UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Lettere Moderne

LO SPAZIO, LA STORIA LA CULTURA: IL SALOTTO DI

Relatrice: Chia.ma Prof. Giuliana Nuvoli

Laureanda: Marianna D’Agostino

ANNO ACCADEMICO 2010-2011

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Introduzione

Coniugando alcune letture che avevo fatto sulle donne del Risorgimento e la partecipazione ad un progetto per l’Expo 2015 sulla riscoperta dei “luoghi dimenticati” della Lombardia, ho deciso di analizzare la figura di Clara Maffei, patriota e letterata milanese, e del palazzo in cui visse per trentasei anni e dove tenne uno dei salotti letterari più illustri dell’epoca. L’edificio in questione è Palazzo Olivazzi, situato nel pieno centro di Milano, ad angolo tra via Bigli e via Manzoni.

Il primo capitolo dell’elaborato si può suddividere in due parti: nella prima troviamo una breve storia urbanistico – architettonica di Milano nel XVIII - XIX secolo, storia che è indiscutibilmente legata alle dominazioni a cui Milano fu sottoposta nell’arco di diversi secoli; nella seconda parte si analizza la storia di Palazzo Olivazzi, ricostruendola tramite pratiche edilizie, dall’anno 1814 fino al 1909. Tutte le notizie riportate sono frutto di un’indagine effettuata presso l’Archivio storico del Comune di Milano, in particolare presso il Fondo Ornato Fabbriche. L’apparato iconografico è molto ricco in quanto è stato possibile recuperare le pratiche edilizie del XIX – XX secolo che contenevano al loro interno numerosi disegni originali della facciata del palazzo, dell’interno e della planimetria stradale di via Bigli. Sono state altresì trovate piante della città di Milano risalenti anche al XVII secolo e una pianta dei danni della Seconda guerra mondiale, utile per concludere la nostra indagine. È stato infatti scoperto che il seicentesco palazzo oggetto del nostro studio, dopo aver subito numerosissime modifiche a metà Ottocento, è stato poi interamente distrutto (fatto salvo per la facciata) durante i bombardamenti del 1944-45 pertanto oggi non è più possibile capire qual è l’appartamento che fu abitato da Clara Maffei, né tantomeno siamo in grado di risalire alle storiche suddivisioni degli spazi dell’edificio.

Nel secondo capitolo l’attenzione si sposta sulla contessa Clara Maffei. Figura interessante sotto diversi punti di vista e molto moderna. Separata dal marito, visse da sola nell’appartamento di via Bigli, restando legata per oltre quarant’anni a Carlo

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Tenca e intessendo una rete di relazioni che ebbero un certo rilievo nella storia di Milano e dell’Italia. L’elaborato si pone infatti l’obiettivo di dimostrare, attraverso i numerosi incontri che ebbe la contessa con personalità illustri di metà Ottocento, l’importanza storico-politica che ebbe il suo salotto letterario. Si è scelto di approfondire in particolare l’amicizia di Clara Maffei con Giovanni Visconti Venosta letterato, politico e patriota; con Giannina Milli, poetessa estemporanea di odi e carmi sull’Italia, figura pressoché sconosciuta ma che mette in luce il sentimento femminile nella causa dell’Unità; e con il musicista , il quale, ad esempio, creò un forte sodalizio artistico con Arrigo Boito, grazie alla contessa che lo aveva conosciuto nella propria dimora e aveva deciso di presentarlo al Maestro.

Nel terzo ed ultimo capitolo sono stati trascritti e brevemente commentati alcuni documenti inediti di grande valore conservati presso la Biblioteca Nazionale Braidense. Si tratta di componimenti poetici di diverso tipo (odi in vario metro, un sonetto, componimenti in ottave e sestine …) trovati in uno dei cosiddetti Album dei ricordi di Clara Maffei. Si tratta di quattro quaderni che coprono gli anni dal 1837 al 1864, e che possono essere definiti come un ibrido tra un diario personale della contessa e un insieme di poesie a lei dedicate dai numerosi ospiti del salotto. Le parti personali sono state scritte in francese, mentre la maggior parte delle dediche sono in lingua italiana. Alcune pagine sono state strappate o tagliate via, probabilmente perché contenevano parti piuttosto intime o che riguardavano la vita sentimentale tra i due coniugi Maffei. All’interno degli Album sono stati inoltre ritrovati una stampa della Maffei, e dei fiori secchi, probabilmente raccolti dalla stessa Clarina, che si sono conservati per quasi due secoli tra le pagine scritte. Si è scelto di riprodurre sette componimenti di sette persone diverse, tutte legate da un fattore comune: l’amicizia con Clara Maffei. Sono state brevemente raccontate le loro vite ma si è deciso di non approfondire con grande dovizia di particolari i loro carmi in quanto non si tratta di grandi poeti ma di semplici ospiti che si improvvisarono verseggiatori per lasciare qualcosa di gradito alla loro amica. L’elaborato mette in evidenza il legame fortissimo tra spazio e cultura, mostrando come spesso, luoghi oggi anonimi e dimenticati che un tempo erano palazzi fastosi,

3 raccolgono tra le loro mura ricordi di un passato ricchissimo dal punto di vista storico, politico e sociale.

CAPITOLO I

Lo spazio. Palazzo Olivazzi e dintorni

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Clara Maffei, il personaggio oggetto del nostro studio, abitò da coniugata in via Tre Monasteri (oggi via Monte di Pietà), in Corsia del Giardino (oggi via Manzoni) e infine, negli anni più rigogliosi del suo salotto letterario, in via Bigli. Abbiamo perciò preso in esame l’ultimo palazzo abitato dalla contessa, allargandoci talvolta sulle vie adiacenti, e quindi più in generale su quello che oggi è considerato il centro storico di Milano.

1.1 Breve excursus storico - urbanistico su Milano tra i secoli XVIII e XIX

Per comprendere i cambiamenti architettonici di un palazzo e relazionarli all’interno del quartiere in cui esso è collocato, crediamo sia doveroso fare un breve cenno sulla storia di Milano poiché si tratta di una città che è stata sotto l’influenza di molteplici dominazioni e ognuna di queste ha portato mutamenti non solo in ambito socio- politico ma anche urbanistico e architettonico. Il dominio francese iniziò nel 1499 dopo una guerra che vide il re francese Luigi XII vittorioso contro la nobile famiglia degli Sforza, allora Signori di Milano. Successivamente Milano fu contesa tra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia che la perse in una battaglia a Pavia nel 1525. La città passò così nelle mani degli Spagnoli ma, grazie anche all’intervento del papa Clemente VII e del versamento di una cospicua somma di denaro, venne posta sotto il dominio di Francesco II, ultimo degli Sforza. La dominazione spagnola durò quasi due secoli, fino al giorno in cui venne firmato il Trattato di Rastadt, nel 1714, quando la Lombardia passò alla corona austriaca. Milano divenne così proprietà dell’Austria fino al 1859, salvo due piccole parentesi di dominazione francese (quella franco-sabauda del 1733-36 e quella napoleonica del 1796-1814). Durante il dominio spagnolo Milano conobbe lo stile barocco e rococò ma, trattandosi di un periodo caratterizzato da incertezza politica, la naturale conseguenza fu un certo degrado urbano e sociale come ci racconta anche ne I promessi sposi. Successivamente con la dominazione austriaca le cose migliorarono: dall’ingresso delle truppe di Napoleone Bonaparte fino all’indipendenza del 1859

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Milano conobbe un notevole sviluppo urbano poiché stava diventando una città industrializzata e più prettamente commerciale. Il numero delle abitazioni crebbe sempre all’interno della cerchia delle mura spagnole che, all’inizio del XIX secolo, contenevano al loro interno uno spazio di 8,2 milioni di metri quadrati per un totale di 3,5 metri quadrati di superficie coperta da edifici a cui si aggiungevano 4,7 metri quadrati di giardini, orti e spazi pubblici. La popolazione milanese invece era di 135 mila abitanti nel 1801 e 192 mila nel 1861 1, pertanto lo spazio all’interno dell’area bastionata era quasi in esubero rispetto al numero di occupanti. Fu proprio in quegli anni che l’organismo urbano, espandendosi, si indirizzò verso la periferia, in direzione del Castello Sforzesco, dove l’area era rimasta alquanto libera da case e coltivazioni per lasciare spazio a luoghi di difesa militare. Fino alla fine del Settecento non c’era modo di identificare l’immagine della città poiché i diversi governi che si erano susseguiti a Milano non avevano messo a punto dispositivi di conoscenza dell’edilizia cittadina (come rilievi della città e del territorio o mappe catastali). Fu a partire dalla dominazione di Maria Teresa d’Austria 2 e di suo figlio Giuseppe II 3 che le cose iniziarono a cambiare. Al “periodo delle successioni” che va dal 1714 al 1748, seguì infatti quello che dagli storici è denominato “periodo delle grandi riforme”. Fu proprio in quegli anni che vennero soppressi alcuni monasteri i cui ordini non erano stati riconosciuti dalla Chiesa e vennero sostituiti, nei medesimi edifici, da scuole, biblioteche, collegi e ospedali. Evidentemente il governo austriaco, come del resto quello della parentesi francese,

1 Lucio Gambi e Maria Cristina Gozzoli, Le città nella storia d’Italia. Milano , Editori Laterza, Bari 1982, p. 203 . 2 Maria Teresa d'Asburgo (Vienna, maggio 1717 – Vienna, novembre 1780) fu arciduchessa regnante d'Austria, regina regnante di Boemia, Croazia e Slavonia, duchessa regnante di Parma e Piacenza e inoltre granduchessa consorte di Toscana e imperatrice consorte del Sacro Romano Impero in quanto moglie di Francesco I. Fu madre degli imperatori Giuseppe II e Leopoldo II, nonché di Maria Antonietta, regina di Francia, e Maria Carolina, regina di Napoli e Sicilia. Durante il suo Regno, fu combattuta la Guerra di successione austriaca che durò otto anni, dal 1740 al 1748. 3 Giuseppe Benedetto Augusto Giovanni Antonio Michele Adamo Davide II d'Asburgo- Lorena (Vienna, marzo 1741 –Vienna, febbraio 1790) fu imperatore del Sacro Romano Impero e Duca di Milano, associato al trono con la madre Maria Teresa dal 1765, e da solo dal 1780, alla morte di lei. Durante il suo regno, fu visto dai contemporanei come il tipico rappresentante del "dispotismo illuminato" e come imperatore continuò l'opera della madre. La sua politica ecclesiastica fu chiamata Giuseppinismo ; con essa, l'imperatore intendeva unificare nelle mani dello Stato i poteri sul clero nazionale, sottraendoli al papa ed ai suoi rappresentanti

6 dava più importanza ai servizi pubblici e alla centralità del cittadino rispetto al governo spagnolo. La città cercò di darsi un assetto uniforme, quantomeno nelle facciate degli edifici che erano sotto gli occhi di tutti. Venne così istituito, a partire dal 1777, l’obbligo di sottoporre i disegni delle nuove fabbriche e delle facciate dei palazzi al professore di architettura a Brera e al giudice delle strade 4.

Pianta di Milano del XVIII secolo

4AA. VV, L’espansione della città di Milano attraverso alcuni episodi significativi della sua storia , Politecnico di Milano, Facoltà di architettura 1997, pp. 22 – 23.

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1.1.1 Nascita della Commissione d’Ornato e alcuni cambiamenti Nel 1807 nacque ufficialmente con un proclama reale la Commissione d’Ornato, ossia una commissione facente capo al podestà di Milano e a cinque famosi architetti – Luigi Cagnola, Giocondo Albertolli, Giuseppe Zanoja, Paolo Landriani, Luigi Canonica – il cui incarico era di approvare o meno progetti di cambiamento o rifacimento delle facciate degli edifici privati a lato strada. In realtà la Commissione esisteva già da almeno tre anni, come testimoniano alcuni documenti datati 1804, ma l’avviso di ufficializzazione è di quell’anno. Erano stati gli Austriaci, il cui rigore estetico è ben conosciuto, a volere una commissione autorizzata dalle istituzioni statali che si occupasse di uniformare lo stile della città, rendendola più elegante. Inizialmente la Commissione si occupava solo dei palazzi che rientravano all’interno della cinta muraria, senza prendere in considerazione Corpi Santi, l’insieme di cascine e piccoli borghi che costituiva il suburbio di Milano appena fuori dai bastioni. Fu a partire dal 1812 che le cose cambiarono e anche Corpi Santi venne sottoposta al controllo del Municipio. Lo stato divenne così il garante assoluto dell’immagine della città e responsabile del gusto e del decoro anche perché era formatore di figure professionali come architetti, capi mastro e decoratori, «tuttavia l’assenza di un piano e di un ordinamento generali non consentono di configurare entro metà Ottocento una disciplina urbanistica» 5. Sempre nel 1807 ci fu il tentativo della creazione di un piano regolatore, detto “piano regolatore neoclassico”, poiché si differenziava dall’idea urbanistica dell’ Ancien Régime che prevedeva una costruzione per parti 6 e quindi non uniforme, ma per svariati motivi tale piano non venne mai realizzato. Fu con l’inizio del Risorgimento che Milano, in particolare nella persona di Carlo Cattaneo 7, si pose il problema di uno stile nuovo, adatto a diventare uno stile nazionale e adeguato al rapido cambiamento dei tempi moderni. Infatti nel decennio

5 Ibidem. 6 Ibidem. 7 Carlo Cattaneo ( Milano 1801 - , 1869), storico, economista e uomo politico. Nel 1839 fondò la rivista «Politecnico», repertorio mensile di studi applicati alla cultura e alla prosperità sociale, che durò fino al 1844 per poi risorgere nel 1859. Partecipò attivamente alle Cinque giornate di Milano come capo del Consiglio di guerra. Repubblicano e federalista dovette però cedere il campo ai moderati filo-piemontesi e nel 1848 si ritirò a Parigi e quindi in Svizzera. Eletto nel 1860 deputato, non entrò mai alla Camera per non prestare il giuramento monarchico.

