevuti e fatti, di una memoria di gruppo che, invece che rendere aperti, rende più chiusi alle ragioni degli altri. Poiché troppa memoria può uccidere alla pari della (nostra, italiana) assenza di memoria. E tuttavia il messaggio di Langer è stato fino all’ultimo chiaro: se anche c’è chi cade, chi non regge più il peso della storia e della

351 Post/teca solitudine (forse ci si uccide perché ci si sente o si è rimasti soli – ma alcuni, come i vecchi e i malati, perché si è tagliati via dalla vita – più che per l’oggettiva debolezza e insicurezza del genere umano e per la fatica di dover continuamente ricominciare), bisogna imparare dall’esperienza quel che se ne può ricavare, e andare avanti. Non perché «si spera», ma perché «si ama»: e la «carità» è allora il centro di tutto, come voleva san Paolo – più della speranza e più della fede.

Alex Langer ha svolto una funzione di ponte in due direzioni prioritarie: quella di accostare popoli e fazioni, di attutirne lo scontro e di promuoverne l’incontro, e quella dell’apertura a un rapporto nuovo tra l’uomo e il suo ambiente naturale. E se nel primo caso, quello più determinato dalle pesanti contingenze della storia (per Alex, la guerra interna alla ex Jugoslavia), si trattava di far da ponte ma anche da intercapedine, da camera d’aria dove potesse esprimersi un dialogo assai difficile, nel secondo si trattava piuttosto di additare nuovi territori all’azione politica responsabile, allargandone il significato da città a contesto, da polis a natura. Se sul fronte della pace e della convivenza tra umani di diversa etnia o religione o parte politica Alex è stato un continuatore, egli è stato su quel secondo fronte un precursore, uno dei più persuasi pionieri dell’indispensabilità di una visione ecologica dell’agire politico. Ha visto tra i primi l’arrivo della novità, come lo Zaccheo del Vangelo che si portò nel luogo più avanzato del suo villaggio e nel suo punto più alto per poter vedere per primo l’arrivo del Messia, e cioè della Novità, ed è stato confortato in questo dalla sua conoscenza e vicinanza a uno dei pochi veri profeti dello scorso secolo, il prete e filosofo che si faceva chiamare Ivan Illich. Tra l’antico e l’eterno del messaggio cristiano e la verde novità dell’ecologia, tra le esigenze della pace (gli uomini) e quelle dell’armonia (degli uomini con la natura) tra loro fittamente intrecciate, sempre più interdipendenti, Langer si è mosso quotidianamente, attento al presente ma cosciente del passato e straordinariamente aperto al futuro, al possibile e al doveroso dei compiti della politica (della militanza, della persuasione). Contro il gioco chiuso del potere. E contro i ricatti paralleli di un’impazienza non meditata e di una lentezza non ipocrita: nell’avvicendarsi che appartiene alla storia delle fasi di stasi e di quelle di febbre, occorre prepararsi nella stasi per saper meglio muoversi nella furia che, prima o poi, si scatenerà. Anche se il nostro ritmo e tempo non sono quelli del potere e del capitale, della violenza che essi propongono o provocano, dobbiamo però conoscerli, studiarli, contrastarli. L’azione soffre di aver trascurato il pensiero, quando i suoi tempi si accelerano, e un pensiero senza azione serve a poco, cambia poco. Si tratta allora di agire su un doppio binario secondo modalità difficili da gestire, che esigono ponderatezza e prontezza. Ma si tratta anche di saper giudicare la storia – per

352 Post/teca esempio, l’incidenza delle trasformazioni radicali, soggiacenti del sistema economico, e il peso delle «sovrastrutture» che quelle finiscono per sconvolgere o scatenare. E si tratta di sapere, nell’idealità di una sintonia dei fini con i mezzi, cosa è possibile proporre, cosa è doveroso contrastare. Tutto questo Alex Langer ha, mi pare, tenuto in gran conto. Dopo la secca sconfitta dei movimenti del dopo guerra mondiale, nel mondo di fantascienza realizzata e di nuova barbarie, di nuovi sistemi di dominio attuati (tra consumo e consenso) nei paesi ricchi, che in questo mortuario progetto sono riusciti a coinvolgere quelli poveri ma anche, a volte, a irritarli fino a provocare la loro risposta più tradizionale e micidiale, quella del fondamentalismo identitario e religioso, la sfida di Alex è stata infine quella di molti, ma più lucida e vissuta con più radicale generosità, è stata quella di non accettare lo stato delle cose, di non darlo per scontato cercando e trovando al suo interno il proprio spazio, bensì di metterlo in discussione fattivamente: con la rivolta, se necessario di pochi ma in funzione di tutti. Con maggiore comprensione da parte sua delle contraddizioni, della complessità dei problemi, e si è trattato allora per lui di viverle, le contraddizioni, secondo il filo rosso della propria coscienza e delle proprie convinzioni morali. Viverle, le contraddizioni – anche le nostre di complici e di oppressi allo stesso tempo – analizzandole senza paraocchi, e tentando di superarle nel fare, nel «ben fare». Contro le verità provvisorie e i fumi delle ideologie, del vitalismo dimentico del sentimento dell’inquietudine e della domanda, o se vogliamo del tragico. Riconquistando alla responsabilità verso la collettività, verso la polis, il suo spazio centrale di azione per il cambiamento positivo, nella direzione dell’affermazione di una solidarietà «che tutti fra sé confederati estima gli uomini». Si è trattato insomma per Alex Langer e per pochi altri come lui, e si tratta per noi oggi, di superare la diffidenza antica e nuovissima per la politica, di continuare o ricominciare a occuparci della «cosa pubblica» con lo sguardo antico e nuovissimo di una vocazione insieme profondamente cristiana e limpidamente laica, e con la coscienza chiara dell’obbligo di superare i nostri limiti, di abbandonare le nostre acquiescenze, di abbattere i nostri luoghi comuni ridefinendo la politica a partire dagli obblighi di ciascuno, a partire dal gruppo (le minoranze eticamente determinate) e dal singolo, chiedendo a noi stessi il massimo, ma del possibile. E ricordando, come Alex Langer ha sempre avuto ben presente, che «non si lava con l’acqua sporca» (è il rimprovero che Aldo Capitini faceva ai comunisti) ma anche – come diceva Charles Péguy parlando di coloro che criticavano chi agiva in nome di una purezza che la storia, e cioè le necessità dell’intervento, fanno impossibile – che le mani bisogna almeno averle, e che bisogna saperle usare. Il sentiero di cresta su cui Alex si è mosso (e l’immagine gli si addice, uomo di

353 Post/teca montagna e di confine) è stato, spinto fin quasi all’estremo, il più esemplare ed educativo di tutti quelli percorsi dalla sua generazione, il più aperto al confronto con le contraddizioni della politica e anche il più autenticamente, coerentemente, lucidamente drammatico e vero. Di questo gli siamo grati, perché è anche a partire dalle riflessioni sulla sua scelta finale che si può ancora ricominciare, nella coscienza delle difficoltà e dei limiti delle nostre possibili scelte, della precarietà e fragilità della nostra condizione di uomini, dell’immane peso della storia ma anche della necessità di reagire e di dare un senso alla brutalità o al torpore della nostra vita con scelte degne, nobili, responsabili e chiare oggi più che mai.

Alexander Langer – Caro San Cristoforo Caro San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna. Affreschi spesso sbiaditi, ma ben riconoscibili. Tu – omone grande e grosso, robusto, barbuto e vecchio – trasportavi il bambino sulle tue spalle da una parte all’altra del fiume, e si capiva che quella era per te suprema fatica e suprema gioia. Mi feci raccontare tante volte la storia da mia madre, che non era poi chissà quale esperta di santi, né devota, ma sapeva affascinarci con i suoi racconti. Così non ho mai saputo il tuo vero nome, né la tua collocazione ufficiale tra i santi della chiesa (temo che tu sia stato vittima di una recente epurazione che ti ha degradato a santo minore o di dubbia esistenza). Ma la tua storia me la ricordo bene, almeno nel nocciolo. Tu eri uno che sentiva dentro di sé tanta forza e tanta voglia di fare, che dopo aver militato – rispettato ed onorato per la tua forza e per il successo delle tue armi – sotto le insegne dei più illustri ed importanti signori del tuo tempo, ti sentivi sprecato.

Avevi deciso di voler servire solo un padrone che davvero valesse la pena seguire, una Grande Causa che davvero valesse più delle altre. Forse eri stanco di falsa gloria, e ne desideravi di quella vera. Non ricordo più come ti venne suggerito di stabilirti alla riva di un pericoloso fiume per traghettare – grazie alla tua forza fisica eccezionale – i viandanti che da soli non ce la facessero, né come tu abbia accettato un così umile servizio che non doveva apparire proprio quella «Grande Causa» della quale – capivo – eri assetato. Ma so bene che era in quella tua funzione, vissuta con modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a prima vista assai «al di sotto» delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per portarlo dall’altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un gigante come te ed avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo dopo aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito più gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo, per

354 Post/teca riuscire ad arrivare di là. Dopo di che comprendesti con chi avevi avuto a che fare, ed avevi trovato il Signore che valeva la pena servire, tanto che ti rimase per sempre quel nome. Perché mi rivolgo a te, alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinnanzi a noi. Ormai pare che tutte le grandi cause riconosciute come tali, molte delle quali senz’altro importanti ed illustri, siano state servite, anche con dedizione, ed abbiano abbondantemente deluso. Quanti abbagli, quanti inganni ed auto-inganni, quanti fallimenti, quante conseguenze non volute (e non più reversibili) di scelte ed invenzioni ritenute generose e provvide. I veleni della chimica, gettati sulla terra e nelle acque per «migliorare» la natura, ormai ci tornano indietro: i depositi finali sono i nostri corpi. Ogni bene ed ogni attività è trasformata in merce, ed ha dunque un suo prezzo: si può comperare, vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi), e l’utero (per una gravidanza in «leasing»). Tutto è diventato fattibile: dal viaggio interplanetario alla perfezione omicida di Auschwitz, dalla neve artificiale alla costruzione e manipolazione arbitraria di vita in laboratorio. Il motto dei moderni giochi olimpici è diventato legge suprema ed universale di una civiltà in espansione illimitata: «citius, altius, fortius», più veloci, più alti, più forti si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi… competere, insomma. La corsa al «più» trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile ed incontenibile. Superare i limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha caratterizzato in misura massiccia il tempo del progresso dominato da una legge dell’utilità definita «economia» e da una legge della scienza definita «tecnologia» – poco importa che tante volte di necro-economia e di necrotecnologia si sia trattato. Cosa resterebbe da fare ad un tuo emulo oggi, caro San Cristoforo? Quale è la Grande Causa per la quale impegnare oggi le migliori forze, anche a costo di perdere gloria e prestigio agli occhi della gente e di acquattarsi in una capanna alla riva di un fiume? Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare? Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del «di più» ad una del «può bastare» o del «forse è già troppo». Dopo secoli di progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di «regredire», cioè di invertire o almeno fermare la corsa del «citius, altius, fortius». La quale è diventata autodistruttiva, come ormai molti intuiscono e

355 Post/teca devono ammettere (e sono lì a documentarlo l’effetto-serra, l’inquinamento, la deforestazione, l’invasione di composti chimici non più domabili… ed un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della biosfera e dell’umanità). Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi di inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, ogni forma di violenza). Un vero «regresso», rispetto al «più veloce, più alto, più forte». Difficile da accettare, difficile da fare, difficile persino a dirsi. Tant’è che si continuano a recitare formule che tentano una contorta quadratura del cerchio parlando di «sviluppo sostenibile» o di «crescita qualitativa, ma non quantitativa», salvo poi rifugiarsi nella vaghezza quando si tratta di attraversare in concreto il fiume dell’inversione di tendenza. Ed invece sarà proprio quello ciò che ci è richiesto, sia per ragioni di salute del pianeta, sia per ragioni di giustizia: non possiamo moltiplicare per 5-6 miliardi l’impatto ambientale medio dell’uomo bianco ed industrializzato, se non vogliamo il collasso della biosfera, ma non possiamo neanche pensare che 1/5 dell’umanità possa continuare a vivere a spese degli altri 4/5, oltre che della natura e dei posteri. La traversata da una civiltà impregnata della gara per superare i limiti ad una civiltà dell’autolimitazione, dell’«enoughness», della «Genügsamkeit» o «Selbstbescheidung», della frugalità sembra tanto semplice quanto immane. Basti pensare all’estrema fatica con cuiil fumatore o il tossicomane o l’alcoolista incallito affrontano la fuoruscita dalla loro dipendenza, pur se magari teoricamente persuasi dei rischi che corrono se continuano sulla loro strada e forse già colpiti da seri avvertimenti (infarti, crisi…) sull’insostenibilità della loro condizione. Il medico che tenta di convincerli invocando o fomentando in loro la paura della morte o dell’autodistruzione, di solito non riesce a motivarli a cambiare strada, piuttosto convivono con la mutilazione e cercano rimedi per spostare un po’ più in là la resa dei conti. Ecco perché mi sei venuto in mente tu, San Cristoforo: sei uno che ha saputo rinunciare all’esercizio della sua forza fisica e che ha accettato un servizio di poca gloria. Hai messo il tuo enorme patrimonio di convinzione, di forza e di auto- disciplina a servizio di una Grande Causa apparentemente assai umile e modesta. Ti hanno fatto – forse un po’ abusivamente – diventare il patrono degli automobilisti (dopo essere stato più propriamente il protettore dei facchini): oggi dovresti ispirare chi dall’automobile passa alla bicicletta, al treno o all’uso dei propri piedi! Ed il fiume da attraversare è quello che separa la sponda della perfezione tecnica sempre più sofisticata da quella dell’autonomi dalle protesi tecnologiche: dovremo imparare a traghettare dai tanti ai pochi chilowattori, da una super-alimentazione artificiale ad una nutrizione più equa e più compatibile con l’equilibrio ecologico e sociale, dalla velocità supersonica a tempi e ritmi più umani e meno energivori, dalla produzione di troppo calore e troppe scorie inquinanti ad un ciclo più

356 Post/teca armonioso con la natura. Passare, insomma, dalla ricerca del superamento dei limiti ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell’artificializzazione sempre più spinta ad una riscoperta di semplicità e di frugalità. Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà (da Cernobyl alle alghe dell’Adriatico, dal clima impazzito agli spandimenti di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strade. Ci vorrà una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della «conversione ecologica» oggi necessaria.

Per «Lettera 2000», Eulema editrice, febbraio-marzo 1990. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/20/ il - viaggiatore - leggero /

------alchemico: Il Tumblr è una Repubblica Followcratica basata sulle tettone e i gattini. via: http :// falcemartello . tumblr . com /

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“Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai.” — somethingbeautifool (via skiribilla) via: http :// piccole . rispostesenzadomanda . com /

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20/01/2011 - Chi non è pirata scagli la

357 Post/teca prima pietra

Adrian Johns ha scritto un libro sulla storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google: non sempre violare il diritto d’autore è un male Don Chisciotte deve difendersi, nel romanzo di Cervantes, da un libro falso che racconta in modo diverso le sue avventure, tanto che modifica il proprio viaggio, andando a Barcellona invece che a Saragozza, per sottolineare la differenza della sua vicenda rispetto a quella che c’è nel testo «pirata»; non solo, fa irruzione in una stamperia dove i tipografi stanno correggendo il libro impostore. In quel momento sono passati 150 anni dall’invenzione di Gutenberg, e già il problema del diritto d’autore e dell’attendibilità delle fonti ha un ruolo importantissimo, centrale, nella cultura europea. Non solo per quanto riguarda l’aspetto economico.

L’arte della stampa ebbe appena il tempo di essere inventata e cominciò subito un dibattito molto simile a quello che oggi riguarda Internet: come esser certi che le informazioni siano vere, come sapere se chi ce le fornisce è veramente ciò che dice di essere? Nel XVIII secolo Daniel Defoe tuonava contro gli autori di ristampe abusive definendoli «briganti», la cui esistenza suonava di per sé come rimprovero «a una nazione ben governata». Ma senza le ristampe abusive, imprecise, pasticciate, cambiate arbitrariamente rispetto all’originale, forse non ci sarebbe stato l’Illuminismo, che proprio nelle gerle dei librai «pirati» ha compiuto la sua lunga marcia attraverso l’Europa, come ha dimostrato lo storico Robert Darnton. Di «pirateria» intellettuale si cominciò a parlare in modo esplicito a Londra tra il 1695 e il 1710, dopo la «Gloriosa rivoluzione» contro gli Stuart e la fine dell’assolutismo monarchico, per analogia con il boom dei pirati veri, nei Caraibi. Il termine entrò nei dizionari per non uscirne mai più.

Ora uno studioso dell’Università di Chicago, Adrian Johns, ne ha affrontato la storia in un libro che esce per Bollati Boringhieri, Pirateria, storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google, e che con le sue 700 pagine è un saggio impressionante per ricchezza di dati e analisi, e una lettura affascinante. «Pirateria e proprietà intellettuale - scrive - nacquero entrambi come fenomeni legati alla stampa, e ne avrebbero seguito le sorti fino alla proliferazione di nuovi mezzi di comunicazione, intorno al 1900». Dall’attenta analisi storica emerge che l’una non

358 Post/teca rappresenta sempre il male, l’altra non incarna il bene, la difesa di un diritto inalienabile. Un atteggiamento «pirata» fu ad esempio in Inghilterra la difesa della libertà contro la pretesa del sovrano di concedere patenti di esclusiva; molti intellettuali, per esempio Newton o Voltaire, giocavano con i libri «abusivi» per argomentare le loro tesi più audaci, pronti a disconoscere quelle pubblicazioni come «false» e arbitrarie in caso di difficoltà col potere.

L’Illuminismo fu per molti aspetti una nave pirata, e la scienza sperimentale, per affermarsi tra mille contrasti, non disdegnò quel vessillo. Non solo nel Settecento. Johns studia tra gli altri un fenomeno poco noto, più vicino ai giorni nostri: quello delle registrazioni musicali abusive fiorite con la diffusione della radio. In Inghilterra si arrivò, per combatterle, a irruzioni nelle case private, che però i giudici condannavano come violazioni della privacy. Il senso generale della sua analisi è che la pirateria va considerata come una sorta di Leitmotiv della modernità, e può essere una rivendicazione di libertà, non solo un modo truffaldino per far soldi. «Dobbiamo riconoscere che non è il puro e semplice furto cui siamo per lo più abituati a pensare - ci spiega dal suo studio di Chicago -. Una grande varietà di pratiche sono state definite pirateria, nei secoli. Alcune di esse non erano affatto illegali, come per esempio la libera ripubblicazione di libri europei negli Stati Uniti, durante il XIX secolo. Ciò dette luogo a un importante dibattito sul rapporto tra autore e originalità, e su come definire una sistema di leggi e una moralità nelle comunicazioni».

La conclusione del libro è che gli enormi problemi di oggi (da Google alla tematica del copy-less nata su Internet, ma anche per i brevetti soprattutto farmaceutici) non possono essere affrontati senza una adeguata considerazione storica, e soprattutto senza la consapevolezza che il diritto d’autore come lo conosciamo è un’invenzione recente, codificata nell’Ottocento. Ma quali sono le conseguenze pratiche, sul piano delle decisioni da prendere? «Una sensibilità storica ci aiuta a comprendere che oggi ci sono molti problemi, e vanno al di là dei comportamenti individuali di appropriazione truffaldina - è la risposta -. Anzi, ho il sospetto che molte delle iniziative contro la “pirateria” intellettuale siano inefficaci proprio perché non tengono conto di questo retroterra. Prenderlo in considerazione non semplifica le cose, ma almeno ci fa capire gli effetti che possono avere le misure adottate di volta in volta per affrontare il problema».

Narra Tucidide che i pirati erano in origine signori della guerra lungo le coste del Mediterraneo, e prima dell’ascesa di Atene questa attività era considerata del tutto onorevole. Le città-stato, quindi la civiltà greca, nacquero dall’esigenza di limitarne

359 Post/teca i danni. Il risultato fu che gli ateniesi «deposero l’uso di camminare armati... diventarono meno austeri, più delicati». Adrian Johns ne ricava che «la civilizzazione era l’antitesi della pirateria». Oggi però, nelle pratiche quotidiane, nei nostri comportamenti comunicativi, in qualche modo «siamo tutti pirati». È finita l’era del copyright? «No, non penso - ci dice lo studioso -. Ma potrebbe finire con la prossima generazione. Il progetto di digitalizzazione universale di Google potrebbe funzionare trovando un equilibrio tra tutte le forze in campo, e cioè editori, pubblico, autori. Ma potrebbe anche non funzionare. E a quel punto tutto sarebbe possibile».

L’attuale lotta contro la pirateria, o a seconda dei punti di vista contro il copy-less, è tempo perso? «No, non lo penso affatto. Per molti aspetti sono favorevole a essa. Non penso che le democrazie liberali possano vivere in un sistema di violazione di massa di leggi regolarmente approvate. La pirateria intellettuale può costituire una grave minaccia, per esempio in campo farmaceutico». Dove il cittadino sempre più spesso non sa più esattamente che tipo di medicine stia comprando e quali possano essere i loro effetti. Ma torniamo all’esempio dei «pirati» musicali negli anni Venti. È un capitolo importante. Spiega come quei «pirati» domestici vennero combattuti con mezzi illeciti. Per esempio la violazione di domicilio. E con scarsi risultati.

«Temo che quanti oggi vogliono estendere la protezione della proprietà intellettuale in tutti i possibili campi, e in tutti i modi, siano altrettanto imprudenti; e soprattutto possano creare un contraccolpo negativo fra la gente, che renderebbe più difficile ottenere risultati ragionevoli».

Autore: Adrian Johnsn Titolo: Pirateria, storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google Edizioni: Bollati Boringhieri Pagine: 717 Prezzo: 39 euro fonte: http :// www 3. lastampa . it / libri / sezioni / il - libro / articolo / lstp /385141/

------Tempi bassi . A volte ritornano .

360 Post/teca da Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl ’ Italiani di Giacomo Leopardi Il grandissimo e incontrastabile beneficio della rinata civiltà e del risorgimento de’ lumi si è di averci liberato da quello stato egualmente lontano dalla coltura e dalla natura proprio de’ tempi bassi, cioè di tempi corrottissimi; da quello stato che non era né civile né naturale, cioè propriamente e semplicemente barbaro, da quella ignoranza molto peggiore e più dannosa di quella de’ fanciulli e degli uomini primitivi, dalla superstizione, dalla viltà e codardia crudele e sanguinaria, dall’inerzia e timidità ambiziosa, intrigante e oppressiva, dalla tirannide all’orientale, inquieta e micidiale, dall’abuso eccessivo del duello, dalla feudalità del Baronaggio e dal vassallaggio, dal celibato volontario o forzoso, ecclesiastico o secolare, dalla mancanza d’ogn’industria e deperimento e languore dell’agricoltura, dalla spopolazione, povertà, fame, peste che seguivano ad ogni tratto da tali cagioni, dagli odii ereditarii e di famiglia, dalle guerre continue e mortali e devastazioni e incendi di città e di campagna tra Re e Baroni, Baroni e vassalli, città e città, fazioni e fazioni, famiglie e famiglie, dallo spirito non d’eroismo ma di cavalleria e d’assassineria, dalla ferocia non mai usata per la patria né per la nazione, dalla total mancanza di nome e di amor nazionale patrio, e di nazioni, dai disordini orribili nel governo, anzi dal niun governo, niuna legge, niuna forma costante di repubblica e amministrazione, incertezza della giustizia, de’ diritti, delle leggi, degl’instituti e regolamenti, tutto in potestà e a discrezione e piacere della forza, e questa per lo più posseduta e usata senza coraggio, e il coraggio non mai per la patria e i pericoli non mai incontrati per lei, né per gloria, ma per danari, per vendetta, per odio, per basse ambizioni e passioni, o per superstizioni e pregiudizi, i vizi non coperti d’alcun colore, le colpe non curanti di giustificazione alcuna, i costumi sfacciatamente infami anche ne’ più grandi e in quelli eziandio che facean professione di vita e carattere più santo, guerre di religione, intolleranza religiosa, inquisizione, veleni, supplizi orribili verso i rei veri o pretesi, o i nemici, niun diritto delle genti, tortura, prove del fuoco, e cose tali. Da questo stato ci ha liberati la civiltà moderna. (…)

A volte ritornano. via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

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361 Post/teca

"Per imparare le lezioni importanti nella vita ogni giorno bisogna superare una paura." — Ralph Waldo Emerson (via metaforica)

------Pensateci .. wollawolla: indispos: wlafiga: Il solo fatto che state qui a rebloggare e commentare il rubygate è sintomo che non c’è speranza. mi spiego: la faccenda di piazzale loreto doveva già avvenire da tempo.. Ma poi tirato via il tipo e appeso a testa in giu cosa ci rimane? fini? casini? bersani? nel più roseo dei casi di pietro? E tutti quei coglioni che ancora continuano a fare orecchio da mercante? Oh sono 20 anni che questo devasta l’italia e nessuno fa un cazzo di nulla. che minchia vi meravigliate? basterebbero un milione di persone incazzate per prendere parlamento e rai. radere al suolo e ripartire da zero nau. sennò stare zitti e postare fighe tnx LOAL presente (via coqbaroque) da citare: “Oh sono 20 anni che questo devasta l’italia e nessuno fa un cazzo di nulla. che minchia vi meravigliate? basterebbero un milione di persone incazzate per prendere parlamento e rai. radere al suolo e ripartire da zero nau. sennò stare zitti e postare fighe”

362 Post/teca

------littlechini: “Non possiamo dire in quale preciso momento nasca l’amicizia. Come nel riempire una caraffa a goccia a goccia, c’è finalmente una stilla che la fa trabbocare, così in una sequela di atti gentili ce n’è infine uno che fa trabboccare il cuore.”

Fahrenheit 451 (via elicriso) (via monicabionda)

------Sull ’ epoca che ha detto addio alla poesia musaerato: La poesia boccheggia come un pesciolino perché immersa nei detersivi pubblicitari, nel risciacquo continuo che ognuno fa del proprio io dentro la rete e fuori, in una sorta di perenne collutorio della psiche che ognuno sputa in faccia agli altri. (…)

Franco Arminio (via killingbambi)

------"Qual è la vera vittoria, quella che fa battere le mani o battere i cuori?" — Pier Paolo Pasolini (via apneadiparole) (via lalumacahatrecorna)

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363 Post/teca Mario Rigoni Stern : « Perché dovete chiamarmi compagno » tattoodoll: Cari Compagni, sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze.

È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i compagnid’arme.

Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere.

Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.

All’erta Compagni! Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza.

Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite.

Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo

364 Post/teca egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.

Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e Resistenza sempre.

Vostro Mario Rigoni Stern

(20 gennaio 2007)

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20110121

Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe senza freni.

> Lord Acton mailinglist Buongiorno.it

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Il Rubygate . Intervista a Peter Gomez

20 / 1 / 2011 |

Sul caso Ruby si sta scatenando una grande bufera politica. Ne parliamo con Peter Gomez, giornalista del Fatto Quotidiano e direttore del sito www . ilfattoquotidiano . it . Gomez quello che appare, a leggere i giornali, è un quadro devastante sul piano morale, legale, politico, sociale. Lei che idea si è fatta di questa vicenda? Mi sono fatto la stessa idea che si era fatta Veronica (ex moglie ndr). Silvio Berlusconi è un uomo estremamente solo, che per avere compagnia è costretto a pagare i suoi ospiti in vari modi: direttamente con ragazze che non necessariamente sono prostitute, è costretto a pagare quelli che si presentano come suoi amici, Lele Mora ed Emilio Fede. Ma un problema grosso, che è legato a certi suoi comportamenti, ed è dovuto al fatto che dopo che era scoppiato un problema politico, per il caso D’Addario e il caso Noemi, non è diventato un minimo più prudente. Nessuno pretende che

365 Post/teca il Cavaliere sia casto e morigerato, si pretende, però, che cerchi di non cacciarsi in scandali di questo tipo perché fanno male a lui e fanno male al Paese. Non è in grado di farlo quindi ha un altro problema di natura psicologica e psichiatrica. Barbara Spinelli su Repubblica invitava la politica a proclamare il “Sermone della decenza”. Secondo lei avrà, la politica, la forza morale di fare questo? La nostra politica, purtroppo, non ha nulla di morale per antonomasia. Il problema è se la politica avrà la forza politica per farlo. Ora buona parte dei parlamentari ed esponenti del Centrodestra sanno che dopo Berlusconi non ci sarà nessun tipo di poltrona ben pagata, quindi è da escludere che la maggioranza di loro possano intervenire. E’ pensabile che per la Lega, senza il federalismo decida di staccare la spina. Io alla rivolta morale non ci credo. La classe politica è quella che è, abbiamo la classe politica più corrotta d’Europa. In Francia si sta vivendo un forte moto d’indignazione politica nei confronti del sarkozismo. Fatte le debite differenze lei vede, in Italia, la stessa cosa nei confronti del decadente “berlusconismo”, oppure questo “pensiero unico” è talmente profondo che questi ultimi avvenimenti non lo intaccheranno? Non credo che sia un problema di pensiero unico. La questione è il controllo dei media e delle tv . Non dobbiamo però dimenticarci che Berlusconi raccoglie il 33% delle persone che vanno a votare. In termini di consenso, probabilmente, meno del 25%. Gli altri, o gli votano contro o non votano, non stanno con lui. E’ semplicemente l’uomo più ricco d’Italia, ed è molto potente. E , tradizionalmente, questo è un paese in cui non solo i servi sono molti. Qui c’è gente che non vede l’ora di vendersi pur di poter servire. Tornando, per un attimo, ai protagonisti. Ve ne sono due, tra i tanti, che hanno colpito l’opinione pubblica. Lele Mora ed Emilio Fede, due massimi “sacerdoti” del berlusconismo. Dalle intercettazioni viene fuori un presunto raggiro al premier. E’ la vicenda del prestito a Lele Mora con Emilio Fede che si trattiene una parte del prestito. Insomma quello che viene fuori è una famelicità senza limiti…Anche questo è “berlusconismo”? Berlusconi è circondato da persone che gli spillano denaro in maniera diversa, un po’ lo fregano, ma lui si lascia anche fregare. Berlusconi è un uomo ricattato, questo è il grosso problema politico: è costretto a dare soldi alle ragazze, è costretto a dare soldi a Mora e a Fede. Perché Berlusconi ha questa capacità ipnotica nei confronti del pubblico? Torno al discorso di prima. Berlusconi è in grado di far sognare, di vendere dei sogni, di dire che farà stare tutti meglio. Ed è in grado di farlo perché ha in mano i media. Ben pochi tra i tg e i giornali raccontano come stanno esattamente le cose. Ma non dobbiamo dimenticare che la maggioranza di questo Paese non è mai stata con Berlusconi. Questo Paese ha un problema: la mancanza di alternativa. Quando, in questi 17 anni, c’è stata una alternativa credibile Berlusconi ha sempre perso. Berlusconi contro Romano Prodi ha sempre perso. Volendo fare una previsione, se è possibile, come si svilupperà l’inchiesta dopo che i legali del Premier hanno consigliato di non recarsi dai pm milanesi. Ovvero per loro il “giudice naturale” è il tribunale dei ministri. Che succederà? Loro faranno di tutto per stabilire che questo è un reato ministeriale (questa cosa il Parlamento lo ha già fatto in altri casi). Berlusconi farà di tutto per allontanare il momento di questo processo, perché a un eventuale processo pubblico non sopravviverebbe. Però è anche possibile che, visto che la sua figura è destabilizzante per il sistema, nel giro di qualche mese, dal punto di vista politico Berlusconi non esista più o perché si è andati alle elezioni o perché ci sarà un altro governo. L’inchiesta continuerà?

366 Post/teca

L’inchiesta su Berlusconi è chiusa, è stato chiesto il giudizio immediato di fronte agli altri elementi che non sono stati depositati, ma i magistrati ritengono di avere in mano la prova completa di quello che è accaduto. Eventualmente se il Parlamento farà melina, accadrà che si andrà al processo con gli atri imputati. E quello diventerà un processo in cui si parlerà tantissimo di Berlusconi e questo creerà per lui un altro grossissimo problema. fonte: http :// confini . blog . rainews 24. it /2011/01/20/ il - rubygate - intervista - a - peter - gomez /

------imlmfm: Toglimi una curiosità! Se le regole che hai seguito ti hanno portato sino a questo punto, a che servivano quelle regole? - Anton Chigurh, Non è un paese per vecchi

------"Donne che si lamentano in continuazione degli uomini. Donne che dicono di voler fare a meno degli uomini. Che tanto qualsiasi cosa è meglio. Fate pure le valigie, andate. Siete le stesse donne con cui fare sesso è molto meno soddisfacente che farsi una buona sega. Ah, mandate una cartolina. (sventolo un fazzolettino)" — Quarto di secolo (via lollodj)

------"Poi il presentatore ha presentato il signore col maglione azzurro, Lucio Caracciolo,

367 Post/teca direttore di Limes, rivista di geopolitica, l’unica rivista di Geopolitica italiana, ha detto il presentatore, e a me è venuta in mente una rivista che si chiama L’accalappiacani e che è un settemestrale di letteratura comparata al nulla, l’unico settemestrale di letteratura comparata al nulla al mondo, ho pensato."

— Paolo Nori » Basta , basta , basta , per favore (via pensierispettinati) (via pensierispettinati)

------Siamo fottuti. Andiamo a puttane. (constatazione) Andiamo a puttane! (Consiglio, nonché presidente del) " — DeSangre su it.fan.studio.vit (via emmanuelnegro)

------gravitazero: gianlucavisconti: Lo sai dove stan facendo la rivoluzione adesso? Ora tu dimmi, se dobbiamo prendere lezioni dalla Tunisia. Cosa abbiamo solo noi, che nemmeno i tunisini hanno più, cosa c’impedisce di guardare alle cose come stanno.

368 Post/teca

Tu lo sai che sono fissato, per me è solo una questione di televisione. Punto. Tutto il consenso sta lì, e un po’ sui giornali, ma neanche tanto. Abbiamo voluto lasciargli le tv, e a lui non è servito altro, per raccontarci la realtà come gli piace. Salvo che lui non ha mai avuto niente da raccontarci, una volta non lo sapevamo, adesso sì. È un debole come noi, succube dei suoi stessi programmi, è il pubblico del suo stesso drive in. Non c’è dietro nessun disegno occulto, ci ha modellato a sua immagine e somiglianza, e lui è brutto e senza fantasia. L’obiettivo della sua vita era sedersi nel privé a guardare le tipe che fanno il trenino; ce l’ha fatta e ora dovremmo invidiarlo. La nausea di avere avuto per avversario un tizio così. — leonardo : Lettera a Bruxelles (via maisuccesso) (via emmanuelnegro)

------Seminfermità mentale | Marco Travaglio | Il Fatto Quotidiano steff 2410 : Per spiegare Tangentopoli, il pm più spiritoso di Mani Pulite ripete spesso: “In ogni economia il numero dei ladri non può mai superare il numero dei derubati. Quando i ladri arrivano al 51% cominciano a derubarsi fra loro e il sistema implode”. Ora ci risiamo. Umilio Fede che fa la cresta sui “prestiti” del Cainano a Lele Mora è l’emblema di una corte famelica e predona, dove tutti derubano tutti e alla fine chi paga il conto è sempre Lui, il povero B. Una certa Faggioli ha fretta, “mi restano solo mille euro, devo fare cassa per forza”, e aspetta speranzosa un nuovo Bunga bunga. Ma corre voce che Lui “voglia ridurre le cene” e soprattutto i dopocena, così una tale Iris medita: “È ora che iniziamo a rubare qualcosa in casa”. Un’altra erinni ipotizza la soluzione finale: “Che palle ‘sto vecchio, fra un po’ ci manda affanculo tutte quante… quella è la volta buona che lo uccido… vado io a tirargli la statua in

369 Post/teca faccia”. Cioè: lui s’illude di averle fulminate col suo charme, “volete mettere il piacere della conquista?”. E quelle, subornate dal partito dell’odio, lo chiamano “la nostra fonte di lucro”, “che schifo quell’uomo”, “l’ho visto out, ingrassato, imbruttito, più di là che di qua, è diventato pure brutto (prima invece era un figo pazzesco, ndr): deve solo sganciare. Spero sia più generoso, io non gli regalo un cazzo…”. (via biancaneveccp)

------Revolution is not their name blondeinside: impropriamente: Lavoro al quarto piano di un palazzo che ne ha sette, in cui gli ascensori funzionano in modo estemporaneo. Un po’ vanno, un po’ non vanno, un po’ qualcuno resta bloccato dentro. Quando si resta chiusi dentro bisogna restar calmi e pazienti perché il portinaio deve chiamare la guardia armata che deve chiamare la direzione che deve chiamare l’assistenza che al mercato mio padre comprò (io non prendo più l’ascensore se non ho con me i generi di prima necessità). Oggi il caso ha voluto che saltasse la luce a tutto il quartiere (servono le centrali nucleari gente, almeno una a testa, come ve lo si deve dire?). Palazzo al buio, ascensori fermi, gente dentro, luci d’emergenza accese. Ora del black- out 18.10, ora in cui timbra il cartellino la maggior parte di chi lavora lì 18.10. Bon, c’era gente a lume d’emergenza sul pianerottolo ad aspettare gli ascensori invece che farsi quattro piani di scale e che è rimasta lì imperterrita a pigiare il tasto di chiamata anche quando gli ascensori si sono mostrati refrattari alla notizia del ritorno della corrente e hanno acceso la spia del fuori servizio invece di ricominciare a funzionare. Fate voi se questi possono fare una rivoluzione qualsiasi: è già tanto che non muoiano stolidi nella loro imperizia in un modo qualunque di un giorno qualunque, che ne so, investiti dal loro pastore tedesco a cui avevano deciso di far guidare la macchina per l’occasione (è risaputo che i pastori tedeschi, alla

370 Post/teca guida di un’auto, perdano il lume della ragione e si scatenino in furiose gare di drifting nei parcheggi dell’esselunga, invidiosi come sono delle anguille di Comacchio che invece possono andarsene alle Antille quando vogliono senza dir niente a nessuno). Sepperò la rivoluzione volessimo farla noi, si dovesse mai esaurire la scorta di corpi contundenti da scagliare contro il potere malato, ecco, io un’idea su dove rimediare una decina di zavorre da lanciare ce l’avrei. questo post è bellissimo.

------"P.S. Sono stato all’Aquila. Come città è un po’ tipo Roma, solo che le rovine son più recenti." — E io che mi pensavo » Dal confine tra il Lazio e il mondo (via maisuccesso) (via tattoodoll)

------i 6 comandamenti sul fare , i fatti diavoloporco: Se sei obbligato a farlo è meglio non farlo, se invece lo fai e non sei obbligato da nessuno allora continua a farlo. Fai quello che vuoi,e non smettere di farlo solo perchè può sembrare strano farlo. Quelli che giudicano strana una cosa è perchè non trovano il coraggio di farla. Quelli che non hanno il coraggio di fare una cosa in realtà non hanno molta voglia di farla. Non avere molta voglia non significa non averne in assoluto, quindi prima prova a farla, e poi rifalla e se una volta rifatta ti sembrerà ancora strana, beh

371 Post/teca lascia perdere e cerca un altra cosa da fare. Non è necessario fare qualcosa a tutti i costi, puoi anche non fare niente tutto il giorno, ma preparati a pensare tanto, mentre il tuo corpo può stare fermo, la tua mente no.

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Non siamo altro che sogni perversi di divinità pigre. fonte: http :// dotakon . tumblr . com / post /2829062602/ non - siamo - altro - che - sogni - perversi - di - divinita

------comunque l’amore passa, i sacchetti di plastica durano tipo per sempre.credo che la chimica stia cercando di dirci qualcosa riguardo le nostre priorità. (Fonte: uds) via: http :// bloodylabyrinth . tumblr . com / post /2847140400/ comunque - lamore - passa - i - sacchetti - di - plastica fonte: http :// uds . tumblr . com /

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Sulle età di mezzo dell ’ editoria : intervista a Elizabeth Eisenstein

Le trasformazioni in corso nel sistema editoriale contemporaneo presentano rilevanti elementi di similarità con quelle occorse in Europa dopo l’avvento della stampa a caratteri mobili, ed il parallelo tra il mondo di allora e quello di oggi fornisce un valido aiuto per darci senso del caos. E’ questa, in estrema sintesi, la tesi proposta da Clay Shirky in un famoso e citatissimo blogpost del marzo 2009, a sua volta ispirato al lavoro di Elizabeth Eisenstein nel suo The printing revolution in early modern Europe. Si tratta di un parallelo effettivamente utile per comprendere il tempo presente? E quali sono gli elementi più simili tra l’”età di mezzo” attuale e quella che si inverò in Europa nel Cinquecento? Per capirne qualcosa in più,

372 Post/teca abbiamo provato a chiederlo direttamente a Elizabeth Eisenstein. [NB: l'intervista che segue è stata pubblicata, in forma ridotta su Nòva - Il Sole 24 Ore, 23.04.09]

D. Secondo alcuni commentatori, la transizione attualmente in corso nel mondo editoriale presenta diversi elementi di somiglianza con quella da Lei descritto in The Printing Revolution in early modern Europe. Da cui la domanda: come descriverebbe la descrizione Cinquecentesca? Che aspetto aveva la Repubblica delle Lettere nel 1500? I paralleli tra l’introduzione dei caratteri mobili e internet in generale implicano un salto logico e cronologico troppo ampio. Tagliano fuori una serie di innovazioni tecnologiche di grande importanza come il telegrafo, la fotografia, il telefono, le fotocopiatrici, per nominarne solo alcune. Le attività di copia a mano sono continuate negli uffici legali fino all’avvento della macchina da scrivere [...] la xerografia ha intaccato l’integrità dei libri incoraggiando la copia da parte dei docenti di porzioni discrete dei testi, e la creazione dei cosiddetti “course packs” (uno standard de facto nei corsi universitari statunitensi, NdR). Le copisterie contemporanee somigliano a quelle dei copisti medievali, e sono similmente raggrumate intorno alle sedi universitarie. Tutto ciò premesso, vi è però un carattere che riguarda specificamente il parallelo tra avvento della stampa ed avvento dei media digitali: penso all’apparizione nella fase embrionale di un grande numero di start-up, diverse delle quali sono destinate di lì a poco ad estinguersi. Le mappe che ci mostrano il fiorire delle stamperie nell’Europa del Cinquecento generalmente non danno conto del fatto che poche, tra quelle create, riuscirono a sopravvivere ed operare a lungo. D. Oggi, secondo alcuni osservatori, la Rete sta giocando il ruolo che la stampa a caratteri mobili ebbe a giocare dopo Gutemberg. A causa (anche) di internet, i giornali di carta continuano a perdere copie, mentre il pubblico e gli inserzionisti volgono la loro attenzione verso il mondo digitale, dove le fonti editoriali si moltiplicano in tempo pressoché reale. Quali sono, a suo giudizio, le principali somiglianze tra i due periodi? E quale fu, nel Cinquecento, la reazione degli attori pre- esistenti di fronte all’innovazione gutemberghiana? Lo ribadisco: dire che “la Rete sta giocando oggi il ruolo che la stampa a

373 Post/teca caratteri mobili ebbe a giocare dopo Gutemberg” implica un salto logico troppo ampio. Più plausibile è invece l’argomento secondo il quale internet sta sussumendo alcune delle funzioni precedentemente svolte dai giornali del diciannovesimo e ventesimo secolo. Dopodiché, se mi chiede quale fu la reazione da parte dei copisti, degli uomini di Chiesa, dei professori di fronte alla stampa a caratteri mobili, le rispondo che essa non fu assolutamente arrabbiata e pregiudizialmente luddista come alcuni l’hanno dipinta in passato. In realtà, i copisti si ritrovarono con più lavoro di prima, presi com’erano dalla decorazione a mano delle pagine- e degli spazi vuoti- dei primi libri a stampa. Alcuni di questi artigiani divennero stampatori (si prenda ad esempio Peter Schoeffer). Altri si specializzarono nella ricopiatura a mano dei libri, a partire dalle commesse dei loro mecenati. I due tipi di testi venivano venduti negli stessi negozi, e sistemati gli uni accanto agli altri nelle biblioteche. I venditori di manoscritti continuarono a fare affari anche dopo la comparsa degli stampatori. Insomma, il libro ricopiato a mano continuò a coesistere con quello stampato per diversi secoli dopo l’avvento di Gutemberg. Non solo: la reazione degli uomini di Chiesa, dei diplomatici e dei docenti universitari fu tutt’altro che rassegnata. Predicatori come Savonarola e Geiler von Keysersberg furono più che contenti di vedere i loro sermoni riprodotti in più copie. Gli stampatori tedeschi furono invitati dalle élite francesi, italiane e spagnole perché creassero delle stamperie anche a Sud. La prima stamperia italiana fu realizzata all’interno di un monastero, salvo essere spostata a Roma poco dopo. Ed erano le suore del convento di Ripoli a condurre una delle botteghe più fiorenti di questo periodo. Certo, ci furono anche lamentele per il lavoro frettoloso e trascurato di alcuni stampatori, e i nuovi imprenditori furono talvolta raffigurati come mercenari. Ma nel complesso la divine art fu ripetutamente celebrata in quanto capace di rendere i libri più economici e più facilmente accessibili agli studenti ed ai prelati meno abbienti, di standardizzare le liturgie religiose ed in generale di aiutare l’”avanzamento della conoscenza”. D. Il problema, osserva Shirky, è che mentre il collasso delle istituzioni vecchie è relativamente veloce, la comparsa e l’affermazione di quelle nuove può richiedere molto tempo. Da questo punto di vista, pensa che la disponibilità di strumenti di comunicazione e coordinamento ubiqui e real time possa velocizzare il processo di comparsa di nuove e

374 Post/teca rafforzate istituzioni editoriali? Non sono così sicura che la scomparsa delle istituzioni tradizionali si possa realizzare in tempi tanto rapidi. La Chiesa Cattolica è antichissima, ma non mi sembra minimamente sul punto di collassare. La bibbia a stampa in volgare esiste da ormai cinquecento anni, ma continua a circolare per il mondo come allora- peraltro, il commento di Shirky secondo il quale la bibbia sarebbe stato un “libro comune” al tempo dei copisti è fuorviante: per la parte in cui possono esistere “libri comuni” (e ci sarebbe da discutere su questo) prima di Gutemberg essi erano più probabilmente rappresentati dai Libri delle ore, dagli almanacchi o da racconti delle vite dei santi più o meno brevi. [...]. Nondimeno, tornando all’attualità, è indubbiamente vero che i giornali e le case editrici appaiono in grande difficoltà, e l’intensità con la quale si registrano oggi chiusure in questo comparto non ha precedenti. Forse, la maggiore minaccia alle entrate pubblicitarie dei periodici è legata alla semplicità con la quale le persone possono ordinare e ricevere ogni sorta di bene senza lasciare la propria scrivania e senza scorrere un solo rigo di giornale. Ai suoi tempi, l’apparizione della stampa incoraggiò la nascita di forme inedite di pubblicità e di dialogo tra produttori e fruitori (penso ad esempio allo scambio dei pamphlet, all’avvento delle “lettere al direttore” ed altre). fonte: http :// www . ebooklabitalia . com / eta - mezzo - editoria - intervista - elizabeth - eisenstein /

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LA CORSA AD OSTACOLI

Julio Monteiro Martins

Immaginate una corsa ad ostacoli in cui ogni ostacolo è più alto del velocista. Così sembra il panorama attuale in Italia per quelli che desiderano pubblicare il loro primo libro o che fino al momento abbiano solo pubblicato per piccole case editrici, senza distribuzione. E questo a prescindere dai meriti dell’opera o del suo autore. Nell’Editoriale di questa edizione – in risposta anche a decine di messaggi inviati dai lettori negli ultimi mesi a Sagarana chiedendo suggerimenti e soluzioni alternative a questo dilemma – cercherò di esporre punto per punto

375 Post/teca cosa sono questi immani ostacoli a partire dalla nostra esperienza, da questa “torre d’osservazione” privilegiata che è una rivista letteraria. È chiaro che non ho la pretesa di esaurire in un testo così breve un argomento così complesso e in costante mutazione, ma presento su ciascuna “barriera” alcune mie “pennellate impressionistiche” che spero serviranno almeno per incoraggiare altre riflessioni e discussioni più approfondite.

