F. Albano, Cinquant'anni Di Padri Della Patria 1848-1900

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F. Albano, Cinquant'anni Di Padri Della Patria 1848-1900 Università degli Studi di Cagliari DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA Ciclo XXVIII CINQUANT’ANNI DI PADRI DELLA PATRIA 1848-1900 Settore scientifico disciplinare di afferenza M-STO/04 Presentata da: Federica Albano Coordinatore Dottorato Chiar.mo Prof.re G. Murgia Tutor Chiar. mo Prof.re. U. Levra, Chiar.ma Prof.ssa L. Pisano Esame finale anno accademico 2014 – 2015 Indice Introduzione pag. IV Parte 1 I conflitti della gloria 1848-1861 1.1 Il 1849 di Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele pag. 16 1.2. Chi fa un primo errore è costretto a continuare. Alti e bassi tra il 1850 e il 1855 pag. 34 1.3. Il consenso a Cavour, la crisi dell’immagine di Mazzini, la conversione di Garibaldi. 1856-1858 pag. 44 1.4. Il 1859 pag. 62 1.5 Cavour nell’angolo, Garibaldi il vincitore sconfitto: il 1860 pag. 75 Parte 2 I padri della patria nel primo ventennio dopo l’Unità 1861- 1876 2.1 La storia sarà la storia dell’uomo grande che abbiamo perduto. La morte del Tessitore pag. 90 2.2 La costruzione di un re italiano. Il mito di Vittorio Emanuele negli ingressi trionfali e nelle celebrazioni pubbliche pag. 105 2.3. 1862. L’ultimo tentativo governativo di gestione della figura di Garibaldi: i fatti di Aspromonte pag. 122 2.4 Associazionismo repubblicano, funerali e feste civili. Il Mazzini pubblico e il Mazzini politico pag. 138 2.5 I conflitti della memoria. Il caso dei Comizi dei Veterani delle patrie battaglie di Torino e di Milano pag. 151 II 3 La triade paradossale o la paradossale triade? Il Risorgimento nazional-popolare dell’età crispina 3.1 Il monarca rivoluzionario pag. 161 3.2 Il dittatore obbediente pag. 186 3.3 Il repubblicano monarchico. pag. 208 3.4 Cavour fuori dal Pantheon? pag. 224 Fonti e bibliografia pag. 241 Ringraziamenti pag. 291 III Introduzione “Può tornare utile al popolo esser ingannato sia in materia di politica sia in materia di religione, sia che lo si induca in un nuovo errore, sia che lo si confermi negli errori in cui si trova già, purché beninteso ciò sia fatto (…) per il bene del popolo stesso”1. Nel 1777 la Reale Accademia Prussiana di Scienze e Lettere bandì un concorso sul tema È utile ingannare il popolo?, argomento proposto a Federico II da d’Alembert. Uno dei due vincitori del concorso berlinese era un professore di matematica emigrato dalla Savoia, Frédéric de Castillon, che notando l’assonanza del quesito formulato da D’Alembert con i passi della Repubblica di Platone aveva riconosciuto, con le parole sopra citate, il diritto ai governanti di mentire per il bene comune. Castillon pensava che per fare ciò bisognasse agire lentamente portando il popolo da un errore maggiore a uno minore e forniva l’esempio di un nuovo errore, che aveva queste caratteristiche ed era al tempo stesso un “errore minore”: ovvero il patriottismo. In quest’ “errore minore”, in questa parziale “menzogna” destinata ai popoli moderni, Castillon intravedeva oscuramente le caratteristiche di una religione, quella che verrà definita successivamente con il nome altisonante di “religione della patria”. La sacralizzazione della nazione poneva in una nuova prospettiva i rapporti fra politica e religione, conferendo carattere religioso alla politica e una missione educatrice allo stato. Come scriveva Rousseau, lo stato nazionale doveva riunire “le due teste dell’aquila” – potere 1 F. DE CASTILLON, Bisogna ingannare il popolo? dissertazioni di Friédéiric de Castillon e Marie Jean Antoine Caritat de Condorcet, De Donato, Bari 1968, pp. 13, 53, 60-62. IV politico e potere religioso – istituendo una propria “religione civile”, per ricondurre tutto all’unità politica. Per quanto riguarda l’Italia uno dei maggiori esempi di organizzazione del consenso politico e di creazione di una vera e propria “religione della patria” lo si ebbe nel corso del XIX secolo. Negli ultimi anni gli studi storici si sono orientati sempre più frequentemente nel cercare di comprendere come e in che modo il periodo del Risorgimento si sia declinato in chiave mitica e celebrativa per venire in soccorso alle urgenze del presente contribuendo a legittimare o a delegittimare la scelte di determinati gruppi politici. Tuttavia, ad oggi, manca ancora uno studio che analizzi lo sviluppo, talvolta conflittuale, talvolta collaborativo, dell’interesse pubblico che si era creato intorno a quelle figure che erano state assunte a protagoniste del Risorgimento. Per dirla in altre parole, uno studio su come l’opinione pubblica percepisse le immagini pubbliche di quei personaggi che già per i contemporanei avevano un significato simbolico particolare, rappresentate da Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour. Fu una vicenda di passioni laiche, culminata in quella che si può definire la collocazione di tali figure nel pantheon dei padri della patria, ossia nella rilettura risorgimentale del canone degli uomini illustri usato prevalentemente o esclusivamente in senso politico. Il ricorso ai grandi uomini del Risorgimento è particolarmente evidente tra il 1848 e il 1900 e