8 che va dal 1834 al 1844 furono ampliate e abbellite più di 800 case 8. E ancora nel 1884 -anno che segna in un certo senso la conclusione della prima fase di espansione urbana oltre la cerchia muraria con l’episodio della lottizzazione del Lazzaretto 9 - la rivista «Milano tecnica» scriveva che coll’aprirsi della nuova era di indipendenza politica della Lombardia e dell’Italia in seguito agli avvenimenti del 1859 sorse e prese tosto sviluppo in Milano quel potente risveglio edilizio che valse in breve volgere di anni a trasformare, quasi per opera di incanto, i più importanti nuclei dei vecchi abitati compresi nell’antica cerchia della città.10

Questo potrebbe pertanto spiegare i numerosi cambiamenti edilizi che vennero fatti anche nel palazzo oggetto del nostro studio, come testimoniato dalle numerose pratiche analizzate che riportano domande e notifiche di cambiamenti architettonici quasi ogni anno nel periodo tra il 1831 e il 1840.

1.2 Palazzo Olivazzi Palazzo Olivazzi si trova nell’attuale via Bigli 21, parallela di via Monte Napoleone, nel pieno centro di Milano. Costruito nel XVII secolo, è stato indicato nelle pratiche catastali con diverse denominazioni poiché una parte di esso si affaccia anche su via Manzoni, all’epoca Corsia del Giardino, e poiché aveva il cortile in comune con Palazzo Poldi Pezzoli (oggi situato in via Manzoni al civico 12), allora Palazzo Porta. Nelle pratiche d’archivio lo troviamo infatti indicato come palazzo di Contrada dei Bigli sia numero 1227 che 1231. Oggi parte di quello che nell’Ottocento era indicato con il civico 1227, è in realtà un insieme di palazzi situati in via Manzoni.

8 Maurizio Grandi, Attilio Pracchi, Milano.Guida all’architettura moderna , Zanichelli, Bologna 1984, p.8 9 Il Lazzaretto venne fissato come luogo di ricovero degli appestati nel 1488 dalla Repubblica Ambrosiana che ne affidò il controllo all’Ospedale Maggiore di Milano. Nel 1797 fu espropriato dal Governo Napoleonico della Lombardia e trasformato in Campo delle Federazione, dove si svolsero i festeggiamenti della Repubblica Cisalpina; per permettere l’ingresso delle truppe vennero demolite ventidue celle che, in seguito, furono ricostruite Fino al 1812 servì nuovamente a scopi militari; in quell’anno ne riprese il possesso l’Ospedale Maggiore, che fece un secondo tentativo di vendita, ma l’asta andò deserta. Da quell’anno, fino alla vendita, fu destinato ad abitazione, soprattutto di immigrati appena arrivati a Milano.Quando furono coperti i fossati sul Corso Loreto (l’attuale C.so Buenos Aires), vennero aperte numerose botteghe e vi si installarono piccole attività artigianali. Venne infine comprato, nel 1881, dalla Banca di Credito Italiano il cui intento era di demolirlo e di destinare l’area alla costruzione di un nuovo quartiere. Il progetto di edificazione venne approvato dal Comune di Milano nel 1882. 10 Ivi , p. 33.

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Quello che oggi risulta essere l’adiacenza di due palazzi distinti (il numero 21, a cui viene attribuito il nome “Olivazzi” e il numero 19 di via Bigli) era, all’epoca, parte di un unico numero civico, ma risulta difficile distinguere il confine tra i due edifici a causa di una questione storico-urbanistica di numerazione e denominazione delle strade e degli edifici di Milano.

Numerazione teresiana – particolare di Palazzo Olivazzi. Anno 1856

Fino al 1773-74 infatti non era presente la numerazione degli edifici . I riferimenti erano le chiese o palazzi pubblici più importanti. Non esistevano le “vie” ma le “contrade” (denominazione medievale che, per esempio è rimasta immutata a Venezia) che comunque non avevano alcun riferimento numerico. Con la sovranità di Maria Teresa d’Austria su Milano venne poi istituita la cosiddetta “numerazione teresiana” degli edifici che era in senso orario concentrico a partire dall’edificio numero uno ossia Palazzo Reale. Questa numerazione creava non pochi problemi in quanto l’espansione di Milano e la costruzione di nuovi edifici in aree già abitate, prevedeva che, per esempio, tra il numero 3245 e il numero 3246 si inserisse un nuovo numero che riprendeva la fine della serie – che intanto si avvicinava al numero 6000- . In una stessa strada, tre edifici vicini potevano avere

10 così questa consequenzialità di numeri: 3245, 5338 e 3246 generando così ancora più confusione tra i cittadini. Per ovviare a questa spiacevole situazione nel 1845 vennero istituiti i “numeri barrati” per eliminare i numeri saltuari dell’ordine delle cinque migliaia che creavano tanti dubbi. Utilizzando l’esempio precedente si avrebbe quindi: 3245, 3245/A, 3245/B, 3246. La numerazione teresiana rimase in vigore fino al 1865 convivendo con una numerazione sperimentale cominciata nel 1857 e chiamata “numerazione rossa” poiché era applicata con vernice, appunto, rossa. Essa era caratterizzata da numeri consequenziali apposti via per via ma senza l’identificazione del “pari” e del “dispari” ai due lati della strada. Questa novità venne invece introdotta a partire dal 1865.

Numerazione teresiana. Esempio di numeri civici barrati. Particolare di Palazzo Reale. Anno 1856

Palazzo Olivazzi, è stato chiamato così dal nome della prima famiglia che lo fece costruire, e la denominazione è rimasta immutata fino ad oggi. Uno dei due rami che componevano la famiglia dei marchesi Olivazzi, nobili piemontesi originari di Alessandria, si stabilì a Milano nel Seicento e qui Giorgio Olivazzi, giureconsulto e senatore della città, fece edificare un palazzo ad angolo tra

11 le attuali via Manzoni e via Bigli, con facciata ed entrata principale su quest’ultima via. Verso la fine del Settecento il palazzo divenne proprietà del conte Antonio Tanzi che creò un piccolo museo contenente stampe, porcellane e quadri di notevole importanza. Nel 1810 fu acquistato dal conte Francesco Nava (e non Tommaso, come indica L. Negri nel suo libro I palazzi di Milano 11 ), poi passò al figlio Giovanni, ai Poldi-Pezzoli e infine ai Trivulzio, che erano imparentati con questi ultimi. Per questo motivo l’edificio oggi riporta sulla facciata la targa con l’iscrizione “Palazzo Olivazzi – Trivulzio”. Per descrivere dal punto di vista architettonico il palazzo riporto una pagina dell’opera a cura di Giacomo Bascapè I palazzi della vecchia Milano 12 :

La semplice facciata, caratterizzata da un portale inserito in un immenso nicchione, contornato di bugne di granito, ha una balconata d’angolo, di linea mossa e ed elegante, di pietra con splendidi pannelli di ferro battuto a volute, foglie e fiori, uno dei più notevoli esemplari di barocco fiorito; il disegno si ripete nei balconcini verso la Corsia del Giardino, che si appoggiano, come il balcone d’angolo, su cartelle a fogliami di stucco, finemente modellate. […] Nella corte notarono il bel portico ad archi ribassati, su colonne doriche binate di granito rosa, e al primo piano le belle finestre sagomate, con timpani curvi e triangolari e balconi come nella facciata; di fronte all’ingresso una bella fontana con statua di Cupido in marmo bianco. Sotto l’androne a sinistra si apre un vestibolo a volta ribassata, che porta allo scalone d’onore, largo e arioso come di consueto, su due rampe con elegante balaustra di pietra, volta decorata a stucchi; al piano nobile una fuga di belle stanze arredate secondo i canoni della moda imperante. Osservato il giardino, ricco di fiori rari e piante ornamentali, che confina e si fonde con quello di Palazzo Porta […] 13

1.2.1 Dubbi sull’indicazione del piano abitato da Clara Maffei

Fu proprio in questo palazzo che visse per trentasei anni, dal 1850 al 1886, anno della sua morte, la contessa Clara Maffei, patriota e letterata italiana. E fu proprio qui che aprì le porte della sua dimora per accogliere gli ingegni più illuminati del suo tempo, creando uno dei salotti letterari più insigni dell’epoca. Dalle ricerche effettuate è emersa una contraddizione circa il piano abitativo della contessa. Secondo l’opera biografica a cura del giornalista Raffaello Barbiera 14 ,

11 Livia Negri, I palazzi di Milano: dall'edilizia rinascimentale fino alle creazioni dell'architetura del Novecento, arte, storia, aneddoti e curiosità dei grandi edifici della metropoli lombarda , Newton & Compton Editore, Roma 1998. 12 Giacomo Bascapè, I palazzi della vecchia Milano , Ulrico Hoepli Editore, Milano 1977, opera cit. 13 Giacomo Bascapè, I palazzi della vecchia Milano , Ulrico Hoepli Editore, Milano 1977, pp. 249 - 250.

12 la Maffei abitò al secondo piano del palazzo; invece in un’altra fonte molto più recente reperita presso il sito del Comune di Milano 15 , viene indicato come piano abitativo della contessa il terzo. I dubbi relativi al piano nascono, secondo la nostra ipotesi, dall’esistenza del cosiddetto “piano nobile”, nome che è stato dato, in epoca recente, al piano superiore al pianoterreno. È chiamato così poiché in passato era usuale che i nobili abitassero al primo piano, situazione molto più comoda e agevole in mancanza di ascensori e montacarichi, nonché soluzione abitativa più luminosa rispetto al pianterreno. Se supponiamo perciò, di chiamare “piano nobile” l’effettivo primo piano, il secondo piano verrebbe chiamato “primo piano” e il terzo piano “secondo”. Tuttavia la dicitura “piano nobile” è recente, pertanto risulta difficile pensare che contemporanei della Maffei, come il suo biografo Barbiera, abbiano potuto utilizzarla. Pertanto quello che è da lui indicato come “secondo piano” dovrebbe essere l’effettivo secondo piano e non il terzo, come indicato nell’altra fonte in nostro possesso.

1.2.2 Breve storia delle modifiche architettoniche del palazzo (1814 - 1909)

È abbastanza difficile reperire notizie circa cambiamenti e modifiche di palazzi privati, perché non sempre le pratiche si sono conservate nel tempo, tuttavia la nostra ricerca ha avuto esito particolarmente positivo, in quanto siamo riusciti a reperire fonti d’archivio sufficientemente numerose e interessanti. Studiando le diverse pratiche della Commissione d’Ornato presenti nell’Archivio storico del Comune di Milano, è possibile ricostruire la storia dell’edificio in un arco di tempo di quasi cento anni. La prima pratica relativa a Palazzo Olivazzi (indicato come edificio di proprietà del nobile Francesco Nava) è infatti datata 1814, mentre l’ultima 1909. La ricerca non si è spinta oltre perché abbiamo ritenuto opportuno analizzare i cambiamenti che avvennero mentre era in vita Clara Maffei, e negli anni immediatamente successivi alla sua scomparsa.