La solitudine dello scrittore Per tutto il Ventesimo secolo, e anche durante gli anni delle guerre mondiali, ci sono state comunità di scrittori in ogni paese, che si riunivano nei caffè, nei bar, nelle università e biblioteche, e anche clandestinamente, nei domicili privati o nei cortili delle carceri durante i periodi più repressivi. Questa esistenza comunitaria è da qualche decennio scomparsa, nel processo in corso di atrofia e di chiusura della vita pubblica, in quella che è già stata definita la “società alveare”. Tuttavia, la frequente comunicazione personale tra autori e tra le loro opere era indispensabile allo sviluppo della letteratura, quel misurarsi con i propri pari che offriva allo scrittore il senso della misura e le giuste risposte critiche, e forse anche una più solida coerenza ideologica. La comunicazione via Internet di oggi solo parzialmente è in grado di colmare questa lacuna. È un surrogato freddo, impersonale e poco efficace paragonato alla lettura viva e al coinvolgimento diretto e genuino.

I corsi di scrittura Forse cercando proprio di riempire il vuoto nel convivio pubblico e promuovere lo scambio tra giovani scrittori sono nati, prima nei paesi anglosassoni e poi in quelli sudamericani ed europei, i laboratori di scrittura creativa. In Italia, dopo un periodo iniziale di diffidenza – prevaleva ancora il mito romantico dello scrittore “ispirato” e “geniale” – a partire dagli anni Novanta gli workshop si sono affermati e hanno proliferato. Forse anche troppo: con livelli di qualità molto eterogenei, gran parte di questi corsi sono poco professionali e tenuti da maestri poco preparati, che spesso non fanno altro che trasmettere le loro idee personali e idiosincratiche sulla scrittura o gonfiare l’ego degli allievi, tutti procedimenti di poca o nessuna utilità. Ma anche quando l’allievo ha la fortuna di imbattersi in un vero workshop, con professori brillanti, esperti e motivati e riesce a trarne beneficio, alla fine non troverà lo stesso gli spazi editoriali per far fruttare i suoi progressi, se non li creerà lui stesso, rischiando così una frustrazione ancor più grave.

L’università

376 Post/teca

L’ambiente accademico italiano è indifferente, quando non ostile, alla creazione letteraria. Non ci sono mai stati corsi di scrittura all’interno dell’università – oltre a effimere esperienze a Roma una decina di anni fa –; non è possibile presentare un testo di narrativa come tesi accademica, al contrario di ciò che accade in alcune grandi università all’estero – ho seguito personalmente tesi del genere nell’Università dello Iowa e nell’Universidade Federal do Rio de Janeiro, tra le altre –, e chi frequenta corsi di Lingue, di Lettere o di Scienza delle Comunicazioni, come allievo o come docente, e scrive, non troverà mai all’interno di questi dipartimenti alcun spazio di accoglienza per la sua attività creativa, che dovrà essere sviluppata al di fuori della sfera accademica. Sembra incredibile, ma l’ambiente universitario si ostina a ignorare le opere creative di quelli che lì, secondo loro, devono occuparsi d’altro. Chiaramente gli scrittori sono spesso invitati a visitare i diversi dipartimenti e a parlare a studenti e a professori, ma ognuno deve attenersi al proprio ruolo ufficiale, e l’unica opera riconosciuta è quella degli scrittori “esterni” in visita all’istituzione.

Le riviste letterarie Sono gli indispensabili “laboratori” della vita letteraria, dove l’autore si presenta per la prima volta, dove si cimenta in generi diversi dal solito, dove si avventura in audaci esperimenti formali o tematici e dove ottiene i primi riscontri. E queste riviste sono praticamente scomparse in Italia. Molte di quelle cartacee hanno smesso di circolare a metà degli anni Novanta (ed erano tante quelle che servivano solo a scambi di favori, del tipo “io pubblico te e tu pubblichi me” che la loro scomparsa è stata compianta alla fine soltanto dagli stessi proprietari e dai loro amici). Hanno poi subito un ulteriore colpo di grazia quando le librerie Feltrinelli, che riservavano degli scaffali interni, vicini all’entrata, alle riviste culturali – e sono state le ultime a esporle e a venderle – li hanno soppressi. Al loro posto, dalla fine degli anni Novanta, sono nate le riviste on-line, come Sagarana o El-Ghibli, ma meno numerose. Oltre al fatto che il “prestigio” della carta stampata riflette un preconcetto duro a morire, è difficile valutare la vera visibilità di queste nuove riviste. Per esempio, fino a che punto servono da vetrina per l’industria editoriale o sono invece una risorsa importante per la massa dei lettori? Purtroppo non credo che le case editrici abbiano finora sviluppato la sana abitudine di navigare tra i siti letterari in cerca di nuovi talenti o di bei testi. Per quanto riguarda il pubblico delle riviste on-line si tratta comunque di un pubblico di nicchia, limitato e non di rado autoreferenziale, isolato dall’ambiente editoriale professionale. Questo spiega perché autori che hanno grande visibilità in Internet continuano ad essere inediti in forma cartacea, o almeno non presenti

377 Post/teca nelle vetrine delle librerie, e viceversa, autori di successo editoriale non siano ospitati assiduamente nella Rete.

I concorsi letterari I concorsi per opere inedite o per autori esordienti praticamente non esistono oggi in Italia, nonostante siano – o dovrebbero essere – lo strumento più efficace per far emergere nuovi valori. Ciò che esiste, e in tale abbondanza da far insospettire che servano ad altri scopi meno nobili, sono i premi letterari, promossi dai comuni, dalle fondazioni e associazioni, da cooperative o da imprese private, che destinano una cifra annuale per premiare opere pubblicate nell’anno precedente, nei casi dei piccoli premi spesso come scusa per portare nei comuni decentrati gli autori più alla moda, oppure per fare un “regalo” a un autore locale prescelto, che in futuro sa di doverlo ricambiare a chi lo ha segnalato quando sarà dall’altra parte del banco. Quanto ai grandi premi letterari italiani, quelli più noti e prestigiosi, con la consegna dei premi trasmessa in tarda serata dalla tv di Stato, già da molti anni hanno i loro risultati “lottizzati” tra alcune grandi case editrici e spartiti tra gli autori dei loro cataloghi. Dall’altra parte, mascherati da concorsi per esordienti, ci sono parecchi concorsi-truffa che chiedono una consistente somma di denaro come “tassa di iscrizione” e con questo stratagemma mettono su una piccola “industria” e fanno profitto ogni anno sulle vane speranze di chi lo accetta. Comunque il panorama generale non potrebbe essere più desolante.

Le agenzie letterarie Immaginate una pasticceria che la mattina presto compra i suoi pasticcini in un supermercato e li rivende durante il giorno per il doppio del prezzo. Cioè, una pasticceria tutta vetrina, niente cucina. Così funzionano le agenzie letterarie in Italia. Prendono il “prodotto” già pronto – i diritti di opere recenti di scrittori già famosi, preferibilmente stranieri – e li offrono alle case editrici italiane. Al contrario dei loro pari negli altri paesi, raramente accettano di rappresentare autori esordienti o comunque non ancora noti, in quanto, per loro, si tratterebbe di uno sforzo poco gratificante, una perdita di tempo insomma. Ci sono anche casi di “agenti” che chiedono cifre piuttosto consistenti agli autori per rappresentarli o addirittura solo per leggere il loro originale. E poi si sa che è molto improbabile che un autore riesca a farsi pubblicare attraverso questi “agenti”, che provano a contattare le case editrici solo per dare una soddisfazione al loro autore-investitore, già prevedendo il risultato negativo, oppure non ci provano nemmeno. In ogni modo, anche se arrivare attraverso un agente letterario è in teoria il

378 Post/teca modo più “professionale” di farlo, in pratica questo approccio, in Italia, si è dimostrato una strada non percorribile per i nuovi scrittori.

Le case editrici – la selezione Una delle immagini che mi ha più colpito dopo il mio arrivo in Italia è stata una pubblicità di una grande casa editrice su diversi giornali che chiedeva agli autori di non mandare i loro manoscritti perché loro non avrebbero più letto nessuna opera non sollecitata per esame, e che il plico sarebbe stato restituito ancora chiuso al mittente, in caso di invio non richiesto. L’annuncio la dice lunga sulla non disponibilità delle case editrici italiane a leggere gli originali che gli pervengono da autori che non conoscono o che non sono stati raccomandati da un contatto giusto. E infatti l’Italia è l’unico paese tra quelli che conosco in cui le case editrici non si degnano nemmeno di rispondere negativamente sulle proposte che ricevono dagli autori. Stanno in silenzio e basta. E lasciano gli scrittori in un’attesa perenne. Un comportamento cafone e incivile, seppur molto diffuso da queste parti. Ma tant’è. Quello che si configura come ostacolo pressoché insuperabile è il circolo vizioso che si forma, anche nei casi di opera di indubbio valore: l’autore non la pubblica perché l’originale non è stato letto, non avendo avuto modo di farlo arrivare alle case editrici attraverso i mezzi adeguati, e non ha nemmeno un nome conosciuto dal pubblico che possa destare l’interesse della casa editrice, e non potrà mai averlo proprio perché non riesce a pubblicare, e via dicendo. Ci sono sempre le case editrici a pagamento, ma sono tristemente note, conosciute dai critici e dalla stampa per la scarsa attenzione alla qualità del loro catalogo. Oltre a non possedere alcun potere contrattuale nell’ambiente, i loro titoli escono già bollati – a volte ingiustamente – come opere scandenti. Quindi, questa “scorciatoia”, oltre ad essere onerosa, è sconsigliata per la sua inefficacia. Anche l’altra strada, quella considerata legittima, è quasi sempre bloccata a priori.

Le case editrici – l’editing Per non perdere l’opportunità della pubblicazione, non di rado gli autori, e non solo quelli esordienti, devono subire in silenzio un vero scempio delle loro opere, con la scusa di “un adattamento ai gusti del lettore”. In nome di un presunto incremento del potenziale commerciale del libro – che spesso non è nemmeno reale e non ingrossa le vendite – si operano dei massacri editoriali, il cui insuccesso in termini di vendite sta invece a dimostrare che il cattivo gusto non paga. Tale operato è spesso imputabile a direttori editoriali senza alcuna formazione letteraria, oriundi dalle scuole di marketing, che riscrivono in peggio intere

379 Post/teca parti dell’opera, sfigurandola, svuotandola dell’ambiguità e della complessità in favore di strutture manichee e stereotipate. Spesso cambiano i finali per renderli più “lieti”, eliminano i punti che considerano “polemici” o “ideologici” per presentarli in modo più “appetibile” a un pubblico diversificato, e a volte cambiano anche il titolo stesso del libro – che non considerano come parte costitutiva e inscindibile dell’opera – in una qualche etichetta più “commerciale”, e di solito chiaramente più banale e più stucchevole. In sintesi, “castrano” l’originale in tutti i modi, incuranti del rispetto dovuto alle scelte autoriali. E pensare che soltanto qualche decennio fa gli editori delle grandi case editrici e delle collane erano letterati come Pavese, Vittorini o Calvino, protagonisti del clima culturale, che favorivano anche il mantenimento di un livello alto all’interno dell’editoria.

La concorrenza extra-letteraria Le case editrici oggi non esitano a pubblicare con grande pubblicità finte opere letterarie scritte (o soltanto firmate) da personaggi noti nel mondo dello spettacolo che non hanno mai avuto niente a che vedere con questa attività. Loro sanno che la semplice presenza del nome di queste figure sotto il titolo in copertina (e in caratteri più grandi di quelli del titolo) può assicurare il successo commerciale del libro. Così, comici, giornalisti sportivi, presentatori di tv, attori e cantautori vari, vip urlatrici, mistici religiosi, veline e ballerine sempre più spesso sorpassano gli scrittori nelle scelte editoriali. Quelli del marketing trovano una grande furbata “prendere un passaggio” dalla fama già acquisita del personaggio in altri mestieri, risparmiando un bel po’ in pubblicità, investimento che dovrebbe essere fatto invece nel caso del titolo di un giovane autore di talento ma ancora sconosciuto. Basta un’occhiata veloce sui banconi delle librerie o delle edicole per verificare la proliferazione di questi prodotti, simili ma molto diversi dalla vera letteratura.

La divulgazione Sulla scia di quello che accade nei casi dei grandi premi, anche lo spazio per i libri nella grande stampa viene “lottizzato” tra le grandi case editrici, e le liste dei libri consigliati per l’estate o per i regali di Natale ne sono la prova. Durante il resto dell’anno si possono trovare qua e là recensioni di titoli di case editrici medie o addirittura piccole. Ma sono solo brevi recensioni “culturali”, mentre si smuovono mari e monti per certi titoli che devono essere promossi a tutti i costi per raggiungere le aspettative di vendita corrispondenti alle alte cifre che sono state sborsate per l’acquisto dei copyright. Allora si scatenano

380 Post/teca gigantesche campagne di marketingcon interviste all’autore, anche negli show televisivi di prima serata, copertine dalle riviste patinate, citazioni di altri personaggi del mondo dello spettacolo, polemiche o scandali creati a tavolino e moltiplicati dai media, fino a grottesche foto del corpo intero in dimensioni naturali innalzate accanto alla porta delle librerie, come un fantasma a infestare il circo mediatico. Con la progressiva chiusura delle piccole librerie e delle riviste letterarie, il pubblico è rimasto sempre più alla mercede di queste campagne di marketing per informarsi sui nuovi titoli, e privo di parametri critici per valutare la credibilità di queste informazioni, finendo così per lasciare condizionare le sue letture da queste astuzie mercantili. In questo modo la letteratura, manipolata dal marketing, diventa sempre meno letteratura e sempre di più un prodotto della cosiddetta “industria dell’intrattenimento”. E questa operazione di marketing avviene già con la letteratura infantile – pensiamo a “Geronimo Stilton”, – fino a quella degli young adults – pensiamo a “Harry Potter”, a “Il signore degli Anelli” e a “Twilight” – spesso in concomitanza con prodotti cinematografici promossi dal marketing internazionale. Così facendo si preparano intere generazioni a calcare questo modello di fruizione della letteratura.

La critica Ben diversamente dal fermento critico che c’era ai tempi di Calvino e di Vittorini, che intervenivano sul presente, oggi sembra quasi che la critica si senta tranquilla di scrivere su un autore solo dopo che questi muore. È come se la morte lo sdoganasse, e solo la morte potesse farlo. I critici, con rare eccezioni, non si prendono la responsabilità di intervenire nel caos editoriale dettato dal mercato ripristinando i veri valori letterari. Così, il mercato editoriale finisce per fare sempre da padrone per quello che riguarda la produzione contemporanea, mentre la critica scrive tomi e tomi su Dante, Tasso, Manzoni e Pirandello. Di quel che succede nel tempo presente quasi non parlano: né della letteratura “stanziale” né di quella “migrante” o come vogliate chiamarle, “letterature parallele” che isolate l’una dall’altra scrivono la storia dell’Italia di oggi. Di queste si occupano quasi esclusivamente i giornalisti nelle loro recensioni e gli uffici stampa delle case editrici. La critica non dovrebbe fare l’assenteista in un periodo così complesso e cruciale. Inoltre, da un punto di vista diciamo “umano”, quello che la critica potrebbe fare per sostenere l’opera di un artista valido (e vivente!), sarebbe intervenire nel presente, per colmare la terribile e deprimente sottrazione che gli è comunque riservata per la lentezza congenita con cui si addensa un nuovo canone.

381 Post/teca

Le librerie Un altro capitolo dolente è quello della scomparsa delle piccole librerie, che avevano, e che hanno tuttora un ruolo insostituibile nello sviluppo della letteratura. I bravi librai, che più che un mestiere hanno una vocazione, conoscono i loro clienti e organizzano la libreria in funzione delle loro preferenze, setacciando nel miscuglio amorfo dei media quelle opere – anche pubblicate dalla piccola editoria – che potrebbero interessargli. E poi sono dei veri consiglieri letterari, fanno circolare le informazioni, incentivano i giovani scrittori che li frequentano, suggeriscono strategie, mettono in contatto le persone, aprono il loro spazio alle presentazioni di nuovi titoli e poi li espongono e li tengono presenti in magazzino. Possiamo chiederci quale delle mega-librerie che uccidono quelle tradizionali, che con la politica degli sconti e del dumping gli rendono impossibile la sopravvivenza, possono o vogliono assumersi questi compiti? Si comportano come i supermercati, comprano all’ingrosso e vendono al dettaglio prodotti per le masse anonime. Questo per non parlare delle crescenti vendite via Internet e dei supermercati veri e propri, l’Esselunga, la Coop, il Carrefour e addirittura il Media World che ora vendono anche libri, e le edicole, tutti concorrenti più grossi che rendono il mercato dei libri una sorta di giungla. Le grandi catene offrono molte copie di pochi titoli, vendono solo quelli che i media promuovono in quel momento, pubblicati sempre dalle stesse grandi case editrici. Con questo andazzo la concorrenza predatoria rende impossibile la sopravvivenza delle librerie ma anche quella della media e piccola editoria, quella responsabile della pubblicazione di libri di qualità, di spessore, mentre le grandi si occupano dei best-seller – anche di quelli “sofisticati” – e della letteratura diciamo “pastorizzata”, innocua e superficiale.

La distribuzione Le librerie che nonostante tutto sopravvivono ancora all’assedio delle grandi catene devono per di più subire inedite pressioni dalle ditte di distribuzione, soprattutto da quelle che rappresentano i titoli delle maggiori case editrici, quelle che sfornano il best-seller del momento, o che addirittura appartengono alle case editrici come un loro reparto. Un esempio di queste pressioni: spesso la consegna dei titoli più ricercati dai lettori è condizionata dalla distribuzione all’acquisto di un numero consistente, quando non eccessivo di copie, e anche all’offerta di uno spazio predeterminato dalla distribuzione, tanti metri quadri di vetrina o di bancone destinati a quel titolo e al materiale pubblicitario ad esso collegato. Nel caso dei titoli più ricercati si rischia di ricevere le copie con grandi ritardi rispetto alla

382 Post/teca concorrenza o di non riceverle affatto. Si tratta di un vero e proprio ricatto. Queste aggressive strategie di marketing finiscono per obbligare il libraio – anche quello più intellettuale – a spingere la vendita dei best-seller per non subire perdite che non sarà in grado di reggere, in quanto non potrà restare in vita solo con la vendita occasionale dei titoli della media e della piccola editoria. Poi, un altro meccanismo perverso fa sì che i distributori preferiscano presentare ai librai soltanto i titoli più in evidenza, pensando così facendo di ottimizzare il tempo dei loro venditori. Come conseguenza di questa politica, o non accettano più di rappresentare le case editrici piccole, oppure accettano ma poi non offrono i loro titoli ai librai, oppure accettano ma poi concentrano i loro sforzi di vendita su un unico titolo per casa editrice: quello che ritengono a più alto potenziale commerciale, abbandonando tutti gli altri. Questo spiega il motivo per cui di tanti titoli appena usciti non è possibile trovare nemmeno una sola copia in vendita in nessuna libreria. Ufficialmente il titolo è stato distribuito, ma in pratica non è mai stato presentato ai librai, e le copie sono rimaste nei magazzini nelle stesse scatole in cui sono arrivate, che dopo qualche mese verranno restituite ancora chiuse alle case editrici che le avevano consegnate.

Il pragmatismo dilagante Alla fine della nostra lunga lista di “ostacoli”, torniamo alla dimensione umana dello scrittore con cui l’abbiamo iniziata. Ma stavolta non più dalla prospettiva individuale, di solitudine e isolamento, ma dalla prospettiva sociale ed economica. Lo scrivere, nella quasi totalità dei casi, è un’attività non redditizia, anche a causa delle circostanze che abbiamo appena elencato, e così, per una generazione tagliata fuori dal mercato del lavoro e con gravi difficoltà di sopravvivenza economica, scrivere è qualcosa di difficilmente giustificabile. Declassato da arte o mestiere a hobby superfluo, nella visione pragmatica diffusa in questo modello di società, lo scrivere è visto sempre più spesso, all’interno della precarietà dell’economia domestica, come qualcosa di inutile, uno spreco di tempo e di energia, o addirittura come un’attività destabilizzante, fonte di conflitto nelle coppie e nelle famiglie, sovversiva riguardo agli imperativi finanziari. Questa percezione spregiativa può contaminare la visione che lo scrittore ha di se stesso. Se non riesce a fare leva su forti convinzioni e una volontà di ferro, quasi mistica, del senso di quello che fa e della fede nella rilevanza della creazione letteraria per l’intera società, può finire per arrendersi a queste pressioni e abbandonare la propria scrittura, anche quando dà prova di avere un alto merito reale o potenziale.

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Al di là di tutto quello che ho scritto qui, so anche che gli ostacoli sono sfide ed esistono per essere affrontati, e mi auguro che siano in tanti a superare questa corsa ad ostacoli e a preparare un presente e un futuro brillante per la nostra letteratura. Ma attenzione, caro scrittore: corri e salta e corri e salta senza cercare il traguardo, non riuscirai a vederlo, perché non si trova in un qualche luogo fuori di noi stessi. Un giorno, così, improvvisamente, ti accorgerai di averlo raggiunto, ma non sarà facile riconoscerlo allora, talmente diverso sarà da quello che immaginavi all’inizio della corsa. fonte: http :// www . sagarana . net / anteprima . php ? quale =245

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1.21.2011

Noi che comunisti lo saremo per sempre

Ora Compagni, non ve ne abbiate se io non mi sento di festeggiare i 90 anni del P.C.I. Lo commemoro, semmai, con la morte nel cuore e col rispetto che merita il dolore. Non prendetevela con me, è solo che non sono capace nemmeno di applaudire a un funerale, o di augurare buon compleanno all’amico morto ammazzato tanto tempo fa. C’è differenza tra festa e commemorazione, e noi che comunisti lo siamo ancora e lo resteremo per sempre, non possiamo aver voglia di festeggiare. Il P.C.I. non è arrivato a compiere i 90 anni, lo hanno ucciso molto tempo fa seguendo l’onda dell’economia democratica da imporre ad ogni costo, anche con le guerre di pace, o con un ipocrita e fasullo concetto di libertà, basato sempre sul danaro, che in Italia ha trovato terreno fertile con l’avvento del berlusconismo e con la chiesa di Marcinkus e del Papa che diventerà beato proprio il primo maggio prossimo, come ultimo schiaffo verso tutti noi.

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Non me la sento di festeggiare la perdita, tanto più che c’è ancora chi si ostina a demonizzare la nostra ideologia, chi non perde occasione per utilizzare il termine in modo intimidatorio, chi insegna alle nuove generazioni, terribilmente devastate dalla povertà culturale, che per migliorare questo mondo bisogna abbandonarle, le ideologie, fingendo di ignorare che è stato proprio per questo abbandono – che ha sapore del tradimento – che siamo arrivati proprio qua, dove siamo oggi. Nel nulla più profondo. Sono comunista, penso comunista, vivo comunista. Come un’orfana e addolorata, o una vedova angosciata. Nei momenti più bui delle nostre esistenze, cerco disperatamente il padre che potrebbe mostrarmi la via, o il padre dei figli capace di esser sostegno, ma poi mi ricordo la perdita e il lutto, e come fanno le donne che devono fare da sé mi ricordo chi sono, da dove vengo e cosa ho imparato e vado avanti, aggrappandomi proprio all’ideologia. Quella che ti impedisce di pensare a te stesso come unico essere degno di esistere, ma come molecola facente parte di un organismo più grande, al quale la coscienza deve importi di partecipare. Commemoro il Partito, ne ricordo le donne e gli uomini migliori che l’hanno fatto grande, che non ci hanno regalato il pensiero, ma ce lo hanno prestato perché potessimo farne qualcosa di utile da tramandare, con l’esempio e con la tenacia, con la Resistenza che oggi è diversa da quella di ieri, a volte persino più difficile da comprendere e da spiegare. Resistere oggi, significa conservarsi in vita, non piegarsi, non vendersi e non umiliarsi. Mantenersi dignitosi. Resistere è dire: “Io sono comunista”, e mostrarsi esattamente per quel che si è agli occhi di chi ti guarda immaginando il sangue di bimbo che cola dall’angolo della tua bocca, perché così qualcuno ha insegnato; qualcuno che le

385 Post/teca bambine le sbranava davvero. Resistere è insegnare attraverso la vita coerente con l’ideologia, che essere comunisti non è né un fallimento, né una malattia, ma un modo per non mandare sprecata un’intera esistenza. Non cedere mai alla tentazione di rinnegare ciò che siamo, anche quando sappiamo che sarebbe più facile trovare il coraggio di svegliarsi alla mattina. Ieri sulla mia bacheca di Facebook hanno postato una frase, che forse spiega meglio quello che avrei voluto dirvi fin qui, e ringraziando chi l’ha inserita, la copio: “Che cosa sarebbe stata l’Italia senza il PCI lo vediamo oggi che il PCI non c’è più.” Alexander Höbel A pugno chiuso,

Rita Pani (APOLIDE COMUNISTA) fonte: http :// r - esistenza - settimanale . blogspot . com /2011/01/ noi - che - comunisti - lo - saremo - per - sempre . html

Sono nata a Carbonia (CI) nel 1964, ora vivo, casualmente, in Umbria. Ho collaborato con la redazione giornalistica di una piccola emittente locale in Sardegna Ha partecipato a diversi laboratori di scrittura creativa, e scrittura collettiva, pubblicando racconti brevi e alcune poesie. Ho appena pubblicato il mio terzo romanzo, Quell'amore alla finestra - storia di Tello e Dora; il primo è stato Luce,nel 2007 e Vite di vetro nel 2008. Altre informazioni sul mio sito personale www.ritapani.it I miei libri su IBS http://www.internetbookshop.it/libri/Pani+Rita/libri.html fonte: http :// guevina . blog . espresso . repubblica . it / about . html

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386 Post/teca

L'INTERVISTA Corti, un Ulisse al premio Nobel?

Venerdì Eugenio Corti si recherà ancora nella stanza al primo piano del palazzo di famiglia a Besana in Brianza (Monza), dove vide la luce il 21 gennaio 1921: «Fu alle nove del mattino, mi ha riferito mio padre». È la stanza che è diventata il suo studio, e dove tuttora lavora: attualmente a una nuova edizione del volume di saggi Il fumo nel tempio. Lo scrittore, noto soprattutto per il romanzo Il cavallo rosso, pubblicato da Ares, (che ha avuto 27 edizioni vendendo oltre 300mila copie), ma che è stato spesso trascurato dalla critica, ci tiene a sottolineare il valore artistico delle sue opere: «Ho cercato sempre di rendere l’universale nel particolare, secondo quanto predicano Aristotele e San Tommaso». Della sua fede non vanta alcun merito («mi è stata trasmessa dai miei genitori»), ma resta fermo nel proposito di contribuire con la bellezza all’affermazione del Regno: «Vedere l’assoluto nel relativo, la realtà specchio di Dio: se è rispettata questa impostazione nel rendere la realtà viene fuori l’opera d’arte». Come è nata la sua vocazione di scrittore? «È nata dai giorni in cui in prima media ho preso in mano il testo di Omero, e ho cominciato a leggerlo ancor prima che iniziassero le lezioni. Ho trovato che trasformava in bellezza tutto quello che scriveva: ne sono stato preso al punto da desiderare di imitarlo e da non staccarmene più. L’altro fatto determinante è accaduto quando mi trovavo sul fronte russo: la notte di Natale del 1942, nella sacca di Arbusov, che chiamammo la valle della morte. Fu un’esperienza terribile: c’erano anche 30 gradi sotto zero, eravamo senza viveri e la fame e la morte ci circondavano. Spaventoso era l’odio reciproco tra russi e tedeschi, esempio dell’uomo ridotto a bestia. In quella circostanza promisi alla Madonna (sapevo che anche mia madre la pregava per la mia salvezza), che se fossi scampato alla strage mi sarei impegnato per la realizzazione del secondo versetto del Padre Nostro: 'Venga il tuo Regno'. E così ho fatto, cercando di contribuire all’affermazione del Regno come scrittore». Le sue prime opere raccontano appunto la vicenda della ritirata di Russia e quella del rinato esercito italiano a fianco degli Alleati. Ma la prima ha avuto un certo successo, la seconda no. Perché? «Il fronte russo era il luogo della grande tragedia, il posto dove era stato maggiore il numero di perdite umane. Il mio I più non ritornano fu uno dei primi resoconti di quei drammatici giorni: uscì dall’editore Garzanti che lo accettò subito. Aiutò molto la recensione favorevole che ne fece Mario Apollonio, allora preside della facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Milano e uno dei maggiori critici letterari. Quell’articolo servì anche a me, per confermarmi nella mia vocazione letteraria. Viceversa il libro dedicato alla mia esperienza bellica in Italia, nell’armata che contribuiva alla liberazione dai tedeschi a fianco degli Alleati, non ebbe fortuna, credo per due motivi. Dal punto di vista militare noi soldati del re e i partigiani abbiamo avuto circa lo stesso peso (e forse più morti), ma l’epopea partigiana all’epoca era sempre esaltata, mentre la nostra opera era lasciata nel silenzio fino a renderla quasi sconosciuta. Il secondo motivo è che nel libro c’era dentro l’aspirazione di quello che sarebbe diventato Il cavallo rosso, ma mi mancava l’esperienza. Un autore cerca di rendere l’umanità del suo tempo, tende a essere scrittore universale. Quando nel ’51 scrissi questo libro avevo trent’anni e non avevo ancora la capacità di maneggiare una materia tanto vasta. A cinquanta invece, quando ho iniziato a scrivere Il cavallo rosso, ero pronto, avevo studiato, mi ero documentato. E nello stesso tempo avevo ancora la forza espressiva, senza aver perso il ricordo delle esperienze dirette. E il libro è uscito come un frutto maturo». Quali sono i suoi modelli letterari. Dobbiamo partire da Omero? «Certamente Omero, che nel mondo infantile mi apparì di una bellezza somma. Poi studiando al liceo le poetiche, mi imbattei in tutte scuole letterarie, italiane e non solo. Capii che il mio campo era la prosa e non la poesia. E mi convinceva la linea che va da Omero al suo 'allievo' Virgilio (che in alcuni punti mi pareva addirittura superiore, penso al secondo libro dell’Eneide). Poi Dante, che sceglie Virgilio come maestro. Poi i romanzi dell’Ottocento: Manzoni da noi, Tolstoj che ritengo il più omerico di tutti gli allievi di Omero. Mentre le poetiche novecentesche (anche delle arti figurative) non mi hanno mai convinto. Ecco, Bacchelli mi pare l’ultimo gagliardo di quelli che seguono la linea tradizionale». E la fede, quanto l’ha aiutata? «Non credo di avere meriti nella fede. Ho seguito l’impostazione che mi hanno dato i miei genitori e la scuola dove ho studiato (il Collegio San Carlo di Milano). In realtà pur non avendo alcun dubbio (dal punto di vista razionale è tutto chiaro), credo che ci sia molta gente che ha molta più fede di me, missionari ma anche gente del popolo. Ed essendo vicino al passaggio nel mondo di là, conto molto sulla misericordia di Dio». Cosa pensa della mobilitazione dei comitati per candidarla al premio Nobel per la letteratura? «So bene che non me lo daranno mai. Anche perché la giuria è animata da uno spirito anticristiano. Ma se non lo hanno dato a Tolstoj, che secondo me vale come tutti gli altri vincitori messi insieme, non mi preoccupo. Tra i miei amici, è soprattutto il mio editore in Francia, Vladimir Dimitrievic, a crederci. In ogni caso ringrazio tutti i miei sostenitori: questo movimento serve comunque a diffondere la conoscenza dei miei libri».

387 Post/teca

Enrico Negrotti fonte: http :// www . avvenire . it / Cultura / Corti + un + Ulisse + al + premio + Nobel _201101191111369870000. htm

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20110122 Gioventù del mondo adrianomaini: Gioventù del mondo; siate intransigenti sul dovere di amare. Ridete di coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza, che vi consiglieranno di mantenere il giusto equilibrio. La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.

Raoul Follereau (via lalumacahatrecorna)

------Dalla parte giusta nella rivoluzione sbagliata

388 Post/teca solodascavare: Ora che sembra stia per morire è il caso di dirlo, c’è poco da festeggiare, a rimuovere Berlusconi non saremo noi, non sarà la democrazia, non saranno i giovani precari sui tetti, non saranno i ricercatori, ne tanto meno saranno gli studenti. A rimuovere Berlusconi saranno la Chiesa, i De Benedetti, gli Agnelli, i Marcegaglia, i Colannino, i Tronchetti Provera, i Moratti, i Benetton, tutta gente che per quanto mi riguarda non è assolutamente migliore del proprietario di Mediaset, della Fininvest, della Mondadori, della Medusa e del Milan. Ci stanno facendo tifare senza farci scegliere una squadra. Ora, finalmente tutti contro Berlusconi. Questi imprenditori non hanno alcun interesse nell’investire su di noi, sui ricercatori, sulla democrazia, ne tanto meno sul libero mercato dove le aziende competono tutte con le stesse regole. Questa, portata avanti dai giornali, dalla magistratura e dalla politica è l’ennesima rivoluzione all’italiana, fatta perché nulla cambi. E poi, tanto per puntualizzare ulteriormente, stare da questa parte è giusto, è democratico, è sacrosanto, ma finita questa guerra contro il Putin, il Bush, il Blair, il Gheddafi, lo Sharon de noantri (che nemmeno questi, inclusi tutti i Papi, sono meglio di Berlusconi), staremo dalla stessa parte della barricata dei Bertone, dei Fini, dei Casini e dei Buttiglione. Teniamolo a mente. E’ il capitalismo baby

------Qualche questioncella lessicale ( e latamente manzoniana ) sul caso Battisti / libri al rogo uomoinpolvere: “Terrorista, innanzi tutto: basta che in una qualsiasi cronaca giornalistica la

389 Post/teca parola faccia capolino, perché essa inizi ad agire con il suo veleno, si può dire quel che si vuole, ma se Battisti è stato ed è un terrorista ha, comunque in ogni caso, su qualsiasi faccenda, torto. Sempre. A questo sostantivo, si fanno seguire, di solito, una serie di apposizioni, per lo più dedicate a descrivere ed individuare noi che quel manifesto firmammo: si va da ‘difensori’ (ancora accettabile), a ‘fiancheggiatori’, o addirittura ‘complici’, in un tripudio di alternative paradigmatiche, che trova la sua acmé nella titolazione dell’elenco immediatamente pubblicato da Libero “Ecco chi sono gli amici di Battisti”. Il prossimo passo sarà, probabilmente: i compagni di merende…Naturalmente nessuno dei firmatari di quell’appello è stato, o è un terrorista, nessuno di quei firmatari, molti dei quali, come me, hanno gli anni necessari, in quel periodo ebbe complicità alcuna al proposito, né credo la abbia oggi: non ci sono membri delle BR, di Prima Linea, o dei PAC tra noi. Ma questo conta poco. Come conta poco che, quando comoda, da terrorista il Battisti si tramuti, come per magia, in ‘criminale comune’. A Napoli lo chiamiamo il ‘gioco delle 3 carte. Un gioco a cui si perde sempre…Il malefico magnetismo di quella parolina è eccezionalmente efficace, taglia le gambe a ogni discussione, annichila ogni capacità di giudizio autonomo. Si ha torto e basta: non c’è una buona ragione per difendere un terrorista. Nessuna. E’ come per Caino. Lo facevano spesso anche i nazisti, questo giochino con le parole, lo fecero a Bassano quando appesero ai cadaveri dei 31 partigiani impiccati agli alberi del viale principale il cartello ‘BANDITEN’. Ora, sia chiaro, non c’è in me nessuna intenzione di paragonare la pochezza di ciò che accade a noi, a quanto accadde a quei combattenti per la libertà. Non è questo il caso, né è questa la statura, non la mia almeno. Ma la forza delle parole, la loro ostinazione a piegare la realtà a una narrazione ‘divergente’ fa davvero impressione. Il lavoro, si sa, rende liberi… E via così…”

------"La cattiveria ha dei limiti. La stupidità, no." — (via megliotardi)

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390 Post/teca "Puoi mantenere un sorriso autentico solo per un po’, dopodiché è solo denti." — (Chuck Palahniuk)

------L' abominevole Tanlongo e il crac della Banca Romana

«Non è stato donnaiolo, non ha mai giocato, è agli antipodi di ogni eleganza, la sua frugalità rassomiglia da vicino all' avarizia...». Così veniva descritto sul Corriere della Sera del 20-21 gennaio 1893 il settantatreenne Bernardo Tanlongo, banchiere abominevole ma romanissimo. Nella sua vecchia palandrana tra i saloni della sua banca, dove dalle sedie di cuoio usciva la stoppa dell' imbottitura, egli era per tutti l' affannato Sor Bernà. Cresciuto nella Roma del Papa Re e reso ancor più potente dagli imbrogli edili di Roma capitale, aveva fronte vasta e la barba bianca, venerabile come quella dei vecchi di Omero. Ma la sua maniera di estrarre dai cassetti pratiche e lettere

391 Post/teca di cui parlare davanti a chi gli chiedeva i soldi era solerte come quella dei preti della Curia. Gli stessi che serviva ragazzino prima ancora che parlassero e per i quali, ventinovenne, era evoluto da garzone a spia dei francesi nella Roma di Garibaldi. Non era affatto un venale, ma piuttosto aveva inteso che i sederi delle puttane che scrutava in gioventù pei cardinali, le lettere, le smorfie d' odio che carpiva in un viso erano la segreta materia del denaro. Dunque era leale ai gesuiti ma anche alle Logge, giacché le diversità di idee o di partito gli parevano del tutto insignificanti. Seduto con la sciarpa nera sulle gambe, davanti alla dama o all' appaltatore che contorto dai complimenti falsi chiedeva denaro, lui vedeva cosa erano i soldi: il comando richiesto dalla vanità universale. Potere che i vizi davano più delle virtù; vanità che circola sempre senza requie. La vanità era il fiume torbido che sfociava nel mare delle scadenze, che lui paterno, dunque avaro, doveva regolare: «Quando mi farò il vestito nuovo io, allora ripareremo i salotti». Anche perciò aggiustava volentieri i bilanci. Cos' erano l' avarizia dei numeri e le somme, rispetto alla vanità umana? Col cassiere della Banca Romana e il figlio, firmava in cantina banconote doppie. Ma non bastavano a colmare il buco di cassa iperbolico, 28 milioni di lire, che il suo istituto, ancora tra le banche d' emissione del Regno, aveva accumulato. Era però in quei giorni sereno: la vecchia indagine sui conti della banca era finita nel niente; e Giolitti, per i favori che il Sor Bernà aveva fatto a re Umberto e alle sue amanti, l' aveva quasi nominato senatore. Si sentiva protetto dal fatto che quasi non c' era un nome in vista che non fosse coinvolto. Tanto che neppure si curava che prima di Natale in Parlamento s' erano date prove pubbliche dei falsi in bilancio della Banca Romana. Così, quando alle sette del 19 gennaio 1893 l' intendente di pubblica sicurezza arrivò per arrestarlo, ne fu stralunato. Ma chiamò una carrozza; come sempre contrattò un po' il prezzo col cocchiere; ieratico fece dirigere verso Regina Coeli. Pareva che fosse lui ad accompagnare in carcere i gendarmi. Anche perché la plebe della Suburra plaudì al suo passaggio, ricevendone in cambio sorrisi bonari e dei sigari. Il Corriere della Sera ne diede notizia con settentrionale sobrietà, come anche scrisse del banchiere Cuciniello arrestato, mentre vestito da prete con due milioni e mezzo, scappava da casa dell' amante. O del vecchio direttore del Banco di Sicilia assassinato a coltellate per mancanza di rispetto alla mafia. Il tutto mentre, odiandosi l' un l' altro, Crispi e Giolitti si davano in Parlamento a turno la colpa di aver saputo e non detto. Parve palese a tutti gli onesti che Roma fosse

392 Post/teca la cova d' ogni marciume: delle speculazioni edili e degli scandali bancari. I plichi di lettere e ricevute, di cui si nutriva in ricatto reciproco la politica italiana, temiamo non solo allora, erano del resto il mare ideale in cui Tanlongo sapeva navigare. E il Corriere in una prima pagina memorabile lo ricordò ai lettori. Sotto l' occhiello «un colloquio con Tanlongo prima dell' arresto» riportò il chiaro avvertimento del Sor Bernà: «Se mi si vuole chiamare responsabile di colpe non mie, io sarò costretto a fare uno scandalo... (la faccia di Tanlongo in quel momento erasi accesa». Più che accesa in effetti era rossa. Giacché il nostro soffriva non solo di gotta per eccesso di abbacchi; ma anche di erisipela: malattia infettiva contagiosa per cui la pelle infiammata tende al color porpora. Ma l' Italia è nazione dove ricattato e ricattante si confondono, come mai altrove. Crispi infatti teneva in pugno Tanlongo dal giugno del 1890, ovvero da quando aveva la relazione della Commissione d' inchiesta sui suoi conti. E in fase istruttoria del processo, richiesto sui soldi dati a Giolitti e le carte da lui sequestrate, Tanlongo assecondò Crispi: «Lei non smentisce?». Lui rispose: «Veggo che la verità si fa strada da sé, non ho più ragione di negare: è vero». Ripagato e, scandalo nello scandalo, quindi assolto a fine luglio 1894. Eppure quell' ammissione era il più perfetto scherzo da prete fatto pure a Crispi. Nel plico che Giolitti aveva serbato dai cassetti del banchiere c' erano anche le lettere di Lina Crispi al maggiordomo amante e le tracce dei soldi pretesi da lei e suo marito. Il romanissimo banchiere Bernardo Tanlongo fu il sommo genio, plebeo e pretesco, del ricatto per azione fallace: «E se ben poi fallace la ritrova, pigliar non cessa una ed un' altra nuova». (Ariosto, Orlando Furioso, canto XXXII, XV ottava). Alvi Geminello Pagina 29 (8 febbraio 2004) - Corriere della Sera fonte: http :// archiviostorico . corriere . it /2004/ febbraio /08/ abominevole _ Tanlongo _ crac _ della _ Banca _ co _9_ 040208093. shtml

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Cristina Branco, Fado perdiçaõ Non so se è la canzone più bella, resta comunque la più triste del mondo. Este amor não é um rio

393 Post/teca questo amore non è un fiume Tem a vastidão do mar ha la vastità del mare A dança verde das ondas la danza verde delle onde Soluça no meu olhar singhiozza nel mio guardare Tentei esquecer as palavras Tentai di scordarmi le parole Nunca ditas entre nós Mai dette tra noi Mas pairam sobre o silencio ma librano sopra il silenzio Nas margens da nossa voz nelle rive della nostra voce Tentei esquecer os teus olhos tentai di dimenticare i tuoi occhi Que não sabem ler nos meus che non sanno leggere nei miei Mas neles nasce a alvorada ma in essi nasce l’alba Que amanhece a terra e os céus che orna la terra e i cieli Tentei esquecer o teu nomen tentai di dimenticare il tuo nome Arrancá-lo ao pensamento strapparlo al pensiero Mas regressa a todo o instante ma torna ogni momento intrelaçado no vento intessuto nel vento Tentei ver a minha imagem tentai di vedere la mia immagine Mas foi a tua que vi ma fu la tua che vidi No meu espelho, porque trago

394 Post/teca nel mio specchio, perchè porto Os olhos rasos de ti gli occhi pieni di te Este amor não é um rio questo amore non è un fiume Tem abismos como o mar possiede abissi come il mare E o manto negro das ondas e il mantello nero delle onde Cobre-me de negro o olhar mi copre di nero lo sguardo Este amor não é um rio questo amore non è un fiume Tem a vastidão do mar ha la vastità del mare

(testo e traduzione da qui) fonte: http :// piccole . rispostesenzadomanda . com /

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Cosa unisce l'Italia moni ovadia

Le celebrazioni del Risorgimento, il processo che portò all’unità del nostro Paese stanno per prendere avvio in un’Italia lacerata, divisa, precipitata nel ridicolo dal governo di un solo uomo con la collaborazione di uno stuolo di cortigiani travestiti da politici. Per sovramercato una delle componenti della coalizione di maggioranza, forte del suo potere di ricatto, malsopporta l’idea stessa di un’Italia una. Ripetutamente alcuni dei suoi esponenti sbeffeggiano il tricolore, inalberano simboli posticci e paganeggianti come simboli di una presunta patria padana e si pretendono depositari di pseudo tradizioni e pseudo culture che non vanno al di là dello spirito da strapaese e da sagra simil popolare.

395 Post/teca

Io sono un cittadino italiano che disprezza ogni nazionalismo, a cui ripugna ogni retorica patriottarda e ho una vocazione universalista che mi fa sentire cittadino del mondo. Eppure l’Italia è anche la mia patria, nel senso in cui lo intendevano i combattenti per la libertà della Resistenza antifascista. I tanto calunniati e demonizzati comunisti italiani si aggregavano in formazioni che portavano il nome di Garibaldi, o la sigla Gap, gruppi di azione patriottica. Il Risorgimento si compie e si invera solo con la Resistenza antifascista, solo allora lo Stivale diviene la patria di tutti, perchè nel passaggio da sudditi del Regno a cittadini della Repubblica anche le donne diventano cittadine italiane a pieno titolo. Non solo.

Gli ebrei come me sono finalmente reintegrati nella piena dignità di cittadini italiani, dignità che il fascismo aveva loro strappato con le infami leggi razziali e con la complicità dei miserabili Savoia. Solo chi si riconosce nella Resistenza può dirsi pienamente italiano. Ed è sintomatico che un sindacastro leghista abbia cancellato la ricorrenza del 25 Aprile dal Calendario.

21 gennaio 2011 fonte: http :// www . unita . it / commenti / moniovadia / cosa - unisce - l - italia -1.267502? listID =1.58441& pos =0

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20110124 "Alcune persone sono vive solo perchè l’assassinio è illegale." — - Confucio (via imlmfm) [non so se sia Confucio, ma chissene: parole di verità, augh] (via ze - violet )

396 Post/teca

------dottorcarlo: uomoinpolvere: Carlos Lungarzo di Amnesty International Brazil: Democracia analfabeta , Veneto censura escritores

Sueddeutsche Zeitung: In der italienischen Region Venetien sollen Bücher kritischer Autoren aus Bibliotheken entfernt werden

Actua-Littés: Fahrenheit 451, ça vous parle ? En Italie , on y est Alcune voci straniere sul #rogodilibri (via Giap). Segnalate se ne trovate altri. . (via dottorcarlo)

------"Che epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi." — Shakespeare adrianomaini

------gravitazero: «Vita privata»: quanto ancora dovremo sopportare l’imbroglio per cui un’ipotesi di reato – ripeto: robustamente fondata – è vita privata? Quanto ancora dovremo sopportare l’anestesia totale che vorrebbe privati, comunque, i comportamenti di chi è eletto ad alte cariche politiche, che in una società trasparente sono invece pubblici per antonomasia, come del resto diceva lo stesso direttore del Tg1 prima di essere ingoiato dalla sua ingordigia? - Alessandro Gilioli

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397 Post/teca emmanuelnegro: ze - violet : superfuji: “qualche giorno prima ho discusso animatamente con persone di sinistra col solito ritornello, gli italiani sono così. così i benpensanti si lavano le mani per avere accettato, per non avere urlato quando bisognava farlo. ora è colpa dei poveracci che sono “di natura” furbi e non vogliono pagare le tasse. quelli che dicevano a sinistra e al centro “è già ricco non ruberà” o “non demoniziamo” o “ammettiamo che è un genio” già non esistono più. oggi sono indignati e non devono rispondere di nulla. se alla fine ce la farà torneranno a dire che ha ragione. l’unico valore riconosciuto è il successo. credono di parlare con un bicchiere di brandy in mano invece sono in cannottiera a sputare e scaccolarsi e a scommettere sui galli da combattimento. le masse. la massa esiste anche se nessuno ammetterebbe di farne parte. i pubblicitari hanno lusigato i suoi membri raffigurandoli come “unici” ma non è vero. siamo unici potenzialmente, potremmo essere unici, ma possiamo anche non esserlo affatto. i pochi che hanno spirito critico, che si potrebbe anche chiamare semplicemente intelligenza, avevano un ruolo un tempo ora sono ai margini, sono zero. se fai notare a chicchessia che si sta muovendo eterodiretto, chicchessia ti urla addosso. nega che questo possa accadere e che possa accadere a lui. i chicchessia pecoroni sono ormai in tutti i luoghi dove si prendono decisioni. chi non si è fatto comprare verrà preso per fame, questa è l’idea. ma per chi voleva, a ciascuno è stato dato un prezzo, nessuno è stato escluso. e ra alla resa dei conti, quella parte che era previsto non si sarebbe piegata, quella parte viene dipinta come in estinzione. è solo questione di tempo visto che è sparita da quasi tutte le forme di rappresentazione. prima si viene cancellati, o ci si prova, nel mondo delle idee e poi si viene cancellati nella realtà. i nostri voti, le nostre idee hanno un valore di ostacolo provvisorio destinato ad essere rimosso perché alla fame non si resiste. nel deserto non si fanno proggetti. i deserti sono fatti per essere attraversati, non per viverci, non per nascerci. eppure eppure anche questo passerà e chi non ne ha fatto parte uscirà intatto. continuiamo a ragionare, a lavorare a progettare come si può, con quello che c’è. per adesso procederei così.” — SabinaGuzzanti - Siamo solo al 22… Pensavo peggio no, dai: facciamo Tunisia, almeno.