si può dividere in tre fasi. La prima fase analizza il periodo dal 1848 al 1861, quando gli eventi che portarono all’Unità erano in corso e le stesse figure dei principali leader, padri della patria in fieri, battagliavano tra loro. Ovviamente il punto di partenza è la formazione, in momenti e con modalità diverse, di una salda tradizione sui nostri quattro protagonisti, È il periodo della nascita dei quattro padri della patria, Mazzini come “l’apostolo di Roma repubblicana”, Garibaldi come “l’eroe dei due mondi”, Vittorio Emanuele “il re galantuomo” e Cavour “il tessitore”. Non si è ancora in presenza di veri e propri miti nel senso proprio, ma si deve riconoscere una ricerca politica di persuasione dell’opinione pubblica al fine di far indossare loro i panni dei grandi uomini simbolici e riassuntivi di caratteri. Furono operazioni realizzate sia dagli stessi personaggi e dal gruppo politico che li circondava – come nel caso di Garibaldi personaggio prodotto da V Mazzini, o Vittorio Emanuele fabbricato “galantuomo” dai moderati e in particolare da Massimo d’Azeglio -; sia dagli avversari politici che erano interessati ad elaborare e diffondere l’immagine in negativo a proprio vantaggio. Per questo motivo Mazzini, che era la figura più discussa e l’unica che in questi anni sintetizzasse in sé l’intero movimento unitario italiano, fu caricato molto presto di una solida rappresentazione negativa creata dai moderati e sapientemente utilizzata nella battaglia politica. Dopo i successi del 1849 con la formazione della Repubblica Romana, iniziò, come è noto, una progressiva crisi del mazzinianesimo, sopratutto dopo il fallimento dei moti di Milano del 1853. La graduale crisi del movimento democratico provocò una forte reazione in Mazzini e se da un lato egli arrivò alla formazione del “partito d’azione”, dall’ altro sviluppò una forte critica verso Cavour, con la proposta anche di una mitizzazione negativa del conte, in opposizione a quella crescente in positivo. I rapporti tra i due uomini politici mutarono ulteriormente dopo il congresso di Parigi del 1856, ovvero quando la reazione dell’opinione pubblica italiana al ritorno di Cavour dal congresso di Parigi – che valse al conte il titolo di tessitore delle speranze italiane – fece iniziare ad intravedere la possibilità di una reale guida politica moderata all’interno del movimento nazionale. Dopo il congresso si aprì il breve e controverso periodo di collaborazione che prese il nome di “bandiera neutra”, che portò, durante il 1856 e il 1857, all’interazione tra mazziniani e uomini del gabinetto di Torino. Per l’eroe dei due mondi è stato invece analizzato il passaggio da una caratterizzazione prevalentemente repubblicana-mazziniana del suo mito ad un utilizzo da parte dei liberali-cavouriani, in sintonia con la rottura di Garibaldi con Mazzini e l’avvicinamento alla Società nazionale. Sempre ricordando però che l’eroe nizzardo fu soggetto e gestore in prima persona del proprio mito. Per finire è stato preso in esame anche un Vittorio Emanuele che progressivamente, da “galantuomo” azegliano, divenne sempre più e controvoglia il “galantuomo” cavouriano, sottoposto a una espansione dei poteri parlamentari a scapito di quelli della corona e controllato nei tentativi di governo personale oltre che nella vita privata e nella politica matrimoniale. Con gli accordi di Plombières e con l’inizio della guerra del 1859 sembrò realizzarsi appieno il programma cavouriano. Occorreva la guerra a tutti i costi e allora Mazzini usato da Cavour restò l’agitatore negativo, ma un agitatore, a differenza del 1856 – 1857, non presente fisicamente nei luoghi da agitare. Il conte intendeva infatti non VI servirsi attivamente del capo repubblicano, poiché non si fidava di lui, ma cercò di utilizzarne il mito negativo di rivoluzionario e provocatore di rivolte per premere su Napoleone III e sostenere la presenza di truppe piemontesi in regioni come le Legazioni pontificie la cui sistemazione politica era stata lasciata incerta dagli accordi di Plombières. Anche Garibaldi e Vittorio Emanuele servivano alla causa del conflitto e Cavour sfruttò il prestigio dei loro nomi e la loro popolarità per incrementare i consensi alla politica piemontese e motivare la guerra come un fatto nazionale. Il nizzardo entrò così nell’esercito regio col grado di generale; mentre il re di Sardegna fu il perno e il punto di unione di tutte le forze militari, e da “re galantuomo” divenne “re soldato”. L’armistizio di Villafranca rappresentò, come è noto, sia l’interruzione delle ostilità con l’Austria sia il temporaneo abbandono del potere da parte di Cavour. Le sue dimissioni ebbero un’importanza politica capitale, salvaguardando il carattere nazionale della politica dei moderati, e impedendo che agli occhi dei patrioti italiani la guerra fosse interpretata come espressione delle semplici ambizioni dinastiche di casa Savoia. Lasciando il ruolo da primo ministro il conte dimostrò una statura italiana e ciò gli valse il ritorno alla politica sotto una forte pressione dell’opinione pubblica, aggiunta all’incapacità del gabinetto La Marmora – Rattazzi di gestire la situazione.
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