14 Raffaello Barbiera., Il salotto della contessa Maffei , Garzanti, Milano 1940 15 www.comune.milano.it/dseserver/WebCity/documenti.pdf

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Nei primi anni del XIX secolo l’edificio era così come lo abbiamo descritto ma i suoi proprietari fecero numerosissime domande di modifica di vario genere. La prima cartella (1814-1817) è anomala: si tratta infatti di una richiesta di modifica di una grondaia da parte del nobile Francesco Nava, seguita dall’approvazione della Commissione. Successivamente però viene contestato al nobile di non aver “solamente” sistemato la vecchia grondaia, quanto di averla rifatta completamente senza alcun permesso comunale. Addirittura vengono interrogati due bottegai dirimpettai del palazzo per testimoniare l’ardimentoso cambiamento, tale Giuseppe Suardi, salsamentario, e Gaetano Merlo, caffettiere. La vicenda della grondaia modificata si chiude nel novembre 1817, con l’ingiunzione da parte del Podestà verso il Nava a presentarsi presso il Municipio per pagare una qualche multa 16 ; questo a riprova dell’importanza che in quegli anni veniva data alla facciata esterna

Ingiunzione del Podestà a Francesco Nava Interrogatorio a Giuseppe Suardi - particolare

16 Così riportato nella cartella 184/4 dell’anno 1814, ASCMi Fondo Ornato Fabbriche I serie.

14 delle costruzioni cittadine, quando anche la modifica di una grondaia, o, come vedremo più avanti, del materiale con cui erano costruiti i davanzali, doveva essere comunicata e approvata. Le successive pratiche, a partire dal 1831, richiedono modifiche ogni anno, fino al 1834. Sono pratiche prive di disegni e piante in quanto riguardano la parte interna del palazzo, pertanto non erano ritenute necessarie. Le richieste vanno dallo spostamento di un camino alla costruzione di una bottega del vino 17 , all’ampliamento di due vani sempre per aprire esercizi commerciali. Degna di nota è l’unica domanda di modifica non accettata, quella del 1833-1834, in cui veniva richiesto l’abbattimento di un balcone di bottega 18 , balcone che però faceva da sostegno ad un pilastro vetusto e mal costruito 19 e pertanto, togliendolo, avrebbe potuto causarne la caduta. La Commissione Edilizia perciò, nonostante la grande importanza che dava all’esteriorità degli edifici, si occupava anche della messa in sicurezza degli stessi. Ancora piccoli cambiamenti negli anni 1836-1837, come costruzione di scale di servizio, cambiamento del materiale con cui erano costruiti i davanzali (dal cotto si passa al marmo) e ampliamento della stessa bottega del vino che era stata costruita qualche anno prima. È del 1839 invece la richiesta - con disegno allegato - del cambiamento della facciata della parte di palazzo che affacciava su Corsia del Giardino 1220 (attuale Palazzo Poldi Pezzoli, allora facente parte di un unico complesso architettonico).

17 Così riportato nella cartella 185/3 dell’anno 1832, ASCMi Fondo Ornato Fabbriche I serie 18 Così riportato nella cartella 185/4 dell’anno 1833, ASCMi Fondo Ornato Fabbriche I serie. 19 Ibidem .

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Rifacimento facciata civico 1220 di Corsia del Giardino

È del 1842, quando ormai il proprietario era il figlio di Francesco Nava, Giovanni, la modifica più importante: innalzamento di un terzo piano nel palazzo di Contrada dei Bigli sia 1227 che 1231. Di questa domanda l’unico disegno in nostro possesso riguarda l’innalzamento nella parte dell’attuale via Bigli 19; per vedere il cambiamento nella parte di palazzo facente capo a via Bigli 21, è necessario guardare una pianta del 1861.

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Notifica innalzamento terzo piano, 1842

Facciata lato via Bigli e lato di via Manzoni, 1842

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Facciata lato di via Bigli, 1861

Dal 1844 – anno in cui vennero proseguiti i lavori a seguito dell’innalzamento dei piani – fino al 1907 non c’è traccia di altre pratiche. Possiamo desumere che quando Clara Maffei si trasferì lì, nel 1850, il palazzo era sostanzialmente finito secondo le norme della Commissione d’Ornato. Le successive modifiche riguardano il biennio 1907-1909, mentre il proprietario era il principe Luigi Trivulzio, durante il quale viene richiesto l’innalzamento del terzo piano in via Bigli 19. Questa domanda di modifica ci fa giungere alla conclusione che probabilmente la precedente richiesta del 1842 non venne poi eseguita nella parte di via Bigli 19 ma solo in via Bigli 21. A differenza delle pratiche archiviate fino al 1861, in queste sono presenti anche le piante degli interni il che ci fa capire come fossero cambiati i compiti della Commissione d’Ornato che difatti era ormai diventata Commissione Igienico – Edilizia, a sottolineare che non contavano più tanto le facciate degli edifici quanto la loro corretta e sana abitabilità.

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Pianterreno Via Bigli, civico 19 – pianta

L’ultima modifica del palazzo è del 1909 e riguarda proprio via Bigli n°21. Si tratta della richiesta – accettata – di sopralzo dell’edificio, quindi, sostanzialmente della costruzione di un sottotetto. È possibile vedere le piante degli interni nonché i disegni della facciata. Come si nota dal cambiamento dei documenti da noi reperiti nell’Archivio, agli inizi del XX secolo la Commissione igienico – edilizia chiedeva che venissero presentate anche le piante degli interni in modo da visionare l’ampiezza dei locali, la luminosità, i materiali con cui erano costruiti i pavimenti, la funzionalità delle stanze, e, in particolare, della latrina, la quale era spesso motivo della non approvazione di una domanda di ampliamento o modifica. Ricordiamo infatti che Milano era stata diverse volte, nel corso della sua storia, colpita da epidemie di peste e di colera, pertanto la Commissione aveva il compito di prevenire, tramite anche la corretta disposizione dei locali delle case private, ulteriori pandemie.

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Prospetto sezione con sopralzo, 1909

La parte esterna di Palazzo Olivazzi – Trivulzio divenne così quella definitiva, visibile anche oggi. Tuttavia, analizzando la mappa dei danni della Seconda guerra mondiale, siamo venuti a scoprire che il civico 21 venne completamente distrutto al suo interno e il civico 19 in parte. Il palazzo è stato perciò interamente ricostruito nel secondo dopoguerra quindi la suddivisione degli appartamenti così com’era ai tempi di Clara Maffei non esiste più. Oggi l’appartamento dove probabilmente viveva la contessa è stato suddiviso in più parti abitate da privati e non visitabili. Rimane il balcone in ferro battuto ad angolo tra via Bigli e via Manzoni, dove si dice che Clara Maffei si affacciasse per salutare Giuseppe Verdi mentre egli alloggiava nell’hotel di fronte. Ma chissà se sarà poi vero … il balcone è al primo piano.

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CAPITOLO II

La storia. Clara Maffei, la sua vita, i suoi incontri

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2.1 Una breve biografia

Di Clara Maffei possediamo una quantità ragguardevole di notizie, tutte però “indirette” poiché recuperate da descrizioni, diari e lettere di altre personalità di quel tempo che la incontrarono o che si legarono a lei e al suo salotto. L’unica biografia in nostro possesso è quella di Raffaello Barbiera, giovane letterato che, non ancora ventenne, fu ospite assiduo di casa Maffei. La prima edizione della biografia è del 1895 (quasi dieci anni dopo la morte della Maffei) mentre l’ultima è del 1940. Una biografia più recente è quella di Daniela Pizzagalli, pubblicata nel 1997. Quest’opera si basa senza dubbio sull’opera di Barbiera e sui carteggi di Clara Maffei con tanti altri illustri personaggi del Risorgimento (Carlo Tenca, Giuseppe Verdi, Visconti Venosta…). Gran parte delle notizie relative alla contessa e ai suoi incontri sono state recuperate tramite queste opere, altre tramite i diari, le memorie e le lettere delle persone che la incontrarono.

Francesco Hayez, Ritratto di Clara Maffei., 1845

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2.1.1 Le origini

Chiara Elena Maria Antonia Carrara Spinelli, detta Clara o Claretta, nacque a Bergamo Alta il 13 marzo 1814 dal conte Giovanni Battista, e dalla contessa Ottavia Gàmbara, di Brescia. Ancora oggi è possibile vedere la casa natale, in via Arena, un edificio appartenuto ai conti Vimercati Sozzi e poi ceduto al seminario. La famiglia era discendente dei Carrara di Bergamo, precisamente dai Carra-Spinelli di Clusone, luogo in cui Clara aveva un appartamento che fu “il salotto d’autunno” degli amici più intimi, i soli a cui era riservata l’accoglienza in questa dimora. Il padre di Clara, che Barbiera descrive come uomo bonario ma dal sentire raffinato 20 , era un drammaturgo e letterato che lavorava come istitutore in famiglie benestanti. Fu lui che insegnò alla figlia in che modo una gentildonna dovrebbe accogliere in casa i propri amici, come si legge da una pagina di memorie di Clarina: la libertà della buona conversazione non si gode dalle signore che in casa loro: se non che, per fruire di così schietto passatempo, bisogna por giù quel sostenuto e contegnoso che a favellare non invita, e mette quasi in soggezione colui che avrebbe voglia di conversare. Se la tua conversazione è pel consorzio dell’amicizia e del merito, puoi sbandire da essa tutti quei riguardi che chiamansi pregiudizi, i quali inceppano un conversare allegro e disinvolto 21 .

«Tu ti chiami Chiarina in memoria della poetessa Chiara Trinali, madre mia» 22 , diceva la madre di Clara alla sua unica figlia. Ottavia Carrara – Spinelli, nata Gàmbaro, era figlia di un conte repubblicano nativo di Brescia, Francesco, che nel 1797 aderì alla Repubblica Cisalpina. Sua moglie fu una verseggiatrice della scuola anacreontica di Vittorelli. Anche la poetessa Veronica Gàmbaro (Pralboino, 1485 – Correggio, 1550) apparteneva alla casa materna di Calra Maffei. Possiamo perciò azzardarci a dire che il gusto di Clara per l’arte e la letteratura ha radici in entrambi i rami della famiglia, così come il suo spirito patriottico. Ben presto il conte Carrara Spinelli e sua moglie Ottavia si separarono poiché quest’ultima abbandonò la casa coniugale per andare a vivere con un tale Belli, suo

20 Raffaello Barbiera., Il salotto della contessa Maffei , Garzanti, Milano 1940, p.5 21 Ibidem 22 Ivi , p. 7.

24 amante. Pertanto Clara, ancora giovanissima, fu affidata dalla madre al collegio degli Angeli di Verona. Clara, seppur colpita da notevoli dispiaceri famigliari, in una lettera all’amico Giulio Carcano descrisse la sua infanzia come «la sola epoca non infelicissima della mia vita» 23 . Dopo la morte della madre, Clara, per volere del padre, si trasferì a Milano, nell’istituto di educazione di Madame Garnier, che all’epoca era una scuola molto rinomata frequentata dalle ragazze delle migliori famiglie milanesi. Clara tuttavia non aveva un’ottima opinione dello “Stabilimento”, reputando ella stessa di aver imparato poco di arte e letteratura: «nessuna […] è trascurata nella persona, forse saremo un po’ ignorantine, ma almeno abbiamo il buon senso di saperlo d’essere» 24 .

Clusone - Residenza estiva di Clara Maffei

23 Ivi , p. 9. 24 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , Mondatori, Milano 1997, p. 7.

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2.1.2 L’infelice matrimonio con e la nascita del salotto Il padre si recava spesso a far visita a quell’unica figlia gracilina e le presentò un giorno un bellissimo e raffinato giovane di trentaquattro anni, il poeta Andrea Maffei. Clara, che all’epoca aveva solo diciassette anni e un cuore romantico, accettò di sposarsi con Maffei, e così vennero ben presto celebrate le loro nozze nella chiesa di Santa Maria alla Porta: era il 10 marzo 1832, tre giorni dopo Clara avrebbe compiuto diciotto anni. La coppia, tornata a Milano, si stabilì in Via Tre Monasteri che diventò, di lì a poco tempo Via Monte di Pietà. Ben presto Maffei si accorse di non essere votato al matrimonio e il rapporto tra i due coniugi andava piano piano raffreddandosi. Resta celebre una sua massima che andava sovente ripetendo agli amici: «il matrimonio è una cosa tanto seria che, prima di incontrarlo, bisogna pensarci su tutta la vita!» 25 . La nascita di una bambina, Ottavia, in onore della madre di Clara, diede per poco tempo l’illusione che l’unione tra i due si potesse consolidare. A soli nove mesi la bambina morì, lasciando sprofondare Clara nella desolazione. La contessa cadde in uno stato di depressione che le tolse il desiderio di uscire e di seguire il marito nelle sue serate. Così, per stemperare la tristezza di Clara, sempre più amici tra poeti e letterati si recavano a farle visita in casa. Fu in questo modo che nacque il celebre salotto, la cui fondazione si può convenzionalmente fissare nell’anno 1834. Padrini dell’illustre salotto furono , che pubblicò nello stesso anno il suo romanzo Marco Visconti , e Massimo D’Azeglio, il bel giovane pittore e scrittore il cui romanzo dell’anno precedente, Ettore Fieramosca , aveva riscosso grande successo in tutta la società milanese. Fra gli ospiti illustri dei primi anni del salotto possiamo nominare il pittore veneziano Hayez, lo scrittore francese Honoré de Balzac, il musicista austriaco Liszt, Gorge Sand accompagnata da Alphred de Musset e tanti altri.