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“credono di parlare con un bicchiere di brandy in mano invece sono in cannottiera a sputare e scaccolarsi e a scommettere sui galli da combattimento” è da scrivere su tutti i muri.

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"cara signorina crubellier, dopo la scomparsa delle mezze stagioni, e il nero che smagrisce, ci si presenta in tutta la sua tonda semplicità, la scoperta che gli altri, generalmente, non sono molto più di quel poco che ne riusciamo a vedere." — laziamarella dixit . (via 11 ruesimoncrubellier )

------"Se mi interesso a quello che dicono i cretini, non avrò più tempo per quello che dicono le persone intelligenti.." — Éric - Emmanuel Schmitt (via apertevirgolette)

------"Come ha detto qualcuno, le storie capitano solo a chi le sa raccontare. Analogamente, forse, le esperienze si

399 Post/teca presentano solo a chi è capace di viverle. Ma questo è un punto controverso, non ne sono sicuro." — Paul Auster - Trilogia di New York (via firstbr 3 athaftercoma ) (via lalumacahatrecorna)

------philapple: “Sono sopravvissuto alla scarlattina, agli orecchioni, a due rapine a mano armata, alle piattole, all’estrazione di tutti i denti, a un’operazione all’anca, a un processo per omicidio e a tre mogli. La prima è morta, mentre la Seconda Signora Panofsky, nonostante sia passata un’eternità, al solo sentire la mia voce strillerebbe: “Assassino, cosa ne hai fatto del cadavere?”, per poi sbattermi la cornetta in faccia. Miriam no, Miriam mi parlerebbe. Chissà, forse riderebbe dei miei tormenti. Magari queste stanze tornassero a riempirsi delle sue risate. Del suo profumo. Del suo amore. Il problema è che molto probabilmente risponderebbe Blair, e l’ultima volta quel bastardo spocchioso mi ha mandato tutto di traverso. “Vorrei parlare con mia moglie” gli ho detto. “Non è più tua moglie, Barney. E tu in compenso sei ebbro”. “Ebbro”. Certo, cos’altro può dire uno come lui. “Intendi sbronzo? Ovvio che sono sbronzo. Sono le quattro del mattino”. “E Miriam dorme”. “Ma guarda che è con te che volevo parlare. Vedi, Blair, stavo facendo pulizia nei cassetti, e mi sono venute per le mani certe magnifiche foto di nudo che avevo fatto a Miriam quando stavamo insieme. Mi chiedevo se non sarebbe stato più giusto che le tenessi tu. Così, tanto per sapere com’era da giovane”. “Sei uno schifoso”. E su questo ha riattaccato. Non del tutto falso. Comunque, schifoso o no, mi sono fatto un tip tap in giro per la stanza, con un bicchiere di Cardhu in mano.” — La versione di Barney (Mordecai Richler) (Fonte: philapple, via piggyna)

------«Non è la vergogna che fa le rivoluzioni,

400 Post/teca tuttavia la vergogna è già una rivoluzione in qualche modo. Se un’intera nazione esperimenta davvero il senso della vergogna è come un leone accovacciato pronto a balzare». Lo disse Karl Marx. " — Indignatevi (via gianlucavisconti). (via gravitazero) (vergogna, what is?) (via emmanuelnegro)

------siamo stati l ’ ultima generazione a guardare i film di totò ( un post a tempo determinato ) emmeintumblerland: uds: io scherzo continuamente perché la vita è qualcosa di assurdo, inquietante e cattivo. siamo creature su una palla di acqua salata e sabbia, con un tempo ridicolmente esiguo a disposizione, senza alcun indizio di cosa ci sia prima o dopo questa parentesi. c’è una buona probabilità che non ci sia nulla. pur non pensandoci continuamente, questa consapevolezza assurda, inquietante e cattiva è ben radicata in me. e riderne è l’unica maniera che ho per

401 Post/teca affrontarla. smascherarla. sopravviverci. di fronte all’assurdo ridere del paradosso. anche se la battuta che faccio va contro le mie convinzioni. l’importante è che funzioni in quel senso. nei film di totò la risata nasceva dalle macerie e miserie che aveva intorno. ora che le macerie e le miserie le abbiamo dentro c’è ancora più bisogno di esporle. nulla dovrebbe esser preso sul serio perché nulla, a parte (credo) un minimo principio di solidarietà -che comunque la maggior parte della gente ignora-, ha basi così solide da essere inattaccabili. questo era per rispondere alla tua domanda sul perché scherzo sempre. e anche alla tua domanda sul perché sono completamente inabile nelle discussioni da bar. ora, cortesemente, qualcuno mi porti sei litri di canadian cola.

fissato (il post). (via batchiara)

------"A me mi garbano quelli che mettono Scientology e La Bibbia nella sezione “Fantascienza” in biblioteca." — 3nding (via 3 nding )

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"Flâneur", parola introdotta dal poeta francese Charles Baudelaire, indica il gentiluomo che vaga per le vie cittadine. La parola non presenterebbe però un'esatta traduzione in italiano. Il concetto di flâneur è altresì significativamente presente nell'opera di Walter Benjamin, nonché ricorrente nell'ambito di discussioni accademiche sulla modernità, ed è diventato significativo anche in architettura ed urbanistica. Attorno al 1850, Baudelaire sostenne che l'arte tradizionale era inadeguata per le nuove e dinamiche complicazioni della vita moderna. I cambiamenti sociali ed economici portati dall'industrializzazione richiedevano che l'artista si immergesse nella metropoli e diventasse, per usare le parole di Baudelaire, 'un botanico del marciapiede', un conoscitore analitico del tessuto urbano. Poiché coniò il termine riferendosi ai parigini, il 'flâneur' (colui che passeggia) e la 'flânerie' (il passeggiare) sono associati con Parigi e con quel tipo di ambiente, che lascia spazio all'esplorazione non affrettata e libera da programmi. Il flâneur è tipicamente molto consapevole del suo comportamento pigro e privo di urgenza ed era descritto, per esemplificare questa sua

402 Post/teca caratteristica umorale, come uno che porta al guinzaglio delle tartarughe lungo le vie di Parigi[1]. Walter Benjamin adottò questo concetto dell'osservatore urbano sia come strumento analitico che come stile di vita. Dal suo punto di vista marxista Benjamin descrive il flâneur come un prodotto della vita moderna e della rivoluzione industriale, senza precedenti nella storia e decisamente appartenente ad un certo tipo di classe sociale, parallelo all'avvento del turista. Il suo flâneur è un borghese dilettante, non coinvolto ma molto perspicace. Benjamin divenne il suo stesso esempio principale, raccogliendo le osservazioni sociali ed estetiche che ricavava da lunghe passeggiate per le vie di Parigi. Anche il titolo del suo incompiuto "Passagen-Werk", opera filosofica, deriva dalla sua particolare affezione per le strade occupate dai negozi. Nel 1917, lo scrittore svizzero Robert Walser pubblicò un racconto breve intitolato "La passeggiata", che rappresenta il capolavoro della letteratura del flâneur. Nel contesto dell'architettura e dell'urbanistica contemporanea, la progettazione rappresenta per i flâneurs una delle modalità per approcciarsi agli aspetti psicologici della costruzione di edifici. L'architetto Jon Jerde, per es., disegnò il suo Horton Plaza e il Universal CityWalk, costruendoli intorno alla necessità di prevedere sorprese, distrazioni e sequenze di eventi per passeggiatori.

Note: 1] http://www.wcenter.ncc.edu/gazette/wernerreview.htm fonte: http :// it . wikipedia . org / wiki / Fl % C 3% A 2 neur

------Toh , la Chiesa ha fatto crac di Emiliano Fittipaldi L ’ Espresso di Emiliano Fittipaldi

Una diocesi slovena ha creato un buco per un miliardo di euro. Che il Vaticano non sa come ripianare. Una storia incredibile di investimenti sbagliati che ha fatto infuriare Ratzinger (21 gennaio 2011)

C’è una piccola diocesi che da qualche settimana ha tolto il sonno alle notti di Papa Benedetto XVI. Una chiesa che custodisce un segreto che potrebbe travolgere il Vaticano. Stavolta non si tratta della curia americana o di quella

403 Post/teca irlandese, implicate negli scandali dei preti pedofili. Né di ecclesiastici italiani, finiti nelle inchieste dei magistrati sulla “cricca” capitanata da Angelo Balducci e sul presunto riciclaggio dello Ior scoperta da Bankitalia. La basilica che angoscia Joseph Ratzinger e i suoi uomini di fiducia, Tarcisio Bertone su tutti, è quella di Maribor, cittadina nel nord Slovenia famosa per ospitare una gara di slalom della coppa del Mondo di sci.

La città rischia, ora, di diventare celebre anche per uno dei più gravi crac finanziari della storia della Chiesa: l’arcidiocesi, oltre a pascolare le anime di poco più di 100 mila fedeli, si è infatti lanciata negli ultimi anni in investimenti quantomeno spericolati. Sarà stata l’incompetenza del vescovo (rimosso da poco), sarà stata la crisi economica mondiale unita a qualche colpo di sfortuna, fatto sta che la chiesetta e le società da lei controllate sono riuscite ad accumulare la bellezza di oltre 800 milioni di euro di debiti. Un buco mostruoso che attualmente nessuno è in grado di coprire: il rosso è pari al 2 per cento dell’intero prodotto interno lordo sloveno e, per fare un raffronto, è tre volte superiore alle entrate registrate nell’ultimo bilancio del Vaticano.

Il default è dunque molto probabile, e avrebbe pochi precedenti nella storia della Santa Sede. Sono in molti a tremare, a Roma e a Lubiana: perché l’esposizione pesa su varie banche, compresa Unicredit, e su circa 30 mila risparmiatori sloveni.

Ma come è stato possibile che una minuscola arcidiocesi abbia accumulato in una ventina d’anni debiti degni di una multinazionale? “L’espresso” ha consultato documenti riservati e parlato con autorevoli fonti slovene, che definiscono la situazione semplicemente “catastrofica”. Andiamo con ordine, partendo dalla fine. Da quando a San Pietro s’accorgono dell’enormità del bubbone causato dalle avventure finanziarie del vescovo Franc Kramberger. La scoperta avviene quasi per caso, quando a fine 2007 una tv controllata dalla Chiesa slovena si mette a trasmettere programmi pornografici. Sui giornali locali scoppia il pandemonio. A Roma sono preoccupati, anche perché negli stessi giorni il vescovo di Maribor manda al Vaticano una strana richiesta: vuole essere autorizzato ad aprire due mutui da 5 milioni di euro l’uno.

404 Post/teca

Le gerarchie competenti iniziano a sentire puzza di bruciato, chiedono lumi al nunzio apostolico in Slovenia. L’ambasciatore del papa intuisce che dietro ai filmini hard che la tv dei preti usa per sbaragliare la concorrenza c’è altro, qualcuno inizia a sussurrare di esposizioni milionarie e investimenti folli. Monsignor Mauro Piacenza, allora segretario della Congregazione per il clero, comincia così a chiedere alla diocesi informazioni più dettagliate.

Prima sulla società di comunicazione T-2, quella che controlla la tv, poi su tutti i conti e le varie holding controllate dalla diocesi. Le risposte arrivano dopo mesi, omissive e incomprensibili: Piacenza avverte così Bertone e il papa si decide di spedire a Maribor un ispettore di fiducia per studiare le carte da vicino. Gianluca Piredda, esperto di bilanci, arriva in Slovenia all’inizio del 2010 con il titolo di “visitatore apostolico”. Ci mette poco a capire che il dissesto dell’arcidiocesi è di proporzioni bibliche. Le sue conclusioni vengono spedite in un rapporto a Roma lo scorso ottobre. “L’espresso” è in grado di rivelarne il contenuto.

La piccola chiesa ha fatto il passo più lungo della gamba, creando un grande impero economico che ora traballa. L’avventura parte all’inizio degli anni Novanta, quando la diocesi di Maribor costituisce la banca Krek (in dieci anni diventa il decimo istituto del Paese, nel 2002 viene venduto) e una società commerciale (la Gospodarstvo Rast). Passa qualche anno, e nascono due holding per investimenti e business assortiti, la Zvon 1 e la Zvon 2, controllate a loro volta dalla Rast. via: http :// colorolamente . tumblr . com / post /2907765927 via: http :// curiositasmundi . tumblr . com / post /2907866883/ toh - la - chiesa - ha - fatto - crac - di - emiliano - fittipaldi

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23/01/2011 - PERSONAGGIO Tullia Zevi, la donna del

405 Post/teca dialogo tra ebrei e cattolici

E’ morta ieri a 92 anni. Nel 1987 aveva firmato la storica l’intesa con lo Stato italiano ELENA LOEWNTHAL

Tullia Zevi ha lasciato questo mondo ieri sera, proprio mentre si chiudeva il Sabato, che la tradizione ebraica immagina in figura di sposa che viene e va dentro il tempo. A giorni avrebbe compiuto 92 anni: era nata a Milano il due febbraio del 1919. Con lei se ne va una grande figura dell’ebraismo italiano, e non solo perché ha ricoperto importanti incarichi ufficiali, a incominciare dalla presidenza dell’Unione delle comunità ebraiche italiane dal 1983 - unica donna a ricoprire questo ruolo cruciale.

Di incarichi ufficiali e non Tullia Zevi ne ha avuti davvero tanti, all’insegna di una vita attiva, instancabile eppure sempre animata da quella sua pacatezza straordinaria che ti colpiva immancabilmente quando la sentivi parlare, sorridere, annuire in un modo che non era un puro assenso, ma diceva tante cose insieme a quel gesto.

Tullia Zevi era davvero tante cose, tante figure interessanti dentro una vita. Nel 1992 il presidente della Repubblica Scalfaro l’ha insignita dell’onorificenza di cavaliere di gran croce. Un cavaliere che era anche musicista, suonatrice d’arpa, e giornalista - per più di trent’anni scrisse per il quotidiano israeliano Maariv. In primo piano c’e certamente il suo impegno «politico» dentro l’ebraismo italiano: Tullia Zevi non è stata soltanto la prima donna a diventare, nel 1983, presidente dell’Unione che racchiude tutta la comunità degli ebrei italiani. Ha anche e soprattutto impresso a questa carica e all’istituzione che guida un corso davvero nuovo, nel presente e nel futuro. Con la sua dirigenza sono cambiati i rapporti fra le istituzioni, la società e la cultura di questo Paese: ne è nata una dinamica tutta nuova, di interazione, scambi. Soprattutto di una reciproca apertura che non è solo il frutto di tempi nuovi ma anche, e non in marginale misura, della presidenza di Tullia Zevi.

Grazie a lei l’ebraismo italiano, saldamente ancorato ai propri millenni di storia ma perennemente in bilico su numeri minimi - non dimentichiamo che la comunità

406 Post/teca italiana conta oggi, in tutto lo stivale, non più di venticinquemila anime - ha perduto quella paura della visibilità. Era lo spettro di un passato così generoso di torti da portare con sé l’idea che meno si veniva visti e riconosciuti più era probabile riuscire a sopravvivere indenni ai corsi e ricorsi di una storia per lo più ostile. Tutto questo sembrava definitivamente alle spalle con l’emancipazione, avviatasi per gli ebrei italiani a partire dalla metà dell’Ottocento in un lungo iter storico, ma le paure e le diffidenze sono dure a morire. C’è voluta Tullia Zevi per perdere, da parte ebraica, gli ultimi timori in merito a una partecipazione piena e attiva alla vita pubblica italiana.

Eppure qualcosa da rimproverare a questo Paese, come del resto ogni ebreo che abbia attraversato la prima e terribile parte del Secolo Breve, Tullia Zevi l’aveva, eccome. Il suo cognome di nascita era Calabi - divenne Zevi sposando il grande architetto Bruno - e la sua famiglia vide quell’atroce fulmine a ciel sereno delle leggi razziali da Oltralpe: erano in vacanza in Svizzera e forse fu proprio quella salutare distanza a dare loro le giuste misure dell’orrore che erano quei provvedimenti. I Calabi iniziarono l’esilio prima di tanti altri ebrei, e fu proprio la consapevolezza a concedere loro il beneficio di una salvezza che per molti non arrivò proprio perché non riuscirono a rendersi conto di quanto stava accadendo.

Lei si rifugiò prima in Francia, a Parigi. E poi quando anche lì tutto sembrava avviato verso quella catastrofe che puntualmente arrivò, attraversò l’oceano e approdò negli Stati Uniti. Si dice spesso che gli ebrei sono cittadini del mondo. È vero. Peccato che il più delle volte lo dovessero diventare loro malgrado. Certo questi esilii hanno forgiato l’animo di tanti, lei compresa. In questo senso, e anche in tanti altri, Tullia Zevi era davvero l’emblema di un ebraismo italiano tenace e paziente, ricco di cose da raccontare, ma anche di una certa qual ritrosia ereditata da secoli di difficoltà e paure.

E lei rappresentava e racchiudeva nella sua complessa, affascinante figura, questa indole tipicamente «nostra», fatta di saggezza antica, pazienza, consapevolezza dei propri esigui numeri ma anche di una nobiltà che non è blasonata perché la procura solo la storia. Al di là dei tanti incarichi ufficiali da lei ricoperti, Tullia Zevi è stata l’anima dell’ebraismo italiano, nel suo cuore - che in ebraico ha un’accezione ben più ampia di quella puramente sentimentale - e anche nell’inventario di esperienze che era stata costretta ad attraversare. Parlando con lei e ascoltandola parlare, quasi ci si dimenticava di quello che aveva passato: c’era infatti una dolcezza che disarmava, perché non era inermità, anzi. Era il buon uso dell’intelligenza e del sentimento: lei capace sempre di insegnarti qualcosa di nuovo ogni volta che la

407 Post/teca incontravi, che la ascoltavi.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha inviato alla famiglia un messaggio di cordoglio: «Il rapporto che ho potuto intrattenere con lei personalmente e poi sviluppare negli anni della sua presidenza della Unione delle Comunità Ebraiche Italiane mi ha permesso di apprezzare profondamente la limpida e ferma consapevolezza storica e posizione ideale, l’alto impegno civile e la squisita umanità e cultura». fonte: http :// www 3. lastampa . it / cultura / sezioni / articolo / lstp /385483/

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24/01/2011 - PERSONAGGIO Mauthausen per ogni pidocchio cinque bastonate

I ricordi di Gianfranco Maris, ex deportato, che oggi compie novant'anni: "Si moriva prima con la testa e poi col corpo" MICHELE BRAMBILLA

MILANO È uno di quei pochi uomini che hanno ancora qualcosa da raccontare. Lo considera un dovere: «Quando parlo ai ragazzi delle scuole li trovo attentissimi. Ma capisco che non sanno niente di quei tempi: chiedono quando è stata la guerra, chi l’ha fatta e contro chi, chi ha vinto e chi ha perso». L’avvocato Gianfranco Maris oggi compie 90 anni e viene festeggiato alla Fondazione Memoria della Deportazione (è a Milano in via Dogana 3), di cui è presidente. È stato a Mauthausen-Gusen, il campo di concentramento nazista che vanta, per modo di dire, la più alta percentuale di vittime: morì il 60 per cento dei deportati. Dachau e Buchenwald sono sotto il 30 per cento. Auschwitz sembra poco sotto alla percentuale del Lager in cui è stato Maris, ma lì non ci andavano i «politici» come a Mauthausen, ci andavano gli ebrei

408 Post/teca e spesso gli ebrei venivano mandati nelle camere a gas prima dell’immatricolazione, così che la macabra contabilità è inesatta per difetto.

Lo incontro nel suo studio di Milano. Gianfranco Maris è un noto avvocato penalista. Ha difeso anche Leonardo Marino, che ha confessato di aver partecipato all’omicidio del commissario Calabresi. E siccome Maris è stato senatore del Partito comunista (dal 1963 al 1972), qualcuno arrivò a dire che il processo contro gli ex di Lotta continua era un complotto del Pci, che doveva regolare vecchi conti a sinistra. Maris sorride: «Era estate, e io ero uno dei pochi avvocati non ancora in vacanza. Marino non aveva un legale, il pubblico ministero che lo interrogava mi vide in corridoio e mi chiese se volevo assumere la difesa d’ufficio. Parlai a lungo con Marino, studiai le carte, accettai solo quando mi fu chiaro che era credibile». Maris sorride, anche perché per un uomo che è stato in un Lager nazista quasi tutto, anche certi veleni e sospetti, scivola via come una cosa piccola. Racconta con una lucidità e una passione che sembrano azionare una misteriosa macchina del tempo.

«Il fatto che ha determinato tutto il mio destino è accaduto nel 1938, quando avevo 17 anni e frequentavo il terzo anno del liceo classico al Carducci di Milano. Un mio amico mi presentò suo fratello, che era un tipo strano e affascinante. Mi diede dei libri da leggere, erano libri di politica e di temi sociali. Mi accorsi che avevano tutti il segno di un piccolo timbro con scritto “Ventotene”. Non sapevo nulla di Ventotene. Seppi più tardi che quel ragazzo era il rappresentante del Pci clandestino a Milano. Mi presentò Vittorini, Steiner, altri uomini di cultura. La mia fu un’adesione di fatto.

«In casa non avevo respirato un’attività antifascista. Era una famiglia abbastanza modesta, mio padre era un fonditore di ghisa e aveva una piccolissima azienda con il fratello. Io ricordo solo che ebbe delle grane al tempo del delitto Matteotti. Era un repubblicano e i fascisti un giorno vennero a cercarlo a casa. Lui non c’era. Si nascosero in giardino e lo aspettarono. Quando la sera arrivò, mia madre riuscì a divincolarsi dagli squadristi che la tenevano in casa e gli gridò di scappare. Avevo tre anni ma mi ricordo tutto. Mio padre che scappa, e tutti a inseguirlo: i fascisti e mia mamma con me in braccio. Riuscì a rifugiarsi in questura e a salvarsi, ma da quel momento fece una gran fatica a trovare lavoro.

«Perché si diventava comunisti? Anche per episodi così. Tanti episodi. Nel 1938 avevamo un supplente che avrà avuto 25 o 26 anni. Un giorno entra in classe e ci dice: “Sono venuto a congedarmi da voi. Purtroppo appartengo a una razza inferiore, non sono ariano come voi”. Io non sapevo niente delle leggi razziali, e non

409 Post/teca avevo mai avvertito ostilità contro gli ebrei. Vidi allontanati dal Carducci molti miei compagni di scuola e di giochi. Per me fu determinante».

La memoria scava in altri giorni lontani: «Nel 1939 una sera vidi un vecchio che faceva la pipì sul muro dell’edificio che ospitava il Gruppo rionale fascista. Non lo faceva per spregio politico: solo perché era vecchio e ubriaco. Uscirono dal Gruppo sette-otto ragazzi e lo massacrarono di botte. Io intervenni e picchiarono pure me, poi mi portarono dentro e mi portarono dal segretario. Mi interrogò: “Perché sei intervenuto?”. Risposi che difendere un povero vecchio mi pareva un atto di giustizia e di libertà. Ripresero a picchiarmi, e siccome qualche pugno riuscii a piazzarlo anch’io, loro chiamarono la polizia accusandomi di lesioni e violazione di domicilio. In questura un vecchio commissario meridionale, che aveva capito tutto, fece finta di prendere la denuncia e mi lasciò andare».

Poi la guerra. «Ero ufficiale. Slovenia, Croazia, Grecia. Comandavo soldati che avevano dieci anni più di me. L’80 per cento di loro era analfabeta. Pastori del Sud che mi chiedevano di leggere le lettere che arrivavano da casa. Raccoglievo confidenze di povera gente che era stata mandata a morire a migliaia di chilometri da casa senza sapere perché. Mi guardavano e mi chiedevano: perché facciamo questa guerra? Non sapevo che cosa rispondere. E non potevo non capire che quella guerra era una rapina, un’infamia. Molti sono diventati comunisti a causa di quella guerra». Gli chiedo se s’è mai sentito deluso – dopo – dal comunismo: «Quello che è successo in Russia, e anche altrove, è una degenerazione del comunismo».

Torniamo a quei tempi. Arriva il 25 luglio, poi l’8 settembre, l’esercito nel caos, ordini che non arrivano. «Siamo tornati in Italia a piedi. A Milano andai in una sede del Pci davanti all’ospedale Fatebenefratelli. Decisero di mettere a disposizione la mia esperienza militare. Vado in Val Brembana, organizzo una brigata in Val Taleggio, poi mi mandano in Valtellina. Ma alla stazione di Lecco io e un compagno veniamo arrestati dalle SS: ci aveva venduti un partigiano arrestato». Il carcere a Bergamo e a San Vittore, le botte. Poi il binario 21: partenza per Fossoli, quindi Mauthausen-Gusen. «Ci arrivammo il 5 agosto 1944. Era un campo per deportati politici. Poi vennero deportati anche i non “politici”: bastava essere operai e avere braccia buone per il Reich. I non idonei finivano nelle camere a gas, o uccisi con un’iniezione di benzina al cuore». Mi spiega come cercavano di tenerli in forze, visto che erano «utili» come forza-lavoro. «Nell’agosto del ’44, quando sono arrivato, davano un chilo di pane al giorno da dividere in sei. Nel marzo del 1945 la stessa razione veniva divisa in 24. Ricordo la fame, il freddo, la dissenteria.

410 Post/teca

«La sera c’era il controllo dei pidocchi. Ti facevano spogliare e controllavano i vestiti: per ogni pidocchio, cinque bastonate. Una sera d’inverno mi trovarono cinque pidocchi. Presi venticinque bastonate, poi lasciarono i miei vestiti tutta la notte sul tetto pieno di neve e mi fecero dormire nudo. La mattina tornai alla cava di pietre indossando i vestiti inzuppati di neve e gelati». Come ha fatto a sopravvivere? «Non lo so neanche io, forse non lo sa nessuno. Morirono in tanti: si moriva prima con la testa e poi con il corpo. A volte, quando racconti ti dicono: non è possibile che sia successo tutto questo. Ma è successo, e potrebbe succedere ancora. Ecco perché noi dobbiamo mantenere la memoria. La conoscenza della storia è la prima condizione per la libertà». fonte: http :// www 3. lastampa . it / cultura / sezioni / articolo / lstp /385634/

------"La pazzia, signore, se ne va a spasso per il mondo come il sole, e non c’è luogo in cui non risplenda." — William Shakespeare (via fotonico)

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http :// www . youtube . com / watch ? v = bLZ 040 RA 3 tM & feature = player _ embedded

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Segregazione culturale

By Luca De Biase on January 22, 2011 11:05 PM

Leggendo "La cultura degli italiani" per seguire le informazioni raccolte da Tullio De Mauro sull'analfabetismo funzionale degli italiani. Una segregazione culturale che tiene fuori una maggioranza di italiani dalle abilità fondamentali per vivere in pieno nella società contemporanea. Non sanno proprio leggere oltre il 30%. Non capiscono quello che leggono oltre il 50%. Non leggono mai circa 70%... De Mauro

411 Post/teca

è esigente, ma bisogna ammettere che di questo si parla troppo poco... Tra l'altro, l'unica dinamica albafetizzante, dice De Mauro, in un contesto altrimenti di peggioramento, negli ultimi anni è stata innescata da internet che ha alimentato l'inclusione di una fascia di popolazione che era poco sotto la soglia minima di accesso agli strumenti della lettura e che l'ha superata per gli stimoli trovati in rete. fonte: http :// blog . debiase . com /2011/01/ segregazione - culturale . html

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25 comandamenti per i giornalisti

Mettiamo da parte per un attimo le catastrofiche e deprimenti previsioni sulla ‘’morte’’ del giornalismo e immaginiamo che il mestiere continuerà ad esistere e ad avere delle sue buone prassi – Ecco da un veterano del Guardian, Tim Radford, una garbata ma pungente lezione per chi intenda accostarsi alla professione, che ha chiamato ”A manifesto for a simple scribe’‘ – Consigli apparentemente leggeri, ma molto efficaci e ‘’universali’’, suggeriti con grande ironia e semplicità, segno di quella saggezza che solo una esperienza profonda riesce a far sedimentare – Un racconto che presentiamo integralmente (in versione italiana) anche perché ci sembra una lettura divertente —– Tim Radford, un giornalista che da 32 anni scrive per il Guardian, ha tenuto mercoledì sera all’ Imperial College di Londra una lezione sul giornalismo basandola su una serie di ‘’comandamenti’’ (25 per l’ esattezza, un ‘’Icosipentalogo’’) per chi si avvicina alla professione. Radford offre una serie di consigli garbati e apparentemente leggeri, ma molto efficaci, suggeriti con grande ironia e semplicità, segno di quella saggezza che solo una esperienza profonda riesce a far sedimentare. Una ‘’lezione’’ che presentiamo (in versione italiana) anche perché ci sembra una lettura divertente. Radford racconta di aver elaborato queste indicazioni quando, dovendo fare dei corsi di formazione per giornalisti per conto di un gruppo editoriale, in preda al panico, cominciò a chiedersi quale fosse la cosa più importante a cui si doveva pensare quando si scriveva un articolo. La risposta gli arrivò alla fine forte e chiara: ‘’Fare in modo che qualcuno lo legga’’. Alla fine – osserva – non c’ è un’ altra ragione migliore per scrivere. I giornalisti scrivono per sostenere la democrazia, rispettare la verità, onorare la giustizia, giustificare le spese, vedere il mondo e fare una bella vita, ma per fare soddisfacentemente ognuna di questa cose si devono avere dei lettori. Correttezza e

412 Post/teca accuratezza sono molto importanti, certo. Senza di esse, non c’ è giornalismo propriamente detto: si gioca qualche altra partita. Ma prima di tutto il giornalista deve essere letto. Altrimenti giornalismo non è. Ho cominciato a scrivere numerando gli argomenti e mi sono fermato a 25. Non ho tempo per ridurre il tutto a un vero decalogo con i Dieci Comandamenti. Li ho lasciati così, dandogli il sottotitolo, semiserio, di ‘’Manifesto per un semplice scrivano’’.

A MANIFESTO FOR THE SIMPLE SCRIBE – MY 25 COMMANDAMENTS FOR JOURNALISTS di Tim Radford 1.Quando ti siedi a scrivere c’ è una sola persona veramente importante nella tua vita. E’ qualcuno che tu non incontrerai mai ed è chiamato lettore. 2. Non scrivi per far colpo sullo scienziato che hai appena intervistato, né per il professore che ti ha seguito all’ università, o per il direttore che ti ha bocciato o per quella tipa sexy che hai appena incontrato a una festa e a cui hai detto che sei uno scrittore. Oppure per tua madre. Stai scrivendo per colpire qualcuno appeso a una maniglia della metro fra Parson’s Green e Putney, che forse smetterà di leggere in un quinto di secondo. 3. Quindi, la prima frase che scriverai sarà la frase più importante della tua vita, e così la seconda, e così la terza. E questo perché, se tu puoi sentirti obbligato a scrivere, nessuno si potrà mai sentire obbligato a leggere. 4. Il Giornalismo è importante. Ma non deve, mai, sentirsi e mostrarsi importante. Niente spinge un lettore a rifugiarsi alla pagina delle parole crociate o a quella dei risultati dell’ ippica più della pomposità. Quindi parole semplici, idee chiare e frasi brevi sono vitali nella narrazione giornalistica. 5. C’ è una frase da incidere sul cartello che appenderai sulla tua macchina da scrivere: ‘’Nessuno mai protesterà se renderai un fatto più semplice da capire’’. 6. Ed ecco un’ altra cosa che dovrai ricordare ogni volta che ti siedi davanti alla tastiera: ‘’Nessuno ha il dovere di leggere questa merda’’. 7. Se hai dei dubbi, parti dal fatto che il lettore non sa nulla. Ma non fare mai la sciocchezza di giudicarlo stupido. Un errore classico nel giornalismo è di sopravvalutare quello che il lettore sa e di sottovalutare invece la sua intelligenza. 8. La vita è complicata, ma il giornalismo non può essere complicato. E’ proprio perché i problemi – medicina, politica, finanza – sono complicati che i lettori si rivolgono al Guardian, o alla Bbbc, a Lancet, o alle vecchie pagine di giornale con cui si avvolge il pesce nelle pescherie e gli acquisti ai self service, sperando che li renderanno più semplici. 9. Quindi, se una questione è aggrovigliata come un piatto di spaghetti, tratta il tuo articolo come se fosse uno degli spaghetti, estratto dal groviglio. Rispettando la ricetta, con olio, aglio e salsa di pomodoro. Il lettore ti sarà grato perché gli hai dato la semplicità di una parte e non la complessità del tutto. Questo perché: a) il lettore sa bene che la vita è complicata, ma è contento di avere per lo meno un aspetto che è stato spiegato chiaramente e b) perché nessuno leggerebbe mai un servizio che

413 Post/teca annuncia: ‘’E’ una vicenda inspiegabilmente complicata…’’. 10. Una regola. Un articolo deve raccontare solo una cosa. Se hai di fronte quattro aspetti di una vicenda, intrecciali attorno alla cosa principale che devi raccontare. Puoi utilizzarne dei frammenti nel tuo articolo, ma solo se puoi farlo senza doverti staccare troppo dal racconto che hai scelto di seguire. 11. Una osservazione. Non cominciare a scrivere fino a quando non hai deciso qual è il senso della storia e cerca di formularlo con te stesso in una frase. Quindi chiediti se tua madre riuscirebbe ad ascoltare questa frase per più di un microsecondo senza riprendere a stirare. Quando dovrai vendere al direttore di un giornale una idea per un articolo, avrai lo stesso livello di attenzione, e quindi fai attenzione a quella frase. Spesso, non sempre, sarà la prima frase del tuo articolo. 12. C’ è sempre un attacco ideale per qualsiasi articolo. Esso aiuta veramente a pensare a quello che viene dopo, perché scoprirai che le frasi successive si scrivono quasi da sole, molto velocemente. Non significa che tu sei semplicistico o superficiale. Oppure di gran talento. Significa solo che hai scritto la frase giusta. 13. Definizioni come queste non sono degli insulti per un giornalista. Il punto essenziale per chi paga per un giornale è avere delle informazioni che scivolano via facilmente e velocemente, senza troppe note, riferimenti oscuri e note alle note. 14. Parole come ‘’sensazionale’’ o ‘’futile’’ non devono far storcere il muso a un giornalista. Leggi quello che leggi – teatro elisabettiano, romanzi russi, fumetti satirici francesi, thriller americani – perché qualcosa nelle loro pagine stimola sentimenti di eccitazione, o di humour, il romanticismo o l’ ironia. Il buon giornalismo dovrebbe darti appunto la sensazione di humour, di eccitazione, di intensità o di sapore piccante. Superficiale è uno degli insulti preferiti dai professoroni. Ma anche loro si appassionano delle loro materie prima di tutto perché vengono attratti da qualcosa di luccicante, appariscente e, è vero, di futile. 15. Le parole hanno un significato. Rispettalo. Guarda sul dizionario, scopri come vengono usate. E usale con proprietà. Non pavoneggiarti dietro la tua ignoranza. Non infilarti d’impulso in un sentiero impervio senza prima chiederti in che modo sarai capace di aprirti una strada. 16. I cliché, nell’ istruzione classica del mondo dei quotidiani, devono essere evitati come la peste. Tranne quando sono il cliché adatto. E’ sorprendente scoprire quanto sia utile un cliché, quando viene usato giudiziosamente. Perché il giornalismo non è tanto essere bravo quanto essere veloce. 17. Le metafore sono grandi cose. Ma non scegliere metafore astruse e mai, mai, mischiarle. La ciurma del Guardian aveva un Premio speciale , una sorta di Oscar dell’ incompetenza, assegnato a un cronista di relazioni industriali che aveva spiegato al mondo che ‘’alcuni gatti selvaggi al Congresso delle Trade Unions erano appostati nel sottobosco, pronti a balzare come dei pirana, nonostante avessero la museruola’’. E George Orwell raccontava di un poliziotto militare secondo cui ‘’la piovra dell’ oppressione fascista aveva intonato il suo canto del cigno’’. 18. Attenzione alle pose. Quando Mosé ordinò ai suoi comandanti di uccidere i Madianiti non lo fece per dimostrare che lui era un vero duro. (…). Il linguaggio del

414 Post/teca pub o del bar ha i suoi ritmi, il suo codice corporeo, i suoi sistemi di segnalamento. Il linguaggio della pagina non ha accentuazioni, non ha le tonalità che possono indicare scherzo o commedia o autoironia. Deve essere diretto, chiaro e vivido. E per essere diretto e vivo, deve seguire la propria grammatica. 19. Attenzione alle parole lunghe e incomprensibili. Attenzione al gergo. Se scrivi cose scientifiche questo è doppiamente importante. Devi bandire le parole che gli esseri umani normali non userebbero mai, come fenotipo, mitocondrio, inflazione cosmica, distribuzione di Gauss o isostasia. Non cercare di sembrare ‘’sfavillante’’ o ‘’al settimo cielo’’, basta essere brillante e felice. 20. L’ inglese è meglio del latino. Tu non stermini, tu uccidi. Tu non ‘’sbavi’’, tu sei innamorato. Tu non deflagri, bruci. Mosè non disse al Faraone:’’La conseguenza della mancata liberazione della popolazione di un particolare soggetto etnico potrebbe determinare alla fine qualche particolare affezione alle colonie di alghe nel bacino centrale del fiume, con delle conseguenze impreviste per la flora e la fauna, e anche per i servizi ai consumatori’’. Disse invece: ‘’le acque del fiume…si trasformeranno in sangue, e i pesci del fiume moriranno, e il fiume puzzerà’’. 21. Ricorda che le persone vengono colpite da quello che è più vicino a loro. I cittadini della zona sud di Londra potrebbero preoccuparsi di più per la riforma economica in Surinam che per il risultato della squadra del Millwall il sabato, ma la maggior parte di loro non lo farà. Devi accettarlo. Il 24 novembre 1963, l’ Hull Daily Mail (un giornale locale della zona di Hull, nello Yorkshire, ndr) mi mandò alla ricerca di un punto di vista locale sull’ assassinio del presidente Kennedy. Una volta trovato l’ attacco del pezzo, che faceva ‘’Gli abitanti di Hull erano in lutto stamani per…’’, potevo andare avanti tranquillamente col racconto di quello che era accaduto a Dallas. 22. Leggi. Leggi un sacco di cose diverse. Leggi la Bibbia di Re Giacomo e Dickens, le poesie di Shelley e i fumetti della Marvel e i thriller di Chester Himes e Dashiel Hammet. Guarda le cose strabilianti che si possono fare con le parole. Osserva come possono evocare per incanto interi mondi nello spazio di mezza pagina. 23. Attenzione alle cose troppo definitive. L’ ultimo cavallo di Godalming (cittadina del Surrey, ndr) non sarà certamente l’ ultimo cavallo del Surrey. Ci sarà sempre più o meno qualcuno più grande, veloce, vecchio, giovane, ricco o nauseante del candidato a cui hai appena affibbiato l’ ultimo superlative. Salvati sempre dai seccatori: ‘’Uno dei primi…’’ ti salverà. Altrimenti, per lo meno qualificalo così: ‘’Secondo il Guinness dei primati…’’, ‘’L’ elenco dei ricchi del Sunday Times…’’. E così via. 24. Ci sono cose che il buon gusto e la legge ti impediscono semplicemente di dire per iscritto. Le mie preferite sono: ‘’Assassino assolto’’ e (in un articolo sulle funzioni religiose di Pasqua), ‘’Paul Meyers, che faceva Gesù Cristo, è emerso come la star dello show’’. 25. Chi scrive ha delle responsabilità, non solo di tipo legale. Puntare alla verità. Se quest’ ultima è sfuggente, e spesso lo è, per lo meno puntare alla correttezza, coscienti che c’ è sempre un’ altra faccia della vicenda. Attenzione a chi predica l’ obbiettività. Costoro sono i più elusivi di tutti. Puoi scrivere che la Royal Society sostiene che l’ ingegneria genetica è una buona cosa e che l’ uranio impoverito è

415 Post/teca assolutamente innocuo. Ma devi ricordarti che l’ ingegneria genetica è stata inventata da persone che sono state immediatamente accolte nella Royal Society, per la loro intelligenza, da altre persone che sono già membri della società perché hanno scoperto come arricchire il combustibile delle barre di uranio e come impoverire il resto. Dunque, parafrasando Miss Mandy Rice-Davies, (una delle protagoniste dello scandalo Profumo , ndr), “Che altro potrebbero dire, non vi sembra?’’ fonte: http :// www . lsdi . it /2011/01/23/25- comandamenti - per - i - giornalisti /

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I dieci piatti più sopravvalutati Il sushi, il pane fatto in casa, le ostriche, la birra artigianale, prosciutto e melone I piatti celebri che non meritano la loro fama nella lista di Massimo Bernardi 24 GENNAIO 2011 | DI MASSIMO BERNARDI

Sono giorni che mi riprometto di scrivere una cosa sui piatti più sopravvalutati. Oggi l’ho fatto, e siccome è tema sul quale tutti hanno un’opinione, mi aspetto che lo facciate anche voi. Ma senza essere ipocriti, non più del necessario, insomma. Il pane fatto in casa col lievito naturale (variante: la pizza fatta in casa) Smanettare in cucina è senz’altro cosa degna di lode. E chi si dispone a fare il pane con il lievito madre sta chiaramente ponedo le basi per. Ma di tutte le volte che assaggiando le creazioni di volenterose neo-massaie avete commentato: “mmm, buonissimo”, quante in realtà avete pensato: “Sola di scarpa inacidita”? Il sushi Coraggio — è arrivato il momento di interrompere bruscamente le insane relazioni che prevedono richieste tipo: “sushi insieme, stasera?” I don’t do sushi no more. E i crudisti che al cospetto di un trancio di tonno cinguettano di sentirci il mare penso lo facciano per moda. Il punto è che non trovo mai un motivo per cenare col sushi piuttosto che con qualunque altro piatto. Le birre artigianali (quasi tutte) Intendiamoci, la centralità dell’artigianale italiana è fuori discussione, alla prova degustazione vince a mani basse. Ciò detto, ne hanno parlato cani, porci e passanti, i prezzi son lievitati e ora, ogni volta che le vedo metto su un’espressione di sana antipatia. Per la cronaca, la crisi di rigetto ha riempito il mio frigo di Menabrea, Budweiser, Orval e Guinnes. I formaggi con le marmellate Da una parte, vedere pezzetti informi di cacio disposti in senso orario abbinati a

416 Post/teca schizzi collosi di confetture rosse e gialle mi provoca un’incontrollabile ilarità. Dall’altra, la tentazione di alzarmi e andarmene ogni volta che fanno la comparsa sul tavolo. Non voglio essere mai più l’utilizzatore finale di questa roba. Le tagliatelle al ragù di Massimo Bottura Per carità, l’Osteria Francescana è il vero punto G della cucina italiana, e la tradizione remixata da Bottura è storicizzabile come la più ultimativa degli anni zero. Ma dico, avete mai mangiato le tagliatelle al ragù? A parte che 9 su 10 arrivano tiepide, ma nell’improvviso deserto di sapore ho creduto di pensare che fossero migliori quelle di mia suocera. Basta così?

I macaron “Macaron c’est moi” potrebbe dire a ragione il pasticcere parigino Pierre Hermé. Ma al di là dei suoi, e mettiamoci Luderée + una decina di adorabili eccezioni, il resto dei macaron fa schifo. Belli son belli, eh, però diciamolo una volta per tutte che il re è nudo, e che a meno di non amare il sapore degli aromi di sintesi c’ha le papille gustative di legno. (© della lettrice Paola Roccuzzo). Tofu e seitan Provateci. No, dico: provateci. Convertite il vostro appuntamento alla filosofia del light e fategli mangiare quello che prima dell’infatuazione esotica, quando ancora chiamavamo le cose col lore nome, sarebbe stato cibo per galline. E sperate che essendo troppo pigro per venirti a bruciare il citofono, si limiti a togliere l’amicizia su Facebook. Le ostriche Conoscendo i miei polli (gastrofanatici italiani che trovano eccitante l’ambigua pratica di succhiare molluschi dalla loro conchiglia) confesso un’ardente adorazione per i frutti di mare tutti. Ma non posso non fare le pulci alle ostriche evocando il sapore dell’acqua di porto che mi arriva in gola ogni volta che ne succhio una. Magari perché non è delle migliori, non so. Prosciutto e melone Per quale motivo combinare due cose degne del massimo rispetto per farne una terribile. Provate il melone con le aringhe affumicate, piuttosto. La torta Mimosa Senza giri di parole: guarderei una stagione di Antonella Clerici piuttosto che mangiare una fetta di torta mimosa. Baccalà e stoccafisso In una democrazia compiuta “quel buon odore di baccalà” (?) sarebbe fuorilegge. Non sono uno schizzinoso, non chiudo le narici sentenziando che stoccafisso e baccalà puzzano come calzini. Sopporto perfino i sinonimi inventati dagli invasati

417 Post/teca per non dire che puzza, inebriante… divinamente muschiato. Ma io mi chiamo fuori… e no, nemmeno fritto. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/24/ i - dieci - piatti - piu - sopravvalutati /

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418 Post/teca

20110125 "Non vergogniamoci di dire ciò che non ci vergogniamo di pensare." — Montaigne (via risorgenza) (via lalumacahatrecorna)

------lollodj: Sono preoccupato. Ma non per l’economia o la decadenza, che mi diverte molto. No. Per i Motörhead. Sull’ultimo numero di Rolling Stone sono disco del mese e la recensione, per 3/4, parla delle mamme con le magliette dei Ramones che sono trendy e dice diocane, non è che poi succederà anche ai Motörhead quando Lemmy schioppa, e tra l’altro il loro nuovo disco è il primo di loro che non mi fa schifo? Certo, purtroppo succederà, visto che se i Motörhead sono disco del mese su Rolling Stronz, vuol dire che ormai la coolness prefabbricata li ha raggiunti. Chiaro, tutti questi endorsement sono merda di giaguaro, confronto alla partnership con Triple H: quella sì che è roba. Ma risale a prima, quindi non vale. (via Sei Un Idiota Ignorante )

------"Ah, certo. Gli italiani. Gente musicalmente idiota!" — “Amadeus”, Milos Forman, 1984 (via flatguy)

------Per il pane e la libertà |

419 Post/teca senzafrontiere uomoinpolvere: “Nel 1999, l’ammiraglio Fulvio Martini, già dirigente del Servizio Segreto Militare(SISMI) riferì alla Commissione Stragi del Parlamento italiano: “Negli anni 1985-1987 organizzammo una specie di colpo di Stato in Tunisia, mettendo il presidente Ben Ali a capo dello Stato, sostituendo Bourguiba (esponente di primissimo piano nella lotta di indipendenza dal colonialismo francese, NdR)”. Martini, inoltre, nel suo libro “Nome in codice: Ulisse” precisò che le direttive venivano da Craxi e da Andreotti, allora rispettivamente presidente del consiglio e ministro degli esteri. Successivamente l’oppositore del regime dittatoriale di Ben Ali, Taoufik Ben Brik ha denunciato come i governanti italiani abbiano rinforzato il regime “rimpinguando i suoi forzieri e armando il suo braccio contro il popolo”. Non a caso fu in Tunisia che il latitante Craxi si rifugiò, riverito, protetto e seppellito, per sfuggire alle condanne inflittegli. La rivolta e la lotta in corso in Tunisia ci appartengono, le sentiamo come nostre, sia perché sono contro un regime dittatoriale, arrogante e corrotto sia perchè nate per conquistare, non solo migliori condizioni di vita, ma anche libertà di parola e di organizzazione. Le sosteniamo in quanto espressione autonoma di esigenze popolari, sganciate da logiche di compatibilità geopolitiche.”