25 Raffaello Barbiera , Il salotto della contessa Maffei , Garzanti, Milano 1940, p.11.

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2.1.3 L’incontro con Carlo Tenca e la separazione legale Intorno al 1843-44 entrò a far parte degli ospiti del salotto, Carlo Tenca 26 , allora quasi trentenne. Egli, nonostante l’aspetto rude e spartano, divenne uno dei maggiori animatori del salotto e si legò fin da subito a Clarina con una profonda amicizia tanto che ella, nell’estate del 1844, lo invitò a soggiornare a Clusone, luogo riservato ai più intimi tra gli amici di casa Maffei. In quei giorni probabilmente si svelarono i reciproci sentimenti che erano evidentemente mutati da amicizia a qualcos’altro, e il legame tra i due si consolidò maggiormente, come testimoniano una poesia di carattere allusivo di Carlo a Clara:

[…] Sotto al folto delle zolle Luce e tace l’umil fior […] Spesso il cor così profonde Le sue cure a ignota dama Ma l’affetto in sé nasconde Nulla chiede all’altrui cor. 27 e due lettere in cui si riscontra il passaggio dal “Lei” al più confidenziale “Voi”: «Io penso pur sempre a quelle dolci veglie, in cui rinacqui con voi alla poesia della vita e gustai l’intera pienezza del sentimento …» 28 . Andrea Maffei non poté non accorgersi del turbamento di Clara dopo che fu tornata dal soggiorno a Clusone, tanto più che il contrasto tra le idee patriottiche di lei e il conservatorismo di lui li allontanava sempre più e «una crescente inquietudine invadeva lo spirito della contessa. Nello stesso tempo ella sentiva sempre più una

26 Carlo Tenca (Milano 1816 – ivi 1883) fu letterato, giornalista e patriota italiano. Di famiglia umile, cominciò i suoi studi in Seminario abbandonandolo però per dedicarsi a dare lezioni private e mantenersi così all’università. Collaborò all’«Italia musicale», al «Corriere delle Dame» e dal 1841 alla «Rivista Europea», della quale divenne direttore nel 1845. Dopo le Cinque giornate diresse il «Ventidue marzo», organo di governo provvisorio, che lasciò perché egli, mazziniano, era contrario alla fusione della Lombardia col Regno di Sardegna. Successivamente però si staccò dal partito di Mazzini e divenne portavoce degli ideali cavouriani anche e soprattutto presso il salotto Maffei, luogo dove trovò numerosi seguaci. Con la nascita dello Stato italiano divenne deputato della cosiddetta Destra storica e lo fu dal 1860 al 1880, anno in cui, per gravi motivi di salute, si dimise. 27 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , Mondatori, Milano 1997, p 34. 28 Raffaello Barbiera, cit. , p. 109.

27 forza invincibile che l’allontanava dal marito». 29 Clara, spinta anche dall’intransigenza di Tenca e dal suo disprezzo per ogni compromesso, si decise a non voler più continuare la convivenza, seppur di facciata, col marito, e si adoperò per effettuare la separazione da Andrea Maffei. Con un decoroso e moderato atto notarile stilato dall’amico e notaio Tommaso Grossi, il 16 giugno 1846, con la testimonianza di Giulio Carcano e Giuseppe Verdi, fu sancita la separazione legale tra i coniugi Meffei – Carrara Spinelli.

Carlo Tenca, ritratto

2.1.4 Una nuova vita, un “nuovo” salotto Clara, rimasta sola, trovò casa in corsia dei Giardini (attuale Via Manzoni), al primo piano del numero 46 e fece proseguire le serate nel suo salotto, accantonando, per volere di Tenca, le frequentazioni mondane per dedicarsi ad ospitare nomi legati alla cospirazione politica. Nel 1847 a causa del bollente clima politico, molti milanesi ritennero opportuno rifugiarsi in Svizzera e tra loro anche Carlo Tenca che Clara decise di

29 Ivi, p. 111

28 seguire, accompagnata dalla madre di lui. Al rientro a Milano, nel 1850, Clara si installò in un nuovo appartamento, al secondo piano di un elegante palazzo settecentesco in via Bigli 21. Riprese le riunioni nel suo salotto e da allora non le interruppe più. Tuttavia nel corso degli anni ’50-’60 Clara perse molti amici che morirono o vennero imprigionati perché sostenitori della causa italiana. Ricordiamo tre nomi fra i tanti: Emilio Dandolo, per la cui vedova Clara si prodigò molto,Giuseppe Finzi e Carlo Lazzati arrestati in seguito alla cospirazione di Mantova. È in questi anni che si assiste all’ardente patriottismo di Clara Maffei che ospitò nel suo salotto sempre più riunioni politiche con ospiti illustri che sarebbero diventati, di lì a pochi anni, i padri dell’Italia unita. «In casa Maffei […] certo le spie, né maschi, né femmine, in nessun modo poteano aver adito. Vi erano ammessi solo uomini di fede provata, e le poche signore che amavano fortemente, come la contessa Maffei, la patria». 30 Nel 1860, con la liberazione di Milano dagli austriaci, il salotto Maffei, avendo raggiunto il suo scopo di ritrovo per congiurati per la libertà 31 , ritornò ad essere il salotto dei primi anni, mantenendo però il suo spirito patriottico.

30 Ivi, p.170 31 Ivi, p. 250

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Interno del salotto di via Bigli

Dalle idee mazziniane, e quindi repubblicane, dei primi anni del salotto, molti amici, Carlo Tenca in primis, si avvicinarono ad una concezione monarchica del nuovo stato italiano, e alle idee di Cavour, certamente più liberali e moderate. Con la nascita dello Stato italiano e le prime votazioni, Carlo Tenca venne eletto come membro del Parlamento e costretto a trasferirsi a Torino, successivamente a Firenze e infine a Roma, proseguendo sempre la sua carriera politica facendo parte del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Da allora Clara e Carlo inizieranno una corrispondenza destinata a protrarsi per lunghi anni, dettata dal loro profondo amore costretto alla lontananza forzata.

2.1.5 Gli ultimi anni Nel corso degli anni le riunioni serali nel salotto della contessa Clara continuarono ed ella, oltre a coltivare amicizie consolidate come quella con Giuseppe Verdi e la famiglia Viola, incontrò nuovi illustri personaggi: Giannina Milli, Ippolito Nievo, Camillo e Arrigo Boito, Emilio Praga, Giosuè Carducci, Giovanni Verga e tanti altri. Tuttavia aleggiava in Clara un’ombra di solitudine e certamente la lontananza da Tenca e da altri amici contribuiva alla sua malinconia, come ella stessa scrive in una lettera all’amica Maria Carcano, figlia di Giulio: «la mia società va languendo e direi spegnendosi» 32 scrive la Maffei a Maria Carcano, figlia di Giulio. E Barbiera aggiunge poi che «la contessa si sente stanca […] le perdite dolorose d’amiche e d’amici carissimi le riempiono il cuore di lagrime; e un velo di tristezza scende nel salotto, che finisce…» 33 , consolidando così la nostra idea che il salotto andava via via perdendo il suo prestigio e Clara stava diventando consapevole di questo declino. Nota positiva degli anni della vecchiaia di Clara fu la riappacificazione con Andrea Maffei, a cui fu sempre legata da profondo affetto. Nel 1879, iniziò una crisi parlamentare per la Destra e Tenca iniziò a scrivere a Clara lettere in cui assicurava che non sarebbe stato rieletto e avrebbe potuto perciò tornare

32 Ivi, p. 235 33 Ibidem .

30 a Milano. Il 12 febbraio di quell’anno Carlo fu colto da malore mentre si trovava alla Camera, e da allora la sua salute iniziò un lento deterioramento. Clara di demoralizzò molto a causa della malattia di Carlo, tant’è vero che scrisse a Verdi, il 2 maggio: « è vero che i tempi sono tristissimi sotto ogni rapporto, e se vi si aggiungono poi dispiaceri particolari il peso diviene schiacciante.» 34 ma continuò ad assisterlo nella sua malattia, fatto salvo qualche periodo di riposo a Clusone, fino al giorno della morte che avvenne il 4 settembre 1883. Solo tre anni dopo, Clara si ammalò di meningite: era il mese di giugno del 1886. Il decorso della malattia fu molto rapido e nell’arco di due settimane la contessa entrò in coma. Morì nel pomeriggio del 13 luglio e, per ironia della sorte, molti amici mancarono al funerale poiché si trovavano già in villeggiatura. Venne sepolta presso il cimitero Monumentale dove, nel 1888, l’amico Emilio Bignami Sormani fece porre e inaugurare una lapide (oggi distrutta) che recava la seguente epigrafe:

A – CLARA MAFFEI – che nata ad amare a compatire a perdonare – pure trovò nella sua devozione alla Patria – l’energia dello sdegno l’ardire della lotta – e tutta accesa nel desiderio del bene – custodì fino all’ultimo immutati – gli entusiasmi della Fede dell’amicizia della pietà – le amiche gli amici l’erede – con memore affetto questo ricordo – posero. 35

34 Arturo Di Ascoli (a cura di) , Quartetto milanese ottocentesco. Lettere di Giuseppe Verdi, Giuseppina Strepponi, Clara Maffei, Carlo Tenca e di altri personaggi del mondo politico e artistico dell’epoca , Archivi Edizioni, Roma, 1974, p. 379 35 Raffaello Barbiera, cit., p. 341.

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Clara Maffei, ritratto

2.2 L’importanza degli incontri

Nel suo salotto Clara Maffei incontrò numerosissimi personalità di spicco di quegli anni:

«Nel celebre crocchio delle contessa Maffei, tutte le arti hanno ormai delle tradizioni, perché da quasi mezzo secolo quei due salottini […] hanno ospitato tutte le notorietà italiane e tutti gli stranieri distinti che sono venuti a Milano», scrive il romanziere Roberto Sacchetti» 36 .

E in effetti furono davvero tantissimi gli uomini e le donne che Clara ebbe la fortuna di legare a sé: da patrioti a letterati, da musicisti a pittori, da poetesse a romanzieri. Con alcuni di essi intesse una relazione fatta di lettere, altri invece ne scrissero nelle loro memorie. È purtroppo impossibile fare qui una descrizione accurata delle relazioni della Maffei con tutti questi uomini illustri, si è scelto pertanto di limitare il campo di ricerca su tre aspetti particolari (la politica, la letteratura e la musica) e sui legami tra Clara e un personaggio appartenente ad ognuna di queste “categorie”.

36 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , cit., p. 297.

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2.2.1 La politica: Clara Maffei, Giovanni Visconti Venosta e i patrioti italiani Giovanni Visconti Venosta, di antica e nobile famiglia valtellinese, nacque a Milano nel 1831, più giovane di quasi tre anni dell’altrettanto celebre fratello Emilio. Educato nel migliore istituto privato di Milano, quando il padre morì fu affidato, insieme al fratello maggiore, al patriota Cesare Correnti, uno degli ingegni più vivaci del tempo, già ospite del salotto Maffei. Giovanni venne introdotto presso la contessa nel 1850 da suo fratello Emilio e, come egli stesso ci narra nelle sue memorie: «la mia soggezione fu grande; ma la contessa mi accolse con un’affabilità tanto disinvolta e amorevole […] che mi parve di esserle amico da un pezzo» 37 . Non è un mistero la spiccata benevolenza di Clara Maffei nei confronti di tutti i suoi ospiti, a par misura. Col giovane Giovanni poi, si legò in modo particolare anche forse per il fatto che fu proprio nella sua dimora, in una delle piacevoli riunioni serali, che Visconti Venosta conobbe la contessa Laura d’Adda, con la quale si sposò. Egli dedica alla Maffei una cospicua parte del XII capitolo della sua autobiografia Ricordi di gioventù 38 , lodandola per il suo patriottismo e il suo affetto nei confronti degli amici, tant’è vero che «da allora, finché visse, non passò giorno, quand’ero a Milano, che di giorno o di sera, foss’anche per pochi minuti, non facessi la mia visita alla contessa Maffei». 39 La testimonianza lasciataci da Giovanni Visconti Venosta è importantissima dal momento che mostra da un lato il cambiamento dell’entourage del salotto, e dall’altro il mutamento di indirizzo politico non solo di Clara Maffei, ma anche di numerosi suoi affezionati. Dal 1849 al 1859, il salotto di casa Maffei diventa infatti il ritrovo dei luminari del Risorgimento, e anzi, come scrive lo stesso Visconti Venosta: «da quel salotto elegante e intelligente si irradiava una luce, e direi quasi una volontà direttiva di azione patriottica, che ebbe una grande influenza morale in quegli anni, difficili e duri, della resistenza» 40 . Queste parole sono la prova dell’importanza dei ritrovi presso casa Maffei, i quali furono, con ogni probabilità, determinanti nello sviluppo della storia dell’Unità d’Italia.

37 Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù , Rizzoli Editore, Milano, 1959, p.138 38 Ivi, p. 140. 39 Ibidem 40 Ibidem

33

Ed è infatti proprio di quegli anni, precisamente del 1849-50 la fondazione del settimanale politico «Il Crepuscolo» di Carlo Tenca, giornale sovversivo su cui scrissero personalità di spicco e cari amici di Clara, come Cesare Giulini, Tullio Massarani, Cesare Correnti, Eugenio Camerini, Emilio Bignami Soriani, Giuseppe Zanardelli e tanti altri, oltre naturalmente ai due fratelli Visconti Venosta. Il primo numero de «Il Crepuscolo» fu del 6 gennaio 1850. A quell’epoca esistevano numerose riviste politiche che più o meno ogni settimana descrivevano i fatti avvenuti a Milano e in Austria, suscitando clamore e censura. Il giornale di Tenca, nobile e rigido 41 come il suo direttore, scelse una via alternativa: il silenzio. Così ogni settimana veniva pubblicata una rivista di carattere ampiamente divulgativo (c’erano articoli di arte e letteratura, scienza e igiene, architettura e urbanistica…), senza che si facesse alcun cenno agli avvenimenti politici locali; «questo silenzio che non poteva essere incriminato, fu la continua protesta del Crepuscolo» 42 . Di quell’anno fu anche un cambiamento di pensiero da parte di alcuni patrioti, tra cui Tenca e i Visconti Venosta che, da accesi repubblicani, assunsero un atteggiamento spiccatamente più moderato «che si adoperava per tener vivo il sentimento nazionale attraverso la diffusione di studi e pubblicazioni» 43 . , che Clara aveva conosciuto nel 1849, restando alquanto delusa dall’incontro, si muoveva verso un’altra soluzione: auspicava per il 6 febbraio 1853, ultima domenica di carnevale, un’insurrezione popolare che, partendo da Milano si sarebbe irradiata in tutta la penisola. Inutilmente diversi patrioti avevano cercato di dissuaderlo, persuasi dell’infattibilità della mossa, anche grazie alle riunioni politiche nel salotto Maffei. L’insurrezione in effetti si rivelò un clamoroso insuccesso di pochi ma il giorno successivo gli austriaci si accanirono con ferocia su Milano, chiudendo le porte delle città e istituendo dure limitazioni. Gli amici di Clara non avevano aderito alla cospirazione mazziniana, eppure vennero ricercati dalla polizia e De Cristoforis, addirittura, si risolse a scappare dalla città meneghina travestito da cocchiere. Altri amici del salotto, meno fortunati, erano in prigione a Mantova

41 Ivi, p. 140. 42 Ibidem 43 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , cit., p. 71.

34 dall’anno prima, in seguito alla delazione di Luigi Castellazzo 44 . Si trattava di Giuseppe Finzi e Antonio Lazzati, per il quale era stata prevista come pena l’impiccagione. Visconti Venosta ci racconta nel suo diario di gioventù il ricordo relativo a quest’ultimo:

«Lo vedevo ogni sera dalla contessa Maffei, ov’egli metteva sempre nella conversazione una gaiezza che pareva in contrasto col suo aspetto severo […]. Lazzati temeva, fuggendo, di svegliare i sospetti della Polizia e di compromettere maggiormente alcuni amici. Quell’esitazione gli fu fatale: due giorni dopo veniva arrestato.» 45 .

In seguito ai fallimenti dell’insurrezione del 6 febbraio e alla scomparsa di diversi amici, molti affiliati del salotto Maffei decisero di abbandonare per sempre i sistemi della cospirazione per abbracciare l’idea cavouriana di alleanza col Piemonte e con il re Vittorio Emanuele II: «gli amici di lei , dopo il 6 febbraio, l’avevano rotta con Mazzini […] e ora, vagando in un repubblicanismo ideale, aspettavano di scorgere la nuova spiaggia a cui approdare» 46 . È lo stesso Visconti Venosta a sottolineare il cambio di indirizzo politico della Maffei: «essa che in passato aveva circondato d’ogni suo ideale Mazzini, ora, disillusa, principiava a idealizzare il Re […] e diffondeva intorno a sé la nuova fede che l’animava, coll’entusiasmo e l’attrattiva della sua anima eletta e gentile» 47 . L’attività de «Il Crepuscolo» cessò il 25 dicembre 1859, poiché ormai si respirava un’aria nuova, dovuta al recente clima di liberazione di Milano dall’oppressione austriaca 48 . Gli amici che prima si erano riuniti intorno a Tenca nella redazione del settimanale, si ritrovarono a creare un nuovo giornale, «La Perseveranza» (il nome deriva motto dei patrioti lombardi). Tenca si sentì in un certo senso “tradito” dai suoi colleghi ma gli era ben chiara l’importanza della novità della rivista: non era più utile un giornale che facesse del silenzio la sua potenza

44 Luigi Castellazzo (Pavia, 1827 – Pistoia, 1890) fu un patriota, ufficiale garibaldino e politico italiano. Segretario del Comitato centrale, arrestato dalla polizia austriaca nel 1851, fece il nome di diversi cospiranti del Comitato mantovano che vennero imprigionati e uccisi. 45 Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù , Rizzoli Editore, Milano 1959, p. 155 46 Daniela Pizzagalli, Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , Mondatori, Milano 1997, p. 77.

47 Giovanni Visconti Venosta, cit., p. 155 48 L’11 luglio 1859, con la Pace di Villafranca, da cui erano stati esclusi i Piemontesi, Francesco Giuseppe acconsentì a concedere la Lombardia, eccetto Peschiera e Mantova, a Napoleone III, il quale a sua volta la cedette a Vittorio Emanuele II, re del Regno di Sardegna.

35 sovversiva, tuttavia non aderì al progetto. La decisione di fondare «La Perseveranza» non allontanò gli abitués del salotto da casa Maffei, anzi in quegli ultimi mesi si era intensificata la presenza di alcuni amici che erano ritornati dall’esilio in Svizzera. In ogni caso, l’unico che decise di non affiancarsi a Giulini, a Correnti e a tutti gli altri nella pubblicazione de «La Perseveranza», fu proprio Giovanni Visconti Venosta. Secondo quanto leggiamo nella sua biografia, lo fece per un segno di riconoscenza nei confronti di Tenca: «gli amici insistettero perché io assumessi una parte fissa e costante nella redazione ma per diverse ragioni, e specialmente per una, non acconsentii:questa era il riguardo che volevo usare personalmente a Carlo Tenca», ma non è difficile pensare che anche la benevolenza di Clara e la sua generosa amicizia abbiano influito sulla decisone del giovane Venosta.

Giovanni Visconti Venosta, ritratto

2.2.2 La letteratura: Clara Maffei e Giannina Milli

Clara Maffei incontrò nel suo salotto illustri letterati: Honoré de Balzac, Niccolò Tommaseo, Ippolito Nievo, Alessandro Manzoni e tanti altri. La scelta di raccontare della sua amicizia con Giannina Milli è stata dettata dal desiderio di approfondire la vita di figure femminili nel periodo del Risorgimento, figure che oggi risultano pressoché dimenticate. E Giannina Milli fa appunto parte di questa schiera. Fu un personaggio importante di quegli anni: improvvisatrice della redenzione italiana 49 , si

49 Raffaello Barbiera, Diademi. Donne e madonne dell’Ottocento , Garzanti Editore, Milano 1940 p. 315

36 prodigò per la causa dell’unità d’Italia portando nei teatri della penisola odi in onore di Garibaldi e Cavour diffondendo così il sentimento nazionale. Purtroppo, essendo Giannina un’improvvisatrice di odi, non sono rimaste molte testimonianze scritte dei suoi versi, se non raccolte da qualche bravo e attento uditore e stenografo. È lo stesso Barbiera nel suo Diademi. Donne e madonne dell’Ottocento 50 , nel capitolo dedicato alla Milli, a dirci che i volumi, pubblicati a suo tempo dall’editore fiorentino Le Monnier, sono quasi introvabili 51 . La sua prima raccolta di 49 componimenti venne reputata dalle autorità un “libro proibito” in quanto erano presenti contenuti che inneggiavano alla repubblica e alla liberazione dall’oppressore straniero. La stessa Milli, secondo le parole di Oreste Raggi «veniva accusata [… ] e minacciata di prigionia» 52 e fu costretta a bruciare tutte le copie dell’opera in suo possesso. Nel 1850 ottenne il "certificato di buona condotta religiosa e morale", indispensabile per poter viaggiare liberamente per l’Italia. Si recò prima a Portici e poi a Napoli dove soggiornò fino al 1857. Successivamente si recò a Roma, Ferrara, Firenze, Siena e, il 31 dicembre 1859, si ritrovò a festeggiare l’ultimo dell’anno al secondo piano di via Bigli 21, ospite di Clara. Raffaello Barbiera ci descrive questo momento come memorabile: si celebrava infatti il primo anno della redenzione italiana 53 e Giannina fu invitata da tutti gli ospiti del salotto ad improvvisare dei versi sulla libertà di Milano. «Appena finito l’ultimo verso, prorompono gli applausi. La poetessa singhiozza di commozione […] la contessa le bacia la fronte infocata.» 54 , così la Milli, descritta da Barbiera come una donna sensibile e molto modesta nonostante la sua evidente genialità, venne confortata dall’abbraccio affettuoso e incoraggiante di Clara, alla quale, da allora, tributò una tenerezza filiale. Le due donne in effetti rimasero in contatto epistolare per tutta la durata della loro vita e le lunghe descrizioni dell’andamento del neonato stato italiano sono la preziosa testimonianza del fervore patriottico che infiammò entrambe. In particolare Giannina

50 Opera cit. 51 Opera cit. p. 317 52 www.storia.unina.it 53 Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei , cit., p. 239 54 Ivi , p. 240

37 scriveva a Clara della difficile situazione in cui versava il Sud Italia, essendo tornata a Napoli dopo l’Unità d’Italia:

«gli uomini che più si credevano adattati a riordinare l’amministrazione sconvolta, ed ad attuare il regime costituzionale in questi paesi, son riusciti non ad altro che a scadere dall’opinione pubblica di cui godevano; il Re stesso si è mostrato tutt’altro che popolare qui». 55

Altra circostanza importante che legò le due amiche (addirittura Giannina nelle sue lettere chiama Clara mammina ) fu la presentazione di Manzoni alla giovane Milli, da parte della contessa, sempre nel 1860. All’epoca Manzoni era venerato come il più insigne tra i romanzieri e poeti e per Clara Maffei costituiva un vanto conoscerlo intimamente e poterlo presentare agli amici più stretti. Anch’egli fu colpito dalla bravura della giovane poetessa abruzzese tanto che disse: «e pensà che mi, per fà ona strofa sola, ghe metti tri giornad, e poeu sont amalaa!» 56 e le regalò una sua stampa autografata. Giannina, molto riconoscente a Clara, anche anni dopo ricorderà nelle sue lettere questo incontro:

«Grazie, mille affettuose grazie […] del dono preziosissimo che mi avete inviato in quei fiorellini che il nostro incomparabile Manzoni colse per voi […] voi baciategli la mano per me, e ditegli ch’io prego Iddio riversi sul suo capo venerando tutto il bene che ha fatto all’Italia con le sue opere…» 57

Nel frattempo le attività della Milli proseguivano: nel 1862 uscì a Firenze, per l’editore Le Monnier, un’altra raccolta di poesie chiamata appunto Poesie ; nel 1865 fu nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione Ispettrice delle scuole normali ed elementari e nel 1872 fu chiamata a Roma a dirigere la Scuola Normale superiore femminile. Importante fu quindi anche il suo lavoro come educatrice e pedagoga, come ci mostrano alcuni atti di convegni a cui partecipò. Negli anni che trascorse lontano da Milano non dimenticò mai di scrivere alla sua cara amica Clara, aggiornandola costantemente sulla sua vita e chiedendole di lei e di Tenca, supportandola anche nella difficile circostanza di vivere a distanza l’amore con Carlo.

55 Daniela Pizzagalli , L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , Mondatori, Milano 1997, p. 111. 56 Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei , cit., p. 240 57 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , cit., p. 128

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Ironia della sorte, le due donne condivisero anche un altro aspetto importante delle loro vite: la malattia dei loro compagni. Giannina Milli che si era sposata con il provveditore agli studi Ferdinando Cassone, lo vide spegnersi lentamente in una malattia che lo rese infermo per lunghi anni, e nonostante il dolore ella continuò a ripetere: «Dio me l’ha dato e ora più che mai non devo lasciarlo!». 58 Qualche anno dopo, morì anche Clara, ma Giannina fece in tempo a mandarle un ultima lettera di auguri per il nuovo anno, lettera in cui da’ segno di non essersi dimenticata della mammina , della sua amica di una vita: «Dio vi renda centuplicato il bene che a me vorreste concesso […] Oh quant’è lontano il tempo in cui mi sgorgavan dal cuore, più che dal labbro, le fervide armonie impensate! Quelle che voi ricompensavate di baci e lagrime affettuose!» 59 . E nemmeno Clara si dimenticò di lei, difatti la citò nel suo testamento, volendo lasciare a lei, così come a pochi altri amici di una vita, un oggetto, un quadro o un gioiello che potesse conservare il ricordo della loro amicizia.