Commissione Relazioni Internazionali FAI

------"Ultimamente sono affascinato dalle donne che si applicano quelle lunghissime unghie decorate. Mi chiedo come riescano a masturarsi senza finire al pronto soccorso." — (via spaam)

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420 Post/teca

"Nella lingua italiana tutte le parole che iniziano con “liber-” sono diventate mostruose o, quando va bene, innocue. Ce n’è una sola che ha conservato una quota di senso, e infatti è la meno ricorrente, la più tenuta ai margini del discorso pubblico, la più temuta e odiata da sproloquiatori e donazzànidi: “liberazione”. Spesso con l’iniziale maiuscola: “Liberazione”. Parola che descrive un processo e il suo esito, un agire e il suo fine. Al contrario di “libertà”, che può essere un concetto astratto e disincarnato, “liberazione” implica gli esseri umani. Senza di essi non esiste. Si libera sempre qualcuno, e ci si libera daqualcuno. “Popolo della Libertà” è un’espressione orrorifica. “Futuro e libertà” è pura distopia. “Sinistra, ecologia e libertà” è una borsa della spesa che si rovescia. Liberarsi della “libertà” sarebbe già l’avvio di una liberazione."

421 Post/teca

— Wu Ming (ovviamente, anche qui, il messaggio subliminale è hop hop hop ) Non è affascinante che i nazisti riescano sempre a piazzare la parola libertà nella loro propaganda? Stieg Larsson – Uomini che odiano le donne (via nipresa) (Fonte: manyinwonderland, via hneeta)

------Ancora una volta, il baratro non è politico: è culturale. E’ l’assenza di istruzione, di cultura, di consapevolezza, di dignità. L’assenza di un’alternativa altrettanto convincente. E’ questo il danno prodotto dal quindicennio che abbiamo attraversato, è questo il delitto politico compiuto: il vuoto, il volo in caduta libera verso il medioevo catodico, infine l’Italia ridotta a un bordello. Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga. Sono certa che la prostituzione consapevole come forma di emancipazione dal bisogno e persino come strumento di accesso ai desideri effimeri sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di

422 Post/teca una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo. Sono due anni che lo faccio, ma oggi è il momento di rispondere forte: dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di destra o di sinistra che siate, povere o ricche, del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo che altre donne prima di voi hanno reso ricco di possibilità uguale e libero, dove siete? Davvero pensate di poter alzare le spalle, di poter dire non mi riguarda? Il grande interrogativo che grava sull’Italia, oggi, non è cosa faccia Silvio B. e perché. La vera domanda è perché gli italiani e le italiane gli consentano di rappresentarli. Il problema non è lui, siete voi. Quel che il mondo ci domanda è: perché lo votate? Non può essere un’inchiesta della magistratura a decretare la fine del berlusconismo, dobbiamo essere noi. E non può essere la censura dei suoi vizi senili a condannarlo, né

423 Post/teca l’accertamento dei reati che ha commesso: dei reati lasciate che si occupi la magistratura, i vizi lasciate che restino miserie private. " — Le altre donne - Invece (via tommaso) (via batchiara)

------Il governo del Paese di massimo mantellini

Io me lo immagino, seduto in una stanza con le imposte abbassate. Da solo e in silenzio. La luce azzurra dei monitor televisivi sintonizzati sulle troppe trasmissioni che parlano di lui. Sul tavolino, mescolati fra i tanti telecomandi, la trinitrina, le gocce di En, un paio di telefoni cellulari di quelli non troppo complicati. Se ne sta seduto un po’ di traverso, come se il divano avesse le spine, lo sguardo passa da uno schermo all’altro. Ogni tanto, silenziosamente qualcuno entra nella stanza con una pila di quotidiani sottolineati sugli articoli che lo riguardano, oppure con le stampate di qualche sito web. Lui dedica un rapido sguardo sulle parole inchiostrate poi ritorna agli schermi alle pareti. Qualche volta sbotta, salta in piedi, prende un cellulare e consulta un foglietto pieno di numeri di telefono scritti a penna, quei foglietti stropicciati, mille volte maneggiati, vergati con una calligrafia ordinata ed inclinata da ragioniere di una volta. Infine compone il numero, mentre

424 Post/teca pendola avanti indietro nella stanza. Qualche volta lo mandano in onda, qualche volta no. Appena sente il click della diretta esordisce sempre con la solita frase: ” Mi è stato segnalato che nella vostra trasmissione…”. Che tradotto in italiano dal tenero linguaggio degli adolescenti significa: ” Io avrei molto da fare ma dedico un secondo pure a voi…”. Poi, inevitabilmente, partono gli insulti, solo che una volta dall’altra parte dl filo lo attendevano voci compite e preoccupate, molto gentili e disponibili, rispettose del suo ruolo. Ora non è più così, lo sente, annusa nell’aria l’odore acre del colpo di stato verbale. Più la sua autorità precipita e più i suoi toni si accendono, le parole si trasformano in pietre. E nemmeno la precipitosa chiusura della comunicazione appena terminata la frase sembra placarlo più di tanto. Ieri sera, per esempio, quel tizio de La7 ha perfino osato rispondergli in diretta dandogli del cafone. Lui ha messo giù lo stesso, poi si è seduto sul divano per dominare l’emozione. Ha versato 10 gocce di En nel bicchiere, aggiunto un dito di acqua povera di sali. In pochi istanti era tutto passato. L’uomo della scorta è entrato chiedendo se era tutto a posto. Lo ha congedato con un gesto. Poi è tornato ad occuparsi del governo del paese dentro quella stanza dai profili azzurrognoli. Che alle 23.45 su Rai Tre inizia il prossimo programma che parla di lui. fonte: http :// www . mantellini . it /? p =11130

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Il paese delle escort che dimentica anche Marie Curie di Nicla Vassallo

425 Post/teca

La cornice è quella di Massascienza, generosa manifestazione, la cui ultima edizione si è aperta lo scorso 11 dicembre per chiudersi il prossimo 18 febbraio, con un congruo numero eventi, non solo conferenze, anzi, tra cui il mio intervento su «Donne e scienze. Eccellenze e violenze» (Teatrino dei Servi, l’11 febbraio, alle ore 17, Massa, n.d.r), a ricordare un centenario epocale, quello del conferimento del Premio Nobel per la chimica a Maria Sklodowska, ovvero a Marie Curie.

Eccellenze, appunto quali lei, al suo secondo Nobel, dopo quello per la fisica, condiviso con Pierre Curie e Antonie Henrie Becquerel. Docente alla Sorbona, moglie di un docente, madre di Irène Joliot- Curie, a sua volta Nobel per la chimica nel 1935, e di Eve Devise Curie, scrittrice, consigliere del Segretario delle Nazioni Unite, ambasciatrice dell’Unicef. Lei, Madame Curie, tra i pochi a vincere due Nobel. Lei che non brevetta il processo di isolamento del radio: a importare rimangono la libertà e il progresso della ricerca scientifica, null’altro. Lei che si dedica alla diagnosi dei soldati feriti nella Prima Guerra Mondiale. Lei che fonda quanto individuiamo oggi come l’Istituto Curie. Lei che, dopo la morte prematura del marito, investito da una carrozza nell’aprile 1906, prosegue imperterrita a lavorare da scienziata «dura e pura», nonostante gli invidiosi tentino di screditarla – pure certi ambienti, quelli scientifici, pullulano di narcisi gelosi, come ci testimonia, tra gli altri, Patrick Coffey in Cathedrals of Science. ThePersonalities andRivalries That Made Modern Chemistry, Oxford University Press, 2008. In qualmodoscreditare una donna intelligente, impegnata, generosa?

Ovvio, esaltandone la bellezza, il lato sexy predatorio; quindi, Madame non deve valere più di tanto, se non in qualità di un’infiammata femme fatale dai parecchi amanti – l’aneddoto non sfugge a Sam Kean nel divertente e inquietante The Disappering Spoon. And Other True Tales of Madness, Love and the History of the World From the Periodic Table of Elements, Little, Brown & Company, 2010. Lei, l’eccellenza, che smentisce in tutto e per tutto Albert Einstein, stando a cui «quando si tratta di voi donne il centro produttivo non è situato nel cervello». Lei, dai tanti altri riconoscimenti (per esempio, la Medaglia Davy, la Medaglia Matteucci, il Pantheon), muore in un sanatorio della Savoia nel 1934,

426 Post/teca plausibilmente per una leucemia dovuta a un’eccessiva esposizione al materiale radiativo. Lei che parecchi ricercatori hanno presente per la Marie Curie Fellows Association , nonché per le opportunità che a suo nome offre la Commissione europea per la ricerca e l ’ innovazione .

Se di Marie Curie sappiano, nonostante dovremmo sapere di più, di altre donne, dalle grandi espressioni cognitive, proseguiamo e insistiamo col voler sapere poco. Rarissime le donne insignite del Nobel, a troppe è stato depredato. In ogni caso, i contributi intellettuali e scientifici “femminili”, fioriti in legami con uomini, vengono di norma attribuiti a questi ultimi.

Alcuni casi emblematici in cui a ottenere fama e onore è l’uomo, quantunque troppi meriti spettino in effetti alla donna: Sophie Brahe e il fratello Tycho, Gabrielle du Chatelet e Voltaire, Marie Paulze Lavoisier e il marito, Ada Byron e Charles Babbage, Jocelyn Bell-Burnell e Anthony Ewish, Rosalind Franklin e Francis Crick, James Watson, Maurice Wilkins, Mileva Maric e Albert Einstein, Lise Meitner e Otto Hahn; Chien-Shiung Wu e Tsung Dao Lee e Chen Ning Yang.

Ci troviamo di fronte a un tipo di violenza epistemica, in cui la capacità di conoscere, in quanto donne, ai massimi livelli, risulta negata. Così capita che queste donne, che faticano, insieme ad altre, non vengano approvate, elogiate, premiate, neanche oggi, mentre le cosiddette escort (non sempre prostitute di alto bordo,come si solevaun tempo) conquistano facilmente denari e potere socio-politico, nella lapalissiana assurdità ove viene consentito tutto ai diversi meccanismi di prostituzione e servilismo, non solo corporei – non illudiamoci – ma pure mentali e, purtroppo, intellettuali, per quanto criminali, perfidi, sleali. Mentre le intellettuali oneste e serie soffrono.

E muoiono senza che il cosiddetto “grande pubblico” lo tenga a mente (più divertente, sebbene degenerante, piazzarsi davanti alla tv con Amici, Colpo Grosso, Drive In, il Grande Fratello, La pupa e il secchione, L’isola dei famosi, X Factor, e via dicendo, quali modelli di riferimento). Chi può ricordarsi allora di Rosalind Franklin, che a trentasette anni muorediuncancro alle ovaie, presumibilmente a causa della forte

427 Post/teca esposizione ai raggi X, se non quando il misogino James Watson la denigra? E chi si ricorda invece di Marie-Claude Lorne, tra i filosofi della biologia più rigorosi, che a trentanove anni si suicida, gettandosi nella Senna? Forse chi tra noi si trova a leggere il commovente necrologio di Thomas Pradeusu Biology and Philosophy (volume 24, numero 3, pp. 281-282, 2009).

I celebrati nonché le celebrate rimangono altri e altre. Riusciamo a non smentirci: perfino quest’anno, con l’esiguo omaggio tributato nel nostro paese all’esimia Marie Curie. A brillare sempre più persistono le escort. Facciamo sì che le cose vadano altrimenti. Nel frattempo, un grazie a Massascienza. E, in attesa del Festival della Scienza di Genova, che incoraggia a parlare del Nobel per la chimica del 1911, spegniamo la tv e rileggiamo ciò che ci racconta Susan Quinn in Marie Curie, una vita (Bollati Boringhieri, 1998).

24 gennaio 2011 fonte: http :// www . unita . it / italia / il - paese - delle - escort - br - che - dimentica - anche - marie - curie -1.267875

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L'adrenalina elettronica di un entusiasta detto Lorenzo di Diego Perugini

Arriva vestito di tutto punto all’ultimo piano (31esimo!) del Pirellone milanese, completo nero con camicia rossa, omaggio ai Kraftwerk di The Man Machine nonché abito di gala con cui presentare in pompa magna il suo nuovo cd, Ora. Lorenzo Jovanotti Cherubini è sempre il solito inguaribile entusiasta, anche quando le cose del mondo sembrano andare a rotoli.

Continua a «pensare positivo», insomma, magari con uno sguardo più disincantato. Ora è un disco ottimista, potente e adrenalinico. Portatore sano di un vitalismo contemporaneo, dove carne e spirito si fondono in un sound tutto energia e passione. Diverso da Safari, suo capolavoro

428 Post/teca della maturità, e più incentrato sull’istinto e sulla comunicativa a pelle, con l’elettronica in gran spolvero unita alle dolcezze classiche di una grande orchestra.

«Disco liberatorio», lo definisce lui. E dietro, è chiaro, c’è pure la risposta a una di quelle brutte botte che ogni tanto la vita ti assesta. In questo caso la morte di sua mamma. «È entrata in ospedale a giugno, non si è più ripresa. Camminando fra le corsie, c’era un sacco di gente che mi chiamava e voleva salutarmi. Così, per reazione, ho pensato a un album che facesse star bene e desse un po’ di sollievo. E cosa di meglio, allora, della dance? Che è poi quello da cui vengo, dagli esordi come dj».

Tanti i brani in scaletta, ben 15 (che diventano 25 nella doppia edizione deluxe), racchiusi in un cd che contiene molti potenziali singoli vincenti. Si ballerà molto, comunque, perché Lorenzo stavolta ha puntato forte sul ritmo. Io danzo è un sonoro pugno in faccia ai tanti condizionamenti della società: «libero perché io danzo», canta Lorenzo su una vivace onda electro-dance.

E, a proposito di pugni, ecco il ricordo di Muhammad Ali in Battiti di ali di farfalla, in duetto con Michael Franti per un rap dalle coloriture jazzy. Curiosa la marcetta ska di Quando sarò vecchio, mentre Il più grande spettacolo dopo il big-bang ha un vivace sapore rock, cita ironicamente Lady Gaga e racconta di un amore al di sopra dell’immaginazione. Eh già, l’amore. Evidente sin dal titolo nell’hit apripista Tutto l’amore che ho (assai bella, detto per inciso), virato sul romantico nella ballata piano e archi Le tasche piene di sassi, malinconico e notturno inUn’illusione, oppure imperioso nell’incalzante «diktat» di Amami. Ma c’è dell’altro.

L’elemento umano è una ballata pensosa dalla raffinata tessitura strumentale (ospite Luca Carboni), mentre La bella vita è un divertissement in stile etnico («L’Afrique c’est chic» è l’ideuzza sottesa) inciso coi maliani Amadou & Mariam. «Ho scelto Ora come titolo perché si guarda sempre a passato e futuro senza mai soffermarsi abbastanza sul presente: questo album rappresenta l’oggi. Per i suoni ho usato molto le macchine e le tecnologie avanzate, con un motto ben preciso: innamoriamoci del nuovo».

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Nei testi sfilano immagini e visioni, citazioni colte (Ariosto e Cortazar) e frasi pop (Battiato e Cremonini), senza indugiare su politica e società, argomenti a cui Lorenzo comunque non si sottrae. A partire dal caso Ruby. «Mai votato Berlusconi, non mi ha mai convinto, né capisco l’entusiasmo di chi lo segue sempre e comunque. Perciò questo scandalo non cambia nulla della mia opinione su di lui.

Semmai mi stanno a cuore altre cose per l’Italia. Un tempo parlavo di sogno e speranza, oggi vorrei un progetto concreto per il nostro paese, fatto da politici seri, per la scuola, il lavoro e la sanità. Vorrei che ai posti di comando ci fosse gente competente. Mi piace Vendola, continua a piacermi Veltroni.

Ma apprezzo anche uno come Granata, penso possa esistere un dialogo. E vorrei che in Italia arrivasse un po’ dell’entusiasmo che gli Usa hanno avuto per Obama. Perché con l’entusiasmo sopporti meglio anche i peggiori sacrifici». Fra qualche settimana, sarà già tempo di live: un tour in «4D» promette Lorenzo, una frase scherzosa per annunciare un concerto molto energico e fisico, quasi un corpo a corpo col pubblico. Si partirà il 16 aprile da Rimini, per poi proseguire nel resto dello Stivale.

25 gennaio 2011 fonte: http :// www . unita . it / culture / l - adrenalina - elettronica - br - di - un - entusiasta - detto - lorenzo -1.268122

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Il Lingotto suona sempre due volte di giuseppe civati

La ‘lenzuolata’ di Veltroni è di indubbio valore e le cose che propone vanno approfondite e studiate con attenzione. Faccio una proposta, per evitare che siano strumentalizzate dal solito dibattito interno: bisognerebbe fare come nei concorsi, mettere le idee in una busta chiusa, senza apporre l’etichetta, così non si potrà dire che sono le idee di questo o di quello e commentarle solo in ragione della firma che portano, come accade ora.

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Lo spirito del Lingotto aleggia, così come la promessa di cambiamento, ma speriamo di non doverne organizzare un altro, di Lingotto, per lanciare ancora il Pd, se non magari da forza finalmente al governo, perché vorrà dire che il Pd lo avremo finalmente realizzato.

E allora pratichiamolo, il cambiamento, non annunciamolo soltanto. Facciamolo perché è vero che c’è un’anomalia italiana, di cui si parla molto oggi, ma l’anomalia dura da anni, diciassette per l’esattezza, anche l’anomalia italiana sta diventando maggiorenne.

Ho sentito parlare di «power to the people», del partito degli elettori. E sono d’accordo, ma possiamo prenderci l’impegno concreto di celebrare le primarie per scegliere i parlamentari, oggi, qui e approvarle nella prossima assemblea nazionale? Il partito degli elettori comporta anche che finalmente spegniamo il caminetto, anche in ragione di questioni ecologiche?

Si parla tanto del modello tedesco per la partecipazione dei lavoratori ai destini e alla direzione delle imprese, forse dovremmo adottare un modello tedesco anche per la partecipazione degli elettori alla direzione del partito.

A Bersani, dobbiamo aprire una riflessione sul Pd nel corso dell'anno, chiedo perché non iniziamo a farlo, il Pd, senza riflettere ancora? Perché anche l’interpretazione secondo la quale è colpa dei media se siamo ‘percepiti’ così, è vera solo fino ad un certo punto e non credo che esista un Pd percepito e un Pd reale e fichissimo che le persone si ostinano a non vedere.

Veltroni ha citato Abramo (che visse fino a 175 anni, speriamo di fare prima), ma ha ragione: perché dobbiamo riunire il popolo democratico.

Veltroni dice che non ci sono più ex-Ds e ex-Margherita. Meno male. Solo che ora ci sono gli ex-Pd, i tanti elettori che non ci hanno votato più dopo il risultato del 2008.

Ripartiamo da loro, sappiamo dove sono, perché abbiamo gli archivi delle primarie e di tante altre consultazioni, che non abbiamo mai utilizzato.

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Ripartiamo da chi non ci vota più e da chi non vota più in generale. Gli astensionisti in Italia sfiorano il 40%, come dieci Udc. Due su tre, dicono le ricerche demoscopiche, sono di centrosinistra.

E prendiamoli con gli argomenti della ‘casta’, cercando di essere chiari.

Metà parlamentari a metà prezzo. E le province aboliamole tutte, in un disegno complessivo, non solo quelle delle città metropolitane. E però, gli astenuti, prendiamoli anche con la politica, che arriva sempre dopo, spesso troppo tardi, come è capitato anche a Mirafiori. Che non vede alcune cose drammatiche, che voglio ricordare, la sperequazione dei redditi, l’ingiustizia sociale, i progetti di vita che si fanno sempre più sfuggenti, l’impossibilità di arrivare a quella realizzazione di sé che riguarda gli individui e il Paese intero.

Senza paura, perché se il torero ha paura, il toro se ne accorge. E i familiari, a casa, si preoccupano.

Ci sono questioni centrali da affrontare, perché sarebbe un momento importante per la politica, e invece siamo apparsi, ultimamente, un po’ introversi.

Impegnati soprattutto a discutere di formule e di alleanze, sembriamo il Conte di Sandwich, tragicomico personaggio di Woody Allen, che passò la vita a cercare di capire in che giusto ordine mettere le fette di pane e quelle di tacchino.

Forse dobbiamo chiederci cosa metterci, nel panino, perché il gusto si sente troppo poco. E sembriamo sbilanciati, verso questo o verso quello. E siamo sempre sulla difensiva: piccati, più che piccanti, a dirla tutta.

Ricordandoci che il nostro futuro è nell’Unità, la nostra e quella del Paese. E solo nel futuro, in nuove rappresentazioni e in nuove idee, troveremo l’unità.

Oggi si parla di unità e lo slogan è «Fuori dal Novecento», e allora ho pensato, di tornare all’Ottocento (come qualcun altro forse vuol fare, in un altro senso). Ai giovani di allora.

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Nel Risorgimento i trentenni erano le avanguardie. Erano maturi e azzardati, insieme. E colgo l’occasione per ricordare che non sono giovane, che solo nel Pd si è «per sempre giovani» (un ottima campagna per il prossimo tesseramento, se ci si pensa).

Qualcuno in prima fila dice che allora morivano presto. Ha ragione, solo che loro se l’erano giocata.

Ippolito Nievo alternava la penna all’ardimento e alla battaglia, mentre qui la penna serve solo per scrivere i curriculum, nella speranza di avere un amico introdotto, e il conflitto è negato, nella società del conformismo e della famiglia allargata.

A Teano, un garibaldino di oggi, non incontrerebbe nessuno, tale è il senso dello Stato e la cultura delle istituzioni.

Se volesse allestire uno sbarco a Sapri, non troverebbe nessuno che gli finanzi la start up.

A Caprera (una zona un po’ mal frequentata, di questi tempi), in pensione, non ci andrà mai e nessuno ha idea di quale soluzione trovare, in proposito.

Se il giovane garibaldino sente dire, o si cambia l’Italia, o si muore, fa gli scongiuri (perché è più probabile la seconda...).

Se legge su un muro la scritta «Viva Verdi», gli viene in mente la Padania.

Mentre allo sbarco dei Mille, oggi, si risponde con i respingimenti.

Mazzini e i giovani di allora pensavano alla patria in un quadro universale, e noi ci ritroviamo con l’Italietta autarchica e provinciale di un «ghe pensi mi» collettivo, ancora più ridicolo (e pericoloso) nel mondo della globalizzazione.

Non era questa, l'Unità che avevamo in mente, per questo consiglierei ai nostri Cavour, Mazzini e Garibaldi di trovare le sedi di confronto: e di

433 Post/teca ricordarsi, magari, dei motivi per cui noi stessi ci siamo uniti.

Perché dobbiamo finalmente dare le risposte alle domande che ho passato in rassegna.

Perché l’unità che serve al Paese è anche quella che serve al Pd, in cui ci si confronta, si discute, si accoglie e si include, aprendosi all’esterno. E verso il futuro. Perché è là che la troveremo, l’unità che cerchiamo. fonte: http :// civati . splinder . com / post /23932068

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L ' altra rivoluzione del libro

Potersi leggere un libro tutto di seguito, in una sola giornata, è un lusso e io oggi mi sono goduta questo lusso. Così, Nella vigna del testo di Ivan Illich alla mano, mi sono sospinta stamattina presto fino alla soglia dell'era libresca - quella che si sta chiudendo -, dove nasce il libro come lo conosciamo oggi e pure l'editing come lo conosciamo oggi. Soglia che non è affatto il famoso tardo quattrocento quando viene inventata la stampa a caratteri mobili, ma un bel po' prima. Quando appare Gutenberg tutto è già pronto. Lo stampatore di Magonza stampa, ma non rivoluziona il libro. La rivoluzione vera era avvenuta tutta in pochi decenni del XII secolo, più o meno intorno al 1140. Dalla lettura ad alta voce a quella silenziosa.

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Dalla lettura monastica a quella scolastica. Dalla registrazione della parola all'organizzazione del pensiero sulla pagina. Dallo spartito al testo. Dall'orecchio all'occhio. Dal libro-pellegrinaggio al libro-magazzino. Dalla lettura corporea a quella mentale. Dal libro che si può percorrere solo dall'inizio alla fine al libro in cui si può entrare da più punti. Intorno, le città che crescono e le università che nascono. A scatenare la rivoluzione, una serie di piccole ma concomitanti innovazioni: l'uso della carta al posto della pergamena, l'adozione della scrittura corsiva, l'introduzione di elenchi alfabetici, titoli, paragrafi, sommari, indici per argomenti, uso di colore e diverse dimensioni del testo come "segnali". A fare la cerniera tra un'epoca e l'altra la figura di Ugo di San Vittore, che Illich ci fa conoscere solo attraverso le limpide parole del suo Didascalicon, il primo libro dedicato all'arte di leggere. fonte: http :// mestierediscrivere . splinder . com / post /23935783/ laltra - rivoluzione - del - libro

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Il trono e la scimmia

di ADRIANO SOFRI

AVVERTO che nelle righe che seguiranno, dedicate alla gara in corso fra l'evoluzione delle cose e delle parole per dirle, sarà ripetutamente impiegato il nome comune: culo. L'appiglio immediato è un bell'articolo, e discutibilissimo, di Giuliano Ferrara sul Foglio, intitolato senz'altro "La libertà cortigiana, il culo di Montaigne e di Ostellino". Il cui antefatto immediato è in un articolo di Piero

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Ostellino sulCorriere che, col più anestetico titolo "L'immagine dell'Italia e la dignità delle istituzioni", difendeva il diritto di "una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna" a non essere chiamata prostituta. Ostellino stava citando, con una piccola correzione, perché secondo la sentenza originaria ogni donna sta seduta sulla propria fortuna e non lo sa. Il passo avanti starebbe dunque in questa conquistata consapevolezza, che permette di mettere a frutto il tesoro sul quale si sta sedute.

Ma prima di venire a questi ultimi (per ora) capitoli del dibattito, vorrei richiamare la nuova centralità che il culo si era andato guadagnando. Non che fosse mai stato trascurato, ma si ammetterà che a questo punto chi legga su un giornale la parola "c...", a parte l'ambivalenza, proverà solo un fastidio nei confronti dell'ipocrisia inutile di quei puntini. La parola, e il suo ininterrotto uso augurale, di andarci a fare, viene pronunciata dal palco dell'Ariston come dalle tribune politiche, e aspira anzi a fare da distintivo della liberata società civile. Non può farci impressione, dunque. Al contrario, almeno in un paio di occasioni topiche l'uso della parola ha preso una imprevedibile genialità. Per esempio, quando un signore, membro e anzi nominatore della categoria dei "furbetti del quartierino", deplorò un tipico modo di procedere come un "fare il frocio col culo degli altri". Si trattava a quanto pare di un detto popolare romanesco: non l'avevo mai sentito, pur avendo vissuto a Roma negli anni dell'adolescenza, quando (una volta, poi passava) si prova un gran gusto a dire le parolacce sessualmente spinte, dopo aver passato l'infanzia a dire le parolacce legate alle funzioni escretorie. (Nella transizione dall'una all'altra età la parte del corpo di cui parliamo conserva un posto d'onore). Violando ogni correttezza politica, l'espressione aveva però un'efficacia innegabile: era difficile non interrogarsi su quante persone di propria conoscenza si comportassero esattamente così - e magari su se stessi.

Il secondo impiego ingegnoso è appena arrivato - mi pare - dalla giovane Ruby. La quale, sapete, avvisata che Noemi era la pupilla del Presidente, avrebbe concluso: "Se lei è la pupilla, io sono il culo". Le versioni diverse della frase lasciano dei dubbi sull'intenzione della ragazza, ma preferisco immaginarne la lusinghiera, e che Ruby, come il postino di Neruda (absit), abbia fatto una metafora. Eccellente, perché la "pupilla" - la luce degli occhi di

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B. (e, tecnicamente, una bambola e una "minorenne affidata alla tutela") diventava una parte del corpo, da sottomettere, con un certo senso di superiorità e di vittoria, all'altra parte, quella sulla quale Ruby è consapevolmente seduta, come su una metafora. Ecco: Ostellino, che ha voluto sottrarre Ruby e le altre alla definizione di "prostitute", è stato tradito da quella piccola correzione sulla consapevolezza. La citazione originale dice che ogni donna è seduta sulla propria fortuna, e non lo sa; e implica che a saperlo sia l'uomo. Pensiero esemplarmente maschile, due volte, quando pensa lei (la parte per il tutto) e quando pensa sé. Anzi tre volte, perché dà per ovvio che la prostituzione (sempre femminile) sia ignobile. La dilatazione a dismisura, pratica e metaforica, della prostituzione nel nostro tempo - offerta che arranca dietro alla domanda, pensate al nostro caso presidenziale, dieci a uno, venti a uno, e Filippo II camminava solo la notte nei corridoi dell'Escurial - va assieme a una moltiplicazione di equivocità morali e sottocategorie sindacali, come in "escort", che hanno spazzato via di colpo decenni di lotte coraggiose di prostitute intenzionate a liberarsi di ruffiani, bigottismi e persecuzioni. La prostituzione nell'Italia di oggi è una prerogativa presidenziale, una conquista della famosa Costituzione materiale. La prostituzione - il "mestiere più antico del mondo", secondo un'altra inveterata dizione maschile, "Puttana Eva!" - è diventata, diciamo così, una vocazione berlusconiana. La storia dell'Italia contemporanea - e dei suoi rapporti internazionali, con la Libia di Gheddafi, con la Russia di Putin e il Kazakistan di Nazarbayev - si nutrirà delle memorie di Ruby e le altre, ben più che di documenti diplomatici.

L'articolo di Ostellino, che contava di difendere l'onorabilità delle ragazze di B. e la privacy di B. e di tutti, ha sollevato, com'era da aspettarsi, (se lo aspettava soprattutto lui) proteste diffuse, e anche una secca lettera di giornalisti del suo giornale, convinti che "sia inaccettabile pensare che "la fortuna" di una ragazza risieda in una o più parti anatomiche da offrire al potente di turno, e che il mondo sia pieno di persone che s'impegnano per raggiungere risultati e far carriera conservando la propria dignità". Ostellino allora è tornato sul tema, per dirsi frainteso, come quel Machiavelli che sfrondava gli allori, e argomentando sul darla e non darla e come darla, e concludendo di aver sostenuto il diritto delle donne a disporre del proprio corpo liberamente, senza venir chiamate puttane. Con ciò offendendo le

437 Post/teca puttane, che appunto dispongono del proprio corpo se riescono a farlo liberamente, e se vi sono costrette sono a maggior ragione da rispettare e difendere, e dilapidando il lessico, per il quale la prostituta - o la puttana, o la escort - è colei che vende il proprio corpo per denaro o beni equivalenti, dai ciondoli con le farfalle alle case in condominio. Per esempio, l'impeto che portò Monica L. e Clinton alla famosa impresa della Sala ovale non aveva a che fare con la prostituzione, salvo dilatarne il significato alla generica fascinazione di una donna per il potere, e di un potente per una stagista. Il seguito boccaccesco della faccenda, fino al vestitino con la macchia umana conservato in un freezer, raccontava la storia dell'uomo cacciatore e cacciato, non della prostituzione presidenziale, e tanto meno minorile.

E così siamo arrivati all'articolo di Giuliano Ferrara, che ha molti pregi, a partire da quello di dire vino al vino e culo al culo. Ma un difetto forte - a mio affettuoso parere: di annullare le differenze fra un esemplare e l'altro della categoria di uomini maschi. Le quali differenze non sono per lo più abbastanza forti da esonerare affatto noi maschi da una correità in maschilismo, ma lo sono abbastanza da non togliere a ciascuno il suo. E Ferrara fa un gran torto a Berlusconi riducendolo a un esemplare fra gli altri della umana e maschile debolezza della carne. Lo scrissi un'altra volta: Berlusconi è fatto come noi? No, molto di più. Ferrara cita Montaigne: "Per quanto alto sia il trono su cui ci si siede, si è sempre seduti sul proprio culo". Con un'inversione pregevole, il culo è qui dell'uomo, e del regnante. Ci stiamo seduti sopra - e siamo noi a non volerlo sapere, sembra dire Ferrara. E avvisa che "culo è parola filosofica somma, denotazione... dello stigma di umanità che tutti gli uomini e tutte le donne si portano appresso". È proprio così. È vero che "siamo uomini di mondo", e che, com'è addirittura proverbiale, l'avvocato Agnelli e l'editore Caracciolo siano stati spericolati womanizers. Però non sono stati capi del governo (molto di più e molto di meno).

Io non sono interessato alle descrizioni delle notti di B., Lele Mora, Emilio Fede ecc., ne sono respinto. Quanto ai reati, affare dei magistrati, e che Dio gliela mandi buona, agli uni e agli altri. Penso che un capo diurno del governo braccato dalle sue pendenze giudiziarie e abituato (addicted) a fare dei suoi giorni pubblici delle appendici sempre più esauste delle sue notti private, sia

438 Post/teca una incresciosa iattura per sé e per i suoi concittadini. La circostanza non mi sembra più, da tempo, solo indifendibile, ma indiscutibile. Sul rapporto fra trono e culo, mi sono ricordato di un colloquio che ebbi, quando ero una specie di leader politico, con un dirigente storico del Pci, uomo integerrimo e all'antica, il quale volle ammonirmi (forse aveva sentito di qualche mia dissolutezza) sulla differenza fra l'uomo e la scimmia. "La scimmia - disse - più in alto sale, più espone agli sguardi il culo". Ecco. Io adesso sto dalla parte delle scimmie. Gli uomini spinti troppo in alto, è ora che scendano.

(25 gennaio 2011) fonte: http :// www . repubblica . it / politica /2011/01/25/ news / il _ trono _ e _ la _ scimmia -11618100/? ref = HRER 3-1

------"un giorno o l’altro noi due, insieme, faremo magie. da uomo confuso, farò di te un uomo contuso." — delle buone intenzioni è lastricata la via dell’infermo. (via 11 ruesimoncrubellier ) (via batchiara)

------"Se “1 incidente su 3 è causato dall’alcol” significa che 2 su 3 sono causati dalla sobrietà?" — 3 nanosecondi dopo i nostri guai : La logica ti frega

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(via megliotardi) (Fonte: tempibui, via megliotardi)

------"se uno sembra stronzo, magari lo è." — la crubegliè porta gli occhiali e non basta. (via 11 ruesimoncrubellier )

------Amore, quando ti diranno che t’ho dimenticata, e anche se sarò io a dirlo, quando io te lo dirò, non credermi. — Pablo Neruda (via eternoritorno) via: http :// falcemartello . tumblr . com /

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“Ci sono giorni in cui sei il parabrezza e giorni in cui sei l’insetto.” — Pensavo fosse amore invece era un calesse : Ci sono giorni in cui sei il parabrezza e giorni in cui sei l ’ insetto . (via usedtobeeasier) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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“Al primo (o al prossimo) che vi ripeterà a pappagallo che “è la vita privata”

440 Post/teca del Pres. del Cons. dite: “Ma sai cazzo che hai ragione? A questo punto tocca rivedere la pena per Giovanni Brusca, se ha sciolto il piccolo Giuseppe Di Matteo non in una vasca da bagno qualsiasi, ma nel cesso di casa sua, sarà ben “vita privata” la sua no? Prima la privacy, poi i reati. Vieni a casa mia così ti dò due calci nelle palle “in privato”. Testa di cazzo.” — 3nding (via 3 nding ) via: http :// biancaneveccp . tumblr . com /

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“…e allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ‘ste fesserie bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutare a riconoscerla a difenderla.” — Peppino Impastato (via labrozzina) via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

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Ho pregato per avere una tua telefonata, per sentire la tua voce, per sapere come stavi. Ora mi basterebbe un pezzo del tuo orecchio in un pacco postale. Sono sulla via del riscatto.

(via queenofgodless) via: http :// waxen . tumblr . com /

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“Cioè, quante volte un uomo può sentirsi ripetere che è un oppressore, che è

441 Post/teca prevenuto, che è un nemico, prima che decida di gettare la spugna e diventare nemico davvero?” — Chuck Palahniuk (via eclipsed) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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20110126

Dialoghi: "Mannaggia, un altro errore 0X0034RFR309458012XXS-213!" "Sicuro? Mi sembrava un 0X0032RFR309458012XXS-21B..."

- Anonimo fonte: mailiglist punto - informatico . it

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“Da ragazzo ero anarchico, adesso mi accorgo che si può essere sovversivi soltanto chiedendo che le leggi dello stato vengano rispettate da chi ci governa.” — Ennio Flaiano (via tattoodoll)

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Due regole per resistere alla tentazione di chiamare l'ex coqbaroque: 1) Masturbati. Usa quello che vuoi: youporn, Vogue, Uomo Vogue, Postalmarket trovato in soffitta, ma fallo. Vedrai che ti passa. 2) Ripeti la uno. fonte: http :// coqbaroque . com / post /2926271106 via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

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“Lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore, non si accontenti di sopravvivere.” — La finestra di fronte (via thistumblrwillsaveyourlife)

------questo post è stato ufficialmente approvato da una femminista uds: le femministe sono ok. mi piacciono le femministe. mia madre è una femminista, anche se probabilmente non se ne è mai resa conto. le femministe son quelle che rivendicano opportunità e libertà di scelta in campi e situazioni che per secoli sono stati sbilanciati in modo vergognoso a favore degli uomini, e non hanno paura di lottare per farlo. poi ci sono le femministe del cazzo. le femministe del cazzo sono quelle che rovinano il femminismo, dato che si considerano tali ma come obbiettivo non hanno la parità delle opportunità, bensì una visione distorta di uguaglianza che vede come risultato massimo l’imitazione libera e felice dei peggiori atteggiamenti maschili (continuando a disprezzare, peraltro, gli uomini che in tali atteggiamenti indugiano), oltre al mantenimento orgoglioso degli aspetti peggiori di un certo tipo di femminilità. il tutto condito dall’autoironia più farlocca del mondo (eppure non è difficile eh: non è autoironia se finisce per farti sembrare la più meglio figa di tutte ogni cazzo di santa volta) e da un’altezzosità che sarebbe sproporzionata se se la portasse in giro giove, figuriamoci un essere umano qualsiasi. poi ci sono le femministe del cazzo 2.0, che son quelle che, oltre all’altezzosità di cui sopra, ci buttano sopra il carico da mille del naso arricciato dei blogger di un certo tipo. quelli che partono dal presupposto che hanno ragione perché sono ironicissimi mentre argomentano, tesoro. gente che un piedistallo composto da piedistalli. spaventoso, vero? brividi, vero? E ALLORA SMETTETE DI REBLOGGARLE. scusate. ora mi passa.

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L'homo berlusconensis secondo Andrea Camilleri

MicroMega, nel numero in edicola da oggi, intitolato "Berlusconismo e fascismo", propone una analisi dell’ultimo quindicennio di storia italiana con saggi, analisi (e sberleffi) su Berlusconi. Pubblichiamo una sintesi del pezzo in cui Andrea Camilleri racconta l’involuzione antropologica che ha segnato l’homo nella società berlusconizzata. di Andrea Camilleri Devo fare una premessa assolutamente necessaria. Che in realtà è una doverosa precisazione. In queste poche pagine non prenderò in esame, tra le molteplici categorie e sottocategorie attraverso le quali il fenomeno dell’homo berlusconensis si appalesa, tutti coloro che del berlusconismo sono in qualche modo attivi e pubblici esponenti, collaboratori, operatori vuoi in qualità di membri del governo, del parlamento e del partito vuoi in quanto amministratori comunali, provinciali e regionali. La cosiddetta classe politica, insomma, di ogni ordine e grado. E nemmeno m’attarderò a prendere in esame tutti coloro che ne sono diffusori del credo, in qualità, ufficialmente riconosciuta e retribuita, d’apostoli o di zelatori. Ai quali, com’è noto, settimanalmente l’Idolo appare via etere comunicando il Verbo, la Parola da diffondere. L’esclusione è dovuta al fatto che resta del tutto impossibile all’analisi verificare quanto il loro grado di purezza d’adesione all’ideale berlusconiano sia o non sia inquinato da fattori degenerativi quali, primo tra tutti, il desiderio di far rapida carriera, di guadagnare, d’avere un certo potere. Prenderò in esame perciò solo l’homo berlusconensis communis, quello, diciamo così, puro, colui che, in parole povere, difende tutte le manifestazioni della berlusconità, quali che esse siano, al mercato o sul tram, che guarda l’attuale Tg1, il telegiornale di Rete 4, (Canale 5 no perché non sempre è rigidamente ortodosso), che non si perde mai un’apparizione di Berlusconi alla tv saltabeccando da una rete all’altra, che compra Il Giornale o Libero o tutti e due (il Foglio

444 Post/teca no, non si capisce bene cosa voglia) e che infine puntualmente lo vota senza ricavarne alcun beneficio diretto. Trattandosi, a stare ai sondaggi, di una cifra attualmente oscillante tra il 25 e il 30 per cento degli italiani, non è chi non intuisca la molteplicità e la diversità della tipologia che si presenta a un’indagine sia pure superficiale come la nostra. (…)

Così come la sacra scrittura afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, si può tranquillamente affermare che c’è stato un Uomo che ha saputo creare in Italia una televisione a sua perfetta, totale immagine e somiglianza, anche se questo non è detto in nessuna scrittura, sacra o meno. L’uomo che ha creato la televisione a sua immagine e somiglianza era in origine un uomo d’affari spregiudicato ma a parole osservante delle regole, cattolico dichiarato anche se poi (pluri) divorziato, sedicente liberale, furbissimo, anticomunista, ricco, di scarsa cultura, d’intelligenza mediocre, di statura un po’ più bassa della media, non bello, dotato di un’italiano basico, che sapeva cantare canzonette francesi e napoletane, che amava le donne e gli piaceva passare per gran seduttore. Inoltre, almeno ai primi tempi, aveva l’abilità persuasiva e la loquela spigliata e convincente di un venditore di macchine usate americano. Ragion per cui, in un paese dai linguaggi incomprensibili (il legale, il politico, il letterario, il critico eccetera) venne subito scambiato per essere «un grande comunicatore». I palinsesti delle sue tre televisioni private infatti accuratamente bandirono ogni forma di cultura, anche quelle più popolari (come l’opera lirica), e ogni forma d’intelligenza. Cultura e intelligenza sono parole che spaventano la maggior parte degli italiani.

Esaltarono invece i programmi di quiz, le serie televisive comiche americane con le risate incorporate che parevano fatte per un pubblico di dementi, i concorsi a facile premio, i programmi di varietà di bassa lega (tipo Colpo grosso e non è un caso che il suo ideatore occupi oggi il seggio di uno dei più importanti ministeri) e soprattutto le profuse nudità femminili (vallette, letterine eccetera), quasi proponendole come un diritto di «evasione nel sogno», parole di Eco. Attraverso anni e anni di siffatto modello televisivo, la piattaforma culturale degli italiani, già di per sé

445 Post/teca tutt’altro che elevata, s’abbassò a gradi infimi, anche perché la tv di Stato s’affrettò ad adeguarsi seguendo il cattivo esempio. Contestualmente, l’uomo che aveva creato la televisione a sua immagine e somiglianza, creò in breve tempo, proiettandosi attraverso le sue televisioni, degli uomini che, sia potenzialmente sia effettivamente, potevano dirsi a sua immagine e somiglianza. Il circolo così si chiuse perfettamente.

Va detto che gran parte di quegli uomini avevano già in loro un humus predisposto e fertile dove i semi poterono attecchire con facilità e si svilupparono magnificamente. In fondo, come scrive Eco, a quegli uomini non si chiedeva altro che d’essere ciò che già erano. Solo che ora potevano esserlo a viso scoperto, alla luce del sole e soprattutto riconoscersi tra di loro. Altri, e furono molti, invece subirono una trasformazione radicale. I più giovani, vale a dire i trentenni o poco più, nacquero e crebbero in quella coltura e in essa si trovarono perfettamente a loro agio come i pesci che nuotano nell’acqua senza sapere che l’elemento dentro il quale vivono è l’acqua. La tipologia dell’homo berlusconensis è dunque assai varia e non tutta catalogabile. Ma siccome da qualche parte bisognerà cominciare, comincerò dai tipi più semplici.

Ci sono due statuine che non mancano mai in ogni presepe che si rispetti. La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo. In Sicilia è chiamato «‘u spavintatu do presepiu», perché la meraviglia che esprime è tale da sfiorare lo spavento. La seconda è quella di un altro contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è detto «l’addrummisciutu do presepiu». Queste due statuine le prendo a prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo berlusconensis. Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri le corna in una foto ufficiale di gruppo («come sa fare le corna lui, nessun altro!») sia che racconti una barzelletta stantia («nessuno è capace di raccontarle come lui!») sia che presieda una riunione di governo («nemmeno il mio preside a scuola»). Tutto quello che Egli fa viene

446 Post/teca definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla faccia. Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel. A ben considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante, insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di palazzo Venezia.

Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato il suo Natale. Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel villino sarà suo. Intanto, dorme. (…)

Quanti hanno dato il voto a Berlusconi sapendo che mai e poi mai sarebbe stato in grado di mantenere le sue promesse, dalla riduzione delle tasse a sole tre aliquote al ponte sullo Stretto? Non le ha mantenute? Bene, nessuna disillusione, lo sapevamo già che non ce l’avrebbe fatta, possiamo rivotarlo. L’importante non sono le promesse che fa, ma come le fa.(...)

Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia (anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si crede. L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo Münchhausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo. In ogni paese d’Italia da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni, Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato «il pallonaro». È quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno, fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità, anche quella più piccola, più insignificante. Il pallonaro costituisce una sottocategoria della precedente. (...)

447 Post/teca

L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque. Sottocategoria collaterale è quella di colui che mente sempre sapendo di mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata. Il più recente esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del premier stesso. Un intrigo da operetta da belle époque nel quale l’homo berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato, invidiandone il protagonista. Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela sempre! Ah, poter fare lo stesso! (...)

Il catalogo è questo canta il servitore di Don Giovanni nell’opera omonima di Mozart e giù una sfilza di numeri che rappresentano le conquiste femminili del suo padrone in varie parti d’Europa. Per lungo tempo l’homo berlusconensis considerò l’Idolo, che poteva vantare un catalogo meno affollato ma pur sempre straordinario, come una sorta di astratto risarcimento d’ogni grama vita sessuale. Perché, nella realtà, Egli rimaneva «un ideale di fatto irraggiungibile », per dirla con Eco.

Mentre le foto sui rotocalchi lo ritraevano con tre procaci ragazze sulle ginocchia o con seminude fanciulle sui bordi delle innumerevoli piscine della sua residenza sarda, mentre altre foto mostravano lo sbarco da un aereo di un plotone di ballerine di fandango, di danzatrici del ventre, di vallette televisive accorse a dare il cambio alle colleghe stremate, voci ammirate propalavano la sua sovrumana resistenza, la sua strabiliante capacità di reiterazione, la sua inesausta inventiva. Poi accadde che l’Idolo scese a mezza costa dall’Olimpo allorché si riseppe che non disdegnava intrattenersi con escort delle quali era «l’utilizzatore finale» (definizione del suo legale onorevole Ghedini), dato che venivano pagate da compiacenti procuratori. Questa notizia anziché abbassarne il prestigio dongiovannesco, come ci si sarebbe aspettato, ne ampliò il consenso. Ora l’homo berlusconensis infatti poteva «utilizzare» una

448 Post/teca prostituta qualsiasi illudendosi d’essere come lui, sia pure per una notte e sotto un certo, limitato aspetto. Mai, certamente, sotto quello della conclamata, erculea, possente virilità.

L’elenco potrebbe continuare per altrettante e passa pagine. Ma preferisco fermarmi qui.

Martedì 25 Gennaio 2011 - 13:48 fonte: http :// www . ilmessaggero . it / articolo _ app . php ? id =35997& sez = HOME _ INITALIA

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Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur, si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi.

Quos non oriens, non occidens satiaverit. Soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt.

Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium.

Atque ubi solitudinem faciunt pacem appellant .

An eandem romanis in bello virtutem quam in pace lasciviam adesse creditis ?

Metus ac terror sunt infirma vincla caritatis; quae ubi removeris, qui timere desierint, odisse incipient

Predatori del mondo, adesso che mancano terre alla vostra sete di devastazione, frugate anche il mare.

449 Post/teca

Avidi se il nemico è ricco, arroganti se è povero.

Gente che nè l'oriente nè l'occidente possono saziare. Solo voi bramate possedere con pari smania ricchezza e miseria.

Rubano, massacrano, rapinano e con falso nome lo chiamano impero.

Infine dove fanno il deserto, lo chiamano "pace".

Voi credete che i romani abbiano in guerra un valore pari all'arroganza che assumono in tempo di pace?

Paura e terrore sono vincoli d'affetto deboli; una volta venuti meno, chi cesserà di tremare proverà odio.

Calcago, uno dei capi dei Britanni, arringa il suo popolo alla lotta contro l'invasore romano che ha attraversato il mare per conquistare la loro terra (84 d.c.)