Giannina Milli, ritratto

58 Raffaello Barbiera, Diademi. Donne e madonne dell’Ottocento , Garzanti Editore, Milano 1940, p. 325 59 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , Mondatori, Milano 1997, p. 310

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2.2.3 La musica: Clara Maffei e Giuseppe Verdi Fu nel 1842 che Clara Maffei conobbe Giuseppe Verdi. Verdi, nato a Roncole - vicino Piacenza - nell’ottobre 1813, da famiglia molto utile, poté iniziare i suoi studi come musicista e compositore grazie alla benevolenza di alcuni persone (l’organista della chiesa paesana e il direttore della locale società filarmonica) che lo presero a cuore. Trasferitosi a Milano tentò inutilmente di farsi ammettere al Conservatorio. La sua prima opera Oberto, Conte di San Bonifacio andò in scena alla Scala nel 1839 e ottenne un discreto successo. Ma il compositore divenne celebre proprio nel 1842: il 9 marzo infatti, al Teatro La Scala, ci fu la prima dell’opera biblica Nabucco che ottenne un memorabile trionfo. Andrea Maffei, presagendo il genio che sarebbe diventato poi Verdi, si adoperò per stringere un sodalizio d’arte col Maestro e per questo motivo lo invitò presso la propria dimora. Verdi, di animo chiuso e riservato, fu abbastanza riluttante a presentarsi all’incontro ma, fin dal primo momento in cui entrò in casa Maffei, strinse con Clara un’amicizia che durò quarantaquattro anni e che finì solamente con la morte di lei. Qualche anno dopo Giuseppe Verdi e la contessa, vedendosi sempre meno spesso, cominciarono a scriversi lettere (la prima in nostro possesso è datata 13 agosto 1845). Le prime contengono soprattutto notizie relative alla folgorante carriera di Verdi, le successive includono anche cenni sull’andamento della propria quotidianità e sulle questioni dell’unità d’Italia. In particolar modo Clara chiedeva notizie al Maestro quando egli si trovava all’estero, probabilmente per avere un quadro più ampio della situazione nazionale:

«Vuol sapere l’opinione di Francia sulle cose d’Italia? […] chi non è contrario è indifferente: aggiungo di più che l’idea dell’Unità italiana spaventa questi uomini piccoli […] la Francia non interverrà colle armi certamente […]. Qui arrivano diplomatici italiani da tutte le parti: anche ieri Tommaseo; non riusciranno a nulla; pare impossibile che sperino ancora nella Francia. In una parola: la Francia non vuole l’Italia nazione.» 60

La corrispondenza Verdi-Maffei possiede un enorme valore storico poiché mette in luce le sensazioni e impressioni di persone che vissero con trepidazione e grandi aspettative l’unità d’Italia. Inoltre ciò che ci preme far notare è che l’incontro di

60 Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata Parigi, 24 agosto 1848. Tratta da Quartetto Milanese Ottocentesco, p. 91.

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Giuseppe Verdi con Clarina Maffei e quindi con tutti gli altri ospiti e amici del salotto, fu importante per le opere stesse di Verdi che subirono, in un certo senso, l’influenza dei personaggi che ebbe modo di incontrare nel salotto della contessa. Primo fra tutti fu sicuramente Giulio Carcano 61 , conosciuto anch’esso nel 1842 proprio per mezzo di Clara, come ci narra Barbiera: «Giulio Carcano, col quale in quello stesso anno si incontrò presso la contessa, imparò ad amarlo, riamato da un’amicizia indissolubile». 62 I due, a causa del legame che li univa ad entrambi i coniugi Maffei, fecero anche da testimoni alla separazione tra Clara e Andrea e, in questa occasione, furono particolarmente vicini alla contessa come testimonia un bigliettino di Verdi a Clara: « A momenti presenterò a Maffei le carte e farò in modo che vengano accettate. Verrò al più presto da Lei. Si faccia coraggio […]» 63 . L’anno successivo furono entrambi invitati da Clara a trascorrere la lunga pausa estiva presso Clusone, villeggiatura molto gradita a Verdi tanto che la lodò esplicitamente in una lettera del 14 novembre 1847: « ma lo dissi: Clusone è l’Eden 64 … L’assicuro che io non sono mai stato così bene quanto in quei giorni » 65 e fu in quei giorni che discorsero dei drammi di Shakespeare e sulla possibilità di metterli in musica. E infatti proprio nel 1847 Verdi presentò a Firenze la sua prima del Macbeth , su libretto del Piave (ma con un numero cospicuo di aggiustamenti da parte di Andrea Maffei), mentre Carcano fece pubblicare la sua traduzione italiana dell’opera del drammaturgo inglese. A Verdi piacque molto la collaborazione con Andrea Maffei, tanto che si fece scrivere da lui il libretto per la sua nuova opera I Masnadieri , e a Clara in una lettera ne parla così: «le dico che non è mai stato scritto un più bel libro! Quelli di Romani

61 Giulio Carcano (Milano, agosto 1812 – Lesa, aprile 1884), fu un politico, scrittore e traduttore. Di famiglia nobile, partecipò alle Cinque Giornate di Milano a seguito delle quali fu costretto a rifugiarsi in Svizzera. Tornato poi in Lombardia, ottenne svariati incarichi pubblici e nel 1876 venne eletto Senatore. Grazie alla traduzione completa delle opere di Shakespeare, ottenne la nomina di vicepresidente onorario della “Shakespeare Society” di Londra. 62 Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei , Garzanti, Milano 1940, p. 82. 63 Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata giugno 1846. Tratta da Quartetto Milansese Ottocentesco, p. 48. 64 In corsivo nel testo originale. 65 Arturo Di Ascoli (a cura di) , Quartetto milanese ottocentesco. Lettere di Giuseppe Verdi, Giuseppina Strepponi, Clara Maffei, Carlo Tenca e di altri personaggi del mondo politico e artistico dell’epoca , Archivi Edizioni, Roma, 1974, p. 44

41 sono un nulla a confronto. Basti dire che Maffei è il primo verseggiatore italiano […] ». 66 L’amicizia tra la Maffei, Verdi e Carcano proseguì negli anni, e Barbiera ci informa che la contessa si premurava di avvisare Carcano ogni volta che Verdi passava da Milano e faceva in modo che tutti si incontrassero presso il suo salotto nelle prime ore serali, quando la casa era aperta esclusivamente per gli andeghée 67 –i parrucconi-, nomignolo meneghino che Tenca diede agli amici più intimi. E spesso gli andeghée si abbandonavano al gioco delle carte in cui primeggiava proprio Verdi. 68 Verdi dovette parlare tanto bene di Clarina che la sua compagna, Giuseppina Strepponi 69 , volle conoscerla di persona e l’incontro tra le due donne avvenne nel maggio 1867. Negli anni successivi Clara si rivolgeva spesso a Giuseppina, soprattutto quando Verdi era troppo assorbito dal lavoro, e le due costruirono una solida amicizia minata poi -una decina di anni dopo- dalla gelosia della stessa Strepponi per la cantante preferita da Verdi, Teresa Stolz 70 , per la quale Clara aveva sempre parole d’affetto e con la quale intrattenne ottimi rapporti presso il proprio salotto; tutto ciò probabilmente infastidì Giuseppina, tanto da raffreddare in modo repentino i suoi rapporti con la contessa: ormai le sue lettere si limitavano a brevi parole di auguri per le ricorrenze particolari. Era ormai solo Verdi a dare notizie di entrambi all’amica. C’è inoltre un tardivo ma non meno importante incontro di Verdi con un ospite del salotto di casa Maffei: si tratta di Arrigo Boito 71 , conosciuto da Clara nel 1863 insieme ad altri due nomi della Scapigliatura italiana: Emilio Praga e Franco Faccio.

66 Ivi , p. 64 67 Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei , cit., p. 85 68 Ibidem. 69 Giuseppina Strepponi, all’anagrafe Clelia Maria Josepha Strepponi (Lodi, settembre 1815 – Sant’Agata di Villanova sull’Arda, novembre 1897), fu una cantante soprano. Figlia di musicisti, studiò presso il Conservatorio di Milano. Fu la seconda moglie di Verdi che era rimasto vedovo di Mergherita Barezzi. Cantò per numerosi compositori, da Luigi Ricci a Gioacchino Rossini, ma soprattutto fu l’interprete maggiore del Nabucco e dell’ Ernani di Verdi. 70 Teresa Stolz (Elberkostelez, Repubblica Ceca giugno 1834 – Milano, agosto 1902) è stata una cantante soprano di spicco. Debuttò con l’opera verdiana Giovanna d’Arco , nel 1865. Fu legata a Verdi da amicizia profonda che, forse, sfociò in una relazione amorosa. 71 Arrigo Boito (Padova, febbraio 1842 – Milano, 10 giugno 1918) è stato un letterato, librettista e compositore italiano.

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Inizialmente contrari alla tradizione musicale verdiana, i tre amici osannavano la nuova musica di Wagner, ma ben presto, volendosi trasferire a Parigi in cerca di fortuna, chiesero a Clara di mettere qualche buona parola per un incontro con Giuseppe Verdi. Egli espresse all’amica le sue perplessità relative ai giovani, memore dell’enorme insuccesso del Mefistofele di Boito, andato in scena alla Scala nel 1868, tuttavia qualche anno dopo strinse un sodalizio artistico e paterno 72 con Boito che scrisse per lui due opere sublimi 73 : Otello e Falstaff . Ancora una volta l’amicizia con Clara aveva portato i suoi frutti artistico -lavorativi al grande musicista e compositore. Leggendo la corrispondenza tra Verdi e la Maffei, non si può fare a meno di notare che egli sovente si scusa per il ritardo nelle sue risposte e, talvolta, addirittura per le mancate risposte. Questo può far pensare ad un disequilibrio nell’amicizia tra i due ma è necessario non sottovalutare il grande impegno artistico del Maestro che si trovava spesso indaffarato e in viaggio per seguire la messa in scena delle sue opere, mentre Clara conduceva una vita tranquilla e casalinga e aveva pertanto molto più tempo per dedicarsi al mantenimento delle sue numerose relazioni amicali. Una delle prove della grande amicizia che legò i due personaggi può essere senz’altro l’uso delle parole affettuose che si riscontrano nella corrispondenza, come Cara Clarina 74 , vostro affezionatissimo 75 , o anche vogliatemi bene come io ne voglio a voi 76 . Inoltre Barbiera, narrandoci gli ultimi momenti di vita di Clara, sottolinea la silenziosa ma importante presenza di Verdi, che fece di tutto per arrivare in tempo a porgere l’estremo saluto alla sua amica e sorella da ormai quarantaquattro anni.

«Verdi vuol essere informato ad ogni momento della malattia dell’amica amatissima; e, appena apprende che ormai non v’ha più alcuna speranza di salvezza, lascia affannoso Montecatini […] e arriva a Milano prima dell’alba; […] sale precipitoso, e giunge appena a salutare, singhiozzando, per l’ultima volta, colei che per tanti anni gli era stata sorella. […] La poveretta non era ancora spirata. Si avvide ella della Presenza di Verdi?... qual gioja sarebbe stata per lei l’accorgersi che, nel momento supremo, era venuto Giuseppe Verdi!». 77

72 Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei , Garzanti, Milano 1940, p. 261. 73 Ibidem. 74 Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata St. Agata, 9 aprile 1867. Tratta da Quartetto Milanese Ottocentesco, p. 147 e altre. 75 Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata Genova, 31 dicembre 1877. Opera cit. p. 357. 76 Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata Milano, 24 giugno 1846. Opera cit. p. 53. 77 Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei , cit., p.339

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Giuseppe Verdi, ritratto

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CAPITOLO III

La cultura. Scritti inediti: Clara Maffei e gli Album dei ricordi

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3.1 Descrizione degli Album

Presso la Biblioteca Nazionale di Brera sono conservati i carteggi e alcune lettere di Clara Maffei. Conducendo una piccola indagine sugli scritti tra lei e Giuseppe Verdi è stato possibile ritrovare i cosiddetti Album dei ricordi di Clara Maffei. Si tratta di quattro quaderni racchiusi in un cofanetto di legno di rovere che coprono gli anni dal 1837 al 1864 e oltre. I quattro album misurano 11,5 cm x 20 cm e hanno tutti una copertina in pelle con diversi bordi dorati sulla facciata e sulla costa. La particolarità è che le quattro copertine hanno colori diversi: rosso, marrone, verde e nero. Gli album risultano scritti sia sul verso che sul recto della pagina e ogni facciata consta di 24 righe, tuttavia non tutte le pagine sono state scritte. La biblioteca di Brera, per comodità di catalogazione, ha numerato i quaderni denominandoli con numeri romani che vanno dall’uno al quattro. Il primo volume comincia nel 1838, presenta solo pagine scritte in francese dalla contessa Maffei e si conclude brutalmente alla pagina 32r. molte pagine di questo volume sono state strappate. Il II volume è quello più ricco, scritto interamente, cioè fino alla pagina 102v, comincia il 24 maggio 1837 e si conclude il 28 luglio 1843. Il III volume comincia nel 1837 e si conclude con un componimento privo di data. Tuttavia nella pagina immediatamente precedente sono stati trascritti dei versi stampati nel 1848, pertanto sarà sicuramente successivo a quell’anno. L’ultimo volume, il IV, è stato scritto poco, fino al 33v, e contiene componimenti scritti in date molto differenti: il primo è del 4 marzo 1837, uno degli ultimi è invece del 1864, e questo è certo perché, benché privo di data, si tratta di una famosa ballata di Emilio Praga composta in onore dei cinquant’anni di Clara Maffei, intitolata appunto La cinquantina . Questi quattro volumi possono essere definiti come un ibrido tra un diario personale della contessa e un insieme di poesie a lei dedicate dai numerosi ospiti del salotto. Le parti personali sono state scritte in francese, mentre la maggior parte delle dediche sono in lingua italiana. Alcune pagine, come detto sopra, sono state strappate o tagliate via, probabilmente perché contenevano parti piuttosto intime o che riguardavano la vita sentimentale tra i due coniugi Maffei. Oltre ad una stampa della

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Maffei, sono stati trovati all’interno del quaderno IV dei fiori secchi, probabilmente raccolti dalla stessa Clarina, che si sono conservati per quasi due secoli tra le pagine scritte. Alcune poesie contenute all’interno dei volumi sono state pubblicate, come la ballata La cinquantina di Praga, o come alcuni versi di Andrea Maffei; altri scritti invece sono inediti ed è su questi che si è concentrata la nostra attenzione. A causa di ragionevoli motivi di spazio abbiamo dovuto fare una scelta, decidendo di analizzare e trascrivere solo sette poesie del volume III che comincia nel 1837 e si conclude quasi sicuramente nel 1848-50, benché l’ultima poesia - di Giannina Milli – non rechi alcuna data. Per cercare notizie relative ai diversi autori dei componimenti, ci siamo serviti del Dizionario biografico degli italiani 78 (DBI), il dizionario a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana cominciato nel 1925 che raccoglie al suo interno le biografie e le relative bibliografie di oltre 40.000 italiani illustri, suddivise in 110 volumi.