[da "De Vita Agricolae" di Tacito] via: http :// www . pane - rose . it / files / index . php ? c 3: o 1424

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“ Qualcuno puntualizza: ma come?! il leader di un partito araldo dei valori cattolici, della famiglia concepita dal Creatore, del matrimonio, della fecondazione naturale, della difesa della vita e nemico della depravazione e delle coppie gay, in privato fa tutte queste porcherie? Beh, signori elettori del PDL, se nel 2011 credete ancora a queste fregnacce il problema è tutto vostro. Anzi, no, il problema siete proprio voi. ” — Profeta non sarò … | Don Zauker (via letsdoitadada)

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“Mi ricordavi diversa? Non porto più i capelli corti corti e l’orecchino al naso. Non sono più arrabbiata con il mondo e sempre in fuga. Ho imparato, a fatica, a stare ferma, a costruire e non solo ad abbandonare, ad ascoltare e non solo a parlare parlare, a essere forte, a essere grande, a difendere e non solo a difendermi. Non ti aspettavi di vedermi qui, un pomeriggio freddo di un gennaio qualsiasi? I duecento chilometri che mi separavano da te sono stati il viaggio più lungo della mia vita. Ci ho messo undici anni a percorrerli.” — malafemmena

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“Vorrei scrivere con te il viaggio che non faremo mai, la notte che non passeremo mai insieme, le città che non vedremo, le stanze che non ci vedranno muoverci insieme tra le quattro pareti, l’erba nella quale non ci rotoleremo ridendo, l’acqua nella quale non ci bagneremo coperti soltanto dalla notte, i libri che non leggeremo mai a letto, i cibi che non assaggeremo imboccandoci a vicenda con le dita. A volte penso che riuscirei a farmi bastare cinque minuti di te e a volte penso che non mi basterai mai.” — Mélancolie érotique « yellow letters

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“Tra me e te c’è qualcosa.” “E allora spostalo che sennò inciampo.” — somethingbeautifool (via saveme)

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Il “testo riservato” del PD sul Lingotto

Il Foglio pubblica un "testo riservato" del responsabile economico del PD

Stefano Fassina demolisce le "irrealizzabili" proposte di Veltroni al Lingotto

26 GENNAIO 201

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Il Foglio di oggi racconta delle reazioni di Bersani alla relazione pronunciata sabato scorso da Walter Veltroni al Lingotto e spiega che nonostante le “rassicuranti parole del segretario”, “un gruppetto di economisti bersaniani, dopo aver letto con stupore le tante pagine elogiative dedicate dai giornali alla svolta veltroniana”, ha deciso di “prendere carta e penna e di mettere per iscritto tutte le affermazioni totalmente “irrealizzabili” suggerite dalla minoranza democratica”. Quel documento risulta essere firmato da Stefano Fassina, membro della segreteria nazionale del PD nonché responsabile Economia e Lavoro del partito. Contiene due tesi, affiancate tra loro: che alcune delle cose dette da Veltroni siano giuste e sensate, e per questo siano già da tempo parte delle proposte di Bersani; che altre cose siano invece del tutto sballate, “irrealizzabili”, “da scartare”, “in sintonia con Tremonti”, “preoccupanti” e contraddittorie. Oggi il giornalista del Foglio Claudio Cerasa ha pubblicato il documento integrale sul suo blog . Lo trovate anche di seguito. *** Nonostante le celebrazioni di qualche autorevole quotidiano convinto di poter tornare ad eterodirigere il Pd, la relazione di Walter Veltroni al Lingotto 2 segnala una chiara convergenza programmatica della minoranza del partito sulle scelte compiute dall’Assemblea Nazionale di Roma e di Varese. Vediamo. Le prospettive dell’Unione Europea indicate nella relazione sono pari pari contenute nel documento sul tema approvato all’unanimità a Roma il 22 Maggio scorso e riproposte da Bersani in Piazza S. Giovanni l’11 Dicembre scorso. L’apprezzamento alla proposta Tremonti-Juncker coincide con le posizioni espresse dalla segreteria del partito il giorno stesso dell’articolo dei due ministri al Financial Times. Anche l’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo è stata oggetto attivamente condiviso dal Pd invitato al consiglio del PSE a Varsavia nel Dicembre scorso. Sul piano politico, è noto e provato nell’azione di governo l’ampio consenso nel Pd per la riduzione del debito pubblico. Non a caso, in tutti i documenti economici del Pd indichiamo il vincolo. Quindi, nessuna obiezione principio. Il punto è tecnico: l’obiettivo indicato da Veltroni è irrealizzabile: nessun paese al mondo è riuscito a ridurre di 40 punti percentuali di Pil (640 miliardi di euro) il debito pubblico in 9 anni. Il Fondo Monetario Internazionale, consapevole della natura del problema e delle conseguenze deflattive deill’aggiustamento fiscale, è molto più cauto. Le tre variabili individuate da Veltroni possono concorrere a centrare l’obiettivo, ma la misura indicata è ordini di grandezza inferiore a quanto possibile ed utile perseguire. Primo, la proposta di Veltroni di cartolarizzare il patrimonio pubblico attraverso un’agenzia non funziona. È stata messo in atto nel 2004 dal Ministro Tremonti e gli

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esiti, nonostante l’entusiasmo iniziale per la cartolarizzazione fosse a via XX Settembre alto almeno quanto al Lingotto, sono stati positivi soltanto per gli advisor bancari. Come noto, l’INPS a fine 2008 ha dovuto ricomprare gli immobili ceduti dal demanio alle varie Scip e cartolarizzati. Le ragioni del fallimento sono molteplici: le caratteristiche dei beni immobili cartolarizzabili; le difficoltà amministrative, vincolistiche e sociali alla valorizzazione; gli obiettivi finanziari da centrare. Certamente, la valorizzazione del patrimonio va perseguita e parti del patrimonio alienate, ma senza illusorie scorciatoie: l’Agenzia del Demanio, durante il secondo Governo Prodi, aveva avviato ottime iniziative in partnership con i Comuni in quanto responsabili della variazione della destinazione d’uso degli immobili demaniali. Vanno riprese e potenziate. Inoltre, c’è il grande capitolo delle società partecipate da Comuni, Province e Regioni, una giungla da disboscare al fine di realizzare guadagni di efficienza, ridurre lo stock di debito e i flussi di deficit. La seconda variabile indicata da Veltroni è la spesa primaria corrente. Ricordo il documento sul fisco di Varese: “Quest’ultimo è un capitolo fondamentale, da affrontare con coraggio. Va abbandonata la strada iniqua ed inefficiente dei tagli ciechi praticata dal Ministro Tremonti e riavviata e potenziata la spending review. Va realizzato, per ciascuna amministrazione centrale, un “piano industriale” di riorganizzazione e ridimensionamento e va reso ordinario il benchmarking dei servizi offerti ed efficace la valutazione dei risultati. Soprattutto, va data attuazione efficiente ed equa del federalismo fiscale nel quadro di un radicale ridisegno delle autonomie territoriali. Sussidiarietà verticale ed orizzontale, ma responsabilità ultima della Repubblica a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo integrale della persona”. Sul punto, Veltroni converge. Tuttavia, l’indicazione di un obiettivo quantitativo in riferimento al Pil è una posa gladiatoria più in sintonia con i tagli orizzontali del Ministro Tremonti che con l’impianto culturale di una corretta ed efficace spending review, ossia bottom up, non topo down. Infatti, l’impatto complessivo degli interventi guidati dalla spending review può anche essere superiore a quanto deciso al buio ed il risultato finale certo più equo ed efficiente.

Infine, la terza variabile ricordata da Veltroni è l’imposta patrimoniale. Anche qui, nessuna obiezione di principio. La possibilità di un’imposta straordinaria sul patrimonio l’abbiamo discussa a lungo per la preparazione del documento di Varese. Poi, l’abbiamo scartata perché sarebbe massimamente regressiva data la composizione e la residenza del patrimonio italiano. Va segnalato, infatti, che quasi 60% del patrimonio italiano è costituito da abitazioni, quasi tutte di residenza, l’11 da conti correnti, poi ci sono i titoli di stato. In altri termini, il 47% del patrimonio italiano detenuto dal 10% dei proprietari più ricchi è prevalentemente di natura finanziaria, in larga misura custodito all’estero, spesso in paradisi fiscali, da società

453 Post/teca estere, come emerso dal condono-scudo fiscale voluto dal Ministro Tremonti. Insomma, per arrivare ad un gettito significativo si dovrebbero tartassare pesantemente i proprietari dell’abitazioni di residenza o le famiglie possessori di titoli di Stato o di conti correnti bancari. I grandi patrimoni non verrebbero coinvolti in misura significativa. Per tali ragioni, in “Fisco 20, 20, 20”, abbiamo proposto, in alternativa alla patrimoniale, l’intervento sulle aliquote applicate ai rendimenti del patrimonio, ossia una misura realistica in grado di eliminare il vantaggio fiscale della rendita e favorire la capitalizzazione delle imprese. In sintesi, nonostante le apparenze macroeconomiche, non vi sono scorciatoie per abbattere il debito. La via maestra passa per l’innalzamento del potenziale di crescita economica attraverso le riforme strutturali, le politiche industriali, gli investimenti innovativi pubblici e privati, la redistribuzione del reddito. E passa pure per il recupero dell’evasione fiscale, la distintiva anomalia italiana, completamente assente nel riassunto programmatico svolto al Lingotto 2. Un’assenza di solito strumentale nei discorsi della destra. Un’assenza preoccupante per un impianto centrato sul ripristino del primato della legalità. Altra proposta forte di Veltroni è, giustamente, la valorizzazione del potenziale femminile per la crescita economica dell’Italia. Anche qui, il documento sul fisco di Varese è preciso: “Per incentivare il lavoro femminile e sostenere la famiglia, la leva fondamentale sono i servizi: dagli asili nido, all’assistenza alle persone non- autosufficienti. In sinergia con il potenziamento dei servizi, proponiamo di introdurre una consistente agevolazione fiscale (detrazioni ad hoc o riduzione dell’aliquota Irpef) per il reddito da lavoro delle donne in nuclei familiari con figli minori”. Veltroni indica il taglio delle aliquote per tutte le lavoratrici per alleggerire il carico fiscale, mentre a Varese abbiamo insistito su detrazioni ad hoc per mamme lavoratrici. A Varese, l’intervento riproposto da Veltroni l’abbiamo valutato e scartato perché, in un contesto di risorse finanziarie scarse, è fuori target: il problema dell’Italia è la fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne alla nascita del primo figlio. È sbagliato dimezzare l’aliquota ad una donna in quanto tale: la donna non è soggetto debole in quanto donna, è indebolita dai carichi di lavoro che una società maschilistica le impone in quanto madre. Pertanto, va sostenuta la donna lavoratrice in quanto madre in un contesto povero di servizi di sostegno all’esercizio delle responsabilità famigliare. La proposta di Veltroni spreca, tra l’altro in modo regressivo, risorse preziose da concentrare su altre priorità, ad esempio la costruzione di asili nido. Sul versante fiscale, è tornato Beppe Fioroni nelle sue conclusioni, in particolare su due rilevantissimi temi: le famiglie e le partite Iva. Sulle famiglie, Fioroni ha ripreso la proposta della no-tax-area sulla quale è ora attestato il “Forum delle famiglie”, dopo l’abbandono dell’impraticabile (per impatto finanziario) ed insostenibile (per

454 Post/teca impatto regressivo) “quoziente famigliare”. È una proposta sostanzialmente convergente con la proposta da anni portata avanti dal Pd: il bonus famiglie. Il bonus famiglie, come la no-tax-area, è il risultato di un insieme di detrazioni (o trasferimenti monetari in caso di incapienza) costruito in riferimento al numero e alle caratteristiche dei componenti del nucleo famigliare. A Varese, è scritto nel documento sul fisco proposto all’Assemblea, abbiamo sottolineato ed apprezzato il passo avanti compiuto dal Forum delle famiglie, sebbene la proposta sia ancora insoddisfacente in quanto rimuove le detrazioni per la produzione di reddito da lavoro e richiede l’innalzamento dei contributi sociali ai lavoratori autonomi. Sulle partite Iva, la ricerca insistita di un distintivo tratto di identità programmatica di Modem non ha senso. Il documento sul lavoro approvato a Maggio a Roma contiene le misure per l’universalizzazione del welfare oltre i confini del lavoro dipendente (dal bonus famiglia, all’indennità di maternità, alle assicurazioni sociali contro la disoccupazione, la malattia, ecc) ed esplicita la proposta di “Statuto per il lavoro autonomo e professionale”. Il documento sul fisco approvato a Varese compie una rivoluzione culturale in quanto, oltre al potenziamento del forfettone fiscale, l’unica vera riforma finora attuata per il “popolo delle P.I., propone di tassare come reddito da capitale, ossia ad aliquota piatta del 20%, il reddito ordinario del lavoratore autonomo, del professionista e del piccolo imprenditore.

Infine, le proposte per il lavoro. Qui, i commenti dei media non hanno colto la posizione di Veltroni. Nelle politiche di contrasto alla precarietà, Veltroni abbandona l’obiettivo del “contratto unico” (mai nominato nel testo)per convergere sulla proposta, radicalmente alternativa, contenuta nel documento approvato all’Assemblea di Roma: “il diritto unico del lavoro”. In altri termini, al Lingotto 2 si abbandona l’attacco all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e si sceglie la strada della rimozione dei vantaggi economici dei contratti precari, la vera causa della precarietà. Nella relazione, Veltroni fa riferimento all’elaborazione del sen Ichino, ma il punto di contatto è relativo alla responsabilità della politica per la riforma delle regole sulla rappresentanza e la democrazia sindacale. È un punto sul quale, come abbiamo scritto ripetutamente nei mesi scorsi con Emilio Gabaglio, Presidente del Forum Lavoro del Pd, siamo tutti, tutti, d’accordo. Insomma, il Lingotto 2 è stato un passaggio importante in quanto ha evidenziato che anche la minoranza del Pd converge su punti programmatici elaborati dall’insieme del Pd, non solo dalla maggioranza, nei mesi scorsi. La convergenza è evidente anche sul piano delle alleanze politiche ed elettorali, nonostante i tentativi di rimpacchettamento. Non vi sono differenze rilevanti allora? No, differenze, assolutamente legittime, vi sono ed investono l’impianto politico-culturale: la rilevanza del paradigma liberal-

455 Post/teca democratico. Veltroni lo conferma, esplicita il prof Salvati. Invece, va superato, poiché la cultura liberal-democratica non è in grado di reggere lo sguardo di Medusa dell’economia globale, come rileva un filone di pensiero ispirato alla “Caritas in veritate” (es. Brokenforde e Bazoli), riconoscono oggi i fondatori del New Labour (es. Policy-network) e sostengono illustri economisti mainstream (es. Rajan in “Fault Lines”). Il pensiero liberale ispirato all’individualismo metodologico è inadeguato ad affrontare le sfide drammaticamente scarnificate dalla crisi: la libera interazione tra agenti economici razionali, impegnati a massimizzare funzioni di utilità individuali, non conduce ad un equilibrio generale soddisfacente e allo sviluppo integrale della persona. La politica non può, quindi, rimanere ancillare all’economia. Non può limitarsi a liberare gli individui dai lacci e lacciuoli delle istituzioni pubbliche. La politica deve portare a sintesi interessi diversi ed orientarli verso il bene comune definito in un processo democratico. Le forze economiche non portano autonomamente alla crescita e l’economia, da sola, non fa la società, come assumevano le tramontate “Terze vie”. Il governo europeo dell’economia, politica industriale, investimenti pubblici, canalizzazione del risparmio privato, re- distribuzione del reddito, sono necessarie per la crescita. Insomma, è la logica di funzionamento da cambiare. La giustizia sociale non può essere soltanto principio correttivo di una logica di funzionamento informata esclusivamente dall’individualismo proprietario. Celebrare la “modernità” economicistica di Marchionne implica una prospettiva di rassegnazione pragmatica e di subalternità politica al lavoro. Invece, la centralità politica ed economica del lavoro è l’eredità del ‘900 da portare nel riformismo del XXI secolo. Compito del Pd, dobbiamo sempre ricordarlo, è promuovere la centralità culturale e politica del lavoro, in tutte le sue articolazioni, per ricostruire le condizioni dello sviluppo integrale della persona (ed è qui il senso di fondo dell’incontro tra le culture fondative del Pd) e rilanciare una democrazia delle classi medie, fondata sul lavoro, in alternativa alla democrazia populista ed oligarchica conseguente alla subalternità del lavoro e alla torsione corporativa dei sindacati. La centralità del lavoro è l’unica bussola per un partito a “vocazione maggioritaria”. La prospettiva del Lingotto 2 e la scelta di delegare a Vendola la rappresentanza della fascia di gran lunga più ampia del lavoro, in una singolare contraddizione con il ritornello di Modem di non appaltare ad altri la raccolta dei voti nell’arena del centrosinistra, porterebbe il Pd ben al di sotto di quanto indicato dagli attuali, strumentalizzati ed incompresi sondaggi. Soprattutto, lo renderebbe sostanzialmente inutile in quanto condannerebbe l’universo del lavoro alla marginalità sociale e politica.

Stefano Fassina, segreteria nazionale Pd

456 Post/teca fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/26/ documento - fassina - lingotto /

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26/01/2011 - LUTTO NEL MONDO DEL TEATRO E' morto l'attore Mario Scaccia

È morto a Roma, all’età di 91 anni, l’attore Mario Scaccia. Era ricoverato al Policlinico Gemelli, dove aveva subito, prima di Natale, un piccolo intervento che lo aveva costretto ad interrompere lo spettacolo in scena al teatro Arcobaleno, un tributo a tutta la sua vita intitolato appunto «Interpretando la mia vita».

L’ultima apparizione di Mario Scaccia sulle scene era stata al Teatro Arcobaleno di Roma, prima di Natale 2010, alla vigilia del suo novantunesimo compleanno, per ’Interpretando la mia vita', uno spettacolo del tutto personale in cui aveva raccontato il suo percorso artistico durato più o meno settant’anni. Nato a Roma il 26 dicembre 1919, Scaccia aveva costituito nel 1961 la Compagnia dei Quattro con Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri.

Fra le sue più celebri interpretazioni sul palcoscenico: Fra Timoteo nella Mandragola di Machiavelli, il Chicchignola di Petrolini e il Negromante dell’Ariosto. Nel cinema ha debuttato nel 1954 in ’Tempi nostri' di Alessandro Blasetti e in televisione è stato interprete di molti sceneggiati fra cui Plonplon in ’Ottocento' e Capitan Sandracca ne ’La Pisana'. fonte: http :// www 3. lastampa . it / spettacoli / sezioni / articolo / lstp /386088/

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E' morto a 91 anni Mario Scaccia

457 Post/teca Grande protagonista del teatro italiano

Era ricoverato al Gemelli dalla fine di dicembre, per un piccolo intervento, poi sono sopraggiunte una serie di complicazioni, e la fine. L'ultimo spettacolo, al Teatro Arcobaleno di Roma, è stato "Interpretando la mia vita". In scena da 70 anni, è stato un grande interprete dei classici e dei contemporanei, da Moliere a Miller. Al cinema ha recitato con Blasetti e Risi di ROSARIA AMATO

ROMA - È morto stanotte, al Policlinico Gemelli di Roma, l'attore Mario Scaccia, uno dei maestri del teatro italiano, protagonista anche di una lunga lista di film d'autore. Aveva appena compiuto 91 anni, il 26 dicembre. Era stato ricoverato prima di Natale per un piccolo intervento ma poi, a causa di una serie di complicazioni, non è più uscito dall'ospedale. L'ultimo spettacolo che ha messo in scena, al teatro Arcobaleno, è in effetti un addio, un tributo a tutta la sua vita intitolato appunto "Interpretando la mia vita", tratto dall'omonimo libro di memorie scritto dallo stesso attore.

Scaccia, nato a Roma nel 1919, inizia presto la sua carriera di attore, come si legge nella biografia pubblicata sul suo sito ufficiale 1 (che include anche un blog molto frequentato dai fan dell'artista): "Appena reduce della seconda guerra mondiale s'iscrive nel 1946 all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma, per poi esibirsi nel 1948 con la compagnia di Anton Giulio Bragaglia al Teatro Ridotto di Venezia". In effetti, confessò molto più tardi in un'intervista, all'Accademia aveva corso il rischio di non essere preso: "Dovetti partire per la guerra d'Africa dove ero ufficiale e organizzavo spettacoli per gli altri soldati. Quando sono tornato ho deciso di tentare con l'Accademia, ma non ero nell'elenco dei partecipanti alle selezioni e non mi avrebbero mai preso, però incrociai Silvio D'Amico e gli dissi che venivo dal Marocco: mi dovettero prendere per forza, ero un reduce".

Finita l'Accademia, prosegue la biografia ufficiale di Scaccia, "inizia quindi

458 Post/teca una vera attività professionale, dividendosi fra teatro leggero e teatro di prosa, recitando accanto ad attori come Vittorio Gassman, Macario, Lamberto Picasso, Memo Benassi, Isa Pola, e Nino Besozzi. Nel 1961 costituisce con Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri la celebre Compagnia dei Quattro".

Il repertorio di Scaccia è quanto mai ampio: ha recitato tutti i classici, Moliere, Goldoni, Lonesco, Pirandello, Courteline, Feydeau, O'Neill, Stoppard, Arthur Miller. Tra i personaggi che gli furono più cari Polonio in Amleto, Shylock nel Mercante di Venezia, Fra Timoteo nella Mandragola, e il Chicchignola di Petrolini, suoi grandi cavalli di battaglia. Al cinema ha interpretato numerosi film di Alessandro Blasetti, a partire dai primi anni '50, ma ha anche recitato con Luigi Zampa, DIno Risi, Pasquale Festa Campanile, Alberto Lattuada, Elio Petri, Mauro Bolognini, Steno, Lina Wertmuller. L'ultima interpretazione sul grande schermo è stataGabriel, nel 2001, con la regia di Maurizio Angeloni.

Molti l'hanno definito come l'erede di Petrolini, ma in effetti Scaccia è stato molto di più, un uomo di teatro e di spettacolo nel senso più completo del termine, rimasto sul palcoscenico fino alla fine. Come tutti i grandi attori, in effetti aveva annunciato il ritiro moltissime volte. In un'intervista del 2007 dichiarò sconsolato: "Il teatro non c'è più perché non c'è più il pubblico". Ma poi aggiunse: "Purtroppo io vivo di teatro". Si è allontanato in effetti dall'ultimo spettacolo in scena, un mese fa, solo per andare in ospedale. Pensare che aveva annunciato un parziale ritiro dalle scene ("Reciterò solo nella mia città, a Roma", aveva detto) già quando aveva compiuto 78 anni, lamentando quanto le tournée fossero faticose per lui: "Per i vecchi non c'è posto", si era lamentato. Ma poi era in scena regolarmente, e non solo a nella capitale.

Una carriera davvero lunghissima: "Sono salito sulla scena per la prima volta a 3-4 anni. - aveva confessato in un'intervista a Repubblica - Mia zia, filodrammatica, aveva bisogno di una bambina, e io avevo i capelli lunghi". Una carriera anche piena di soddisfazioni e di successi, eppure, raccontava sempre l'attore, "per il teatro mi sono venduto la casa più volte". Nonostante il cinema e anche la televisione: Scaccia fu anche una protagonista della grande stagione degli sceneggiati della Rai. Ma negli ultimi anni della sua vita

459 Post/teca parlava assai male del piccolo schermo: "Non guardo mai la televisione. Non c'è mai niente di interessante". Del resto anche il giudizio sul teatro negli ultimi anni era sconsolato: "E' uscito dalla porta di servizio e non si sa che fine abbia fatto. Quello che lo sostituisce non è teatro".

I suoi 90 anni vennero festeggiati con una festa memorabile al Teatro Valle, a Roma: anche in quell'occasione Scaccia annunciò l'ennesimo addio al palcoscenico, sostenendo che non avrebbe potuto "recitare con il bastone". Alla sua città fu sempre molto vicino: le sue maschere romane sono state definite "una grande metafora sui mali dell'uomo, sulle sue debolezze, contraddizioni e confusioni". Di Roma accettava tutto, anche gli aspetti negativi. All'intervistatore che, qualche anno fa, gli ricordava la sporcizia per le strade della capitale, replicava: "Ma deve essere sporca. Roma non è mai stata dei romani: anche ai tempi di Marziale era la capitale del mondo ed era sporca".

(26 gennaio 2011)

fonte: http :// www . repubblica . it / spettacoli - e - cultura /2011/01/26/ news / morto _ mario _ scaccia - 11667586/? ref = HREC 1-6

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LA DUBLINO DI JOYCE, LA LUBECCA DI MANN E LA MANCIA DI CERVANTES» Ermanno Rea,

460 Post/teca utopie e sconfitte

«E ora la speranza che il Sud conquisti l'autonomia»

Vieni fuori, dopo una lunga chiacchierata con Ermanno Rea, con un'idea di forza che supera i pessimismi e le angosce. La forza di una speranza, anche quando tutto sembrava perduto, finito nella spazzatura di un rione di Napoli. Lo scrittore di Mistero napoletano non finisce di avere fiducia, e di regalarne. Dopo tante sconfitte onestamente riconosciute. La sconfitta storica del socialismo, a cui Rea aveva creduto negli anni giovanili, grazie alle utopie che già erano in casa: «Sono nato in una famiglia molto affiatata. Con grande affetto e stima reciproca. Mio padre e mia madre erano persone gentili. Sono loro debitore dell'educazione e anche delle scelte che ho fatto. Papà era un vecchio socialista e poi comunista, aveva fiducia nella capacità dell'uomo di realizzare una giustizia superiore». A Napoli, papà Rea aveva un'azienda di vernici e pennelli, ma a un certo punto vendette tutto e comprò una proprietà a Massa Carrara, dove diventò rappresentante del Pci nel Comitato di Liberazione. «Mi ricordo certe riunioni partigiane sul terrazzo di casa con il fucile mitragliatore lì a fianco. Io sono stato partigianello nelle montagne toscane in età molto giovane. Avevo il compito di girare tra le formazioni della Brigata Garibaldi per fare un lavoro ideologico, per così dire, presso i partigiani più giovani». Sorride a quel ricordo: «Parlavo di Marx e del

461 Post/teca comunismo, cose che avevo orecchiato da mio padre». La speranza di una modernizzazione della città, la sua, e di tutto il Mezzogiorno è stata un'altra utopia, ugualmente naufragata. Infine, il progetto Bassolino, affondato nel degrado di sempre: «Pavimentare, ristrutturare piazze e musei è bello, ma prima bisognava eliminare la ». L'incarico alla presidenza del Premio Napoli, dal 2003, si risolve nelle ennesime dimissioni: «Il premio nella mia testa doveva essere una forma di battaglia civile e culturale. Quando sono venuto a sapere che Napoli era diventata il capolinea della nettezza urbana nazionale, mi sono chiesto: non lo sapevano le autorità? E perché hanno taciuto? Probabilmente perché tenevano alle loro poltrone. Non mi restava che dimettermi. È stato il distacco definitivo dalla mia città»

Dall'attico milanese di Rea si vedono i tetti della metropoli avvolti in una nebbia fitta da cui non sembrano aprirsi spiragli. Tanto meno verso Sud: «Pensavamo che il futuro del Sud dovesse essere l'industrializzazione, che la liberasse delle sue eredità nefaste. Ma persino il mare era tagliato fuori dalla vita produttiva della città: era un porto militarizzato. Ormai dobbiamo smetterla di sentirci candidati a una catena di montaggio che non arriverà mai». Già quasi dieci anni fa, del resto, con La dismissione, Rea scrisse un de profundis dell'Ilva di Bagnoli. La storia di una fabbrica che muore e di una città quasi condannata al sottosviluppo. Oggi? «Oggi guardo con interesse a quelli che si occupano di economia alternativa e non inquinante: il Mezzogiorno potrebbe diventare una macroregione autonoma - senza parlare di secessione, ovviamente! - sulla falsariga anche del concetto di decrescita elaborato da Latouche, per esempio». Concretamente? «Affidare a un pool di intelligenze il progetto di un nuovo sviluppo, la mappatura dei problemi aperti, la speranza di mobilitazione delle coscienze, il compito di elaborare una prospettiva di futuro. Napoli è una città che non conosce se stessa». Il nuovo libro di Ermanno Rea, che uscirà in febbraio da Feltrinelli, La fabbrica dell'obbedienza, è un resoconto sulle ragioni della disunità del Paese: «L'Italia non si è mai veramente unita. Gramsci diceva che l'unità avrebbe dovuto tradursi in un insieme di economie omogenee e connesse tra loro come in tutti i paesi del mondo. Ma il Sud è stato usato dal triangolo industriale riserva di manodopera e fonte di emigrazione». La vita di Ermanno Rea è la storia di un tormentato rapporto d'affetto con la sua città, ma anche di una presa di distanza in età matura e di qualche

462 Post/teca ritorno deluso in età tarda. È anche il tentativo tenace di decifrare quella che lui stesso definisce «una sorta di notte boreale che davvero non finisce mai». Ripartiamo dall'inizio, anni 50: «Io seguivo le orme di Renzo Lapiccirella, vice e poi capo cronista dell'«Unità», con cui vivevo una specie di fronda antistalinista. Lasciai l'«Unità» nel '57 e mi trasformai in un libero cittadino, anche se, senza tessera, restai legato sentimentalmente a Pci. Ma era un'esperienza finita». Che cosa rimane a 83 anni di tante amicizie, dissensi e fratture? «L'esperienza tra fine anni 40 e i 50 è stata determinante per me sul piano della maturazione umana, sociale, ideologica. I personaggi di Mistero napoletano mi hanno accompagnato per il resto dell'esistenza, anche da un punto di vista affettivo. Gli amici di allora sono state amicizie definitive, e sono rimasto un po' fermo a quel momento. In particolare il legame molto forte con Lapiccirella, un medico colto e sensibile, mi ha segnato per sempre: poverissimo, era rimasto impigliato nel partito, però era troppo intelligente per inchinarsi alle pesanti regole del gioco. Il nostro ideale non era tanto il socialismo, il nostro impegno era civile, aspiravamo ad aiutare Napoli a liberarsi del suo sottosviluppo, e ci sembrava che il Pci avesse questa funzione. Purtroppo le cose andarono diversamente». Rea lascia il divano, scompare in un'altra stanza e torna con un libro da cui estrae una citazione su Giordano Bruno: «Siamo figli della Controriforma, - dice - abbiamo un'educazione pluricentenaria che ci rende diversi dal resto dell'Europa. Tra le fiamme di Campo dei Fiori, Giordano Bruno rinunciò a ritrattare le sue tesi: «il suo è stato il più eroico no mai pronunciato. Da allora il popolo italiano ha smesso di dire no». Dopo l'uscita dall'«Unità», Rea a Roma viene assunto da Maria Antonietta Macciocchi al settimanale «Vie Nuove»: «Ma mi convinsi che dovevo cambiare mestiere senza diventare, da militante del Pci, un militante anti-Pci». E così passa provvisoriamente alla fotografia: «Presi il mio gruzzolo di liquidazione e decisi di partire a Berlino, dove cominciai a fare fotografie di ambiente e di atmosfera: era la Berlino pre- Muro, una città triste e piena di contrasti, da una parte opulenza, luci e lustrini, dall'altra un mortorio e un cumulo di macerie». Sono gli anni dei viaggi: la Dublino di Joyce, la Lubecca di Mann, la Mancia di Cervantes, ma anche l'Estremo Oriente e l'Africa. Il «richiamo della foresta del giornalismo» lo riporta a Roma, e poi Milano. Com'era Napoli vista da lontano? «Era sentirsi forse ancora più napoletani. A Milano e a Roma con i molti amici carissimi napoletani erano un continuo interrogarsi sia sul passato sia sul

463 Post/teca presente. Ci chiedevamo se avevamo sbagliato o meno ad andarcene». Risposta? «L'appartenenza ti accompagna ovunque, ma a ogni ritorno ci toccava constatare come la città regredisse. Negli anni 50 c'era un borghesia illuminata, una classe dirigente notevole: questo è un fenomeno italiano, ma da noi tutto è più corposo e violento, e diventa disperazione totale». Solo dopo i sessant'anni arriva la scrittura narrativa, con le inchieste e i romanzi: «Da cronista ho capito che nel mare di notizie mi interessava afferrare per i capelli uno di questi eventi per impedirne la rapida dissolvenza, scavarlo per fermarlo nella memoria. Questa per me è la funzione dello scrittore. Ma c'è sempre anche un rapporto molto forte con la vita: l'invenzione semmai arriva in coda alla cronaca». Come si invecchia in questo paese? «In Italia si concepisce un'unica dimensione: una vitalità più o meno intensa. Guai a essere vecchio! Nel mio mondo, l'età avanzata esigeva rispetto e i vecchi avevano il compito di trasmettere saggezza. Oggi la vecchiaia è sempre al potere, ma trasmette una efficienza consumistica e una finta vitalità giovanile». Paolo di Stefano 24 gennaio 2011 fonte: http :// www . corriere . it / cultura /11_ gennaio _24/ Ermanno - Rea - paolo - di - stefano _ a 052 ffcc - 2782-11 e 0- a 862-00144 f 02 aabc . shtml

------"Voglio rassicurare quel piccolo sottoinsieme razzista, xenofobo, orgogliosamente fascista dei lettori del Gazzettino svelando che purtroppo il titolo ad effetto non corrisponde a verità: lo scrivente non è, purtroppo, ebreo marocchino terrone. Parlo anzi il mio bel dialetto del Nord (non veneto, ahimè), conosco un buon numero di tradizioni

464 Post/teca popolari “padane”, ho letto un buon numero di pagine di Gianfranco Miglio e figuratevi che some of my best friends are leghisti [1]. Qualche giorno fa scrivevo a proposito di un sondaggio promosso dal Gazzettino su “Una biblioteca pubblica ha eliminato i libri di Saviano. Comportamento comprensibile o inaccettabile?” (per inciso ricordo a tutti che tale censura è venuta prima delle iniziative di Speranzon e Donazzan, in collegamento alle dichiarazioni dello scrittore a Vieni via con me sui “rapporti” tra Lega e mafie) : Il Gazzettino propone (in prima pagina sul web) il sondaggio “Una biblioteca pubblica ha eliminato i libri di Saviano. Comportamento comprensibile o inaccettabile?”. Tengono a precisare che i risultati non hanno valore statistico (cmq meritevoli di uno sguardo http://bit.ly/fGdR29 ). Mi pare incredibile che *l ‘ottavo quotidiano d’informazione

465 Post/teca italiano e il maggior quotidiano del Triveneto* (wiki) proponga un sondaggio del genere. Dignifica chiaramente l’atto, lo porta nell’alveo della discussione “democratica”, delle “opinioni divergenti”. Ovvero siamo alla legittimazione della censura come “libera espressione di un atteggiamento ideologico da parte di amministratori pubblici”. Cioè io sono un servitore dello stato fedele alla Costituzione e quindi ho il diritto di esprimermi bruciando i libri che non apprezzo e salvando i miei concittadini dalla corruzione… (dal sito di Wu Ming) Come sempre nella mia piccola azione contro il #rogodilibri cercavo di unire fermezza e serenità, insomma di non “spararle grosse”. Chiarisco però meglio, con uguale serenità: il sondaggio del Gazzettino è equivalente a “Gli ebrei sono avidi? Si, no, forse”, “I terroni hanno voglia di lavorare?”, “I marocchini puzzano?”, o anche, se volete, “I veneti sono

466 Post/teca razzisti?”. Non ritengo infatti di essere io in questo contesto a “spararle grosse”, l’enormità mi pare quella del Gazzettino: l’avvallo implicito (neanche troppo implicito) della “comprensibilità”, “accettabilità”, “correttezza” di tendenze censorie e razziste (Saviano è un terrone che parla male del Nord-Est questa è la cosa peggiore) portate avanti da amministratori della Repubblica Italiana. Non devo ovviamente insegnare nulla alla redazione di quel giornale, vorrei però che avesse la bontà di chiedere ad Amos Luzzato, Presidente della Comunità Ebraica di Venezia, cosa ne pensa del sondaggio." — jumpinshark : Siamo tutti ebrei marocchini terroni contro il # rogodilibri ( per gli amici del Gazzettino ) (via flatguy)

------"la tua età è il tempo che hai avuto per arrivare ad essere ciò che sei ora. se ti senti vecchio, probabilmente l’hai usato male." — regola di vita n . 40 (via blondeinside)

467 Post/teca

(via blondeinside)

------in fondo a destra c'è il cesso. e io cerco in fondo, sempre, ma a sinistra.

fonte: http :// infondoasinistra . splinder . com

------mercoledì, 08 dicembre 2010

dove, quando

8/12/1980 dov'eri quando è morto john lennon?

2/8/1980 dov'eri quando esplose la bomba a bologna?

9/12/1978 dov'eri quando uccisero aldo moro?

12/12/1969 dov'eri quando esplose la bomba a piazza fontana?

20/7/1969 dov'eri quando l'uomo è andato sulla luna?

25/4/1945 dov'eri quando i partigiani liberarono milano?

20/9/1870 dov'eri quando è caduta roma?

12/10/1492 dov'eri quando colombo sbarcò in america?

9/12/2010 dove sarai domani? fonte: http :// infondoasinistra . splinder . com / post /23712351/ dove - quando

------"Nei Paesi ricchi il consumo consiste in persone che spendono soldi che non hanno,

468 Post/teca per comprare beni che non vogliono, per impressionare persone che non amano." — (Joachim Spangenberg, Vicepresidente del SERI, Sustainable Europe Research Institute) Consumismo . | CITARSI INDOSSO (via tostoini) (via batchiara)

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NOI SIAMO ABITATI DA LIBRI E DA AMICI « Cosebelle

------« Mi hanno ordinato : Devi togliere subito quei testi dagli scaffali » uomoinpolvere: Corriere del Veneto: PREGANZIOL (Treviso) — Lucia ama i libri. «Quasi tutti i soldi che guadagno come bibliotecaria li spendo per quello: libri». Lavora tra i libri da vent’anni e per un libro, ora, si è dovuta trovare un avvocato. «Mi è stato detto: togli Saviano dagli scaffali, volontà superiori. Ho chiesto se ci fosse un ordine scritto emi è stato risposto che “non si tira su un casino per un libro”». Ma il casino è scoppiato comunque ed ora a difenderla c’è solo la sua parola, contro quella di chi la accusa di aver ordito un complotto. Perché Lucia Tundo (non Barbara, come erroneamente scritto ieri) è la bibliotecaria al centro del «caso Saviano» esploso a Preganziol. Quella delle «strane coincidenze» su cui ha fatto leva il sindaco Sergio Marton per difendersi e spiegare che lui mai e poi mai s’è sognato di censurare l’autore di Gomorra, «una cosa da dementi». E’

469 Post/teca lei l’ultima ad aver preso il libro, appena questo era rientrato da un prestito, il 4 dicembre. «L’ho tenuto con mefino al 16 dicembre - racconta Lucia (nella foto in alto) - volevo evitare che tornasse sullo scaffale» da dove pare che nel frattempo fossero spariti gli altri due titoli di Saviano, l’audiolibro di Gomorra e la conversazione con Langewiesche che però, secondo il sindaco e la direttrice della biblioteca Gioia Rizzotto, non si sarebbero mai mossi da lì. «L’ho fatto per salvarlo, non volevo che facesse la fine degli altri. L’ho tenuto d’occhio fino al 23 dicembre, quando sono partita per le vacanze». Una volta tornata, il 7 gennaio, Lucia non ha più trovato il libro al suo posto: «Non era in prestito e non era su un altro scaffale, ho battuto la biblioteca palmo a palmo». Chi l’ha preso, assicura, non lo sa. «Mi sono infuriata e mi sono sfogata sul blog della Lipperini, con un commento anonimo». Un segreto che non è durato a lungo, visto che qualche giorno dopo è arrivata a Preganziol una troupe del Tg3. «C’è chi dice che la cosa era organizzata, che l’ho pilotata io, ma non è vero: sono arrivati assicurando che ci avrebbero chiesto i libri degli autori pro Battisti ed io ero anche contenta, perché li abbiamo tutti. E invece la ragazza che era con loro mi ha chiesto di Gomorra. Ed è successo quello che è successo: ho sbagliato, non avrei dovuto farli entrare». Lucia è sconvolta, un moto d’indignazione s’è trasformato in una buriana che non riesce più a controllare. Giovedì hanno persino organizzato una manifestazione a suo sostegno, di fronte alla biblioteca: lei non ci andrà perché l’avvocato le ha consigliato di stare lontana dai flash. E c’è chi l’accusa di essere una «comunista», una «di sinistra », e per questo avrebbe ordito la sceneggiata anti padana. «Non faccio mistero delle mie opinioni politiche ma pensare che possa aver architettato tutto questo è una follia. Vivo male, non dormo la notte. Certo è che al giorno d’oggi, se provi ad alzare la testa, ti massacrano». (via @ Wu _ Ming _ Foundt )

Onore al coraggio di questa donna.

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20110127

«Il momento Sputnik della nostra generazione»

470 Post/teca

I passaggi più rilevanti del discorso di Obama sullo Stato dell'Unione

26 GENNAIO 2011

Questa notte Barack Obama ha tenuto davanti al Congresso il suo secondo discorso sullo Stato dell ’ Unione . Il testo integrale del discorso si può leggere qui, mentre invece qui si può trovare il video. Noi abbiamo selezionato e tradotto i passaggi più importanti ed efficaci dal discorso del presidente statunitense. * «Dipende da noi» Oltre tutto il rumore e le passioni e il risentimento del nostro dibattito pubblico, Tucson ci ha ricordato che non importa chi siamo o da dove veniamo: ognuno di noi è parte di qualcosa più grande e più importante di una preferenza politica o partitica. Di per sé questa semplice consapevolezza non ci accompagnerà in una nuova era di cooperazione. Quello che verrà da adesso in poi dipende da noi. Quello che verrà da adesso in poi non sarà determinato dal fatto che siamo seduti vicini stasera ma dal fatto che potremo lavorare insieme domani. Io credo che possiamo. Io credo che dobbiamo. «Il mondo è cambiato» Sì, il mondo è cambiato. La competizione per i posti di lavoro è reale. Ma questo non dovrebbe scoraggiarci, dovrebbe spronarci. Ricordate: pur con tutti i colpi che abbiamo preso negli ultimi due anni, pur con tutti i pessimisti che prevedevano il nostro declino, l’America è ancora la più grande e più prospera economia del mondo. Non ci sono lavoratori più produttivi dei nostri. Non c’è un paese che abbia più aziende di successo o che registri più brevetti a inventori e imprenditori. Siamo la casa dei migliori college e delle migliori università del mondo: gli studenti vogliono venire a studiare qui più che in qualsiasi altra parte della Terra. Innovazione La prima cosa da fare per conquistare il futuro è incoraggiare l’innovazione. Nessuno può prevedere quale sarà la prossima grande industria, da dove verranno i nuovi posti di lavoro. Trent’anni fa non sapevamo che una cosa chiamata Internet avrebbe portato a una rivoluzione economica. Quello che possiamo fare – e che l’America fa meglio di chiunque altro – è lasciare sprigionare la creatività e l’immaginazione della nostra gente. La libera imprenditoria guida l’innovazione. Ma siccome per le aziende non è sempre proficuo investire in ricerca, nel corso della storia il governo ha dato a scienziati e inventori il sostegno di cui hanno bisogno. È così che abbiamo piantato i semi da cui è nata Internet. Così abbiamo reso possibile la nascita di cose come i microprocessori e la tecnologia GPS.

471 Post/teca

Il momento Sputnik Questo è il momento Sputnik della nostra generazione. Due anni fa, dissi che dovevamo raggiungere un livello di ricerca e sviluppo che non conoscevamo dalla Corsa allo spazio. Da qui a poche settimane, invierò una legge finanziaria al Congresso che ci aiuta a raggiungere quell’obiettivo. Investiremo in ricerca biomedica, in information technology e in energia pulita – un investimento che rafforzerà la nostra sicurezza, proteggerà il nostro pianeta e creerà innumerevoli posti di lavoro. Queste sono le cose su cui dobbiamo lavorare. E per potercele permettere, chiedo al Congresso di eliminare i miliardi di dollari dei contribuenti che diamo alle compagnie petrolifere. Non so se viene siete accorti, ma se la cavano benissimo da sole. Inoltre, l’energia pulita creerà posti di lavoro solo se le aziende che la producono troveranno un mercato. Quindi stasera vi invito a unirvi a me nel porci un nuovo obiettivo: da qui al 2035, l’80 per cento dell’elettricità americana verrà da fonti di energia pulita. «Se vuoi fare la differenza nella vita di un bambino» Nei prossimi dieci anni, la metà dei nuovi posti di lavoro richiederà un’istruzione che va oltre un diploma di scuola superiore. E intanto oltre un quarto dei nostri studenti non finisce nemmeno quella. La qualità della nostra matematica e delle nostre scienze sta dietro quella di diverse altre nazioni. Siamo precipitati al nono posto al mondo in proporzione al numero di laureati. La questione ci riguarda tutti – come cittadini, come genitori – e riguarda la nostra volontà di fare quel che si deve per dare a ogni bambino la possibilità di realizzarsi. Per questo, voglio dire una cosa ai giovani che ci ascoltano stasera e stanno riflettendo sul loro futuro: se vuoi fare la differenza nella vita del tuo paese, se vuoi fare la differenza nella vita di un bambino, diventa un insegnante. Il tuo paese ha bisogno di te. «Non ha senso» Oggi ci sono centinaia di migliaia di studenti che eccellono nelle nostre scuole ma non sono cittadini americani. Alcuni di loro sono figli di immigrati clandestini, e non hanno responsabilità per le azioni dei loro genitori. Sono cresciuti come americani, sono fedeli alla nostra bandiera e intanto vivono ogni giorno con la minaccia della deportazione. Altri vengono qui dall’estero a studiare nei nostri college e nelle nostre università. Non appena si laureano, però, noi li rispediamo a casa loro così che possano competere contro di noi. Non ha senso. Ricostruire l’America Il terzo passo per conquistare il futuro è ricostruire l’America. Per attrarre nuove imprese sul nostro territorio ci serve il modo più veloce e affidabile possibile per spostare persone, beni, informazioni: dalle ferrovie ad alta velocità alla rete internet ad alta velocità. Le nostre infrastrutture devono essere le migliori: ora non lo sono più. In Corea del Sud le case hanno internet più veloce delle nostre. Ci sono paesi

472 Post/teca in Europa e in Russia che investono più di noi in strade e ferrovie. La Cina produce più velocemente treni e aeroporti. Internet wireless Da qui ai prossimi cinque anni, faremo sì che sia possibile estendere la copertura internet wireless ad alta velocità al 98 per cento degli americani. Non si tratta solo di navigare più velocemente o non far cadere la linea quando telefoniamo. Si tratta di collegare ogni parte dell’America all’era digitale. Si tratta di una comunità rurale in Iowa o in Alabama dove fattori e piccoli imprenditori possono vendere i loro prodotti in tutto il mondo. Si tratta di un pompiere che può scaricare la planimetria di un edificio in fiamme su uno smartphone. Si tratta di uno studente che può studiare su un libro digitale, di un malato che può parlare col proprio medico e vederlo in faccia senza spostarsi. Il debito pubblico L’ultimo passo – il più critico – per conquistare il futuro è accertarci di non finire sepolti da una montagna di debito. Viviamo con l’eredità di un debito che è cominciato dieci anni fa. Alla luce della crisi finanziaria, una parte di quel debito è servito a a salvare posti di lavoro e mettere dei soldi nelle tasche della gente. Ora che il peggio è passato, dobbiamo affrontare il fatto che il nostro governo spende più di quanto incassa. Non è sostenibile. Ogni giorno le famiglie fanno sacrifici per vivere con i loro mezzi: meritano un governo che faccia lo stesso. Per questo propongo il congelamento della spesa interna per i prossimi cinque anni. Questo ridurrebbe il debito di 400 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni e richiederà tagli dolorosi.

Dove tagliare So che c’è chi in questa Camera chiede tagli ancora più profondi e incisivi, e ho intenzione di eliminare tutte le cose di cui credo possiamo fare a meno. Ma facciamo attenzione a non farlo sulle spalle dei nostri cittadini più vulnerabili. E facciamo attenzione a tagliare quello che è davvero superfluo. Ridurre il debito tagliando gli investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un aereo troppo carico buttando via il motore: all’inizio magari potrà sembrarti di andare più veloce, ma poi arriva lo schianto. La spesa interna rappresenta poco più del 12 per cento del nostro bilancio. Per fare altri progressi dobbiamo smetterla di far finta che tagliare quella spesa da sola possa essere abbastanza. Non è così. Se abbiamo davvero a cuore la riduzione del debito, per esempio, non possiamo permetterci tagli fiscali per il 2 per cento di americani più ricchi. Prima di togliere i soldi alle nostre scuole dovremmo chiedere ai milionari di rinunciare ai loro sgravi. Non si tratta di punire il loro successo, ma di promuovere il successo dell’America. Il governo e il salmone

473 Post/teca

Nonostante viviamo e lavoriamo nell’era dell’informazione, l’ultima grande riorganizzazione del governo risale all’era della tv in bianco e nero. Oggi abbiamo dodici diverse agenzie governative che hanno a che fare con le esportazioni. Cinque diverse entità che si occupano di case. Questo è il mio esempio preferito: il ministero degli Interni si occupa del salmone quando sta in acqua, ma il ministero del Commercio se ne prende carico quando sta sotto sale. Quando è affumicato la cosa diventa ancora più complicata. Ora, abbiamo fatto grandi passi avanti negli ultimi due anni utilizzando la tecnologia e liberandoci degli sprechi. I veterani possono scaricare la loro storia medica con un clic. Stiamo vendendo ettari di uffici federali inutilizzati per anni, taglieremo la burocrazia per venderne ancora. Ma dobbiamo fare di più. Nei prossimi mesi, la mia amministrazione metterà in piedi una proposta per fondere, consolidare e riorganizzare il governo federale in un modo più funzionale all’obiettivo di costruire un’America più competitiva. La storia di Brandon Fisher Possiamo avere differenze nelle politiche da adottare, ma crediamo tutti nei diritti espressi dalla nostra Costituzione. Possiamo avere opinioni differenti, ma crediamo nella stessa promessa che dice che c’è un posto in cui ce la puoi fare, se ci provi. Possiamo avere storie differenti, ma crediamo nello stesso sogno che dice che questo è il paese in cui tutto è possibile. Non importa chi sei e da dove vieni. Quel sogno è la storia di un piccolo imprenditore che si chiama Brandon Fisher. Brandon ha aperto la sua azienda a Berlin, in Pennsylvania: è specializzato in una nuova tecnica di trivellazione. Un giorno, l’estate scorsa, ha sentito che dall’altra parte del mondo trentatré persone erano rimasti intrappolati in una miniera in Cile e nessuno sapeva come salvarli. Brandon ha pensato che la sua azienda poteva dare una mano. Ha progettato un sistema di salvataggio che poi è diventato noto come Plan B. I suoi operai hanno lavorato senza soste per costruire la strumentazione necessaria. Poi Brandon è andato in Cile. Insieme ad altri, ha cominciato a trivellare senza soste, lavorando tre o quattro giorni senza dormire. Trentasette giorni dopo il Plan B ha funzionato e i minatori sono stati salvati. Ma siccome non gli piace stare al centro dell’attenzione, Brandon era già tornato a casa, lavorando al suo nuovo progetto. Pochi giorni dopo, uno dei suoi impiegati ha detto: “Abbiamo dimostrato che Center Rock è una piccola azienda, ma fa grandi cose”. Noi facciamo grandi cose. Dai primi giorni della nostra fondazione, l’America è la storia di gente normale che osa sognare. Così conquisteremo il futuro. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/26/ obama - discorso - stato - unione /

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474 Post/teca "avevamo sogni così grandi che non ci sono bastate le braccia per trattenerli." — lachimera : (via rispostesenzadomanda)

------A Terezìn 3 nding : Erano in 15.000: non ne sono sopravvissuti nemmeno 100. Avevano tutti un’età compresa tra i 12 ed i 16 anni. Terezìn fu il maggiore campo di concentramento nazista sul territorio della Cecoslovacchia. Costruito come transito per gli ebrei che dal Protettorato di Boemia e Moravia venivano deportati verso i campi di sterminio dei territori orientali, dalla sua nascita vi furono deportati 150.000 persone, fra le quali 15.000 bambini. La maggior parte trovò la morte nel ghetto stesso o negli altri campi nazisti. Il campo di Terezìn proprio perché di transito, è stato uno dei pochi che prevedeva uno spazio per i bambini. Stesse condizioni igieniche, stessa fame, stesse malattie. Proprio come gli adulti. Stessa Identica sofferenza. Sotto la guida degli ebrei adulti, i bambini frequentarono lezioni e parteciparono a molte iniziative culturali. Tra gli animatori anche Dicker Brandejsovà, artista e progressista morta, proprio come la maggior parte dei bambini, nel campo di Auschwitz nell’autunno del ‘44. I bambini rinchiusi a Terezìn ci hanno lasciatoquattromila disegni, e sessantasei poesie. (http://www.majorana.org/progetti/shoah/terezin.htm) A Terezìn Appena qualcuno arriva qui ogni cosa gli sembra strana. Come, io devo coricarmi per terra? No, io non mangerò quella sudicia patata nera. E questa sarà la mia casa? Dio com’è lurida! Il pavimento è solo fango e sporcizia

475 Post/teca e qui io dovrei distendermi: Come farò senza sporcarmi!

C’è sempre un gran movimento quaggiù e tante tante mosche: le mosche non portano le malattie? Ecco, qualcosa mi ha punto: una cimice forse. Com’è orribile Terezìn! Chissà quando ritorneremo a casa.

1943 “Teddy” via: http :// curiositasmundi . tumblr . com / post /2955297394/ a - terezin

------"Non ci siamo capiti, qui o si fa alla tunisina o il nano muore nel suo letto come Francisco Franco." — @ Filippo Cioni (via uomoinpolvere) . (via emmanuelnegro)

------"Vi giuro, signori, che l’esser troppo consapevoli è una malattia, un’autentica, assoluta malattia" — F.Dostoevskij (via dasheimweh) Veramente. (via divara)

476 Post/teca

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Resto alla mia Bompiani

anche se arriva Saviano

di Vittorio Sgarbi

Sarebbe un acquisto non ideologico, di un autore che fa grandi profitti. Per questo non importa se è allineato al pensiero politicamente corretto

Ieri, ore 14.25. Sul finger del terminal A a Fiumicino per il volo in arrivo da Palermo, leggo, scritto d’impulso con un pennarello: «Vai Silvio, trombale tutte». Mi sembra la migliore risposta alle preoccupazioni sul duro impegno di Ilda Boccassini e dei suoi assistenti nell’inchiesta su Silvio Berlusconi. Un’inchiesta esemplare,che richiede grande impegno e per la quale occorre mobilitare gli intellettuali italiani, specialmente quelli casti (eviterei per esempio Massimiliano Parente, Camillo Langone, Isabella Santacroce, Melissa P., Catherine Millet, Tinto Brass, Aldo Busi e, in generale, gli scrittori della scuderia dell’editore Castelvecchi). Questo rinnovato amore degli

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scrittori per i magistrati e per i poliziotti segna un importante passaggio rispetto agli anni in cui si firmavano i manifesti contro il commissario Calabresi. Saviano è troppo giovane, e forse non ricorda. Ma sono certo che avrebbe aderito alla raccolta di firme promossa da Camilla Cederna contro il poliziotto che fu poi giu- stiziato dalle brigate rosse. Erano altri tempi. Ma chi pensava che Calabresi fosse un assassino e che nelle stanze della questura si minacciasse e si intimidisse, si usassero metodi sbrigativi e violenti dovrebbe trovare conferma ai suoi sospetti nella trascrizione delle registrazioni dell’interrogatorio di Ruby in corso Buenos Aires,molto prima che«papi » intervenisse per cercare di aiutarla. È proprio Repubblica a renderla nota. L’aria non è delle più respirabili. Il poliziotto si rivolge a Ruby: «Poi ti spacco le gambe appena ti vedo per la strada». Proprio così. Un poliziotto con un’extracomunitaria in questura. La ragazza reagisce come può: «Vengo con te a fare l’amore allora». Il poliziotto la respinge. Un quadretto educativo. Serve allora la parola affettuosa e rassicurante di una donna tutta d’un pezzo, il pubblico ministero Annamaria Fiorillo. Alla minorenne marocchina fa sapere: «Dica a questa ragazza... che non credo proprio che resterà in Italia, tra poco è maggiorenne e se va avanti così ci sarà l’ordine di espulsione... Salvo che la signorina non accetti di inserirsi in un progetto educativo ». A Sa- viano piace che gli extracomunitari siano trattati così.D’altra parte nessuno l’ha minacciata di buttarla dal-

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la finestra.

Ma non credo che quandoil figlio della Boccassini fu fermato dalla polizia dopo una rissa ad Ischia gli abbiano detto: «Poi ti spacco le gambe appena ti vedo per la strada».Basterebbe questo a spiegare l’intervento di Berlusconi. Ma quella che per chiunque sarebbe stata una telefonata di raccomandazione, con Berlusconi diventa concussione e i poveri magistrati costretti a un duro e contrastato lavoro di indagine. Non si può tacere di fronte a una prova così difficile e non si può rifiutare la solidarietà non alla marocchina maltrattata in questura ma a tre eroici magistrati: «Alla Boccassini, a Forno e a Sangermano, che stanno vivendo, credo, giornate complicate solo per avere fatto il loro mestiere di giustizia». Così parlò Saviano. Sono finiti i tempi del commissario Calabresi. Adesso poliziotti e magistrati devono essere esortati a terrorizzare gli extracomunitari e a fare severissime inchieste contro chi si permette di aiu- tarli.

Ma Marina Berlusconi non ci sta e senza pensare ai propri interessi di editore e al doveroso rispetto delle opinioni di Saviano difende suo padre. Probabilmente non è en- tusiasta delle sue frequentazioni ma crede che una telefonata per aiutare una ragazza in questura non sia un delitto e ci fa sapere che Saviano, il suo autore così richiesto, le fa orrore. Non parla da editrice, non bada ai

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propri interessi; parla da figlia. Letteralmente vede che il re è nudo. Ma non è suo padre; è la Boccassini. Con la sua dichiarazione antepone la vita alla forma con un moto dell’animo spontaneo e bellissimo. Non pensa alle conseguenze. Subito arriva la solidarietà a chi aveva avuto il coraggio di dare solidarietà agli eroici magistrati in lotta contro il drago. «A questo punto non capisco proprio cosa aspetti a cambiare editore, visto che al presidente della sua casa editrice le cose che pensa fanno “letteralmente orrore”... Quelle parole le considero un vero insulto» dichiara Sandro Veronesi. Difficile separare il coraggioso intellettuale dall’autore Mondadori, con l’aggravante dei soldi, di imprecisata origine, che vengono dal nemico. Dopo tali dichiarazioni, e per coerenza, Saviano non può che andarsene, non mancando naturalmente di fare la vittima. È stato insultato, no? In questo quadro così complesso e in questa situazione così critica interviene mia sorella, serena, tranquilla, come la vispa teresa, rappresentando una posizione esattamente opposta a quella di Marina Berlusconi. Marina non teme di r- inunciare a Saviano per proclamare l’innocenza di suo padre e la persecuzione patita, attraverso l’esagerata incriminazione, da suo padre. Mia sorella ne prende atto e distingue (ma solo formalmente perché sa che non può essere così): «La reazione del presidente Marina Berlusconi mi pare segnare una distanza personale netta tra lei e l’uomo e intellettuale Saviano. Che non vuol dire equivalga a una distanza “editoriale”. All’autore sta la

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decisione, a questo punto, se fare della frattura “personale” una frattura “editoriale”.Certo che a me interessa lo scrittore Saviano. Il suo agente letterario lo sa bene: se fosse possibile lo porterei alla Bompiani». Non ha dubbi invece Veronesi che allarga lo scenario, per il peccato originale della Mondadori di appartenere a Berlusconi: «Tanti altri dovrebbero lasciare Segrate». E cosa dovrebbero fare allora gli autori Bompiani all’arrivo di Saviano? Certo arriva un santo,un uomo giusto,il padreddio dell’antimafia. Ma qualcuno potrebbe avere dei dubbi anche dopo i tanti anni di convivenza con Berlu- sconi e non volersi trovare sotto la stessa insegna editoriale dello scrittore di Casal di Principe. Come Ma- rina Berlusconi, e senza l’ingombro del padre, mia sorella non si pone il problema di condividere il pensiero di Saviano ma di portare a casaun autore molto venduto e approdato ai supermercati e ai grill.

Non è un acquisto culturale o ideologico, è un acquisto economico. Soprattutto a questo deve pensare un buon editore e quindi io la rassicuro. Nonostante le mie diverse posizioni non me ne andrò dalla Bompiani. Sopporterò la convivenza e anche la prevalenza sul mercato editoriale di Roberto Saviano.D’altraparte io come gli altri autori Bompiani non ho sofferto la vicinanza di Mussolini (vero o presunto) e, benché ne avverta le propensioni totalitarie e la passione per il pensierounicopoliticamentecorretto, non mi preoccuperò della vicinanza di Saviano (vero o

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presunto). fonte: http :// www . ilgiornale . it / cultura / resto _ mia _ bompiani _ anche _ se _ arriva _ saviano /25-01- 2011/ articolo - id =501746- page =0- comments =1

------Che belli erano quei giorni in cui l'unico delitto nella nostra cronaca nera era l'omicidio che la nostalgia operava in noi. fonte: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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“Ma sì, possiamo vivere assediati. E l’assedio di cui parlo è più sensibile, qui, sulla carta, scritto. Ora, scrivere si potrebbe dire sia una vocazione, per qualcuno un’ambizione o un’urgenza. In realtà scrivere non è nulla, non è così necessario, non è una funzione vitale, non è nulla. E’ un rifiuto, e basta. Scrivere è resistere ad un assedio. [..]” — Pasquale Panella. via: http :// coactusvolui . tumblr . com / ------“Per le cose gentili che mi hai detto erroneamente nei lontani giorni, per gli scherzi innocenti e fanciulleschi con cui tu rallegravi, chissà con che recondito scopo, la nostra vita, per le musiche che tu cantavi con tanta semplicità e abbandono, così da lasciare immaginare in te un’anima pura, per il modo commovente con cui mi chiamavi, come se veramente la voce provenisse dal cuore, per il cammino al sole, tra gli alberi, così spesso compiuto al tuo fianco, per il braccio che mi chiedevi lungo la via come se tu avessi paura di essere lasciata sola, […] per l’insistenza con cui la notte mi

482 Post/teca chiamavi accanto a te proprio come se mi volessi bene, per le ore di gioia che senza volerlo mi hai dato, per i mesi felici che senza saperlo ho passato con te, per le ore, i mesi, gli anni che adesso mi sembrano felici, per tutto questo pezzo ultimo di giovinezza che non ritornerà mai più, per l’amore tenero e sincero giorno e notte speso per te come fosse dovuto durare eterno, per questa favola che favola non è stata, però così bella che adesso per scontarla mi occorre tanto dolore, no, no, Dio mio, che nessuno mi senta.” — Dino Buzzati, Ringraziamento e addio (via inpuntadinote)

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27/1/2011 - ANALISI Gli errori americani

VITTORIO EMANUELE PARSI

C’è un dato, per noi inquietante, che accomuna fenomeni diversi tra loro come la caduta di Ben Ali in Tunisia, le rivolte anti-Mubarak in Egitto, la crisi del governo Hariri in Libano e le difficoltà di Habu Mazen dopo la divulgazione dei «Palestinian files».

Questo dato comune non va ricercato nelle cause, ma nelle conseguenze di questi eventi, ed è descrivibile come la repentina perdita di «egemonia» americana sul Mediterraneo meridionale e orientale, che rischia di avvenire attraverso la sostituzione di regimi e governi filo-occidentali con regimi e

483 Post/teca governi anti-occidentali. Se continua di questo passo, è possibile che in pochissimo tempo gli Stati Uniti si ritrovino ad avere nella regione un pugno di alleati, assai scomodi (sia pure per ragioni diversissime, come Israele o l'Arabia Saudita) o praticamente irrilevanti o fragilissimi (i vari Emirati e la Giordania). E tutto ciò fa aumentare le probabilità che, nel nuovo quadro strategico, un conflitto arabo-israeliano diventi quasi inevitabile.

È l'Egitto che in questo momento desta maggiori preoccupazioni. Il regime di Mubarak appare decisamente in affanno: dopo gli attentati anticristiani a cavallo dell'inizio dell'anno, e le seguenti manifestazioni di protesta dei copti, la tensione è nuovamente tornata a divampare, sull'onda dei successi conseguiti dalla rivolta tunisina. Ancorché i Fratelli Musulmani abbiano dichiarato di non essere alla guida della protesta, a Suez come ad Alessandria o al Cairo, la folla si è scontrata con le forze di polizia al grido di «Allah akbar!». L'organizzazione islamista, esclusa fraudolentemente dalle elezioni politiche di novembre, sarebbe del resto la principale beneficiaria di un eventuale tracollo del regime. Può darsi che, grazie al puntello determinante offerto dalle forze armate, Hosni Mubarak riesca a restare in sella, ma è quasi impossibile che a succedergli sia il figlio. La Casa Bianca, dal canto suo, ha un bel garantire «l'appoggio americano a quanti manifestano pacificamente per la libertà in Tunisia e in Egitto». La verità è che la caduta del regime significherebbe per l'America la perdita del più importante alleato nel mondo arabo, con conseguenze drammatiche per l'intero quadro mediorientale. Se i Fratelli Musulmani dovessero arrivare al potere al Cairo, infatti, difficilmente continuerebbero a partecipare all'isolamento internazionale di Hamas (che proprio ai «Fratelli» si richiama). La periclitante posizione di Abu Mazen si farebbe sempre meno sostenibile e la stessa «pace fredda» con Israele potrebbe essere rimessa in discussione.

Il nervosismo israeliano è poi acuito dall'assistere all'irresistibile ascesa al potere in Libano dei propri «arcinemici» di Hezbollah. Con l'incarico di formare un nuovo governo assegnato al filosiriano Najib Mikati (al posto del filo-occidentale Saad Hariri), sembra chiudersi, almeno per ora, la stagione di speranze inaugurata con la «Rivoluzione dei cedri» nel 2005. Da allora, il Libano era tornato a essere molto vicino a Washington e a Parigi, nonostante il breve ma devastante conflitto con Israele nel 2006 e la crescita di importanza di Hezbollah nel panorama politico interno. Tutto questo potrebbe essere già un ricordo. E le responsabilità americane nell'aver contribuito a «perdere il Libano» non sembrano essere insignificanti. La posizione dogmatica degli Usa

484 Post/teca sul Tribunale speciale per il Libano (incaricato di fare luce sull'omicidio di Rafik Hariri) ha finito per condizionare i diversi governi libanesi che, per continuare a ottenere l'aiuto americano, hanno dovuto mantenere una posizione rigidamente pro-Tsl, nonostante il quadro politico interno lo consentisse sempre meno e illudendosi che l'appoggio Usa sarebbe stato determinante per tenerli in vita.

Mai calcolo è stato più sbagliato. Di fatto, il dogmatismo degli Usa ha concorso a radicalizzare lo scontro politico interno, producendo così la situazione più favorevole a Hezbollah. Ora gli Usa già minacciano di tagliare gli aiuti e la collaborazione economica con Beirut, nel caso che l'esecutivo Mikati dovesse essere varato e si appresterebbero a imporre sanzioni nei confronti del Libano qualora il Tsl dovesse richiedere l'incriminazione di esponenti di Hezbollah e il nuovo governo libanese dovesse opporvisi. Una politica suicida, che semplicemente rafforzerebbe l'influenza di Siria e Iran sul Paese. Nel frattempo tutti si chiedono quanto Israele potrebbe accettare una situazione del genere senza essere tentato da una nuova, meglio preparata e più spietata, campagna libanese. Uno scenario già di per sé inquietante, che diventerebbe semplicemente un incubo, immaginando un Egitto senza Mubarak e una Palestina senza Abu Mazen. fonte: http :// www . lastampa . it /_ web / cmstp / tmplRubriche / editoriali / gEditoriali . asp ? ID _ blog =25& ID _ articolo =8339& ID _ sezione =& sezione =

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“Ogni giorno, già da qualche tempo, faccio il riepilogo di come stanno i miei amici, come fosse un bollettino di guerra. Alcuni di loro cercano disperatamente un lavoro e trovano offerte come 1 mese di contratto non rinnovabile. Altri che sono senza lavoro e non trovano nemmeno quelle offerte. Altri non superano il periodo di prova, senza tanti perché. Altri a cui rinnovano il contratto, naturalmente precario, per due, tre mesi alla volta. Altri a cui non pagano lo stipendio da uno o più mesi (o il TFR da 9 mesi, come nel mio caso). Altri a cui viene detto che le fatture verranno pagate a 180 giorni, forse. Altri, non avendolo mai fatto prima, che si vedono costretti ad andare

485 Post/teca dall’avvocato. Altri che si ammalano perché tutti i santi giorni si fanno il fegato marcio sul lavoro. Altri che la cui vita viene stravolta perché qualcuno, che non sa da che parte è girato, decide per loro. Altri che da un giorno all’altro di trovano per strada perché non ci sono i margini. Altri, infine, che hanno sempre pensato che la parola mobbing fosse un’esagerazione, e adesso invece sanno benissimo cos’è. Tutte persone preparate, in gamba, intelligenti, che hanno voglia di imparare, con esperienza o meno. E’ ora di svegliarsi: tutto questo non è colpa della crisi. Tutto questo non è cominciato oggi, e nemmeno ieri. Tutto questo è colpa di chi ci gestisce, e non parlo di chi sta al governo: intendo proprio chi siede non molto lontano da noi tutti i giorni. Quelli che non sanno cosa voglia dire dialogare. Quelli per cui la parola pianificazione sta a significare l’insieme delle operazioni per realizzare un prodotto alimentare a base di farina. Quelli che nell’arroganza ci sono caduti dentro da piccoli. Quelli che, anche se hanno studiato per anni, hanno l’ignoranza radicata nelle ossa. Quelli per cui coordinare significa abbinare il colore dei vestiti. Quelli che credono che fare un contratto* di lavoro con qualcuno voglia dire concedere dall’alto della loro magnificenza del denaro, loro che sono così generosi, in cambio di una schiavitù. Quelli che hanno fatto del familismo amorale il loro stile di vita. Quelli che, oltre ad essere stupidi, sono stronzi** e pure insicuri, in una perfetta miscela esplosiva. Quelli che lo so che li conoscete anche voi, e sapete benissimo di cosa sto parlando. Quelli che, per quanto mi riguarda, è ora di finirla. E non vi illudete: non se ne andranno da soli, non si rovineranno da soli, non ve ne libererete facilmente. E’ ora di finirla, ma soprattutto, è ora di svegliarsi. *le parole sono importanti. perciò ricordarne il significato è sempre utile: “regolamento di interessi che trae la sua forza vincolante dall’accordo di coloro che lo stipulano” **per questo francese in questo caso non solo non chiederò scusa, ma ritengo che sia assolutamente dovuto.”

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— Terzo livello (via stefigno) mi sa che frequentiamo gli stessi amici… (via ufficioreclami) via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

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“ Dice Nicole: “No perché… devo parlare al mio avvocato. Io sono indagata, per me la cosa è diversa.. Lui sarà anche il mio capo, ma io sono indagata e lui altrettanto… È un pezzo di merda. Se vuole vedermi, mi chiama lui, ma se vado ci vado con gli avvocati”. E più tardi, con maggiore violenza, spiega a Clotilde Strada, la sua assistente: “Non me ne fotte un cazzo. Se lui è il presidente del Consiglio o, cioè, è un vecchio e basta. A me non me ne frega niente, non mi faccio prendere per il culo. Si sta comportando da pezzo di merda pur di salvare il suo culo flaccido. Giusto che si faccia sentire lui se non lo farà mi comporterò di conseguenza… quel briciolo di dignità che mi rimane la voglio tenere… visto che lui non mi ha chiamato… gli faccio prendere paura. Quando si cagherà addosso per Ruby chiamerà e si ricorderà di noi.. adesso fa finta di non ricevere chiamate”. È dunque in queste condizioni l’uomo che guida il Paese. Lo avevamo intuito, ora non si possono più chiudere gli occhi dinanzi a quel vediamo: una dissennata vita privata ha consegnato Silvio Berlusconi a gravissime responsabilità penali, di cui risponderà a breve in un problematico giudizio immediato, ma soprattutto al ricatto plurimo di decine di giovani donne. Berlusconi è in una via senza uscita. ” — Così Berlusconi pagava le donne E ad Arcore spunta un ’ altra minorenne - Repubblica . it (via killingbambi) via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

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My Top 5 Artists ( Week Ending 2011-1-23)

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● Three Days Grace (3) ● Yann Tiersen (3) ● The Smiths (3) ● Breaking Benjamin (2) ● Coldplay (1) Imported from Last . fm Tumblr by JoeLaz via: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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“Perché non mi hai amato? Ero la persona migliore che sono mai stato.” — B. Caden - Le cose piangono (via pongo) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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“Dostojevskij dice che con il passare degli anni tutti i nostri sogni si realizzano, ma in una forma così snaturata da risultare irriconoscibili.” — Dottor Korczak (Andrzej Wajda, 1990) via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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“La gente non legge. Se legge non capisce. Se capisce, non ricorda.” — Stanislaw Lem via: http :// lalumacahatrecorna . tumblr . com /

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“ È ora famelica, l’ora tua, matto. Strappati il cuore. Sa il suo sangue di sale

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E sa d’agro, è dolciastro essendo sangue. Lo fanno, tanti pianti, Sempre più saporito, il tuo cuore. Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore, Strappatelo, mangiatelo, saziati. ” — Giuseppe Ungaretti (via henrietteloves)

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“È questa la vita che sognavo da bambino, un po’ di apocalisse, un po’ di topolino” — (via 1000 eyes )

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“Avere un’ottima memoria è la miglior vendetta.” — la versione di chamberlain (via avereoessere) Ecco perchè io non sono vendicativa! uff (via yoruichi)

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“Inginocchiati per un foglio di carta, inginocchiati. Intingi la penna negli occhi di tuo figlio e scrivi quello che ti ordina: I connotati di colui che ti massacro’ Sulla soglia di casa con la penna. Ammucchia i tuoi giorni davanti a te come carta, non essere timido… chiedi un fiammifero al tuo oppressore… fabbrica col torbido miscuglio di cenere e fumo qualche foglio per il tuo libro. Vorrei che i morti sapessero come stai fabbricando una corda di parole Per appendervi il verso. Mordi il cuore dell’amata come un lupo… e presentalo Su un vassoio di carta gialla, tagliale le trecce per bendare la ferita d’una iena nera, mordile gli occhi come uno scorpione… non esitare.

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Vieni come una rana e suona La tua campana per la palude stagnante Firma in fondo a questo foglio, entra nella tua casa come un ladro, stai attento, strada facendo, non cada la tua ombra su una fabbrica. Mastica la tua ombra, ingoiala come s’ingoia uno straccio avvelenato. Affrettati e bussa alla tua porta Fino a che la tua mano vada a pezzi, colei che ti amava non ti udra’. Il suo braccio che fremeva in mano tua Come una bandiera sventolante o una spada di diamante, ora il tuo anello e’ simile a un anello di cenere, fumo e cardo… Guarda se puoi immaginarti Farid* crocifisso sul mio cuore, una lama di luce, un rosso caravan** cantare sommesso gola per ogni muro, non cessera’ mai il canto, non finiranno mai le faville del mio canto. La matita ubriaca di veleno barcolla: inutilmente la sorreggerebbe il carceriere, o I tuoi versi. I ricordi irrompono come onde di cardi sulle tue palpebre, ti tengono sveglio fino al silenzio. Tu continui a pestare a piedi nudi il pavimento della cella, la notte sul tuo petto come una porta chiusa, il carceriere giunse come un martello o un fossato. Dove vorresti andare? A casa tua? La tua casa e’ un pugnale alle spalle. Da tuo figlio? Tuo figlio e’ su una croce di carta, gelato nel suo pigiamino. Tu sarai trascinato nella strada, cammina e inciampa, cammina e inciampa davanti al tuo oppressore. Dove vorresti andare, quando il vento ti sparpaglia sulla carta. Inginocchiati per la carta, inginocchiati.” — Mueen Bsyso Poesia scritta su carta di sigarette da un pringioniero palestinese morto in carcere nel 1961 (via kindlerya)

490 Post/teca via: http :// curiositasmundi . tumblr . com /

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Cairo : una cronaca da chi non c ' era . di lia

Io, il poco che ho da raccontare è questo. Che nei giorni scorsi, per esempio, tra la gente del Cairo che seguo su FaceBook circolavano battute del tipo: “Ci vediamo martedì?” “No, martedì ho una rivoluzione da fare, meglio mercoledì.” Che l’attesa era tanta, certo, ma pure la paura di un flop. Perché un conto è la gente di internet, i blogger attivisti, Latuff che ti fa le vignette , e altro è la gente vera e propria, il popolo egiziano. In un paese dove fare una manifestazione simile richiede un grosso coraggio, e dove le coscienze ascoltano i Fratelli Musulmani, non i blog. Ecco, i Fratelli Musulmani: che prima mettono il cappello su ogni possibile effetto-Tunisia dichiarando che la rivoluzione è ormai inevitabile, in Egitto, e poi fanno un passo indietro e dichiarano che, no, loro alla manifestazione del 25 gennaio non ci saranno. E l’amica che mi fa: “Guarda, piuttosto che vedere l’Egitto in mano a loro, vado da Mubarak e gliele faccio io personalmente, le punture per tenerlo in vita“, e pure quello è un sentimento diffuso. Tra la gente di internet, ma internet – si sa – non è il paese reale, in nessun paese. E, insomma, è arrivato questo 25 gennaio che non si capiva bene cosa sarebbe stato ma che bastava per tenerci tutti a fare reload sulle pagine che davano notizie, fin dal mattino. O dalla sera prima, se eri al Cairo e volevi andare in piazza, ché l’orario dei concentramenti è stato pubblicato su FaceBook solo alle 5 del mattino e un mucchio di gente è arrivata troppo presto o troppo tardi e, per un po’, i manifestanti si sono cercati a vicenda in giro per Mohandessin e quando poi si è cominciato a dire che c’erano 10.000 persone in piazza già sembrava un successo storico, ed era solo il primo pomeriggio. Julia che scrive di un tentato assalto al commissariato di Dokki, vicino al Cervantes. I prof che si mettono d’accordo per raggiungere la manifestazione

491 Post/teca dopo il lavoro. Io che mi attacco a Twitter. E, su Twitter, c’èZeinobia, c’è Waelabbas, c’è 3 arabawy e poi segui i diversi hashtag e passi il resto della giornata, della serata, della notte a seguire quello che succede, a entusiasmarti prima e a struggerti poi, con mille schede aperte sul tuo monitor e le immagini di piazza Tahrir che ti arrivano da Ustream. I primi messaggi che si lamentano del malfunzionamento di Twitter, le ipotesi caute all’inizio (“Saranno sovraccariche le linee?”) e poi via via più incazzate quando la Vodafone fa un comunicato per dire che il problema è esterno, che loro non hanno toccato niente. Qualcuno scrive: “Un governo che ha paura di Twitter e di FaceBook dovrebbe governare a Farmville, non in Egitto.” E parte la controffensiva contro la censura, gli indirizzi dei proxy a cui attaccarsi, gli appelli alla popolazione affinché tolga le password dalle wifi casalinghe per permettere alla gente di collegarsi dalle strade. E si va avanti, la comunicazione procede un po’ a singhiozzo ma c’è. I posti di blocco lungo le strade che portano alla piazza, SandMonkey che posta la foto di lui che ci arriva in barca, a Tahrir: “ Quando le strade sono bloccate , c ’ è sempre il Nilo !”

Si disegna la mappa della manifestazione, un messaggio dopo l’altro: gli scontri ad Alessandria e a Suez, la partecipazione a Mahalla, i punti del Cairo dove la polizia non riesce più a trattenere i manifestanti, gli appuntamenti davanti ai diversi palazzi istituzionali, gli appelli ai quartieri da dove non arrivano notizie: “Ehi, gente di Heliopolis, perché non vi date da fare un po’ anche voi?“. E poi qualcuno comincia a parlare di poliziotti che mollano il manganello e si uniscono alla manifestazione, altri che raccontano di ufficiali che gridano che loro devono fare il loro lavoro ma che, se potessero, si unirebbero ai manifestanti. So che gira il video di un poliziotto portato a spalle dalla folla ma non lo cerco. Entusiasmarsi non porta fortuna. Intanto, attorno a piazza Tahrir non funzionano più neanche i cellulari. Verso le 5 del pomeriggio si diffonde la notizia della partenza per Londra del figlio di Mubarak, Gamal. Parrebbe una bufala, lì per lì. Poi invece si scopre che ci è andato davvero, a Londra. Dio sa perché. Di certo non ci fa una bella figura. E intanto la folla conquista piazza Tahrir, la riempie, ne prende possesso e si prepara a non muoversi più di lì. I ristoranti distribuiscono cibo gratis alla folla, partono le collette per comprare coperte per quelli che ci dormiranno. Il web si riempie di foto, di video. A Suez viene dichiarato il coprifuoco, io ho i capelli dritti in testa e incrocio le dita e prego perché il cielo

492 Post/teca protegga l’Egitto, Julia va a piazza Tahrir e ci sentiamo via Viber e mi dice che lo spettacolo è inimmaginabile, che è pieno di gente qualunque che continua a unirsi alla folla e che – e non si può non notare – non si sentono slogan religiosi, è proprio un’altra cosa; in rete si moltiplicano gli appelli a togliere le password dalle wifi domestiche e Zeinobia racconta che, dalle finestre, ci sono vecchiette che lanciano bicchieri e padelle contro la polizia. Qualcuno scrive: “La buona notizia è che Mubarak non può dichiarare lo stato di emergenza: c’è già da 30 anni.” AlJazeera, intanto, copre a stento gli eventi. La gente si chiede cosa diamine stia facendo, dove si sia cacciata. E’ un’assenza inspiegabile, resa ancora più stridente dal lavoro enorme e puntualissimo che, intanto, fa la CNN. Leggo su Twitter: “Non capisco: in Egitto accade un evento di questa portata storica e su AlJazeera va in onda un servizio sull’obesità infantile?” E, intanto, le dichiarazioni della Clinton . E, da quel momento, diventa evidente che la folla che occupa le strade è sola, che il democratico Occidente spera solo che sbaracchi al più presto e che nessuno muoverà un dito per difenderla, quando la polizia la attaccherà. Quindi, diventa evidente che la polizia attaccherà. In Italia, basta aprire Repubblica per vedere la pensosa disapprovazione dell’analista di turno preoccupato per la stabilità dell’Egitto. Visto da piazza Tahrir, l’Occidente non è solo lontano: è anche insopportabilmente ipocrita. Qualcuno ride: “Ah, la Clinton dice che il governo è stabile? E cosa sarebbe successo, oggi, se non lo fosse stato?” Qualcun altro scrive: “Oggi in Egitto sta passando la Storia. Ed è davvero triste che l’America abbia scelto di rimanere dalla parte sbagliata.” E poi, di colpo, la polizia attacca e scoppia l’inferno. Mi arriva un sms da Julia: “Sono a Tahrir e sta scoppiando un casino“. Twitter parla di lacrimogeni, idranti, botte, proiettili di gomma, c’è una macchina in fiamme, i messaggi si accavallano e il caos è totale. “Uno speciale ringraziamento agli USA che, oltre a spalleggiare un regime corrotto, gli forniscono anche i gas lacrimogeni che ci stanno arrivando addosso. Che possiate bruciare all’inferno.” Julia non risponde ai miei sms, si comincia a parlare di arresti in massa, qualcuno parla di morti. Io scrivo: “Finisce male. E gli egiziani non avranno l’appoggio né degli USA né dell’Europa. Gli unici che avranno dalla loro parte saranno gli islamisti. L’opposizione si islamizzerà di più, i giovani saranno ancora più disperati, il governo approfitterà di qualche dinamitardo per fare

493 Post/teca un nuovo giro di migliaia di desaparecidos. L’Occidente tirerà un sospiro di sollievo” Intanto, però, arrestano il figlio di Ayman Nour . Forse i liberali fanno più paura degli islamici barbuti, all’Occidente. La piazza diventa un deserto, l’attenzione si sposta verso gli ospedali e le caserme. Io riesco finalmente ad avere notizie di Julia: “A Tahrir c’era un’atmosfera bellissima. Gente di tutte le età e di tutte le classi sociali. Donne. Alcuni bebè con i genitori. Hanno fatto collette e distribuivano cibo, acqua, coperte e giornali. Gente che cantava, gente che riposava. A mezzanotte e 40 la polizia ha iniziato a lanciare lacrimogeni e getti d’acqua sulla folla. Anche pietre. Alcuni poliziotti aiutavano la gente. Sono a casa.” fonte: http :// www . ilcircolo . net / lia /2902. php

------"Ogni anno la comunità internazionale il 27 gennaio, nella “giornata della memoria”, si unisce per ricordare l’olocausto ebraico, la shoah e dimentica lo sterminio dei sinti, rom e kalè, quelli che sono chiamati zingari. Si dimenticano gli omosessuali, i disabili e i politici. La shoha e il porrajmos sono l’olocausto di due popolazioni, la decimazione di intere popolazioni considerate da un lato impure e dall’altro asociali, criminali e pericolose. Quest’anno la

494 Post/teca “giornata della memoria” è dedicata alle donne che hanno visto le loro vite andare in frantumi, private dei figli e della possibilità – per le sopravvissute, nel caso dei sinti, rom e kalè - di averne, private dei loro uomini. Porrajmos significa divoramento. Sono più di 500.000 le vittime sinti, rom e kalè. Intere famiglie decimate dal fascismo e dal nazismo tra il 1940 e il 1945.

Già dal 1933, in Germania, grazie alle ricerche eugenetiche di Robert Ritter tutte le donne sinti, rom e kalè furono sottoposte a sterilizzazione. Dal 1934 al 1935 furono costruiti i primi campi di concentramento comunali, dove queste comunità erano costrette ad abbandonare i loro carri e andare a risiedere nelle baracche, le donne erano impiegate nei lavori del campo e gli uomini in quelli edili. Nel caso di famiglie miste, i maggioritari non potevano entrare

495 Post/teca nel campo e talvolta avvicinarsi al filo spinato per salutare i propri cari. II vero porrajmos inizia però con il 1940 e nel 1942 Heinrich Himmler diede l’ordine di deportare tutti gli zingari tedeschi e dei territori occupati nel campo di Auschwitz-Birkenau.

Qui i prigionieri erano destinati alle camere a gas, anche se in alcuni casi erano immagazzinati nelle baracche dove nessuno si occupava di loro e morivano di stenti e fame. I bambini gemelli deg1i “zingari puri” furono usati per esperimenti scientifici da parte del dottor morte Mengele. Alla fine, prima che arrivassero gli alleati, gli abitanti del Zigeunerlager furono passati per le camere a gas.

L’11 settembre del 1940, in Italia, con le circolari del Capo di Polizia Bocchini, furono emanate le prime disposizioni per

496 Post/teca l’internamento dei rom e sinti italiani. I sinti e rom stranieri erano già stati rastrellati e deportati oltre confine, gli italiani, soprattutto quelli considerati nullafacenti, erano inviati al confino in Sardegna nel campo di Perdasdefogu (OG), una zona impervia, dove non vi era la possibilità né di sfamarsi, né di racimolare qualche soldo per sopravvivere. Dopo le circolari del 1940, ne furono aperti altri in ogni regione e provincia, talvolta campi misti come quello di Chiesanuova nel Padovano di Villaio Vecchio. I più noti erano, appunto, quello di Perdasdefogu in Sardegna, quello di Gomars (UD), di Arbe (oggi isola croata di Rab) e Visco a 3 chilometri da Palmanova. Ad Arbe come in Sardegna molte famiglie sinti e rom moriranno di stenti e freddo. L’isola di Arbea era brulla ed esposta alla bora, qui i sinti e i rom erano ammassati in tendopo1i precarie e senza la possibilità di

497 Post/teca coprirsi, con pasti radi. A Gomars più di 500 sinti e rom moriranno di fame. Nei campi di concentramento italiani, come in quelli di sterminio tedeschi, nessuno si occupava di queste popolazioni e erano lasciate in mezzo a topi, escrementi e in condizioni precarie." — “ Porrajmos ”, l ’ olocausto dimenticato di sinti , rom e kalè . Sono più di 500 mila Ie vittime annientate tra il ‘40 e il ‘45 (viadottorcarlo)

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20110128

LA LETTERA DI OPERAIE DI MIRAFIORI ALLA SEGRETARIA GENERALE DELLA CGIL SUSANNA CAMUSSO

«Siamo lavoratori liberi, non merci Lottiamo insieme» di 27 delegati e esperti Fiom-Cgil

Cara Susanna,

Siamo le delegate e i delegati della Fiom-Cgil delle carrozzerie di Mirafiori. In questi giorni si parla molto del nostro stabilimento, del suo futuro, di come garantire un investimento da un miliardo di euro, e si dà per scontato che le lavoratrici e i lavoratori non possano far altro che accettare l’ultimatum che la Fiat ha già imposto ai sindacati che hanno firmato l’intesa. Parliamo di ultimatum perché la trattativa non si è mai avviata, e la Fiat non hamai modificato la sua impostazione fino al testo conclusivo nonostante le proposte alternative che noi, il nostro sindacato, ma anche le altre sigle hanno formulato. Nulla di rilevante è stato recepito. Noi che siamo operaie e operai di quella fabbrica pensiamo invece chenonpossiamo cedere a quell’ultimatum,

498 Post/teca che dobbiamo in tutti i modi provare a riaprire la trattativa perche con l’organizzazione del lavoro che ci propongono si peggiora la nostra condizione e si aumentano i rischi per la salute, impedendoai lavoratori di difendersi, limitando il diritto allo sciopero, e trasformando il ruolo e la natura del sindacato di fabbrica chenonsarà più determinato dalle lavoratrici e dai lavoratori.

E tutto ciò fuori dal contratto nazionale di lavoro, lasciando ogni lavoratore da solo di fronte all’impresa e costringendolo a mettere il proprio tempo, anche quello dedicato agli affetti e al tempo libero, a disposizione del mercato e della competizione una volta per tutte, senza più contrattazione. Una trasformazione dell’umanità che lavora in merce. Manoi siamo donne e uomini liberi, cittadine e cittadini, non merci! Noi pensiamo che quell’accordo, firmato a fabbrica chiusa e senza rispettare la richiesta dei lavoratori di essere consultati prima di una firma sindacale, vada rigettato e che la consultazione voluta dalla Fiat con la minaccia della chiusura di Mirafiori sia una consultazione non libera, a cui noi lavoratrici e lavoratori della Cgil non ci sottraiamo, perché innanzitutto su di noi ricadono le conseguenze di quell’intesa e perché la consultazione non può essere svalutata, anche quandoviene brandita contro le lavoratrici e i lavoratori, visto anche come oggi si svaluta nella nostra fabbrica lo strumento dell’assemblea, che viene considerata dagli altri sindacati un luogo inutile, di confusione da non convocare neanche per illustrare l’intesa.

Ed è per tutto ciò che abbiamo decisocon il nostro sindacato, la Fiom-Cgil, di non firmare ed è sempre per questi motivi che chiediamo al nostro sindacato di tenere aperta la vertenza con la Fiat comunque vada la consultazione di Marchionne: a noi non servono escamotage tecnici. Perché secondo noi le lavoratrici e i lavoratori da Pomigliano a Mirafiori, sia quelli che hanno potutoo potranno dire dino sia quelli che non hanno potuto o non potranno farlo, hannodiritto al sostegno di tutto il nostro sindacato e alla prosecuzione di una vertenza che riaffermi pienamente i principi e i valori della Costituzione repubblicana e riconquisti per tutti il contratto nazionale, il diritto a scegliersi i propri delegati e il proprio sindacato e a migliorare la propria condizione di vita e di lavoro nella solidarietà confederale. Non è accettabile che l’unico modo per mantenere o attrarre il lavoro in Italia sia

499 Post/teca pagato esclusivamente dal lavoro, che già sopporta tutti i costi della crisi,masoprattutto non è credibile perché il costo del lavoro per unità di prodotto vale in Fiat auto circa l’8%.

Come è possibile che non intervenendo su tutti gli altri fattori economici e strutturali, anche del Paese (qualità, logistica, infrastrutture, tecnologie e innovazione), comeha ricordato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si ottengano i risultati auspicati? I temi posti oggi a noi sono temi che riguardano tutto il mondo del lavoro e la società perché sono in discussione il valore del lavoro, gli spazi democratici e di coesione sociale, le libertà individuali e collettive, e il futuro oltre la crisi che noi vogliamo immaginare migliore per noi e per quei nostri figli, che in questi mesi hanno riempito le piazze e rianimato la democrazia italiana chiedendo futuro, libertà, cittadinanza e democrazia dalla scuola al lavoro. Ci piacerebbe nei prossimi giorni incontrarti per dirti che noi vogliamo sentire tutta la Cgil vicina in questo scontro, che noi non abbiamo né voluto né cercato. Noi stiamo facendo la nostra parte per noi, le nostre famiglie, le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori: facciamolo insieme. Un abbraccio fraterno. fonte: http :// www . emigrazione - notizie . org / news . asp ? id =8455

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Il cattivo critico critica il poeta, non la poesia.