3.2 Componimenti

Giulietta Pezzi, 13 aprile 1837, 2r.

Se soave un’arietta ti spira

Se soave un’arietta ti spira Sulle labbra, o Clarina gentile, Non pensar che sia brezza di aprile, Sì bell’aura l’aprile non ha. Se allettata ti trovi ne’sensi Dal poter di balsamico odore, Non pensare ch’egli emani da un fiore, Tal profumo niun fiore ti dà. Se l’udito ti va dolcemente Carezzando soave concenti Credi pur che terreni strumenti Mormorar non fan tal suoni. Se dormendo ti appare l’improvviso Vaporoso, gentile angioletto,

78 AA. VV. Dizionario Biografico degli italiani , Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2010.

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Non frenare il respiro nel petto, Quelle forme chimere non son. E se avvien che, di mezzo alle nubi, S’apra il varco un bel raggio di luce, Non è il sol che a’tuoi sguardi traluce Sì bel raggio di Sole non è Quell’auretta, il profumo ed il suono D’angioletto e la luce divina, Sono vezzi di cara bambina Che dal cielo discende per me.

Pagina manoscritta di

Giulietta Pezzi (Milano 1812 o 1816 – dicembre 1878) è stata una scrittrice e giornalista nonché fervente mazziniana. Fu molto legata a Clara Maffei che l’accolse benché fosse additata per la sua condotta immorale dal momento che aveva avuto una figlia da una relazione con un musicista conosciuto proprio nel salotto della contessa. Era figlia di Francesco Pezzi, fondatore e direttore della rivista teatrale «Gazzetta di Milano», per cui scrisse le sue prime novelle.

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A partire dal 1848, anno in cui conobbe e appoggiò profondamente la causa di Mazzini, le sue opere risentirono dell’influenza del patriota italiano per il quale la Pezzi si prodigò, cercando, inutilmente, di far avvicinare anche Clara alla medesima idea politica. Le sue carte, le sue lettere e i suoi album, depositati presso il Museo del Risorgimento, vennero completamente distrutti in un incendio durante la Seconda guerra mondiale. Si salvò solamente un suo ritratto. La poesia, un’ode in decasillabi, scritta sulla pagina 2r dell’album, fa probabilmente riferimento alla recente morte di Ottavia, la figlia prematuramente scomparsa di Clara. La morte della piccola era avvenuta nel 1834 e Clara da allora era caduta in uno stato depressivo allietato solo dall’incontro con gli amici presso il suo salotto. Pare pertanto plausibile che a tre anni dopo il grave lutto, Giulietta Pezzi abbia voluto rasserenare la sua cara amica con un componimento in cui dice che la dolcezza dell’aprile, con i suoi profumi e colori primaverili, altro non sono che vezzi di cara bambina , cioè segnali mandati alla mamma dalla sua cara figlioletta.

Antonio Gazzoletti, 4 maggio 1837, 3r.

Te delle dotte vergini

Te delle dotte vergini, O delle grazie amica /fredde superbe imagini!/ La poesia non dica, Benché se ‘vero e fulgido Scintilla il tuo pensier, E tanti vezzi infiorano Quel volto lusinghier.

Trovi le caste imagini Nella natura bella, O tra le [†] ti collochi Dall’occhio di gazzella O com’eterea silfide

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Sul profumato albor Ti chiegga a’ rai dell’iride O al calice dei fior.

La musica che al battito S’ispira del tuo petto Crei le ridenti e magiche Note d’un primo affetto, O imiti il vol degli angeli Raminghi al par di te, O quel si’ mezzo e fievole “non ti scordar di me”!

Ritragga le tue gracili Forme, e il leggiadro viso Chi della Matre amabile Tinge il divin sorriso; Ma non aggiunga il bambolo Sin che in più caro vel Quel tuo rapido pargolo Non ti ritorna in ciel.

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Pagina manoscritta da Antonio Gazzoletti

Antonio Gazzoletti (Nago, marzo 1813 – Milano, dicembre 1886) giurista, poeta e patriota, nacque sulla sponda trentina del Lago di Garda, e, a causa del suo ingegno precoce e della sua spiccata intelligenza, venne ammesso a frequentare il ginnasio di Rovereto a soli nove anni. Ebbe una formazione classicista venata tuttavia da entusiasmi romantici. Studiò a Innsbruck per perfezionare la lingua tedesca e nel 1837, dopo aver conseguito la laurea in Legge a Padova, si trasferì a Trieste dove visse per lunghi anni, si batté per la causa del’Unità d’Italia e pubblicò larga parte delle sue opere. Venne incarcerato e mandato in esilio tre volte e infine, nel 1859, andò ad abitare a Milano che era stata liberata dai dominatori austriaci. Era grande amico di Andrea Maffei al quale dedicò anche la sua opera Versi, di conseguenza si legò alla di lui moglie Clara. Il componimento trovato sugli Album è un’ode in ottonari e settenari alternati e il nobile contenuto è senza dubbio un apprezzamento alla bellezza anche interiore di Clara, una bellezza casta e angelica, come sottolineato più volte nella seconda parte del componimento, difatti nell’ultima strofa l’estemporaneo poeta sembra quasi voler

51 dire che solo un artista in grado di dipingere la Madonna, può cimentarsi nel ritrarre le divine forme della contessa Maffei.

Giovan Battista Martelli, 12 marzo 1841, 23r.

Sonetto

Donna sui labbri tuoi fulge il sorriso Onde d’amor la Bellezza arma di strale Che spinto a volo a palpitar conquiso Soavemente astringe il cor mortale;

Ma un raggio spirituale di Paradiso Allor che dotta parli ai sofi equale Sì forte espresso ti lampeggia in viso Che all’avvenenza tua si fa rivale.

Perch’io l’accolgo e in estasi l’ammiro Di ideal simpatia che in sen mi spande Piacer di mente per concorde spiro;

Cara beltà fo segno al veder mio Che a tutte l’altre è sopra un’alma guarda Che al ciel somiglia e alla beltà di Dio.

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Pagina manoscritta di G.B. Martelli

Giovan Battista Martelli (Milano, settembre 1780 – Borgo Ticino, novembre 1850), fu giurista e letterato, originario di una famiglia di commercianti di Miasino, sul Lago d’Orta. Si laureò a Pavia in Legge, tuttavia fu sempre attratto dagli studi letterari infatti esercitò per breve tempo la professione di avvocato, per poi dedicarsi alla traduzione di opere in versi dall’inglese all’italiano. Potendo contare sull’appoggio del celebre poeta Vincenzo Monti, conosciuto negli anni universitari, poté pubblicare anche alcuni componimenti, tutti si stampo classicista. Visse gli ultimi anni di vita in uno stato di prostrazione mentale e fisica che lo costrinsero ad allontanarsi da Milano e a spostarsi in campagna con la moglie e i quattro figli, presso Borgo Ticino, dove morì 1848. Fra i primi frequentatori del salotto Maffei, scrisse sul III album un sonetto dedicato alla bellezza interiore e fisica di Clara. La contessa è un’anima superiore alle altre, la sua bellezza è paragonabile, addirittura, alla beltà di Dio e rivale dei raggi spirituali del Paradiso.

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Giuseppe Ambrosoli, 10 gennaio 1841, 42v. MANCA FOTO DEL COMPONIMENTO DI GIUSEPPE AMBROSOLI

I miei pensieri Sacro è il silenzio, o Notte, in cui tu siedi, Sacro e l’orror che ti circonda e veste; Sempre mi batte il core allor che riedi Colle fide ore tue placide e meste. Quando sovra la terra alta risiedi, Quando adorni di stelle il vel celeste Allor tristi pensier ‘ scendono all’alma Nel tuo fido silenzio e nella calma. Salve, o Notte! Nel tuo placido orrore Mi tornano alla mente i miei prim’anni; Altri giorni, altri luoghi io porto in core, Luoghi beati e giorni senza affanni; Quando non conoscea l’umano errore, Non conoscea questi terreni inganni, E l’innocenza mia, rosa romita, Fioriva ignota al sol, ma al Ciel gradita. E la fedel memoria del passato, La cura del presente e l’incertezza Dell’avvenir fiera mi siede allato E l’alma affanna e il mesto cor mi spezza: Il cor che lasso e dal dolor piagato Di tanti affetti ormai cede all’asprezza, Qual legno spinto da contrari venti Di tempestoso mar fra gli spaventi. O Lario! O luogo fortunato e ameno Che nell’infanzia mia lieto abitai, Verdi colli fioriti e ciel sereno Sotto cui dì felici io già passai, Se il mio pianto vi giunge ah date almeno Benigna udienza a così mesti lai, E se memoria ancor di me serbate Vi prenda almen del mio dolor pietate. Sempre v’amai, luoghi ridenti e cari Della mia fanciullezza e de’miei voti: Sempre vi porto in core, o solitari Recessi ombrosi un giorno a me si’ noti. Quel che in voi m’era dolce ora si’amari Pensier ridesta a me poc’anzi ignoti: Sempre rammento i giorni fortunati

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Ch’io già vissi fra voi, luoghi beati. Colla vostra gentil ridente imago Altro pensier spesso mi desta amore, Che sebben del pensier vostro men vago Pur non men caro mi discende al core. Spesso insieme all’idea del mio bel lago S’unisce un'altra imago di dolore, E chieggo invan dalla notturna calma Il sonno agli occhi e la quiete all’alma. Spesso mi par la buona avola mia Veder nel ciel fra gli angioli vagando Che colla incerta man tenera e pia Mi vada il volto e il capo accarezzando. Mentre col labbro onde già un dì lambia Le gote a me mi viene ancor baciando. Agli atti, al volto, al tenero sorriso Tutta un angelo par del Paradiso. L’altra speranza de’suoi dì cadenti La cara Emilia (1) ella per mar conduce. Negli occhi suoi che morte non ha spenti Un bel raggio di gioja ancor riluce. La dolce giovinetta infra i concenti Degli angelici cori e fra la luce, Quasi del mio patir fatta pietosa Volge la faccia a me tutta amorosa. Oh rimembranze, oh miei tristi pensieri Una volta da me lungi fuggite, E come flutti tempestosi e neri No più l’anima mia non atterrite Nel mio sonno a seder sugli origlieri La quiete a turbar più non venite Il mio martir vi mova alfin pietate, dolorosi pensier, deh! Mi lasciate. Lasso! Se voi partite a sorger presto Ecco un altro pensier non men crudele. Cupo il presente ed il futuro è mesto, Tutta la vita par nappo di fiele Nessun presagio che non sia funesto, Tutto mi move al pianto, alle querele, E allor mi stringe e par m’opprima il core Fero duol, dubbia speme, alto terrore. Ma perché piango? Al Ciel data è la cura Dell’incerta mia vita, e il Ciel m’arrida. Colui che ognor tutto governa e cura Quegli sostien che solo in Lui s’affida. Se l’alma in sen serberò bella e pura

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Fia che il fato presente a me sorrida Dell’avvenir sempre l’uom giusto e pio Lascia la cura ed il destino a Dio. Sorgi, o mio cor! Risorgi alla speranza, Batti ancora alla gioja, esulta ancora! In Dio riponi ormai la tua fidanza Che guida per sua mano il giusto ognora_ Tempra, o Signor, la giovenil baldanza, Sostienmi e guida della prova all’ora E quando giunga de’miei dì la sera Accogli allor l’estrema mia preghiera.

(1) mia cugina e coetanea morta poco prima dell’avola

Di Giuseppe Ambrosoli non è stato possibile reperire alcuna notizia biografica. Le uniche in nostro possesso le possiamo desumere dalle poche righe di accompagnamento ai Versi che il padre Francesco scrisse sul III album di Clara. Si deduce così che Giuseppe nacque nel 1827 e visse probabilmente in collegio, quindi lontano dal padre, presso il Lago di Como. Il componimento riportato sull’album della Maffei è un componimento in ottave e ci mostra un giovane preso dagli affanni della vita nel senso più leopardiano del termine. Un giovane che a soli 13 anni non nutre grandi speranze per l’avvenire e a cui mancano nel profondo del cuore i luoghi dell’infanzia. L’infanzia sembra essere per Giuseppe il periodo dell’innocenza, di quando non era a conoscenza dell’ umano errore , o forse semplicemente delle responsabilità di un giovane che deve vivere da solo lontano dalla famiglia. Nell’ultima parte sembra consolarsi con l’affidare la sua anima a Dio, poiché è al Ciel che viene affidata l’ incerta sua vita .