> Ezra Pound mailinglist Buongiorno.it

------"Se tutti i manager scarsi rifiutassero la liquidazione con cui vengono accompagnati alla porta dalle aziende che hanno impoverito con le loro scelte sciagurate. Se gli assunti

500 Post/teca demotivati, raccomandati e sopravvalutati (tre caratteristiche talora riscontrabili nella stessa persona) presentassero le dimissioni con queste parole: «Troverei giusto che la mia retribuzione andasse a quel precario che sgobba il triplo di me». Se insomma ogni uomo, in ogni circostanza della vita, si guardasse allo specchio con obiettività e ne traesse le conseguenze naturali, anziché sentirsi sempre un fenomeno incompreso e la vittima di qualche complotto, è evidente che il mondo cesserebbe di essere la simpatica schifezza che è. E, finalmente perfetto, si dissolverebbe nello spazio esibendo il cartello: missione compiuta." — Non ce lo meritiamo - LASTAMPA . it (via xlthlx) (via xlthlx)

------Un primo report , rozzo e scritto con addosso la

501 Post/teca stanchezza … uomoinpolvere: “Un primo report, rozzo e scritto con addosso la stanchezza. E’ stata una giornata lunghissima, iniziata la mattina presto con il corteo FIOM a Bologna, e proseguita con un’incursione in Veneto che ha scaldato i cuori. Mi è venuta in mente questa crasi: SPERANZIOL Cioè: il primo round di questo incontro è iniziato male con Speranzon, ma è finito bene con Preganziol. In via Gramsci, di fronte alla biblioteca di Preganziol, c’erano oltre duecento persone. C’erano tutte le testate giornalistiche di quel territorio. C’era un troupe di documentaristi venuti apposta da Torino (!). C’era gente da Treviso, da Mogliano Veneto, da Mestre… C’era “Libera”. C’era Radio Sherwood. C’era una delegazione del movimento universitario di Padova. C’erano studenti medi. C’erano esponenti dell’ANPI. C’era la corrispondente del Pais. E il presidio era stato indetto da una sola persona! Un cittadino. Un lettore. Poi c’eravamo noi. Io, Stefano Tassinari, Serge Quadruppani, Lello Voce e Alberto Sebastiani. Avevamo il volantino, e non c’è stato nemmeno bisogno di distribuirlo: veniva la gente a chiedercelo. Alcuni ce l’hanno quasi strappato dalle mani! C’era voglia di sapere, di informarsi. C’era un banchetto per una raccolta firme contro la Donazzan. Dopo un loro intervento introduttivo, quelle persone ci hanno dato la parola. . Io ho dato la news che la Donazzan non avrebbe più inviato la sua lettera, ho spiegato che la signora ha provato a ciurlare nel manico, ha detto che comunque le basta aver sensibilizzato etc. etc. “Tutta fuffa,” ho detto, “la sostanza è che aveva annunciato che avrebbe spedito una lettera, e adesso non la spedisce più”. Ho precisato però che non bisogna abbassare la guardia, che c’è una mozione presentata al consiglio comunale di Venezia… Ho detto che ci riproveranno. Poi ho annunciato la mia lettura: “Io non sono Nanni Balestrini, ma leggerò due pagine da un libro di Nanni Balestrini, un capolavoro di impegno civile, uno dei capisaldi della letteratura italiana contemporanea. Si intitola Gli invisibili, il suo autore è sulla lista nera, se passassero certe proposte questo libro sparirebbe dagli scaffali del Veneto. Questo brano parla di autolesionismo in carcere”. Finita la lettura (un brano durissimo, splatter), mi hanno applaudito con convinzione. . Poi è intervenuto Stefano Tassinari. Il suo è stato un discorso lungo, articolato. Ha spiegato le ragioni che ci spinsero a firmare l’appello del 2004, ha parlato della “dottrina Mitterrand”, della necessità di una soluzione

502 Post/teca politica alla ferita degli anni ‘70 etc. ma ha parlato di tutto questo mantenendolo nella cornice della lotta alla censura. Ha detto: “Anche avessimo torto marcio, la nostra è un’opinione, e ogni opinione ha diritto di essere espressa senza che chi la esprime finisca su una lista nera”. Un intervento bellissimo. Poi Stefano ha letto alcune pagine dal suo romanzo sul G8, I segni sulla pelle. L’applauso è stato ancora più convinto. . Poi è intervenuto Serge. Ha detto: “Dal mio accento potete capire che non sono italiano. Sono uno scrittore francese, e ho l’onore di essere sulla lista nera insieme ai miei colleghi italiani. Non solo: sono anche il loro editore. Sono direttore di una collana che pubblica molti libri italiani, e quasi tutti i nostri titoli sono di autori sulla lista nera”. Applauso. . Lello ha fatto un intervento, duro e diretto, contro le bassezze della stampa locale, ha analizzato titoli subdoli e criminalizzanti, poi ha letto una sua poesia, molto potente. Mi è rimasto impresso un verso: “Chi paga rompe, e i cocci sono nostri”. . Poi si sono susseguiti interventi di “Libera”, degli studenti, e di un signore anziano, uno dell’ANPI, che ha fatto un discorso bellissimo, partendo da come sono la vita e la politica in quelle zone. Ha indicato noi e ha gridato: “Questi scrittori sono nostri compagni, e noi li dobbiamo difendere!”. Ha concluso dicendo: “Era un motto della guerra partigiana e lo voglio ripetere: se devo cadere, voglio cadere con le dita negli occhi dell’avversario!” C’è stata un’ovazione. . Siamo stati intervistati da diversi media. Stefano è stato intervistato da Italia 7 Gold, canale televisivo del nord-est. La prima domanda, demenziale, è stata: “Cosa c’entra Saviano con Battisti?”, e Stefano: “No, un momento, ripartiamo daccapo”. Da quel che ho capito (io stavo parlando con la tizia del Pais), ha ribadito le cose che aveva detto nell’intervento, comprese le motivazioni dell’appello per Battisti, ma sempre “in subordine”, nella cornice della lotta alla censura. . Molti sono venuti a ringraziarci per la nostra presenza, avevano gli occhi che brillavano, tutti dicevano: “Per un posto come questo, è una cosa senza precedenti”. . Un bilancio della giornata: - a Preganziol abbiamo condiviso un momento importante con una fetta minoritaria ma importante e battagliera della società civile locale; - Lucia, la bibliotecaria di Speranziol, non c’era perché non poteva esserci (e non approfondisco), ma ha comunque sentito intorno a sé il calore di una comunità, ha avuto la conferma che non è sola; - Il Gazzettino è stato costretto a rettificare le porcherie scritte ieri su Lucia; - la Donazzan non spedisce più la lettera; - Speranzon presenta in municipio una mozione molto annacquata rispetto ai focosi propositi di dieci

503 Post/teca giorni fa; . Questi sono risultati tangibili, risultati parziali ma importanti di una mobilitazione a cui abbiamo contribuito tutti. . C’è una nota stonata: la Donazzan ha querelato il quotidiano “Terra” per un articolo sul #rogodilibri; è possibile che nei prossimi giorni arrivino altre querele, anche a qualcuno di noi. E’ comunque una ripicca, un gesto di stizza. Conferma che la pressione l’hanno sentita, l’orgoglio è ferito. LA LOTTA PAGA. E FORSE STAVOLTA I COCCI SARANNO LORO.” — Wu Ming 1 , primo report su Preganziol (via Lipperatura) (via emmanuelnegro)

------"La gente ti fa a pezzi. Se non ci stai attenta, ti macinano. L’unica cosa che gli sta a cuore è di tirarti giù al loro livello e coprirti di fango." — Stephen King (via frarfy) Tirarti giù al loro livello. (via rispostesenzadomanda) (via marikabortolami)

------somethingbeautifool: imlmfm: Siamo Giovani! E’ normale bere troppo! E’ normale avere dei caratteracci e scopare come dei matti! Siam progettati per divertirci, ecco è la verità! Ok, alcuni di noi andranno in overdose o impazziranno. Ma Charles Darwin ha detto: “Non si puo’ fare una frittata senza rompere qualche uovo!” Ed e’ esattamente di questo che si tratta: rompere delle uova! E con uova intendo farsi come delle zucchine con un cocktail di droghe pesanti. Se solo

504 Post/teca poteste vedervi! Mi spezza il cuore….indossate cardigan. Avevamo tutto. Abbiamo mandato tutto a puttane di piu’ e meglio di qualsiasi generazione che ci abbia preceduti…ed eravamo cosi’ belli! Siamo dei cazzoni! Io sono un cazzone. E ho in programma di essere un cazzone fino alla fine dei miei vent’anni, forse fino all’inizio dei miei trenta. Mi tromberei mia madre, prima di lasciare che lei, o chiunque altro, mi porti via tutto questo! - Nathan, Misfits

Questo momento è uno dei più belli di tutta la serie. (via killingbambi)

------L ' EGITTO SPEGNE INTERNET A causa di un video choc . - Crisis emmanuelnegro: uomoinpolvere: crisis: “E’ notizia di pochi minuti fa: l’Egitto è il primo Paese al mondo a chiudere interamente la Rete Internet a causa di problemi d’ordine pubblico. Un precedente che farà molto discutere. Il motivo? Sembra che lo switch-off sia avvenuto pochi minuti dopo l’uscita in rete di questo video , rilanciato ora da Associated Press. Un video assolutamente scioccante in cui si vede un manifestante che cade fulminato da un proiettile delle forze dell’ordine. Lo scopo dello switch-off è evidentemente impedire che gli egiziani possano vedere le immagini, e dare nuovo spunto alla rivolta. Sembra che sia impossibile anche comunicare via SMS.” Mi sembra alquanto improbabile che sia tutto a causa di un solo video, i video sono migliaia… Oggi è attesa la manifestazione più grande e internet è stato

505 Post/teca chiuso perché è un’arma in mano ai manifestanti.

Sicuramente non è un solo video la ragione, è come dici tu: stanno tentando di isolare e zittire, sia all’interno che verso l’esterno. Qui da noi (credo un po’ in tutti il mondo) il video in questione è passato in tutti i telegiornali e siti di notizie, ed è, francamente, uno di quei pugni nello stomaco in grado di far bollire il sangue anche a tanta gente “pacifica”. via: http :// curiositasmundi . tumblr . com / page /2

------Al termine della cerimonia, tutti i nuovi ministri e i loro familiari e amici sono stati trasportati in elicottero nel President’s Ranch di Casalpalocco, alle porte di Roma, la tenuta di settemila ettari in cui vive Silvio Berlusconi da quando ha lasciato il Quirinale. Qui sono iniziati i festeggiamenti, con fuochi d’artificio che il padre della premier ha voluto fossero visibili da tutta la capitale. Per l’occasione è stato sospeso il traffico aereo su Fiumicino. Al ricevimento erano presenti anche il presidente del Senato Angelino Alfano e il presidente della Camera Maria Stella

506 Post/teca Gelmini, oltre al direttore del Tg1 Daniele Capezzone e al presidente della Rai Bruno Vespa. " — Meglio fare qualcosa adesso » Piovono rane - Blog - L ’ espresso (via sbarrax) (via bisax)

------"E i chimici proposero un modo per trasformare il grasso dei cadaveri in sapone per i soldati tedeschi facendo cuocere per tre ore cinque chili di grasso in dieci litri d’acqua e aggiungendo un chilo di soda e un po’ di sale finché non si fosse formata una crosta e facendo poi raffreddare la mistura una prima volta e facendola bollire ancora e prima che si raffreddasse di nuovo aggiungendo una soluzione speciale che avrebbe eliminato i cattivi odori. E un soldato tedesco di stanza a Danzica impazzì perché prima della guerra aveva avuto un’amante che ignorava fosse ebrea e che in seguito era stata deportata ad

507 Post/teca Auschwitz e i suoi compagni gli dissero per scherzo che il sapone con cui si lavava da una settimana proveniva dalla sua amante e che l’avevano saputo dal direttore dell’obitorio di Danzica dove venivano trasportati i cadaveri per trasformarli in sapone. E il soldato impazzì e bisognò trasferirlo in un manicomio in Germania." — (Patrik Ourednik, Europeana, breve storia del XX secolo, :duepunti edizioni, 2008) io volere questo libro. (via viaelle) (Fonte: manyinwonderland, via batchiara)

------"Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano."

508 Post/teca

— - Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947 (via imlmfm)

------"Norvegia. Il paese delle fiabe e delle leggende. Si dice che in queste terre, per tenere buoni i draghi, gli offrissero delle giovani vergini. Ma nessuno crede più che certe creature esistano. Nemmeno i draghi." — Rat-Man (via n 0 l 4 n )

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Il misterioso pianoforte nella baia

Su una lingua di terra nella baia di Biscayne, vicino a Miami, in Florida, una mattina di qualche giorno fa è comparso questo pianoforte a coda. Non si sa bene come. Su internet si è scatenata la ridda delle ipotesi: congetture su come e da dove il piano sia arrivato. Qualcuno ha ipotizzato che si tratti della scenografia di un video, ma per ora il set è deserto. qualcuno lo interpreta come un segno del cielo, magari che allude alla morte dell'arte, ma per ora non ci sono certezze e il pianoforte resta per il momento dove si trova. Un videomaker indipendente Billy Yeager ha rivendicato la paternità dell'idea, lui, autore di un film dal titolo Jesus of Malibù , ha disseminato in 5 angoli del mondo altrettanti pianoforti, ma nessuno in Florida. Per ora l'eventuale denuncia di plagio resterebbe contro ignoti. fonte: http :// www . rainews 24. rai . it / it / news . php ? newsid =149537

------coqbaroque:

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viaelle: Sì, ce l’ho con te. Tu con la twingo verdepisello, che stamattina ti sei fermato al semaforo, ti sei fatto pulire il vetro, e al tendere della mano hai aperto lo sportello e ci hai sputato sopra. Sei un pezzo di merda, e te lo dico qui perché mi sono affacciata dall’auto e te l’ho gridato, ma non mi hai sentito. E poi non sono riuscita a starti dietro, nel traffico. Te lo ripeto, sei un pezzodimmerda, ma dubito che tu possa leggerlo e che abbia un tumblr. brava gente via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

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11 ruesimoncrubellier : “Schermaglie d’ amore si chiamavano con linguaggio antico i giochi e le provocazioni che state mettendo in scena voi due. In modo un po’ selvatico e infantile vi state corteggiando, con sanguinose e interminabili prese in giro che sostituiscono fiori e parole dolci. Beati voi, fortunati, ma anche istintivamente sapienti per non esservi precipitati a letto subito la prima sera, che’ adesso probabilmente non vi raccontereste piu’ con gli occhi cose cosi’ diverse da quelle che vi dite a voce. Del tuo amico non so, cara Giulia, ma tu mi sembri innamorata anche se lui e’ troppo ricco, un po’ ignorante, un po’ permaloso e sommamente infedele. Non ci si innamora soltanto dei buoni, intelligenti, generosi e colti. Stai tremando di paura: di perderlo, di sbagliare mossa, di farti male. Rilassati, respira fondo e smetti di girare intorno alla torta chiedendoti: la mangio o non la mangio? Vedrai che ti torneranno le forze per fare solo quello che decidi tu.”

— si chiamavano schermaglie d ’ amore . guardi, a me i codini avevan smesso di tirarli molto tempo fa, non m’aspettavo d’esser vittima di dispetti a 40 anni suonati. via: http :// plettrude . tumblr . com /

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“La prima mossa per corteggiare una donna? Guardarne un’altra.” — Paolo Conte (via hollywoodparty) via: http :// plettrude . tumblr . com /

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A un amico straniero che non riesce a capacitarsi e agli italioti che non si capaciteranno

Per capire il caso B ci vorrebbero, tutti insieme e contemporaneamente, 16. Marx e Balzac, che ci ricordano che dietro ogni patrimonio c'è un delitto 17. Pirandello e la sua inafferrabilità della verità 18. le pulsioni sessuali di Freud e la volontà di potenza di Adler 19. Einstein e la teoria della relatività 20. il gattopardismo di Tomasi di Lampedusa 21. la televisione oppio dei popoli e le ricerche sul lavaggio del cervello di Edward Hunter 22. i Don Rodrigo e i don Abbondio manzoniani 23. l'espressione geografica di Klemens von Metternich 24. il familismo amorale di Banfield 25. il particulare di Guicciardini e i Fini machiavellici che giustificano sempre i mezzi 26. i quaquaraquà di Sciascia 27. e i tarallucci e vino di Pulcinella. Ma tutto questo non sarebbe sufficiente, se non si sapesse che l'Italia è popolata da servili italioti proni al padrone e illusi di poter essere anche loro, un giorno, padroni di qualcosa o di qualcuno. E poi non va dimenticato che codesti italioti sono i genitori, i cugini e i figli dei Caligola, dei Borgia, dei Mussolini, degli Andreotti e dei Don B di turno, e morto un dittatore ne faranno sempre un altro, finché non saranno soppressi o cambieranno loro; dio sa come.

(Ma magari arriverà dal Maghreb o da qualche altro punto del Nord Africa un’ondata di protesta o un’orda invasiva che spazzerà via questo coacervo di crimini, soprusi e vizi che stanno imputridendo il paese in cui vivo.)

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fonte: http :// aitanblog . splinder . com / post /23954545

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Ciao ciao, vecchie mail. Col cacchio che vi rileggo prima di eliminarvi. fonte: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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Del vagare per la rete. arentweallrunning: Sì, ma permettimi sembri strano scrivere un post da un momento all’altro per esprimere snervo verso la polemicità generale quando ci si è mostrati polemici più o meno sempre. Se uno decide di cambiare buon per lui, ma allora non c’è bisogno di dedicare un post che non rompe il ciclo che si vorrebbe rompere, ma che lo prolunga solamente. Contando il fatto che se ti dà fastidio qualcosa che qualcun’altro ha detto puoi dirglielo rebloggando ciò su cui ha da ridire, come io ho fatto una volta senza farmi troppi problemi. Mi sento uno dei chiari destinatari, perciò ti rispondo. Cioè, son cose che uno mi può dire. That’s all :)

Perché, come già detto, ho visto in questa settimana persone che perdevano il proprio tempo o puntando il dito o giustificando in ogni modo questo atteggiamento, oppure facendo supposizioni sui perché ed i per come dell’atteggiamento altrui. Lo vedi una, due, tre, quattro, cinque volte, poi ti dici:ma basta! Perché non dedicarci un post? ( qui, peraltro, dato che come non-ricordo- chi ha scritto, non c’è bisogno di scrivere tutto su Facebook ma esistono anche altre piattaforme per scrivere, forse G.S. Scriverlo su Fb equivale a continuare ad alimentare il moto. Le persone di cui parlo fanno questi discorsi su Fb, non qui, quindi non avrei possibilità di rebloggare e dire la mia nemmeno volendo. Ho già detto la mia lì dove dovevo! ) Se avessi voluto parlare di te avrei fatto quello che fai tu: reblog, testo. Purtroppo/per fortuna io parlo di Facebook, come al solito. Niente più, niente meno :)

512 Post/teca via: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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“Alcune persone sono profumi, passano leggere e ti rimane la voglia di respirarle.” — (via bubblesup) via: http :// lachimera . tumblr . com /

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What's a horny pirate's worst nightmare? A sunken chest with no booty...

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“Futuro vuol dire un problema che di solito si rimanda, i contributi che nessun datore di lavoro ti paga, il lavoro che non c’è, comunque la pensione che non ci sarà.” — Sono ateo e ti amo, Irene Chias via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

------estonoesuntumblr: By Aleks Sennwald

I rapporti di inclusione, per ciò che concerne i rapporti semantici tra sostantivi, sono dati dal legame fra una parola dal significato generale (iperònimo ) ed altre che, incluse in essa, hanno un significato particolare ( ipònimi ). Una parola che comprende una serie di iperònimi si definisceiperònimo massimo. Il Salerno propone, come esempio di iperònimo massimo ‘arredamento’, comprendente come iperònimi ‘mobilio’, ‘apparecchi di illuminazione’ ed

513 Post/teca

‘elettrodomestici’. Io voto per ‘noi’, comprendente ‘vita’, ‘respiro’ e qualunque altra cosa tu scelga d’inserire sotto la protezione di un’unica parola. via: http :// coactusvolui . tumblr . com /

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“mi capita di ascoltare uomini - giovani, intelligenti, di successo - che dicono “le femministe sono delle sfigate”. Uomo, non ti rendi conto di quello che dici. Se non ci fosse stato il femminismo, in questo paese, saremmo ancora ad abortire coi ferri da calza sul tavolo di cucina. Non ti permettere mai piu’ di mancare di rispetto alle donne che hanno permesso a tua sorella e a tua figlia di essere considerate esseri pensanti e corpi inviolabili.” — http :// livepaola . blogspot . com /2009/12/ le - donne - non - invecchiano - mai . html via: http :// tattoodoll . tumblr . com /

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Trilussa, NUMMERI

- Conterò poco, è vero: - diceva l’Uno ar Zero - ma tu che vali? Gnente: propio gnente. Sia ne l’azzione come ner pensiero rimani un coso voto e inconcrudente. lo, invece, se me metto a capofila de cinque zeri tale e quale a te, lo sai quanto divento? Centomila. È questione de nummeri. A un dipresso è quello che succede ar dittatore che cresce de potenza e de valore più so’ li zeri che je vanno appresso. (via fiocolume)

514 Post/teca via: http :// aitan . tumblr . com /

------dasnake Le ultime notizie dall'egitto sollevano ancora una volta la necessita` di un sistema semplice, massivo, twitter-like, ma non dipendente da un'infrastruttura centralizzata. Bisognerebbe sviluppare un qualche software che crea una rete mash wifi on-the-fly in caso di sommossa popolare. fonte: http :// friendfeed . com / dasnake / bd 17 aa 7 a / le - ultime - notizie - dall - egitto - sollevano - ancora

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«Sono Rosa Luxemburg

perché dissento...» di Daniela Amenta

Quarantamila in poche ore. E ognuna con un volto diverso. Su Facebook il tam tam corre in fretta: cambiare il profilo, scegliere la foto di una donna che ha speso la propria vita per affermare un diritto.

«Perché - scrivono sul social network le organizzatrici di «Donne dicono no. Questa settimana io sono...», «vogliamo contrastare il sistema di compravendita delle donne, lo sfruttamento del corpo femminile. Un gesto che ha lo scopo innanzitutto di comunicare la nostra identità come donne capaci di affermarsi con coraggio ed intelletto, ma anche di rinnovare la nostra memoria storica, ricordarci che il diritto al voto, il diritto al lavoro, alle libertà individuali, sono diritti conquistati, spesso a

515 Post/teca caro prezzo, da donne!».

E allora ecco che i profili cambiano. «Io sono Rosa Luxemburg. Perché la libertà è sempre la libertà di dissentire». «Io sono Frida Kahlo», «Io sono Frances Farmer», «Io sono Alda Merini, Shirin Neshat, Irène Némirovsky, Carla Lonzi, Dolores Ibarruri Gomez, Tina Modotti, Janis Joplin, Joan Baez, Marie Curie».

«Io sono Rita Levi Montalcini perché il male assoluto del nostro tempo è di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte».

E poi Jane Austen, Maria Callas, George Sand, Rosa Parks, Joyce Lussu. È' una carrellata di immagini, di simboli, di donne famosissime o dimenticate. Come Emanuela Loi, poliziotta della scorta di Borsellino, o Amelia Earhart, aviatrice statunitense. A ognuna un'altra faccia. La faccia della memoria che incrocia la storia e le storie individuali, le passioni letterarie, politiche, gli studi.

Percorsi che si coniugano, si incontrano. Memorie che si riattivano. Un gesto così semplice diventa metafora prepotente, diventa un segno di rivolta forte. C'è chi dice no, si prende un'altra identità per affermare la propria. «Io sono Anna Magnani perché le rughe non si coprono. C'ho messo una vita a farmele venire».

E sono anche Simone de Beauvoir. «Perché una donna libera è l'esatto contrario di una donna leggera». 28 gennaio 2011 fonte: http :// www . unita . it / italia / sono - rosa - luxemburg - br - perche - dissento -1.268759

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Madamine, il catalogo è questo

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di Paola Di Cori

Le cronache da Arcore che intristiscono le nostre giornate come una quotidiana pioggia acida hanno ancora una volta riproposto la questione che era emersa già nell’autunno del 2009, mentre infuriava lo scandalo di Noemi e delle escort di Berlusconi. In quei mesi, alcuni settimanali di giornali progressisti, con l’intenzione di fornire una specie di schedario ‘anti-veline’, avevano cominciato a pubblicare composizioni fotografiche di donne illustri: rigurgitanti di scienziate geniali, intellettuali meravigliose, attrici sublimi, dirigenti politiche accorte e sagge, imprenditrici intelligenti e attive. A nessun giornale era però venuto in mente di pubblicare elenchi di ‘anti-puttanieri’, in cui si mostravano uomini politici monogami; operai, impiegati o professionisti famosi per la provata fedeltà coniugale; conduttori televisivi e legislatori virtuosi e composti; morigerati scienziati celibi. Nessun quotidiano o programma tv ha fornito elenchi di sacerdoti non-pedofili; sulle bacheche dei licei e delle università non è stato possibile affiggere fogli con i nomi di professori disinteressati a rimorchiare; gli ospedali hanno rifiutato di fornire elenchi di medici che non allungano le mani; le dirigenze dell’amministrazione pubblica e delle poste hanno reagito male all’idea di affiggere sulle pareti degli uffici aperti al pubblico le foto degli impiegati fedeli alle proprie mogli, fidanzate, mamme. Come in una gara tra chi accumula il maggior numero di prove per difendere la propria tesi, si era scatenata la guerra tra inventari di opposta natura. In una mostra organizzata al Louvre di Parigi nel 2009, e in un libro/catalogo magnificamente illustrato – Vertigine della lista(Bompiani) – Umberto Eco ha evidenziato le innumerevoli possibilità offerte dalla serialità come elemento fondamentale per la conoscenza e la comunicazione socio-culturale. Si spazia temporalmente dall’antichità a oggi, e si utilizzano molteplici fonti letterarie, filosofiche, visuali – dal catalogo delle navi e lo scudo di Achille di Omero, alla zoologia fantastica di Borges, alle cerimonie barocche, le processioni religiose in età medievale e moderna, le coreografie dei musicals degli anni ’30 di Busby Berkeley, ecc. Appena menzionata da Eco, è l’importanza della lista nei modi con cui nella cultura italiana, e occidentale, sono rappresentate le donne e la femminilità.

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Dal canto mio, vorrei invece sottolineare il fatto che la rappresentazione in serie è essenziale nella messa a punto di stereotipi e di tipologie con pretesa normativa e universalizzante: sia per elencare qualità e caratteristiche specifiche delle donne, sia per indicare “la Donna” nei suoi aspetti astratti e generali, in quanto ‘altra metà dell’umanità’, in opposizione a maschilità - quella che Lacan aveva a un certo punto barrato per indicarne l’inconsistenza. Imperante per molti secoli, la formula del ‘catalogo delle donne’, per così dire, continua a trionfare anche ai giorni nostri. Non è solo una invenzione geniale di Lorenzo da Ponte per raccontare la ‘passion predominante’ di don Giovanni, bensì lo strumento in apparenza più adatto per descrivere qualcosa che – come capita anche al protagonista del capolavoro di Mozart, e come puntualmente aveva sottolineato Freud - sembrerebbe proprio inafferrabile e incomprensibile. Se le donne non ricoprono sempre gli stessi ruoli, la femminilità è ovunque, ma non ha mai un sembiante unico o dimensioni identiche. Per secoli, in buona misura appare così anche oggi, è stata descrivibile e rappresentabile come un mosaico multicolore, composto di migliaia di tessere diverse, ciascuna delle quali può essere sostituita o modificata a seconda delle circostanze. La femminilità, se ne deduce, presenta molti volti; non ha una natura unica; è cangiante, imprevedibile, mutevole. Da questo discende un altro luogo comune persistente per millenni: la perenne irrequietezza, la natura volubile e capricciosa, nonchè il disordine, fisicamente visibile se si tratta di donne definite lombrosianamente come ‘degenerate’ – pazze, prostitute, malinconiche, criminali. Alle donne viene infatti negata l’universalità del logos e della ragione, la solida struttura della oggettività. A tale scopo, fin dalle più antiche descrizioni e rappresentazioni occidentali della femminilità che ci sono arrivate, lo strumento utilizzato è la molteplicità, la serie, la lista. Così quelle di Esiodo e di Plutarco, come anche quelle di Boccaccio e di Rabelais, giù fino a Lombroso; forse anche Lele Mora o Emilio Fede possiedono un loro ricco album da offrire su richiesta. Se l’elenco è importante per gli uomini, poiché fornisce l’illusione di afferrare l’inafferrabile attraverso la ripetizione, la questione è ancora più importante per le donne, anche se con motivazioni diverse e per raggiungere fini opposti. Una lunga tradizione mostra che quando le femministe si mettono a studiare

518 Post/teca le donne di altre epoche, mettono mano a quelli che potremmo chiamare “anti-cataloghi”, nei quali vengono ribaltati gli stereotipi consueti. Un esempio dalla tradizione classica è la Cité des femmes di Christine de Pisan (secolo XV); così si presenta anche la produzione scritta e visiva delle emancipazioniste di fine ‘800 e inizi ‘900. La cultura femminista occidentale degli ultimi duecento anni ha risposto alla persistenza delle tipologie di carattere normativo e/o infamante in due maniere principali: 1) con gli anti-cataloghi; 2) con l’accentuazione delle strategie di attraversamento dei luoghi e l’uso trasversale e trasgressivo degli spazi pubblici. Si è cercato più che altro di far vedere qualcosa che sembra molto complicato perché non corrisponde agli stereotipi; vale a dire, a esibire il maggior numero possibile di varianti di una presunta idea unificatrice di femminilità; a esporre la vita così come appare nella quotidianità, e mostrare ciò che fanno le impiegate, le chirurghe, le attrici, le dirigenti d’azienda, le cantanti, le militanti politiche, le partigiane, le intellettuali, le artiste, le cubiste, ma anche le transessuali, le prostitute, le ladre, le contrabbandiere, ecc., ecc. Tutto questo è stato importante anche più di recente, per evidenziare i cambiamenti provocati dalla globalizzazione e dalle crisi economiche, dalle tecnologie informatiche, dalla svolta visuale dell’ultimo decennio; dalla crescente multidisciplinarità delle scienze, in Italia assai scoraggiata, ma tuttavia presente e in atto. Temi principali di ricerche, riviste, convegni sono infatti diventate tipologie diverse da quanto imperava fino a poco tempo fa, quelle che illustrano le donne migranti, le schiavitù del sesso e del lavoro, l’interrogazione sulle identità socio-sessuali a lungo rimaste invisibili. Si sono moltiplicati materiali e fonti come la fotografia, il collage, il fotomontaggio, la citazione (scritta, orale, visiva) apparentemente fuori luogo - sul modello di quanto avevano fatto le artiste delle avanguardie dadaiste e surrealiste; tutte tecniche che sottolineano la pluralità delle identità (femminili e maschili) e il loro carattere spesso indefinito. Sono state così riscoperte molte donne della prima metà del ‘900 rimaste nell’ombra: attrici, fotografe, cineaste, pittrici, cantanti, danzatrici - come Elvira Notari, Tina Modotti, Leonor Fini, Carol Rama, Regina, Milly, ecc. ; illustrate pratiche sessuali poco studiate, come l’omosessualità e la transessualità in periodi e contesti diversi

519 Post/teca da quelli posteriori agli anni ’60. Nei film di registe degli ultimi anni l’anti- catalogo è dominante: così nel documentario per la televisione di Giovanna Gagliardo Bellissime (2003); Vogliamo anche le rose di Alina Marrazzi (2007), Il corpo delle donne di Lorella Zanardi (2009); e anche Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì, dal libro di Michela Murgia. Per essere vantaggiosi, oltre a esporre delle quantità, gli elenchi dovrebbero stimolare alcune strategie efficaci sul piano qualitativo. Può servire un gesto di ostentazione ‘per contrasto’? Possono gli anti-cataloghi essere utili a fini politici, visto che né la magistratura né i partiti della cosiddetta opposizione sono riusciti a cacciare dal parlamento il nostro Eliogabalo? Cerchiamo di ragionarci. fonte: http :// www . ingenere . it / articoli / madamine - il - catalogo - questo

------Quel che pretendono dal Drago al quale si sono concesse è ben altro. È la straordinarietà di un finanziamento a fondo perduto per una speculazione immobiliare; un attico in centro; un ingaggio in Mediaset; un lavoro per il papà. E poi, chi ha tenuto un libro in mano pensa di aver diritto ad ottenere da “papi” un incarico pubblico, una responsabilità nel Pdl, un seggio parlamentare. Perché no, un ministero. In fondo, discutono tra loro Barbara Faggioli e Nicole Minetti, “non è stato così anche per

520 Post/teca Mara (Carfagna)?”. Parlano sul serio, non per burla. Ammesso che ci fosse ancora bisogno di una conferma dello scambio tra sesso e incarico pubblico, queste carte ce la mostrano in tutto il suo realismo. Le ragazze lo ritengono un atto dovuto, il seggio in Parlamento. Berlusconi non le smentisce, lascia che coltivino quest’ambizione e d’altronde, dice Nicole, non sono già consigliere regionale? " — Denaro in cambio del silenzio il Sultano prigioniero dei ricatti - Repubblica . it (via xlthlx) (via 3 n 0 m 15 )

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“Volevo scriverti una storia sulla magia. Volevo conigli che spuntassero dai cappelli. Volevo palloni che ti sollevassero fino al cielo. Ma è diventato tutto nient’altro che tristezza, guerra, afflizione. Non l’hai mai visto, ma dentro di me c’è un giardino.” — Io sono Febbraio. (via pantherain) via: http :// biancaneveccp . tumblr . com /

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Amore e tùssi non si podiri cuai.

521 Post/teca (L’amore e la tosse non si possono nascondere) fonte: http :// tintenkiller . tumblr . com / post /2742740659/ amore - e - tussi - non - si - podiri - cuai - lamore - e

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"In sogno dipingo come Vermeer. Parlo correntemente il greco e non soltanto con i vivi. Guido l’automobile, che mi obbedisce. Ho talento, scrivo grandi poemi. (…) Sareste sbalorditi dal mio virtuosismo al pianoforte. Volo come si deve, ovvero con tutte le mie forze. Cadendo da un tetto so cadere dolcemente sul verde.

522 Post/teca Non ho difficoltà a respirare sott’acqua. Non mi lamento: sono riuscita a trovare l’Atlantide. Mi rallegro di sapermi sempre svegliare prima di morire. Non appena scoppia una guerra mi giro sul fianco preferito. (…) Qualche anno fa ho visto due soli. E l’altro ieri un pinguino. Con la massima chiarezza." (Elogio dei sogni - Wislawa Szymborska) via: http :// tintenkiller . tumblr . com / post /2666824055/ in - sogno - dipingo - come - vermeer - parlo

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Un altro deputato abusivo

Pippo Gianni è subentrato a Giuseppe Drago e la sua carica di deputato regionale in Sicilia è incompatibile, ma nessuno se ne occupa, né degli altri 47 come lui

28 GENNAIO 2011

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Lo scorso giugno vi avevamo raccontato la storia di Giuseppe Drago , deputato eletto nelle file dell’UdC nonostante fosse stato condannato in via definitiva all’interdizione dai pubblici uffici. Nonostante l’interdizione, infatti, il deputato non si era dimesso e aveva mantenuto la propria carica per oltre due anni come se nulla fosse, in una violazione plateale e paradossale della sentenza favorita dalle complici lentezze del Parlamento. Drago si è dimesso lo scorso 10 novembre, poche ore prima del voto con cui la Camera si sarebbe dovuta esprimere sulla sua decadenza, dopo che il 7 ottobre la Giunta delle elezioni si era espressa per la sua ineleggibilità. A lui è subentrato il primo dei non eletti nelle liste dell’UdC alla Camera in Sicilia: Giuseppe Gianni detto Pippo, già parlamentare nella scorsa legislatura. Gianni è un collezionista di incarichi (ma noto alle cronache nazionali soprattutto per la frase «Le donne non ci devono scassare la minchia» durante il dibattito sulle quote rosa). Il 14 aprile del 2008 è stato eletto deputato regionale in Sicilia. Il 10 novembre del 2010, come abbiamo detto, è subentrato a Giuseppe Drago e diventa anche deputato nazionale. Il 6 dicembre del 2010 è stato nominato anche assessore comunale a Siracusa. Una situazione di tripla incompatibilità, mentre da giorni il suo nome appare tra quelli in procinto di entrare al governo nazionale, come sottosegretario. L’incarico di assessore comunale è incompatibile con quello di deputato regionale: il 23 aprile del 2010, infatti, la Corte Costituzionale ha stabilito che una legge regionale siciliana che ammetteva la somma di incarichi è incostituzionale “nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un Comune, compreso nel territorio della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti”. Pippo Gianni ha fatto abusivamente l’assessore comunale per oltre un mese: si è dimesso dieci giorni fa . Rimane però deputato regionale e deputato nazionale, due cariche a loro volta incompatibili. Lo dice l ’ articolo 122 della Costituzione , quando afferma in modo non equivoco che “nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo”. E lo conferma lo statuto della regione Sicilia, che all’articolo 3 dice che “l’ufficio di Deputato regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un Consiglio regionale ovvero del Parlamento europeo”. Qui entra in gioco la proverbiale farraginosa lentezza del Parlamento. La Giunta delle elezioni si è riunita lo scorso 11 gennaio per certificare l’elezione a deputato di Gianni, a seguito delle dimissioni di Drago. La seduta dura cinque minuti , comincia

524 Post/teca alle 14,45 e finisce alle 14,50. Si fa in tempo a prendere atto del fatto che la carica di deputato regionale “non costituisce causa di ineleggibilità ma soltanto di incompatibilità” con quella di deputato nazionale, e quindi si propone l’eleggibilità di Gianni in Parlamento. La decisione della Giunta si basa sul fatto che incompatibilità ed ineleggibilità sono concetti diversi. L’ineleggibilità indica l’incapacità assoluta ad essere eletto, l’esistenza di un impedimento giuridico, preesistente all’elezione, che rende la persona incompatibile con la candidatura, prima che con l’elezione. L’incompatibilità, invece, è l’impossibilità di ricoprire una determinata carica, considerata inconciliabile con quella di parlamentare una volta che si è eletti. Se nel caso dell’ineleggibilità la prassi vuole che il soggetto decada immediatamente, nel caso dell’incompatibilità il soggetto deve decidere a quale dei due incarichi rinunciare. E non ci sono limiti di tempo, tanto che questa situazione oggi in Parlamento non riguarda solo il deputato Gianni: un anno fa il presidente della Giunta delle elezioni, Claudio Migliavacca, aveva documentato l’esistenza di ben 47 deputati che svolgevano incarichi incompatibili con il mandato parlamentare. Di questi, 42 ricoprivano l’incarico di consigliere o assessore regionale. Da novembre ce n’è uno in più. fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/28/ pippo - gianni - abusivo /

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Il gran casino delle primarie a Napoli

Un punto della situazione sulla caotica situazione aperta dal voto di domenica e sulle possibili vie d'uscita

28 GENNAIO 2011

Domenica scorsa a Napoli si sono tenute le elezioni primarie per individuare il candidato sindaco del centrosinistra: vi partecipavano il PD, i Verdi, Sinistra e Libertà e i Socialisti. Non partecipava l’IdV, per conto della quale si è continuato a parlare per settimane della possibilità di una candidatura solitaria dell’europarlamentare Luigi De Magistris. Cosa è successo I candidati alle primarie erano quattro, fra questi due i favoriti: Umberto Ranieri e Andrea Cozzolino. Il primo, ex senatore ed ex sottosegretario, ha vinto in tutti i

525 Post/teca collegi della città eccetto uno, quello di Secondigliano, nel quale Cozzolino, eurodeputato, ha raccolto un numero enorme di voti – quasi quanto il numero degli elettori del PD alle ultime elezioni – tanto da fargli superare il vantaggio raccolto da Ranieri in tutti gli altri nove collegi della città. I sostenitori di Ranieri hanno subito lamentato la presenza di irregolarità, e le denunce in tal senso si sono moltiplicate: chi parlava di aver visto votare dei noti esponenti del PdL locale, chi faceva riferimento a folti gruppi di cinesi, chi parlava di infiltrazioni della camorra, chi addirittura sosteneva che molte di quelle schede non fossero state fisicamente votate da alcun elettore. Le denunce Una delle denunce più incisive è arrivata da un pulpito importante: il segretario provinciale del PD di Napoli, Nicola Tremante, che in un video ha fatto delle dichiarazioni molto incisive sullo svolgimento delle primarie, prive anche della cautela con cui i vertici del partito avevano commentato l’accaduto fino a quel momento. Tremante sostiene apertamente che la vittoria di Cozzolino si debba a conclamate irregolarità, e questo gli è valso la rumorosa e aggressiva contestazione di alcuni sostenitori dello stesso Cozzolino, che nel pomeriggio di mercoledì hanno fatto irruzione nella sede del partito e lo hanno affrontato a muso duro. Poche ore dopo prendeva posizione Roberto Saviano, che chiedeva di annullare le primarie e rifarle da capo, candidando Raffaele Cantone, il magistrato che più volte si era detto non disponibile alla candidatura. È solo a questo punto che la segreteria nazionale del PD prende dei provvedimenti sull’intera vicenda. Cosa fa Bersani Per prima cosa, Bersani decide di annullare l’assemblea nazionale prevista per sabato e domenica proprio a Napoli, immaginata – fra le altre cose – per incoronare ufficialmente il vincitore delle primarie. Poi chiede ai due candidati più votati, Ranieri e Cozzolino, di fare un passo indietro, «un atto di generosità», per permettere di individuare una candidatura esterna e unitaria. I due reagiscono con due opposti scetticismi: il primo rispetto alla decisione di cancellare l’intero processo e non solo il risultato finale, il secondo rispetto alla decisione di cancellare proprio il risultato finale. Ieri è arrivata allora la seconda decisione: il segretario provinciale del PD, Nicola Tremante, è stato rimosso dall’incarico: al suo posto arriva un commissario, Andrea Orlando, deputato e responsabile giustizia del PD. Le reazioni di Cozzolino e Ranieri Tremante era stato il più influente tra gli accusatori di Cozzolino, e la mossa di Bersani serve probabilmente a dare serenità al partito e rendere politicamente più sostenibile il passo indietro dell’eurodeputato. Se questo infatti parla di «gesto molto importante», Ranieri considera il commissariamento «una scelta avventata e discutibile». Anche perché, nel frattempo, il processo delle elezioni primarie non si

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è ancora concluso: l’ufficio dei garanti delle primarie sta ancora controllando la documentazione sul voto di domenica, che potrebbe concludersi con l’annullamento di alcune schede e l’annullamento della vittoria di Cozzolino. Che però non sarebbe una via d’uscita: un po’ perché lo stesso Ranieri dice che non accetterebbe una vittoria a tavolino, un po’ perché sembra Bersani sia convinto di poter uscire da questa situazione solo superando di slancio il caos delle primarie e non scegliendo una soluzione che ne è figlia. Annullare le primarie? Non resta che fare una cosa: annullare le primarie. Se non fosse che non sono in pochi a non essere d’accordo. Ieri si è tentato un incontro su questo tema ed è stato un disastro. Sinistra e Libertà non si è nemmeno seduta al tavolo. I Verdi hanno proposto un ballottaggio tra Cozzolino e Ranieri. I Socialisti hanno chiesto di aspettare il verdetto dei garanti. Solo la Federazione della Sinistra era concorde col PD sul fatto di proporre un altro candidato. Il tavolo si è aggiornato a martedì. Da qui a martedì Bersani cercherà di trovare una candidatura forte e autorevole al punto da convincere tutti i contendenti a fare un passo indietro, una volta messa sul tavolo: per il momento si fanno i nomi di Raffaele Cantone, che ha ribadito la sua indisponibilità, e di Paolo Mancuso, procuratore di Nola e fratello del Libero Mancuso candidato alle primarie di Napoli per Sinistra e Libertà. Nel frattempo la questione sta avendo anche dei riflessi sul fronte del dibattito nazionale e dell’eterna questione sull’utilizzo e l’utilità delle primarie. Stando a quanto oggi raccontano i giornali, la minoranza del partito e soprattutto i veltroniani temono che Bersani ne stia approfittando per mettere in pratica il famigerato ridimensionamento delle primarie, per dimostrare che si tratta di uno strumento inaffidabile e potenzialmente pericoloso. I popolari sono nervosi perché Tremante era l’unico tra i segretari del PD in Campania a non provenire dai DS, e ora è stato commissariato e sostituito con Andrea Orlando, ex diessino. Matteo Orfini, della segreteria nazionale, si è augurato che il caos di Napoli «serva a riflettere su uno strumento che si è rivelato dannoso». Fioroni dice che fermare le primarie vuol dire «lasciare una prateria agli altri». Secondo deputato Mario Barbi, prodiano, «se il Pd non è in grado di svolgere primarie regolari farebbe bene a dichiarare fallimento e portare i libri in tribunale». fonte: http :// www . ilpost . it /2011/01/28/ il - gran - casino - delle - primarie - a - napoli /

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20110131

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Uno dei sintomi dell'arrivo di un esaurimento nervoso e' la convinzione che il proprio lavoro sia tremendamente importante.

> Bertrand Russel mailinglist Buongiorno.it

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"Io sono una selva e una notte di alberi scuri, ma chi non ha paura delle mie tenebre troverà anche pendii di rose sotto i miei cipressi." — Friedrich Nietzsche (via apertevirgolette)

------emmanuelnegro: ze - violet : uomoinpolvere: [Poesia bellissima di Lello Voce, letta dall’autore a Preganziol contro il #rogodilibri] Perché è oggi assolutamente necessaria una Rivoluzione Fragile perché sulle gru sui tetti al colosseo al senato all’università perché per pensare parlare sognare fare figli perché più che mai occorre fare di tutti i fasci un’erba ricordarsi della memoria e di chi la serba perché non la servitù ma la democrazia non la casto-crazia né la mono- archia perché si è donna o invece no o invece un po’e un po’ né sì né no perché immaginare un futuro perché scalare il muro perché che c’è da perdere se non in tv né c’è un verso vivendo così a tempo perso…

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(perché chi commette il male non è responsabile solo del male che compie ma del turbamento in cui induce l’anima dell’offeso) ed anche se la frase qui sopra l’ha scritta un cattolico e dunque non sarebbe da fidarsi ma val ben la pena per una volta di farli passare per la cruna dell’ago ed anche se sembra (e sembra vero) che sia meglio cinico o economico o realistico anche se dicono che mafia comune è mezzo gaudio anche se alla fine mangi ti vesti vai al mare hai l’auto ma ti manca sempre quello che ti manca anche se chi ti odia ti fa vergognare di come lo odi o di come lo voti ed anche se qui da noi una rivoluzione non c’è mai stata… (perché dopo marx non è venuto aprile ma dicembre e poi di nuovo novembre e ancora aspettiamo un nuovo marx) perché chi paga rompe e i cocci sono nostri… (perché non vogliamo tutto ci accontentiamo di una parte quella essenziale ma la vogliamo tutta e subito) per esempio scuole ospedali terre e cieli parole musiche corpi vecchi bambini per esempio dignità verità sulle stragi separare i morti i colpevoli e gli innocenti le ragioni ed i torti chi ha visto chi non ha detto per esempio tagliarla corta con privilegi troppo lunghi per esempio lavoro diritti il diritto di dire: vogliamo le somme i dati sian dati per esempio noi siam quasi tutti e non siamo una massa e qualcuno di LorSignori anzi proprio tutti che passino alla cassa: perché ciò che è fragile è tagliente definitivamente imprevedibile intelligente…

che meraviglia. Perché chi paga rompe e i cocci sono nostri…

529 Post/teca anche se alla fine mangi ti vesti / vai al mare hai l’auto ma ti manca sempre quello che ti manca

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"I sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vi vogliono svegliare." — René Magritte (via apertevirgolette) (via rispostesenzadomanda)

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"due sono i modi di stare al mondo: da pellegrini o da viandanti. i primi hanno un traguardo sicuro e vanno, seppur con qualche comprensibile esitazione, dritti per il loro percorso. i viandanti invece perdono quasi subito la strada maestra, non hanno ben chiaro l’obiettivo del loro movimento, per curiosità o timore, imboccano altre vie, passano per itinerari e paesi lontani, spesso tornano sui propri passi. forse, come disse samuel beckett a charles juliet, tutti dobbiamo trovare la strada sbagliata che ci conviene."

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— da vado a vedere se di là è meglio, di francesco m. cattaluccio, edito da sellerio. è il libro che ho scelto di leggere quest’anno per la giornata del ricordo. (via 11 ruesimoncrubellier ) Viandante, presente. (via batchiara)

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"Siamo profondi, ridiventiamo chiari." — F. Nietzsche pass with Mary :

(Fonte: adrianomaini)

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"Genio è uno che spara contro qualcosa che nessun altro vede, e fa centro." — dal “The Lutheran Digest” (via 1000 eyes ) (Fonte: ilmegliodeveancoravenire, via 1000 eyes )

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"Le persone abituate a riflettere hanno la tendenza a sottovalutare il peso degli ignoranti e degli stupidi." — Se l ’ assessore non vuole quei libri - Riccardo Bottazzo Per questo bellissimo articolo Riccardo si è beccato la denuncia da parte degli

531 Post/teca assessori fascisti di cui parla. (via Bologna , Preganziol , Padova : scioperi operai e # rogodilibri , la lotta va avanti ) (Fonte: uomoinpolvere, via colorolamente)

------Intervista a Cesare Battisti per Brasil de Fato emmanuelnegro: classe: Bèccatelo, Emmanuel: Come ha vissuto le ripercussioni del suo caso in Italia e in Brasile? E’ difficile parlarne. Questa è la ragione per cui sono rimasto traumatizzato e ho dovuto ricorrere a uno psichiatra. Quando leggo cose che non hanno molto a che vedere con me, resto… mi scoppia il cuore, non riesco a controllarmi, cado in uno stato di semincoscienza. Ieri, per esempio, sulla tv SBT hanno dato una notizia su Berlusconi e le sue prostitute. Solo con l’annuncio della notizia «Italia», mi sono messo a tremare. Hanno fabbricato un mostro che non ha niente a che vedere conme. Per quali motivi? Mi perseguitano perché sono uno scrittore, perché ho un’immagine pubblica. Se non fosse per questo, sarei uno dei tanti, come altri italiani che se ne sono andati dal paese per le stesse ragioni. Sono perseguitato dallo stato italiano e dalla magistratura brasiliana. Questa persecuzione non è per caso. Non si metterebbe in discussione una decisione del presidente della repubblica. Non esiste un paese almondo in cui una estradizione non sia decisa dal capo del potere esecutivo. Vi immaginate se questa decisione presa dalla magistratura brasiliana si verificasse in un altro paese, la Francia per esempio? Sarebbe un assurdo, impensabile. E quando io sono diventato un caso internazionale, sono diventato una moneta di scambio per molte cose. Se Lula avesse preso la sua decisione prima, si sarebbero scatenati contro di lui, perché sconfiggere me sarebbe stato sconfiggere anche Lula. Adesso l’obiettivo principale della

532 Post/teca destra brasiliana, in questo caso, è colpire il governo di Dilma. Come ha accolto la decisione di Lula? E’ stato un atto di coraggio da parte di un capo di stato del livello di Lula, con le responsabilità che aveva e con i problemi connessi alla geopolitica. E’ evidente che la scelta del momento non è stata casuale. Il caso Battisti è stato usato per altre ragioni politiche. La sua estradizione quali precedenti porrebbe? Cambierebbe la storia, perché fino a oggi gli italiani non sono mai stati estradati. Quindi sarebbe un colpo duro. Non solo per gli italiani. Lei crede che se l’estradizione alla fine non sarà concessa, ci sarebbero delle rappresaglie dell’Italia verso il Brasile? L’Italia non è mai stata abbastzanza forte per collocarsi fra i paesi più ricchi del mondo. Se ci sta è per via della Nato e della mafia, che impingua le casse delle banche del mondo. L’Italia è sempre stata un bluff. E’ l’Italia che ha bisogno del Brasile. Quello che i media dicono sono menzogne. In Italia c’è molta gente che mi difende. Se io ci tornassi, ci sarebbero dei casini, e Berlusconi lo sa. Quali sono i suoi sentimenti oggi verso l’Italia? Ormai non è più il mio paese. Io mi sono formato come cittadino del mondo. Quando abbandonai l’Italia, ero ancora molto giovane. Quindi questa storia della patria non la sento. Non è che ci sia arrivato intellettualmente, per il fatto di essere un anarco-comunista. Ci sono arrivato attraverso la vita stessa, per il modo in cui ho vissuto, per scelta e anche per dovere. Per me, questa storia della patria non ha senso. Chi sono i suoi nemici in Italia? I miei nemici sono quelli che vogliono nascondere gli anni di piombo. I media fanno di tutto per cancellare il contesto storico. Governo e opposizione sono gli stessi degli anni di piombo: Democrazia cristiana e Partito comunista italiano. Il Pci era il partito più stalinista ma non aveva il controllo del potere. Loro furono i più crudeli con noi. Torturatori. E oggi sarebbero l’opposizione a Berlusconi. In realtà non esiste opposizione, il Pci (lol ndr) non ha alcun programma politico. Quando Berlusconi, che sappiamo bene chi è, dice che l’opposizione vuole vincere le elezioni con un golpe giudiziario, dice la verità. Come è già accaduto una volta. Ci sono riusciti, fra i due mandati di Berlusconi, attraverso un golpe. Perché la magistratura era controllata dal Pci, il Pci controllava i magistrati italiani. Negli anni di piombo i magistrati

533 Post/teca migliori erano del Pci e hanno continuato ad esserlo, alcuni di loro perfino candidandosi. Durante la dittatura loro organizzavano e assistevano alle sessioni di tortura. Torturavano il movimento rivoluzionario, dalle Brigate rosse fino all’Autonomia e ai Pac. Uno di loro era Armando Spataro, che non era iscritto ma era in relazione con il Pci. Lui era il torturatore di Milano. Amnesty international ha una documentazione al proposito. E lui è il procuratore che oggi mi perseguita. Lui è procuratore di Milano ed è ancora il procuratore europeo- italiano sul terrorismo. E qual è il suo rapporto con il Brasile? Se esiste un angolo di patriottismo, quello sarebbe il Brasile. Può sembrare un po’ opportunista, ma sono arrivato qui, non conoscevo nessuno e si è formato unmovimento a mio favore. Questo scalda molto il cuore. Chi ha cercato quando è arrivato? Quando arrivai c’erano già molte mie foto da ogni parte. Sapevo di essere sorvegliato e quindi non ho preso contatto con gli italiani rifugiati qui, né con nessunmovimento. Volevo preservare loro e me. Ma io non riesco a star lontano dai problemi, salivo ogni giorno nelle favelas (di Rio de Janeiro). Mi sedevo a un banchetto, mi facevo una birra e la proprietaria del banchetto aveva un figlio in carcere. Lei era analfabeta e mi chiedeva di leggerle le lettere del figlio e di rispondergli. E così io frequentavo tre favelas e avevo eccellenti rapporti con tutti. Quali favelas? SantaMarta, Tabajara e Cantagalo. A Cantagalo e Pavão, Pavãozinho. Sono diventato lo scrivano delle favelas. Ho sempre fatto lo stesso lavoro. In Francia avevo il permesso del Ministero di polizia e del Ministero degli interni per fare lavori di scrittura. Per me è stato una cosa naturale e tutte le auto della polizia mi conoscevano perché in qualsiasi favela di Rio c’è un’auto della polizia all’entrata. «Ecco il gringo», dicevano. Salivo nella favela per potermi sentire vivo. Ma quando lei è arrivato, da chi è stato appoggiato? Da molta gente, del Pt e anche del Psdb (Partito socialdemocratico, centro- destra in Brasile). Quando sono stato arreastato, Fernando Gabeira (ex- guerrigliero passato ai verdi) è venuto a incontrarmi con alcuni deputati del Psdb. Chiaro che non sapevano molto bene quel che stava succedendo e dopo si sono allontanati, anche Gabeira. Lui mi accolse in Brasile, mi aiutò. Ma non come un soggetto politico pensante bensì come un prigioniero degli anni ’70

534 Post/teca che riteneva non rappresentasse alcun pericolo per nessuno, perché già c’erano altri italiani qui nella stessa condizione. Quando si rese conto di chi ero io, omeglio, di quella che i media avevano fatto di me, lui prese le distanze. Come si definisce politicamente? Sono un anarco-comunista da sempre, che considera finito il leninismo. Ma sono per un anarchismo organizzato, un anarco-marxista, perché esiste un altro nucleo forte dell’anarchismo che è individualista. E come vede il socialismo nel mondo di oggi? Sono convinto che si stiano creando le condizioni per il socialismo. La socialdemocrazia, nel nord d’Europa, con le sue politiche di welfare, ha conseguito dei risultati. Ma sta cadendo perché il blocco guidato dagli Stati uniti, quello del liberismo selvaggio che non si cura affatto della sicurezza sociale, è un concorrete molto difficile, crudele. Il Venezuela sta facendo il meglio che si può. Non è andato molto avanti perché il paese non l’ha permesso. Era quasi allo stato feudale. Non si può pensare che cambiando di presidente un paese cambi dalla sera alla mattina. E Cuba, se non fosse per l’embargo, potrebbe essere la miglior democrazia del mondo. Qual è la sua opinione sulla lotta armata? Fu lo stato a spingerci alla lotta armata, perché solo così avrebbe potuto sconfiggere il fortissimo movimento culturale che c’era. Il movimento rivoluzionario italiano arrivò a contare più di un milione di persone. Ma cademmo nella trappola e finimmo per fare il gioco del potere. Io non posso dire che la lotta armata non è viabile nel mondo intero, ma posso dire che non lo è più nel mondo che io conosco. Credo che la rivoluzione sia eliminare le classi, però ormai non passa attraverso le armi ma attraverso la cultura e l’istruzione. Quando uscirà di prigione che intende fare? Non so fare altro se non scrivere e lavorare con la collettività. Voglio fare lavoro sociale a partire dalla scrittura. Forse non ho diritto a fare politica, ma farò cultura. Vede dei rischi se la lasceranno andare? Ci sono minacce scritte di agenti carcerari contro di me. Semi dovesse succedere qualcosa, Berlusconi dovrà risponderne.

Cesare Battisti intervistato da Maria Mello Vinicius Mansur - Il Manifesto del

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27 gennaio 2011 (abbonatevi)

Grazie, l’avevo appena letta sul Manifesto. :-) (credo che Maria Mello e Vinicius Mansur siano due persone diverse cmq) (via uomoinpolvere)

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"Sai, Mubarak, mica ho dimenticato quando ammanettato e bendato ci avete sbattuto in cella, a me e il corrispondente BBC, dietro piazza Tahrir, in quel posto che solo a nominarlo agli egiziani fa tremare le gambe: Amn al-Dawla, Dipartimento di Sicurezza di Stato. E non ho dimenticato la sorte degli altri 4 tipi arrestati con noi, sentivo le loro urla dalla stanza di fianco. Certo, noi eravamo stranieri e ci avete risparmiato le mazzate, ma la frusta fatta sibilare dietro la mia schiena per intimidirmi, beh, ricordo bene anche quella. Questa e’ anche la mia rivoluzione. Cheers."

— Coq Baroque (via misantropo)

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(via colorolamente)

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"Io sono stanco delle cose che smettono di funzionare. Vorrei cose permanenti. Togli la polvere? Basta, l’hai tolta. Non si ripresenta più." — cloridrato di sviluppina » Blog Archive » La Stanchezza . (via imod) (via lecosecherestano) (via hneeta)

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"Mediterraneo in rivolta contro i regimi corrotti: Algeria, Tunisia, Albania e ora Egitto. Per non destare troppo clamore, in Italia la notizia sarà attenuata in “mari localmente mossi”." — (via ianinja) (Fonte: spinoza . it , via biancaneveccp)

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"A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge,

537 Post/teca per tòrre il biasmo in che era condotta." — (“Fu travolta dal vizio a tal punto da dover rendere lecita per legge la libidine, onde evitare il biasimo dei suoi sudditi.”) Dante, Inferno (Canto V, 55-57) (Fonte: walkthefleetroad, via rispostesenzadomanda)

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"Scrivo questi versi, seduto all’aperto su una sedia bianca, d’inverno, con la sola giacca addosso, dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi con frasi in madrelingua. Nella tazza si raffredda il caffè. Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi la torbida pupilla con l’ansia di fissare nel ricordo questo paesaggio, capace di fare a meno di me." — Josif Brodskij, Strofe veneziane, 2, VIII, Poesie italiane, Milano, Adelphi, 1996. Traduzione di Giovanni Buttafava. (via 11 ruesimoncrubellier ) (Fonte: mirumir, via 11 ruesimoncrubellier )

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"Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra

538 Post/teca realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più." — Hannah Arendt (via cowboyjunkie) (Fonte: imlmfm, via emmanuelnegro)

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"La seconda è che gira che ti rigira, le foto che circolano sono sempre le solite, quelle tre o quattro scienziate di inizio novecento, qualche santa, e infine le grandi scrittrici sfigate e incomprese, morte zitelle. Cioè, l’altro messaggio che passa è che per contrastare il modello “mignottaro” c’è bisogno di donne che compiano atti “eccezionali”. Voglio dire, a nessuna è venuta in mente come è venuto in mente a me, che grazie al cielo siamo ANCORA circondate da grandi donne? Ci sono milioni di donne là fuori con le quali identificarsi, che ogni santo giorno puliscono il culo ai propri bambini, vanno a fare la

539 Post/teca spesa, lavorano, escono con le amiche, fanno l’amore con il proprio uomo, cercano di fare carriera senza dover aprire le gambe, o ci rinunciano per lasciare spazio al loro essere madri. Nessuna che ha ricevuto quella mail si è sentita ancora di più “svilita”?" — Blondeinside - Io ci metto mia nonna (Da leggere tutto tutto) ecco, sì. (via emmeintumblerland) (Fonte: beatandlove, via emmeintumblerland)

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"Dunque, ricapitolando: a capo del Governo abbiamo uno che non si accorge di aver ogni sera la casa piena di sguarldrine che si fanno profumatamente pagare per partecipare alle sue feste e le scambia in buona fede per nipoti di premier esteri; a capo del Parlamento quello che non si accorge che il cognato compra sotto il suo naso appartamenti a prezzi stracciati; a capo della Protezione Civile un tizio che non si è accorto

540 Post/teca che gli offrivano massaggiatrici per ottenere appalti; per tacere dei Ministeri, dove uno non sapeva che gli pagavano a metà la casa, l’altro non si accorge che è meglio fare i lavori quando piove sennò Pompei crolla e l’altra ancora cade dalle nuvole quando vede la lista degli amici che si sono fatti dare consulenze dal suo Ministero. Io a questo punto non chiedo neppure politici onesti. Mi accontenterei di trovarne di meno distratti." — Il nuovo mondo di Galatea (via fastlive) (via batchiara)

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"Un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva; anzi soltanto quella morta ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte." — Leonardo Sciascia coloralamente :

(Fonte: adrianomaini)

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http :// www . giugenna . com /2011/01/31/17- lezioni - gratis - di - giulio - mozzi /? utm _ source = twitterfeed & utm _ medium = twitter

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GUIDO VITIELLO

Il Guvi Book Award 2010

Come ogni anno, e come ogni anno in osceno ritardo, arriva il mio personale Book Award. Libri belli, meno belli e brutti letti nel corso del 2010. Se il 2009 è stato l’ Annus Mirabilis , il 2010 chiamiamolo pure l’Annus Passabilis, o l’Annus Nientemalis (Infondus infondus): non deludente, non entusiasmante. Le categorie sono sei (Narrativa o quasi, Saggistica o quasi, Attualità, Extravaganzas, Classici e Ridatemi i Soldi) e per ciascuna l’ordine è del tutto casuale: non è detto che il libro numero sette valga meno del numero tre. E ora, sbrigati i convenevoli e i preliminari, passiamo alle classifiche. Top 10 – Narrativa o quasi 1. Friedrich Dürrenmatt, La panne (Einaudi). Atene o Gerusalemme? Il dilemma sembra non aver soluzione. Ma proviamo ad arretrare di un passo e ad abbracciare in un colpo d’occhio l’intero panorama: notate niente? Ebbene, la nostra civiltà si fonda su due processi, quello contro Socrate e quello contro Gesù. È dunque sulla forma-processo, prima di ogni altra cosa, che occorre ragionare. Poche pagine moderne, tuttavia, sono all’altezza del compito: quelle di Kafka e Dostoevskij, certo; quelle di Gide e di France, forse; e, dalle nostre parti, quelle di Salvatore Satta. Aggiungerei alla famiglia lo straordinario romanzo breve di Dürrenmatt, dove un rappresentante di tessuti cade nelle mani di

542 Post/teca quattro giudici in pensione che si divertono a ricreare, per gioco, i grandi processi della storia. Già che ne hanno l’occasione, processano anche lui. La forma-processo si rivela uno dei modi fondamentali di ordinare l’immenso scialo di futilità di cui si compone ogni esistenza: “Qui finalmente la vita giungeva a compimento con la coerenza di un’opera d’arte”. 2. Leonardo Sciascia, Il cavaliere e la morte (Adelphi). Insieme a Todo modo e a Nero su Nero, il libro imprescindibile per comprendere, sia pure per lampi, come funziona e si riproduce il potere in Italia: il potere chiesastico, il potere politico, il potere giornalistico, il potere giudiziario. Fazioni e corporazioni al di sopra e al di fuori della legge, guerre per bande, e una logica dell’emergenza permanente in cui si accomoda ogni arbitrio. Come diceva Sciascia, l’Italia è il paese più governabile che esista, ingovernabili sono semmai coloro che, nei governi, lo reggono. Memorabile annotazione sulla parola paninoteche, una delle parole- simbolo degli anni Ottanta: “Mi pare appesti insieme panetterie e biblioteche”. 3. Jules Renard, Lo scroccone (Adelphi). Il critico d’arte Matteo Marangoni, in un libro di educazione al gusto che mi ha accompagnato per tutta l’infanzia (Saper vedere, del 1933) raccontava di come a volte gli capitasse di ammirare per ore e ore delle opere d’arte figurativa, senza mai domandarsi che cosa, appunto, figurassero. Ora, io non so più bene cosa racconti Lo scroccone, se non per cenni confusi (un uomo che si attacca come un parassita alla vita di un altro e lo depreda di cibo, ricchezze e soprattutto donne); eppure, ricordo poche ore di lettura così libere e ammalianti. Capisco perché il libro sia così caro a Calasso: è il quod erat demonstrandum della filosofia adelphiana della letteratura assoluta, sgravata in ultimo dalla zavorra del mondo. 4. Giorgio Manganelli, Centuria (Rizzoli). Bisognerebbe farne una

543 Post/teca serie televisiva, date retta a me : cento puntate sulla falsariga di The Twilight Zone. Vi vendo l’idea per pochi milioni di euro, o per un trilocale alla dimora Olgettina. I “cento piccoli romanzi-fiume” di Manganelli hanno, del fiume, la proprietà più misteriosa ed elusiva: non ci si può bagnare due volte nelle sue acque, come insegnava Eraclito, e come sa chi legga più volte una qualunque di queste prose, ritrovandola ad ogni nuova lettura irriconoscibile e mutata. 5. Augusto Frassineti, Tre bestemmie uguali e distinte (Feltrinelli). L’atteggiamento verso lo humour nero è uno degli spartiacque decisivi tra i diversi tipi di esseri umani, e questo vecchio libro di Frassineti offre una buona occasione per dimostrarlo. La prima delle tre bestemmie prefigura infatti la Soluzione finale al problema dei bambini e della loro vocazione allo schiamazzo e alla distruzione: “Non basta legare i bambini alla sedia, drogarli o chiuderli nel cesso. Non serve tappar loro la bocca o il sedere con il cerotto o con la plastilina. Non vale immettere corrente ad alta tensione nelle strutture metalliche di recinzione dei giardinetti e dei terreni edificabili, né chiudere a doppia mandata l’uscio del salotto buono. Bisogna ucciderli“. 6. Charles Beaumont, Yonder. Stories of Fantasy and Science Fiction (Bantam Books). Come molti autori che si sono fatti le ossa sulle riviste pulp di fantascienza americane, Beaumont era uno scrittore di grana grossa e di stile abborracciato. Aveva, però, l’immaginazione di un metafisico autentico, e alcuni dei suoi racconti sembrano provenire da quella stessa regione dove hanno attinto Kafka e i Veda. In particolare Traumerei, vertiginosa fantasia sacrificale dove il mondo intero si svela essere il sogno di un condannato a morte. 7. Alberto Savinio, Dieci processi (Sellerio). Libro letto di contraggenio, perché la sua pubblicazione nasconde, a quel che so, poco onorevoli manovre baronali. I dieci processi sono tra i più

544 Post/teca famosi della storia: Socrate, Giovanna D’Arco, Tommaso Campanella, Galileo Galilei, Luigi XVI. A proposito di quest’ultimo, Savinio annota: “Il punto debole della Rivoluzione Francese, è di essere una rivoluzione francese. (…) I francesi sono maestri nell’arte di creare l’affaire. E la rivoluzione del 1789 che altro è se non un’affaire, e di tutte la più grossa?”. Qualche decennio più tardi, Raymond Aron avrebbe scritto che il Maggio parigino era stato uno psicodramma. 8. Anatole France, Crainquebille (Liberilibri). Ancora processi, ma stavolta niente grandi nomi: un venditore di verdura fresca, e un’imputazione senza importanza (aver detto “Porca vacca” a un agente, se ben ricordo). Ma su questo caso insignificante si danno convegno, quasi scendendo dai loro scranni celesti, tutti gli Dèi e i Demoni della giustizia. “E in quel momento Crainquebille avrebbe anche fatto una confessione piena se avesse saputo cosa doveva confessare”. Introduzione e postfazione di Carlo Nordio, quasi più interessanti del racconto. Dedica “A Calogero Mannino e alle altre vittime di errori giudiziari”. 9. Paul Collins, La follia di Banvard (Adelphi). Tredici ritratti che compongono una “galleria di sconfitti”: uomini che furono famosissimi e coperti di onori, di cui i contemporanei scrissero elogi strabilianti, certi di consegnarli alla storia; poi qualcosa andò storto, un capriccio della fortuna, ed ecco che oggi sono dei perfetti sconosciuti. La vicenda più incredibile è quella di William Henry Ireland, “stupido di talento” disprezzato dal padre, che per ottenerne la stima fabbricò falsi manoscritti di Shakespeare, tenendo in scacco per anni i massimi esperti shakespeariani della sua epoca. Da leggere accanto alla Sinagoga degli iconoclasti di Wilcock. 10. Friedgard Thoma, Per nulla al mondo. Un amore di Cioran (L’orecchio di Van Gogh). Quel che potevo scriverne l’ho scritto in questo articolo . Aggiungo solo che bisognerebbe leggerlo prima di

545 Post/teca leggere qualunque altra cosa di Cioran; e allora se ne subirà tutto l’incanto, certo, ma non più l’autorità sapienziale. Top 10 – Saggistica o quasi 1. J. Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere (Adelphi). “Siamo arrivati al punto che i peggiori impiegati delle lettere, critici che non scarabocchiano una sillaba senza ispirarsi a un comunicato stampa e scrittori vincitori di qualunque premio letterario ci possa venire in mente (ed è impossibile ricordarli tutti), assai applauditi e magari fanatici del rimborso spese, eccetera eccetera, siano anche i primi accusatori della sempreverde corruzione letteraria. Molte carriere libresche sono diventate così biforcute: coscienza inquieta e stipendio fisso”. Così il curatore Edoardo Camurri nella postfazione. Il piccolo libro di Wilcock permette di sbarazzarsi, in un colpo solo e senza troppi rovelli, tanto della vanità letteraria quanto della vanità di secondo grado dei fustigatori della vanità letteraria. 2. Roberto Calasso, L’ardore (Adelphi). Ne ho scritto in questo articolo, proponendo una chiave di lettura alquanto lunatica: L’ardore è un’auto-allegoria del catalogo Adelphi. Non aggiungo nulla, anzi una sola cosa: piaccia o non piaccia Calasso, stiamo parlando di un libro che consente di capire qualcosa dell’India dei Veda e dei suoi intricatissimi sistemi filosofici e rituali, scritto in bello stile da uno che conosce il sanscrito (e tutto il resto dello scibile). Sapreste indicarmene altri? 3. Giuseppe Rensi, Critica dell’amore (Biblioteca di via Senato). L’Italia del primo Novecento era popolata di figure eccentriche di filosofi-scrittori, capaci di essere radicali fino alla dissennatezza (una dissennatezza a tratti ilare, e assunta con spavalderia) e di maneggiare la lingua con un estro e una padronanza da funamboli. Rensi appartiene alla famiglia, e il suo libello contro l’amore, che pare scritto dal fratello più misogino di Schopenhauer, uccide tutti i chiari di luna che gli capitano a tiro. Prefazione (chi l’avrebbe mai

546 Post/teca detto?) di Filippo Facci. 4. Romano Amerio, Zibaldone (Lindau). Conobbi Romano Amerio grazie a Elémire Zolla, che gli dedicò un bel ritratto in Uscite dal mondo. Ma la mole delle sue opere (centinaia di pagine di discussioni teologiche del dogma cattolico) mi aveva sempre spaventato, tanto quanto mi attirava il suo italiano bello ed eletto, a metà tra Manzoni e Giordano Bruno. Lo Zibaldone dei suoi pensieri è il modo più indolore per incontrare Amerio, e offre un paio di benefici rari: consente di osservare il nostro paese da un altro luogo (la Svizzera italiana) e il nostro tempo da un altro tempo (il Medioevo cristiano, grosso modo). 5. Oskar Panizza, Wagneriana (Spirali). Il chiaroveggente Panizza intuì il punto d’osservazione fatale da cui trafiggere Wagner e il wagnerismo: il pubblico, le sue reazioni, “i movimenti estatici, i crampi mistici e il respiro brusco, scandito”. Era il 1891. Un secolo dopo, ancora fatichiamo a riconoscere pienamente in Wagner il capostipite dell’intera avventura del cinema (e dell’oltrecinema). 6. Luisa Passerini, Storie d’amore e d’Europa (L’Ancora del Mediterraneo). Ai nostri giorni ci si accapiglia sulle “radici cristiane” (o greche?) dell’Europa. Di nuovo: Atene o Gerusalemme? Ma per un paio di decenni, tra le due guerre, qualcuno pensò che l’edificio della civiltà europea poggiasse sul fondamento assai friabile di un sentimento: l’amore romantico, di cui si rivendicava l’invenzione nella Provenza del dodicesimo secolo, tra lirica trobadorica, devozione mariana ed eresia catara. Era come erigere una cattedrale su una nuvola; e infatti, la tesi che l’amore romantico fosse sconosciuto all’antichità e all’Oriente oggi non la sostiene quasi più nessuno. Ma questa splendida illusione ha lasciato sul campo opere importanti. Tra queste, Allegoria d’amore di C.S. Lewis e, soprattutto, L’Amore e l’Occidente di Denis de Rougemont…

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7. Denis de Rougemont, Personnes du drame (Gallimard). …Il quale De Rougemont (vedi sopra) non ha scritto solo L’Amore e l’Occidente. Ha scritto anche un magnifico seguito (attenzione: pubblicità subliminale ) e un gran numero di opere di argomento affine o confinante. Personnes du drame è la più affascinante, e i ritratti di Goethe, Kierkegaard e Lutero sprizzano luce e intelligenza da ogni parola. 8. Ernst Gombrich, Breve storia del mondo (Salani). Chi era Annibale? E Filippo il Bello? E i Normanni? E che cos’era la lotta per le investiture? E la disfida di Barletta? Lo abbiamo studiato a scuola, e poi lo abbiamo dimenticato. O meglio: ci rimane in testa una serie di nozioni che galleggiano come turaccioli in un mare di confusione. Grazie a Gombrich, in trecento pagine, il disegno della storia umana riprende forma. Direte voi: ma è un libro per bambini. Motivo in più per essere umili, e leggerlo. 9. Elémire Zolla, Tre discorsi metafisici (Guida). Non è tra i migliori di Zolla, ma è di certo il più introvabile: l’ho cercato per dieci anni. Due dei tre scritti (Considerazioni su Bachofen, Lo scopo della vita) non aggiungono granché al corpus zolliano. Ma il terzo,Considerazioni sulla fiaba, lascia intravedere una regione in ombra della mente di Zolla, quella che forse condivise più intimamente con Cristina Campo. La fiaba offre “il potere di affrontare la vita capovolgendo le norme della prudenza mondana”, e per questo la odia “chi vorrebbe sottrarre all’uomo la capacità di valicarsi”. Sembra di leggere Fiaba e mistero. 10. Charles Nodier, L’amateur de livres (Le Castor Astral). Basterà riportare i titoli degli scritti raccolti in questo volumetto, tutti composti nella prima metà dell’Ottocento, perché capiate come mai Nodier mi è tanto caro: Le Bibliomane, Bibliographie des Fous, De la monomanie réflective. Top 5 – Attualità o quasi

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1. Paolo Flores d’Arcais – Giampiero Mughini, Il piccolo sinistrese illustrato (SugarCo).Hanno fatto entrambi una brutta e zitellesca fine. Il primo fa la tricoteuse a piè di forca per i qualunquisti del Fatto di Travaglio, il secondo fa la starlette avvizzita in tv. Il prefatore, Giorgio Bocca, si è ridotto come uno di quei vecchietti bizzosi che sputacchiano per terra maledicendo il governo, i giovani e l’internet. Ma che libro delizioso furono capaci di compilare, trent’anni fa! Le voci raccolte nel glossario del sinistrese – Autocritica, Fare il gioco di, Livello di scontro, Oggettivamente, Riappropriarsi, Ribadire – sono come fazzoletti sporgenti dal cilindro di un mago: provate a tirarne un lembo, ne uscirà fuori un mondo. 2. Alessandro Dal Lago, Eroi di carta (Manifestolibri). Passa per essere un libro contro Saviano, e senz’altro è anche questo. Se non proprio con malanimo, è scritto con una vis polemica imbizzarrita che a volte porta il ragionamento fuori corsia, o lo fa nitrire a vuoto. Ma al netto di tutto questo, è un saggio di critica politico-culturale nel senso migliore, diciamo pure di critica dell’ideologia. Quale ideologia? Quella della “narrazione”, che tiene insieme Saviano e Vendola, il New Italian Epic e gli eroi dei fumetti. Gli ingredienti sono elencati correttamente, ma il cuoco è frettoloso e un po’ pasticcione. 3. Luca Simonetti, Mangi chi può (Mauro Pagliai). Anche questo è un libro di critica dell’ideologia, nel senso schiettamente marxiano di “falsa coscienza”. Il bersaglio è Slow Food, con la sua retorica dei sapori antichi e del rapporto viscerale con la madre terra. Dall’eccellente disamina di Simonetti l’organizzazione di Petrini esce a pezzi, o meglio resta in piedi per quel che è, alla fin fine: un club di ricchi crapuloni di sinistra, che hanno liberato la ghiottoneria dai sensi di colpa della leisure class. Insomma, un modo per emendare quelle vecchie caricature in cui il capitalista è un

549 Post/teca grassone in cilindro nero che s’ingozza alle spalle del popolo. Oggi ci s’ingozza contro la società dell’abbondanza, a prezzi proibitivi per il suddetto popolo. 4. Antonio Pascale, Scienza e sentimento (Einaudi). Dovrebbe far parte della biblioteca minima di ogni persona di sinistra, specie come strumento per recuperare al buon uso della ragione quelli che soccombono alle sirene dei Grillo, delle Vandana Shiva, degli apocalittici ossessionati dagli Ogm. Un libro bello, onesto, vorrei dire perfino amichevole, che sembra riportare su un piano intimo e colloquiale certe battaglie che Paolo Rossi (no, non il calciatore; no, nemmeno il comico) conduce dai tempi di Immagini della scienza(1977). 5. Carlo Nordio – Giuliano Pisapia, In attesa di giustizia (Guerini e Associati). Una poltrona per due: quella di Ministro della Giustizia. Non potremmo meritare di meglio, in Italia, di questi due galantuomini garantisti, che da sponde opposte (il liberalismo conservatore e illuminato, la sinistra libertaria poco incline alle manette) giungono a conclusioni simili. A partire dalla separazione delle carriere, e dalla riduzione della barbarie del carcere preventivo. Vi si leggono anche molte illuminate parole sulle intercettazioni (e qualche parola ingiusta sul caso Tortora ). Top 5 – Extravaganzas 1. Frédéric Pagès, La filosofia o l’arte di chiudere il becco alle donne (Il Melangolo).Divertimento dotto sulla misoginia come precondizione del filosofare. Per chi non se la sente di affrontare le centinaia di pagine di Sesso e carattere di Weininger. 2. Francesco Chiesa, Galateo della lingua (Edizioni La Scuola). Bisognerebbe scriverne uno nuovo, aggiornato ai nostri tempi e al dilagare del “piuttosto che” o dell’“assolutamente sì”, cafoni che non siamo altro. Questo è del 1942. Ci siamo abituati a sentir dire che le bandiere garriscono al vento, ma nessuno “ha mai udito una

550 Post/teca bandiera far il verso dei gabbiani o delle comari arrabbiate: metafora insopportabile attraverso le ripetizioni”. 3. Ruggiero Capone, Br esoteriche (Pagine edizioni). Le Brigate Rosse erano una setta di assassini dediti al culto di Osiride, il lato sinistro del potere iniziatico, e il loro simbolo – la stella a cinque punte – era in realtà il Pentacolo dei satanisti. Tutto torna. Ne scrissi qui . 4. Nicola Pezzoli, Tutta colpa di Tondelli (Kaos). Un autore non pubblicato racconta la sua vicenda di autore non pubblicato, ed è, questo, l’unico suo libro che viene pubblicato. Ne ho già scritto . La risposta scanzonata alle petulanti Lettere a nessuno del petulante Antonio Moresco, il libro più miserabile che ho letto nel 2009. 5. Ivan Bloch, La vita sessuale dei nostri tempi nei suoi rapporti con la civiltà moderna(Sten). Scritta nei primi del Novecento, è una formidabile opera medico-filosofica sulle abitudini sessuali della specie umana, scritta da un “medico specialista delle malattie celtiche e cutanee a Berlino”, come recita il frontespizio. Un libro dove, per dirne una, la passione erotica per bambole e manichini è accostata alla necrofilia, e a una terribile fantasia libertina di un anonimo scrittore settecentesco, e a Pigmalione, e a cent’altre cose. La mia edizione ha in appendice anche “tre capitoli originali di Cesare Lombroso su:L’amore nel suicidio, nel delitto, nella pazzia“. Top 5 – Classici 1. Martin Lutero, Contro i profeti celesti (Claudiana). L’intemerata di Lutero contro Carlostadio e gli altri Schwarmgeister, o entusiasti. I due temi di fondo – se la messa sia o meno un sacrificio, e se occorra distruggere le immagini – sono in fin dei conti ancora affar nostro. 2. Sebastian Franck, Paradossi (Morcelliana). Un grande e misconosciuto mistico della Riforma, osannato da Prezzolini, e anch’egli bersagliato da Lutero. Che stavolta, però, aveva torto.

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3. Francesco Petrarca, Secretum (Rizzoli). Per banale che sia, lo dico: mentre lo leggevo, avevo l’impressione che fosse lui a leggere me. Mi capita solo con Agostino, con Seneca, con i moralisti classici. Tra le altre, ho annotato questa frase, che dovrebbe far da bussola a molti ambiziosi: “Che se poi gli uomini conoscessero le miserie che accompagnano chi occupa i supremi gradi, avrebbero in orrore quello cui aspirano”. 4. Epitteto, Manuale (Garzanti). “Non frequentare senza ragione, con tanta facilità, le pubbliche letture”. Dunque la mia avversione per la moda dei reading può vantare nobili ascendenze stoiche. 5. Tomasi Di Lampedusa, Il Gattopardo (Feltrinelli). “Ma come, non l’avevi letto?”. No. Cercavo la chiave giusta, e me l’ha offerta Cristina Campo elogiando, di Lampedusa, “la sua titanica ironia, la sua prodigiosa indifferenza ai falsi problemi, la spiegata felicità del suo ritmo; qualcosa di simile a una di quelle arie illustri e negligenti che i gentiluomini di un tempo fischiettavano avviandosi al duello: giacché null’altro è il libro del principe di Lampedusa se non un duello all’ultimo sangue tra la bellezza e la morte, e la sua morte, tra l’altro”. Così, l’ho letto infischiandomene per quanto possibile di sociologismi, questioni meridionali e fallimenti risorgimentali. Bottom 5 – Ridatemi i Soldi 1. Jonathan Littell, Racconto su niente (Nottetempo). Ci sono autori di un solo libro. Dirò di più: sono la maggior parte. Ma nessuno glielo dice, men che mai lo ammettono loro a sé stessi, e così inanellano, pur essendo biologicamente vivi, scritti postumi. Dopo leBenevole, va pur detto, Littell non ha scritto che inezie. 2. Roberto Bolaño, La letteratura nazista in America (Sellerio). Conoscere un autore che molti dicono grande per mezzo di un brutto libro è una sfortuna, ma è quel che mi è capitato, e non so se leggerò più 2666 o I detective selvaggi. Peccato. 3. Giorgio Saviane, L’inquisito (Lerici). Il libro, del 1961, non è

552 Post/teca granché, anche per gli appassionati di romanzi giudiziari. Peggio ancora le circostanze della sua ripubblicazione, nel 1994, sull’onda delle inchieste sulla corruzione e con introduzione di Pier Luigi Vigna (!). Saviane sentì il bisogno di aggiungere una prefazione in cui si mostrava quasi pentito di aver dato nobiltà morale alla figura dell’inquisito. Erano i tempi, ricordiamolo, in cui “avviso di garanzia” equivaleva a “giudizio di Cassazione”. 4. Harold Bloom, Angeli (Bollati Boringhieri). Chissà perché, varcati i sessant’anni, molti dotti, letterati e filosofi di solida dottrina s’incapricciano degli angeli e sentono il bisogno di scriverci un libro. L’ultimo, a quanto pare, è Agamben. Quello di Bloom asseconda la sua lunga fase declinante, di cui Omens of the Millennium era un’avvisaglia fin troppo chiara. 5. Giuseppe Cruciani, Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare Battisti (Sperling & Kupfer). Un pamphlet, un libro di battaglia, dovrebbe puntare a convincere gli incerti e i tentennanti, o quanto meno a innescare un dibattito con la parte avversa. Ma unpamphlet sovreccitato e sopra le righe, che grida a ogni pagina “assassino”, “complici” e “vergogna”, sortisce tutt’altro effetto: allontana i dubbiosi, fa erigere un muro di dispetto ai contrari, e infastidisce chi è già persuaso della bontà della causa. E allora, perché scriverlo? E soprattutto: per chi? fonte: http :// www . internazionale . it / il - guvi - book - award -2010/

------La stupidità non si divide e non si somma, è sempre tutta intera. Questo significa non solo che prendere uno stupido o prenderne cento

553 Post/teca è la stessa cosa, ma significa anche che basta una sola persona stupida per avere una società di stupidi. Basta uno solo che rubi per dover chiudere le porte a chiave, uno solo che pasticci i muri per avere i muri pasticciati, uno solo che depositi stronzi di cane in strada per obbligarti a guardare dove metti i piedi. La stupidità è così, omeopatica. " — in coma è meglio : IL GUSTO DI FAR MORIRE CARLO (via gianlucavisconti, oneblood, uds) (via batchiara)

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"Non basterà uno yoghurt per risolvere la tua stitichezza mentale." — (via littlemisshormone) (via coqbaroque)

------rinello: la vera bellezza deve lasciare insoddisfatti: deve lasciare all’anima una parte del suo desiderio.

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Amélie Nothomb, “Le Sabotage amoureux”

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"Nella solitudine, il solitario divora se stesso. Nella moltitudine, lo divorano i molti. Ora scegli." — - Friedrich W. Nietzsche (via imlmfm)

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“ Un bambino faceva le bolle di sapone Dalla finestra quando mi fucilarono Sulla piazza piantata di alberi senza nome, una mattina deserta con poco sole tra i rami secchi che non trattenevano le voci, tra quinte grige di imposte sprangate oscillavano effimere formazioni, grappoli subito disfatti in acini trasparenti. Un bimbo, solo una tenera macchia viva In un rettangolo nero, c’era un vasetto rosso sul davanzale, la sola cosa rossa di quel giorno tutto grigio, io non potevo vedere i suoi occhi sentivo la sua anima appendersi dondolando in cima alla cannuccia di paglia, staccarsi con un brivido, volare in silenzio, trattenere il fiato per pregare il vento, attraversare il poco sole in punta di piedi, rapita in una smorfia di felicità. I miei carnefici gli voltavano le spalle, nessuno di loro potè vedere le sue mani sollevarsi in adorazione quando una bolla più gonfia,la più bella di tutte, partì dal davanzale come un pianeta di cristallo e prima di scendere salì verso il tetto come una preghiera, come una favola,

555 Post/teca piena d’ogni dolcezza che non si può perdere, intatta e vera per il suo tempo giusto, non ci sono abbastanza plotoni d’esecuzione in questo mondo e in ogni altro per fucilare tutte le bolle di sapone.

“Fucilazione” di Gianni Rodari. (Grazie a Massimo Vitali ) (via seia) via: http ://365 albe . tumblr . com /

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Nada si racconta: così la mia vita è cambiata

Tutto nasce da un romanzo, Il mio cuore umano, uno struggente, appassionato fiume di parole nello stile di Nada che racconta la storia di un’infanzia e di un’adolescenza nella Toscana tra gli anni ‘50 e ‘60, di un’educazione sentimentale indimenticabile e selvaggia alla vita, delle vicende di una famiglia toccata dall’amore e dalla follia. Da questa storia nasce Musicaromanzo uno spettacolo che vede la bambina protagonista del libro raccontare della sua crescita, del tempo che passa fino a diventare donna, e contemporaneamente racconta di un ritorno all’infanzia vista, però, oggi, con gli occhi della maturità. Nello stesso istante la bambina si vede donna e la donna si vede bambina e insieme raccontano la vita, vista ognuna con gli occhi dell’altra. Storie, poesie, prosa e canzoni, incontri e scoperte per dar vita ad un romanzo in musica che racconta le visioni, i sogni, gli amori, le ferite e le paure alla ricerca di un equilibrio tra l’ingenuità del passato e la conquista del futuro. Musica, parole e Nada sul palco (sta girando l'Italia, se vi capita non perdetela) con la sua un'anima fiammeggiante.

Quello che segue è uno stralcio tratto da Musicaromanzo

Era la fine di Febbraio esattamente il periodo di carnevale. Da tutte le parti si festeggiava. Quella sera mio padre e mia madre erano andati a ballare in un paese vicino, mia madre ballò così tanto che le si

556 Post/teca consumarono i tacchi, continuò a ballare a piedi nudi, sembrava felice, tornata in se, e la notte tardi tornando a casa mio padre fermò la Vespa in una stradina di campagna e fecero l´amore sotto la luna piena. Fu così che: il 17 Novembre 1953 alle ore 17 sono nata a Gabbro vicino a Livorno . La prima a vedermi fu mia nonna Mora che disse: "Non è tanto bella" e precisò "sembra un coniglio". piove piove lento lento e fa freddo tira il vento nella casa sta il bambino nel suo nido l'uccellino prese fuoco il mio gattino e il ranocchio senza ombrello sotto un fungo sta ben bello

Io, bambina innamorata della luna,non dormo mai. Sono molto triste,ho paura della morte,suonano le campane fuori nella piazza,chiudo gli occhi,tutto è fermo anche se sembra in movimento,mille cose da fare,crescere è un dovere,mi alzo, mi allungo,tocco il cielo,piego le mie ossa in una terribile mossa.Provo a spingere la memoria e si rimettono, si annodano insieme milioni di fili,è’ un insieme di neuroni di piccoli nodi che fanno di me un essere speciale;ci sono voluti pensieri intrecciati,milioni di aghi e buchi neri perduti nelle pareti bianche, ed ora nella mia stanza la guerra è finita,è tutto in orario,il treno è partito,un vecchio sta fumando il sigaro...è’ un disegno che si è ingrandito,partito da un puntino bianco e adesso è lì nel meccanismo perfetto.E si rimettono si annodano insieme milioni di fili in rete,mi comunicheranno che il mare è ingrossato,che la montagna si è sbriciolata come la panna...milioni di bolle che volano tra nuvole di sabbia che esplodono, i sogni si infrangono tra le onde dell'oceano.Io prigioniera sul davanzale sorrido al destino che avanza e imbroglia la mia fiducia in tutti questi meravigliosi oggetti che mi ruotano intorno: aeroplani,foglie di granoturco...e il mio cane che aspetta in silenzio che finisca una sera d’estate,e le rane non sanno più cosa sono,hanno perso l'identità,si credono ragni e si arrampicano sui soffitti ed io mi chiedo: chi sarò domani se sarò, chi sarò ?

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Fu proprio quella mattina di Luglio del 1968 che, mentre un temporale estivo scuoteva le coscienze e nelle piazze di tutta Italia scoppiava la rivoluzione, io, mio padre e mia madre salimmo sul pullman che ci portò alla stazione. Alla stazione prendemmo il treno e da quel momento non parlai piu....

Lei non parla mai lei non dice mai niente ha bisogno d'affetto e pensa che il mondo non sia solo questo non c'è niente di meglio che stare ferma dentro a uno specchio come è giusto che sia quando la sua testa va giù

Era la prima volta che salivo su un treno, ma non mi importava niente, non vedevo niente. Il mio sguardo correva sulla mia vita come il treno su quei campi.

Vidi tutte le cose che amavo, ad occhi aperti, su quelle case che tremavano, su quegli alberi che sparivano e il dolore era così forte che ebbi paura per il mio cuore umano. E mentre mia madre mi asciugava le lacrime seppi con certezza che la mia vita sarebbe cambiata.

30 gennaio 2011

Fonte: http :// www . unita . it / culture / nada - si - racconta - br - cosi - la - mia - vita - e - cambiata -1.269162

------"E scrivo della scoperta di Tumblr, o meglio, della continua, lenta riscoperta. Che non è uno strumento nuovo ma l’avevo sottovalutato, non l’avevo capito forse. Ed è una scoperta delle persone e della loro

558 Post/teca umanità piu che della piattaforma, una scoperta delle persone che però la piattaforma favorisce. La regola è l’ascolto, è un luogo dove citi contenuti altrui, dove le uniche azioni consentite sono il like e il reblog. Nessun commento. Nulla. Si comunica in qualche modo a gesti, che quello è sufficiente a mostrare il tuo sentirti in sintonia. Ho trovato un luogo che trasuda poesia, la poesia delle cose, moltiplicata e amplificata da tanti occhi che la sanno cogliere. Cogliere e insegnare." — intima socialità - Il blog di Roberta Milano (via batchiara)

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"Viaggiare insegna lo spaesamento, a sentirsi sempre stranieri nella vita, anche a casa propria, ma essere stranieri fra stranieri è forse l’unico modo di essere veramente fratelli." — cit. da Roberta Milano (via imod) (via maisuccesso)

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CONFRONTO TRA CLAUDIO MAGRIS E V.S.NAIPAUL In viaggio alla scoperta dell’altro

Un genere letterario insidioso, che mise in difficoltà anche Ibsen

UDINE — Dialogo attorno al viaggio. O meglio, attorno alla letteratura di viaggio: i modi per affrontarla, l’evoluzione, i segreti (se ve ne sono), i rischi. Due importanti scrittori— sir V. S. Naipaul, premio Nobel, e Claudio Magris, finissimo letterato e saggista — si confrontano e offrono un racconto sorprendente e ricco di spunti per il lettore, che poco

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sa, e forse neppure immagina, di quel che sta prima dell’opera. Dei preliminari, degli interrogativi che lo scrittore si pone al momento di affrontarla. Sia Naipaul, londinese ma nato nelle Antille da una famiglia caraibica discendente dagli immigrati indù, che Magris, triestino di cultura mitteleuropea, hanno scritto libri di viaggio. «Consapevoli delle difficoltà per l’io narrante che deve trasferire sulla pagina cose viste e vissute, persone, luoghi, paesi e paesaggi. Facendo i conti con l’esterno, attraverso se stessi. Qual è il metodo, allora, per superare l’impasse? Scrivere del viaggio— si chiede e chiede Magris a Naipaul— aumenta il controllo o libera maggiori emozioni?» .

Il confronto tra i due intellettuali si svolge a Udine, a buon diritto capitale della cultura — ogni anno per un giorno — in occasione del Premio Nonino, che si avvicina ormai al traguardo dei quarant’anni, con il richiamo dei personaggi più importanti dell’umanesimo mondiale: scrittori, drammaturghi, registi, antropologi, scienziati. L’albo d’oro mette in mostra molti nomi, talvolta non di facile richiamo, ma di peso. Fatto sta che, da questa edizione, come appendice della premiazione nella distilleria della famiglia Nonino, a Percoto, si è deciso di aggiungere, con il patrocinio del Comune, l’evento pubblico nel teatro Palamostre del capoluogo friulano. L’esordio ha coinvolto il presidente della giuria internazionale del Premio e uno dei giurati di lungo corso: Naipaul e Magris, appunto. Per inciso, il primo vinse il «Nonino» nel 1993, anno in cui la giuria era presieduta dal secondo. Introduce lo scrittore italiano, interpretando, con alcune considerazioni, il pensiero del romanziere indiano. «Secondo Naipaul, viaggiare significa affrontare innanzitutto il diverso. Può essere un mondo lontano, ma anche un luogo vicino— dice Magris —. Egli è ritornato, a distanza di tanto tempo, nel suo villaggio natale, Chaguanas, vicino a Trinidad. E ha scoperto una nuova visione del suo mondo, come se i suoi fossero gli occhi del visitatore, dell’altro. Viaggiare è comunque uscire da sé. Per me, ad esempio, è come andare a pesca, buttare la rete a casaccio, raccogliendo poi varie cose: storie vicende personaggi» . «Il punto nodale — continua — è poi capire la differenza tra il viaggiare e lo scrivere del viaggio. Realtà o fiction?» . Naipaul attacca con una premessa semplice, quasi banale: «Viaggiare, in sé, significa vedere ciò che non conosciamo» . E, dopo aver

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ricordato i pessimi libri di viaggio che si scrivevano tra le due guerre («sembravano bollettini di statistica con elenchi di località» ), ricorda la nascita successiva della letteratura di viaggio, complice la sensibilità dei nuovi scrittori. Ma poi va al punto: cioè l’importanza del viaggio a tema e della conseguente narrazione. «Non si tratta solo di narrare le parti del mondo che vediamo — spiega — ma di comprendere in quale direzione il mondo si sta muovendo» . «Ci ho messo un po’ a capirlo — dice — A capire che occorre andare oltre» . Cita, allora, il famoso drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, che fece fiasco raccontando l’inaugurazione del Canale di Suez, nel 1869. «Era stato invitato per l’occasione; pensò di ripagare scrivendone il resoconto. Trascrisse ciò che aveva visto, per filo e per segno. Risultato meno che mediocre» . «Se scriviamo senza uno scopo — puntualizza — significa che non abbiamo molto da dire. Alcuni pensano di ricavare cose interessanti puntando sulla descrizione di posti esotici. Inutile» .

Senza contare che alcune bellezze sono un’invenzione. Lo fa notare Claudio Magris, a proposito dell’universo caraibico, da dove Naipaul proviene. Oggi si parla di resort e di spiagge da sogno, ma «la sua Trinidad era un ambiente composto da comunità misere, chiuse, separate, indifferenti» . «Eppoi che significa bellezza di un posto?— si domanda l’interlocutore — È solo un’idea. Cent’anni fa, i viaggiatori europei visitavano Trinidad e Panama indossando vestiti pesanti, muniti di ombrello parasole. Insomma, erano costretti a difendersi da quella natura che oggi viene sfruttata ed esaltata» . Il dialogo continua, sul filo della letteratura e del romanzo tout court. Che è figlio del proprio tempo. Con una conclusione, a cui si unisce con un breve intervento Javier Marías, vincitore del Nonino: quando si scrive, non si sa mai dove si va.

Marisa Fumagalli 30 gennaio 2011(ultima modifica: 31 gennaio 2011) fonte: http :// www . corriere . it / cultura /11_ gennaio _30/ india - fumagalli _ bab 3 ac 18-2 c 5 a -11 e 0- b 8 e 2- 00144 f 02 aabc . shtml

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