Francesco Ambrosoli, 11 gennaio 1841, 44v.

A mio figlio Giuseppe che nel giorno 3 ottobre 1840, compiendo i tredici anni, mi inviò dal lago di Como Una bella poesia risposi i seguenti

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Versi

Te pei solinghi variopinti calli De’patrii monti segue il mio pensiero: Or ti veggo su’poggi or nelle valli Stampar colle fugaci orme il sentiero. Si, ti veggo, mio caro, e ascolto il suono Della tua voce e sempre teco io sono. “Osa contendi”, e forse il ciel non vieta A te la speme d’immortal corona. Me frattanto consoli. Oh come lieta Oggi è la vita! Come in cuor mi sona La soave armonia de’tuoi bei carmi Mentre di sdegni ognun favella e d’armi. L’Anglo, il Franco ed il Russo a mortal guerra Solcano i flutti dell’antico Egeo; Freme l’onda commossa, e sta la terra Timida al rombo di quel turbin reo; E te forse la Musa educa intanto I feri scontri a celebrar col canto. Era fanciullo ancor Sofocle quando Tinsero i Persi ‘l mar di Salamina; Ma ratto crebbe, ed illustrò cantando Il valor greco e la fatal ruina. Tutto disperse il tempo; i carmi suoi Vinser la fama de’ maggiori eroi. “Osa, contendi” ; che a te pure il cielo, Se non m’illude amor, diede ali al volo. Io col cuor ti precorro, e spero e anelo Tanto vederti dilungar dal suolo, Che già ti perdo fra le nubi, e sento Solo il dolce de’tuoi carmi concerto.

Alla Nobil Donna Chiarina Maffei

Sai tu, Donna gentil, perché d’affanni Ragiona il figlio, e il genitor di speme? L’uno presenta della vita i danni, L’altro del mondo ormai nulla più teme.

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Pagina manoscritta di Francesco Ambrosoli, particolare

Francesco Ambrosoli (Como, gennaio 1797 – Milano, novembre 1868) fu un letterato e giurista. Fu avviato agli studi letterari dal poeta Vincenzo Monti e da Pietro Giordani, suoi cari amici. Iniziò con la carriera da avvocato ma la polizia austriaca, sospettandolo di patriottismo, gli impedì di proseguire la professione, così Ambrosoli si dedicò allo studio del latino e del greco. Divenne professore di filologia ed estetica presso l’Università di Pavia e, per un breve periodo, ottenne anche uno stabile incarico presso la Biblioteca di Brera. Prese parte alle Cinque giornate di Milano e questo gli costò l’esilio da Pavia e la revoca dell’incarico di professore universitario. Tra le sue opere più celebri ricordiamo la Grammatica della lingua italiana (1820) e il Manuale della letteratura italiana (1831), che ebbe numerose ristampe negli anni successivi. Come lui stesso scrive sull’album il componimento lì riportato, interamente in sestine, è una risposta a dei versi mandategli dal figlio al compimento del suo tredicesimo anno di vita. Nei versi il padre sembra nutrire grandi speranze per il figlio, e lo sprona a continuare nella sua strada, a scrivere versi e a lasciarsi educare dalla Musa.

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La guerra a cui forse si riferisce Ambrosoli è quella che ebbe origine dalla rivolta egiziana del 1832. Mohammed Alì, governatore d'Egitto, aveva intrapreso una vera e propria guerra d'indipendenza, spingendosi col proprio esercito fino all'interno dell'Anatolia, minacciando da vicino la stessa sopravvivenza dell'Impero Ottomano. Lo zar si decise per un intervento armato in favore del tradizionale nemico. Tra il febbraio e il marzo 1833 prima una flotta russa e poi una divisione di fanteria si recarono nella regione degli stretti a protezione della legittimità del Sultano. L'allarme che tale intervento provocò in Francia e Gran Bretagna fu enorme. Il riferimento ad una guerra lontana, in terre quasi esotiche, è forse un’allusione ad una guerra che l’ospite di Clara, estemporaneo poeta, sente avvicinarsi alla Penisola italiana. Solo qualche anno dopo la scrittura di questi Versi, scoppieranno diverse rivoluzioni in tutta Europa che porteranno l’Italia (non ancora unita) a combattere quella che oggi chiamiamo Prima guerra d’indipendenza. L’osa, contendi che si ripete due volte a inizio verso è preso dal sonetto di Parini del 1825 A Vittorio Alfieri , a prova di come fosse importante e riconosciuta la grandezza dei due poeti nel XIX secolo.

Anselmo Guerrieri, 12 agosto 1843, 66v.

Son dolci tesori Son dolci tesori Di strenne e di fiori; Che il facile impero D’amato pensiero, Intorno raccoglie Sull’ ospiti soglie. E ai dolci tepori Di strenne e di fiori, con gioja segreta Sorride il poeta, Che in tutti travede Il fior della fede. Ma fior che suo verde Per anni non perde, Che regge alla nera

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Mugghiante bufera, Che vespro e mattino Profuma il giardino. E indarno, o gentile Lo chiedi all’Aprile; Si veston le lande Di fresche ghirlande; Ma passa e non dura Il fior di natura. Dei roridi calli D’eterne convalli; Un angiolo lieve Con penna di neve Protegge il candore Del mistico fiore. Ma il fior della fede Che il cielo possiede, Dal lembo dell’ala Di quell’immortale fuggio tra gli offerti Suoi candidi serti. E ancor li riveste Di un’aura celeste; [†] Con dolce melode Il suon d’una sola Diletta parola. Or dunque fu lieta La sorte al poeta Che a farsi messaggio D’un caro linguaggio Del fiore più vago conobbe l’imago.

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Pagina manoscritta di Antonio Guerrieri

Anselmo Guerrieri Gonzaga (Mantova, maggio 1819 – Palidano di Gonzaga, settembre 1879) di origine nobile, visse con la prozia Marianna Guerrieri, donna di grande cultura il cui salotto era frequentato da grandi intellettuali. Si laureò in Legge presso l’Università di Padova, divenne funzionario fiscale per il governo austriaco e successivamente, trasferitosi a Milano, si dedicò all’attività forense aprendo un suo studio legale a Cassano d’Adda. Si inserì benissimo nel salotto della contessa Maffei, tanto che divenne uno dei redattori della «Rivista europea» nonché grande amico di Carlo Tenca, Cesare Correnti e Carlo Cattaneo. Partecipò alle Cinque Giornate di Milano, pertanto fu poi costretto a riparare a Firenze, Genova e infine a Ginevra dove si accostò agli ideali mazziniani. Trasferitosi poi a Parigi, si legò ad un altro amico del salotto Maffei, Daniele Manin, che con la sua influenza lo portò ad abbracciare l’idea politica di Cavour. Tornato in Italia nel 1859, venne eletto nel primo Parlamento ma la sua carriera politica finì sette anni dopo e Guerrieri si dedicò agli

61 studi letterari e alle traduzioni dal latino e dal tedesco. Si spense improvvisamente nella sua villa di campagna nei pressi di Mantova. Nel suo componimento in senari distici a rima baciata, Guerrieri sembra parlare del poeta come Vate. Il poeta come colui che, accolto sulle ospitali soglie di casa Maffei, si guarda intorno e vede in tutti il fior della fede ed è il solo fortunato che ha visto e che può portare il messaggio dell’immagine più bella, quella del fiore verde, ossia della giovinezza che è protetta dal Cielo.

Giannina Milli (non è indicata la data), 78r.

Frammenti di un canto estemporaneo

Amore e Morte

Amor e Morte … l’un nome suona: Iddio, Speranza, Luce, avvenir ; Orrendamente l’altro risuona: Nulla, Mistero, ombra, Martir! Amor non nacque, di Dio consorte A tutte cose die’ vita amor. Tutto a dissolvere nacque la morte Dal fulminato primiero error. Questa nel tempo, fia spenta ancora, Quando futuro più non vi avra Quello immutato splendido ognora, Distrutti i secoli, con Dio vivra!

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Pagina manoscritta di Giannina Milli

L’ultimo componimento presente nel III album è questo di Giannina Milli, un’ode in distici a rima alternata. Di questa figura quasi dimenticata, ne abbiamo parlato nel capitolo precedente. E’significativo che il III album si chiuda proprio con questa poesia dal momento che si era aperto con quella di Giulietta Pezzi, altra grande amica di Clara. Due donne che aprono e chiudono i ricordi della contessa. La prima cercando, nel 1837, di portare un po’ di primaverile serenità all’animo turbato della Clarina, l’ultima, che parla di amore e morte, un binomio che in poesia, come in altrove non ha mai smesso di incuriosire. La prima poesia forse dedicata alla morte della figlioletta di Clara, l’ultima che sembra un accorato appello all’amore, alla sua forza invincibile e duratura, alla potenza che vince la morte e che ognora con Dio vivrà . Amore e morte, come quella poesia di Leopardi del 1832, probabilmente ancora fresca, una decina di anni dopo, nella mente della poetessa Giannina Milli. Si ritrovano delle eco leopardiane in questo componimento, tuttavia la presenza di Dio,

63 considerato dalla Milli come l’amore supremo, quello che vincerà nei secoli sulla morte, la allontana profondamente dalla concezione leopardiana e anche dal primo componimento dell’Album, quello di Giulietta Pezzi che più volte all’amica Clara Maffei si era dichiarata atea e repubblicana 79 e che abbiamo accostato, per somiglianze e differenze, con quest’ultimo. Non ci è dato di sapere perché la poesia di Giannina Milli sia l’unica dell’Album priva di data, né tantomeno il perché delle numerose pagine bianche che seguono. Importante segno però è la femminilità di questo Album, femminilità esaltata da questi due componimenti a inizio e a fine diario che sanciscono l’importanza, l’affetto e la stima attribuiti da Clara alle donne che erano ospiti del suo salotto, alle quali, come si vede, è riservato in tutti i sensi un posto d’onore.

79 Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , cit., p 47.

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Bibliografia

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- Livia Negri, I palazzi di Milano: dall'edilizia rinascimentale fino alle creazioni dell'architettura del Novecento, arte, storia, aneddoti e curiosità dei grandi edifici della metropoli lombarda , Newton & Compton Editore, Roma 1998.

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- Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano , Mondatori, Milano 1997.

- Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù , Rizzoli Editore, Milano 1959.

- Pasquale Voza, Letteratura e rivoluzione passiva: Mazzini, Cattaneo e Tenca , Edizioni Dedalo, Bari 1978

Fondi d’archivio

Archivio Storico del Comune di Milano (ASCMi) Fondo Ornato Fabbriche I e II serie

I serie, cartelle: - 184 anno 1814 - 185/2 anno 1831 - 185/3 anno 1832 - 185/4 anno 1833 - 185/7 anno 1836 - 185/8 anno 1837 - 185/10 anno 1839 - 186/3 anno 1844 - 147 anno 1861

II serie, cartelle: - 410 P.G. 25944, anno 1907-1909 - 412 P.G. 104744, anno 1909

Fondo Majnoni, cartelle: - 2/191 - 2/241-257

Raccolta cartografica:

- 2/34, XVII secolo - 4/12 , anno 1856 - 7/12, anno 1945 - O.F Is c. 2/5

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Indice

INTRODUZIONE ...... 1 CAPITOLO I ...... 4

1.1 BREVE EXCURSUS STORICO - URBANISTICO SU MILANO TRA I SECOLI XVIII E XIX .... 5 1.1.1 Nascita della Commissione d’Ornato e alcuni cambiamenti ...... 8 1.2 PALAZZO OLIVAZZI ...... 9 1.2.1 Dubbi sull’indicazione del piano abitato da Clara Maffei ...... 12 1.2.2 Breve storia delle modifiche architettoniche del palazzo (1814 - 1909) ...... 13 CAPITOLO II ...... 22

2.1 UNA BREVE BIOGRAFIA ...... 23 2.1.1 Le origini ...... 24 2.1.2 L’infelice matrimonio con Andrea Maffei e la nascita del salotto ...... 26 2.1.3 L’incontro con Carlo Tenca e la separazione legale ...... 27 2.1.4 Una nuova vita, un “nuovo” salotto...... 28 2.1.5 Gli ultimi anni ...... 30 2.2 L’ IMPORTANZA DEGLI INCONTRI ...... 32 2.2.1 La politica: Clara Maffei, Giovanni Visconti Venosta e i patrioti italiani ...... 33 2.2.2 La letteratura: Clara Maffei e Giannina Milli ...... 36 2.2.3 La musica: Clara Maffei e Giuseppe Verdi ...... 40 CAPITOLO III ...... 45

3.1 DESCRIZIONE DEGL ’A LBUM ...... 46 3.2 COMPONIMENTI ...... 47 Se soave un’arietta ti spira ...... 47 Te delle dotte vergini ...... 49 Sonetto ...... 52 I miei pensieri ...... 54 Versi ...... 57 Son dolci tesori ...... 59 Amore e Morte ...... 62 BIBLIOGRAFIA ...... 65 FONDI D’ARCHIVIO ...... 66

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